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A-
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'DIVINA COMMEDìA
•
ffm.
DEL PURGATORIO
CANTO DECIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
I Poeti fcorgono un' Angelo, da cai vitìte loro
moftrato il luogo della fiala , fu la quale
falendo giungono al terzo girone , ove fi pur
ga il peccato dell'Ira : quivi Dante in una
ejfafi rapite vede alcuni efempj di Mattfuetu-
dine ; ofervano poi un' ofcurij^nto^fummo , dal
quitte rimafere coperti .
A »
4 DEL PURGATORIO
Quello 'ufinito ed ineffabil bene,
Che lafsù è, così corre ad amore,
Confa lucido corpo raggio viene.
Tanto fi da, quanto trova d'ardore; : Jf. '
Sì che quantunque carità fi ftende,
Crefce fovr'cffa l'eterno valore. "—
E quanta gente più lafsù s'intende,
Più v'c da bene amare, e più vi s'ama,
E come fpecchio l'uno ali' altro rende .
E fe la mia ragion non ti disfama ,
Vedrai Beatrice: ed ella pienamente
Ti torrà quefta , e ciafcun' altra brama v
Procaccia pur, -che tofto fieno fpente, ' •''
Come fon già le due, le cinque piaghe,
Che fi richiudon per effer dolente .
Com' io voleva dicer: Tu m'appaghe;
Vidimi giunto in fu l'altro girone,
Si che tacer mi fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una vifione
Eftatica di fubito cffer tratto,... . ~. .....
* E vedere in un tempio pia perfone;
E una donna in fu l'entrar con atto
Dolce iìi madre, dicer: Figliuoì mio, '
Perchè hai tu così vej-fo noi fatto? .. .
Ecco dolenti lo tuo padre, ed io
Ti ceicavamo; e. come qui fi tacque,
Ciò, che pareva prima r.difpaila IM
CANTO XV. 5
A
ludi m'apparve un'altra con quell'acque
Giù per le gote, che il dolor diftilla ,
Quaudo per gran difpetto in altrui nacque :
E dir: Se tu fc'fire della villa,
Dei coi nome ne' Dei fu tanta lite,
E onde ogni fcienzia disfavilla,
Vendica te di quelle braccia ardite ,
Cli'-abbracciar noftra figlia, o Pififtrato:
E '1 fignor mi parca benigno, e mite
Rifponder lei con vifo temperato:
Che farem noi a ,chi mal ne defìra ,
Se quei, she ei ama , è per noi condannato?
Poi vidi gejiti acctfe in fuoco d'ira
Con pietre un giovinetto ancider , forte
Gridando a fe pur: Martira, martira:
E lui veitea chinarfi per la morte,
Che 1' aggravava già in ver la terra ;
Ma degli occhi facea fempre al Ciel porte;
Orando ali' alto Sire in tanta guerra, ••.• -• -
Che perdonane a'fuoi perfecutori,
Con quelt'.afpetto, che pietà difteria. -
Quando l'anima mia tornò di fuori - .
Alle cofe, che fon fnor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falfl errori.
Lo Duca mjo , che mi potea vedere
Fat sì com' uom , che dal fonno fi slega ,
DiQ'e : Che hai , che non ti puoi tenere 9
A 3
6 DEL PURGATORIO
Ma fc' venuto più che mezza lega-.
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte,
A guifa di cui vino, o fonno piega?
O dolce padre mio, fe tu m'afcolte,
l'ti dirò, difs'i», ciò, che m'apparve,-'
Quando le gambe mi furon sì tolte.
Ed ei : Se tu aveffi cento larve
Sovra la faccia , non mi farien chiufc
Le tue cogitazion, quantunque parve»
Ciò che vedetti fu , perchè non fcufe
D'aprir lo cuore all'acque della pace,
Che dall'eterno fonte fon diffufe .
Non dimandai: Che hai per quel, che face
Chi guarda pur con l' occhio, che non vede r
Quando difanimato il corpo giace;
Ma dimandai per «tatti forza al piede r : . *'
Così frugar convienfì i pigri lenti
Ad nfar lor vigilia , quando riede .
Noi andavàm per lo vefpero attenti .. . .L
Oltre , quanto poten gli occhi allungarfi ,
Centra i raggi ferotini e lucenti :
Ed ecco a- poco a poco un fummo farfl
Verfo di noi come la notte ofcuro,
Nè da quello era luogo da canfarfi:
Quefto nt tolfe gli occhi, e l'aer puro.
CANTO DECIMOSESTO.
- ARGOMENTO.
A4
8 DEL PURGATORIO
M' andava io per 1' aere amaro e Cozzo,
Afcoltando'1 mio duea, che diceva
Pur : Guarda che da me tu non fie mozzo.
l'fentia voci, e ciafcuna pareva •
Pregar per pace, e per rnifericordia
L'Agnel di Dio, che le peccata leva.
Pure Agnus Dei eran le loro efordia :
Una parola era in tutti , e un modo,
Sì che parca tra effe ogni concordia .
Quei fono fpirti, macftro, ch' i' odo?
Difs'io : ed egli a me : Tu vero apprendi,
E d'iracondia van folvendo'1 nodo.
Or tu chi fe', che'1 noftro fummo fendi,
E di noi parli pur, come fe tue
Partiffi ancor lo tempo per calendi?
Cesì per una voce detto fue:
Onde '1 maeftro mio diffe : Rifpondi ,
-E dimanda, fe quinci fi va sue.
Ed io: O creatura, che ti mondi,
Per tornar bella a colui , che ti fece ,
Maraviglia udirai, fe mi fecondi.
l'ti feguiterò quanto mi lece,
Rifpofe ; e fe veder fummo non lafcia ,
L'udir ci terrà giuntila quella vece .
Allora incominciai : Con quella fafcia,
Che la morte diflolve , men' vo fufo,
E venni qui per la'nfernale ambafcia:
CANTO XVI, p
£ ff Dio mi ha in fua grazia richiufo,
Tanto ch' e' vuoi ch'io veggia la fua Corte
Per modo tutto fuor del modera' ufo ,
Non mi celar chi fofti anzi la morte,
Ma dilmi , e dimmi , s' io vo bene al varea ;
E tue parole fien le noftre fcorte .
Lombardo fui, e fu' chiamato Marco :
Del Mondo feppi , e quel valore amai ,
Al quale ha or ciafcun diftefo V arco :
Per montar fu, dirittamente vai: *
Così rifpofe; e fòggitmfe: Io ti prego,
Che per me preghi, quando fu farai.
Ed io a lui : Per fede mi ti lego . ' '.
Di far ciò, che mi chiedi : ma io fcoppio
Dentro a un dubbio, s'i'non me ne fpiego.
Prima era fcempio, e ora è fatto doppio
Nella fentenzia tua, che mi fa certo
Qui e altrove quello, ov'io l'accoppio.
Lo Mondo è ben così tutto difetto
D'ogni virtute, come tu mi fuonc,
È di malizia gravido e 'coverto:
Ma prego, che m'additi h cagione,
Si ch'io la vegga, e ch'io la moitri altrui:
Che nel Cielo uno, e un quaggiù la pone.
Alto fofpir, che duolo ftrinfe in Hui,
Mife fuor prima, e poi cominciò: Frate,
Lo Mondo è cieco, e tu. vie»' ben da lui.
io DEL PURGATORIO
Voi, che vivete, ogni cagion recate *
Pur fufo al Cielo sì , come fe tutt»
Movefìc feco di neccflfitate .
Se così foffe, in voi -fora diflrutto
Libero arbitrio, e non fori giudizi*
Per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo Cielo i voftri movimenti inizia,
Non dico tutti : ma pofto ch' io '1 dica ;
Lume v'è dato a bene, o a malizia*.
E libero votar: .che fe fatica
Nelle prime battaglie del Ciel dura ,
Poi vince tutto,. fe ben fi notrica.
A maggior forza, e a migliar natura
Liberi foggiacele; e quella cria
La mente invoi,che'1Cìelnon lia in fuacora..
Peri, fe '1 Mondo prefente vi fvia,
In voi è la cagione , in voi fi cheggia ;
Ed io te ne farò or vera fpia .
Efce di mano a lui . che- la vagheggia ,.
Prima' ch» fia, a guifa di faneiùUaip-
Che piangendo e ridendo pargoleggia,.
L'anima fempHcetta-, che fa nulla,
Salvo che moffa da lieto fattore
Volentìer torna a ciò , che la traftulla ^
Di picciol berte in pria fente fapore ;
Quivi s'inganna, e dj'etro * elio corre,
Se guida* ». i'reis- non. torce '1 fuo amore i
CANTO XVI. 11
Onde convenne legge per fren porre :
Convenne rege aver , che difcerneffe
Della vera cictade almen la torre .
Le leggi fon ; ma chi pon mano ad effe ?
Nullo: perocchè'1 paftor, che precede,
Ruminar può, ma non ba l'unghie feffe.
Perchè la gente , che fua guida vede
Pure a quel ben ferire, end' eli' è ghiotta,
Di quel fi pafce, e pifo oltre non chiede .
Ben puoi veder, che la mal* condotta
È la cagion, che'1 Mondo ha ratto reo,
E non natura , che 'n voi fia corrotta .
Soleva Roma, che'1 buon Mondo feo,
Duo Soli aver , che 1' una e 1' altra ftrada
Facèn vedere, e del Mondo, e di De».
L' un l'altro ha Ipento, ed è giunta la fpada
Col pafturale, e )' uno e l'altro infìeme
Per viva forza mal convien che vada:
Perocchè giunti, l'un l'altro -non teme.
Se non mi credi , pon mente alla fpiga :
Ch'ogni erba' fi conofce per lo feme.
In fui paefe, ch' Adice e Pò riga,
Solea valore e cortelia trovarfi,
Prima che Federigo aveffe briga: x
Or può Scuramente indi paflàrfi
. Per qualunque lafciaffe per vergogna
Di ragionar co' buoni, o d' approflarfi .
A 6
li DEL PURGATORIO
Ben v' eittre vecchi ancora, in cui rampogna
L'antica età la nuova, e par lor tardo,
Che Dio a miglior vita li ripogns ;
Currado da Palazzo, e'1 buon Gherardo,
E Guido da Caftel, che me' fi noma
Francefcamente il femplice Lombardo .
Dì oggimai, che la Chfefa di Roma,
Per confondere iu fe duo reggimenti,
Cade nel fango, e sè brutta, e la foma .
O Marco mio, difs'io, bene argomenti;
E or difcerno, perchè dal retaggio
Li figli di Levi furono efenti.
Ma qual Gherardo è quel, che tu per faggio
Di', ch' è rimafa della gente fpenta .
In fimproverio del fecol felvaggio?
O tuo pajlar m'inganna, o e' mi tenta,
Rifpofe a me, che parlandomi Tofco ,
Par che del buon Gherardo nulla i'entri.
Per altro foptanuome i' noi conofco ,
Si' io noi toglie Ili da fua figlia Gaja.
Dio fia con voi, che più ndh vegno vofco.
Vedi l' albor , che per lo fummo raja ,
Già biancheggiare: e me convien partirmi,
L' Angelo e ivi , prima ch' egli paja :
Così parlò , e più non volle udmui .
CANTO DECIMOSETTIMO.
,
ARGOMENTO.
B 3
5o DEL PURGATORIO •
Come avarizia fpenfe a cìafcun ben»
Lo noftro amore , onde operar perdèfi ,
Così giuftizia qui ftretti ne tiene
Ne' piedi e nelle man legati e prefi;
"E quanto fia piacer del giullo Sire,
Tanto ftaremo immobili e diftefi.
Io m' era inginocchiato , e volea dire :
Ma com' i' cominciai , ed ei s' accorfe
Solo afcoltando del mio riverire,
Qual cagion, diffe , in giù così ti torfet
Ed io a lui: Per voftra dignitate
Mia cofcienza dritta mi rimorfe.
Drizza le gambe, e levati fu, frat»,
Rifpofe : non errar : confermo fona
Teco, e con gli altri ad una poteftate.
Se mai quel finto Evangelico fuono,
Che dice tfequi uubcnl , intende/fi,
Ben puoi veder, perch'io così ragiono.
Vattene omai : non vo' , ch: più t' arretri :
Che la tua ftanza mio pianger difagia,
Col qual maturo ciò , che tu dicefti .
Nepote ho io di la, ch'ha nome Alagia,
Buona da fe, pur che la noftra cafa
Non faccia lei per efemplo malvagia i
E quella tuia m' è di là iiu
3'
'CANTO VENTESIMO.
ARGOMENTO.
»
Dtntc fegttitasido colla fua fiorta udì uno fpirito ,
chi -rammentava efempj dì,. Povertà , dal qua
le, fra ìt altre cofe, intcfe, che la natte dell'
anime rifeteanjì csctnpj £ Avarìzia : da quefìo
poi dipaniti feutirono tremar' il manie , e l' a-
nitnz cantar gloria a £>io : dopo di che ripre-
fero nuovamente il cammino .
»4
31 DFX PURGATORIO '
Noi andavam co'paffi lenti e fcarfl :
Ed io attento all'ombre, ch' i'fentia
' Pietofamente piangere e lagnarfi : »
E per ventura udi' : Dolce Maria>
Dinanzi a noi chiamar così liei pianto ,
Come fa donna, che'n partorir Ha;
E fcguitar : Povera fofti tanto ,
• Quanto veder fi può per queil' ofpizio,
• Ove fponefli'1 tuo portato fanto.
Seguentemente intefi : O buon Fabtizio ,
Con povertà volefti anzi virtute ,
Che gran ricchezza poffeder con vizio,
Quefte parole m'eran sì piaciute,
Ch'io mi traflì oltre per' aver contezza
Di quello fpirto, onde parèu venute .
Efib parlava ancor della larghezza ,
Che fece Niccolao" alle pulc'elle,
Per condurre ad onor lor giovinezza .
O anima , che tanto ben favelle ,
Dimmi chi fofti, diffi , e perchè fola.
Tu queftc degne lode rinnovelle.
Non fia fenza mercè la tua parola,
S'io ritorno a compier lo canjmin corto
Di quella vita , ch' al termine vola .
Ed egli: Io ti dirò , non per conforto,
Ch' io attend* di lì , ma perchè tanta
Grazia in te luce prima che Cc morto,
CANTO XX. 33
o
l'fui radice della mala pianta,
Che la terra Criftijna tutta aduggia
Si, che buon frutto rtéo fe ne fcuianta.
Ma fe Doagio, Guanto, Lilla, e B ruggia
4>oteuer , tofto .ije faria vendetta :
Ed io la cheggio a lui , che tutto giuggia .
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta :
Di me fon nati i Filippi e i Luigi,
Per cui novellamente è Francia retta.
Fig!iuo> fui d' un beccajo di Parigi ,
Quando li Regi antichi venncr meno
Tutti, fuor ch'ua renduto in panni bigi,
Trovami ftretto nelle mani il freno
Del governo del regno , e tanta poffa
Di nuovo acquifto, e più d'umici pieno,
Ch' alla corona vedova promoffa
La tefta di mio figlio fu, dal quale •
Cominciar di coftor le facrate olia .
Mentre che la gran dote Provenzale
Al fangue mio non tolfe la vergogna,
Poco valea , ma pur noa facea male .
Lì cominciò con forza, e con menzogna
La fua rapina : e pofcia per ammenda
Ponti, e Normandìa prefe, e Guafcogna .
Carlo venne in Italia, e per ammenda
Vittima fe' di Curradino, e poi
Rifpintè al Ciel Tommafo per ammenda ,
B5
34 DEL PURGATORIO
Tempo vegg'io non molto dopo ancoì,
Che tragga un'altro Coirlo fuor di Francia,
Per far conofcer «Aglio e fc, e i fuoi.
Senz'arme n'efce , e«folo con la lancia,
Con la qual gioftrò Giuda, e quella poni»
Sì, eh' a Fiotenza fa fcoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma pèccata e onta
Guadagnerà per fe tanto piìl grave,
Quanto più lieve fimil danno conta.
L' altro , che già ufcì prefo di nave,
Veggio vender fua figlia , e patteggiarne .
Come fan li corfar dell' altre fchiave .
O avarizia , che puoi tu più farne,
Poi ch' hai '1 fangue mio a te sì tratto,
Che non fi cura della propria carne ?
Perchè men paja il mal futuro , e '1 fatto ,
Veggio in Alagna entrar la fiordalifo ,
E. nel Vicario fuo Crifto efler catto .
Veggiolo un' altra volta effer derifo :
Veggio rinnovellar l'aceto , e'1 fele,
E tra vivi ladroni effere ancifo.''
Veggio '1 nuovo Pilato sì crudele,
Che ciò noi fazia , ma fenza decreto
Porta nel tempio le cupide vele .
O Signor mio , quando farò io lieto
A veder la vendetta , che nafcofa
Fa dolce l'ira tua nel tuo fegceto?
'CANTO XX. 35
Ciò, ch'i' dicea di quell'unica fpofa
Dello Spirico Santo , e che ti fece
Verfo me volger per alcuna chiofa ,
Taut' e difpofto a tutte no/Ire prece ,
Quanto il dì dura; ma quando s'annotta,
Contrario fuon prendemo in quella vece:
Noi ripetiam Pigmalione allotta,
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia fua delitto ghiotta:
E la miferia dell'avaro Mida,
Che feguì alla fua dimanda ingorda,
Per la qual fempre convien che fi rida .
D*l folle Acàm ciafcun poi fi ricorda,
Come furò le fpoglie , sì che l' ira <n
Di Jofuè qui par ch'ancor lo morda.
Indi accufiam col marito Safira:
Lodiamo i calci, ch'ebbe Eliodoro :
Ed in infamia tutto '1 monte gira
Polinneftor, ch'ancife Polidoro:
Ultimamente ci fi grida: Craffo,
Dicci , che '1 fai , di che fapore è J' ore .
Talor parliam 1' un' alto, e l'altro baffo,
Secondo l'affe/ion, ch' a dir ci fprona
Ora a maggiore, ed ora a minor paffo.
Però al ben , che '1 dì ci fi ragiona ,
Dianzi non er' io fol : ma qui da prcffo
.Non alzava la voce altra. perfona .
