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DE DERECHO ROMANO
REVISTA INTERNACIONAL
DE DERECHO ROMANO Y TRADICIÓN ROMANÍSTICA
XXXIII
SEMINARIOS COMPLUTENSES DE DERECHO ROMANO
REVISTA INTERNACIONAL DE DERECHO ROMANO Y TRADICIÓN ROMANÍSTICA
Comité científico
Mario Bretone (Bari), Francesco Paolo Casavola (Napoli), Alfonso Castro (Sevilla),
Francisco Cuena (Cantabria), Wolfgang Ernst (Oxford), Teresa Giménez Candela
(Barcelona Aut.), Fernando Gómez-Carbajo (Alcalá), Michel Humbert (Paris II),
Giovanni Luchetti (Bologna), Arrigo Diego Manfredini (Ferrara), Ulrich Manthe
(Passau), Dario Mantovani (Pavia), Rosa Mentxaka (P. Vasco), J. Javier de los Mozos
(Valladolid), J. Michael Rainer (Salzburg), Martin Schermaier (Bonn), Giuseppe
Valditara (Torino), Bernardo Santalucia (Firenze), Andreas Wacke (Köln),
Reinhard Zimmermann (Hamburg)
Comité de dirección
Christian Baldus (Heidelberg), Jean Pierre Coriat (Paris II), Wojciech Dajczak
(Pozna ń ), Giuseppe Falcone (Palermo), Juan Iglesias-Redondo (UCM),
Tommaso dalla Massara (Verona), Eduardo Vera-Cruz Pinto (Lisboa),
Tammo Wallinga (Rotterdam)
Javier Paricio (director)
jparicio@ucm.es
XXXIII
2020
Publicación de la
Marcial Pons
MADRID | BARCELONA | BUENOS AIRES | SÃO PAULO
2020
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pyright», bajo las sanciones establecidas en las leyes, la reproducción total o parcialde
esta obra por cualquier medio o procedimiento, comprendidos la reprografía y el trata-
miento informático, y la distribución de ejemplares de ella mediante alquiler o préstamo
públicos.
Junio de 2020
Página 7
Artículos
Libros
In memoriam
POR
GIUSEPPE FALCONE
4
F. Schulz, History of Roman Legal Science, Oxford, 1946, 58, n. 5 (Ge
schichte des römischen Rechtswissenschaft, Weimar, 1961, 69, n. 7 = Storia della
giurisprudenza romana, Firenze, 1968, 113, n. 3.
5
La valutazione negativa dell’indicazione pomponiana appare implicitamen-
te condivisa da W. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung der römischen Juristen2,
Graz-Wien-Köln, 1967, 337, n. 14.
6
Come ad esempio nei casi di Catone Liciniano, di Quinto Mucio o, per
la generazione di Cicerone, di Visellius Varro (educato giuridicamente dal padre
Aculeone: cfr. Cic., Brutus 264).
7
Una traccia della sequenza tra un primo apprendimento del diritto presso il
grammatico e un successivo e approfondito studio presso il giurista ha voluto scor-
gere P. Cantarone, «Osservazioni sullo studio del diritto nella tarda Repubblica
romana», in SDHI, 67, 2001, 419 s. nelle seguenti affermazioni di Cic., leg. 2.9: «A
parvis enim, Quinte, didicimus Si in ius vocat atque alia eius modi ‘leges’ nominare.
Sed vero intellegi sic oportet, et hoc et alia iussa ac vetita populorum <non> vim
habere ad recte facta vocandi et a peccatis avocandi, quae vis non modo senior est
quam aetas populorum et civitatium, sed aequalis illius caelum atque terras tuentis
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et regentis dei». Cicerone avrebbe fatto allusione ad uno studio graduale della let-
tera e, successivamente, della vis delle leges, mostrando così il brano l’esistenza di
«due momenti distinti dell’istruzione giuridica, l’apprendimento mnemonico delle
leggi [...] e l’interpretazione delle stesse», il primo ricompreso nell’insegnamento
del grammatico e il secondo affidato all’instituere da parte di un giurista. Sennon-
ché, il testo dice altro. Esso è tutto costruito intorno ad una giustapposizione tra
l’‘in ius v o c a r e’, da un lato, e le locuzioni ‘ad recte facta v o c a r e’ e ‘a peccatis
a v o c a r e’, dall’altro, al fine di esprimere il seguente messaggio ‘giusnaturalisti-
co’: sebbene sin dai primi contatti col diritto siamo abituati a qualificare ‘leges’
statuizioni di diritto positivo, a partire da quella che prevede un “vocare verso il
ius”, occorre rendersi conto che esse non hanno la capacità, il potere (‘<non> vim
habere’) di chiamare al recte facere e di distogliere (avocare) dall’ingiusto, giacché
questa vis è propria della lex summa, che consiste nella ratio divina (per questa
lettura, e per la necessaria e decisiva integrazione del ‘non’ prima delle parole ‘vim
habere’, cfr., ampiamente, G. Falcone, «La citazione ‘si in ius vocat’ in Cic., leg.
