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'DIVINA COMMEDìA

ffm.
DEL PURGATORIO
CANTO DECIMOQUINTO.
ARGOMENTO.
I Poeti fcorgono un' Angelo, da cai vitìte loro
moftrato il luogo della fiala , fu la quale
falendo giungono al terzo girone , ove fi pur
ga il peccato dell'Ira : quivi Dante in una
ejfafi rapite vede alcuni efempj di Mattfuetu-
dine ; ofervano poi un' ofcurij^nto^fummo , dal
quitte rimafere coperti .

\Juanto tra l'ultimar dell'ora terza, . .


E '1 principio del dì par della fpera.
Che fcmpre a guifa di fanciullo fcherza,
Tanto pareva già in ver la fera
Effere al Sol del fuo corfo rimafo;
Vcfpero là, e qui mezza notte era;
E i raggi ne feria n per mezzo '1 nafo,
Perchè per noi girato era sì'1 monte,
Che già dritti andavamo in ver l'occafo;
Quando io fenti'a me gravar la fronte]
Allo fplendore affai più ch; di prima ,1
E ftupor m'eran le cofe non conte:

Dante, Tomo II. A


i DEL PURGATORIO
Ond'io levai le mani in ver la cima
Delle mie ciglia, e fecimi'1 folccchio,
Che del foverchio vifibile lima .
Come quando dall'acqua, o dallo fpecchio
Salta lo raggio ali' oppofita parte,
Salendo fu per lo modo parecchio
A quel , che fcende , e tanto fi diparte.
Dal cader della pietra in-igual tratto,
Sì come moftra efperienza e artej
Così mi parve da luce rifratta
Ivi dinanzi a me effer percoffo:
Perch'a fuggir la mia vifta fu ratta.
Che è quel, dolce padre, a che non poffo
Schermar lo vifo , tanto che mi vaglia ,
Difs'io, e pare in ver noi effer moffo?
Non ti maravigliai , s' ancor t' abbaglia
La famiglia del Cielo, a me rifpofe:
Meffo è, che viene ad invitar ch'uom faglia,
Tofto farà, ch' a veder quefte cofe
Non ti fia grave, ma fieti diletto,
Quanto natura a fentir ti difpofe .
Poi giunti fummo all'Angel benedetto,
Con lieta voce diffe ; Intrate quinci
Ad un fcalèo vie men che gli altri eretto ,
Noi montavamo già partiti linci
E Beati mifcricordis fue
Cantato retro, e godi tu, che vinci.
C A N T O XV. 3
Lo mio maeftro ed io, foli amendue
Sufo andavamo, ed iopeafava, andando,
Prode acjuiftar Belle parole fue;
E dirizzami a lui sì dimandando :
Che volle dir lo fpirto di Romagna,
E divieto e conforto menzionando 9
Perch' egli a me: Di fua maggior magagna
Cpnofce'1 danno: e però non s'ammiri,
Se ne riprende, perchè men fen'piagna.
Perche s'appuntano i veftri deliri,
Dove per compagnia parte fi fceim;
Invidia muove il mant.ico a'fofpid.
Ma fe l'amor della fpera fuprcma
Torcefie'n fufo'1 defiderio voftro,
Non vi farebbe al petto quella tema :
Che per quanto fi dice più li noftro
Tanto pofficde più di ben ciafcuno,
E più di cantate arde'n quei chioflro.
Io fon d' effcr contento più digiuno,
Difs'io, che fe mi fqOe pria taciuto;
E più di dubbio nelk mente aduno : •
Com'effer puote, ch' un ben diftributo
I più poffeditor faccia più ricchi
Di sè, che fe da pochi è poffeduto?
Ed egli a me : Perocchè tu rificchi
La mente pure alle cofe terrene
Di verajuce..tenebredifpicchi.

