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DOCUMENTO DEFINITIVO SU TORQUATO TASSO

1. VITA
2. DEFINIZIONE DI MANIERISMO
3. CONTESTO STORICO
4. OSCURANTISMO
5. DEFINIZIONE DI ARISTOTELISMO
6. TURBAMENTO DI TASSO
7. LE RIME
8. L’AMINTA , TRAMA, MONDO PASTORALE E CORTE, ELEMENTI TRAGICI E IDILLICI
9. DIALOGHI
10. EPISTOLARIO
11. GLI SCRITTI TEORICI
12. LA POESIA SACRA DEGLI ULTIMI ANNI
13. LA TRAGEDIA RE TORRISMONDO
14. LA GERUSALEMME LIBERATA, TITOLO, TRAMA, GOFFREDO, RINALDO, TANCREDI, CLORINDA ,
ARMIDA ERMINIA , ARGANTE E SOLIMANO, PERSONAGGI MINORI,
15. POEMA EROICO PERCHE?
16. VERO STORICO COS’E’?
17. MERAVIGLIOSO CRISTIANO DEFINIZIONE
18. TEMA ENCOMIASTICO
19. CONCEZIONE AMOROSA
20. IDILLIO COME FUGA
21. MONDO CRISTIANO E ISLAM
22. GERUSALEMME CONQUISTATA
23. LINGUA E STILE
24. TASSO FAMA E FORTUNA EDITORIALE
25. GIACOMO LEOPARDI
26. TASSO NELLA MODERNITA’
27. BIFRONTISMO TASSIANO
28. AMORE TASSIANO
29. CAVALLERESCO O NON CAVALLERESCO?
30. DIFFERENZE E ANALOGIE TRA ARIOSTO E TASSO

LA VITA
Torquato Tasso nasce a Sorrento nel 1544. Nasce in una famiglia nobile, suo padre, Bernardo Tasso era a
servizio del principe di Salerno Ferrante Sanseverino , sua madre, Porzia de' Rossi, era appartenente ad un
casato nobiliare.

Vive la sua infanzia felice in corte, studia presso i gesuiti di Napoli fino al 1554, fin quando il Principe di
Salerno viene bandito, e con esso anche il padre di Tasso è costretto all’esilio, inoltre la madre viene
rinchiusa in un convento e morirà (probabilmente uccisa dai fratelli) quando Tasso avrà solo 10 anni.
Successivamente seguì il padre a Roma e nei suoi spostamenti, infatti si trasferisce successivamente, anche
per studio, a Venezia, Padova e Bologna: tutte città in cui ha modo di conoscere e stringere i contatti con
membri delle nobiltà e delle corti italiane.

All’età di 18 anni inizia la composizione delle sue opere più importanti e all’età di 31 anni nel 1575 ha già
scritto tutte le maggiori opere come: la Gerusalemme liberata ( un poema epico cavalleresco in cui sono
introdotti aspetti religiosi).

Nel 1565 Torquato Tasso viene chiamato alla corte di Ferrara, dapprima come cortigiano di Luigi d’Este, e,
dal 1572 del duca Alfonso d’Este. Qui gli vengono affidati compiti di rappresentanza e, soprattutto, culturali.

Questo è un periodo di grande attività letteraria: nel 1573 Torquato Tasso compone l’ “Aminta”, mentre nel
1575 termina la composizione della “Gerusalemme liberata”.
Tuttavia è ossessionato dall’idea di aver scritto un poema non allineato ai nuovi dettami religiosi della
Controriforma e teme di essere colpevole di eresia, al punto da sottoporre l’opera al giudizio di revisori,
che ne criticano i contenuti. *DISSIDIO*
Inoltre viene anche rifiutato da 2 donne in quel periodo

Il malessere di Torquato Tasso cresce: si allontana da Ferrara per farvi ritorno nel 1579, quando aggredisce
il duca Alfonso d’Este durante il suo matrimonio. Di fronte a questo nuovo eccesso, il duca fa rinchiudere
Tasso in un ospedale per pazzi (sant’Anna), in cui vi rimane per 7 anni in cui oltre alle manie di
persecuzione Tasso attua anche comportamenti autopunitivi .

Nonostante la difficoltà del periodo questo si rivela in assoluto il più prolifico dal punto di vista letterario, in
cui vengono composte numerose “Rime” e la maggior parte dei “Dialoghi”. In questo periodo viene anche
pubblicata, a sua insaputa, la Liberata, cosa che gli provoca grande disagio perché la considerava ancora in
fase di revisione, ma grazie al successo che ottenne dovette essere liberato (perché un pazzo non sarebbe
stato in grado di scriverla).

Torquato Tasso starà 1 anno a Mantova presso la corte dei Gonzaga dopodichè abbandona Mantova nel
1587 per trascorrere gli ultimi anni della sua vita a Napoli e poi a Roma: qui compie un profondo lavoro di
revisione del suo poema che pubblica in versione definitiva nel 1593 con il titolo di “Gerusalemme
conquistata”. Muore a Roma nel 1595.

MANIERISMO
Il Manierismo è, nel linguaggio della storiografia più recente, quell'insieme di correnti, di manifestazioni, di
gusti letterari, che rappresentano il passaggio tra la cultura rinascimentale e quella propria dell'età barocca.

Gli studiosi definiscono età della Controriforma la seconda metà del XVI sec., ovvero il periodo
caratterizzato in Europa dalla reazione della Chiesa di Roma contro la Riforma protestante di Martin Lutero,
a partire dal Concilio di Trento che ne definì ufficialmente forme e modi. I termini cronologici sono il 1545,
anno appunto di apertura del Concilio, e il 1610, anno in cui Galileo pubblica il Sidereus nuncius considerato
l'inizio della "rivoluzione scientifica" che caratterizza l'età successiva del Barocco.

Dal punto di vista artistico e letterario il secondo Cinquecento vede lo sviluppo del Manierismo, che può
essere visto come autunno del Rinascimento e anche come anticipazione di alcuni aspetti del Barocco,
contraddistinto soprattutto dalle discussioni sui generi letterari e dominato dall'aristotelismo (lo scrittore
italiano più rappresentativo di questa corrente è Torquato Tasso, autore della Gerusalemme liberata.

La Controriforma è per molti aspetti un periodo culturalmente cupo, dominato dall'oscurantismo della
Chiesa che tenta in ogni modo di soffocare le spinte al rinnovamento e perseguita ferocemente alcuni
intellettuali in quanto "non allineati" (come Giordano Bruno o, più tardi, lo stesso Galileo); la figura dello
scrittore vede una forte limitazione della sua autonomia e si trasforma sempre più in un funzionario-
cortigiano inquadrato nella burocrazia del palazzo, sottoposto non di rado a un rigido controllo sui
contenuti della sua opera (questa è la fase storica in cui inizia a operare la censura ecclesiastica).

I generi letterari che si sviluppano maggiormente sono il poema eroico, la lirica amorosa, la 1trattatistica
storica e politica e, nel teatro, il dramma pastorale.

In campo artistico e letterario l'età della Controriforma è dominata dal Manierismo, una corrente che
propone l'imitazione dei modelli classici in modo estremo ed esasperato, fino a deformarne in qualche caso
lo spirito e a suscitare effetti che sembrano stravaganti e di cattivo gusto: gli studiosi evidenziano in esso
ora il carattere di declino e "autunno" del Rinascimento, ora l'anticipazione di elementi propri del Barocco
secentesco (che infatti proporrà innovazioni strane e "meravigliose", in opposizione al classicismo del
Cinquecento). Tra gli artisti più importanti che si possono accostare al Manierismo ricordiamo Giorgio
Vasari (autore anche delle Vite e fondatore della critica artistica in Italia), Perin del Vaga, Angelo Bronzino,
Parmigianino, Tintoretto, nei quali una delle principali innovazioni pittoriche è la "figura serpentinata", la
rappresentazione del corpo umano in posizione contorta e con le proporzioni alterate (siamo molto distanti
dalla ricerca di equilibrio e armonia tipica dell'arte rinascimentale: ne è un esempio il "Ratto delle Sabine"
dello scultore fiammingo attivo in Italia Jean de Boulogne, detto Giambologna).

In campo letterario prevale soprattutto un classicismo esasperato e tra gli intellettuali si accendono
discussioni sui "canoni" cui rifarsi per la creazione delle opere, specie in ossequio alle norme aristoteliche
(sul punto, molto significativo per lo sviluppo del poema eroico, si veda oltre). I generi del poema e della
lirica sono quelli più diffusi in Italia nel secondo Cinquecento e lo scrittore di gran lunga più rappresentativo
del Manierismo è Torquato Tasso, autore della Gerusalemme liberata e di liriche petrarchiste molto
apprezzate al suo tempo, nonché del dramma pastorale Aminta che getterà le basi di una nuova forma
teatrale.

Il Manierismo in Italia coinvolgerà anche le discussioni sulla lingua e la fissazione di un "canone" a partire
dalla proposta di Bembo che viene largamente accettata nella letteratura colta, ambito nel quale sarà molto
importante la creazione dell'Accademia della Crusca (si veda oltre).

CONTESTO STORICO
Il diffondersi della Riforma protestante in Germania suggeriva l'idea di un Concilio universale della Chiesa
che tentasse una mediazione con le spinte innovatrici dei Luterani e già l'imperatore Carlo V aveva fatto
pressioni su papa Clemente VII per una sua convocazione, che però fu rimandata per anni sino al 1545,
quando il Concilio fu ufficialmente indetto da Paolo III Farnese a Trento, città appartenente all'Impero.

I lavori proseguirono tra sospensioni e riprese sino al 1563 e le decisioni assunte dall'assise fissarono i
criteri della Controriforma, vale a dire la "strategia" culturale e religiosa della Chiesa di Roma per arginare la
Riforma che ormai dilagava in buona parte dell'Europa del Nord. In campo strettamente dottrinale il
Concilio ribadì i punti messi in discussione da Lutero, ovvero il dogma del peccato originale e il principio
della giustificazione per la fede e per le opere, mentre vennero fissate nuove norme per la nomina di
vescovi e cardinali e fu condannato il nepotismo, aspetto delicato della corruzione ecclesiastica. La
realizzazione di tali principi fu affidata a nuovi ordini religiosi e in particolare alla Compagnia di Gesù (i
Gesuiti), fondata nel 1534 da Ignazio di Loyola; molto importanti divennero i collegi gesuitici, scuole
destinate alla formazione dei membri dell'Ordine e poi della classe dirigente laica che si diffusero presto in
tutta l'Europa cattolica, mezzo potente per l'indottrinamento e la difesa del modello culturale della Chiesa.

LA CENSURA E L’INDICE Il nuovo clima della Controriforma fu improntato da una forte opposizione a
qualsiasi innovazione culturale che fosse giudicata pericolosa e ciò si tradusse in un pesante oscurantismo
da parte delle autorità ecclesiastiche, che iniziarono a esercitare varie forme di censura: molto importante

1
fu la creazione nel 1559 dell'Indice dei libri proibiti, una sorta di elenco di opere considerate immorali o
semplicemente sospette per i loro contenuti che non potevano essere stampate e diffuse, sotto la minaccia
di pene severissime. Tra i libri colpiti dal primo Indice vi furono la Monarchia di Dante, il Decameron di
Boccaccio, il Principe di Machiavelli, tutte le traduzioni in volgare della Bibbia e tutte le opere di scrittori
non cattolici o sospettati di essere simpatizzanti del luteranesimo. La Chiesa cominciò ben presto a
sottoporre le opere letterarie a un esame preventivo prima della loro pubblicazione e solo quelle che
superavano l'esame ricevevano l'imprimatur, il permesso di essere stampate.

Nel 1564 fu redatto un nuovo Indice a conclusione del Concilio di Trento e ne scaturì un pesante clima
intimidatorio nei confronti di intellettuali e librai, mentre in molte città l'Inquisizione procedeva al rogo
pubblico di libri considerati eretici, come mezzo per creare un "consenso" attorno all'attività
controriformistica.

La censura ecclesiastica permise in qualche caso la pubblicazione di opere che venivano però "purgate" e
sottoposte a revisione, con l'eliminazione dei passi giudicati più controversi, operazione che portò in molti
casi al totale stravolgimento dei testi originali: ebbero questo destino il Decameron, la Storia d'Italia di
Guicciardini (che nel 1564 fu stampata con pesanti tagli) e molti altri libri antichi e moderni di argomento
filosofico, specie quelli che contraddicevano il sistema cosmografico di Aristotele-Tolomeo. Proprio a causa
di tali pressioni Torquato Tasso fece esaminare la Gerusalemme liberata dall'Inquisizione di Ferrara,
poiché aveva molti scrupoli di natura religiosa per il contenuto del poema, anche se gli esaminatori
assolsero pienamente il suo scritto. L'Indice rimase ufficialmente in vigore per circa quattro secoli e venne
definitivamente abrogato solo nel 1966, a conclusione del Concilio Vaticano II.

Nata nel XII-XIII sec. come mezzo per la repressione dei movimenti eretici del Medioevo, l'Inquisizione era
stata ripristinata in Spagna alla fine del Quattrocento e svincolata dal controllo della Santa Sede, con lo
scopo di reprimere le minoranze islamiche ed ebraiche nel regno ormai riunificato (particolarmente sinistra
fu l'azione dell'inquisitore generale Tomás de Torquemada, frate domenicano).

In seguito Paolo III con la bolla Licet ab initio (1542) istituì l'Inquisizione romana, che agì soprattutto per
perseguitare eretici ed ebrei, ma anche per soffocare spinte innovatrici di intellettuali, sottoporre i libri a
controllo preventivo e a censura, lottare contro la magia e la stregoneria; essa fu lo strumento con cui la
Chiesa tentò di imporre la Controriforma e significativo fu il suo contributo per creare un clima di controllo
e repressione intellettuale, di cui furono vittime Giordano Bruno e, più tardi, Galileo Galilei. Particolarmente
importante fu la cosiddetta "caccia alle streghe", ovvero la persecuzione di donne accusate di praticare la
magia e, in molti casi, considerate sospette solo perché vedove, o dedite a comportamenti anormali, o
addirittura vittime delle maldicenze di parenti e vicini; in generale l'idea di fondo era la repressione del
"diverso" e la lotta contro tutto ciò che deviava dalla norma fissata dall'ortodossia, poiché ogni innovazione
in campo culturale e religioso era considerata sospetta e doveva perciò essere pesantemente censurata .

Il Tribunale dell'Inquisizione aveva poteri quasi illimitati e sottoponeva l'accusato a un processo che doveva
portare alla pubblica confessione, estorta in moltissimi casi attraverso l'uso sistematico della tortura
(peraltro applicata anche dalla giustizia ordinaria e fonte di gravissime atrocità, come nel caso famoso degli
untori di Milano durante la peste del 1630). Le pene inflitte ai condannati erano molto pesanti e andavano
da anni di carcerazione, come nel caso di Tommaso Campanella, o al supplizio del rogo, come nel caso di
Giordano Bruno; ci si poteva salvare in alcuni casi con l'ammissione delle proprie colpe e l'abiura, ovvero
una dichiarazione pubblica di ravvedimento e ritrattazione delle tesi espresse, che fu il destino infamante
toccato a Galileo nel 1633.

L'Inquisizione operò largamente nell'Europa cattolica per tutto il XVI e il XVII sec. e allentò in seguito le
maglie della sua feroce repressione, conservando tuttavia il suo potere intatto in alcuni Paesi tra cui,
soprattutto, la Spagna. Venne definitivamente abrogata nel 1966 in seguito al Concilio Vaticano II, sostituita
dalla Congregazione per la Dottrina della Fede che svolge un'attività culturale non intesa alla repressione.
ARISTOTELISMO
Il fatto culturalmente più rilevante in campo letterario fu la riscoperta della filosofia aristotelica, specie
dopo la pubblicazione del primo libro della Poetica nel 1536 e nel solco di quella "canonizzazione" delle
regole compositive che era già stata avviata durante il Rinascimento: l'aristotelismo improntò tutta la vita
culturale del XVI-XVII sec. e tra i centri più attivi in questo senso ci fu soprattutto Padova con la sua
Università, dove peraltro studiò e si formò Torquato Tasso e dove operarono alcuni importanti filosofi, tra
cui spicca Pietro Pomponazzi.