B 6
36 DEL PURGATORIO
Noi eravam partiti già da eflo,
E bngavam di foverchiar la ftrada
Tanto , quanto al poder n' era permeflo ;
Quand' io feuti', come cofa che cada ,
Tremar ìo monte : onde mi prefe un gielo ,
Qual prender fuol colui , ch' a morte vada.
Certo non fi fcotea sì forte Delo , •
Pria che Latona in lei faceflc'1 nido,
A parturir li du'fcchi del Cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grida
Tal, 'che '1 maeftro in ver di me fi feo,
Dicendo : Non dubbiar , mentr' io ti guido .
Gloria in exceljìs tutti Dea
Dice», per quel ch'io da vicin comprefi,
Onde'ntender lo grido fi potèo.
Noi ci reftammo immobili e fofpefi ,
Come i paftor, che prima udir quel canto,
Fin che'l tremar cefsò, ed ei compièfi.
Po,i ripigliammo noftro cammin fanto,
Guardando l'ombre, che giacèn per terra .
Tornate già in fu Tuùto pianto.
Nulla ignoranza mai cotanta guerra
Mi fe'defideiofo di fapere,
Se la memoria mia in ciò non erra,
Quanta parèmi allor penfando avere:
Nè per la fretta dimandare er' ofo ,
Nè per me 11 potea cofa vedere :
Così m'andava timido e peufofot
37
CANTO VENTES1MOPRIMO.
ARGOMENTO.
A R. G Ot M E
Lo
CANTO XXII.
Lo fecol primo, quant'oto, fu bello:
Fe'favorofe con fame le ghiande, •
E nettare per fete ogni rufcello.
Mele, e locufte furon le vivande,
Che nudiiro il Batifta nel diferto:
Perch'egli è gloriofo, e tanto grande,
Quanto per l'Evangelio v'c aperto.
CANTO VENTESIMOTERZO.
ARGOM.ENTO.
Dante feguendo con Virgilio e Stazio il cammi
no per il fijlo girone vede l'anime de' Golafi ,
eh' erutto ali' cftremo ejlenuati dalla fame e
Hallo. fele; ed il Poeta ragiona collo fpirito -'.
4i Forefe , il quale gli dimoftra la cagione di'. j
cosi fatto dimagramento ; appreffo ji fa a ri-'^
prendere T immodejìo yeftire delle donne Fio- ?
remine.
C *
5a -DEL PURGATORIO
Ed ecco-4el profondo della tefta
Volfeame gli occhi un' ombra , e guardòfifo,
Poi gridò forte : Qual grazia m' è quefta ?
Mai non l'avrei riconofciuto al vifo:
Ma nella voce fua mi fu palefe
Ciò, che Fafpetto in sè avea conquifo.
Quefta favilla tutta mi raccefe
Mia conofcenza alla cambiata labbia,
E ravvifni la faccia di Forefe.
Dch non contendere all'afciutta fcabbia,
Che mi fcolora, pregava, la pelle,
Nè a difetto di carne, ch'io abbia;
Ma dimmi '1 ver di te: e chi fon quelle
Du' anime, che là ti fanno fcorta,
Non rimaner, che tu non mi favelle.
La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
Mi da di pianger mo non minpr doglia ,
Rifpofi lui , veggendola sì torta .
Però mi dì per Dio , che sì vi sfoglia :
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio:
Òhe mal può dir chi o pien d' altra voglia .
Ed egli a me: Dell'eterno configlio
Cade virtù nell' acqua , e nella pianta
Rimala addietro, ond'io sì mi fottiglio.
Tutta cfla gente, che piangendo canta,
Per l'eguitar la gola oltre mifura ,
In fame e'n fece qui fi rifa fama.
CANTO XXIII. sj
Di bere e di mangiar n'accende cura
L' odor, ch' efce del pomo e dello fprazzo ,
Che fi diftende fu per la verdura.
E non pure una volta quefto {pazzo
Girando fi rinfrefca noftra pena :
Io dico pena , e dovre' dir follazzo :
Che quella voglia all'arbore ci mena,
Che menò Crifto lieto a dire Eli ,
Quando ne liberò con la fua vena.
Ed io a lui: Forefe, da quel dì,
Nel qual mutafti Mondo a miglior vita,
Cinqu'anni non fon volti infino a qui.
Se prima fu la poffa in te finita
Di peccar più , che forveniffe i' ora
Del buon dolor, ch' a Dio ne rimarita,
Come fe' tu quafsù venuto ancora?
Io ti credea trovar laggiù di fotto,
Dove tempo per tempo fi riftora.
Ed egli a me: Si tofto m'ha condotto .
A ber 1a dolce affenzio de' martiri
La Nella mia col fuo pianger dirotto.
Con fuo' prieghi devoti , e con fofpiri
Tratto m' ha della cofta , ove s' afpetta ,
E liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più diletta j
La vedovella mia, the tanto amai,. ,
Quanto 'u bene operare è più folcita:
C 3
54 DEL PURGATORIO
Che la Barbogia di Sardigna affai
Nelle femmine fue è più pudica ,
Che la Barbagia, dov'io la lafciai .
O dolce frate , che vuoi tu , ch' io dica ?
Tempo futuro m' è già nel cofpetto,
Cui non farà queft'ora molto antica,
Nel qual farà in pergamo interdetto .
Alle sfacciate donne Fiorentine
L'andar moftrando con le poppe il petto .
Quai Barbare fur mai, quai Saratine,
Cui bifognaffe, per farle ir coverte ,
O fpiritali , o altre difcipline 1
Ma fe le fvergognate fbffer certe
Di quel , che'1 Ciel veloce loro ammanila,
Già per urlare avrian le bocche aperte .
Che fe l'antiveder qui non m'inganna,
Prima fien trifte , che le guance impeli
Colui, che mo fi confola con nanna.
Deh frate , or fa , che più non mi ti celi :
Vedi , che non pur' io , ma quefta gente
Tutta rimira là, dove'l Sol veli.
Perdi' io a lui : Se ti riduci a mente ,
Qual fofti meco, e quale io teco fui,
" Ancor fia grave il memorar prefente.
Di quella vita mi volfe cottui,
Che mi va innanzi, l' altr' jer , quando tonda.
Vi fi moltrò la fuora di colui;
CANTO XXIII. s
E'1 Sol moftrai: coftui per la profonda
Notte menato m'ha da' veri morti
Con queila vera carne, che'1 feconda.
Indi m'han tratto fu li fuoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi, che'1 Mondo fece torti.
Tanto dice di farmi fua compagna,
Ch' io farò là , dove fia Beatrice :
Quivi convien, che fenza lui timagna.
Virgilio è quelli , che così mi dice ;
£ additala: e queft'altr'è quell'ombra,
Per cui fcoffe dianzi ogni pendice
Lo voftro regno , Che da fe la fgombra .
5<S DEL PURGATORIO
*
CANTO VENTESIMOQUARTO.
ARGOMENTO.
C5
58 DEL PURGATORIO
O anima, difs'io, che par' sì vaga
Di parlar meco, fa sì, ch'io t'intenda,
E te, e me col tuo parlare appaga.
Femmina è nata , e non porta ancor benda , .
Cominciò ei , che ti farà piacere
La mia città , come ch' uom la riprenda :
Tu te n' andrai con quefto antivedere :
Se nel mio mormorar prenderli errore,
Dichiarcranlti ancor le cofe vere .
Ma dì , s'io veggio qui colui, che fuore
Traffe le nuove rime , cominciando
Donne , di' aiete intelletto a' amore.
Ed io a lui: Io mi fon un, che, quando
Amore fpira, noto, e a quel modo,
Che detta dentro, vo Bonificando .
O frate, iffa vegg'io, difs'egli, il nodo,
Che'1 Notajo , e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce ftil nuovo , ch' i' odo .
Io veggio ben , come le voftre penne
Diretro al dittator fen' vanno ftrette,
Che delle noftre certo non avvenne.
E qual più a gradire oltre fi mette,
Non vede più dall' uno ali' altro ftilo :
E quafi contentato fi tacette.
Come gli augei , che vernan verfo'l Nilo,
Alcuna volta di lor fanno fchicra,
Poi volan più in fretta, e vanni» in filo ;
CANTO XXIV. 59
Così tutta la gente, che li eta,
Volgendo '1 vifo raffrettò fuo paffo,
E per magrezza, e per voler leggiera.
E come l'uom, che di trottare e laffo,
L.afcia andar li compagni , e sì paffeggia ,
Fin che fi sfoghi l'affollar del caffo;
Sì latelò trapalar la fanta greggia
Forefe, e dietro sacco fen' veniva
Dicendo: Quando fia, ch' i' ti riveggiaZ
Non fo, rifpofi lui , quant'io mi viva:
Ma gii non fia'l tornar mio tanto tofto,
di' io non fia col voler prima alla riva ;
Perocchè '1 luogo. «'fui a viver pofto,
Di giorno in giorno più di ben fi fpolpa »
E a trifta ruina par difpofto.
Or va, difs' ei , che quei, che più n'ha colpa,
Vegg'io a coda d'una beftia tratto
Verfo la valle , ove mai non fi fcolpa .
La beftia ad ogni paffo va più ratto, :.
Crefcendo fempre, infin ch' ella '1 percuote,
E lafcia'l corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote ;
( E drizzò gli occhi al Ciel ) ch' a te fia chiaro
Ciò, che'1 mio dir più dichiarar nou puote.
Tu ti rimani ornai , che '1 tempo è caro
• In qucfto regno sì, ch'io perdo troppo,
Venendo reco sì a paro a paro.
C 6
6o DEL PURGATORIO
Qual' efce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di feliiera , che cavalchi ,
E va per farfi onor del primo intoppo;
Tal fi partì da noi con maggior valchi :
Ed io rimali in via con effo i due,
Che fur del Mondo si gran rnalifcalchi .
£ quando innanzi a noi si entrato fue,
Che gli occhi miei fi fero a lui feguaci ,
Come la mente alle parole fuc,
Parvermi i rami gravidi e vivaci
D'ira' altro pomo, e non molto lontani,
Per effer pure allora volto in laci .
Vidi gente fctt'effo alzar le mani,
E gridar non fa che verfo le fronde,
Quali bramofi fantolini e vani,
Che pregano, e'1 pregato non rifponde;
Ma per fare effer ben lor voglia acuta,
Tian'alto lor diiio , e noi nafconde.
Poi fi parti , sì come ricreduta :
E noi venimmo al grande arbore , ad effo .
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
Trapalate oltre, fenza farvi preffo:
Legno è più fu , che fu morfo da Èva,
E quefta pianta fi levò da effo.
Sì tra le frafche non fo chi diceva :
Perchè Virgilio e Stazio ed io riftre,tti
Oltre andavàm dal lato, che fi leva .
CANTO XXIV. 61
Ricordivi, dicea, de'maladetti
Ne' nuvoli formati, che fatolli
Tefeo combatter co' doppi petti;
E degli Ebrei, ch'ai ber fi moftrar molli,
Perchè non ebbe Gedeon compagni,
Quando in ver Madiàn difcefe i colli-
Sì accoftati ali' un de' duo vivagni j
Paflammo udendo colpe della gola
Seguite già da mileri guadagni.
Poi rallargati per la ftrada fola
Ben mille paffi e più ci portammo oltre,
Contemplando ciafcun fenza parola.
Che andate penfando sì voi fol tre?
Subita voce diffe: ond'io mi fcoflij
Come fan beftie fpaventate e poltre .
Drizzai la tefta per veder chi foffi :
E giammai non fi videro in fornace
Vetri, o metalli sì lucenti e rofli,
Com'i'vidi un, che dicea: S'a voi piace
Montare in fu, qui fi convien dar volta:
Quinci fi va, chi vuole andar per pace.
L'afpetto fuo m'avea la vifta tolta:
Perch'io mi volfi indietro a' miei dottori,
Com' uom, che va, fecondo ch' egli afcolta *
£ quale anniMiziatrice degli albori
L' aura di Maggio muovefi , e olezza
Tutta impregnata dall' erba e da' fiori;
6ì DEL PURGATORIO
Tal mi fenti'un vento dar per mezza
La Fronte : e ben fenti' muover la piuma ,
Che fe' fentìr d' ambrofia Y OKZZH :
E fenti' dir: Beati, cui alluma
Tanto di grazia, che l'amor del gufto
Nel petto lor troppo difir non fuma,
Efuriendo fempre, quanto è giullo.
CANTO VENTESIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
ARGOMENTO.
Quali
CANTO XXVI. 75
Quali nella triftizia di Licurgo
Si fer duo figli a riveder la madre,*
Tal mi fec'io, ma non a tanto infurgo,
Quando i' udi' nomar fe fteffo il padre
Mio , e degli altri miei miglior , che mai
Rime d' amore ufar dolci e leggiadre :
E fenza udire e dir penfofo andai
Lunga fiata rimirando lui,
Nè per ìo fuoco in là più m' appretti! .
Poichè di riguardar pafciuto fui ,
Tutto m'offerfi pronto al fuo fervigio
Con l'affermar, che fia credere altrui. "
Ed egli a me : Tu lafci tal veftigio ,
Per quel ch' i' odo, in me, e tanto chiaro,
Che Lete noi può torre , nè far bigia .
Ma fe le tue parole"tir ver giuraro,
Dimmi, che è cagion, perchè dimoftri
Nel dire e nel guardar d'avermi caro?
U io a lui : Li dolci detti vwftri ,
Che, quanto durerà l'ufo moderno,
Faranno cari ancora i loro inchioftri.
O fhte, diffe, quefti, ch'io ti fcqgio
Col dito (e additò uno fpirt%innanzi)
Fu miglior fabbro del parlar materno:
Verfi d'amoA, e profe di romanzi
Soverchiò tutti; e lafcia dir gli ftolti,
Che quel di Lemosl credcn ch' avanzi :
CANTO VENTESIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.
D a
75 DEL^ PURGATORIO
Sì diffe, come noi gli fummo preflo:
Perch'io divenni tal , quando lo'ntefi,
Quale è colui, che nella foffa è meffo .
In fu le mau commelle mi protefi ,
Guardando '1 fuoco, e immaginando forte
Umani corpi già veduti accefi.
Volferfi verfo me le bu«ne fcorte:
E Virgilio mi diffe : Figliuol mio ,
Qui puote effer tormento , ma non morte .
Ricordati, ricordati: e fe io
Sovr'effo Gerion ti guidai falvo, . •
• Che farò er, che fon più preffo a Dio?
Credi per certo, che fe dentro all'alvo
Di quefta fiamma fteffi ben mili' anni,
Non ti potrebbe far d' un capei calvo .
E fe tu credi forfe, ch'io t'inganni,
Fatti ver lei, e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de' tuo' panni.
Pen giù ornai, pon giù agni temenza:
Volgiti 'n qua , e vieni oltre ficuro .
Ed io pur fermo, e centra cofcienza.
Quando mi vide ftar pur fermo e duro ,
Turbato un poco dine: Or vedi, figlio,
Tra Beatrice, e te è quello muro.
Come al nome di Tisbe aperfe'1 ciglio
Piiamo in fu la morte , e riguardolla ,
Allor che'1 gelfo diventò vermiglio!
CANTO XXVII. 77
Così la mia durezza fatta folla ,
Mi volli al favio duca udendo il nome ,
Che nella mente fempre mi rampolla .
Ond' e' crollò la tetta, e diffe: Come,
Volerne! ftar di qua ? indi forrife ,
Come al fanciul fi fa', ch' è vinto al pome.
Poi dentro al fuoco innanzi mi fi mife,
Pregando Stazio , che veniffe retro ,
Che pria per lunga flrada ci divife .
Come fui dentro , in un bogliente vetro
Gittato mi farei per rinfrefcarmi,
Tant' era ivi lo 'ncendio fenza metro .
Le dolce padre mio per confortarmi
Pur di Beatrice ragionando andava ,
Dicendo : Gli occhi fuoi già veder panni .
Guidavaci una voce, che cantava
Di là : e noi attenti pure a lei
Venimmo fuor là , ove fi montava .
Peniti, benttìitti patris mei,
Sonò dentro a un lume, che li era,
Tal, che mi vinfe, e guardar uol potei.
Lo Sol fen'va, foggiunfe , e vien la fera:
Non v' arretrate , ma ftudiate '1 paflb ,
Mentre che 1' Occidente non s' annera .
Dritta falia la via per entro.'1 faffo
Verfo tal parte, ch'io toglieva i raggi
Dinanzi a me del Sol, ch'era già laffo.
D 3
78 DEL PURGATORIO
E di pochi fcaglion levammo i faggi ,
Che'l Sol corcar per l'ombra, che fi fpenfe,
Sentimmo dietro ed io e gli miei faggi.
E pria che in tutte le fue parti immenfc
Fuffe orizzonte fatto i'un'afpetto,
E notte aveffe tutte "fue difpenfe , -,
Ciafcun di noi d' un grado fece letto :
Che la natura del monte ci affranfe
La pofl'a del fulir , più che '1 diletto .
Quali fi fanno ruminando manfe
Le capre, ftate rapide e proterve,
Sepia le cime , prima che fien pranfe ,
Tacite ali' ombra , mentre che '1 Sol ferve ,
Guardate dal paftor, che'n fu la verga
Poggiato s' è , e lor poggiato ferve :
E quale il mandrian, che fuori alberga
Lungo '1 peculio fuo queto per notta ,
Guardando, perchè fiera non lo fperga;
Tali eravamo tutt' e tre allotta ,
Io come capra, ed ei come paftorì,
Fafciati quinci e quindi dalla grotta .
Poco potea parer li del di fuori ;
Ma per quel poco vedev' io le ftelle
Di lor folere e più chiare e maggiori .
Sì ruminando, e ai mirando in quelle,
Mi prefe '1 fonno; il fonno , che fovente,
Anzi che'1 fatto fia , fa le novelle.