A »
4 DEL PURGATORIO
Quello 'ufinito ed ineffabil bene,
Che lafsù è, così corre ad amore,
Confa lucido corpo raggio viene.
Tanto fi da, quanto trova d'ardore; : Jf. '
Sì che quantunque carità fi ftende,
Crefce fovr'cffa l'eterno valore. "—
E quanta gente più lafsù s'intende,
Più v'c da bene amare, e più vi s'ama,
E come fpecchio l'uno ali' altro rende .
E fe la mia ragion non ti disfama ,
Vedrai Beatrice: ed ella pienamente
Ti torrà quefta , e ciafcun' altra brama v
Procaccia pur, -che tofto fieno fpente, ' •''
Come fon già le due, le cinque piaghe,
Che fi richiudon per effer dolente .
Com' io voleva dicer: Tu m'appaghe;
Vidimi giunto in fu l'altro girone,
Si che tacer mi fer le luci vaghe.
Ivi mi parve in una vifione
Eftatica di fubito cffer tratto,... . ~. .....
* E vedere in un tempio pia perfone;
E una donna in fu l'entrar con atto
Dolce iìi madre, dicer: Figliuoì mio, '
Perchè hai tu così vej-fo noi fatto? .. .
Ecco dolenti lo tuo padre, ed io
Ti ceicavamo; e. come qui fi tacque,
Ciò, che pareva prima r.difpaila IM
CANTO XV. 5
A
ludi m'apparve un'altra con quell'acque
Giù per le gote, che il dolor diftilla ,
Quaudo per gran difpetto in altrui nacque :
E dir: Se tu fc'fire della villa,
Dei coi nome ne' Dei fu tanta lite,
E onde ogni fcienzia disfavilla,
Vendica te di quelle braccia ardite ,
Cli'-abbracciar noftra figlia, o Pififtrato:
E '1 fignor mi parca benigno, e mite
Rifponder lei con vifo temperato:
Che farem noi a ,chi mal ne defìra ,
Se quei, she ei ama , è per noi condannato?
Poi vidi gejiti acctfe in fuoco d'ira
Con pietre un giovinetto ancider , forte
Gridando a fe pur: Martira, martira:
E lui veitea chinarfi per la morte,
Che 1' aggravava già in ver la terra ;
Ma degli occhi facea fempre al Ciel porte;
Orando ali' alto Sire in tanta guerra, ••.• -• -
Che perdonane a'fuoi perfecutori,
Con quelt'.afpetto, che pietà difteria. -
Quando l'anima mia tornò di fuori - .
Alle cofe, che fon fnor di lei vere,
Io riconobbi i miei non falfl errori.
Lo Duca mjo , che mi potea vedere
Fat sì com' uom , che dal fonno fi slega ,
DiQ'e : Che hai , che non ti puoi tenere 9

A 3
6 DEL PURGATORIO
Ma fc' venuto più che mezza lega-.
Velando gli occhi, e con le gambe avvolte,
A guifa di cui vino, o fonno piega?
O dolce padre mio, fe tu m'afcolte,
l'ti dirò, difs'i», ciò, che m'apparve,-'
Quando le gambe mi furon sì tolte.
Ed ei : Se tu aveffi cento larve
Sovra la faccia , non mi farien chiufc
Le tue cogitazion, quantunque parve»
Ciò che vedetti fu , perchè non fcufe
D'aprir lo cuore all'acque della pace,
Che dall'eterno fonte fon diffufe .
Non dimandai: Che hai per quel, che face
Chi guarda pur con l' occhio, che non vede r
Quando difanimato il corpo giace;
Ma dimandai per «tatti forza al piede r : . *'
Così frugar convienfì i pigri lenti
Ad nfar lor vigilia , quando riede .
Noi andavàm per lo vefpero attenti .. . .L
Oltre , quanto poten gli occhi allungarfi ,
Centra i raggi ferotini e lucenti :
Ed ecco a- poco a poco un fummo farfl
Verfo di noi come la notte ofcuro,
Nè da quello era luogo da canfarfi:
Quefto nt tolfe gli occhi, e l'aer puro.
CANTO DECIMOSESTO.

- ARGOMENTO.

Dante camminando col fuo duce Virgilio in


mezzo ali' ofcurità del fummo , aie l' anime
digf Irofi , i quali concortemettte pregavano
f Agnello ili Dio ; ed uno di laro , eh' er*
Marco Lomlardo , tiene ragionamento col Pos
ta , e gli dimoftra non ilarfi nel Cielo in-
fujo veruno fofra le morali azioni digli ut-
mini.

HJjo d'Inferno, e di notte privata


D' ogni pianeta fotto pover Cielo ,
Quant'cQcr può di nuvol tenebrata,
Non fero al vifa mio sì groffo velo,
Come quel fummo, ch'ivi ci coperfe,
Nè a fentir di così afpro pelo;
Che l' occhio ftare aperto non foffcrfe :
Onde la fcorta mia faputa e fida
Mi s'accoftò, e l'omero m'offerfe.
Sì come cieco va dietro a fua guida
Per non (martirfi , e per non dar di cozzo
In cofa , che 1 molefti, o forfe ancida ,