Nel periodo della Controriforma le dottrine aristoteliche divennero la base per affermare la validità del
sistema cosmografico geocentrico contro le nuove teorie di Copernico (e, poco dopo, di Galileo) e il filosofo
greco venne a lungo considerato il maggior pensatore di tutta l'antichità, sulla scorta di quanto già
affermato nel corso del Medioevo (un'eco di questo atteggiamento culturale si ha anche nei Promessi sposi
di Alessandro Manzoni, dove il dotto don Ferrante è appunto un aristotelico ortodosso). Sul piano
strettamente letterario i principali intellettuali che si ispirarono ad Aristotele furono Giambattista Giraldi
Cinzio, Sperone Speroni, Lodovico Castelvetro, tutti impegnati a fissare le "regole" dei generi letterari in
modo ancor più rigoroso di quanto già avveniva nel Rinascimento: in particolare vennero teorizzate le
cosiddette tre "unità aristoteliche" di luogo, tempo, azione che dovevano caratterizzare la tragedia e cui
si attennero i principali tragediografi sino a tutto il Settecento, mentre il primo autore a metterle in
discussione fu Manzoni nel Conte di Carmagnola e poi nell'Adelchi.

Castelvetro commentò la Poetica e si occupò anche di questioni linguistiche, tra l'altro originando una dura
polemica con Annibal Caro che ebbe vasta risonanza nel Cinquecento, ed è proprio nel clima di queste
discussioni teoriche che nacque il progetto della Gerusalemme Liberata da parte di Tasso, che procedette
tra dubbi e ripensamenti (e polemiche letterarie) che ne influenzarono non poco la composizione e poi la
travagliata storia editoriale.

IL DISSIDIO/ IL TURBAMENTO DI TASSO


La vita e l'opera di Tasso sono state indubbiamente segnate dall'esperienza lacerante della follia, tuttavia
sarebbe un errore pensare che questo suo travaglio fosse unicamente frutto della sua vicenda personale,
senza collegamenti con l'epoca in cui visse: il clima culturale della Controriforma, con il suo oscurantismo e
la paura per tutto ciò che appariva "diverso", certamente influirono sulla sua visione del mondo e il suo
stesso capolavoro ne fu un riflesso con la scelta di ambientare il poema durante la prima crociata, proprio
in anni in cui l'avanzata dei Turchi nel Mediterraneo appariva minacciosa
(e in Europa si preparavano "crociate" per estirpare l'eresia della Riforma, in un'atmosfera che preludeva
alle guerre di religione del secolo successivo).

Da qui i dubbi e le remore religiose che rallentarono molto la composizione della Liberata, mai pienamente
accettata dall'autore per la presenza (poi giudicata eccessiva) di elementi fiabeschi e amorosi, cui seguì il
rifacimento della Conquistata e la realizzazione di rime di ispirazione devota, specie negli ultimi anni
segnati dalla malattia e dall'isolamento dopo la prigionia a Sant'Anna. Propria di Tasso fu anche
l'insofferenza per l'ambiente di corte che nel tardo Cinquecento era oppressivo e imponeva per motivi
religiosi una rigida concezione del decoro e dell'onore, cui Tasso mal si adattava e che lo rendeva "strano" e
deviante dalla norma per le sue eccentricità (e sappiamo quanto la cultura della Controriforma cercò di
"ghettizzare" e isolare coloro che, per motivi vari, apparivano non allineati all'ordine costituito). Grande
parte ha nella sua poesia il vagheggiamento di una dimensione mitica in cui le regole dell'onore non sono
presenti e in cui sia possibile l'abbandono voluttuoso al piacere sensuale, quale il mondo dei pastori
nell'Aminta dove è l'Amore e non l'Onore a dettare legge: è evidente comunque che questa dimensione
arcadica è solo un'illusione e che la corte è una "prigione" dalla quale il nobile non può realmente evadere
per ragioni sociali, come l'episodio di Erminia della Liberata dimostra pienamente (la principessa dimora tra
i pastori per un po', indossa panni umili, ma poi è costretta a tornare alla corte cui appartiene per il suo
sangue regale. Del resto il sogno bucolico può essere solo una breve sospensione dalla realtà della vita
aristocratica e significativamente le lusinghe amorose sono respinte e sconfitte da Rinaldo nell'episodio
della selva di Saron, quando il campione crociato torna al dovere militare e religioso e dà il suo contributo
decisivo per la sconfitta delle forze pagane.

Questo vale in fondo per lo stesso Tasso, che per tutta la vita si dibatté nelle ristrettezze della corte senza
mai abbandonare quella dimensione e, anzi, venendo considerato per molto tempo uno squisito
gentiluomo esperto di questioni cavalleresche e dell'arte dei duelli, conoscenze di cui si ha un riflesso in più
parti della sua opera e che lo resero anche nel secolo successivo una "autorità" nel campo dell'onore (sul
punto, essenziale per comprendere la ricezione di Tasso negli anni seguenti, si veda oltre). Con la sua
inquietudine e le sue lacerazioni interiori Tasso esprime dunque la reazione dell'intellettuale del XVI sec.
di fronte al mutato clima culturale in Italia e alla trasformazione dell'ambiente di corte, mentre il suo stile
spezzato, nervoso, tendente al sublime e alla metafora ricercata e preziosa anticipa tanti aspetti della lirica
barocca che di lì a pochi anni si sarebbe sviluppata, anch'essa prodotto della corte ma senza quel carico di
sofferenza personale che il poeta sorrentino trasfuse nei suoi versi (e, anzi, con una leggerezza e un'euforia
che si opporrà in modo quasi antitetico alla gravità del "secolo oscuro" precedente).

LE RIME
Tasso si dedicò alla produzione lirica per tutta la vita e compose circa duemila poesie, senza tuttavia
raccoglierle mai in un canzoniere organico e pubblicandone alcune scelte tra il 1567 e il 1593, lasciandone
molte inedite. Parte dal modello petrarchesco e la lirica dei petrarchisti del XVI sec., che tuttavia Tasso
rinnova profondamente nel linguaggio e nelle forme metriche, per es. dando grande spazio al madrigale
(che tanta fortuna avrebbe avuto nella poesia barocca) accanto ai consueti sonetti, canzoni e ballate. I temi
sono quello amoroso, specie nelle poesie giovanili dedicate a Lucrezia Bendidio e Laura Peperara e ad altre
nobildonne del tempo, e quello encomiastico, con tante liriche che celebrano occasioni legate alla vita di
corte e raffigurano balli e ritrovi mondani, le varie attività di una società raffinata ed elegante. Meno
interessanti le liriche di argomento religioso, pure presenti e che anticipano le composizioni devote
risalenti agli ultimi anni di vita del poeta, come i poemetti Le lacrime di Maria Vergine e Il mondo creato (sul
punto si veda oltre). Tra le poesie più famose si possono ricordare il madrigale Qual rugiada o qual pianto,
che è un bell'esempio di quella intensa sensualità che pervade i momenti più felici delle rime di Tasso e il
sonetto dedicato al nuovo amore per la Peperara, dopo la fine della passione per la Bendidio. Molto nota e
celebrata anche la canzone incompiuta Al Metauro, dedicata al duca Francesco Maria II della Rovere,
testo che rievoca in modo dolente gli anni dell'infanzia e rappresenta un momento di amara riflessione
sul significato della vita umana.

L’AMINTA
Tasso scrisse l'Aminta in pochi giorni, nella primavera del 1573 durante il periodo di maggior serenità e
fervore letterario (aveva ormai quasi completato il poema): si trattava, secondo la definizione dell'autore, di
una "favola boscareccia", ovvero un testo destinato alla rappresentazione teatrale avente come
protagonisti ninfe e pastori e ambientato in un luogo imprecisato vicino a una "cittade", che potrebbe
alludere a Ferrara (il genere sarebbe poi stato denominato "dramma pastorale" e avrebbe avuto grande
successo nel tardo XVI sec.). L'opera, concepita come una "tragicommedia" in quanto ha argomento
amoroso e lieto fine, è suddivisa in cinque atti secondo lo schema aristotelico, preceduti da un prologo e
ciascuno chiuso da un coro, una sorta di lirica in cui viene commentata l'azione.

Il testo è scritto in versi e alterna endecasillabi e settenari liberamente rimati.

L'Aminta venne rappresentato alla corte estense di Ferrara nell'estate del 1573 e raccolse grandi consensi,
venendo in seguito stampato a Cremona nel 1580. L'autore si rifà alla tradizione del XV-XVI sec. di
rappresentare egloghe pastorali a corte, come nel caso del Tirsi di G.B. Giraldi Cinzio, anche se Tasso è il
primo a fissare il "canone" di un genere che, almeno in parte, si rifaceva alle regole aristoteliche (anche se
non mancarono polemiche, dato che il dramma pastorale non aveva in realtà riferimenti nella Poetica); in
seguito Battista Guarini scrisse il Pastor fido che divenne il capolavoro del genere.

TRAMA
Il pastore Aminta ama la giovane ninfa Silvia, che però non vuole cedere alle lusinghe amorose e viene
invano spinta dalla matura compagna Dafne a non negare a se stessa le gioie del piacere.

Dal canto suo Aminta è inesperto e non riesce a dichiararsi a Silvia, per cui riceve i consigli del saggio
pastore Tirsi.

Aminta decide allora di andare a incontrare l'amata nel fiume dove è solita fare il bagno, ma qui la trova
legata a un albero e prigioniera di un satiro, che sta per usarle violenza.

Aminta mette in fuga il satiro e libera Silvia, che tuttavia fugge senza neppure ringraziarlo. In seguito la
ninfa Nerina rivela che Silvia è stata attaccata da un branco di lupi ed è stato ritrovato il suo velo
insanguinato, per cui si crede che la giovane sia morta: Aminta, disperato, medita il suicidio.

In realtà Silvia è viva e giunge lei stessa a dare la notizia alle compagne, ma poco dopo un pastore riferisce
di aver visto Aminta gettarsi da una rupe. Silvia, disperata per la presunta morte di Aminta e pentita di
avergli negato il suo amore, va in cerca del suo corpo ma, con grande sorpresa, scopre che il giovane è
sopravvissuto grazie a un cespuglio di rovi che ha attutito la caduta. A questo punto la ninfa si concede
all'amore del pastore e la rappresentazione si chiude con il classico lieto fine.

MONDO PASTORALE E CORTE NELL’AMINTA


Nell'Aminta Tasso delinea un quadro fortemente idillico in cui il mondo pastorale è contrapposto per certi
versi a quello della corte, ambiente che nel tardo XVI sec. diventava sempre più oppressivo e regolato da
un rigido cerimoniale basato sulle regole del decoro e dell'onore: al contrario, ninfe e pastori vivono felici e
liberi di abbandonarsi al piacere sensuale dell'amore e tale contrasto è chiaramente enunciato nel coro
che chiude l'atto I, in cui è vagheggiata una "età dell'oro" in cui era l'Amore e non l'Onore a determinare i
rapporti sociali.

Nell'opera Tasso esprime dunque una forte tensione verso il piacere e le gioie amorose, affermando però
al contempo che nel mondo della corte non è possibile un abbandono sfrenato alle gioie della vita e
relegando queste ultime a una dimensione mitica, poetica, inattuabile nella concreta realtà storica del suo
tempo. Una visione simile verrà riproposta anche nella Gerusalemme liberata, specie nell'episodio di
Erminia che viene accolta tra i pastori e indossa panni umili per dimenticare l'infelice amore per Tancredi,
ma questa sorta di mascherata bucolica non coprirà la "nobil luce" che emana dal suo sangue regale e, in
seguito, la giovane dovrà tornare al mondo cui appartiene. Tuttavia nell'Aminta non vi è una polemica
diretta contro l'ambiente di corte (presente invece nel poema, anche se molto sfumata), poiché anzi il
testo viene concepito anche come intrattenimento per un pubblico nobile e le vicende dei pastori, benché
apparentemente lontane dalla dimensione aristocratica, rispecchiano in parte i costumi eleganti e raffinati
della società di corte e alcuni personaggi del dramma sembrano persino adombrare figure storiche reali (ad
es. Silvia e Dafne sarebbero in realtà Eleonora e Lucrezia d'Este, identificazione che tuttavia non è affatto
certa). L'Aminta esprime in ultima analisi il disagio dell'autore verso l'ambiente sociale della corte pur
nella consapevolezza che per il gentiluomo non sia possibile evadere da esso se non in modo giocoso,
senza tuttavia che traspaia quell'inquietudine interiore che pervaderà invece tanti episodi del poema e
senza l'elemento religioso che nel dramma è praticamente assente.
ELEMENTI TRAGICI E IDILLIACI
L'Aminta racconta una vicenda amorosa a lieto fine e numerosi sono gli elementi che rimandano all'idillio
pastorale e alla commedia, tuttavia l'opera contiene anche elementi tragici rivelatori di una certa
inquietudine dell'autore, che si sarebbe manifestata in modo più dirompente in seguito:
anzitutto l'amore di Aminta e Silvia finisce bene, sì, ma grazie al caso che consente alla giovane di salvarsi
dall'attacco dei lupi e al pastore di non uccidersi gettandosi dalla rupe, per cui il finale luttuoso è sventato
solo all'ultimo (e dopo che il pubblico li ha creduti entrambi morti almeno per una parte dell'opera).
L'elemento del velo insanguinato di Silvia, che fa credere a tutti che la ninfa sia stata sbranata dai lupi,
rimanda tra l'altro all'episodio di Piramo e Tisbe narrato da Ovidio, in cui la ragazza sfugge a una leonessa
che insanguina con le fauci il suo velo, inducendo poi l'innamorato a uccidersi (in quel caso il finale era
funesto per entrambi). Particolarmente inquietante è poi l'episodio del tentato stupro del satiro ai danni di
Silvia, sventato solo in extremis da Aminta: il satiro giustifica il suo progetto criminoso attraverso un
monologo in cui ribalta quanto detto nel coro dell'atto I, affermando cioè che a lui, povero e deforme, non
è consentito godere delle gioie dell'amore, per cui è quasi costretto a usare le armi della violenza per
piegare Silvia ai suoi voleri, quindi offrendo una giustificazione sociale ed economica della sua condotta. Il
satiro è escluso dal sistema di valori che considera l'amore qualcosa di nobile ed elevato e perciò vuole
ribellarsi ad esso con la forza, nel che si vede forse un'implicita critica al mondo della corte basato sul
concetto di "gentilezza" ma negato a chi, essendo povero, non vi può appartenere ed è tenuto ai margini di
quella società raffinata ed esclusiva (secondo il satiro "sol vince l'oro e regna l'oro", che è la rilettura critica
dell'esaltazione dell'età dell'oro contenuta nel coro a chiusura dell'atto I). L'amore non ha quindi una
lettura univoca nell'opera ed è presentato anche nei suoi risvolti tragici e violenti, segno che il testo è
qualcosa di più profondo di un intrattenimento elegante per nobili e affronta in modo allusivo alcuni nodi
irrisolti della società del XVI sec.