2.9», in AUPA, 50, 2005, 117 ss.).
8
Si tratta delle ‘disputationes in respondendo’ alle quali accenna Cicerone in
top. 14.56 come fenomeno ricorrente: ‘vestrae in respondendo disputationes’.
9
Naturalmente, anche nel quadro di un apprendimento che consisteva es-
senzialmente nell’assistere all’attività respondente del giurista doveva accadere che
alle disputationes si accompagnassero delucidazioni e indicazioni più lineari e più
apertamente didascaliche: cfr. C. A. Cannata, «Qualche considerazione sull’am-
biente della giurisprudenza romana al tempo delle due scuole», in Cunabula iuris.
Studi storico-giuridici per Gerardo Broggini, Milano, 2002, 75 (ora in Scritti scelti di
diritto romano, a cura di L. Vacca, II, Torino 2012, 418). È questo, mi pare, il senso
dei ‘breviter et commode dicta’ di Quinto Mucio l’Augure, che Cicerone menziona
nelle battute introduttive del Laelius, nelle quali rievoca la propria frequentazione
dell’anziano giurista: Cic., Lael. 1.1 «Q. Mucius augur multa narrare de C. Laelio
socero suo memoriter et iucunde solebat nec dubitare illum in omni sermone appel-
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lare sapientem; ego autem a patre ita eram deductus ad Scaevolam sumpta virili toga,
ut, quoad possem et liceret, a senis latere numquam discederem; itaque multa ab eo
prudenter disputata, multa etiam breviter et commode dicta memoriae mandabam
fierique studebam eius prudentia doctior. Quo mortuo me ad pontificem Scaevolam
contuli, quem unum nostrae civitatis et ingenio et iustitia praestantissimum audeo
dicere. Sed de hoc alias; nunc redeo ad augurem».
10
Ho accennato poc’anzi al fatto che la critica di Schulz è fin qui rimasta priva
di replica apposita. Tale, in effetti, non può considerarsi il richiamo, in sé non pro-
ducente, di Cantarone, Osservazioni, cit., 420, all’uso di ‘instituere’ anche nel § 47
a proposito della formazione di Labeone (infra, su n. 21), giacché anche in questo
caso potrebbe immaginarsi un’anticipazione storica da parte di Pomponio; e an-
cor meno lo è il richiamo all’affermazione dello stesso § 47, secondo cui Labeone
‘plurima innovare instituit’, dal momento che, questa volta, ‘instituere’ non allude
certo alla prospettiva di un primo livello d’insegnamento (sul discusso senso della
locuzione ‘innovare instituit’ non è il caso di soffermarsi in questa sede).
11
Diversamente da come ha ritenuto S. Tondo, Profilo di storia costituzionale
romana. Parte seconda, Milano 1993, 438, n. 20, cui mostra di aderire, ultimamen-
te, E. Stolfi, «Die Juristenausbildung in der römischen Republik und im Prinzi-
pat», in C. Baldus/T. Finkenhauer/T. Rüfner (Hrsg.), Juristenausbildung in Europa
zwischen Tradition und Reform, Tübingen, 2008, 18 e n. 33.