A4
8 DEL PURGATORIO
M' andava io per 1' aere amaro e Cozzo,
Afcoltando'1 mio duea, che diceva
Pur : Guarda che da me tu non fie mozzo.
l'fentia voci, e ciafcuna pareva •
Pregar per pace, e per rnifericordia
L'Agnel di Dio, che le peccata leva.
Pure Agnus Dei eran le loro efordia :
Una parola era in tutti , e un modo,
Sì che parca tra effe ogni concordia .
Quei fono fpirti, macftro, ch' i' odo?
Difs'io : ed egli a me : Tu vero apprendi,
E d'iracondia van folvendo'1 nodo.
Or tu chi fe', che'1 noftro fummo fendi,
E di noi parli pur, come fe tue
Partiffi ancor lo tempo per calendi?
Cesì per una voce detto fue:
Onde '1 maeftro mio diffe : Rifpondi ,
-E dimanda, fe quinci fi va sue.
Ed io: O creatura, che ti mondi,
Per tornar bella a colui , che ti fece ,
Maraviglia udirai, fe mi fecondi.
l'ti feguiterò quanto mi lece,
Rifpofe ; e fe veder fummo non lafcia ,
L'udir ci terrà giuntila quella vece .
Allora incominciai : Con quella fafcia,
Che la morte diflolve , men' vo fufo,
E venni qui per la'nfernale ambafcia:
CANTO XVI, p
£ ff Dio mi ha in fua grazia richiufo,
Tanto ch' e' vuoi ch'io veggia la fua Corte
Per modo tutto fuor del modera' ufo ,
Non mi celar chi fofti anzi la morte,
Ma dilmi , e dimmi , s' io vo bene al varea ;
E tue parole fien le noftre fcorte .
Lombardo fui, e fu' chiamato Marco :
Del Mondo feppi , e quel valore amai ,
Al quale ha or ciafcun diftefo V arco :
Per montar fu, dirittamente vai: *
Così rifpofe; e fòggitmfe: Io ti prego,
Che per me preghi, quando fu farai.
Ed io a lui : Per fede mi ti lego . ' '.
Di far ciò, che mi chiedi : ma io fcoppio
Dentro a un dubbio, s'i'non me ne fpiego.
Prima era fcempio, e ora è fatto doppio
Nella fentenzia tua, che mi fa certo
Qui e altrove quello, ov'io l'accoppio.
Lo Mondo è ben così tutto difetto
D'ogni virtute, come tu mi fuonc,
È di malizia gravido e 'coverto:
Ma prego, che m'additi h cagione,
Si ch'io la vegga, e ch'io la moitri altrui:
Che nel Cielo uno, e un quaggiù la pone.
Alto fofpir, che duolo ftrinfe in Hui,
Mife fuor prima, e poi cominciò: Frate,
Lo Mondo è cieco, e tu. vie»' ben da lui.
io DEL PURGATORIO
Voi, che vivete, ogni cagion recate *
Pur fufo al Cielo sì , come fe tutt»
Movefìc feco di neccflfitate .
Se così foffe, in voi -fora diflrutto
Libero arbitrio, e non fori giudizi*
Per ben letizia, e per male aver lutto.
Lo Cielo i voftri movimenti inizia,
Non dico tutti : ma pofto ch' io '1 dica ;
Lume v'è dato a bene, o a malizia*.
E libero votar: .che fe fatica
Nelle prime battaglie del Ciel dura ,
Poi vince tutto,. fe ben fi notrica.
A maggior forza, e a migliar natura
Liberi foggiacele; e quella cria
La mente invoi,che'1Cìelnon lia in fuacora..
Peri, fe '1 Mondo prefente vi fvia,
In voi è la cagione , in voi fi cheggia ;
Ed io te ne farò or vera fpia .
Efce di mano a lui . che- la vagheggia ,.
Prima' ch» fia, a guifa di faneiùUaip-
Che piangendo e ridendo pargoleggia,.
L'anima fempHcetta-, che fa nulla,
Salvo che moffa da lieto fattore
Volentìer torna a ciò , che la traftulla ^
Di picciol berte in pria fente fapore ;
Quivi s'inganna, e dj'etro * elio corre,
Se guida* ». i'reis- non. torce '1 fuo amore i
CANTO XVI. 11
Onde convenne legge per fren porre :
Convenne rege aver , che difcerneffe
Della vera cictade almen la torre .
Le leggi fon ; ma chi pon mano ad effe ?
Nullo: perocchè'1 paftor, che precede,
Ruminar può, ma non ba l'unghie feffe.
Perchè la gente , che fua guida vede
Pure a quel ben ferire, end' eli' è ghiotta,
Di quel fi pafce, e pifo oltre non chiede .
Ben puoi veder, che la mal* condotta
È la cagion, che'1 Mondo ha ratto reo,
E non natura , che 'n voi fia corrotta .
Soleva Roma, che'1 buon Mondo feo,
Duo Soli aver , che 1' una e 1' altra ftrada
Facèn vedere, e del Mondo, e di De».
L' un l'altro ha Ipento, ed è giunta la fpada
Col pafturale, e )' uno e l'altro infìeme
Per viva forza mal convien che vada:
Perocchè giunti, l'un l'altro -non teme.
Se non mi credi , pon mente alla fpiga :
Ch'ogni erba' fi conofce per lo feme.
In fui paefe, ch' Adice e Pò riga,
Solea valore e cortelia trovarfi,
Prima che Federigo aveffe briga: x
Or può Scuramente indi paflàrfi
. Per qualunque lafciaffe per vergogna
Di ragionar co' buoni, o d' approflarfi .