DIALOGHI
Tasso scrisse 26 Dialoghi in prosa dal 1578-79 sino alla morte, molti dei quali composti durante la
reclusione a Sant'Anna, dedicati a vari argomenti di natura morale, intellettuale e relativi alla vita di corte:
tra i titoli più significativi ricordiamo il Forno overo de la nobiltà, scritto già alla fine degli anni Settanta del
XVI sec. e successivamente rielaborato, il Malpiglio overo de la corte, la Cavaletta overo de la poesia
toscana, il Molza overo de l’amore, il Messaggiero (sull'ufficio dell'ambasciatore) e il Padre di famiglia (sui
compiti del padrone di casa e i suoi rapporti con i famigliari e i servi. Rispetto al modello del dialogo
rinascimentale l'autore riduce fortemente l'elemento narrativo e "scenografico" ampiamente presente
nelle opere di Bembo e Castiglione (e ancora nel Dialogo sopra i due massimi sistemi di Galileo), a tutto
vantaggio del ragionamento filosofico e dell'argomentazione a favore delle proprie tesi, con riferimenti
anche alle opere platoniche (specie nel Messaggiero, che contiene un'importante digressione sulla
demonologia). La finalità di molti dialoghi e soprattutto di quelli scritti a Sant'Anna, era quella di
dimostrare la propria lucidità mentale e vi prevale un bisogno di comunicare le proprie idee, di fasi capire,
tanto più urgente quanto più si prolungava l'isolamento forzato a causa della reclusione in ospedale. L'altra
linea di interpretazione riguarda la volontà da parte dell'autore di delineare le qualità del perfetto
intellettuale e dell'uomo di corte nella società del tardo Cinquecento, inserendo i Dialoghi in un ambizioso
progetto di rielaborazione della cultura post-rinascimentale che è riuscito solo negli scritti più felici e che
risente, in ogni caso, tanto delle vicissitudini personali dello scrittore quanto del clima culturale oscurantista
proprio della Controriforma. Lo stile utilizzato è comunque lucido, molto curato formalmente e vicino ai
modelli classici (Platone, Cicerone soprattutto) cui Tasso intendeva rifarsi, fissando almeno in parte un
"canone" della prosa filosofica che avrebbe influenzato i successivi sviluppi del genere nel XVII-XVIII sec. Da
ricordare ancora che alcuni dialoghi vennero concepiti come omaggio celebrativo a illustri amici
dell'autore per sollecitare la sua liberazione dalla prigionia, mentre soprattutto la seconda elaborazione del
Forno, risalente agli anni della reclusione, ebbe grandissima influenza nel Seicento nel presentare Tasso
come "autorità" nel campo delle questioni cavalleresche, citato come tale anche da Alessandro Manzoni nei
Promessi sposi (sul punto si veda oltre).
L’EPISTOLARIO

Tasso ci ha lasciato circa 1.700 lettere, scritte durante l'arco di tutta la vita e indirizzate ai destinatari più
vari, soprattutto a suoi amici letterati e intellettuali cui sottoponeva questioni relative al poema o ad altre
parti della sua opera, e a illustri protettori cui si rivolgeva per chiedere aiuto o intercessione: le missive non
sono organizzate in un epistolario sul modello petrarchesco e offrono un quadro interessante della
personalità contraddittoria e inquieta di Tasso, nonché delle tappe fondamentali della sua opera e della
genesi del poema. Particolarmente inquietanti quelle scritte da Sant'Anna durante la reclusione, circa 500
lettere in cui il poeta si rivolge ad amici e potenti supplicando un aiuto per lasciare la prigionia, cercando di
dimostrare il suo stato di lucidità (ma sull'effettivo disagio psicologico dello scrittore abbiamo
testimonianze indubbie, inclusa quella famosa di Michel de Montaigne che lo incontrò proprio a
Sant'Anna). Tra i destinatari troviamo anzitutto Scipione Gonzaga, il cardinale amico di Tasso che era tra i
principali dotti e intellettuali del Cinquecento e uno dei "revisori" del poema, cui lo scrittore indirizzò molte
epistole anche dalla prigionia, e poi Sperone Speroni, altro esponente insigne dell'aristotelismo del
Cinquecento, il duca di Urbino Francesco Maria della Rovere, il duca di Ferrara Alfonso II, il cardinale Luigi
d'Este e moltissimi altri. Il corpus delle lettere di Tasso rimase in gran parte inedito sino al XIX sec., quando
ci fu la fondamentale edizione di Cesare Guasti che costituì un punto di riferimento per i lavori successivi
(alcune lettere sono venute alla luce in anni relativamente recenti). Particolarmente interessante la lettera
del 1579 scritta a Sant'Anna e indirizzata a Scipione Gonzaga, in cui il poeta con toni drammatici e
supplichevoli cerca di convincere il suo interlocutore a intercedere a suo favore per una liberazione,
sottolineando le terribili condizioni di abbrutimento in cui si trova costretto nella sua prigionia.

GLI SCRITTI TEORICI


Tasso sentì sempre il bisogno di accompagnare la sua produzione poetica con una approfondita riflessione
teorica, allineandosi al clima culturale del tardo XVI sec. che vedeva accese discussioni tra i seguaci
dell'aristotelismo circa le "regole" dei generi letterari, e già nel 1562 scrisse una Prefazione al poema
cavalleresco Rinaldo in cui tentava di conciliare i precetti aristotelici con la materia dell'opera, ancora vicina
al modello ariostesco. Tra 1567-1570 compose poi i Discorsi dell'arte poetica, divisi in 3 libri, in cui
affermava come i precetti della Poetica di Aristotele andassero estesi e applicati a tutti i generi letterari,
inclusa l'epica che invece, secondo alcuni critici, era da considerarsi un caso a sé: erano gli anni in cui
maturava il progetto della Liberata e Tasso teorizzava il poema come genere "eroico" a imitazione di Iliade
ed Eneide, con un soggetto tratto dalla storia sacra e un mescolamento di vero storico e "meraviglioso" (le
favole dell'invenzione poetica) che non inficiasse il risultato finale, che poi era la linea seguita proprio nella
composizione del primo poema. I Discorsi vennero pubblicati nel 1587 quando il poeta era rinchiuso a
Sant'Anna, senza che lui desse il suo consenso all'edizione, e dopo che la Liberata era già stata stampata in
modo ugualmente incontrollato scatenando aspre polemiche e critiche da parte di vari letterati: tra questi
soprattutto Leonardo Salviati, il fondatore dell'Accademia della Crusca che preferiva al poema di Tasso il
Furioso di Ariosto, soprattutto per ragioni di lingua e di stile. Anche per ribattere a queste accuse, Tasso
aveva scritto a Sant'Anna una Apologia in difesa della Gerusalemme liberata (1585) in cui confutava le tesi
di Salviati punto per punto e difendeva con passione il suo lavoro, col paradosso che l'opera era stata
pubblicata senza il suo consenso, mentre lui già progettava un suo rifacimento che anni dopo si sarebbe
concretizzato nella Gerusalemme conquistata. A pochi anni dalla morte, infine, dopo la pubblicazione della
Conquistata nel 1593, Tasso pubblicò un ampliamento dei Discorsi dell'arte poetica col titolo di Discorsi
del poema eroico (in tutto 6, stampati nel 1594), in cui ribadiva le scelte che avevano guidato la
composizione della Liberata e poi della Conquistata, ovvero soprattutto la necessità di mescolare vero e
invenzione per suscitare l'interesse del pubblico, anche se la "riforma" del poema aveva dato un esito
artisticamente non elevato e il pubblico continuava a preferire la prima versione del poema, mentre le
polemiche sulla superiorità sua o di Ariosto sarebbero continuate ancora per tutto il secolo seguente.

LA POESIA SACRA DEGLI ULTIMI ANNI


Dopo la liberazione da Sant'Anna Tasso si dedicò prevalentemente al rifacimento della Conquistata, anche
se presero vita alcuni progetti legati a una poesia di ispirazione religiosa che rivelano una certa
inquietudine interiore da parte dell'autore, che trova un riflesso anche nei lunghi soggiorni a Roma che
fece soprattutto negli ultimi anni della sua vita: nel 1590 iniziò la composizione del Mondo creato, un
poemetto in endecasillabi sciolti sul racconto della Genesi che voleva essere un inno commosso alla
grandezza divina e alla meraviglia dell'universo, conciliando fonti di ispirazione molto diverse (i padri della
Chiesa, sant'Agostino, ma anche Aristotele e la sua analisi della natura). Altrettanto interessanti Le lagrime
della Beata Vergine e di Gesù Cristo, due poemetti rispettivamente di 25 e 20 ottave stampati a Roma nel
1593 e vagamente ispirati a un genere (quello della celebrazione della passione di Cristo e della pietà di
Maria) molto diffuso in Italia nel secondo Cinquecento e che aveva visto un esempio nelle Lagrime di San
Pietro del poeta Luigi Tansillo. Tasso vi esprime soprattutto un lamento angoscioso per la terribile
precarietà della condizione umana, la paura e l'ansia del peccato, un senso di debolezza di fronte alla
maestà del divino, riflesso certamente della sua travagliata storia personale e, anche, del peggiorare
delle condizioni di salute nei suoi ultimi anni. Da ricordare che nello stesso periodo compose anche molte
liriche di argomento sacro, che andarono ad ampliare la raccolta delle sue Rime accanto a quelle giovanili
amorose e a quelle encomiastiche, da cui emerge la stessa visione sconsolata della condizione dell'uomo e
il desiderio di espiare le proprie colpe nell'imminenza del giudizio divino dopo la morte.

LA TRAGEDIA “RE TORRISMONDO”


Tasso iniziò a lavorare alla composizione di una tragedia già nei primi anni settanta del XVI sec., dando al
progetto il titolo provvisorio di Galealto re di Norvegia e volendo prendere una certa libertà di invenzione
rispetto alle rigide regole aristoteliche, grazie all'ambientazione nordica non consueta nelle tragedie
classiche. L'abbozzo rimase incompiuto e l'autore lo riprese in mano negli ultimi anni a Sant'Anna,
rielaborando l'opera col titolo di Re Torrismondo e completandola nel 1586, stampandola poi l'anno
seguente a Mantova con dedica a Vincenzo Gonzaga, il gentiluomo cui era stato affidato dopo la sua
liberazione.
La tragedia, pur originale come trama e ambientazione, è ispirata ai modelli classici di Sofocle ed Euripide
e racconta la storia di due amici, Torrismondo e Germondo, entrambi innamorati della stessa donna,
Alvida; Torrismondo tradisce il patto con l'amico e si unisce alla donna, scoprendo però in seguito di essere
suo fratello e di aver compiuto con lei un incesto (il tema è tipicamente sofocleo, con ovvio rimando
all'Edipo re). La tragedia si conclude col doppio suicidio di Torrismondo e Alvida, esprimendo un certo
pessimismo circa la vanità della vita umana che si riflette anche nel celebre Coro dell'ultimo atto, in cui vi è
un pianto disperato sul fatto che nulla si può sperare dall'amore o dall'amicizia. La tragedia è interessante
in quanto fa emergere lo stato d'animo cupo, prostrato del Tasso degli ultimi anni, ma anche per un certo
gusto verso l'orrido e il modello di Seneca che era diffuso nella tragedia italiana dell'ultimo scorcio del
secolo, nel quale rientra anche la stessa ambientazione nel nord Europa, in luoghi cioè cupi e foschi in cui
vi è una natura selvaggia e ostile all'uomo.

LA GERUSALEMME LIBERATA
 La Gerusalemme liberata è un poema epico-eroico in ottave, scritto da Torquato Tasso (► AUTORE)
nel periodo anteriore al 1575 e riguardante la presa del Santo Sepolcro ad opera dei cristiani
durante la prima Crociata del 1096-1099.
 L'opera, che inizialmente prevedeva il titolo Goffredo, è frutto di un lungo lavoro di revisione da
parte dell'autore e venne pubblicata in varie edizioni non autorizzate, nel corso della sua prigionia
all'ospedale di Sant'Anna (il titolo con cui è noto il poema non è probabilmente d'autore).
 La vicenda racconta l'ultimo anno di permanenza dei crociati in Terrasanta e l'assedio finale alla
città di Gerusalemme, che si conclude con la conquista del Sepolcro ad opera di Goffredo di
Buglione, designato quale capitano delle forze cristiane; il genere letterario è affine a quello del
poema epico-cavalleresco dei secc. XV-XVI, pur con alcune novità che rendono l'opera alquanto
diversa dai precedenti rinascimentali (soprattutto dal Furioso di L. Ariosto). L'opera circolava negli
ambienti della corte estense di Ferrara prima della sua pubblicazione e riscosse notevole successo,
ma subì alcune pesanti critiche per gli elementi di novità e per lo spazio agli idilli amorosi contenuti
nella trama, che spinsero l'autore a sottoporre il lavoro all'esame dell'Inquisizione.
 In seguito alla sua liberazione da Sant'Anna il Tasso non riconobbe il poema quale era stato
pubblicato e iniziò a riscriverlo da capo, stampandolo nel 1593 (due anni prima della morte) col
titolo di Gerusalemme conquistata e realizzando un'opera profondamente diversa dal capolavoro,
dalla trama rimaneggiata e con notevoli modifiche. La Conquistata riscosse minori consensi rispetto
alla Liberata ed è questo il motivo per cui oggi il primo poema viene considerato l'assoluto
capolavoro di Tasso e della poesia dell'età della Controriforma.

TITOLO STRUTTURA E STORIA EDIT.


Il poema ebbe una lunga gestazione e un primo abbozzo risale al 1559, col titolo ancora provvisorio di
Gierusalemme e caratteri propri di un'opera giovanile, ben presto abbandonato dall'autore. Tasso tornò a
lavorare al progetto di un poema epico dedicato alla prima Crociata dopo il 1565, quando lavorava
stabilmente alla corte estense di Ferrara, e negli anni successivi l'opera prese la forma attuale che
comprende venti canti in ottave (il poema era sostanzialmente completato nel 1575 e circolava
nell'ambiente della corte, riscuotendo un certo consenso). Il titolo di questa fase compositiva era
probabilmente Goffredo, dal nome del protagonista Goffredo di Buglione capitano della Crociata, ma il
poema non venne pubblicato dall'autore che si riteneva ancora insoddisfatto e che per questo lo sottopose
al vaglio critico di alcuni suoi amici letterati, tra cui Sperone Speroni e Scipione Gonzaga, chiedendo loro un
giudizio circa l'aderenza ai precetti aristotelici e la mescolanza tra vero storico ed elementi fantastici. Tasso
era anche preoccupato da scrupoli religiosi e ciò lo indusse a sottoporre il poema all'esame dell'Inquisizione
di Ferrara, che tuttavia lo assolse pienamente (senza placare la sua inquietudine interiore, destinata a
manifestarsi come disagio psichico in quegli anni). Mentre Tasso era recluso a Sant'Anna il poema venne
stampato da alcuni intellettuali suoi amici senza la sua autorizzazione e senza che lui potesse controllare in
alcun modo l'edizione; alcune stampe erano solo parziali, mentre nel marzo 1581 Angelo Ingegneri pubblicò
l'intero poema in venti canti col titolo Gerusalemme liberata, comune alle altre edizioni e non approvato
dall'autore (che probabilmente intendeva intitolare l'opera Goffredo). Sempre nel 1581 il gentiluomo
ferrarese Febo Bonnà realizzò due successive edizioni del poema, considerate dalla critica testuale moderna
le più accurate per l'edizione dell'opera, mentre nel 1584 Francesco Osanna produsse una nuova edizione
basata su manoscritti autorevoli e sorvegliata, a quanto pare, da Scipione Gonzaga e perciò con un elevato
grado di attendibilità.

Va detto che nessuna di queste edizioni ebbe il consenso del poeta, che già progettava un rifacimento del
poema col titolo di Gerusalemme conquistata, per cui le moderne edizioni della Liberata si basano su
stampe non autorizzate e non corrispondenti in ultima analisi alla volontà dell'autore, cosa che ha creato
qualche dubbio tra i critici odierni sull'opportunità di leggere il poema in quella fase della sua realizzazione.
A onor del vero il successo della Liberata fu grandissimo già nel Cinquecento, nonostante le polemiche che
in seguito suscitò tra gli intellettuali, e il primo poema continua ad essere preferito alla Conquistata che a
detta dei principali studiosi è meno felice quanto agli esiti artistici e riscosse minor gradimento anche da
parte del pubblico del XVI sec.

TRAMA
La Gerusalemme liberata racconta le vicende dell'ultimo anno della prima Crociata del 1096-1099, che
portò all'assedio e alla conquista del Santo Sepolcro, anche se Tasso modificò in parte la realtà storica
immaginando che i Crociati fossero presenti in Terrasanta da sei anni: all'inizio del poema l'arcangelo
Gabriele si manifesta a Goffredo di Buglione comunicandogli la decisione divina di assegnare a lui il
comando delle operazioni militari, cosa che il guerriero accetta diventando il "capitano" dell'impresa che
alla fine risulterà vittoriosa. Le forze infernali tentano, senza successo, di ostacolare l'assedio spargendo
discordie nel campo cristiano e distogliendo i Crociati dal loro dovere con lusinghe di vario tipo
(specialmente amorose), anche se alla fine Goffredo saprà riportare i suoi "compagni erranti" sulla retta via
e assicurare il buon esito della guerra con la vittoria finale (tutti questi elementi sono già presenti
nell'ottava proemiale, che anticipa la conclusione dell'opera e i ruoli giocati dai personaggi del poema; ►
TESTO: Il proemio della Gerusalemme Liberata).

 Rispetto al modello del poema cavalleresco la trama è più lineare e concentrata sul motivo
centrale della guerra santa, senza la presenza di episodi secondari estranei al filone narrativo
principale (l'unica eccezione è rappresentata dalla vicenda di Olindo e Sofronia, narrata nel canto II;
► TESTO: Olindo e Sofronia),
 semplicità che si rispecchia anche nel minor numero di personaggi e nella relativa brevità
dell'opera rispetto, ad esempio, all'Orlando furioso.
 Grande attenzione è dedicata dall'autore alla ricostruzione degli scontri militari e delle fasi del
combattimento, specie con la descrizione minuziosa dei duelli (Tasso era un grande esperto di
cavalleria e delle tecniche della scherma) e delle macchine d'assedio, di cui l'autore dimostra una
conoscenza alquanto documentata.

 Ecco un breve schema riassuntivo con gli eventi salienti della narrazione, per ognuno dei venti canti
del poema.

La trama del poema riproduce in parte lo schema della tragedia classica, secondo il modello aristotelico
tratto dalla Poetica, e i venti canti possono essere raggruppati in cinque parti corrispondenti agli atti di una
tragedia greca. Le vicende presentano infatti un centro drammatico, rappresentato dall'assedio alla città di
Gerusalemme, rispetto al quale si dipanano alcuni filoni narrativi che fanno deviare gli sforzi degli assedianti
dal loro dovere, finché l'intervento divino fa nuovamente convergere gli sforzi nell'assalto finale
determinando la caduta della città e la vittoria dei Crociati; la tecnica usata è dunque quella della peripezia,
tipica della tragedia classica. Ovviamente i modelli seguiti da Tasso sono quelli dell'epica classica e in
particolare Iliade ed Eneide, quest'ultima imitata soprattutto nel porre al centro del poema un eroe
protagonista (anche se Goffredo ha un ruolo marginale rispetto agli altri personaggi, per cui si veda oltre).