CANTÒ XXVII. 79
Nell'ora, credo, che dell'Oriente
Prima raggiò nel monte Citerea ,
Che di fuoco d' amor par fempre ardente .-
Giovane e bella in fogno mi parca
Donna vederi andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
Sappi.i qualunque'l mio nome dimanda .,
Ch'io mi fon Lia , e vo movendo 'n torno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo fpecchio, qui m' adorno;
Ma mia fuora Radici mai non fi fmaga
Dal fuo ammiraglio, e fiede tutto giorno.
EH'è de' fuo' begli occhi veder vaga,
Com'io dell' adornarmi con le mani:
Lei lo vedere , e me l' ovrare appaga .
E già per li fplendori antelucani ,
Che tanto a i peregrin furgon più gran' ,
Quanto tornando albergan men lontani,
Le tenebre fuggian 4aj:utri i lati ,
E'1 fonno mio con effe : ond' io levami ,
leggendo i gran maeftri già levati .
Quel dolce pome, che per tanti rami
Cercando va la cura de' mortali,
Oggi porrà in pace le tue fami :
Virgilio inverfo me quefte totali
Parole usò; e mai non furo ftrenne,
Che fbfler di piacere a quefte iguali.
So DEL PURGATORIO
Tanto voler fovra voler mi venne
Dell'effer fu , ch' ad ogni patio poi
Al volo mio fentia crefcer le penne.
Come la fcala tutta fotto noi
Fu corfa , e fummo in fu '1 grado fuperno ,
In me ficcò Virgilio gli occhi fuoi ,
E diffe: Iì temperai fuoco, e l'eterno
Veduto hai , figlio , e fe' venuto in parte ,
Ov'io per me più oltre non difcerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte:
Lo tuo piacere omai prendi per duce:
Fuor fe' dell' erte vie, fuor fe' dell' arte.
Vedi là il Sol , che 'n fronte ti riluce :
Vedi l'erbetta, i fiori, e gli arbucelli,
Che quella terra fol da fe produce.
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli,
Che lagrimando a te venir mi fenno,
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli.
Non afpettar mio dir più , nè mio cenno :
Libero, dritto, fano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a fuo fenno :
Perch'io te fopra te corono, e initrio.
CANTO VENTESIMQTTAVO .
ARGOMENTO.
CANTO VENTESIMONONO.
ARGOMENTO.
CANTO TRENTESIMO.
ARGOMENTO.
Tutto
"CANTO XXX. 97
Tutto che'1 vel, che le fcendea di tefta,
Cerchiato dalla fronde di Minerva
Non la lafciaffe parer manifefta ,
Realmente nell'atto ancor proterva
Continuò , come colui , che dice ,
E '1 più caldo parlar dietro riferva :
Guardami beni ben fon, ben fon Beatrice:
Come "degnafti d'accedere al monte?
Non fapei tu , che qui o' 1' uom felice?
Gli occhi mi cadder giù nel- chiaro fonte:
Ma veggendémi in efib io traffi all'erba;
Tanta' vergogna mi gravò la fronte f
Così la madre al figliò par fuperba,
Com'ella parve a me: perchè d'amaro
Senti' '1 fapor della pietate acerba .
Ella fi tacque, e gli Angeli-cantaro
Di fubito in te Domine fperavi ,
Ma oltre peiles meos non paffaro.
Sì come neve tra le vive travi
Per lo dofib d'Italia fi congela,
Soffiata e ftretta dalli venti Schiavi, - .
Poi liquefatta in fe ftefili trapela,
Pur che la terra, che perde ombra, fpiri,
Sì che par fuoco fonderia candela;
Così fui fenza lagrime e fofpiri *
Anzi '1 cantar di que' , eh* notati fcmpre
Dietro alle note degli eterni giri'.
CANTO TRENTESIMOPRIMO.
ARGOMENTO.
Beatrice nuovamente rivolge a Dente il fuo par
lare , e fi fa con più a' ardire a riprenderlo ;
per lo che egli fa indotto a confe/ar ili pro
pria tocca il fuo errore, dal -cai iatenfo rin-
crefcimento cadde a terra tramortito, indi ria-
yutofi fu da Matelda tuffato nslf acque del fu*
are Leu, e tratto ali' altra riva.
E 3
DEL PURGATORIO
Ma quando {coppia dalla propria gota
L'accufa del peccato, in noftra Corte
Rivolge sè contra 'I taglio la ruota .
Tuttavia perchè me' vergogna porte
Del tuo errore, e perchè altra volt*
Udendo le Sirene fie più forte;
Pon giù 'I femc del piangere , ed afcplta :
Sì udirai, come 'n contraria parte
Muover doveati mia carne fepolta.
Mai non t'apprefentò natura ed arte
Piacer, quanto le belle membra, in ch'io
Rinchiufa fui , e che fon terra fparte :
E fe'1 fommo piacer sì ti fatilo
Per la mia morte; qual cofa mortale
Dovea poi trarre te nel fuo difio?
Ben ti dovevi per lo primo ftrale
Delle cofe fallaci levar fufo
Diretr'a me, che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giufo
Ad afpettar più colpi o pargoletta,
O altra vanità con sì breve ufo .
Nuovo augelletto due, o tre afpetta;
Ma dinanzi dagli occhi de' pennuti
Rete fi fpiega indarno , o fi faetta .
Quale i fanciulli vergognando muti
Con gli occhi a terra (larmoli afcoltando ,
E sè riconofcendo, e ripentuti ;
CANTO XXXI. io}
Tal mi ftav'io: ed ella difie: Quando
Per udir fe' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.
Con men di refiftenza fi dibarba
Robufto cerro o vero a noftral vento,
O vero a quel della terra d'Iarba;
Ch'io non levai al fuo comando ii mento:
E quando per la barba il vifo chiefe ,
Ben conobbi '1 velen dell'argomento.
E come la mia faccia fi diftefe,
Pofarfi quelle belle creature
Da loro apparfion l'occhio comprefe :
E le mie luci ancor poco ficure
Vider Beatrice volta in fu la fiera,
Ch'è fola una perfona in duo nature.
Sotto fuo velo e oltre la riviera
Verde pareami più fe fteffa antica
Vincer che l' altre qui , quand' ella e' era .
Di penter sì mi punfe ivi l'ortica,
Che di tutt' altre cofe qual mi torfe
Più nel fuo amer, più mi fi fe'nimica.
Tanta riconofcenza il tcor mi motfe ,
Ch'io caddi vinto, e quale allora femmi,
Salfi colei , che la cagion mi porfe .
Poi quando '1 cor virtù di fuor rendemmi,
LfL donna, ch'io avea trovata fola , .
S«pra me vidi; e dicea: Tiemmi, tiemmi.
E 4
ie>4 DEL PURGATORIO
Tratto m' ave' nel fiume infino a gola,
E tirandoli aie dietro fen'giva
Sovr'effo l'acqua lieve, come fpola.
Quando fu prelìb alla beata riva ,
Afperges me sì dolcemente udiffi ,
Ch' io noi fo rimembrar , non ch' io lo feriva .
La bella donna nelle braccia apriffi :
Abbraceiommi la tefta, e mi fommerfe,
Ove convenne, ch'io l'acqua inghiottiffi :
Indi mi tolfe, e bagnato m'offerfe
Dentro alla danza delle quattro belle,
E ciafcuna col braccio mi coperfe.
Noi fem qui ninfe , e nel Ciel femo (Velie :
Pria che Beatrice difcendeflc al Mondo ,
Fummo ordinate a lei per fue ancelle.
Menrenti agli occhi fuoi : ma nel giocondo
Lume , ch' è dentro , aguzzeran li tuoi
Le tre di là , che miran più profondo :
Così cantando cominciaro: e poi
Al petto del Grifon feco menarmi,
Ove Beatrice volta flava a noi.
Dififer : Fa che le ville non rifparmi :
Pofto t'avem dinanzi agli fmeraldi,
Ond' Amor già ti traffe le fue armi .
Mille difiri più che fiamma caldi
Strinfermi gli occhi agli occhi rilucenti»
Che pur fovra '1 Grifone ftavan fa1di .
CANTO XXXI. i»5
Come in lo fpecchio il Sol , non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava
Or con uni , or con altri reggimenti .
Penfa , Lettor , s' io mi maravigliava ,
Quando vedea la cofa in fe ftar queta ,
E nell'idolo fuo fi trafmutava .
Mentre che piena di ftupore e lieta
L' anima mia guftava di quel cibo,
Che faziando di fe di fe affeta ;
Sè dimoftrando del più alto tribo
Negli atti , l' altre tre fi fero avanti T
Cantando al loro angelico caribo.
Volgi , Beatrice , volgi gli occhi fanti ,
Era la fua canzene, al tuo fedele,
Che per vederti ha moffi paffi tanti.
Per grazia fa noi grazia, che difvele
A lui la bocca tua , sì che difcerna
La feconda bellezza, che tu cele .
O ifplendor di viva luce eterna ,.
Chi pallido fi fece fotto l' ombra
Sì di Parnafo , o bevve in fua citema ,
Che non pareffe aver la mente ingombra ,
Tentando a render te, qual tu parefti
Là, dove armonizzando il Ciel t'adombra,
Quando nell'aere aperto ti folvefti?
E5
io6 DEL PURGATORIO
CANTO TRENTESIMOSECONDO ,
V
ARGOMENTO.
E 6
io8 DEL PURGATORIO
La chioma fua , che tanto fi dilata
Più , quanto più è fu , fora dagl' Indi
Ne'bofchi lor pet altezza ammirata.
Beato fe' , Grifon , che non difcindi
Col becco d'efto legno dolce al gufto,
Eofciachè mal fi torfe'1 ventre quindi:
Così d'intorno all'arbore robufto
Gridaron gli altri: e l'animai binata:
Sì fi conferva il feme d'ogni giufto.
E folto al temo, qh'egli avea tirato,
Traffelo. al pie della vedova frafca;
E quel di lei a lei lafciò legato .
Come le noflre piante, quando calca
Giù la gran luce mifchiata con quella ,
Che raggia dietro alla celefte Lafca,
Turgide- fanfi , e poi fi rinnovella
Di fuo color ciafcuna, pria clic 'I Sole
Giunga li fuoi corfier fott' altra ftella
Men che di rofe , e più che- di viole
Colore aprendo, s'innovò la pianta,
Che prima avea le ramora sì fole.
Io non lo'ntefi; nè quaggiù- fi canta •
L'inno, che quella gente allor cantaro,
Nè la nota fofferfi tutta quanta.
S'io poteffi ritrar, come affonnaro
Gli occhi fpietati udendo di Siringa,
Gli occlù , a cui più vegghiar coftò sì caro;
CANTO XXXn. 109
Come pintor , che con efempio pinga ,
Difegnerei, com'io m'addormentai:
Ma qual vuoi Ca , che l' affannar ben finga :
Però tratterro a quando mi (Vegliai ,
E dico, ch' un fplendor mi fquareiò '1 velo
Del fonno, e un chiamar: Surgi, che fai?
Quale a veder de' fioretti del melo,
Che del fuo pomo gli Angeli fa ghiotti,
E perpetue nozze fa nel Cielo,
Pietro e Giovanni e Jacopo condotti,
E vinti ritornare alla parola ,
Dalla qual furon maggior fonai rotti,
E videro fcemata loro fcuola >
Così di Moisè, come d'Elia,
E al maeftro fuo cangiata ftola;
Tal torna' io : e vidi quella pia
Sovra me ftarfi, che conducitrice-
Fu de'mie'paffi lungo '1 fiume pria:
E tutto 'n dubbio diffi : Ov' è Beatrice I
Ed ella : Vedi lei fotto la fronda
Nuova federfi in fu la fua radice.
Vedi la compagnia, che la circonda:
Gli altri dopo'1 Grifon fen' vanno fufo
Con. piìi dolce canzone e più profonda.
E fe fu più lo fuo parlar diffufo ,
Non fo : perocchè già negli occhi m' era
Quella, eh' ad altro 'ntender m' avea chjufov
no DEL PURGATORIO
Sola fedesfi in fu la terra vera,
Come guardia lafdita lì del plauftro ,
Che legar vidi alla biforme fiera .
In cerchio le facevan di fe elauftro
Le fette ninfe con que'lumi in mano,
Che fon Ccuri d'Aquilone e d'Auftro.
Qui farai tu poco tempo filvano,
E farai meco fanzs fine cive
Di quella Roma, onde Crifto è Romano:
Petò in pro del Mondo , che mal vive ,
Al carro tieni or gli occhi , e quel, che vedi,
Ritornato di là fa, che tu fcrive :
Così Beatricoc ed io, che tutto a' piedi
De' fuo' comandamenti era devoto ,
La mente e gli occhi , ov' ella volle , diedi .
Non fcefe mai con sì veloce moto
Fuoco di fpeffa nube, quando piove,
Da quel confine, che più è remoto;
Com'io vidi calar 1' uccel di Giove
Per 1' arbor giù rompendo delia fcorza,
Non che de' fiori e delle foglie nuove :
E ferìoT carro di tutta fua forza:
Ond' ei piegò , come nave in fortuna
Vinta dall'onde or da poggia, or da orza.
Pofcia vidi avventarfi nella cuna
Del trionfai veiculo una volpe,
Che d' ogni ptfto buon parea digiuna .
CANTO XXXIL li i
Ma riprendendo lei di laide colpe,
La donna mia la volfe in tanta futa,
Quanto foflferfon 1' offa fenza polpe .
Pofcia per indi, ond'era pria venuta,
L'aguglia vidi fcender giù nell'arca
Del carro , e lafciat lei di fe pennuta .
E qual'efce di cor, che fi rammarca;
Tal voce ufct del Cielo , e cotal diffe :
O navicella mia , com' mal fe' carca 1
Poi parve a me, che la terra s'apriffe
Tra 'mbo le ruote ; e vidi ufcirne un drago,
Che per lo carro fu la coda fiffe.
E come vefpa , che ritraggo l' ago ,.
A fe traendo la coda maligna
Traffe del fondo , e giffen' vago vago .
Quel , che rimafe , come di gramigna
Vivace terra , della piuma offerta ,
Forfe con intenzion cafta e benigna,
Si ricoperfe, e funne ricoperta
E l'una e l'altra ruota, e'1 temo in tanto,
Che più tiene un fofpir la bocca aperta .
Trasformato così '1 dificio fanto
Mife fuor tefte per le parti fue,.
Tre fovra '1 temo , e una in ciafcun canto .
Le prime eran cornute, come bue:
Ma le quattro un fol corno avèn per fronte-
Simile moiìro in vifta mai non fue .
nz DEL PURGATORIO
Sicura, quali rocca in alto monte,
Seder fovr'eflo una puttana fciolta
M'apparve con le ciglia intorno pronte .
E come perchè non li foffe tolta ,
Vidi di cofta a lei dritto un gigante :
E baciavano infieme alcuna volta.
Ma perchè l'occhio,cupido e vagante
A me rivolfe , quel feroce drudo
La flagellò dal capo infin le piante .
Poi di fofpetto pieno, e d'ira crudo
Difciolfe '1 moftro , e traffel per la felva
Tanto , che fol di lei mi fece feudo
Alla puttam e alla nuova belva .
CANTO TRENTESIMQTERZO.
ARGOMENTO.
Cco
C A N T O I. iM
Con miglior cotfo , e con migliore ftella
Efcc congiunta , e la mondana cera
Più a fuo modo tempera e fuggella.
Fatto avea di là mnne , e di qua fcra
Tal foce quafi, e tutto era là bianco
Quello emifperio , e l'altra parte nera;
Quando Beatrice in fui finiftro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole:
Aquila sì non gli s' affine unquanco .
E sì come fecondo raggio fuole
Ufcir del primo , e rifalire infufo ,
Pur come Peregrin, che tornar vuole;
Così dell'atto fuwper gli occhi infufo
Nell'immagine mia il mio fi fece,
E fiffi gli occhi al Sole oltre a noftr'ufo.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle noftre virtù , flter'cè 'del loco
Fatto per proprio dell' umana fpcce .
Io noi fofferfi molto, ni sì poto,
Ch'io noi vedefti sfavillar dintorno
Qual fe*ro, ^bollente efce del fuoc*."
E difubife parve giorno a giorno
Effete aggiunto, come quei, che puote,'
Aveffe '1 Ciel d' un altro Sole adorno .
Picatrice tutta nell'eterne ruote m .
Fiffa con gli occhi flava, ed io in lei
Le luci fiflè , di lafsù remote ,
F a
ii4 DEL PARADISO
La providenzia , che cotanto alletta ,
Del fuo lume fa '1 Ciel fempre quieto,
Nel qual Svolge quel, ch'ha maggior fretta:
Ed ora 11, com'a fito decreto,
Cen' porta la virtù di quella corda,
Che ciò, che fcocca, drizza in fegno lieto.
Ver' è, che come forma non s'accorda
Molte fiate alla 'ntenzion dell' arte ,
Perch'a rifponder la materia o forda;
Così da queflo corfo fi diparte
Talor la creatura, ch'ha podere
Di piegar, così pinta , in altra parte.
E sì come veder fi può cadere
Fuoco di nube, fe l'impeto primo
A terra è torto da falfo piacere;
Non dei più ammirar, fe bene ftimo,
Lo tuo falir, fe non come d'un rivo,
Se d' alto monte fcende giufo ad imo .
Maraviglia farebbe in te, fe privo
D'impedimento giù ti foffi affifo,
Com'a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolfe in ver lo Cielo il vifo.
CANTO SECONDO. "
ARGOMENTO.
F3
iz6 DEL PARADISO
Metter potete ben per l'alta fale
Voftro navigio , fervando mio folco
Dinanzi ali' acqua, che ritorna eguale.
Que'gloriofi , che paffaro a Coleo,
Non s' ammiraron , come voi farete,
Quando Jafon vider fatto bifolco.
La concreata e perpetua fete
Del deiforme regno cen' portava
Veloci quafi come'l Ciel vedete.
Beatrice in fufo , ed io in lei guardava :
E forfe in tanto, in quanto un quadre1 pofa,
E vola, e dalla noce fi difchiava,
Giunto mi vidi, ove mirabil cofa
Mi torfe '1 vifo a fe : e però quella .
Cui non potea mi'ovra effere afcofa,
Volta ver me sì lieta come bella :
Drizza la mente in Dio grata, mi difle,
Che n'ha congiunti con la prima (Iella.