A 6
li DEL PURGATORIO
Ben v' eittre vecchi ancora, in cui rampogna
L'antica età la nuova, e par lor tardo,
Che Dio a miglior vita li ripogns ;
Currado da Palazzo, e'1 buon Gherardo,
E Guido da Caftel, che me' fi noma
Francefcamente il femplice Lombardo .
Dì oggimai, che la Chfefa di Roma,
Per confondere iu fe duo reggimenti,
Cade nel fango, e sè brutta, e la foma .
O Marco mio, difs'io, bene argomenti;
E or difcerno, perchè dal retaggio
Li figli di Levi furono efenti.
Ma qual Gherardo è quel, che tu per faggio
Di', ch' è rimafa della gente fpenta .
In fimproverio del fecol felvaggio?
O tuo pajlar m'inganna, o e' mi tenta,
Rifpofe a me, che parlandomi Tofco ,
Par che del buon Gherardo nulla i'entri.
Per altro foptanuome i' noi conofco ,
Si' io noi toglie Ili da fua figlia Gaja.
Dio fia con voi, che più ndh vegno vofco.
Vedi l' albor , che per lo fummo raja ,
Già biancheggiare: e me convien partirmi,
L' Angelo e ivi , prima ch' egli paja :
Così parlò , e più non volle udmui .
CANTO DECIMOSETTIMO.
,
ARGOMENTO.

Efcooe i Poeti dal fummo , e Dante vide nelS


immaginativa alcuni efeinfj <f Ira i indi per
tvvifo f un Angelo vanno alla. fi-ala del quar
to gitone , alla cui fommità pervenuti fi fer
mano emendo giunta la notte , e Virgilio in
tanto gli dice, che ivi Ji purga ì' Accidia, e
gfinfegna come datt' amore freceda ogni buo
na e malvagio operare .

R I corditi, Lettot, fe mai nell'alpe


Ti colfe nebbia, per la qual vedeffi .i
Non altrimenti, che per pelle talpe,
Comes quando i vapori umidi e fpefli
A diradar cominciano, la fpera
Del Sol debilemeute entra per effi:
E ila la tua immagine leggiera
In giugnere a veder, com'io rividi
Lo Sole in pria, che già nel corcare era..
Sì pareggiando i miei co'p.Uii fidi
Del mio maeftro ufei'fuor di tal nube
A' raggi morti già ne' baffi lidi.
14 DEL PURGATORIO
O immaginativa , che ne ruba
Tal volta sì di ftior, ch'uom non s' accorge.
Perchè d'intorno fuonin mille tube,
Chi muove te , fe '1 ftnfo non ti porge ?
Muoveti lume , che nel Ciel s' informa ,
Per fe, o per voler, che giù lo fcorge.
Dell' empiezza di lei , che mutò forma
NcH'uccel, che a cantar più fi diletta,
Nell' immagine mia apparve l' orma :
E qui fu la mia mente $1 riftrecta
Dentro da fe, che di fuor non venia
Cofa , che folle ancor da lei recetta .
J'oi piovve dentro all'alta iantafia
Uà crocififlb difpettofo e fiero
Nella fua villa, e cotal fi moria :
Intorno ad effo era'l grande Affucro,
Eller fua fpofa, e l'giufto Mardocheo,
Che fu al dire e al far così 'ntero.
E come quefta immagine rompeo
Sè per st fteffa a guift d'una bulla,
Cui manca l'acqua , fotta qual fi feo;
Surfe in mia vifione una fanciulla,
Piangendo forte, e diceva r O Regina,
Perchè per ira hai voluta effer nulla ?
Ancifa t'hai per non perder Lavina:
Or m'hai perduta: i'fonoeffa, che lutto,
Madre, alla tua, pria eh' ali' altrui mina.
CANTO XVIL -15
Come fi frange il fonno , ove dibutto
Nuova luce percuote '1 vifò chiufo,
Che fratto guizza, pria che muoia tutto^
Così l' immagfaar mio cadde giufo ,
Tofto che'1 lume il volto mi percoffe
Maggiore affai, che quel, ch' è in noftr'ufo.
Tmi vofgea per vedere ov'io foffe,
Quand'una voce dfffe : Qui fi monta,
Che da ogni altro 'ntento mi rimoffe:
E fece la mia voglia tanto pronta - -
Di riguardar Chi era, che parlava-,
Che mai non pofa , fe non fi raffronta ,
Ma come al Sol, che noftra vifta grava,
E per foverchio. fua figura vela ;
Così la mfa virtù quivi mancava,