PERSONAGGI
Il numero dei personaggi principali è decisamente inferiore rispetto al modello del poema cavalleresco di
Ariosto, in accordo con la nuova concezione del poema eroico abbracciata da Tasso (sul punto si veda
oltre): essi si dividono nettamente in due gruppi, cristiani e pagani, e ciò corrisponde anche alla loro
caratterizzazione, dal momento che i Crociati appaiono come personaggi inquieti, lacerati, distratti dalle
passioni terrene (escluso naturalmente Goffredo, che ha il compito di richiamarli all'ordine), mentre i
difensori di Gerusalemme sono in genere votati al loro dovere e incrollabili nella fede, con l'eccezione di
Clorinda che si converte in punto di morte e di Erminia, innamorata senza speranza di Tancredi e
malinconica. Ecco in sintesi una presentazione per ciascuno dei personaggi principali del poema

GOFFREDO
 È il capitano della Crociata, eletto come tale dai cavalieri cristiani all'inizio del poema dopo che
l'arcangelo Gabriele lo ha designato in base al volere divino: corrisponde al personaggio storico di
Goffredo di Buglione (1060 ca. - 1100), che realmente assunse il comando della prima Crociata
dopo la presa di Antiochia quando i cristiani proseguirono per Gerusalemme decisi a conquistarla.
Nel poema è presentato come un perfetto guerriero, saggio, equilibrato nelle sue decisioni, fedele
esecutore del volere di Dio e incrollabile nella sua fede, in pratica il solo fra i Crociati a non essere
distolto dal proprio dovere; il suo personaggio è modellato su quello di Enea, sempre pronto a
piegarsi al volere del fato rinunciando anche alla propria felicità, e in lui si riconosce il modello
culturale e religioso della Controriforma (famoso il giudizio su di lui di Leopardi, che nello Zibaldone
lo definì "privo d'ogni passione, e tutto ragione").
 Il parallelo con Enea risalta in più circostanze e soprattutto nell'episodio del canto XI, quando viene
ferito ma è prontamente risanato dall'intervento divino (come Enea nel libro XII dell'Eneide).
Goffredo dovrebbe essere l'eroe protagonista del poema (e infatti il titolo pensato da Tasso doveva
essere proprio Goffredo), tuttavia la sua presenza nelle vicende è in molti casi marginale e la sua
figura risulta assai meno interessante di altri personaggi dell'opera, specie di Rinaldo e Tancredi che
sono i veri protagonisti nel campo cristiano, mentre altrettanto affascinanti sono le figure femminili
nel campo avverso, Clorinda ed Armida.
 In ogni caso Goffredo appare sia nell'ottava proemiale che in quella conclusiva della Liberata e il suo
ruolo di guida militare e morale è chiarito nei primissimi versi del poema, quando si dice che "il gran
sepolcro liberò di Cristo" e che "sotto i santi / segni ridusse i suoi compagni erranti", stabilendo un
opposizione tra lui, fermo nel suo dovere, e gli altri Crociati inclini alle passioni e alle lusinghe del
mondo (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme Liberata).

RINALDO
È il più giovane e il più valoroso dei guerrieri crociati, uno dei personaggi principali del campo cristiano e
anche colui che dà l'apporto decisivo per la conclusione della guerra: frutto dell'invenzione del poeta,
Rinaldo è anche il personaggio legato al tema encomiastico della Liberata, poiché viene rivelato che da lui
avrà origine la discendenza degli Este, in modo analogo a Ruggiero nell'Innamorato e nel Furioso.

 Rinaldo è presentato come un guerriero impavido e immune alle lusinghe amorose che sviano gli
altri Crociati dal loro dovere (infatti non cede al fascino di Armida, quando la maga giunge al
campo), ma è orgoglioso e incline all'ira e ciò causerà il suo allontanamento dall'esercito, poiché
dopo aver ucciso Gernando che lo aveva provocato rifiuta di sottoporsi al giudizio di Goffredo e
lascia il campo con un gesto polemico. In seguito riesce a liberare i guerrieri fatti prigionieri dalla
maga Armida che lo attira in un tranello per vendicarsi, ma poi la donna si innamora di lui e lo lega a
sé con un sortilegio, portandolo in un meraviglioso giardino creato con la magia nelle Isole
Fortunate, nell'Oceano Atlantico . Qui il giovane diventa strumento di piacere di Armida, finché è
richiamato ai suoi doveri militari da Carlo e Ubaldo e rinsavisce, lasciando la donna e tornando a
Gerusalemme (dove, dopo una purificazione spirituale sul monte Oliveto, si riconcilia con Goffredo;
 Decisivo è il suo contributo nel vincere gli incanti della selva di Saron, dove i Crociati devono far
legna per ricostruire la torre d'assedio bruciata da Clorinda e, e poi nell'assalto finale alla città in cui
dà prove eccezionali di valore e uccide Solimano, tra i più strenui difensori di Gerusalemme. Alla
fine del poema ritrova Armida cui non nega il suo affetto, augurandosi che la maga possa
convertirsi al Cristianesimo .
 Il suo personaggio è modellato in parte su quello di Achille, il campione degli Achei nell'Iliade con
cui ha in comune la forza militare e l'orgoglio (anche Achille lasciava la guerra in polemica con
Agamennone e tornava per dare il suo contributo), e su quello di Orlando, il più prode dei paladini
di Carlo Magno che nel Furioso lascia Parigi per mettersi in cerca di Angelica (anche lui perdeva il
senno e lo riacquistava grazie all'intervento di Astolfo, analogo per certi versi a quello di Carlo e
Ubaldo).
 L'episodio delle Isole Fortunate ricorda invece il soggiorno di Odisseo dalla maga Circe nell'Odissea
e quello di Enea a Cartagine con Didone nell'Eneide, con riprese testuali da quest'ultimo specie nel
momento della separazione da Armida. Nella macchina narrativa del poema Rinaldo rappresenta il
personaggio che vince le lusinghe del piacere per votarsi al dovere militare e religioso, attraverso
un percorso di crescita e maturazione che lo porta a superare i suoi limiti e a vincere le sue
debolezze, in modo più marcato rispetto ad altre figure dell'opera.

TANCREDI
Ispirato al personaggio storico di Tancredi d'Altavilla (1072-1112) che realmente prese parte alla prima
Crociata e fu tra gli espugnatori di Antiochia, è uno dei Crociati più valorosi che tuttavia, a differenza di
Goffredo e Rinaldo, si lascia distogliere dai suoi doveri militari a causa dell'infelice amore per la guerriera
pagana Clorinda, che ha incontrato casualmente a una fonte e che non ricambia i suoi sentimenti.

 Tancredi è un personaggio tormentato e malinconico, prigioniero di un amore impossibile che lo


porta a rischiare la vita in più di un'occasione e che causa indirettamente il suo allontanamento dal
campo, quando insegue Erminia che lui crede erroneamente trattarsi di Clorinda (il giovane verrà
poi fatto prigioniero da Armida e sarà liberato grazie all'intervento di Rinaldo).
 In seguito affronterà Clorinda in un drammatico duello notturno senza sapere che si tratta di lei e la
ucciderà, dandole il battesimo dopo che lei, morente, si è convertita alla fede cristiana.
 La morte della donna amata lo getta in uno stato di profondo abbattimento e fallirà la prova degli
incanti della selva di Saron, poiché l'albero che cercherà di abbattere inizierà a sanguinare e a
parlare con la voce di Clorinda, mentre in realtà si tratta di un inganno diabolico (Tancredi ne è
consapevole, eppure non riesce a vincere l'angoscia per aver ucciso la donna amata.
 Nelle fasi finali della guerra affronta Argante in un feroce combattimento e avrà la meglio
uccidendo il suo avversario, ma restando gravemente ferito sul campo; sarà curato dalla
principessa pagana Erminia, che a sua volta è innamorata di lui e si strugge per un amore proibito
come quello tra lui e Clorinda (Tancredi è quindi al centro di un complesso "triangolo" amoroso,
senza tuttavia che lui ne sia consapevole e con un finale aperto. La figura di Tancredi esprime la
debolezza umana di fronte agli allettamenti amorosi e, a differenza di Rinaldo, il guerriero non
riesce a dominare i suoi sentimenti, incarnando una figura tragica e solitaria che vive i momenti più
intensi e lirici del poema (specie nell'episodio del duello con Clorinda).
CLORINDA
È una bellissima guerriera pagana che combatte con i difensori di Gerusalemme, contraddistinta da
un'armatura bianca con un'insegna che rappresenta una tigre: è totalmente votata al dovere militare e del
tutto insensibile ai richiami amorosi, con alcuni tratti che rimandano al personaggio virgiliano di Camilla, la
regina dei Volsci uccisa da un troiano nel libro XI dell'Eneide (in parte ricorda anche Bradamante nel
Furioso, tranne per il fatto che la sorella di Rinaldo poi sposava Ruggiero).

 Clorinda ha in realtà origini cristiane e la cosa le viene rivelata dall'eunuco Arsete solo
nell'imminenza della morte, prima della sortita notturna con Argante in cui incendierà la torre
d'assedio dei cristiani: il servo racconta che la giovane è figlia del Senàpo, re cristiano d'Etiopia, cui
la moglie ha nascosto la nascita perché la bambina è nata con la pelle bianca e la regina temeva
l'accusa di infedeltà. Essa aveva perciò affidato la piccola ad Arsete raccomandandogli di
battezzarla, cosa che l'eunuco non ha fatto crescendola nella propria fede islamica. Da bambina
Clorinda è stata allattata da una tigre (dettaglio che rimanda in parte alla Camilla di Virgilio) e ha
sviluppato eccezionali doti guerresche, finché si è unita alle truppe che difendono Gerusalemme
nella Crociata e si è posta al servizio di re Aladino . Clorinda è amata senza speranza da Tancredi,
che l'ha vista un giorno presso una fonte ed è rimasto folgorato dalla sua bellezza, e lo stesso
guerriero la affronta nel duello notturno che porterà al ferimento mortale della ragazza, che in
punto di morte è illuminata dalla fede e chiede di essere battezzata, morendo quindi in grazia di
Dio.
 Clorinda rappresenta nel poema la guerriera di fede incrollabile che combatte senza il minimo
cedimento, oggetto dell'amore impossibile e lacerante di Tancredi che lei ignora, ma con la sua
conversione dimostra la grandezza divina che può salvare l'anima anche nell'imminenza della morte
e l'episodio del suo battesimo costituisce uno dei momenti religiosi più intensi dell'opera, anche se
ad alcuni lettori è apparso forzato e poco verosimile. La voce di Clorinda verrà poi udita da Tancredi
quando cercherà di abbattere il cipresso nella selva stregata di Saron, ma si tratta in realtà di un
inganno dei demoni in quanto la giovane, morta dopo il battesimo, è salva e la sua anima non può
essere imprigionata nel bosco .
 Clorinda ha dunque un ruolo determinante nel rallentare le operazioni militari dei Crociati, sia
direttamente attraverso la distruzione della torre d'assedio compiuta con Argante, sia
indirettamente con il suo ricordo lacerante che impedisce a Tancredi di fare il proprio dovere e
contribuire alla vittoria finale dei cristiani.

ARMIDA
È un'affascinante maga al servizio dei pagani, che entra in scena nel canto IV allorché suo zio Idraote, re di
Damasco, la invia presso il campo dei cristiani per gettare scompiglio tra le file dei Crociati: la giovane infatti
si presenta in tutta la sua bellezza e suscita subito il desiderio della maggior parte dei cavalieri, con
l'eccezione di Goffredo, Rinaldo e Tancredi per motivi diversi (i primi due sono refrattari alle lusinghe
amorose, il terzo è innamorato di Clorinda).

 Armida si presenta a Goffredo con un falso discorso con cui dichiara di essere stata cacciata dal suo
regno e chiedendo un aiuto militare per riconquistarlo, ottenendo dal capitano solo che si traggano
a sorte i nomi di alcuni guerrieri che potranno seguirla nella sua terra (l'episodio è una evidente
imitazione dell'arrivo di Angelica alla corte di Carlo Magno nell'Innamorato). In realtà molti
cristiani la seguiranno perché innamorati di lei e la maga li farà prigionieri, portandoli in un castello
situato sulle rive del mar Morto, dove attirerà anche Tancredi capitato lì mentre era sulle tracce di
Erminia travestita da Clorinda.
 I Crociati saranno poi liberati da Rinaldo e la maga deciderà di vendicarsi di lui, ma al momento
decisivo sarà folgorata dalla sua bellezza e ne innamorerà, decidendo di irretirlo in un sortilegio
amoroso e portandolo sulle Isole Fortunate, in un palazzo situato in un meraviglioso giardino pieno
di delizie. Qui Rinaldo diventa il suo trastullo amoroso, del tutto dimentico dei suoi doveri militari,
finché giungono Carlo e Ubaldo che lo fanno rinsavire e il giovane abbandonerà Armida, che
deciderà di trasformarsi in guerriera per vendicare l'affronto subìto.
 si unisce infatti all'esercito egiziano che marcia verso Gerusalemme e offre i suoi servigi amorosi a
chi ucciderà l'uomo che l'ha abbandonata, anche se nessuno saprà compiere l'impresa.
 Nelle fasi finali del combattimento Armida tenterà vanamente di colpire Rinaldo con una freccia,
capendo alla fine di essere ancora innamorata di lui: cercherà di suicidarsi, ma Rinaldo glielo
impedirà e la consolerà augurandosi che possa convertirsi alla fede cristiana, cosa che Armida
accetta di fare nella speranza che il giovane possa un giorno ricambiare i suoi sentimenti.
 Armida è uno dei personaggi femminili del poema più complessi e nel corso delle vicende va
incontro a una progressiva trasformazione, che da maga al servizio dei pagani la fa diventare
incantatrice per amore, guerriera e infine "ancella" di Rinaldo, disposta a servirlo e farsi cristiana
pur di restargli accanto. Inizialmente rappresenta le lusinghe amorose che sviano i cristiani dal loro
dovere e poi ha una parte essenziale nel trattenere Rinaldo lontano dalla guerra, benché la
conclusione della sua vicenda sia inconsueta e lasci un finale "aperto" che non condanna del tutto
l'amore come elemento perturbante rispetto ai doveri religiosi.
 Il suo personaggio è ispirato a varie incantatrici della tradizione epica, da Circe alla maga Alcina del
Furioso, ricordando vagamente anche Didone quando trattiene Enea a Cartagine nel libro IV
dell'Eneide, con la differenza che Armida non si uccide dopo l'abbandono e riesce, forse, a tenere
viva la speranza dell'amore del suo adorato Rinaldo. Armida comparirà ancora nella Conquistata,
anche la sua figura perderà molta della sua attrattiva per i molti episodi soppressi o modificati
dall'autore e, ad esempio, le sarà preclusa la conversione finale, vista come esito troppo azzardato
per ragioni di decoro religioso.

ERMINIA
È una delicata principessa pagana, figlia del re di Antiochia e perdutamente innamorata di Tancredi, che
nulla sa dei suoi sentimenti e non li ricambia in quanto a sua volta perso dietro a Clorinda: Tancredi aveva
espugnato la città e la giovane era stata prigioniera nel suo accampamento, venendo trattata con tutti gli
onori e accendendosi di passione per il Crociato che, ovviamente, era all'oscuro di tutto. In seguito Erminia
era stata liberata e aveva poi raggiunto Gerusalemme, dove vive l'angoscia del suo amore impossibile che
non può rivelare a nessuno per ragioni religiose e di opportunità.

Nel canto III mostra a re Aladino dalle mura della città i capi cristiani che lei ha conosciuto, episodio che
imita il libro III dell'Iliade in cui Elena fa lo stesso con re Priamo, e in seguito la giovane assiste impotente al
terribile duello che oppone Argante a Tancredi, sospeso per il sopraggiungere della notte e in cui l'amato ha
riportato gravi ferite. Poiché la giovane conosce le arti mediche decide di uscire dalla città nell'assurdo
tentativo di andare a curarlo e indossa le armi di Clorinda, ma quando giunge al campo crociato viene
scambiata per la guerriera e inseguita dai cristiani, tra cui lo stesso Tancredi che, credendola Clorinda, vuole
proteggerla dai suoi compagni.