Pareva a me, che nube ne coprifle
Lucida fpeffa folida e pulita,
Quafi adamante, che lo Sol ferule.
Per entro sè l'eterna margherita
Ne ricevette, com' acqua recepì
Raggio di luce, permanendo unita .
S'io era corpo, e qui non fi concepe,
Com' una dimenfione altra patio,
Ch'effer convieu fe corpo in corpo repe.
C A N T O IL 127
Accender ne dovria piìi il difio
Di veder quella efienzia, in che fi vede,
Come noftra natura e Dio s' unìo .
Lì fi vedrà ciò, che tencm per fede,
Non dimoftrato, ma fia per fe noto
A guifa del ver primo , che 1' uom crede .
Io rifpofi : Madonna , sì devoto,
Quant'efler poffo più, ringrazio lui,
Lo qual dal mortai Mondo m' ha rimoto .
Ma ditemi, che fon li fegni bui
-Di quefto corpo, che laggiufo in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui?
Ella forrife alquanto ; e poi : S' egli erra
L'opinion, mi diffe, de' mortali,
Dove chiave di fenfo non differra,
Certo non ti dovrien punger li ftrali
D' ammirazione omai : poi dietro a' fenfi
•Vedi , che la ragione ha corte 1' ali .
Ma dimmi quel, che tu da te ne penfi.
Ed io: Ciò, che n'appar quafsù diverto,
Credo che'1 fanno i corpi rari e denfi.
Ed ella : Certo affai vedrai fommerfo
Nel falfo il creder tuo, fe bene afcolti
L'argomentar, ch'io li farò awerfo.
La fpéra ottava vi dimoftra moki
Lumi, li quali nel quale, e nel quanto
Notar fi poQon di diverfl volti .
DEL PARADISO
Se raro e denfo ciò faceffer tanto ,
Una fola viriù farebbe in tutti
Più e men diftributa , ed altrettanto .
Virtù diverfe effer convengon frutti
Di principi formali , e quei, fuor ch'uno,
Seguiterieno a tua ragion diftrutti.
Aucor fe raro foffe di quel bruno
Cagion , che tu dimandi ; od oltre in parte
Fora di fua materia sì digiuno
Efto Pianeta, o sì come comparte
Lo graffi) e'1 magro un corpo, così quefta
Nel fuo volume cangerebbe carte.
Se '1 primo foffe , fora manifefto
Nell'eeliffi del Sol, per trafparere
Lo lume , come in altro raro ingeilo .
Quefto non è; però è da vedere
Dell' altro : e s' egli avvien , ch' io l' altro caffi ,
Falfificato fu lo tuo parere.
S'egli è, che quefto raro non trapaffi,
Effer conviene un termine , da onde
Lo fuo contrario più paffar non laffi :
E indi l'altrui raggio fi rifonde
Così, come color torna per vetro,
Lo qual diretro a fe piombo nafconde .
Or dirai tu , ch' el fi dimoftra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
Per cfler lì rifratto pii» a retro .
C A.N T O II. iij
Da quefta inftanzia può dilibetatti
Efperienza , fe giammai la pruovi ,
Ch' efler fuol fonte a' rivi di voftre atti .
Tre fpecchi prenderai , e due rimuovi
Da te d' un modo , e l' altro più rimoffo
Tr' ambo li primi gli occhi tuoi ritruovi i
Rivolto ad effi fa, che dopo'1 doffo
Ti ftea un lume , che i tre fpecchi accenda ,
E torni a te da tutti ripercoflb :
Benchè nel quanto tanto non fi ftenda
La vifta più lontana, li vedrai
Come convien , ch' egualmente tifplenda .
Or 'come a i colpi degli ealdi rai
Della neve riman nudo'l fuggetto , (
E dal colore, e dal freddo prunai;
Così rimafo te nello 'ntelletto
Voglio informar di luce sì vivace,
Che ti tremolerà nel fuo afpetto .
Dentro dal Ciel dell.i divina pace
Si gira un corpo, nella cui virtute
L'effer di tutto fuo contento giace.
Lo Ciel feguente, ch'ha tante vedute,
Queil' elfcr parte per diverfe effenzc
Da lui jliftinte , e da lui contenute .
Gli altri giron per varie differenze
Le diftinzion, che dentro da fe hanno,
Difpengono a lor fini , e lor femenze .
F5
ijo DEL PARADISO
Quefti organi del Mondo così vanno , .
Come tu vedi ornai, di grado in grado,
Che di fu prendono, e di fotto fanno*
Riguarda bene a me sì com' io vado
Per quefto loco al ver, che tu difiri,
SI che poi fappi foi tener lo guado.
Lo moto e la virtù de' fanti giri ,
Com« dal fabbro l'arte del martello ,
Da' beati motor convien che fpiri .
E'1 Ciel, cui tanti lumi fanno bello.
Dalla mente profonda , che lui volvs ,
Prende l' image , e faffene fuggello .
E come l'alma dentro a voftra. polve
Per differenti membra, e conformate
A diverfe potenzie, fi rifolve;
Così l' intelligenza fua bontate • . -
Multiplicata per le ftelle fpiega, •
Girando sè fuvra fua unitale .
Virtù diverfa fa diverfa lega
Col preziofo corpo , che l' avviva ,
Nel qual, sì come vita in voi, fi lega.
Ter la natura lieta , onde deriva ,
La virtù mifta per lo corpo luce,
Come letizia per pupilla viva .
Da effa vien ciò, che da luce a luce
Par differente, non da denfo e raro:
Effa è formai principio, che produce,
Conforme a fua bontà, lo tuibo e'1 chiaro.
CANTO TERZO.
ARGOMENTO.
F 6
13* DEL. PARADISO
Tornan de'noftri vifi le poftille
Debili si, che perla in bianca fronte
Non vien men tofto alle noftrc pupille ;
Tali vid' io più facce a parlar pronte :
Perch'io dentro all'error contrario corG
A quel , ch' accefe amor tra l' uomo e '1 fonte ,
Subito , sì com' io di lor m' accorfl ,
Quelle (limando fpecchiati fembianti,
Per veder di cui fbffer gli occhi torfi,
E nulla vidi , e ritorfili avanti
Dritti nel lume della dolce guida,
Che forridendo ardea negli occhi fanti .
Non ti maravigliar , perch'io forrida,
Mi diffe, appreffo'1 tuo pueril quoto,
Poi fopra '1 vero ancor lo piè non fida ,
Ma te rivolve, come fuole, a voto;
Vere fuftanzie fon ciò , che tu vedi ,
Qui rilegate per manco di voto .
Però pada con effe, e odi e credi,
Che la verace luce , che le appaga ,
Da fe non lafcia lor torcer li piedi .
Ed io all'ombra, che parca più vaga
Di ragionar , drizzami , e cominciai
Quafi com' uom , cui troppa voglia fmaga ",
O ben creato fpirito, che a' «i
Di vita eterna la dolcezza fenti,
Che non guftata non s'intende mai ,
CANTO TU. 133
Graziofo mi fla , fe mi contenti
Del nome tuo, e della voftra forte:
Ond'ella pronta, e con occhi ridenti :
La noftra carità non ferra porte
A giulla voglia , fe non come quella ,
Che vuoi Ornile a fe tutta fua Corte.
Io fui nel Mondo vergine forella :
E fe la mente tua ben mi riguarda,
Non mi ti celerà l' effer più bella ,
Ma riconefcerai, ch'io fon Piccarda,
Che pofta qui con quefti altri beati
Beata fon nella fpera più tarda.
Li noftri aSetti , che folo infiammati
Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letizian del fu' ordine formati:
E quefta forte , che par giù cotanto ,
Però n'è data , perchè fur negletti
Li noftri voti , e voti in alcun canto .
Ond'io a lei: Ne' mirabili afpetti
Voftri rifplende non fo che divino ,
Che vi trafmuta da' primi concetti :
Però non fui a rimembrar feftino ;
Ma or m'ajuta ciò, che tu mi dici,
Sì che raffigurar m' è più Latino .
Ma dimmi: voi, che flete qui felici,
Difiderate voi più alto loco
Per più vedere , o per più farvi amici ?
134 DEL PARADISO
Con queil' altr' ombre pria forrife un poco:
Da indi mi rifpofe tanto lieta ,
Ch'arder parca d'amor nel primo foco:
Frate, la noftra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel, ch' averno, e d'altro non ci affcta.
Se difiaffimo effer più fuperne,
Foran diftordi gli noftri diflri
Dal voler di colui , che qui ne cerne :
Che vedrai non capere in quefti giri ;
S'effere in caritate è qui necefic,
E fe la fua natura ben rimiri :
Anzi è formale ad effo beato effe
Tenerli dentro alla divina voglia ,
Perch' una fanfi noftre voglie ftcffe .
Si che come noi fem di foglia in foglia
Per quefto regno, a tutto '1 regno piace,
Com'allo Re, ch'a fuo voler ne'nvoglia:
E la fua volontade è noftra pace:
Ella è quel mare, al qual tutto fi muove
Ciò, ch'ella cria, e che Natura face.
Chiaro mi fu allor, com'ogni dove
In Cielo e Paradifo, tifi la grazia
Del Sommo Ben d'un modo non vi piove.
Ma sì com'egli avvien, s'un cibo fazia,
E d'un' altro rimane ancor la gola,
Che quel a chiere , e di quèl fi ringrazia j
CANTO III. 135
Così fec' io con atto e con parola
Per apprender da lei qual fu la tela,
Onde non traffe infino al cò la fpola.
Perfetta vita ed alto merco inciela
Donna più fu , mi diffe , alla cui norma
Nel voftro Mondo giù fi vefte , e vela ;
Perchè 'nfino al morir fi vegghi e dorma
Con quello fpofo , ch' ogni voto accetta ,
Che cariiate , a fuo piacer , conforma .
Dal Mondo per feguirla giovinetta
Fuggimmi , e nel fu' abito mi chiufi ,
E promifi la via della fua fetta.
Uomini poi a mal più ch' a bene ufi
Fuor mi rapiron della dolce chioftra :
Dio lo fi fa , qual poi mia vita fufl .
E queiV altro fplendor, che ti fi moftra
Dalla mia deftra parte , e che s' accende
Di tutto '1 lume della fpera noftra ,
Ciò , eh' ip dico di me , di fe intende :
Sorella fu , e così le fu tolta
Di capo 1' ombra delle facre bende .
Ma poi che pur' al Mondo fu rivolta
Centra fuo grado, e contra buona ufanza,
Non fu dal vel del cor giammai difciolta .
Queft' è la luce della gran Goftanza ,
Che del fecondo vento di Soave
'1 terzo, e l'ultima poftanza .
156 'DEL PARADISO
Così patlommi: e poi cominciò Ave,
Maria, cantando; e cantando vanìo,
Come per acqua cupa cofa grave.
La vifta mia , che tanto la feguìo ,
Quanto poffibil fu , poi che la perfe ,
Volfefi al fegno di maggior difio ,
Ed a Beatrice tutta fi converfe :
Ma quella folgorò nello mio fguardo
Sì, che da prima il vifo noi fofferfe:
E ciò mi fece a dimandai più tardo .
«37
CANTO QUARTO.
ARGOMENTO.
CANTO QUINTO.
ARGOMENTO.
Apri
C A N T O V. 145
Apri la mente a quel , eh' io ti palefo ,
E fermalvi entro : che non fa fcienza
Senza lo ritenere avere intefo.
Due cofe fi convegnono aH'eflenza •*
Di quefto facriflcio: l'una è quella,
Di che fi fa; l'altra è la convenenza.
Queft' ultima giammai non fi cancella',
Se non fervuta , ed intorno di lei .. .
Sì precifo di fopra fi favella: - .; li
Però neceffitato fu agli Ebrei
Pur l' offerere , ancor che alcuna offerta
Si permntaffe , come làper dei . : .'
L' altra , che per materia t'è aperta,
Puote bene effer tal, che non fi 'falla, "-
Se con altia materia fi converta. . '. • .
Ma uon trafmuti carce alla fua fpalla
Per fuo arbitrio alcun fenza la volta
E della chiave bianca e della gialMt:.
Ed ogni permutanza credi ilolta,
Se la cofa dimeflà in la forpreft,
Come '1 quattro ineTfei , non è raccolta .
Però qualunque cofa tanto pefa
Per fuo valer, che tragga ogni bilancia,
Soddisfar non fi può con altre fpefa.
Non prendano i modali il voto a ciancia :
Siate redeli , ed a ciò far non bieci-, •
Come fu lepte alla fua prima mancia ;
Ga
J48 DEL PARADISO
Così da un di quelli fpirti pii
Detto mi fu; e da Beatrice: Di di
Sicuramente, e credi come a Dii.
Io veggio ben, sì come tu t'annidi
Nel proprio lume , e che dagli occhi il traggi ,
Perch'ei comifca, sì come tu ridi:
Ma non fo chi tu fe', nè perchè aggi,
Anima degna, il grado della fpera,
Che fi vela a' mortai con gli altrui raggi:
Quello difs' io diritto alla lumiera ,
Che pria m'avea parlato: ond'ella feffi
Lucente più affai di quel, ch' eli' era.
Sì come '1 Sol , che fi cela egli fteffi
Per troppa luce, quando '1 caldo ha rofc
Le temperanze de' vapori fpeffi;
Per più letizia sì mi fi nafcafe
Dentro al fuo raggio la figura fanta ,
E così chiufa chiufa mi rifyoie
Nel modo, che'l ieguente canto canta.
149
CANTO SESTO.
ARGOMENTO. ., ,. •
G3
DEL PARADISO
E prima ch'io all'opra foffi attento,
Una natura in Crifto effer, non piùe
Credeva , e di tal fede era contento .
Ma il benedetto Agabito , che fue
Sommo Pattare, alla Fede fincera
Mi dirizzò con le parole fue .
lo gli credetti : e ciò , che fuo dir' era
Veggio ora chiaro , sì come tu vedi ,
Ogni contraddizione e falfa e vera.
Tofto che con 1a Chdefa molli i piedi ,
A Dio per grazia piacque di fpirarmi
L'alto lavoro, e njtto in lui mi diedi.
E al mio Bellifar commendai l'armi,
Cui la deftra del Ciel fu si congiunta ,
Che fegno fu, ch'io doveffi pofarmi.
Or qui alla quiflion prima- s' appunta
La mia rifpofta; ma la condizione
Mi ftringe a feguitare alcuna giunta ,
Perchè tu veggi con quanta ragione
Si muove contra'1 fagrofanto fegno
E chi '1 s' appropria , e chi a lui s' oppone .
Vedi quanta virtù 1' ha fatto degno
Di riverenza, e cominciò dall'ora,
Che Pallante mori , per darli regno .
Tu fai , ch' e' fece in Alba fua dimora
Per trecent'anni, ed oltre infine al fine,
Che tre a tre pugnar per lui ancora .
CANTO VI. i$i
Sai quel, che fé' dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrczia in fette Regi,
Vincendo 'ntorno le genti vicine .
Sai quel, che fe' portato dagli egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pino,
Incontro agli altri Prineipi e collegi:
Onde Torquato , e Quìntio , che dal cirt»
Negletto fu nomato, e Deci, e Fabi
Ebber la fama, che volentier mirro.»
Effo atterrò l'orgoglio degli Arabi,
Ciie diretro ad Annidale paffaro
L'alpfelre rocce, Pò, di che tu labi.
Sott'effo giovanotti trionfare
Scipione , e Pompco , ed a quel colle ,
Sotto '1 qual tu nalcefti , parve amaro .
Poi preffo al tempo, che tutto '1 Ciel volle
Ridar lo Mondo a fu o modo fereno,
Cefare per voler di Roma il tolle:
E quel , che fe' da Varo infino al Reno,
Ifara vide, ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle , onde '1 Rodano è pieno .
Quel, che fe', poi ch' egli ufci di Ravenna,
E faltò'l Rubicon, fu di tal volo,
Che noi feguiteria lingua , nè penna :
In yer la Spagna rivolfe lo ftuolo:'
Poi ver Durazzo, e Farfaglia percoffe
Sì, ch'ai NU. caldo C fentì del' duolo,
G4
i?2 DEL PARADISO
Antandro e Simoertta, onde fi mofle,
Rivide, e là, dov' Ettore fi cuba,
E mal par Tolommeo poi fi lifcoffe.
Da onde venne folgorando a Giuba :
Poi fi rivolfe nel voftro Occidente ,
Dove feutia la Pompejana tuba .
Di quel, che fe' col bajulo feguente,
Bruto con Caffie nello 'nferno latra,
E Modona e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trifta Cleopafra,
Che, fuggendogli innanzi , dal colubr»
La morte prefe fubitana ed atra.
Con coftui corfe infmo al lito rubro:
Con toftui pofe'1 Mondo in tanta pace,
Che fu ferrato a Giano il fuo delubro .
Ma- ciò, che'l fegno, che parlar mi tace,
Fatto avea prima, e poi era fatturo
Per lo regno mortai, eh' a lui foggiace,
Diventa in apparenza poco e fcuro,
Se in mano al terzo Cefare fi mira
Con occhio chiaro, e con affetto puro :
Chela viva giuftizia, che mi fpira,
Gli concedette in mano a quel , ch'io dico,
Gloria di far vendetta alla fua ira .
Or qui f ammira in ciò , ch' io ti replicoa
Pofcia con Tito a far vendetta corfe
Della vendetta del peccato antica.
C A N T O VI. 153
E qaanclo'1 dente Longobardo morfe
La Santa Chiefa , fotto alle fue ali
Carlo Magno vincendo la foccorfe.
Ornai puoi giudicar di que'cotali,
Ch'io accufai di fopra, e de'lor falli,
CUe fon cagion di tutti i voftri mali.
L' uno al pubblico fegno i gigli gialli
Oppone , e l'altro appropria quello a patte,
Sì ch' è forte a veder qual più fi falli .
Faccian gli Ghibellin , faccian lor' arte
Sott' altro fegno : che mal fegue quello
Sempre .chi la giuftizia, e lui diparte :
E non l' abbatta efto Carlo novello
Co' Guelfi fuoi, ma tema degli artigli ,
Ch'a più alto leon traffer lo vello.