Quefti è divino fpitito , che ne la
Via d'andar fa ne drizza fenza prego,
E col fuo lume fe medefmo cela .
Sì fa eoo noi,. come l'uom fi fa fego:
Che quale afpetta prejo, e l'uopo vede,. .
Malignamente già fi mette al nego .
Ora accordiamo a tanto 'nvito il piede :
Procacciami di falir, pria che s'«bbui:
Che poi non fi poria, fel dì non riede .
Così diffe 1 mio duca: ed io con lui
Volgemmo i noflri paffi ad una fcala:
£ oillo ch.' io al primo grado fui ,
,0 DEL PURGATORIO
Sentimi preffo quali un muover d'ala,
E ventarmi nel volto, e dir, Stati
•Pacìfici, che fon fanza ira mala.
Già eran fopra noi tanto levati
Gli ultimi raggi , che la notte fegue ,
Che le fi-elle apparivan da più lati . . '..
O virtù mia, perchè sì ti dileguo? . .• -..
Fra me fteffo dicea, che7 mi fcntiva
La pofla delle gambe pofta in tregue... '
Noi eravàm, dove più nan faliva . . i .' '
La fcala fu , ed eravamo affiffi
Pur come nave, ch'alia piaggia arriva:
Ed ip attefi un poco , s' io -udiffi .. .^ ^
Alcuna cofa nel nuovo girone: . T.
Poi mi rivolfi al mio maeftro, e diffi: -
Dolce mio padre, dì , -quale offenfions K'v •••
Si purga qui nel giro ^ dove femo "f •
Se i piè fi ftanno, non ftea tuo fermone.
Ed eglt a tue: L'amor del bene fcemo
Di fuo dover quiritta fi dftora : " - ''
Qui fi ribatte'l mal tardato remo.
Ma perchè più aperto intendi ancora,
Volgi la mente a me , e prenderai
Alcun buon frutto di noftra dimora.
Nè creatoi, ne creatura mai, ...'-..'-
Cominciò ci, figliuol, fu ftnza amore.
Denaturale, o d'animo, e tu'L fai .
.CANTO XVII. 17
Lo naturai fu fempre fenza errore: i: j •;
Ma l'altro puote errar per male obbietto,
.O per troppo , o per poco di vigore .
Mentre eh' egli è ne' primi ben diretto ,
E ne' fecondi fe fteffo mifura, ....'..
Eflèr non può cagion di mal diletto: ..
Ma quando al mal fi torce , o con più cura ,
O con men, che non dee, corre nel benej
Contra '1 attore adovra fua fattura .
Quinci comprender puoi , ch' effer conviene
Amor fementa in voi d'ogni virtute,
E d'ogni operazion, che merta p?ne.
Or perchè mai non può dalla falutd -i i.- .'.
Amor del fuo fuggetto volger vifo,
Dall'odio proprio fon le cofe tute :
E pejchè 'ntendet. non fi può divifo, •.. M
Ni per ft ftante alcuno effer nel primo ,
Da quello odiare ogni affetto è decifo .
Refta , fe dividendo bene ftimo ,
Che '1 mal , che s' ama , è del proffimo : ed effa
Amor nafce in tre modi in voftro limo.
È chi per effer fuo vicin foppreffo
Spera eccellenza ; e fol per quefto brama »
Ch'el fia di fua grandezza in baffo meffo :
È chi podere , grazia , onore , e fama
Teme di perder, perdi' altri formanti;
Onde s'attrifta sì ,che'1 contrario ama :
13 DEL PURGATORIO
Ed è chi per ingiuria par ch'adonti,
Si che fi fa della vendetta ghiotto;
E tal convitn, che'l male altrui impronti,
Quefto triforme amor quaggiù di fotto
Si piange : or vo', che tu dell' altro intende,
Che corre al ben con ordine corrotto.
Ciafcun confufamente un bene apprende ,
Nel qual fi quieti l'animo, e dcfira:
Perchè di giugner lui ciafcun contende .
Se lento amore in lui veder vi tira ,
O a lui acquiftar, quefla cornice
Dopo giufto pentèr ve ne martira .
Altro ben' e , che non fa l' uom felice :
Non è felicità , non è la buona
Effenzia d'ogni ben frutto e radice :
L'amor, ch' ad eflb troppo s'abbandona,
Di fovra noi fi piange per tre cerchi:
Ma come tripartito fi ragiona,
Tacciolo, acciocchè tu per te ne cerchi.
CANTO DECIMOTTAVft»
ARGOMENTO.