In seguito a una fuga precipitosa Erminia giunge presso un villaggio di pastori che vivono miracolosamente
al riparo dalla guerra e ottiene di essere ospitata qui per qualche tempo, nel tentativo vano di dimenticare
le sue pene amorose; la principessa indossa panni umili e attende alle attività pastorali, ma il suo
portamento regale rivela le sue origini nobili, mentre il ricordo di Tancredi non la abbandona e la spinge a
incidere il nome amato sugli alberi, come Angelica e Medoro nel Furioso.

In seguito si unisce all'esercito egiziano in marcia verso Gerusalemme e qui incontra Vafrino, lo scudiero di
Tancredi inviato come spia: insieme a lui troverà l'uomo amato sul campo di battaglia, mezzo morto dopo il
duello vittorioso con Argante, e lo curerà rivelandogli tra le lacrime il suo amore anche se il Crociato,
esanime, non potrà sentirla.

Erminia compare in un numero limitato di episodi del poema, tuttavia è un personaggio interessante per il
suo amore dolente e malinconico per Tancredi, che lascia un finale "aperto" analogo per molti aspetti a
quello del legame tra Armida e Rinaldo; la principessa è protagonista soprattutto del celebre episodio che la
vede tra i pastori, fondamentale per chiarire l'impossibilità di chi è nato e vissuto nell'ambiente di corte di
uscirne in modo definitivo, aspetto che almeno in parte Tasso tratta in modo autobiografico.

ARGANTE E SOLIMANO
Sono due guerrieri saraceni, tra i più strenui difensori di Gerusalemme e avversari spietati dell'esercito
crociato: Argante è un circasso (della Circassia) postosi al servizio del re d'Egitto e suo dignitario, soldato
"ne l'arme infaticabile ed invitto", nonché sprezzante verso ogni religione; all'inizio del poema lui e Alete si
presentano a Goffredo nel campo cristiano offrendo l'alleanza del re egiziano, purché si astenga
dall'assediare Gerusalemme, offerta ambigua che naturalmente il condottiero cristiano rifiuta.

In seguito Argante si unirà alle forze che difendono la città e sfiderà a duello i cristiani, venendo affrontato
da Tancredi nel duello famoso del canto VI poi interrotto dalla notte, in seguito al quale Tancredi se ne
andrà credendo di seguire Clorinda (che in realtà è Erminia con la sua armatura). Il circasso accompagna la
stessa Clorinda nella sortita notturna in cui viene incendiata la torre d'assedio dei Crociati e in cui la donna
trova la morte per mano di Tancredi, che anche per questo accusa Argante di essere causa indiretta della
tragedia; il loro duello infinito troverà compimento nelle fasi finali dell'assalto a Gerusalemme, quando
Tancredi lo ucciderà al termine di un terribile scontro dal quale lui pure uscirà gravemente ferito.

Argante è un guerriero impavido e senza esitazioni, fiero, esattamente l'opposto di Tancredi e di altri
cristiani preda invece delle lusinghe amorose e di dubbi laceranti.

 Personaggio simile è Solimano, re dei Turchi sconfitto dai Crociati e privato del suo dominio,
rifugiatosi anch'egli presso il re d'Egitto che gli ha affidato il compito di radunare i predoni arabi;
come loro capo si unisce alla guerra a Gerusalemme, attaccando all'improvviso il campo cristiano e
venendo poi portato su un carro alato dal mago Ismeno in città, dove incita re Aladino a continuare
la lotta. Solimano viene affrontato e ucciso da Rinaldo nelle fasi finali dell'assalto a Gerusalemme,
nell'ultimo canto del poema, e rappresenta come Argante il combattente instancabile, che nulla
può distogliere dall'obiettivo di opporsi ai Crociati.

PERSONAGGI MINORI
Accanto ai personaggi principali del poema ve ne sono altri minori, sia perché compaiono in un numero
limitato di episodi sia perché il loro ruolo è marginale rispetto alla trama generale dell'opera, nell'uno e
nell'altro campo: tra i pagani ricordiamo anzitutto Aladino, il re di Gerusalemme che organizza la difesa
della città, aiutato tra gli altri da Ismeno, il mago al servizio del male che evoca i demoni infernali per
ostacolare l'impresa dei Crociati (entrambi verranno uccisi alla fine del poema, nelle fasi conclusive
dell'assalto alle mura di Gerusalemme).
 Ruolo opposto a quello di Ismeno svolge invece il mago di Ascalona, cristiano e alleato dei Crociati,
che ha il compito essenziale di aiutare Carlo e Ubaldo ad andare nelle Isole Fortunate e riportare
indietro Rinaldo, prigioniero nel giardino di Armida (il mago porta i due guerrieri nelle viscere della
terra e fornisce loro tutte le indicazioni necessarie per vincere gli incanti di Armida, dandogli anche
uno scudo fatato che avrà parte essenziale nel far rinsavire Rinaldo
 . Nel campo cristiano vi è anche Pietro l'Eremita, che si ispira alla figura storica del predicatore di
Amiens che fu tra i più accaniti promotori della Crociata e che con una schiera raccogliticcia occupò
Nicea, prima di unirsi all'esercito regolare; nel poema è il consigliere spirituale di Goffredo e
l'interprete della volontà divina, poiché all'inizio caldeggia la nomina del Buglione quale
comandante supremo della missione e in seguito si adopera per riportare Rinaldo sulla retta via.
 Da ricordare ancora Olindo e Sofronia, i due cristiani di Gerusalemme protagonisti dell'intermezzo
del canto II, quando Ismeno vuole sottrarre un'immagine sacra da un tempio cristiano per
danneggiare i Crociati, ma l'icona scompare misteriosamente; per salvare i cristiani da una feroce
rappresaglia i due giovani si accusano del furto, benché innocenti, e sono condannati al rogo, ma
sono salvati da Clorinda che offre a re Aladino i suoi servigi in guerra. All'inizio Olindo ama senza
speranza Sofronia, votata alla verginità, e vorrebbe morire al suo posto, poi quando sono
entrambi salvi la fanciulla gli si concede in sposa (è questo l'unico episodio veramente romanzesco
di tutto il poema, anche se direttamente collegato alla guerra e alla trama principale dell'opera). T
 Tra i cristiani occorre citare ancora altri personaggi che sono quasi delle comparse, tra cui Eustazio
(il fratello minore di Goffredo, che si innamora di Armida al suo arrivo al campo), Gernando (che
provoca Rinaldo e viene da lui ucciso in uno scontro), Sveno, Argillano e Alcasto, che fallisce la
prova della selva incantata di Saron.

LA LIBERATA COME POEMA “EROICO”


Nel secondo Cinquecento vi erano molte discussioni tra i dotti sul modello più adatto al genere del
poema epico, poiché quello "cavalleresco" dell'Orlando furioso non sembrava adattarsi alle
regole aristoteliche ricavate dalla Poetica e si iniziava a concepire un poema di tipo nuovo, definito
"eroico": Tasso progettò appunto la Gerusalemme Liberata secondo questa linea e realizzò un'opera
con una trama lineare priva di intermezzi romanzeschi, un numero esiguo di personaggi principali,
una vicenda che ricalcasse il vero storico e raccontasse un episodio significativo della Cristianità ,
quale poteva essere appunto la prima Crociata che portò nel 1099 alla riconquista del Santo
Sepolcro. L'idea di un'opera celebrativa della Crociata rientrava nel clima religioso
della Controriforma ed era un riflesso della paura per l'avanzata dei Turchi nel Mediterraneo alla
fine del XVI sec., anche se dopo la vittoria di Lepanto del 1571 essa aveva subìto una battuta d'arresto;
l'eroismo dei Crociati che lottavano contro gli infedeli, poi, era un modo indiretto per celebrare la
grandezza della Chiesa di Roma negli anni in cui la Cristianità era lacerata al suo interno dalla Riforma
protestante, tra l'altro in un'atmosfera di forte contrapposizione che preludeva alle guerre di
religione che nel XVII sec. avrebbero sconvolto l'Europa (► PERCORSO: La Controriforma). I modelli a
cui Tasso intendeva rifarsi erano ovviamente i poemi dell'epica greco-latina, Iliade ed Eneide da cui
ricavava il tema guerresco (specie dal poema greco, incentrato sull'assedio alla città di Troia destinata
a cadere per volontà del fato) e la figura di un eroe protagonista della vicenda (specie dal poema latino,
in cui Enea prelude alla figura di Goffredo che, pure, non ha un ruolo predominante nella vicenda). La
narrazione, come detto, è organizzata in modo simile a una tragedia classica e i fatti sono descritti
secondo il principio aristotelico della "peripezia", con un evento centrale (l'assedio di Gerusalemme)
da cui deviano una serie di episodi secondari, salvo poi convergere alla fine sulla conclusione della
missione. Tasso affrontò nella riflessione teorica i capisaldi della sua concezione letteraria e scrisse, tra
le altre cose, i Discorsi dell'arte poetica e i Discorsi sul poema eroico in cui spiegava le linee del nuovo
genere letterario, difendendosi anche dalle polemiche che colpirono il poema dopo la sua
pubblicazione (peraltro non autorizzata dall'autore). Va detto che le discussioni sulla superiorità del
modello ariostesco o tassesco continuarono anche dopo la morte di Tasso per buona parte del XVII
sec., senza che si giungesse a una conclusione netta, mentre nel corso del Seicento si afferma il
poema mitologico e quello eroicomico, che finiscono per snaturare in modo definitivo il genere epico.

VERO STORICO E INVENZIONE ROMANZESCA


Il poema è maggiormente aderente alla verità storica rispetto al poema cavalleresco, in cui lo sfondo
della guerra tra Cristiani e mori rappresentava solo l'ambientazione in cui inserire
vicende romanzesche del tutto inventate e con profonde distorsioni della realtà sociale dell'epoca,
mentre ora il racconto della Crociata deve rispondere a un'esigenza realistica e almeno in parte
precisamente documentata, specie per quanto riguarda la ricostruzione dei duelli e degli scontri
militari in cui Tasso dimostra una competenza tutt'altro che superficiale. Nonostante tutto, però ,
la Liberata resta pur sempre un poema in cui vero e invenzione sono mescolati insieme per ragioni
artistiche e di ciò l'autore fornisce una giustificazione fin dal proemio dell'opera, in cui chiede
perdono alla Musa (intesa come l'ispirazione divina) se aggiunge "fregi al ver" e condisce i suoi versi
con "diletti" poetici, poiché in tal modo il pubblico troverà più gradevole la lettura e potrà gustare gli
insegnamenti religiosi e morali contenuti del poema, come il fanciullo che beve un'amara medicina da
un bicchiere i cui orli siano cosparsi di zucchero (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). I
"fregi" sono appunto gli intermezzi narrativi che accompagnano l'azione propriamente militare
dell'opera e, in particolare, le vicende amorose di cui sono protagonisti alcuni personaggi, presentate
come una lusinga che distoglie i Crociati dal compimento del loro dovere (sul punto si veda oltre), ma
anche gli elementi fantastici che vedono l'intervento di angeli e demoni, anch'essi rientranti in una
visione religiosa propria del mutato clima culturale (anche su questo, si veda oltre). Quanto alla
vicenda storica in sé essa è sostanzialmente rispettata, anche se per ragioni narrative l'autore modifica
alcuni fatti e, ad esempio, immagina che i Crociati siano presenti in Terrasanta già da sei anni quando
Goffredo assume il comando delle operazioni, mentre l'impresa durò solo un triennio; alcuni
personaggi sono vagamente ispirati a quelli reali (Goffredo, Pietro l'Eremita, Tancredi, alcuni cavalieri
cristiani...), cui tuttavia si mescolano figure totalmente inventate (Rinaldo, Clorinda, Armida...) che
rendono la trama più ricca e complessa, com'era necessario in un'opera destinata anche, in parte,
all'intrattenimento di un pubblico di corte. Va detto che la presenza di questi elementi fantastici fu la
maggiore preoccupazione di Tasso circa l'esito finale del poema e infatti, quando riscriverà
la Gerusalemme conquistata, sopprimerà o modificherà profondamente alcuni degli episodi
romanzeschi più noti, ampliando maggiormente le parti squisitamente belliche (anche per questo
la Conquistata risulterà un poema alquanto più arido della Liberata, poco apprezzato dal pubblico
dell'epoca e dagli stessi commentatori moderni).

IL MERAVIGLIOSO CRISTIANO
Tasso non rinuncia all'elemento fantastico proprio della tradizione epico-cavalleresca del XV-XVI sec.
e ampiamente presente nell'Innamorato e nel Furioso, tuttavia lo adatta alle nuove esigenze del poema
eroico e lo trasforma in un soprannaturale cristiano, che vede l'intervento di angeli e demoni nelle
vicende della guerra al fianco, rispettivamente, dei Crociati e dei difensori di Gerusalemme: ciò rientra
fra l'altro nell'imitazione dell'epica classica, in cui le divinità pagane interagivano con gli eroi
aiutandoli o ostacolandoli, specie nell'Iliade in cui il destino di Troia è già scritto ed è vano l'intervento
di Afrodite e di Apollo contro gli Achei votati alla vittoria finale. Del resto tale contrapposizione è già
evidente nell'ottava proemiale del poema, in cui si dice che il Cielo "diè favore" a Goffredo e "in van
l'Inferno vi s'oppose", per cui è chiaro fin dall'inizio che gli inganni e le insidie dei demoni sono
destinate a fallire e ritarderanno l'inevitabile caduta di Gerusalemme sotto i colpi di Rinaldo e degli
altri Crociati (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). L'intervento del divino nelle vicende
del poema si vede fin dall'inizio, con l'arcangelo Gabriele che si presenta a Goffredo e lo invita ad
assumere il comando supremo della Crociata, mentre più avanti è l'arcangelo Michele a respingere
l'assalto dei pagani al campo cristiano guidato da Solimano; le forze infernali invece si radunano in un
orrendo concilio all'inizio del canto IV, quando decidono di intervenire per ostacolare la santa
impresa (► TESTO: Il concilio infernale), e in seguito la maga Armida verrà inviata al campo dei
Crociati per seminare discordia con i suoi incanti e il suo fascino di seduttrice. La stessa azione dei
maghi risponde alla logica dell'intervento del cielo o dell'inferno per influenzare la battaglia, e non più
solo per un intreccio romanzesco come il mago Atlante o la maga Alcina nel Furioso, così Armida
e Ismeno da una parte, il mago di Ascalona dall'altra agiscono per dare manforte agli assediati e agli
assedianti, naturalmente con esiti differenti: Ismeno in particolare arriverà a evocare i demoni per
"stregare" la selva di Saron e impedire ai Crociati di abbatterne gli alberi per procurarsi la legna
necessaria a ricostruire la torre d'assedio ( ► TESTO: Tancredi nella selva di Saron), il mago di
Ascalona aiuterà Carlo e Ubaldo a raggiungere Rinaldo sulle Isole Fortunate e richiamarlo al suo
dovere, fornendo loro istruzioni e aiuti fatati che avranno la meglio sulle forze infernali. L'episodio
della selva di Saron risulta particolarmente felice, poiché i demoni intimoriscono i guerrieri cristiani
facendo leva sulle loro paure o debolezze, come se leggessero nella loro mente, per cui Alcasto è
spaventato dall'immagine di una falsa città di Dite, Tancredi dal suono della voce di Clorinda che lui
ha ucciso, Rinaldo sarà invece tentato dalle lusinghe erotiche di una falsa Armida e dalla bellezza del
suo giardino incantato (► TESTO: Rinaldo vince gli incanti della selva). La selva appare come lo
specchio delle fragilità umane e il simbolo di tutto ciò che distoglie dal dovere militare, ed è
significativo che sia proprio Rinaldo a vincerne l'incanto resistendo alle tentazioni diaboliche, poiché
lui è il guerriero prescelto dal fato per sconfiggere i pagani ed è legato al tema encomiastico del poema
(si veda oltre), inoltre è grazie all'intervento dal mago di Ascalona che ha potuto tornare al campo e
riconciliarsi con Goffredo, superando l'immaturità che lo aveva distinto fino a quel momento. Legata
alla dimensione fantastica del poema è anche la figura allegorica della Fortuna, che scorta Carlo e
Ubaldo sulle Isole Fortunate con un vascello prodigioso e, passando le colonne d'Ercole, profetizza i
viaggi di Colombo, preannunciando anche la colonizzazione del Nuovo Mondo e l'evangelizzazione dei
popoli amerindi, altro tema che si collega alla religiosità tipica dell'età della Controriforma