12
Si consideri, infatti, il complessivo contesto unitario dei §§ 28-29: «Orator
metuo ne languescat senectute; est enim munus eius non ingenii solum, sed laterum
etiam et virium. Omnino canorum illud in voce splendescit etiam nescio quo pacto
in senectute, quod equidem adhuc non amisi, et videtis annos; sed tamen est decorus
senis sermo quietus et remissus facitque persaepe ipsa sibi audientiam diserti senis
cocta et mitis oratio. Quam si ipse exequi nequeas, possis tamen Scipioni praecipere et
Laelio. Quid enim est iucundius senectute stipata studiis iuventutis? 29. An ne tales
quidem vires senectuti relinquemus ut adulescentes doceat, instituat, ad omne officii
munus instruat?».
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D. Liebs, «Rechtsschulen und Rechtsunterricht im Prinzipat», in ANRW,
15.2, 1976, 224.
14
In questo senso già A. Rudorff, Römische Rechtsgeschichte, I, Leipzig,
1857, 309, n. 1.
15
In questo senso, ad es., P. Jörs, Römische Rechtswissenschaft zur Zeit der
Republik, I, Berlin, 1888, 237, n. 2; Schulz, History, cit., 58, n. 9 (Geschichte,
cit., 70, n. 4; Storia, cit., 114, n. 2); P. Stein, Regulae iuris. From juristic rules to
legal maxims, Edinburgh, 1966, 44; F. Wieacker, Römische Rechtsgeschichte, I,
München, 1988, 601, n. 39; E. Gabba, «Per la biografia di Servio Sulpicio Rufo»,
in Athenaeum, 2008, 397; Miglietta, «Servius respondit», cit., 123 ss. (con altra
lett. in n. 161).
16
Jörs, Römische Rechtswissenschaft, cit., 237, n. 2.
17
Wieacker, Römische Rechtsgeschichte, cit., 565.
18
«Mucii auditores fuerunt complures, sed praecipuae auctoritatis Aquilius Gal-
lus, Balbus Lucilius, Sextus Papirius, Gaius Iuuentius: ex quibus Gallum maximae
auctoritatis apud populum fuisse Seruius dicit. omnes tamen hi a Seruio Sulpicio no-
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deve concludersi che i plures libri che, scritti a Cercina, ‘extant’ sono
stati redatti da Servio e non da Aquilio: ebbene, se il riferimento
all’esser stato instructus da Aquilio sfocia in una notizia concernente
la produzione letteraria di Servio, siamo indotti a pensare ad una
frequentazione posta sul piano di un approfondimento scientifico.
Infine, uscendo dalla narrazione di Pomponio e considerando te-
stimonianze letterarie assai significative in quanto facenti parte di
contesti tecnici di insegnamento, segnalo che il verbo ‘instruere’ è
attestato con riguardo ad un’impostazione teorica e condotta sui li-
bri: Quintiliano, ad esempio, raccomanda all’insegnante di retorica
di instruere discipulos attraverso la lettura di libri di storia e la lettura
di orazioni 19; e che, addirittura, non manca una contrapposizione
esplicita tra l’ ‘instruere’ e un apprendimento pratico: nel proemio al
De re rustica, Columella menziona una lunga serie di autori che han-
no scritto sull’argomento, per poi avvertire il dedicatario dell’opera:
«non pensare di trovare nelle loro parole tutto ciò che ti occorre:
scriptorum monumenta magis instruunt quam faciunt artificem. Usus
et experientia dominantur in artibus» 20.
Quanto all’‘instituere’, sulla base della correlazione stessa in-
staurata con l’instruere, può assumersi che dovette consistere in un
insegnamento con impronta teorica non approfondito, che precede-
va o accompagnava la frequentazione dell’apprendistato alla scuola
dell’agere, cavere, respondere.
Non vi sono, peraltro, specifici elementi per stabilire se, al tem-
po di Servio, l’esistenza di una successione tra i due livelli di inse-
gnamento, instituere ed instruere, rappresentasse un fenomeno già
consolidato e costituisse, per dir così, un percorso ordinario nella
formazione giuridica o se invece abbia costituito un’esperienza fa-
cente parte della specifica vicenda di Servio, il quale potrebbe esser-
si dedicato ad una straordinaria forma di impegno di apprendimen-
to in quanto tactus dal rimprovero di Quinto Mucio 21.
minantur: alioquin per se eorum scripta non talia exstant, ut ea omnes appetant: de-
nique nec uersantur omnino scripta eorum inter manus hominum, sed Seruius libros
suos compleuit, pro cuius scriptura ipsorum quoque memoria habetur».