Virgilio dimojlra al Poeta ciò , che pronamente


fin amore, e gli parla dell' umana libertà;
vedono poi C anime degli Acciiioft, che in tor
ma. correvano per il girone, e due dinanzi
rammemoravano efempj di Diligenza, come due
altri dietro la turba ricordavano efempj di Ac
cidia. .- In fine Dante fi addormenta. .* < J .

.LOfto avea fine al fu» ragionamene»


L'alto dottore, e attenta guardava
Nella mia vifta , s' io parea contento :
Ed io, cui nuova fete ancor frugava,
Di fuor taceva , e dentro dicèa : Forfe
• Lo troppo- dimandar, ch'io fo , li grava .
Ma qual padre verace , che s' accorfe
Del timido' voler, che non s'apriva,
Parlando di parlare ardir mi porfe .
Ond' io : Maeftro , il mio veder s' avviva
Sì nel- aio lume, ch' i' difcerno chiaro
Quanto la tua ragion porti , o deferiva .
lò DEL PURGATORIO
Però ti prego , dolce padre caro ,
Che mi dimoiiti amore, a cui riduci
Ogni buono operare, e '1 fuo con'traro.
Drizza, diffe, ver me l'acute luci
Dello 'ntelletto, e fleti imnifcfto
L'error de' ciechi, che fi fanno duci. t
L' animo , ch' è creato ad amar prefto ,
Ad ogni cofa è mobile, che piace, v ..:
Tofto che dal piacere in atto è defto.
Voftra apprenfiva da effer verace
Tragge intenzione , e dentro a voi la fpiega .
Sì che l'animo ad e(Ta volger fa».. ?>«.'.>
E fe rivolto in ver di lei fi piega,
Quel piegare è amor , quello è natura ,
Che per piacer di nuovo in voi fi lega.'. .
Poi come'l fuoco muovefi in altura .»j; • , i
Per la fua forma , ch'i nata a falire M
Là , dove più in fua materia dura ;
Così l'animo prefo entra 'n difire,
Ch'e moto fpiritale, e mai non pofa,
Fin. che la. cofa amata il fa gioire. : ... -
Or ti puote apparer, quantè nafcoft , ... '.
La veritade alla gente, ch.' avvera,-. • ; .;
Ciafcimo amore in fe laudabil cofa 5 : -;
Perocchè forfe appar la fui matera
Sempr' effer. buona : ma non ciafcun fegoo
È buono , ancor che buona fla la cera .
CANTO x\yir. 21
Le tue parole , e'1 mio feguace ingegno,
Rifpofi lui, m'hanno amor difcoverto:
Ma ciò m'ha fatto di dubbiar più pregno:
Che s'amore è di fuore a noi offerto ,
E l'anima non va con altro' piede,
Se dritto, o torto va', non è fuo merlo.
Ed egli a me : Quanto ragion qui vede ,
Dir ti pofs'io : da indi in là s'afpstta
Pure a Beatrice , ch' è opra di Fede.
Ogni forma fuftanzial , che fetta
È da materia, ed è con lei unita,
Specifica virtude ha in fe colletta ,
La qual fanza operar non è fendta,
Nè fi dimoftra, ma clic per effetto,
Come per verdi fronde in pianta vita:
Però là, onde vegna lo'ntelletto
Delle prime notizie , uomo non fape ;
E de' primi appetibili l'affetto,
Che fono in voi, sì come ftudio in ape
Di far lo mele : e queftà prima voglia
Merto di lode , o di biajmo non cape .
Or perchè a quefta ogni altra fi raccoglia , •
Innata v'* la virtù, che configlia,
E dell'affenfo de' tener la foglia.
Queft'è'1 principio, là onde C piglia
Cagion di meritare in voi, fecondo
Che buoni e/ tei amori accòglie e viglia.
2i DEL. PURGATORIO
Coler , che ragionando andato al fondo,
S' accorfer d' efta innata liberiate :
Però moralità lafciaro al Mondo.
Onde pognam , che di neceffitate
Surgaogni .amor, che dentro a voi s'accende,
Di ritenerlo è in voi la poteftate .
La nobile viriù Beatrice intende
Per io libero arbitrio , e però guarda ,
Che l' abbi a mente , s' a parlar ten' prende .
La Luna quali a mezza notte tarda
Facea le itelJe a noi parer più rade ,
Fatta come un feechion , che tutto arda .
E correa contra '1 Ciel per quelle ftrade ,
Che 'ìSole infiamma allor, cheque1 da Remi»
Tra' Sardi e Corfi il vede, quando cade :
E queil' ombra gentil , per cui fi noma
Bietola più , che villa Mantovana ,
Del mio carcar dipofto avea la fama :
Perch'io, che la ragione aperta e piana
Sovra le mie queftioni avea ricolta ,
Stava com'uom, che fonnolento vana.
Ma quefta fonnolenza mi fu tolta
Subitamente da gente , che dopo
Le noftre fpalle a noi era già volta .
TC quale Ifmeno già vide ed Afopo
Lungo di fe di notte furia e calca,
Pur che i Teban di Bacco aveftero uopoj
CANTO XVIII. 23
Tale per quel giron fuo patio falca,
Per quel ch' io vidi di color venendo ,
Cui buon volere, e giufto amor cavalca.
Tofto fur fovra noi: perchè correndo
Si movea tutta quella turba magna;
E duo dinanzi gridavan piangendo :
Maria corfe con fretta alla montagna :
E Cefare per fuggiugare Ilerda
Punfe Marlilia, e poi corfe in Ifpagna.
Ratto ratto, che'1 tempo non fi perda
Per poco arnor, gridavan gli altri appreffo,
Che ftudio di ben far grazia rinvcrda.
O gente, in cui fervore acuto adefio
Ricompie forfe negligenza e 'ndugio
Da voi per tiepidezza in ben far meQb ,
Quefti, che. vive (e certo io non vi bugio)
Vuole andar fu , purchè'l Sol ne riluca:
Però ne dite, ond' è preflb '1 pertugio.
Parole furon quefte del mio duca :
E un di quegli fpirti diffe: Vieni
Diretr' a noi , the troverai la buca .
Noi fiarn di voglia a muoverci sì pieni.
Che riftar non potèm : però perdona,
Se villania noflra giuftizia tieni.
I' fui Abate in San Zeno a Verona
Sotto lo 'mperio del buon Barbaroffa ,
Di cui dolente ancor Melan ragiona :
,4 DEL PURGATORIO
E tale ha già l' un piè dentro la foffa ,
Che tofto piangerà quel moniftcro,
E ttifto fla d' avervi avuta poffa ;
Perchè fuo figli" mal del COi'l10 intero ,
E della mente peggio, che mal nacque,
Ha pofto in luogo di fuo paftor veto.
Io non fo, fe più diffe, o s'ei fi tacque,
Tant'eta già di là da noi trafcorfo :
Ma quefto 'ntefi , e ritener mi piacque .
E quei, che m'era ad ogni uopo foccorfo,
Biffe: Volgiti in qua: vedine due
AH' accidia venir dando di morto .
Direno a tutti dicèn: Prinra tue
Morta la gente, a cu' il mar s'aperfc,
Che vedeffe Giordan le rede fue .
E quella, che l'affanno non foffeifc
Fino alla fine col figliuol d'Anchife,
Se fteffa a vita fanza gloria offetfe.
Poi quando fur da noi tanto divife
Queil' ombre , che veder più non poterli ,
Nuovo penfier dentro da me fi mile,
Del qual più altri nacquero e diverfi :
E tanto d'uno in altro vaneggiai,
Che gli occhi per vaghezza ricoperfi ,
E '1 penfamento in fogno trafmutai .
CANTO DECIMONONQ.
/ . m > •
,' '.v;A.R 0.0. »•« N T.P..! j '.; ./.