Molte fiate già pianfcr gli figli
Per la colpa del padre : e non fi creda,
Che Dio trafmuti l'armi per fuoi gigli.
Quefta picciola ftella' fi correda
De' buoni fpirti , che fon flati attivi ,
Perchè onore e fama gli fucceda :
E quando li deliri poggian quivi,
Sì difviando pur convien, che i raggi
Del vero amore in fu poggin men vivi .
Ma nel conmenfurar de'noftri gaggi
Col merto è parte di noftra letizia ,
Perchè non li vedèn minor , nè maggi -
154 DEL PARADISO
Quinci addolcifce la viva giuftizia
In noi l'affetto sì, che non fi puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
Diverfe voci fanno dolci note ; y
Così divertì (canni in noftra vita
Rendon dolce armonia tra quefte ruote .
X dentro alla prefente margherita
Luce la luce di Romèo , di cui
Fu l'opra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzali, che fer centra lui,
Non hanno rifo: e però mal cammina
Qual fi fa danno del beri fare altrui .
Quattro figlie ebbe, e ciafcuna Reina ,
Ramondo Berlinghieri , e ciò gli fece
Romèo perfona umile, e peregrina:
E poi il moffer le parole biece
A dimandar ragione a quello giuilo ,
Che gli aflcgnò fette e cinque per diece .
Indi pa ràffi povero e vetufte:
E fe'l Mondo fapeffe'1 cor, ch'egli ebbe
Mendicando fua vita a frutto a frullo,
A fi;,; lo loda, e pii) lo lederebbe.
CANTO SETTIMO.
ARGOMENTO.
G 6
1S6 DEL PARADISO
Poco fofffcrfè me cotal Beatrice,
E cominciò raggiandomi d'un tifo-
Tal , che nel fuoeo faria l' uom felice :
Secondo mio infallibile avvifo,
Come giufta vendetta giuftamente
Punita foffe , t' hai in penfler mifo :;
Ma io ti folverò tofto la mente :
E tu afcolta , che le mie parole
Di gran fentenzia ti faran prefente ,
Per non {offrire alla virtù, che vuole
Freno a fuo prode, queil' uom, che non nacque
Dannando sè dannò tutta fiia prole i
Onde 1' umana fpezie inferma giacque
Giù per fecoli molti in grande errore,
Fin ch'ai Verbo di Dio di fcender piacque.
U'ia natura, che dal fuo Fattori
S'era allungata, unìo a fe in perfona.
Con l'atto. fol del fuo Eterno Amore.
Or drizza il vifo a quel che fi ragiona ..
Quefta natura al fuo Fattore unita ,
Qua! fu creata , fu lmcerà e buona t
ìAa per fe ftefia pur fu ella sbandita
Di Paradifo, perocchè fi torfc
Da via di verità , e da fua vita .
£a pena dunque, che la Croce porfe,
S'alia natura aflunta fi mifura,
Nulla giammai sì giuftanicute morfe t
CANTO VII. 157
E così uulla fu di tanta ingiura ,
Guardando alla perfona, che fofferfe,
In che era contratta tal natura.
Però d' un' atto ufcir cofe diverfe :
di' a Dio, e a' Giudei piacque una morte:
Per lei tremò la Terra, c'l Ciel s'aperfe.
Non ti dee oramai parer più forte,
Quando fi dice, che giufta vendétta.
Pofcia vengiata fu da giufta Corte'.
Ma i' veggi' or la tua mente riftretta
Di penfiero in penfier dentro ad un nodo,
Del q«al con gran difìo folver s' afpetta.
Tu dici: Ben difcerflo ciò, ch' i' odo :
Mn perchè Dio volefie , m' è occulto ,
A noflrra redenzion pur quefto modo ,
Quefto decreto , frate , fta fepulto
Agli occhi di dafcuno , il cui ingegno
Nella fiamma d'amor non è adulto..
Veramente, però ch' a quefto fegno--- •-'' -
Molto C mira , e poco fi difcerne,
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La Divina Bontà , che da fe fperne
Ogni livore , ardendo in fe sfavilla ,
Si che difpiega le bellezze eterne.
Ciò, che da lei fenza mezzo diftilla,
Non ha poi fine , perchè non fi muove
La fua imprenta , quand' ella figiila.*
i58 DEL PARADISO
-Ciò , che da effa fanza mezzo piove ,
Libero è tutto, perchè non foggiace
Alla virtute delle cofe nuove .
Più l'è conforme, e però più le piace :
Chel'ardor fanto, ch'ogni cofa raggia,
Nella più fimigliante è più vivace.
Di tutte quefte^ofe s' avvantaggia
L'umana creatura, e s'una manca,
Di fua nobilita convien che eaggia .
Solo il peccato è quel , che la disfranca ,
£ falla ditlimilc al Sommo Bene ,
Perchè del lume fuo poco s' imbianca :
£d jii fua dignità mai non riviene,
Se non riempie , dove colpa vota ,
Contra mal dilettar con giufte pene.
Voftra natura , quando peccò tota
Nel feme fuo, da quefte dignitadi,
Come di Paradifo, fu remota :
Nè ricovrar poteafi , fe tu badi
Ben fottilmente , per alcuna via,
Senza paffar per un di quefti guadi :
O che Dio folo per fua cortefia
Dimeffb aveffe , o che l' uom , per fe idi»
Aveffe foddisfatto a fua follìa .
Ficca mo l' occh io per entro l' abiffo
Dell'eterna configlio, quanto puoi
Al mio parlar diftrettamente fiffo .
CANTO VII. I5j»
Non potea l'uomo ne' termini fuoi
Mai foddisfar , per non potere ir giufo
Con umiltate , obbediendo poi ,
Quanto difubbidendo intefe ir fufo :
E quefta è la ragion, perehè l'upm fue
Da poter foddisfar per fe difchiufo .
Dunque a Dio convenia con le vie fue
Riparar l'uomo a fua intera vita,
Dico con l'una, o ver con ambedue.'- »
Ma perchè l'ovra tauro è più gradita
Dell' operante, quanto più apprefenta
Della bontà del core , ond' è ufcita ;
La Divina Bontà, che'1 Mondo impronta ,
Di proceder per tutte le fue vie
A rilevarvi fufo fu contenta:
Nè tra l' ultima notte e 'ì primo die
Sì alto e sì magnifico proceffo
O per l'uno, o per l'altro fue, o fi«:
Che più larga fu Dio a dar fe fteffo,
In far l' uom fufficiente a rilevarli ,
Che s' egli aveffe fol da fe dimeflo.
E tutti gli altri modi erano fearfi
Alla giuftizia , ft'l Figliuol di Dio
Non foffe umiliato ad incarnare.
©r per empierti bene ogni difio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco ,
Perche tu veggi lì così , coni' io .
i6a DEL PARADISO
Tu dici : Io veggio l'aere, io veggio 'ì foce,
L' acqua, e la terra, e tutte lor rnittur<r
Venire a corruzione , e durar poco :
E quefte cofe pur fur creature ,
Perchè fc ciò, ch'ho detto, è flato vero,
Effer dovrian da corruzion ficure .
Gli Angeli , frate , e'1 paefe (incero,
Nel qual tu fe', dir fi poflbn creati ,
Sì come fono in loro effere intero :
Ma gli elementi , che tu hai nomati ,
E quelle cofe, che di lor fi fanno,
Da Creata virtù fono intormati.
Creata fu la materia , ch'egli hanno :
Creata fu la virtù informante
In quefte (Ielle , che 'ntorno a lor vanno .
L' anima d' ogni bruto, e delle piante
Di compleffion potenziata tira
Lo raggio e '1 moto delle luci fante .
Ma noftra vita fenza mezzo fpira
La fomma beninanza, e la 'nnamora
Di fe , sì che poi fcmpre la difira .
E quinci puoi argomentare ancara
Voftra refurrezion , fe tu ripentì
Come l'umana carne fedi allora,
Che li primi parenti intrambo fenfi .
lèi
CANTO OTTAVO.
ARGOMENTO.
CANTO NONO.
ARGOMENTO.
Queflo
CANTO IX. i69
Quefto centefim' anno nncor s'incinqua:
Vedi fe far fi dee l' uomo eccellente ,
Sì ch'altra vita la prima relinqua:
E ciò non penfa.la turba prefente,
Che Tagliamento , e Adfce richiude,
Nè per effer battuta ancor fi peute .
tofto fia , che Padova al palude
Cangerà l'acqua, che Vicenza bagna,
Per effere al dover le genti crude.
E dove Silc, e Cagnan s'accompagna,
Tal fignoreggia,^ va con la tefta alta,
Che già per lui carpir fi fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la diffalta
Dell'empio fuo paftor, che farà fconcia
Sì, che per fimil non s'entrò in Malta.
Troppo farebbe larga la bigoncia^
Che riceveffe '1 fangue Perrarefe ,
E fianco chi'l pefalfe ad oncia ad oncia,
Che donerà quefto prete cortefe,
Per moftrarfi di parte: e cotai doni
Conformi fieno al viver del paefe .
Su fono fpecchi, voi dicete Troni,
Ortae rifulge a noi Dio giudicarli:?,
Sì cTSt queir! parlarne pijon buoni. -
Qui fi tacette , e fccemi femtìlaute, * " .
Che foffe 13 altro volta , per la ruota ..
In che fl mife , com'era davante. • - •
Dante , Tomo IL M
J7o DEL PARADISO
L'altra letizia, che m'era già nota,
Preclara cofa mi fi fece in vifta,
Qual fin balafcio, in che lo Sol percuota.
Per letiziar lafsù fulgor s' acquifta ,
Sì come rifo qui : ma giù s'abbuja
L'ombra di fuor, come la mente è trifta.
Dio vede tutto, e tuo veder s'illuja,
Difs'io, beato fpirto , sì che nulla
Voglia di fe a te puote effer fuja.
Dunque la voce tua , che '1 Ciel trafiulia
Sempre col canto di que' fuochi pii ,
Che di fci ale fannofi cuculia ,
Perché non foddisface a' miei diflit
Già non attenderemo tua dimanda,
S'io m'intuaffi, come tu t'immii.
' La maggioj? valle , in che l'acqua fi fpanda,
Incominciaro allor le fue parole,"
Fuor di qud mar, che la terra inghirlanda,
Tra difcordanti. liti centra '1 Sole
JTanto fen'va, che fa meridiano
Là , dove l'orizzonte pria far fuolc.
Di quella valle fu' io littorano
Tra Ebro e Macra, che per cammin coria
Le Geuovefe parte dal Tofcano . <»
Ad un'occafo quafi e ad un'orto
Buggea fiede , e la Terra , ond' io fui ,
Che fe' del fangue fuo già caldo il porto.
CANTO IX. 171
Folco mi difie quella gente, a cui
Fu noto il nome mio: e quefto Cielo
Di me s' imprenta , com' io fe' di lui :
Cbe più non arfe la figlia di Belo,
Nojando ed a Sicheo e a Creufa ,
Di me, infin che fi convenne al pelo:
Nè quella Rodopea, che delufa
Fu da Demofoonte, nè Alcidc, *
Quando Jole nel core ebbe richiufa .
Non però qui fi pente, ma fi ride,
Non della colpa, eh' a mente non torna,
Ma del valor , eh' ordinò e provvide .
Qui fi rimira nell'arte, ch'adorna
Con tanto affetto , e difcernefi '1 bene
Perchè al Mondo di fu quel di giù torna .
Ma perchè le tue voglie tutte piene
Ten' porti , che fon nate in quella fpera,
Procedere ancor' oltre mi conviene.
Tu vuoi faper chi è 'n quefta lumiera ,
Che qui apprcflb me così fondila,
Come raggio di Sole in acqua mera .
Or fappi, che là enwo fi tranquilla
Raab, ed a noft' ordine congiunta
Di lui nel fommo grado fi figiila.
Da quefto Cielo, in cui l'ombra s'appunta,
Che '1 voftro Mondo face, pria ch'altr'alma
Del trionfo di Crifto fu affunta .
H 2
i7» DEL PARADISO
Ben fi convenne lei lafciar per palma
In alcun Cielo dell' alta vittoria ,
Che s'acquiftò con l'una e l'altra palma;
Pcrch' ella favorò la prima gloria
Di Jofuè in fu la terra fanta ,
Che poco tocca al Papa la memoria. -
La tua città, che di colui i pianta,
ChApria volfe le fpalle al fuo attore,
E di cui è la 'nvidia tanto pianta ,
Produce e fpande il maladetto fiore,
Ch'ha difviate le pecore e gli agni,
Perocchè fatto ha lupo del paftore.
Per quefto 1' Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti, e folo a i Decretali
Si ftudia sì, che pare a'ior vivagni.
A quefto intende'! Papa e i Cardinali:
Non vanno i lor penfieri a Nazzarette
Là, dove Gabbriello aperfe l'ali.
Ma Vaticano, e l'altre parti elette
Di Roma, che fon ftate cimitero
Alla milizia, che Pietro feguette,
Tofto libere fien dell'adultero. . . .
-.'fan e ! ,f,
.:.< I ti i'tfi'-; vantai ,!?9j •
173
CANTO DECIMO.
ARGOMENTO.
H3
174 DEL PARADISO
Vedi come da indi fi dirama
L'obblico cerchio , che i Pianeti porta,
Per foddisfare al Mondo, che gli chiama:
E fe la ftrada lor non Coffe torta,
Molta virtù nel Ciel farebbe in vano,
E quafi ogni potenzia quaggiù morta.
E fe dal dritto più o men lontano
Foffe '1 partire , affai farebbe manco
E giù e fu dell' ordine inondano .
Or ti riman, Lettor, fovra '1 tuo banco.
Dietro penfaado a ciò , che fi preliba ,
S'effer vuoi lieto affai prima, che ftauco.
lYleffo t'ho innanzi: ornai per te ti ciba:
Che a fe ritorce tutta la mia cura
Quella materia, ond'io fon fatto fctiba.
Lo miniftro maggior della Natura , .
Che del valor del Cielo il Mondo impronta ,
E col fuo lume il tempo ne mifura ,
Con quella parte, che fu fi rammenta,
Congiunto fi girava per le fpire,
In che più tofto ogni ora s' apprefenta ;
Ed io era con lui: ma del falire
Non m' accors' io , fe non com' uom s' accorjs
Anzi '1 primo penfier del fuo venire :
Oh Beatrice , quella , che fi fcorge
Di bene in meglio sì fubitamente ,
-Che l' atto fuo per tempo non fi fporgc ,
CANTO X. 175
Quant' efler convenia da. fe lucente l
Quel , ch' era dentro al Sol,dov'io entrami,
Non per color, ma per lume parvente,
Perch'io lo'ngegno, e l'arte, e l'ufo chiami,
Sì noi direi, che mai s'immaginaffe;
Ma creder puoffi, e di veder fi brami.
E fe le fantafie noftre fon baffe
A tanta altezza, non è maraviglia,
Che fovra '1 Sai non fu occhio , ch' andato .
Tal' era quivi la quarta famìglia
Dell' alto padre , che fempre la fazia ,
Moftrando come fpjra , e come figlia .
E Beatrice cominciò: Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli Angeli, ch' a qucft*
Senfibil t' ha levato per fua grazia .
Cor di mortai non fu mai sì digefto
A divozione , e a renderfi a Dio
Con tutto '1 fuo gradir cotanto prefto ,
Com' a quelle parole mi fee' io :
E sì tutto'l mio amore in lui fi mife,
Che Beatrice eelifsò nell' obblio .
Non le difpiacque ; ma sì fe ne rife,
Che lo fplendor degli occhi fimi ridenti
Mia mente unita in più cofe divife.
Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro , e di fc far corona ,
Più dolci in voce , che'n vifta lucenti :
J76 DEL PARADISO
Così cìnger la figlia di Latona
Vedem tal volta, quando l'aere è pregno,
Sì che ritenga il fil, che fa la zona.
Nella Corte del Ciel, d'ond'io rivegno,
Si truovan molte gioje care e belle
Tanto, che non fi poffon trar del regno.
E 1 canto di que'lumi era di quelle : .
Chi non s' impenna sì, che lafsù voli,
Dal muto afpetti quindi le novelle .
Poi sì cantando quegli ardenti Soli
Si fiir girati intorno a noi tre volte,
Come ftelle vicine a' fermi poli;
Donne mi parver non da ballo fciolte ,
Ma che s' arreftin tacite afcoltando ,
Fin che le nuove note hanno ricolte :
E dentr' all'un fenti' cominciar : Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore , e che poi crefce amando ,
Multiplicato in te tanto rifplende,
Che ti conduce fu per quella fcala ,
U' fanza rifalir neflun difcende ;
Qual ti negaffe '1 viri della fua fial*
Per la tua fete in libertà non fora,
Se non com' acqua , ch' al mar non fi ala .
Tu vuoi faper di quai piante s' infiora
Quefta ghirlanda, che'ntorno vagheggia
La bella donna, ch'ai Ciel t'avvalora.
C A N T O -X. 177
Io fui degli agni della fatua greggia,
Che .Domenico mena per cammino,
Du'ben s'impingua, fe non fi vaneggia.'
Quefti, che m' è a deftra più vicino,
Frate, e maeftro furami; ed effo Alberto
È di Cologna , ed io Thomas d' Aquino .
Se tu di tutti gli altri eQer vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten' vien col vifo
Girando fu per lo beato ferto.
Quell'altro fiammeggiare efce del tifo
Di Grazian, che l'uno e l'altro Foro
Ajutò si , che piace in Paradifo .
L'altro, ch'appreflb adorna il noftro coro,.
Quel Pietro fu , che con la poverella
Offerfe a Santa Chiefa il fuo Teforo .
La quinta luce, ch' è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto '1 Mondo
Laggiù n' ha gola di faper novella .
Entro v' è l' alta luce , u' sì profondo
Saver fu meffo, che fe'1 vero è vero,
A veder tanto non furfc '1 fecondo .
Appreffo vedi'1 lume di quel cero,
Che giufo iu carne più addentro vide
L' angelica natura, e '1 miniftero .