IL TEMA ENCOMIASTICO
Anche al centro della Liberata è presente il motivo encomiastico tipico del poema cavalleresco del XV-
XVI sec. e naturalmente l'opera è dedicata ad Alfonso II d'Este, il duca di Ferrara signore e protettore
del poeta, cui Tasso si rivolge nel proemio ringraziandolo di avergli offerto asilo nella sua corte dopo i
viaggi e le peregrinazioni in gioventù , poi auspicando che Alfonso possa assumere il comando di una
futura ipotetica crociata che dovrebbe riconquistare il Santo Sepolcro di Gerusalemme, indicandolo
quale "emulo di Goffredo" (► TESTO: Il proemio della Gerusalemme liberata). Gli Este sono poi
celebrati nel poema attraverso il personaggio di Rinaldo, che riveste una funzione analoga a quella
di Ruggiero nei poemi di Boiardo e Ariosto, poiché il giovane guerriero crociato è presentato quale
futuro progenitore della casata estense: l'autore lo indica come figlio di Bertoldo, figlio a sua volta di
Azzo IV d'Este, e di Sofia di Zaeringen, ed è un personaggio immaginario anche se Tasso ne sostenne
l'esistenza storica (ma sul fatto non c'è alcuna conferma). Rinaldo è, non a caso, il campione dei
guerrieri cristiani, nonché colui che è destinato per i suoi meriti a dare un contributo decisivo alle sorti
della guerra, anzitutto vincendo gli incanti diabolici della selva di Saron e poi offrendo magnifiche
prove militari nella conquista di Gerusalemme, in cui fa strage di nemici. Attraverso di lui Tasso
celebra la casata degli Este soprattutto nel canto XVII, quando il mago di Ascalona prima gli mostra
istoriate in uno scudo le gesta dei suoi più illustri antenati, poi gli predice le imprese dei
suoi discendenti, fra i quali ovviamente viene celebrato Alfonso II che fin dalla più giovane età
mostrerà il suo valore in cacce e tornei, poi in autentiche battaglie, e viene ribadito che se mai venisse
bandita una nuova crociata contro gli infedeli e lui ne avesse il comando, l'esito della guerra sarebbe
scontato e Alfonso porterebbe il "bianco augello" simbolo della casata estense fin nell'estremo
Oriente, ottenendo magnifiche vittorie. La celebrazione dei protettori nobili era un topos nella
letteratura epica del Cinquecento e analoghe rassegne di insigni membri della famiglia estense si
avevano già nei poemi di Boiardo e Ariosto, anche se in Tasso acquistano un significato particolare se
si pensa che pochi anni dopo il duca avrebbe fatto imprigionare il poeta a Sant'Anna e i rapporti tra i
due si sarebbero incrinati, in maniera ben più drammatica di quanto non fosse avvenuto tra Ariosto e
il cardinale Ippolito d'Este. Non stupisce pertanto che la Gerusalemme conquistata sia stata dedicata
nel 1593 al cardinale Cinzio Aldobrandini, nipote di papa Clemente VIII e protettore del poeta negli
ultimi anni della sua vita, quando ormai aveva lasciato definitivamente Ferrara, mentre nel secondo
poema Rinaldo diventa Riccardo e non è più il progenitore degli Este, né vi è alcuna celebrazione della
famiglia ferrarese.

LA CONCEZIONE AMOROSA NEL POEMA


L'amore ha grande spazio nelle vicende della Liberata ed è strettamente intrecciato al tema
propriamente epico e militare della Crociata, non però come semplice intermezzo romanzesco sul
modello del poema cavalleresco di Ariosto, bensì come elemento perturbante che svia i guerrieri
cristiani dal compimento del loro dovere e che pertanto, almeno in parte, deve essere condannato e
respinto. L'amore assume i contorni di una lusinga diabolica che allontana i Crociati dalla guerra,
specie attraverso il personaggio della maga Armida che usa il fascino per creare scompiglio nel campo
cristiano seducendo con la sua bellezza (► TESTO: Armida al campo dei Crociati), oppure si presenta
come sentimento contrastato che impedisce ai cavalieri di andare fino in fondo nell'adempimento del
dovere militare, come avviene a Tancredi che a causa del suo amore impossibile per Clorinda si
allontana dal campo finendo prigioniero di Armida e poi fallisce nell'affrontare gli incanti della selva
di Saron (► TESTO: Tancredi nella selva di Saron). La condanna dell'amore non è però assoluta, in
quanto alcuni personaggi riescono grazie ad esso a trasformarsi positivamente, come accade alla
stessa Armida la quale, innamorata realmente di Rinaldo, prima lo soggioga con un incantesimo per
esserne corrisposta e in ultimo arriva persino a convertirsi alla fede cristiana pur di restargli accanto,
con un finale "aperto" della loro travagliata vicenda (la maga costituisce l'esempio opposto a quello di
Clorinda, che si converte in punto di morte dopo aver conservato la propria verginità e aver rifiutato
l'amore in quanto contrario alla guerra). Anche l'amore struggente di Erminia per Tancredi non viene
del tutto negato, poiché la principessa può prestare le cure all'amato dopo il terribile duello finale
con Argante e rivelargli i suoi sentimenti, benché lui sia esanime e non possa sentirla, per cui anche
questa vicenda resta "sospesa" e non è escluso che il guerriero possa un giorno corrispondere l'amore
della fanciulla (► TESTO: Erminia soccorre Tancredi). Non va scordato inoltre l'esempio a sé stante
di Olindo e Sofronia, i due protagonisti dell'intermezzo del canto II la cui storia finisce felicemente,
con il matrimonio dopo che i due hanno rischiato di morire sul rogo per un crimine non commesso (il
giovane amava la vergine Sofronia, votata alla fede cristiana, e non osava rivelarsi a lei, mentre poi
l'eroismo dimostrato da lui nella vicenda spinge la ragazza a concedersi in sposa; ► TESTO: Olindo e
Sofronia). È da osservare comunque che l'amore nel poema appare sempre come sentimento
contrastato e fonte di sofferenza, in quanto colei (o colui) che è oggetto del sentimento non
corrisponde oppure perché si tratta di un legame impossibile e contrario alle leggi sociali e religiose,
specie nel caso delle coppie più nobili che sono sempre formate da persone di fede diversa (diverso è il
caso di Olindo e Sofronia, che però sono personaggi secondari). Scompare nella Liberata la
leggerezza ironica presente in tanti episodi amorosi del Furioso e soprattutto l'eros viene relegato in
una dimensione proibita, contraria all'etica, dal momento che l'unico intermezzo realmente "erotico"
dell'opera è quello di Rinaldo e Armida che si svolge nel giardino della maga, in un luogo creato dalla
magia e lontanissimo dai doveri militari e guerreschi, rispetto ai quali l'abbandono ai sensi viene
considerato colpevolmente peccaminoso (► TESTO: L'amore di Rinaldo e Armida). Non stupisce
pertanto che Tasso, riscrivendo il poema nella Gerusalemme conquistata, abbia eliminato o corretto
gran parte degli episodi in cui l'amore veniva presentato in una luce parzialmente positiva, per cui
scompare l'intermezzo di Olindo e Sofronia, Nicea (la Erminia della Liberata) non cura più le ferite
dell'amato Tancredi, Armida viene incatenata dopo la liberazione di Riccardo (Rinaldo) e le viene
negata la possibilità di redimersi con la conversione, mentre maggiore spazio assumono le parti
guerresche e il racconto dell'espugnazione militare di Gerusalemme (sul punto si veda oltre).

L’IDILLIO COME FUGA DALLA REALTA’ DELLA CORTE


Nel poema è dunque presente un forte contrasto tra la dimensione del dovere religioso e militare, che
riguarda sia i personaggi cristiani che quelli pagani e si identifica con l'ambiente della corte e dei
codici di comportamento che essa impone, e quella dell'idillio e dell'evasione che alla corte si oppone
e che assume i contorni della favola e dell'intermezzo pastorale (specie nell'episodio famosissimo
di Erminia tra i pastori, nel canto VII; ► VAI AL TESTO) oppure della passione amorosa vissuta
lontano dalla guerra e dai doveri legati ad essa (ed è il caso soprattutto dell'amore
di Rinaldo e Armida sulle Isole Fortunate, frutto dell'incantesimo della maga; ► TESTO: L'amore di
Rinaldo e Armida). Il tema non è nuovo in Tasso e se ne ha un esempio già nell'Aminta, in cui il mondo
in cui si muovono ninfe e pastori è messo esplicitamente in contrasto con l'ambiente cortigiano, poiché
i personaggi sono liberi dalle leggi dell'onore e possono abbandonarsi serenamente alla passione
amorosa, cosa che agli uomini e alle donne nobili non è concesso per ragioni di decoro aristocratico
(► TESTO: O bella età de l'oro). Tale motivo viene pertanto ripreso e ampliato nel poema, ma con la
novità che ora tale dimensione di "evasione" e fuga dal dovere viene apertamente condannata in
quanto contraria alla fede e al dovere militare, e ciò è evidente soprattutto nell'episodio
del giardino di Armida, dove Rinaldo è condotto dalla maga che lo ha irretito con un incantesimo e lo
tiene segregato dalla guerra e dai suoi doveri, in un luogo creato artificialmente che anche
geograficamente è situato agli antipodi di Gerusalemme (le Isole Fortunate corrispondono
alle Canarie, nell'Atlantico al largo della Spagna). L'arrivo di Carlo e Ubaldo spezza l'incanto e riporta
Rinaldo alla realtà , distruggendo per sempre quel paradiso fittizio che la maga aveva prodotto con
l'aiuto dei demoni, a significare che l'amore tra lei e il Crociato è stata solo una parentesi momentanea,
da condannare in quanto sviante dai doveri guerreschi che impongono al giovane di tornare a
espugnare Gerusalemme. Anche nella selva di Saron i demoni ricreano lo stesso tipo di "idillio" per
cercare di impedire a Rinaldo di abbattere gli alberi per procurare la legna necessaria alle macchine
d'assedio, ma il guerriero non si farà abbindolare e compirà fino in fondo il proprio dovere
distruggendo per la seconda volta l'illusione di un mondo perfetto in cui l'amore possa trionfare sulla
guerra, stavolta in modo definitivo e creando le premesse per l'imminente caduta della città santa (►
TESTO: Rinaldo vince gli incanti della selva). Altrettanto provvisorio e di breve durata il soggiorno di
Erminia tra i pastori, anche qui in una dimensione staccata dalla guerra e miracolosamente intatta, in
cui la principessa trova ospitalità non tanto per sfuggire i doveri della corte quanto per dimenticare il
suo infelice amore per Tancredi: la giovane indossa gli umili panni di una pastorella, porta le pecore al
pascolo e le munge, ma il poeta precisa che "Non copre abito vil la nobil luce / e quanto è in lei d'altero
e di gentile", a significare che il suo "travestimento" pastorale non cambia la sua natura di nobile
principessa e non le permette di uscire dal mondo della corte in cui è imprigionata, tanto che dopo
qualche tempo si unirà all'esercito egiziano in marcia verso Gerusalemme e interromperà la breve
"vacanza" che ha preso dai suoi doveri sociali, dai quali non ha scampo. Sono evidenti le
implicazioni autobiografiche di questo discorso che Tasso affronta nel poema ed è chiaro anche che,
rispetto all'Aminta, la sua visione si è fatta più pessimista, nella consapevolezza che chi è nato e
vissuto nella corte non può uscirne, deve assoggettarsi alle sue regole ferree che, spesso, impongono
rinunce dolorose che causano sofferenza (è innegabile che questo incupirsi del discorso poetico
coincida con gli squilibri psichici manifestati dall'autore, che anche per questo non sarà soddisfatto del
poema e lo riscriverà per eliminare o correggere proprio gli intermezzi "idillici" presenti nella prima
redazione, da lui sentiti come inopportuni e contrari allo spirito religioso).

MONDO CRISTIANO E ISLAM


La fede islamica è naturalmente presentata sotto una luce fortemente negativa nella Liberata, in linea
con la rappresentazione che di essa era offerta già nei poemi cavallereschi del XV-XVI sec., ma con
una più accentuata condanna morale dovuta al nuovo clima culturale della Controriforma e,
soprattutto, per la paura della minaccia turca nel Mediterraneo, che porta tra l'altro Tasso a scegliere
quale sfondo storico del poema non più la guerra tra Mori e Cristiani nella Spagna dell'VIII sec., bensì
la guerra santa di liberazione del Santo Sepolcro, in cui la condanna dell'Islam è parallela
all'esaltazione della fede cristiana e della Chiesa di Roma. Sotto questo aspetto, anzi, Tasso si collega
alla tradizione medievale in cui la religione musulmana era vista come deviazione peccaminosa
dall'ortodossia per l'intervento diabolico, per cui è sufficiente ricordare la condanna
di Maometto nell'Inferno di Dante tra i seminatori di scisma, e la Crociata viene presentata nel poema
come vero scontro di civiltà, in cui la superiorità di quella cristiana è ribadita a più riprese e
confermata dalla vittoriosa conclusione della guerra, in cui Goffredo strappa ai "pagani" il Santo
Sepolcro che diventa quasi un simbolo culturale oltre che propriamente religioso. Tale
contrapposizione "morale" tra cristiani e islamici è sottolineata anche dall'intervento delle entità
soprannaturali nelle vicende, poiché a favore dei difensori di Gerusalemme agiscono
i demoni infernali che vogliono impedire il trionfo della fede in Cristo e cercano di seminare discordie
nel campo dei Crociati (► TESTO: Il concilio infernale), riprendendo la visione medievale dell'Islam
come "scisma" nato in seno alla Cristianità e adorante idoli pagani, concezione ben lontana dalla verità
storica (i Mori sono definiti "pagani" anche nei poemi cavallereschi del Quattrocento, in cui tuttavia la
contrapposizione con la civiltà occidentale è meno evidente: all'inizio dell'Innamorato, ad es., saraceni
e cristiani si incontrano pacificamente nella tregua di Pentecoste, fatto impensabile nella Liberata e, in
parte, anche nel Furioso). È ovvio che questa idea dello "scontro di civiltà " è frutto del
clima oscurantista e intollerante della Controriforma, in cui la paura del "diverso" (inteso come chi
appartiene a un'altra fede, inclusa quella luterana, o semplicemente chi devia da una norma prefissata)
domina la cultura del secolo e si manifesta anche nella persecuzione di intellettuali giudicati pericolosi
per la gerarchia ecclesiastica, di cui Campanella e poi Galileo costituiscono esempi significativi,
mentre è totalmente contraria allo spirito di tolleranza e di accettazione delle diversità proprio del
mondo contemporaneo, in cui pure, per tanti motivi, esso è messo in discussione dal terrorismo che fa
leva sul sentimento della paura e insinua l'idea che una cultura sia superiore all'altra e debba
prevalere con la violenza. La condanna dell'Islam trova del resto espressione nel poema anche
attraverso la conversione al Cristianesimo di alcuni protagonisti, anzitutto di Clorinda che, in virtù
anche delle sue origini cristiane, chiede il battesimo in punto di morte in quanto illuminata dalla fede
(► TESTO: Il duello di Tancredi e Clorinda), e poi di Armida che accetta di abbandonare la sua
religione per amore di Rinaldo, arrivando addirittura a definirsi la sua "ancella" parafrasando le
parole di Maria all'arcangelo Gabriele (questo episodio, come altri simili dell'opera, verrà eliminato
nella Conquistata; ► TESTO: La conversione di Armida). Non va scordato infine che la stessa
rappresentazione dei guerrieri islamici nella Liberata risponde in genere ai più
scontati stereotipi della cultura occidentale, poiché essi vengono definiti erroneamente "pagani" e
presentati come infedeli, massa indistinta di popoli dispersi e barbari, anche se una certa dignità
eroica viene riconosciuta ad alcuni personaggi (soprattutto Clorinda, ma anche Argante e Solimano, i
due difensori di Gerusalemme) in una sottile ambiguità che, da un lato, condanna senza appello l'Islam
come minaccia alla sopravvivenza del mondo cristiano, dall'altro è attratta da alcuni aspetti della
civiltà orientale che trovano un certo spazio nel poema e che nella Conquistata verranno invece
trascurati, nel quadro di una maggiore attenzione agli elementi "ortodossi" per sanare i difetti del
primo poema.