Racconta il Poeta. una vifione, che ebbe ri:t fan


no, da cui. fi rifyegW Uva;a già il Sole: rfrcfe
pel, che mc/oji in via, e profegueatio con Vir
gilio .furono dalla voce <T Uti' Angelo indirizzati
alla fcala , fsr evi feltrano al quinto girone ,
ime frano. già 'Jyarì, che piangendo giaceva-
no locami: tra quejli. Dante ritrova PapQ A-
driano f. col quale favella \ . ..-.j ;

I EH' ora , che non .p«ò '1 calor diu rno


Intiepidir più'1 freddò drfla Luna.
Vinto da Terra, o talor da Saturno,
Quando i Geomanti lor Maggior fortuna
Veggiono in' .Oriente innanzi all'alba »
Surget pet' via v -che poco le fta bruna;
Mi venne in fogno una femmina balba
Con gli occhi guerci^ e fovra i piè diftorta,
Con le man monche , e di colore fcialba .
Io la mirava: e come'1 Sòl conforta
Le frédde membra, che la notte aggrava;
Così lo fguardo mio le-facea fcorta

Dante , Tomo IL E
j6 DEL PURGATORIO
La lingua , e pofeia tutta la drizzava
In poco d' ora , e lo fin aitilo volto ,
Come amor vuoi, cosale colorava.
Poi ch'ella avea'l parlar così difciolto ,
Cominciava a cantar sì , che con pena
Da lei avre'mio intento rivolto. .
•Io fon, cantava, io fon dolce Serena,
Che i marinari in mezzo '1 mar difmago,
Tanta fon di piacere a fentir piana.
Io traffi Uliffe del fuo caromin vago ''
Al canto mio: e qual meco s'aufa,
Rado fen' parte, sì tutto l'appago.
Ancor non era fua bocca richiufa ,
Quando una donna apparve fanta e prella
Lunghetto me, per far colei confufa.
O Virgilio Virgilio , chi è quefta ?
Fieramente dicea: ed ei veniva
Con gli occhi fitti pure in quella onefl-a:
L'altra prendeva, e dinanzi l'aprivs,
Fandendo i drappi, e moftravami'1 ventre:
Quel mi fvegliò col puzzo, cheMi'ufciva.
Io volfi gli occhi : e '1 buon Virgilio : Almen tre
Voci t' ho mefle , dicea : furgi , e vieni :
Troviam l'aperto, per lo qual tu entre.
Su mi levai, e tutti eran già pieni
Dell'alto dì i giron.del facro monte,
E audavam col Sol nuovo alle reni'.
CANTO XIX. 27
Seguendo lui portava la mia fronte,
Come colui, che l'ha di penfier carca,
Che fa di fe un mezzo arco di ponte,
Quando i'udi': Venite, qui fi varca;
Parlare in modo foave e benigno,
Qual non fi fente in quefta mortai marca .
Con l' ale aperte , che patèn di cigno ,
Volfeci in fu colui, che sì parlonne,
Tra i duo pareti del duro macigno .
Moffe le penne poi, e ventilonne,
Qui lugent, affermando effer beati,
Ch' avran di confolar l'anime donne.
Che hai, che pure in ver la terra guati?
La guida mia incominciò a dirmi,
Poco amendue dall' Angel formontati.
Ed io: Con tanta fofpeccion fa irmi
Novella vifion, ch' a fe mi piega,
Sì ch'io non poffo dal penfar partirmi.
Vedefti , diffe , quella antica ftrega ,
Che fola fovra noi ornai fi piagne?
Vedefti , come l'uom da lei fi slega?
Bailiti, e batti a terra le calcarne :
Gli occhi rivolgi al logoro, che gira
Lo Rege eterno con le ruote magne.
Quale il falcon, che prima a' piè fi mira.
Indi fi volge al grido, e fi protende
Per lo difio.del pafto, che là il tira;
Ba
z8 DEL PURGATOMO
Tal mi fec' io : e tal , quanto fi fende
La roccia per dar via a chi va fufo,
N' andai 'nfino ovc'1 cerchiar fi prende.
Com'io nel quinto giro fui difchiufo,
Vidi gente per elio, che piangea ,
Giacendo a terra tutta volta in giufo.
Adhttjìt pavittttnto anima mia ,
Sentia dir lor con sì alti fofpiri,
Che la parola appena s'intendea.
O eletti di Dio, li cui foffriri
E giuffizia, e fperanza fan raen duri,
Drizzate noi .verfo gli alti faliti .
Se voi venite dal giacer ficuri,
E volete trovar la via più tofto,
Le voftre deftre fien fempre di furi :
Così pregò '1 Poeta , e sì rifpofto
Poco dinanzi a noi ne fu : perch' io
Nel parlare avvifai l' altro nafcofto :
E volfi gli cechi agli occhi al fignor mio ;
Ond' elli m' affentl con lieto cenno
Ciò , che chiedea la vifta del difio .
Poi ch ' io potei di me fare a mio fenno ,
Traflimi fopra quella creatura,
Le cui parole pria notar mi fenno ,
Dicendo : Spirto , in cui pianger matura
Quel, fanza'1 quale a Dio tornar non puoflì,
Sofìa un poco per me tua maggior cura .
CANTO XIX. i
Chi fofti , e perchè volti avete 'i doffi
Al fu, mi dì, e fe vuoi, ch' i' t' impetri
Cofa di là , ond'io vivendo moffi.
Ed egli a m: : perchè i noftri diretri
Rivolga '1 Cielo a fe, faprai ; ma prima
Sciai , quoti ego fui fucceffor Pctri .
Intra Sieftri, e Chiaveri s'adima
Una fiumana bella, e del fuo nome
Lo titol del mio fangue fa fua cima .
Un mere, e po$> più prova' io, come
Pefa'1 gran manto a chi dal fango '1 guarda:
Che piuma fembran tutte 1' altre fume .
La mia converfione orni fu tarda ;
Ma come fatto fui Roman Pattore,
Così ftoperfi la vita bugiarda .
Vidi, che lì non fi queuva'1 cuore,
N4 più falir poteiì in quslla vita;
Perchè di qutfta in me s' accefe amore.
Fino a quel putito mifera e partita
Da Dio anima fui , del tutto avara :
-Or, come vedi, qui ne fon punita.
Quel, ch'avarizia fa, qui fi dichiara
In purgazion dell' anime converfe :
E nulla pena il monte ha pili amara.
Sì coine rocchio noflro non s' aderfe
In alto , fiffo alle cofe terrene ;
Cosi giuftizia qui a terra il merfe .