Nell' altra piccioletta luce ride
Queil' avvocato de' templi Criftiani ,
Del cui latino Agoftin fi provvidde .
H5
i 78 DEL PARADISO
Or fe tu T occhio della mente frani
Di luce in luce dietro alle mie lode,
Già dell'ottava con fete rimani:
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima fanta, che'1 Mondo fallace
Fa manifefto a chi di lei ben' ode :
Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace
Ginfo ia Cieldaufo, ed eQa da martiro,
tt da efilio venne a quefta pace.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente fpiro
D' Ifidoro , di Beda , e di Riccardo ,
Che a confiderar fu più che viro .
4Jucfti , onde a me ritorna il tuo riguardo,
È il lume d'uno fpirto, clie'n penfleri
Gravi a morire gli parve effer tardo.
Effa è h luce eterna di Sigieri ,
Che leggendo 'nel vico degli ftrarai
Sillojizzò invidiofi veri .
Indi, come orologio, che ne chiami
Nell' ora, che la fpofa di Dio ftirge
A mattinar lo fpofo , perchè l' ami ;
Che 1' una parte e l'altra tira ed urge,
Tintiu fonando con sì dolce nota,
Che'1 ben diipofto fpiito d'amor turge;
Così vid'io la gloriofa ruota
Muoverli , e render voce a voce in tempra ,
Ed in dolcezza, ch'effer non può nota,
Se non colà , dove '1 gioir s' infempra .
179
CANTO UNDECIMO.
ARGOMENTO.
H 6
~
DEL PARADISO
Ed io fcuti' dentro a quella lumiera
Che pria m'avca parlato , fortidendo
Incominciar facendofi pili mera:
Così, com'io del fuo raggio m' accendo,
Si riguardando nella luce eterna,
Li tuo' penfieri , onde cagioni, apprendo.
Tu dubbi, ed hai voler, che fi riceina
In sì aperta e sì diftefa lingua
Lo dicer mio, ch'ai tuo fentir fi fiema:
Ove dinanzi diffi : U'ben s'impingua,
E là, u'diffi : Non furfe il fecondo;
E qui è uopo che ben fi diftingua .
La previdenza, che governa'! Mondo
Con quel configlio , nel quale ogni afpetto
Creato è vinto , pria che vada al fondo ,
Perocchè andaffe ver lo fuo diletto
La fpofa di colui , ch' ad alte grida
Difposò lei col fangue benedetto,
In fe ficura , e anche a lui più fida ;
Duo Principi ordinò in fuo favore ,
Che quinci e quindi le foffer per guida.
L'un fu tutto Serafico in ardore,
L'altro per fapienzia in terra fue
Di Cherubica luce uno fplendore.
Dell' un dirò, perocchè d'amendue
Si dice , l' un pregiando , qual eh' uom prende ,
Perche ad un fine fur l'opere fuc.
GIÀ N T O XI. 181
Intra Tapino e l'acqua, che difcende
Del colle eletto dal beato Ubaldo ,
Fertile cofta d' alto monte pende ,
Onde Perugia fente freddo e caldo
Da Porta Sole, e dirietro le piangi
Per greve giogo Nocera con Gualdo .
Di quella cofta là, dov'ella frange
Più fua rattezza, nacque al Mondo un SolCj
Come fa quefto tal volta di Gange .
Però chi d' effo loco fa parole
Non dica Afcefi, che direbbe corto,
Ma Oriente , fe proprio dir vuole .
Non era ancor molto lontan dall' Orto ,
Ch' e' cominciò a far fentir la Terra
Della fua gran virtude alcun conforto .
Che per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corfe, a cui com'alla morte ,
La porta del piacer neflun differra :
E dinanzi alla fua fpirital corte,
Et comai patre le li fece unito ,
Pofcia di dì in dì 1' amò più forte .
Quella , privata del primo marito .,
Mille e cent'anni e più difpetta e fcura
Fino a coftui fi flette fenza invito : -
Nè valfe udir, che la trovò Ccura
Con Amielate al fuon della fua voce
Colui , cb,' a tutto '1 Mondo fe' paura :
i8a DEL PARADISO
Nè valfe cfler coftante , nè feroce ,
Sì che dove Maria rimafe giufo,
Ella con Crifto falfc in fu la Croce.
>Ia perch' io non proceda troppo chiufo ,
Francefco e Povertà per quefti amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffufo.
La lor concordia , e i lor lieti fcmbianti
Amore e maraviglia, e dolce fguardo
Faceano effer cagion de'penfier fanti:
Tanto che'1 venerabile Bernardo
Si fcalzò prima , e dietro a tanta r<ace
Corfe, e correndo gli parv' effer tardo.
O ignota ricchezza, o ben verace ì
Scalzafi Egidio, e fcalzafi Silveftro
Dietro allo fpofo , sì la fpofa piace .
Indi fen'va quel padre, e quel maeftto
Con la fua donna, e con quella famiglia,
Chè già legava 1' umile capeilro :
Nè gli gravò viltà di cor le ciglia ,
Per eflbr fi' di Pietro Bernardone,
Nè per parer difpetto a maraviglia.
Ma regalmente fua dura intenzione
Ad Innocsnzio aperfe , e da lui ebbe
Primo (igillo a fua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietto a coftui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del Ciel li canterebbe ;
CANTO XI. 183
Di feconda corona redimita
Fu per Onorio dall'eterno Spiro
La fanta voglia d'efto archimandrita .
E poi che per la fete del martiro
Nella prefenza del Soldan fuperba
Predicò Crifto, e gli altri, che'l feguire;
E per trovare a converfione acerba
Troppo la gente, e per non ftare indarno,
Reddiffi al frutto dell' Italica erba .
Nel crudo faffo intra Tevere ed Amo
Da Crifto prefe l'ultimo figiilo,
Che le fue membra du'anni portarne.
Quando a colui, ch' a tanto ben fortillo,
Piacque di trarlo fufo alla mercede,
Ch'egli acquiftò nel fuo fàrfi pufillo;
A i frati fuoi, sì com'a giufte erede,
Raccomandò la fua donna più cara,
E comandò che l'amaffero a fede :
E del fuo grembo 1' anima preelara
Muover fi volle tornando al fuo regno :
E al fuo corpo non volle altra bara.
Penfa oramai qual fu colui, che degno
Collega fu a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto fegno :
E quefti fu il noftro Patriarca :
Perchè qual fegue lui, com'ei comanda,
Difceruer puoi, che'buona merce carea.
1 84 DEL PARADISO
Ma il fuo peculio di nuova vivanda
È fatto ghiotto sì , ch' efftr non puote ,
Che per diverfi falti non fi fpanda :
E quanto le fue pecore rimote ,
E vagabonde più da eflb vanno,
Più tornano all'ovil di latte vote.
Ben fon di quelle, che temono '1 danno,
E ftringonQ al paftor; ma fon sì poche,
Che le cappe fornifce poco panno .
Or fe le mie parole non fon fioche,
Se la tua audienza è ftata attenta ,
Se ciò , ch' ho detto , alla mente rivoche ,
In parte fia la tua voglia contenta :
Perchè vedrai la pianta onde fi fcheggia,
E vedra' il corregger, ch'argomenta
D u' ben s'impingua, fé non fi vaneggia.
18$
. ' . ' ' •' ••-.'.-«
CANTO DUODECIMO.
ARGOMENTO.
ARGOMENTO.
Ed in
CANTO XIII. ipj
Ed in quel, che forato dalla lancia,
E pofcia e prima tanto foddisfece ,
Che d'ogni colpa vince la bilancia,
Quantunque alla Natura Umana lece
Aver di lume, tutto forte infufo
Da quel valor, che l'uno e'1 altro fece:
E però ammiri ciò , ch' io diffi fufo , .
Quando narrai , che non ebbe fecondo
Lo ben , che nella quinta luce è chiufo .
Ora apri gli occhi a quel, ch'io ti rifpondo,
E vedrai il tuo credere, e i mio dire
Nel vero farfi, come centro in tondo.
Ciò che non muore, e ciò che può morire,
Non è fe non fplendor di quella idea,
Che partorifce, amando, il noftro Sire:
Che quella viva luce, che sì mea
Dal fuo lucente, che non fi difuna
Da lui, nè dall'amor, che'n lor s'intrca,
Per fua bontate il fuo raggiare aduna,
Quali fpecchiato in nuove fuffiftenze ,
Eternalmente rimanendofi una .
Quindi difcende all'ultime potenze
Giù d'atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa, che brevi contingenze:
E quefte contingenze effere intendo
Le cofe generate, che produce
Con feme e fenza feme il Ciel movendo .
Il
1 5,6 DEL PARADISO
Vie più che'ndarno da riva fi parte,
Perchè non torna tal, qual'ei fi muove,
Chi pefca per lo vero, e non ha l'arte:
E di ciò fono al Mondo aperte pruove
Parmenide , Melino, Briffo, e molti,
I quali andavano, e non fapèn dove.
Sì fe'Sabello, ed Arrio, e quegli ftolti,
Che furon come fpade alle fcritture,
In render torti li diritti volti.
Non fien le genti ancor troppo ficure
A giudicar, sì come quei, che itima
Le biade in campo, pria che fien mature:
Ch'io ho veduto tutto'1 verno prima
Iì prun moftrarfi rigido e feroce,
Pofcia portar la rofa in fu la cima:
E Legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto fuo cammino,
Perire al fine all'entrar della foce.
Non creda donna Berta, e fer Martino,
l'er vedere un furare, altro offercre,
Vedergli dentro al configlio divino :
Che quel può furgere , e quel può cadere.
*P7
CANTO DEC1MOQUARTO.
ARGOMENTO.
13
jp8 DEL PARADISO
Diteti fe la luce, onde s'infiora
Voftra fuftanzia, rimarrà con voi
Eternalmente, sì com'ella è ora:
E fe rimane; dite come, poi
Che farete vlfibili rifatti ,
Effer potrà ch' al veder non vi noi :
Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei , che vanno a ruota ,
Levan la voce e rallegrano gli atti ;
Così all'orazion pronta e devota
Li fanti cerchi moftrar nuova gioja
Nel torneare, e nella mira nota.
Qual fi lamenta, perchè qui fi muoja,
Per viver colafsù., non vide quive
Lo refrigerio dell' eterna ploja .
Quell'uno e due e tre, che fempre vive,
E regna fempre in tre e due e uno,
Non circonfcritto, e tutto circonfcrive ,
Tre v«lte era cantato da ciafcuno
Di quelli fpirti con tal melodia,
Cir ad ogni merto faria giufto muno :
Ed io udì' nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modefta,
Forfe qual fu dell' Angelo a Maria ,
Rifponder: Quanto fia lunga la fetta
Di Paradifo, tanto il noflro amore
Si raggerà d'intorno catal vefta.
CANTO XIV.
La fua chiarezza feguita l'ardore,
L' ardor la vifione , e quella è tanta ,
Quanta ha di grazia fovra fuo valore .
Come la carne gloriofa e fanta
Pia riveftila , la noftra perfona
Più grata fia per effer tuttaquanta :
Perchè s'accrefcerà ciò, che ne dona
Di gratuito lume il Sommo Bene ;
Lume , ch' a lui veder ne condiziona ;
Onde .la vifion crefcer conviene,
Crefcer l' ardor, che di quella s' accende,
Crefcer lo raggio, che da e(To viene.
Ma sì come carbon, che fiamma rende,
E per vivo candor quella foverchia,
Sì che la fua parvenza fi difende;
Così queflo fulgor, ehe già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne,
Che tutto dì la terra ricopcrchia :
Nè potrà tanta luce affaticarne:
Che gli organi del corpo faran forti
A tutto ciò , che potrà dilettarne .
Tanto mi parver fubiti ed accorti
E l' uno e 1' altro coro a dicere Amrne ,
Che ben mofttar difio de' corpi morti;
Forfe non pur per lor , ma per le mamme,
Per li padri, e per gli altri, che fur cari.
Anzi che foffer fempiterne fiamme.
200 DEL PARADISO
Ed ecco intorno di chiarezza pari
Nafccrc un hiftro fopra quel , che v' era ,
A guìfa d'orizzonte, che rifchiari.
E sì come al falir di prima l'era
Comincian per lo Ciel nuove parvenze,
Sì che la cofa pare e non par vera ;
Parvenu H novelle fufliftenze
Cominciare a vedere , e fare un gir»
Di fuor dall'altre due circonferenze.
O vero sfavillar del fanto fpiro,
Come fi fece fubito e candente
Agli occhi miei, che vinti noi (offrirai
Ma Beatrice sì bella e ridente
Mi fi moftrò, che tra l'altre vedute
Si vuoi lafciar, che non feguir la mente.
Quindi riprefer gli occhi miei virtute
A rilevarli , e vidimi translato
Sol con mia donna a più alta falute.
Ben m'accors'io, ch'i'era più levato,
Per 1' affocato rifo della ftella ,
Che mi parca più roggio, che Pufato.
Con tutto '1 core, e con quella favella,
Ch'è una in tutti, a Dio feci olocaufto,
Qual conveniafi alla grazia novelk :
E non er'anco del mio petto efaufto
L'ardor del facrificio, ch'io conobbi
EfTo li tare flato accetto e faufto :
CANTO XIV. 201
Che con tanto lucore, e tanto robbì
M'apparvero fplendor dentro a' duo raggi,
Ch'io «fli: O Eliòs, che sì gli addobbil
Come diftinta da minori in maggi
Lumi biancheggia tra i Poli del Mondo
Galaffia si, che fa dubbiar ben faggi;
Si coftellati facèn nel profondo
Marte quei raggi il venerabil fegno,
Che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ngegno :
Che'n quella Croce lampeggiava Crifto;
Sì ch'io non fo trovare efèmplo degno.
Ma chi prende fua croce, e fegue Crifto,
Ancor mi fcuferà di quel , ch' io laflb ,
Vedendo in quell'albòr balenar Crifto.
Di corno in corno , e tra la cima e '1 baffo
Si movèn lumi, fcintillando forte
Nel congiungerfi inficme , e nel trapaffo :
Così fi veggion qui diritte e torte ,
Veloci e tarde, rinovando viftà,
Le minuzie de' corpi lunghe e corte
Muoverli per lo raggio, onde fi lifta
Tal volta l'ombra, che per fua difefa
La gente con ingegno ed arte acquifta.
F. come giga ed arpa in tempra tefa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal, da cui la nota non o intefa ;
DEL PARADISO
Così da' lumi, che lì m' apparimia
S'accogliea perla Croce una melode,
Che mi rapiva fanza intender l'inno.
Ben m' accora' i», ch' eli' era d'alte lode,
Perocchè a me venia : Rifurgi , e vinci ,
Com'a colui, che non intende , e ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
Che'n fino a li non fu alcuna cofa,
Che mi legaffe con sì dolci vinci.
Forfe la mia parola par tropp'ofa,
Pofponendo '1 piacer degli occhi belli ,
Ne'quai mirando mio difio ha pefa.
Ma chi s'avvede, che i vivi fuggelK
D'ogni bellezza più fanno pii» fufo,
E ch' io non m' era 11 rivolto a quelli ,
E fcufar puommi di quel, ch'm'aceufo
Per ifcufarmi, e vedermi dir vero:
'• Che '1 piacer fanto non è qui difchiufo,
Forchè fi fa montando pòi tacere.
CANTO DECIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
BSempre
Enigna volontade, in cui fi liqus
l'amor, che drittamente fpira,
Come cupidità fa nell'iniqua,
Silenzio pofe a quella dolce lira,
E fece quietar le fante curde,
Che la delira del Cielo allenta e tilt.
Come faranno a'giufti prieghi forde
Quelle fuftanzie , che , per darmi voglia
Ch'io le pregaffi, a tacer fur concorde?
Ben' è che fenza termine fi doglia
Chi per amor di cofa, che non duri
Etenulmciue, queil' amor fi fpoglia.
16
204 DEL PARADISO
Quale per li fòren tranquilli e puri
DifCorre ad ora ad or lubito fuoco,.
Movendo gli occhi, che ftavan ficuri,
E pare ftella, che tramuti loco,
Se non che dalla parte, onde s' accende -
Nulla fen' perde , ed efib dura poco ;
Tale dal corno, che'n deftro fi ftende,
Al pie di quella Croce corfe un'aiUa
Della coftellazion , che lì rifplende :
Nè fi parti la gemma dal fuo naftro;
Ma per la lifta radiai trafcorfe ,
Che parve Fuoco dietro ad alabaftro r
Sì pia l' ombra d' Anchife fi porfe ,
C Se fede merla noftra maggior Mufa )
Quando in Elifio del figliuol s'accorfe..
O fanguis meus, o fuper infufa
Grada Dei; ficut tibi, cui
£ìs unquam deli janua redttfa ?
Così quel lame; ond'io m'attefi a lui :
Pofcia rivolfi alla mia donna '1 vifo,
E quinci e quindi ftupefatto fui :
Che dentro agli occhi fuoi ardeva un rifa
Tal, ch'io penfti co' miei toccar lo fonda
Delfa mia- grazia e del mio Paratifo .
Indi a udire e a veder giocondo-
Giunfc- lo fpirto- al fue principio cofe ,
Cì)' io non. iutefi, sì parlò pcofònda:
CANTO XV. 205
Nè per elezion mi fi nafcofe,
Ma per neceflità: che'l fuo concetto
Al fegno de' mortai fi foprappofe . . .
E quando l'arco dell'ardente affetto
Fu sì sfocato, che'l parlar difcefe.
In ver lo fegno del noftro'ntelletto;
La prima cofa, che per me s'intefe,
Benedetto fie tn , fu , trino ed uno r
Che nel mio feme fe? tanto cortefe r
E feguitò-: Grato e lontan digiuno
Tratto, leggendo nel maggior volume,
Du'non fi muta mai bianco, nè bruno,
Soluto hai, figlio, dentro a quefto lume..
In ch' io ti parlo , mercè di colei ,
Ch'ali' alto volo ti vefti le piume.