19
Quint., inst. or. 2.5.1.
20
Colum., r.r. praef. 1.
21
Nel secondo senso non è stringente la circostanza, a suo tempo segnalata
da Jörs, Römische Rechtswissenschaft, cit., 237, n. 2 (in adesione, B. Kübler, v.
«Rechtsunterricht», in PWRE, I A/1, 1920, 396), che il verbo ‘instruere’, costituen-
te un apax legomenon, non è utilizzato a proposito della formazione di Labeone,
per il quale Pomponio parla (nel § 47, trascritto subito di seguito, nel testo) esclusi-
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Cic., Brut. 306. Ego autem iuris civilis studio multum operae
dabam Q. Scaevolae Q 25. f., qui quamquam nemini se ad docendum
dabat, tamen consulentibus respondendo studiosos audiendi docebat.
Cic., or. 142. Cur igitur ius civile docere semper pulchrum fuit
hominumque clarissimorum discipulis floruerunt domus: ad dicendum
27
Laddove agli oratores, impegnati com’erano, prima, a casa a studiare e pre-
parare le cause, poi, a sostenerle nel foro e successivamente a riposarsi (si sottinten-
de, per l’impegno che la performance dell’arringa, con le sue esigenze anche ‘tea-
trali’, aveva comportato), sarebbe mancato il tempo di dedicarsi all’insegnamento.
28
Al qual proposito, è appena il caso di esplicitare che, se il filtro costituito
dalla documentazione pervenutaci consente di riconoscere nitidamente un com-
piuto affermarsi della capacità di astrazione al livello della riflessione di Quinto
Mucio (sul punto cfr., di recente, le suggestive pagine di A. Schiavone, Ius. L’in-
(Vid. nota 29 en página siguiente)
venzione del diritto in Occidente,2 Torino, 2017, 190 ss.; v.a. Id., in J. L. Ferrary
- A. Schiavone - E. Stolfi, Quintus Mucius Scaevola. Opera [Scriptores iuris Ro-
mani, 1], Roma, 2018, 38 ss.), certamente, però, il percorso verso l’astrazione si
era aperto già ben prima e il reticolo concettuale, con cui il Pontefice avrebbe, in
seguito, operato o che, magari, avrebbe messo meglio a fuoco o ulteriormente pre-
cisato, dovette esser stato già gradualmente elaborato attraverso il lavorio di prece-
denti giuristi (da ultimo, cfr., con specifico riguardo al procedimento di astrazione
dai casi concreti e di formazione di regole, L. Vacca, «Riflessioni su ‘astrazione’ e
‘sistema’ in Quinto Mucio Scevola», in SDHI, 84, 2018, 347 ss.). Con l’occasione,
peraltro, non sarà male segnalare che, tra le prese di posizione fino a noi conser-
vate, l’importante enunciato astrattizzante costituito dalla definizione del ‘nexum’
(Varro, l.l. 7-105: «‘Nexum Manilius scribit, omne quod per libram et aes geritur, in
quo sint mancipia. Mucius, quae per aes et libram fiant ut oblige[n]tur, praeter quom
mancipio de<n>tur»), che, pur di fronte ad un semplice cenno di Varrone a Mucius,
viene comunemente attribuito senz’altro a Quinto Mucio, potrebbe invece altret-
tanto legittimamente essere assegnato al padre Publio, contemporaneo del Manilio
subito prima citato nel passo varroniano (lo rilevava B. Albanese, «Brevi studi di
diritto romano. IV. Cum nexum faciet mancipiumque», in AUPA, 42, 1992, 66 =
Scritti giuridici, III, Torino, 2006, 102). Quanto all’orizzonte del docere, che qui
specificamente rileva, è interessante l’esplicita attestazione, in Cic., leg. 2.47-53, di
una continuità, su un punto particolare, tra la posizione di Quinto Mucio e quella
del padre (sul punto cfr., ultimamente, E. Stolfi, in Quintus Mucius Scaevola,
cit., 396).