GERUSALEMME CONQUISTATA
Tasso non era soddisfatto del poema per ragioni di stile e per elementi di contenuto che temeva
fossero in contrasto con l'ortodossia religiosa e infatti la Liberata venne pubblicata contro la volontà
dell'autore mentre lui si trovava a Sant'Anna, suscitando tra l'altro vivaci polemiche letterarie che
costrinsero il poeta a rispondere con scritti teorici in cui confutava le critiche ricevute. Tasso già
all'epoca progettava un totale rifacimento dell'opera ed esso prese forma negli anni successivi alla
sua liberazione, dando vita alla Gerusalemme conquistata (pubblicata nel 1593) che presenta notevoli
cambiamenti rispetto alla prima redazione, a cominciare dalla lunghezza accresciuta (24 libri
come Iliade e Odissea, per un totale di 2739 ottave, 812 in più della Liberata) e dalla soppressione o
modifica di molti celebri episodi, sentiti come estranei o contrari allo spirito religioso
della Controriforma. Alcuni personaggi cambiano nome (Rinaldo diventa Riccardo, Erminia è
ribattezzata Nicea) e, in generale, vengono ridotte le parti relative agli intermezzi amorosi e idillici del
primo poema, mentre al contrario sono ampliate le descrizioni degli scontri militari e gli elementi più
tipici della narrazione "epica"della Crociata. Tra gli episodi eliminati va ricordato l'intermezzo
di Olindo e Sofronia del canto II della Liberata, che scompare totalmente nella seconda versione,
mentre la figura di Nicea viene fortemente ridimensionata ed è soppressa la sua avventura idillica tra i
pastori, così come la principessa non cura le ferite di Tancredi, di cui è innamorata, dopo lo scontro
con Argante. La stessa maga Armida viene incatenata nel luogo dove sorgeva il suo palazzo incantato
dopo che Riccardo si è sottratto al suo influsso e la fanciulla non compare più alla fine del poema, né è
a lei concessa la possibilità di una conversione religiosa, elemento fortemente controverso nel primo
poema. Tra le novità più vistose vi è poi l'elemento encomiastico, dal momento che la Conquistata è
dedicata al cardinale Aldobrandini e non più ad Alfonso II, con il quale i rapporti si erano
evidentemente incrinati in seguito alla drammatica prigionia di Tasso, mentre dal poema scompare
qualunque riferimento celebrativo alla casa estense, con il personaggio di Riccardo che non è più
presentato come mitico progenitore della famiglia ferrarese. La Conquistata venne accolta con molta
freddezza da pubblico e intellettuali del tempo e lo scarso successo dell'opera indusse l'autore a
giustificarne le scelte di contenuto e stile in vari scritti, a cominciare dai Discorsi del poema
eroico pubblicati nel 1594, anche se il poema venne ben presto dimenticato e la fama di Tasso rimase
legata in modo indissolubile alla Gerusalemme liberata, al di là delle stesse intenzioni del poeta.

LINGUA E STILE
Le scelte linguistiche del poema aderiscono alla proposta di Bembo e al fiorentino della tradizione
trecentesca, per cui si può dire che Tasso sia ormai al di là dell'annosa questione della lingua, tuttavia
la forma finale della Liberata suscitò la vivace opposizione degli accademici della Crusca e ciò non
tanto per ragioni strettamente linguistiche, ma soprattutto per fatti inerenti il lessico e lo stile del
poeta. Tasso infatti fa uso di un lessico molto ampio, che attinge dall'intera tradizione letteraria e non
solo da quella del XIV sec., inoltre predilige (come afferma nei Discorsi dell'arte poetica) le parole "non
comuni... peregrine e da l'uso popolare lontane": numerosi sono pertanto i latinismi colti ("margo"
per margine, "dumi" per cespugli, "formidabile" per terribile, inoltre alcune voci di uso tassesco, come
"esclusa" per "chiusa fuori" ed "esprimere" per "spremere"), mentre non rare risultano le
voci padane e settentrionali già ampiamente presenti nell'Innamorato e nel Furioso, ma non ben viste
dai "puristi" della Crusca. Anche la sintassi e la costruzione della frase si allontanano dall'uso comune
e ricercano l'elevato, il sublime, specie attraverso periodi lunghi e complessi con incisi posti tra
parentesi, ampio uso dell'enjambement per legare un verso all'altro, iperbati e inversioni dell'ordine
normale delle frasi che talvolta rendono la comprensione non immediata. Tra gli esempi più marcati ci
sono frasi come "tal va di sua bontate intorno il grido" (IV.36.8), "Tornano allora i saracini, e stanchi /
restan nel vallo e sbigottiti i Franchi" (VII.121.7-8), "per sette il Nilo sue famose porte" (XV.16.3), tutti
artifici retorici e linguistici coi quali Tasso cercava di compensare la mancanza di "epicità" del volgare
italiano, ma che facevano storcere il naso ai "cruscanti" ed erano origine di aspre polemiche intorno al
poema, che com'è noto veniva paragonato al Furioso e giudicato ad esso inferiore. Anche sul piano più
propriamente stilistico il poema presenta una certa varietà di toni, specialmente quello elevato e
"tragico" dei passi di guerra o della descrizione dei duelli, e quello invece lirico e tendente al patetico
degli episodi amorosi, aspetto che forse Tasso avrebbe voluto correggere prima della pubblicazione
dell'opera ma che non poté fare in quanto ne perse il controllo dopo la reclusione a Sant'Anna. Questa
operazione fu invece fatta nella Conquistata ed in effetti il secondo poema presenta uno stile assai
più monocorde, che è certo tra le ragioni del suo scarso successo tra i lettori del Cinquecento che
continuavano a preferire la prima versione della Liberata.

TASSO FAMA E FORTUNA CRITICA


Il Tasso ebbe grandissima notorietà quand'era in vita, sia prima della reclusione a Sant'Anna sia soprattutto
durante la prigionia, grazie alla pubblicazione della Gerusalemme liberata che lo consacrò quale eccelso
poeta epico ma suscitò anche polemiche letterarie, che lo esacerbarono in quanto non aveva la possibilità
di replicare come avrebbe voluto. Tra coloro che recensirono negativamente il poema vi fu soprattutto il
fiorentino Leonardo Salviati, il fondatore dell'Accademia della Crusca che preferiva il modello ariostesco per
ragioni di lingua e stile e che nel 1584 pubblicò uno scritto (la Stacciata prima) che stroncava ferocemente il
poema tassesco, con osservazioni testuali che a molti parvero pedantesche e animate da una certa
malevolenza. Prese parte alla polemica anche Bastiano de' Rossi, anch'egli favorevole ad Ariosto, e com'è
noto Tasso rispose con alcuni scritti da Sant'Anna in cui difendeva il suo lavoro, anche se già progettava il
rifacimento del poema poi concretizzatosi nella Conquistata del 1593. Le discussioni sulla superiorità del
modello ariostesco o tassesco proseguirono ancora nel XVII sec. e tra coloro che vi presero parte ci fu anche
Galileo Galilei, che affrontò la questione in due scritti teorici (le Postille all'Orlando Furioso e le
Considerazioni al Tasso) in cui accordò la sua preferenza al Furioso, allineandosi quindi alle posizioni più
intransigenti degli aristotelici del Cinquecento. Nell'età barocca l'interesse per la poesia epica stava intanto
scemando e ben presto la dissoluzione di questo genere letterario, dovuta alla pubblicazione di poemi
mitologici come l'Adone di G.B. Marino e di poemi eroicomici come la Secchia rapita di A. Tassoni, fu
parallela al tramonto delle discussioni teoriche e anche del calo di interesse per l'opera di Tasso, almeno
per quanto riguardava le strette questioni relative alle "regole" del poema eroico. Grande fu invece per
tutto il Seicento la fama del poeta quale dotto ed esperto di questioni cavalleresche, nelle quali era anzi
considerato una specie di autorità specie per le due edizioni del dialogo Forno overo de la nobiltà, tanto
che egli viene citato in queste vesti anche da A. Manzoni nei Promessi sposi, sia nella discussione tra il
conte Attilio e il podestà nel cap. V (il podestà lo definisce un erudito "che sapeva a menadito tutte le regole
della cavalleria"), sia nella descrizione della biblioteca di don Ferrante in cui i due dialoghi citati sono
presenti come "manuali" di cavalleria (cap. XXVII).

Giacomo Leopardi
La figura di Tasso tornò nuovamente a suscitare interesse soprattutto nel XIX sec., quando nel periodo
romantico egli diverrà simbolo del poeta incompreso, posto ai margini della società, ingiustamente
perseguitato dalla Chiesa e dai potenti: nacque un vero e proprio "mito" tassesco, basato sulla leggenda
che lo voleva recluso a Sant'Anna a dispetto delle sue reali condizioni e per il suo amore impossibile per
Eleonora d'Este, ma anche sulla descrizione che Michel de Montaigne fece di lui nel 1580 dopo averlo
visitato in ospedale (lo scrittore francese parlò di un uomo folle e malinconico, influenzando non poco il
giudizio dei letterati romantici dell'Ottocento). Tale "mito" ebbe un riflesso nel dramma Torquato Tasso di J.
W. Goethe, scritto nel 1790 a Firenze e che racconta una versione romanzata della prigionia del grande
poeta, che ama la principessa Eleonora e viene arrestato dal duca per impedire questo legame e per i
maneggi a corte del segretario Antonio Montecatino, invidioso dello scrittore. Agli inizi del XIX sec. è poi
Giacomo Leopardi ad ammirare molto la figura di Tasso, anzitutto visitando la sua tomba a Roma durante il
viaggio del 1822 (Leopardi sentiva il poeta molto vicino a lui, in quanto incompreso dalla sua età e in
disaccordo coi suoi tempi; cfr. la lettera al fratello Carlo del 20 febbraio 1823) e in seguito ispirandosi
all'Aminta per la composizione di alcune famosissime liriche, poiché è noto che il nome Silvia dato a Teresa
Fattorini nella poesia omonima deriva dalla protagonista del dramma pastorale, così come quello di Nerina
dato alla donna evocata nelle Ricordanze (Nerina è una ninfa compagna di Silvia nell'opera di Tasso). Infine
il poeta cinquecentesco è protagonista del Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, una delle
Operette morali in cui immagina che Tasso dialoghi con uno spiritello sulla natura del vero, sul piacere e
sulla noia, prendendo spunto dal dialogo tassesco Il messaggiero in cui lo stesso Tasso immagina un
colloquio con un folletto prodotto dalla sua fantasia malata. Da ricordare ancora la poesia Sul "Tasso in
prigione" di E. Delacroix, contenuta nei Fiori del male di Charles Baudelaire, dove il grande poeta francese
commenta il celebre dipinto di Delacroix che ritrae Tasso recluso a Sant'Anna e ne trae una potente
descrizione romantica, di un genio che soffoca chiuso tra quattro mura ed è perseguitato dalle sue visioni e
dai suoi fantasmi.

TASSO NELL’EPOCA MODERNA


Bisogna attendere la seconda metà del XIX sec. perché l'opera di Tasso sia oggetto di approfonditi studi
critici, specie riguardo la ricostruzione filologica della sua voluminosa opera, e un primo intervento in
questo senso è quello di Cesare Guasti, che nel 1852-55 curò l'edizione critica del corpus delle lettere
dell'autore, nonché dei Dialoghi (1858) e di altre sue opere in prosa, aprendo la strada alla critica testuale
sul poema che nel secolo seguente avrebbe portato a significativi risultati. Importante anche il contributo
critico di Francesco De Sanctis, che nel cap. XVI della sua Storia della letteratura italiana (1870-71) esprime
un giudizio alquanto severo sull'autore della Liberata, secondo lui espressione di un'età di crisi e decadenza,
dominata dalle discussioni teoriche di cui proprio il poema è il risultato (secondo il critico Tasso "cerca
l'epico e trova il lirico", distaccandosi in questo dall'apprezzamento che per altri motivi avevano dato i
letterati romantici). Nel Novecento il grande poeta sorrentino e la sua opera sono stati oggetto di studi da
parte dei principali critici italiani (e non solo), fra cui merita citare Attilio Momigliano (autore nel 1945 di un
importante commento alla Liberata), Giovanni Getto (che compì studi anche sui versi sacri dell'ultima parte
della vita di Tasso), Umberto Bosco, Luigi Firpo, Lanfranco Caretti. Da ricordare infine il volume Dialoghi col
Tasso del grande saggista e critico Franco Fortini, scritto nel 1994 e pubblicato postumo nel 1998, in cui lo
studioso approfondisce alcuni aspetti della produzione poetica dell'autore e lo definisce "un simbolo della
dissidenza" paragonabile a Martin Luther King, e come in fondo lo era stato lui stesso al tempo delle leggi
razziali durante il fascismo (Fortini, il cui vero nome era Lattes, era di origini ebraiche). Il critico aveva anche
realizzato nel 1994, nell'imminenza dei quattrocento anni dalla nascita di Tasso, una lettura radiofonica di
passi scelti della Gerusalemme liberata che riscosse un certo interesse da parte del pubblico.

BIFRONTISMO TASSIANO
Il bifrontismo tassiano nasce dalla paura di essere condannato dalla chiesa. Ritroviamo infatti all’interno
delle sue scritture due elementi scritti in un modo ma che invece ne sottintendono altro , trovando così
delle contrapposizioni involontarie. Un esempio è la denuncia verso l’amore fisico che però quest’ultimo
viene descritto da lui.
Il bifrontismo travolge l’opera : in particolar modo i temi ,il livello formale, la struttura ideologica, narrativa
e la rappresentazione spaziale . I temi. Al tema della guerra, la quale è vista non solo come esaltazione e
manifestazione di eroismo ad un fine alto, si contrappone una considerazione pià grave e dolorosa, che
vede nella lotta e nella strage una necessità inveitabile , ma anche qualcosa di atroce di disumano.

La struttura ideologica Il bifrontismo tassesco investe la struttura più profonda del poema: lo scontro stesso
tra cristiani e pagani è in verità lo scontro tra due codici all'interno della stessa cultura. Da un lato i pagani ,
esponenti di una cultura laica basata sull'individualismo e il profano; dall'altro lato i cristiani esponenti della
rigida subordinazione di ogni fine individuale al fine religioso. La struttura narrativa Il bifrontismo causa
molteplicità a livello narrativo. In realtà il rapporto che si insatura tra molteplicità e unità nella
Gerusalemme è però ben diverso da quello che caratterizza il Furioso. Nel poema ariostesco la molteplicità
di azioni è prevista sin dall'inizio nel progetto narrativo, in quello tassesco invece è intenzionalmente negata
in nome delle istanze unitarie. Ma se Ariosto ammette un visione prospettica aperta , Tasso impone una
visione totalizzante che con difficoltà riesce a spegnere le tensioni fra i vari fili narrativi. La
rappresentazione spaziale Il bifrontismo causa un raggio d'azione spaziale in verticale (Divina commedia) e
in orizzontale (Orlando Furioso). Perciò lo spazio orizzontale è lo spazio della terrestrità , mentre quello in
verticale è lo spazio del trascendete (La visione dall'altro si propone proprio all'inizio del poema , quando
Dio, volgendo lo sguardo sulla terra , vede i vari principi cristiani perduti dietro i loro interessi). Tutto ciò
rientra nell'uniformità e quindi questa rappresentazione non ha niente a che vedere con la
rappresentazione ariostesca. La Gerusalemme Liberata è un’opera piena di contraddizioni. Già dal fatto che
Tasso non arrivò mai a pubblicare un’edizione definitiva della sua opera, si mostra l’instabilità del poema.
Ma la contraddizione più evidente riguarda l’approccio che Tasso dimostra nella narrazione. Tasso dichiara
apertamente la sua volontà di comporre un’opera con un’ideologia e strutturazione lineare e ben definita.
Da una parte Dio e crociati, per l’esaltazione della religione cristiana, dall’altra Satana e musulmani, per la
condanna dell’anticristiano. Tuttavia, a opera finita, si evince come la divisione fra questi due mondi non sia
così netta. Di fatto se la condanna degli elementi maligni viene esplicitata, durante la narrazione non è
semplice notarla. Ci sono infatti numerosi passi in cui quegli elementi che dovrebbero rientrare nel male,
sono descritti in modo tale da risultare affascinanti.

Le principali contraddizioni ruotano attorno all’amore. Un amore sì condannato, in quanto forza


degenerativa, ma dalla cui descrizione traspare una sottile esaltazione. Inoltre gli episodi amorosi vengono
accentuati da Tasso attraverso un cambio di stile, che da epico diventa lirico-amoroso, ripreso dalla
tradizione lirica, in particolare da Petrarca. L’esempio più emblematico è l’episodio del giardino di Armida.
Attraverso la magia, la natura del giardino viene resa al massimo dello splendore e della bellezza. E qui
avviene una vera e propria esaltazione dell’amore, assieme all’invito al carpe diem, a sfruttare le bellezze
della vita prima che queste svaniscano.

Diverse scene sono impostate sull’ambiguità della loro interpretazione, tra il tema militare e guerresco. Di
fatto quelli che possono sembrare semplici scontri militari, alludono alla passione amorosa. Si definisce così
l’amore guerresco, un amore dominante che tormenta per il desiderio che produce, tanto da creare delle
ferite “di guerra”. Il principale amore guerresco è quello tra Clorinda e Tancredi, dato l’amore segreto che il
crociato nutre per la guerriera pagana. I loro scontri raggiungono picchi di sensualità, a volte persino di
eroticità, come l’ultimo scontro fatale.