Tu credi, che a me tuo penfier mei
Da quel, ch' è primo, così come raja
Dell' un, fe fi conofce, il cinque e'1 fti:
E però ch'io mi fin , e perch'io paja
Più gaudiofo a te, non mi dimandi,
Che alcun' altro in quefta turba gaja .
Tu credi '1 vero , che i minori e i grandi
Di quefta vita mirai» nello ipeglio,
In che prima, che perni, il pentìer pandi.
Ma perchè '1 facro amore, in che io veglia
Con perpetua vifta , e che m'affeta
Ci dolce difiar , s' adempia meglio :.
DEL PARADISO
La voce tua ficura balda e lieta
Suoni la volontà, fuoni '1 delio,
A che la mia rifpofta è già decreta .
I' mi velfi a Beatrice : e quella udio
Pria ch'io parlaffi, e arrifemi un cenno,
Che fece crefeer l'ale al voler mio:
E cominciai così : L'affetto e '1 fenno,
Come la prima egualità v' appatfe ,
D'un pefo per ciafcun di voi fi fenno.
Perocchè al Sol, che v' allumò e arfe
Col caldo e con la luce, en sì iguali,
Che tutte fimiglianze fono icarfe.
Ma voglia e argomento ne' mortali ,
Per la cagion , eh' a voi è raanifefta ,
Diverfamente fon pennuti in ali.
Ond' io, che fon mortai, mi fento in qucfta
Difagguagliauza : e però non ringrazio ,
Se non col core alla paterna fefta.
Ben fupplico io a te, vivo topazio,
Che quefta gioja preziofa ingemmi,
Perchè mi facci del tuo nome fazio.
O fronda mia, in che io covnpiacemmi
Pure allettando, io fui la tua radice:
Cotat principio dipendendo fernmi.
Pofcia mi diffe: Quel, da cui fi dice
Tua cognazione, e che cent'anni e piile
Girato lu 1 monte in 1a prima cornice,
CANTO XV. 207
Mio figlio fu , e tuo bifavo fue :
Ben fi convieni, che la lunga fatica
Tu gli raccorci con l'opere tue.
Fiorenza dentro dalla cerchia antica ,
Ond' ella toglie ancora e Terza , e Non5 ,
Si flava in pace fobria e pudica.
Non avea catenella, non corona ,
Non donne contigiate , non cintura ,
Che foffe a veder più che la perfona .
Non faceva nafcendo ancor paura
La figlia al padre, che'1 tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la mifura.
Non avea cafe di famiglia vote ,
Non v'era giunto ancor Sardanapala
A inoftrar ciò , che 'n camera fi puotc .
Non era vinto ancora Montemalo
Dal voftro Uccellatojo, che com'è vinto
Nel montar fu, così farà nel calo.
Bellincion Berti vid'io andar cinto
Di cuojo e d'offe, e venir dallo fpecchio
La donna fua fanza '1 vifo dipinto :
E vidi quel de' Nerli , e quel del Vecchio
Effer contenti alla pelle fcoverta,
E le fue donne al fufo, ed al pennecchio r
O fortunate l e ciafcuna era certa
Della fua fepoltura, ed ancor nulla
Sta per Francia nel ktto deferta.
DEL PARADISO
L'una vegghiava a ftudio della culla,
E confidando ufava l'idioma,
Che pria li padri e le madri traftulla :
L'altra traendo alla rocca la chioma
Favoleggiava con la fua famiglia
De'Trojani, e di Fiefole , e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
Una Cianghella , un Lapo Salterello ,
Qual or faria Cincinnato, e Corniglia.
A così ripofato, a così bello
Viver di cittadini, a così fida
Cittadinanza, a così dolce oftell»
Maria mi diè, chiamata in alte grida;
E nell'antico voftro Batifteo
Infieme fui Origliano e Cacdaguida,
Moronto fu mio frate , ed Elifeo :
Mia donna venne a me di Val di Pado ,
E quindi '1 fopranneme tuo fi reo -
Poi feguitai lo 'mperador Currado ,
Ed ei mi cinfc della fua milizia;
Tanto per bene oprar gli venni in gratto.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo ufurpa
Per colpa del paftor voftra giuftizia .
Quivi fu'ìo da quella gente turpa
Difvfluppato dal Mondo fallace r
Iì cui amor molte anime deturpa,.
E venni dal martirio a quefta pace.
20JJ
CANTO DECIMOSESTO.
ARGOMENTO.
CANTO DECIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.
O cara
CANTO XVII. 217
O cara' pianta mia , che sì t'infnfi,
Che come veggion le terrene mentì
Non capere in triangolo du'ottufi,
Cosi vedi le cofe contingenti ' .;
Anzi che fieno in fe, mirando '1 punta,'
A cui tutti .li tempi fon prefenti;
Mentre .ch' i'era a Virgilio congiunto
Su per lo monte, che 1' anime cura,
E difcendendo nel Mondo defunto ,. .
Dette mi far di mia vita futura . . ' - >• :
Parole gravi; avvegna ch'io mi fenta
Ben tetragono a i colpi di ventura :
Perchè la voglia mia faria contenta
D'intender quàl fortuna mi s'appreffa;
Che faetta previfa vìen più lenta.
Così difs'io a qnella luce ftcfla,
Che pria m' avea parlato, e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confèfla.
Nè per ambage , in che la gente folle
Già s'invefcava , pria che fofle ancifo
L' Agnel dt Dio , che le peccata tolle ;
Ma per chiare parole, e con precifo
Latiu rifpofe queil' amor paterno
Chiufo, e parvente del fuo prsprio rifo:
La contingenza, che fuor del quaderno
Della voftra materia non fi ftende,
Tutta è dipinta nel cofpettp eterno :
Dante , Tomo IL K
-i8 DEL PARADISO
Neceffità però quindi non prende ,
Se non come dal vifo, in che fi fpecchia
Nave, che per corrente giù difcende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
I>olce armonia da organo, mi viene
A vifta'1 tempo, che ti s'apparecchia.
Qual fi partì Ipoiito d' Atene . .
Per la fpietata e perfida noverca ,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Quefto fi vuole, e quéfto già fi cerca;
E tofto verrà fatto a chi ciò penfa
Là , dove Crifto tutto dì fi mcrca .
La colpa feguirà h parte offenfa
In grido, come fuol; ma la vendetta
Fia teftimonio al ver, che la difpenfa.
Tu lafcerai ogni cofa diletta . -•'•
Kù caramente: e qiiefto è quello ftrale,
Che l'arco dell' efilio pria faetta.
Tu proverai, sì -come fa di fale
Lo pane altrui, e com'è duro calle
Lo fcendere e'1 falir per l'altrui fcale.
E quel, che più ti graverà le fpalle,
Sarà la compagnia malvagia e fcempia,
Con la qual tu cadrai in quefta valle :
Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contra te : ma poco appreflb
Ella , non tu, n' avrà rofla la tempi» .
CANTO XVII. 219
Di lua beftialitate il fuo prócelTo
.Farà la pruova, sì di' a te fla bello
Averti fatta parte per te ftcffo.
Lo primo tuo rifugio, e'1 primo cftello
Sarà la cortefia del gran Lombardo,
Che 'n fu la Scala porta il fanto uccello ;
Ch'avrà in te sì benigno riguardo,
Che del fare e del chieder tra voi due
Fia prima quel , che tra gli altri è più tardo .
Con lui vedrai colui, che impreffo fue
Nafcendo sì da quefta ftella forte,
Che notabili fien 1' opere fue .
Non fe ne fono ancor le genti accorte
Per la novella età , che pur nove anni
Son quafte ruote intorno di lui torte .
Ma pria che '1 Guafco l'alto Arrigo inganni ,
Parran faville della fua virtute
In non curar d'argento, nè d'affanni.
Le fue magnificenze conofciute
Saranno ancora sì, che i fuoi nimici
Non ne potrai! tener le lingue mute.
A lui t'afpetta, ed a' fuoi benefici:
Per lui fia trafmutata molta gente,
Cambiando condizion ricchi e mendici :
E porterane fcritto nella mente
Di lui, ma noi dirai ; e diffe cofc
Incredibili a quei , che fia prefente .
Ka
220 DEL PARADISO
Poi giunfc: Figlio, qnefte fon le chiofe
Di quel, che ti fu detto: ecco le'nfidie,
Che dietro a pochi giri fon imfcofe.
Non vo'però, ch' a' tuo' vicini invidie,
Pofcia che s' infutura la tua vita
Via più là , che'1 punir di lor perfidie .
Poichè tacendo fi moftrò fpadita
L'anima fama di metter la trama
In quella tela , ch' io le -porfi ordita ,
Io cominciai, come colui, che brama,
Dubitando, configlio da perfona,
Che vede, e vuoi dirittamente, ed ama:
Ben veggio, padre mio , sì come (prona
Lo tempo verfo me per colpo darmi
Tal , ch' è più grave a chi più s' abbandoni:
Perche di provedenza è buon, ch'io m'armi,
Si che fe luogo m' è tolto più caro,
Io non perdeffi gli altri per miei carmi.
Giù per lo Mondo fenza fine amaro,
E per lo Monte, del cui bel cacume
Gli occhi della mia donna mi levato,
E pofcia per lo Ciel di lume in lume
Ilo io apprefo quel , che , s' io ridico ,
A molti fia favor di forte agrume :
E s'io al vero fon timido amico,
Temo di perder vita tra coloro,
Che quefto tempo chiameranno antico .
CANTO XVII. 3
La luce , in che rideva il mio tefoto ,
Ch' io trovai lì , fi fé' prima corrufca,
Quale a raggio di Sole fpecchio d'oro;
Indi rifpofe : Cofcienza fufca
O della propria, o dell'altrui vergogna,
Pur fentirà la tua parola brufca .
Ma nondimen, rimoffa ogni menzogna,
Tutta tua vifion fa manifefta ,
E lafcia pur grattar dov'è la rogna:
Che fc la voce tua farà moietta
Nel primo gufto , vita! nutrimento
Lafccrà poi , quando farà digefta .
Quefto tuo grido farà come vento,
Che le più alte cime più percuote:
E ciò non fa d' onor poco argomento ,
Però ti fon moftrate in quelle ruote,
Nel monte, e nella valle dolorofa
Pur l'anime, che fon di fama note:
Che l'animo di quel, ch'ode, non pofa,
Nè ferma fede per efempio , ch' haja
La fua radice incognita e nafcofa,
Nè per altro argomento , che non paja .
221 DEL PARADISO
CANTO DECIMOTTAVO.
ARGOMENTO.
K5
aio £EL PARADISO
Pofcia nell'M del vocabol quinto
Rimafero ordinate, sì che Giove
Pareva argento lì d' oro diftinto .
E vidi fcendere altre luci, dove
Era'1 colmo dell' M, e lì quetarfi
Cantando, credo, il ben, ch' a fe le muove.
Poi come nel. percuoter de' ciocchi arfi
Surgono inmunerabili faville,
Onde gli (lolti fogliono agurarfi,
Rifurger parver quindi più di mille
Luci, e falir quali affai, e qua' poco,
Sì come 1 Sol , che 1' accende , fortille :
E quietata ciafcuna in fuo loco ,
La tefta e'1 collo d'un' Aquila vidi
Rapprefentare a quel diftin;o foco.
Quei, che dipinge lì, non ha chi'l guidi i
Ma effo guida , e da lui fi rammenta
Quella virtù, ch' è forma per li nidi.
L'altra beatitudo , che contenta
Pareva' in prima d'ingigliarli all'emme,
Con poco moto feguitò la'mprenta.
O dolce (Iella , quali e quante gemme
Mi dimoftraron , che noftra giuftizia
Effetto fu del Ciel, che tu ingemmel
Perch'io prego la mente, in che s'inizia
Tuo moto e tua virtute, che rimiri
Ond'efce'l fummo, che'l tuo raggio vizia:
CANTO XVIII. 217
Sì ch' un' altra fiata ornai s'adiri
Del comperare e vender dentro al tempio,
Che fi murò di fegni, e di martiri.
O milizia del Ciel, cu'io contemplo,
Adora per color , che fono in terra
Tutti fviali dietro al malo efemplo.
Già fi folea con le fpade far guerra :
Ma or fi fa togliendo or qui or quivi
Lo pan , che '1 pio padre a neflun ferra .
Ma tu, che fol per cancellare ferivi,
Penfa che Pietro e Paolo, che moriro
Per la vigna, che guafti, ancor fon vivi.
Ben puoi tu dire: Io ho fermo '1 difiro
Sì a polui, che volle viver folo,
E che per falci fu tratto a martire,
Ch'io non conofco il Pefcator, nè Polo,
2a8 DEL PARADISO
CANTO DECIMONONO.
ARGOMENTO.
C A NJT O VENTESIMO.
ARGOMENTO.
»
Pengato a Dante moftrate le anime di alcuni
giujliflìaii Re, cV erano in quella augufta im
magine del? Aquila; ed ammirando il Poeta,
come. ivi fo/sro due personaggi , eh' egli fi cre
deva effere ftati Pagani , gli viene fpiegatn ,
come ambedue morti erano credendo in Cesti
Crifto .
ARGOMENTO.
- I "» - •- j
Dante fale con BtUnice iit Setumo, dvte tran/>
i Contemplanti, ti in quello vede una fcali
altijima , i fopra eja fctiidtr' infinito numero H
Stati; inifi il Pìteta Jì fa a parlar con S. Fil
tra Dannano, '-ìì guiile dòpo aver i-ifpojlo ni
alcuni fue iitttirogasiimi gii racconta -hi (gli
fi fife; e l' iftifuto della fua vit
Noi
CANTO XXI. 241
Noi fem levati al fettiroo fplendore,
Che folto '1 petto del Lione ardente
Raggia mo mifto giù del fuo valore.
ficca dirietro agli ocelii tuoi la mente,
E fa di quegli fpecchio alla figura ,
Che 'n quefto fpecchio ti farà parvente .
Qual faveffe qual' era la paftura
Del vifo mio nell'afpetto beato,
Quand'io mi trafmutai ad nltra cura,
Conofc crebbe quanto m'era a grato
Ubbidire alla mia celefte fcorta,
Contrappelando l'un con l'altro lato.
Dentro al criftallo , che "1 vocabol porta,
Cerchiando '1 Mondo, del fuo caro duce ,
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
Di color d'oro, in che raggio traluce,
Vid' io uno fcalèo eretto in fufo
Tanto , che noi feguiva la mia luce .
Vidi anche per li gradi fcender giufo
Tanti fplendor, ch'iopenfai, ch'ogni lume,
Che par nel Ciel, quindi fofle diffufo.
E come per lo naturai coitume
Le pole inficme al cominciai del giorno
Si muovono a fcaldar le fredde piume ;
Poi altre vanno via.fenza ritorno ,
Altre rivolgon fe, onde fon moffe,
B altre roteando fan foggiorno ;
L a
144 DEL PARADISO
Perocchè sì s' innoltra nell' abiflb
Dell'eterno ftatuto quel, che chiedi,
Che da ogni creata vifta è fcifib.
E al Mondo mortai quando tu riedi,
Quefto rapporta , sì che non prefumma
A tanto fegno più muover li piedi .
La mente, che qui luce, in terra fumma:
Onde riguarda come può laggiùe
Quel, che non puote, perchè '1 Cieli' allumina.
Sì mi prefcriffer le parole fue;
Ch'io lafciai la quiliione, e mi ritraili
A dimandark umilmente chi tue.
Tra duo liti d' Italia furgon faffi,
E non molto diftanti alla tua patria,
Tanto che l tuoni affai fuonan più baffi:
E fanno un gibbo,.che fi chiama Catria,
Difetto al quale è confettato un'ermo,
Che fuol' effer difpofto a fola latria .
Cosi ricominciommi '1 terzo fermo ;
E poi continuando diffe: Quivi
Al fervigio di Dio mi fei sì fermo,
Che pur con cibi di liquor d' ulivi
Lievemente paflava caldi e gieli,
Contento ne'penfier contemplativi.
Render Iblea quel chioftro a quefti Cicli
Fernlemente : ed ora è fatto vano,
Sì che tofto convien , che fi riveli.
CANTO XXI. 145
In quel loco fu' io Pier
E Pietro peccator fui nella cafa
Di Noftra Donna in fui lito Adriano.
l'oca vita mortai m'era rimafa,
Quand' io fu' chiefto , e tratto a quel cappello ,
Che pur di male in peggio fi travafa.
Venne Cephas, e venne il gian vafello
Dello Spirito Santo, magri e fcalzi
Prendendo '1 cibo di qualunque oftello:
Or vogfion quinci e quindi chi rincalzi
Gli moderni pafluti, e chi gli meni,
Tanto fon gravi, e chi dirietro gli alzi.
Cuopron de' manti lor gli palafreni,
Sì che duo beftie van fott'una pelle:
O pazienzia , che tanto foftieni !
A quefta voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado fccndere e girarli :
Ed ogni giro le facca più belle.
Dintorno a quefta vennero , e fcrmarfi ,
E fero un grido di sì alto fuono,
Che non potrebbe qui affomigHarG :
Nè io lo 'ntefi , sì mi vinfe il tuono .
246 DEL PARADISO
•
CANTO VENTESIMOSECONDO.
ARGOMENTO..
L5
2$o DEL PARADISO
Veramente Giordan volto è retrorfo ::
Più fu il mar fuggir, quando Dio volfc,
Mirabile a veder , che qui il foccorfo .
Così mi ditfe, e indi fi rieolfe
Al fuo collegio , e '1 collegio fi ftrinfe :
Poi come turbo. in fu tutto s' accolfe .
La dolce donna dietro a lor mi pinfe
Con un fol cenno fu per quella fcala :
Sì fu* virtù la mia natura vinfe :
Nè mai quaggiù , dove fi monta. e cala ,
Naturai mente fu sì ratto moto,
di' agguagliar fi poteffe aìla mia ala .
S'io tomi. mai, Lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo quale io piango fpeffo
Le mie peccata , e '1 petto mi percuoto ;
Tu non avrefti in tanto. tratto- e me(To>
Nel fuoco il dito , in quanto ia vidi '1 fegao,
Che fegue'l Tauro, e fui dentro da effo.