29
Con specifico riferimento alla prassi dell’instituere, appare azzardata l’ipo-
tesi di Jörs, Römische Rechtswissenschaft, cit., 236, n. 2, secondo cui essa sarebbe
nata proprio con la vicenda di Servio in quanto Balbo era, secondo la descrizione
di Cic., Brutus 154, ‘doctus et eruditus’, mentre era più lento e riflessivo, rispetto
ad Aquilio Gallo, nel respondere. Sul rapporto tra Lucilio Balbo e Servio cfr., di
recente, le apposite pagine di A. Castro-Sáenz, «Perfiles de Lucilio Balbo», in
Index, 37, 2009, 327 ss.
30
Cicerone afferma, per bocca di Antonio, che il fatto che venivano conser-
vati anche i nomi dei soggetti coinvolti nelle fattispecie sottoposte ai responsi sco-
raggiava coloro che (per l’esercizio dell’avvocatura) volessero apprendere il diritto:
«isti nos iuris consulti impediunt a discendoque deterrent; video enim in Catonis et
in Bruti libris nominatim fere referri, quid alicui de iure viro aut mulieri responderit;
credo, ut putaremus in hominibus, non in re consultationis aut dubitationis causam
aliquam fuisse; ut, quod homines innumerabiles essent, debilitati voluntatem discen-
di simul cum spe perdiscendi abiceremus». Si tratta di una valutazione scientemente
forzata, volta a far risaltare l’utilità e l’opportunità del progetto di redigere ad artem
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il ius civile, come si constata dall’immediato seguito del discorso di Antonio. D’al-
tra parte, il fatto che nella pro Cluentio (§ 141) Cicerone, rivolgendosi ai membri
della corte giudicante, dica dei libri di Bruto ‘Eorum initia [...], quae vobis nota
esse arbitror’ si presta a confermarne la diffusione quali testi di apprendimento:
così già Schulz, History, cit., 93 s. (Geschichte, cit., 220; Storia, cit., 170 s.), seguito
da F. Bona, «Sulla fonte di Cicero, ‘De oratore’ I, 56, 239-240 e sulla cronologia
dei ‘decem libelli’ di P. Mucio Scevola», in SDHI, 39, 1973, 457, n. 101 (= Lectio
sua cit., II, 652).
31
Cfr. Kunkel, Herkunft und soziale Stellung, cit., 14 s. e Wieacker, Römi
sche Reschtsgeschichte, cit., 543.
32
Basti pensare a una testimonianza quale Cic., Verr. II.1.114 «Posteaquam
ius praetorium constitutum est, semper hoc iure usi sumus: si tabulae testamenti non
proferrentur, tum, uti quemque potissimum heredem esse oporteret, si is intestatus
mortuus esset, ita secundum eum possessio daretur. Quare hoc sit aequissimum facile
est dicere, sed in re tam usitata satis est ostendere omnis antea ius ita dixisse, et hoc
vetus edictum translaticiumque esse».
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Cicerone, di fronte ad uno scellerato edictum novum di Verre, invita con
sferzante ironia i presenti ad affidare a costui i propri giovani affinché possano
apprendere il ius civile: «Cognoscite hominis aliud in re vetere edictum novum, et si-
mul, dum est unde ius civile discatur, adulescentis in disciplinam ei tradite: mirum est
hominis ingenium, mira prudentia». D’altra parte, un’allusione ad una sopravvenu-
ta centralità dell’editto pretorio nell’insegnamento del diritto si riconosce nella fa-
mosa affermazione di Attico in Cic., leg. 1.17 «Non ergo a praetoris edicto, ut pleri-
que nunc, neque a duodecim tabulis, ut superiores, sed penitus ex intima philosophia
hauriendam iuris disciplinam putas», ove si valorizzi il collegamento con il ‘tradere’
menzionato poco oltre (§ 18): «qui aliter ius civile tradunt, non tam iustitiae quam
litigandi tradunt vias» (cfr. G. Falcone, «La ‘vera philosophia’ dei ‘sacerdotes
iuris’. Sulla raffigurazione ulpianea dei giuristi (D. 1.1.1.1)», in AUPA, 49, 2004, 92
[ridimensionerei, peraltro, il peso ivi attribuito all’impiego del termine ‘disciplina’
nel § 17]); ma questo riscontro, in sé preso, può far fede per la metà del I secolo.
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