L’AMORE TASSIANO
L’amore è un altro aspetto presente nel poema: esso è visto come sofferenza espressa però in modo
poetico. Tasso sente il desiderio di una passione amorosa che non riesce ad esprimere poiché il
protagonista è un uomo di fede.
Le azioni dei personaggi sono mosse sia dalla volontà di riaffermazione della cristianità, dettata dal contesto
storico-religioso, sia dall’amore: con il tema amoroso ci si ricollega alla tradizione (innovativa, perché poco
tempo prima era una novità) di Ariosto e Boiardo.
Nel poema, in maniera involontaria, si crea una forte antitesi tra amore, dunque vita, e morte, perché
quando si parte per la crociata non è certo quando o se si tornerà da questa. La morte è dunque legata
strettamente al contesto, perché è una sicura conseguenza della guerra.

Tuttavia l’opera per l’autore non era ancora pronta, tant’è che subisce varie modifiche e revisioni. Questa
fase caratterizzata dall’incertezza e dall’insoddisfazione, porta Tasso a convocare la commissione romana:
un comitato redazionale composto da esponenti letterari e intellettuali dell’epoca. Il fine della commissione
romana era quello della revisionare e giudicare l’opera, segnalando quali parti Tasso dovesse modificare e
quali addirittura eliminare. La fase della revisione non va a buon fine a causa della lontananza di vedute tra
le parti. Il poeta di fatto non accetta di modificare elementi essenziali del poema, come l’amore e la magia,
anche se ritenuti inappropriati dalla commissione. Questo porta alla decisione di Tasso di sciogliere la
commissione. Nell’ideologia tassiana, l’amore è un elemento degenerante, che svia l’uomo dalla giusta via.
L’uomo perde le proprie facoltà mentali tant’è ossessionato dal proprio desiderio amoroso, finendo per
smarrirsi e allontanarsi dalla missione principale, ossia la conquista di Gerusalemme. Il principale eroe
crociato a essere incline a forti passioni è Rinaldo. Nonostante le sue virtù cavalleresche e la notevole
abilità militare, Rinaldo è dominato dalla passione. Questa sua debolezza lo conduce a rimanere
imprigionato da Armida, la quale però si innamora del bel giovane. Armida lo incanta e lo porta lontano da
occhi indiscreti per vivere isolati il loro amore. Nel castello di Armida, Rinaldo perde ogni suo tratto
distintivo, divenendo un effeminato infatuato dalle bellezze materiali. Grazie al salvataggio dei suoi
compagni, Rinaldo si libera e torna in battaglia. Il suo apporto è fondamentale per la vittoria crociata, dato
che Rinaldo rappresenta la forza necessaria che, assieme alla guida del capitano Goffredo, costituisce i
presupposti per la vittoria.

l’amore, che è un grande motore dell’azione, è un motivo conduttore, è l’occasione di incontro tra i diversi
personaggi, anche di schieramenti diversi, ma diventa spesso strumento del male e quindi mezzo con cui le
forze del male cercano di allontanare gli eroi dai loro obiettivi;l’assurdità della guerra, un tema del tutto
nuovo all’epica che viene introdotto da Tasso; un’inaccettabilità della guerra vista nella sua violenza, nel
suo aspetto più terribile e oscuro. Naturalmente questo nello scontro cruento, senza sconti tra Cristiani e
Musulmani.

Elementi cavallereschi nella gerusalemme


NON CAVALLERESCO PERCHE’
Rispetto al modello del poema cavalleresco la trama è più lineare e concentrata sul motivo centrale della
guerra santa, senza la presenza di episodi secondari estranei al filone narrativo principale (l'unica eccezione
è rappresentata dalla vicenda di Olindo e Sofronia

Il numero dei personaggi principali è decisamente inferiore rispetto al modello del poema cavalleresco di
Ariosto, in accordo con la nuova concezione del poema eroico abbracciata da Tasso
Nel secondo Cinquecento vi erano molte discussioni tra i dotti sul modello più adatto al genere del poema
epico, poiché quello "cavalleresco" dell'Orlando furioso non sembrava adattarsi alle regole aristoteliche
ricavate dalla Poetica e si iniziava a concepire un poema di tipo nuovo, definito "eroico": Tasso progettò
appunto la Gerusalemme Liberata secondo questa linea e realizzò un'opera con una trama lineare priva di
intermezzi romanzeschi, un numero esiguo di personaggi principali, una vicenda che ricalcasse il vero
storico e raccontasse un episodio significativo della Cristianità, quale poteva essere appunto la prima
Crociata che portò nel 1099 alla riconquista del Santo Sepolcro.

CAVALLERSCO PERCHE’
Egli lavorò presso Ferrara, dove il poeta riscoprì la tradizione epico-cavalleresca di Boiardo e di Ariosto,
quest'ultimo influenzò il lavoro di Torquato Tasso dal punto di vista letterale e culturale.

Tasso non rinuncia all'elemento fantastico proprio della tradizione epico-cavalleresca del XV-XVI sec. e
ampiamente presente nell'Innamorato e nel Furioso, tuttavia lo adatta alle nuove esigenze del poema
eroico e lo trasforma in un soprannaturale cristiano. Anche al centro della Liberata è presente il motivo
encomiastico tipico del poema cavalleresco del XV-XVI sec. e naturalmente l'opera è dedicata ad Alfonso II
d'Este, il duca di Ferrara signore e protettore del poeta, cui Tasso si rivolge nel proemio ringraziandolo di
avergli offerto asilo nella sua corte dopo i viaggi e le peregrinazioni in gioventù, poi auspicando che Alfonso
possa assumere il comando di una futura ipotetica crociata che dovrebbe riconquistare il Santo Sepolcro di
Gerusalemme, indicandolo quale "emulo di Goffredo". La fede islamica è naturalmente presentata sotto
una luce fortemente negativa nella Liberata, in linea con la rappresentazione che di essa era offerta già nei
poemi cavallereschi del XV-XVI sec., ma con una più accentuata condanna morale dovuta al nuovo clima
culturale della Controriforma e, soprattutto, per la paura della minaccia turca nel Mediterraneo,

la descrizione minuziosa dei duelli (Tasso era un grande esperto di cavalleria e delle tecniche della scherma)
e delle macchine d'assedio, di cui l'autore dimostra una conoscenza alquanto documentata

ORLANDO FURIOSO E GERUSALEMME LIBERATA


Gerusalemme liberata: L’autore trova nella storia la sua fonte d’ispirazione, riprendendo la Crociata
svoltasi nel 1099 a Gerusalemme, condotta da Goffredo di Buglione.
Orlando furioso: L’autore trova nei racconti cavallereschi e nei cicli romanzi delle leggende carolinge e
arturiane la sua ispirazione, continuando l’”Orlando innamorato” di Boiardo.
Gerusalemme liberata: Lo spazio in cui si svolge è principalmente uno: Gerusalemme.
Offre poche divagazioni in altri luoghi magici e incantati.
Orlando furioso: Lo spazio in cui si svolge è molto vasto (Europa, Asia, Africa) e labirintico, con la
presenza di innumerevoli luoghi magici e fantasiosi in cui si svolgono le vicende dei personaggi.
Gerusalemme liberata: Lo scorrere del tempo è lineare, con un limite nei salti temporali. Inoltre la
vicenda si svolge in un tempo chiuso da un inizio e una fine ben distinti.
Orlando furioso: Lo scorrere del tempo è molto baldanzoso: frequenti flash-back descrivono il fitto
intreccio di azioni dei personaggi. La vicenda è racchiusa in un tempo aperto, infatti, la narrazione
parte riprendendo l’Innamorato di Boiardo.
Gerusalemme liberata: Vi è un’azione unica e centrale, con occasionali forze centrifughe rappresentate
dalle vicende degli altri personaggi.
Orlando furioso: Le azioni dei personaggi sono estremamente intrecciate tra loro, con la presenza di
una notevole molteplicità di vicende.
Gerusalemme liberata: L’autore inserisce l’elemento soprannaturale definito dal “meraviglioso
cristiano”, cioè l’intervento di creature della religione: Dio e angeli contro Satana e demoni.
Orlando furioso: Vi è la costante presenza della magia, con creature mitologiche soprannaturali
(Ippogrifo) e puramente fantastiche.
Gerusalemme liberata: L’amore ha una funzione negativa, ovvero quella di sviare gli eroi cristiani dal
loro compito, rappresentando il diletto e il sensuale, tipico del codice pagano.
Orlando furioso: L’amore è uno dei temi principali, fungendo da spinta per le avventure dei
personaggi. Rappresenta la libera espressione delle energie vitali e pertanto non è da sopprimere o
frenare.
Gerusalemme liberata: La guerra, oltre che come atto eroico, è vista come gesto crudele e doloroso, che
getta nello sconforto l’eroe. L’autore è partecipe del dolore del personaggio, provando un sentimento
di pietà nei suoi confronti.
Orlando furioso: La crudeltà della guerra viene presentata come pura finzione e convezione del codice
cavalleresco, straniandola al lettore, che è invitato a riflettere su di essa.
Gerusalemme liberata: La descrizione di luoghi ameni condanna il piacere sensuale, facendolo
apparire come elemento negativo e causa dei traviamenti degli eroi cristiani.
Orlando furioso: La descrizione di luoghi ameni ne esalta il senso di piacere e bellezza sensuale, in
accordo con la tradizione classica.
Gerusalemme liberata: Le vicende si svolgono anche nello spazio verticale, tramite lo scontro tra Dio e
Satana e le rispettive schiere, riflettendo il periodo di Controriforma in corso.
Orlando furioso: Le vicende si svolgono prettamente nello spazio orizzontale, senza l’intervento del
divino, riflettendo la concezione laica rinascimentale.
Gerusalemme liberata: L’autore interviene con commenti e giudizi, spesso riferendosi ai personaggi e
immedesimandosi negli sconfitti, con i quali condivide sentimenti e passioni.
Orlando furioso: L’autore è estraneo alla vicenda e commenta solamente in modo imparziale, senza
farsi coinvolgere dalle passioni. Il suo intento è quello di offrire spunti di riflessione al pubblico.
Gerusalemme liberata: Il tono dell’opera è sublime e punta verso l’alto, in quanto deve trattare di temi
importanti, tra cui Dio e la religione.
Orlando furioso: Il tono dell’opera è medio, caratterizzato da un linguaggio a volte quotidiano a volte
aulico, seguendo comunque un andamento equilibrato.
Gerusalemme liberata: L’opera ha uno scopo didascalico pedagogico, ovvero quello di trasmettere
messaggi e insegnamenti, principalmente di carattere religioso.
Orlando furioso: Lo scopo dell’opera è quello di intrattenere la corte, pubblico a cui è rivolta.

L'Orlando furioso e la Gerusalemme liberata, rispettivamente di Ludovico Ariosto e di Torquato Tasso,


sono due poemi cavallereschi composti entrambi nel Cinquecento, eppure piuttosto diversi fra di loro. Il
poema di Ariosto è scritto in ottave e ha uno scopo celebrativo rivolto alla casata Estense. Presenta una
forma aperta e priva di schemi precostituiti, dominata dalle azioni e dai comportamenti umani ma soggetta
anche al caso. Per Ariosto le vicende cavalleresche e le questioni amorose hanno pari importanza e dignità:
vengono messi in risalto i valori individuali e soggettivi.Più tradizionale è invece il poema di Tasso,anch'esso
composto in ottave ma avente struttura chiusa: l'oggettività ha più valore della soggettività, e i valori
collettivi cono più importanti di quelli individuali.

 Il poema epico-cavalleresco in Italia e Francia

I MODELLI E L'ELEMENTO DEL MERAVIGLIOSO


Per comporre il suo poema, Ariosto prende a modello quelli medievali e i cantari popolari, oltre che alcuni
autori classici, su tutti Virgilio e Ovidio. Tutte queste forme letterarie vengono poi rielaborate secondo la
visione rinascimentale.Ariosto non crea un’opera del tutto originale, ma una continuazione dell’Orlando
innamorato di Matteo Maria Boiardo. Tasso, di contro, utilizza come modello l’epica classica dell’Iliade e
dell’Eneide.Se Ariosto aggiunge al suo poema un elemento, il Meraviglioso, Tasso lo modifica. Ariosto è
troppo libero e irregolare, e solo la storia può garantire oggettività. Tasso ricerca la verosimiglianza, e il
meraviglioso ariostesco cede il passo, quindi, al meraviglioso cristiano, dove gli interventi soprannaturali
sono derivanti dalle potenze paradisiache ed infernali.

CONFRONTO TRA PROEMI


Vediamo brevemente le differenze fra i due proemi:

 Il proemio dell'Orlando Furioso presenta l’argomento dell’opera, l’invocazione delle muse e la


dedica al signore. Fa riferimento per lo più al mondo epico-cavalleresco.

 Il proemio della Gerusalemme liberata somiglia a quello dell'Orlando furioso, ma fa riferimento


soprattutto al mondo classico

SCOPI E TEMI
Ariosto sceglie il poema cavalleresco non solo per intrattenere, ma anche per poter sperimentare con
maggiore facilità il gran numero di intrecci di cui si compone la trama.Tasso, di contro, vuole sì intrattenere,
ma anche presentare un insegnamento morale: il suo poema si adegua ai canoni dell'epoca sia a livello di
contenuto che di forma. Crea il perfetto poema cristiano, secondo i canoni della Controriforma, ma anche il
perfetto poema epico sulla base dei dettami di Aristotele.Lo stile di Ariosto è armonico ed equilibrato.
Propone un nuovo stile percorso da tensioni interne, ricco di colore e musicalità, che rispecchi il complesso
mondo interiore. Lo stile è medio, tendente al realistico, quotidiano e comico.Tasso di contro presenta una
poesia fatta di contrasti, ma fatta anche di uniformità, compostezza ed equilibrio.

ARIOSTO E TASSO: TEMI DEI POEMI


Le tematiche principali in Ariosto e Tasso sono tre: Amore, guerra e religione. Mentre Ariosto si basa su
leggende carolingie per creare la sua storia fatta d'amore e follia d'amore, Tasso celebra la chiesa, l’eroismo
guerresco e le identità religiose.Nell’Orlando furioso si parla della guerra tra Carlo Magno e i Saraceni,
mentre la Gerusalemme narra la conquista di Gerusalemme e la liberazione del Santo Sepolcro, durante le
prima crociata. I fatti storici sono reali, ma mentre in Ariosto sono utili per inserire fantasia e finzione, Tasso
racconta questioni attuali, dato l’avanzamento turco nel Mediterraneo.

 L'amore
Ariosto si ricollega alla tradizione cavalleresca: Orlando è un perfetto amante cortese, che idealizza
Angelica trasformandola in creatura di assoluta perfezione, da adorare e servire. La follia del
protagonista, però, rovescia le concezioni cortesi presentando l’amore non come l’innalzamento
spirituale, ma come caduta verso una condizione animale. Tasso presenta come dominante il
progetto dell’impresa militare, comprimendo ogni altro valore. L’amore è mostrato come una forza
essenzialmente negativa, che si oppone al compito eroico dei guerrieri.

 La guerra
La guerra di Ariosto controbilancia gli avvenimenti dei cavalieri. È una guerra cavalleresca, che
segue i valori cortigiani della generosità, dell’onore e della fedeltà al signore. L’autore ingentilisce la
guerra, rendendola poetica e cavalleresca, i duelli sono poco descritti nell’Orlando, vi è un maggior
interesse per la trama, in quest’opera si combattono più guerre (contro i mori e per la conquista di
Angelica, tra follia e ragione). Tasso presenta invece una guerra vera e violenta, con duelli
dettagliati, realistici e cruenti. Il conflitto è soprattutto quello tra anima e corpo. Nella guerra
ariostesca gli eroi sono motivati soltanto dai propri amori e desideri, è una battaglia ideale
governata dai valori cortesi, anche se Ariosto riconosce la loro caduta e ne propone un
abbassamento. La guerra di Tasso è invece motore di tutto, sia per i pagani che per i cristiani. ma
mentre i primi credono che la vittoria sia dono del cielo, i secondi combattono per l’onore
personale. La battaglia è uno scontro tra i valori rinascimentali (i pagani) e quelli controriformistici (i
cristiani).

 La religione
Ariosto ha una visione abbastanza positiva del mondo: vede nell’uomo e nella religione la capacità
di capire il mondo e la natura e la possibilità di piegare quest’ultima al proprio volere. La fede in
Ariosto non è fondamentale, ma un dato storico. Per Tasso la fede è l’argomento centrale del
poema, al punto che dirige le azioni dei personaggi. L'autore vede nella religione e nella fede la vera
interpretazione del mondo, gli unici valori ideali da seguire. E così, se in Ariosto vi sono molti
eroi, Tasso ne mostra uno solo.

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