O gloriofe- ftelle , o lume pregno •
Di gran Virtù , dal quale io riconofco
Tutto (qual che fi fia) il mio ingegno;
Con voi nafceva, e s'afcondèva vofeo
Quegli r chrè padre d'ogni mortai vita,
Qitand' io- fènti' da pjirnj^ l'-ael- Tofco :
E poi quando mi fu- grazia largii*
D' entrar nell'alta. ruota, clic vi gira ,
La voto region mi fu- fòctM..',:''
CANTO XXII. 251
A voi devotamente ora fofpira
L'anima mia , per acquiftar vii-tute
Al paffo forte , che a fe la tira .
Tu fe' sì preflo all'ultima falute ,
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le luci tue chiare e acute :
E però prima che tu pia t'tnlei ,
Rimira in giufo, e vedi quanto Mondo-
Sotto li piedi già effer ti fei :
Sì che'1 tuo cor, quantunque piife, giocondo
S' apprefenti alla turba trionfante ,
Che lieta vien per quefto etera tondo .
Col vifo ritornai per tutte quante
Le fette fperer, e vidi quefto globo
Tal , ch' io fornfi del fuo vii fembiante :
E quel configlio per migliore approbo,
Che l'ha per meno : e chi ad altro penfa
Chiamar fi puote veramente probo .
Vidi la figlia di Latona incenfa
Senza quell'ombra, che mi fu cagione,
Perchè già la credetti rara e denfa .
L' afpetto del tuo nato , Iperione ,
Quivi foftenni, e vidi com' fi muove
Circa, e vicino a lui Maja e Dione.
Quindi m' apparve il temperar di Giove
Tra '1 padre e '1 figlio : e quindi mi fu chiaro-
Ili variar , che fanno di lor dove :
2<;2 DEL PARADISO
E tutti e fette mi fi dimoftraro
Quanto fon grandi, e quanto fou veloci,
E come fono in dittante riparo.
L' ajuola , che ci fa tanto feroci ,
Volgendomi con gli eterni Gemelli,
Tutta m'apparve da' colli alle foci:
Pofcia. rivolli gli ocelii agli occhi belli.
CANTO VENTESIMOTERZO.
ARGOMENTO.
CANTO VENTESIMQQUARTO.
ARGOMENTO-
Come
CANTO XXIV. 265
Come'l fignot , ch'afcoka quel che piace,
Da indi abbraccia'l fervo gratulando
Per la novella, tofto ch' e' fi tace;
Così benedicendomi cantando
Tre volte cinfe me, s! com'io tacqui,
L'Appoftolico lume, al cui comando
Io avea detto; sì nel dir gli piacqui.
CANTO VENTESIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
L' /popolo S. Jacopo cfamìna il Patta intorni
la virtù della Speranza , proponendogli inrj
qucfui , a' quali efo rifponde . Dante poi ritro
va S. Giovanni , il fuale manifeftagli , che li
fuafalma morendo era rimafta in terra, e che
folataente Gesù Crijlo e Maria tergine tram
cui laro corpi in Cielo .
Ma '
268 DEL PARADISO
Poichè per grazia vuoi , che tu t' affronti ,
Lo noftro Imperatore , .anzi la morte
Nell' aula più fegreta co' fuoi Conti ;
Sì che veduto '1 ver di quefta Corte ,
La fpeme, che laggiù bene innamora,
In te ed in altrui di ciò conforte:
Dì quel , che eli' è , e come fe ne 'nfiora
La mente tua , e dì onde a te venne :
Così feguìo'1 fecondo lume ancora.
E quella pia , che guidò le penne
Delle mie ali a così alto volo,
Alla rifpofta così mi prevenne :
La Chiefà militante alcun figliuolo
Non ha con più fperanza, com'è fcritto
Nel Sol , che raggia tutto noftro ftuolo :
Però gli è conceduto , che d' Egitto
Vegna in Gerufalemme per vedere,
Anzi che '1 militar gli fia prefcritto .
Gli altri duo punti, che non per fapere
Son dimandati, ma perch'ei rapporti,
Quanto quefta virtù t'è in piacere,
A lui lafc' io : che non gli faran forti ,
Nè Ai jattanzia : ed egli a ciò rìfponda,
E la grazia di Dio ciò gli comporti .
Come difcente , ch' a dottor feconda ^
Pronto e libente in quel, ch'egli è efperto,
Perchè la fua bontà ft difafconda ;
CANTO XXV. 269
Speme, difs'io, è uno attender certo .
Della gloria futura, il qual produce
Grazia divina e precedente raerto.
Da molte ftelle mi vien quefta luce:
Ma quei la diftillò nel mio cor pria,
Che fu fomrao cantor del fommo duce .
Sperino in te, nella fua Teodìa,
Dice, color, che fanno '1 nome tuo:
E chi noi fa, s'egli ha la Fede mia?
Tu mi ftillafti con lo ftillar fuo
Nella piftola poi, sì ch'io fon pieno,
Ed in altrui voftra pioggia replùo .
Mentre io diceva , dentro al vivo feno
Di quello 'nceudio tremolava un lampo
Subito e fpetlb a guifa di baleno:
Indi fpirò : L' amore , ond' io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi feguettc
Infin la palma, ed all'ufcir del campo,
Vuoi ch' io refpiri a te, che ti dilette
Di lei: ed emmi a grato, che tu diche
Quello , che la fperanza ti promette .
Ed io : Le nuove e le fcritture antiche
Pongono '1 fegno , ed effo lo m' addita ,
Dell'anime, che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Ifaia, che ciafcuna veftita
Nella fua Terra fia di doppia vefta ;
£ 1* fu.a Terra è quefta. dolce vita.
M 3
270 DHL PARADISO
E'ì tuo fratello affai vie più digefta
Là, dove tratta delle bianche ftole,
Queila rivelazion ci manifefta .
E prima , e preflo '1 fin d'efte parole
Sperent in te difopra noi s' udì,
A che rifpofer tutte le carole :
Poicia tra efle uà lume fi fchiatl ,
Sì che , fe '1 Cancro aveffe un tal criftallo ,
Iì verno. avrebbe un mefe d'un fol di.
E come furge e va ed entra in balia
Vergine lieta fol per fare onore
Alla novizia , non per alcun fallo ;
Così vid'io lo fchiarato fplendore
Venire a' due, che fi volgeano a ruota,
Qual conveniafi al loro ardente amore.
Mifefl 11 nel canto e nella nota :
E la mia donna in lor tenne l' afpetto
Pur come fpofa tacite ed immota .
Quelli è colui, che giacque fopra'1 petto
Del noftro Pellicano : e quefti fue
Di fu la Croce al grande ufizio eletto:
La donna mìa così , nè però pioe
Mofle la villa fua di ftare attenta
Pofcia , che prima alle parole fue.
Quale è colui, ch'adocchia, e s'argomenta
Di vedere ecliflàr lo Sole un poco,
Che per veder non vedente diventa ;
CANTO XXV. 271
Tal mi fec'io a queil' ultimo fuoco,
Menticene detto fu: Perchè t'abbagli
Per veder cofa , che qui non ha loco ?
In Terra è terra '1 mio corpo , e faragli
Tanto con gli altri, che'1 numero noftro
Con l' eterno propofito s' agguagli .
Con le duo ftole nel beato chioftro
Son le duo luci fole, che faliro :
E qucfto apporterai nel Mondo voftrot
A quefta voce lo Sfiammato giro
Si quietò, con effo'1 dolce mifchio,
Che fi facea del fuon nel trino fpiro ;
Sì come por ceffar fatica o rifchio
Gli remi pria nell'acqua ripercoffi
Tutti fi pofano al fonar d' un fifchio .
Ahi quanto nella mente mi commoffi,
Quando mi volfl per veder Beatrice,
Per non poter vederla , bench' io folli
Pretto di lei, e nel Mondo felicel
27* DEL PARADISO
CANTO VENTESIMOSESTO»
ARGOMENTO.
M s
a74 DEL PARADISO
Sterne1 la voce del verace autore,
Che dice a Moisè di fe parlando :
Io ti farò vedere ogni valore.
Sternilmi tu ancora incominciando
L'alto preconio, che grida l'arcano
Di qui laggiù fovra ad ogni alto bando.
Ed io udi': Per intelletto umano,
E per aucoritade a lui concorde
De' tuoi amori a Dio guarda '1 fovrano.
Ma dì ancor, fe tu fenti altre corde
Tirarti verfo lui , sì che tu fuone
Con quanti denti quefto amor ti morde.
Non fu latente la fanta intenzione
Dell'aguglia di Crifto, anzi m'accorti
'Ove menar volea mia profeffione:
Però ricominciai : Tutti quei morfi ,
Che poffon far Io cor volgere a Dio ,
Alla mia cariiate fon concorfi :
Che l' eflere del Mondo, e l'effer mio,
La morte, ch'el foftenne, perch'io viva,
E quel, che fpera ogni fedel, com'io,
Con la predetta conofcenza viva
Tratto m' hanno del mar dell' amor torto,
E del diritto m'han pofto alla riva.
Le fronde, onde s'infronda tutto l'orto
Dell'ortolano eterno, am'io cotanto,
Quanto da lui a lor dì bene è porto.
CANTO XXVI. 275
Si com'io tacqui, un dolciffimo canto
Rifonò per lo Cielo, e la mia donna
Dicea con gli altri: Santo, Santo, Sant».
E come al lume acuto fi difonna
Per lo fpirto vifivo , che ricorre
Allo fplendor , che va di gonna in gonna ,
E lo fvegliato ciò che vede abborre;
Sì nefcia è la fua fubita vigilia,
Fin che la ftimativa noi foccorre ;
Così degli occhi miei ogni quifquilia
Fugò Beatrice col raggio de'fuoi,
Che rifulgeva più di mille milia :
Onde me' che dinanzi vidi poi,
E quali (tupefatto dimandai
D'un quarto lume, ch'io vidi con noi.
E la mia donna : Dentro da quei rai
Vagheggia il fuo fattor 1' anima prima ,
Che la prima virtù crcaffe mai .
Come la fronda, che flette la cima
Nel tranfito del vento , e poi fi leva
Per la propria virtù , che la fublima ,
Fec' io in tanto , in quanto ella diceva ,
Stupendo , e poi mi rifece Scuro
Un difio di parlare , ond' io ardeva ;
E cominciai: O pomo, che maturo
Solo prodotto folli , o padre antico ,
A cui ciafcuna fpofa è figlia e nuro ;
M 6
DEL PARADISO
Devoto quanto pollo a te fupplìeo ,
Perchè mi parli : tu vedi mia voglia :
E, per udirti torto, non la dico.
Tal volta un' animai coverto broglia,
Sì che l' affètto convien che fi paja ,
Per lo ftguir, che face a lui la'nvoglia;
E fimilmeute l' anima primaja
Mi facea trafparer per la coverta
Quant'eHa a compiacermi venia gaja.
Indi fpirfr: Sanz'effermi profferta
Da te la voglia tua, difcerno meglio,
Che tu qualunque cofa t' è più certa t
Perch'io la veggio nel verace fpeglio,
Che fa di fe pareglio ali' altre cofe,
E nulla face lui di fe pareglio.
Tu vuoi udir, quant'è che Dio mi pofe
NeU'eccelfo giardino, ove cofteì
A così lunga itala ti difpofe:
E quanto fu diletto agli ocelù miei,
E la propria cagioii del gran difdegno,
E l' idioma , ch' ufai , e ch' io fei .
Or, figliuol mio, non il guftar del legno
Fu per (e la cagion di tanto efilio,
Ma folameme il trapaffar del fegno .
Quindi, onde molTc tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e duo volumi
Di Sol defiderai quefto concilio ;
CANTO XXVI, 277
E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della fua ftrada novecento trenta
Fiate , mentre eh' io in Terra fumi .
La lingua , ch' io parlai , fu tutta fpenta
Innanzi che all'ovra inconfumabile
Fofle la gente di Nembrotte attenta :
Che nullo affetto mai razionabile
Per lo piacere uman , che rinnovella
Seguendo '1 Cielo, fempre fu durabile.
Opera naturale è, ch'uom favella:
Ma così o così , natura lafcia
Poi fare a voi, fecondo che v'abbella.
Pria eh' io fcendeffi alla 'nfernale ambaftia ,
UN s' appellava in Terra il fommo Bene ,
Onde vien la letizia , che mi fafcia :
ELI fi chiamò poi: e ciò conviene:
Che l'ufo da' mortali è come fronda
In ramo , che fen' va , ed altra viene-.
Nel monte , che fi leva più dali' onda ,
Fu' io con vita pura e difonefta
Dalla prim'ora a quella, ch' è feconda ,
Come'l Sol muta quadra, all'ora fefta.
1?8 DEL PARADISO
CANTO VENTESIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.
CANTO VENTESfMOTTAVO.
ARGOMENTO.
In effa
CANTO XXVin. 289
In effa gerarchla fon le tre Dee,
Prima Dominazioni , e poi Virtudi :
L'ordine terzo di Podeftadi ee.
Pofcia ne' duo penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli fi girano :
L' ultimo è tutto d° Angelici ludi .
Quelli ordini di fu tutti rimirano,
E di giù vincon sì, che verfo Dio
Tutti tirati fono, e tutti tirano.
E Dionifio con tanto difio
A contemplar quefti ordini fi mife,
Che li nomò, e diftinfe, com' io .
Ma Gregorio da lui poi fi divife :
Onde sì tofto , come gli occhi aperfe
In quefto Ciel, di fe medefmo rife.
E fe tanto fegreto ver profferte
Mortale in Terra, non voglio ch'ammiri:
Che chi'1 vide quafsù gliel difcoverfe
Con altro affai del ver di quefti giri.
CANTO VENTESIMONONO.
ARO O. M E. N T O.
N3
PARADISO
Per apparcr ciafcim s'ingegna, e face
Sue invenzioni, e quelle fon trafcorfe
Da' predicanti, e'1 Vangelio fi tace.
Un dice, che la Luna fi ritorfe
Nella paffion di Crifto, e s'interpofe,
Perchè '1 lume del Sol giù non fi porfe:
Ed altri, che la luce fi nafcofe
Da fe: però agl'Ifpani e agl'Indi,
Com' a' Giudei , tale eeliffi rifpofe .
Non ha Firenze tanti Lapi e Hindi,
Quante sì fatte favole per annfo
In pergamo fi gridan quinci e quindi:
Sì che le pecorelle , che non fanno,
Tornan dal pafco pafciute di vento ,
E non le fcufa non veder lor danno.
IN'on difie Crifto al fuo primo convento ,
Andate, e predicate al Mondo ciance,
Ma diede lor verace fondamento :
E quel tanto fonò nelle fue guance ;
Sì ch' a pugnar, per accender la Fede,
Dell'Evangelio fero feudi e lance.
Ora fi va con motti , e con ifcede ,
A predicare, e pur che ben Grida,
Gonfia il cappuccio, e più non fi richiede.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida,
Che fe'1 vulgo il vedeffe, vederebbe
La perdonau:-:a , di che fi confida:
CANTO XXIX. 295
Per cui tanta ftoltezza in Terra crebbe,
Che fanza pruova d'alcun teftimonio
Ad ogni promeffion fi converrebbe.
Di quefto'ngraffaì porco Santo Antonio,
Ed altri affai, che fon peggio che porci,
Pagando di moneta fanza conio.
Ma perchè fiem digreflì affai ; ritorci
Gli occhi oramai verfo la dritta ftrada ,
Si che la via col tempo fi raccorci.
Quefta Natura sì oltre s' ingrada
In numero, che mai non fu loquela,
Nè concetto mortai, che tanto vada .
E fe tu guardi quel, che fi rivela
Per Daniel , vedrai che'n fue migliaja
Determinato numero fi cela.
La prima luce, che tutta la raja,
Per tanti modi in effa fi ricepe,
Quanti fon gli fplendori , a che s'appaja.
Onde perocchè all'atto, che concepe,,
Segue l'affetto, d'amor la dolcezza
Diverfamente in effa ferve e tepe.
Vedi l'eccelfo ornai, e la largheaea
Dell'eterno valor, pofcia che tanti.
Speculi fatti s'ha, in che fi {pezza.
Uno manendo in fe, come davanti .
:P6 DEL PARADISO
CANTO TRENTESIMO.
ARGOMENTO.
ARGOMENTO.
0/erva il Poeta con alto {lupare la gloria affi
lici Comprenforì; indi rivolto a Beatrice aflìfA
in fuo irono ls rettile grazie de'fonimi benefi
ci da lei ottenuti : infine per ayyifo di 5. Bei-
nardo riguarda la Regina del Culo , la quale
fpargcndo bdlìjinù fplendori gioirà tra le ft-
Jìe ed i citatici degli Angeli .
ARGOMENTO.
Dal
CANTO XXXII. 313
Dal deftro vedi quel Padre vetufto
Di Santa Chiefa, a cui Crifto le chiavi
Raccomandò di quefto fior venufto.
E que' , che vide tutt' i tempi gravi ,
Pria che moriOe, della bella fpofa,
Che s'acquiftò con la lancia e co' chiavi,
Siede lungh'effo : e lungo l'altro pofa
Quel Duca, fotto cui viffe di manna
La gente ingrata mobile e ritrofa.
Di contro a Pietro vedi federe Anna
Tanto contenta di mirar fua figlia ,
Che non muove occhio per cantare Ofanna.
E contro al maggior Padre di famiglia
Siede Lucia, che moffe la tua donna,
Quando chinavi a ruinar le ciglia.
Ma perchè '1 tempo fugge, che t'affonna,
Qui farem punto , come buon fartore ,
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna:
E drizzeremo gli occhi al primo Amore ,
Sì che guardando verfo lui penètri,
Quant'è poffibil, per lo fuo fulgore.
Veramente, nè forfe, tu t'arretri,
Movendo 1' ale tue credendo oltrarti :
Orando, grazia convien che s'impetri;
Grazia da quella, che puote aiutarti:
E tu mi feguirai con l' affezione,
Sì che dal dicer mio lo cor non parti :
E cominciò qucfla fanta orazione.
Danti , Tonto IL O
3i4 DEL PARADISO