B 3
5o DEL PURGATORIO •
Come avarizia fpenfe a cìafcun ben»
Lo noftro amore , onde operar perdèfi ,
Così giuftizia qui ftretti ne tiene
Ne' piedi e nelle man legati e prefi;
"E quanto fia piacer del giullo Sire,
Tanto ftaremo immobili e diftefi.
Io m' era inginocchiato , e volea dire :
Ma com' i' cominciai , ed ei s' accorfe
Solo afcoltando del mio riverire,
Qual cagion, diffe , in giù così ti torfet
Ed io a lui: Per voftra dignitate
Mia cofcienza dritta mi rimorfe.
Drizza le gambe, e levati fu, frat»,
Rifpofe : non errar : confermo fona
Teco, e con gli altri ad una poteftate.
Se mai quel finto Evangelico fuono,
Che dice tfequi uubcnl , intende/fi,
Ben puoi veder, perch'io così ragiono.
Vattene omai : non vo' , ch: più t' arretri :
Che la tua ftanza mio pianger difagia,
Col qual maturo ciò , che tu dicefti .
Nepote ho io di la, ch'ha nome Alagia,
Buona da fe, pur che la noftra cafa
Non faccia lei per efemplo malvagia i
E quella tuia m' è di là iiu
3'
'CANTO VENTESIMO.

ARGOMENTO.
»
Dtntc fegttitasido colla fua fiorta udì uno fpirito ,
chi -rammentava efempj dì,. Povertà , dal qua
le, fra ìt altre cofe, intcfe, che la natte dell'
anime rifeteanjì csctnpj £ Avarìzia : da quefìo
poi dipaniti feutirono tremar' il manie , e l' a-
nitnz cantar gloria a £>io : dopo di che ripre-
fero nuovamente il cammino .

V^Ontra miglior voler voler mal pugna .


Onde cantra'! piacer mio per piacerli
TraQi dell'acqua non fazia la fpugna. .
Moffimi; e'1 duca .mio fi moffe per li
Luoghi fpediti pur lungo la roccia ,
Come fi va per muro ftretto a' merli :
Che la gente, che fonde a goccia a goccia
Per gli occhi '1 mal , che tutto '1 Mondo occupa ,
Dall'altra parte in fuor.troppo s' approccia.
Maladetta fie tu, antica Lupa,
Che più che*4:utte l'altre beftie hai preda
Per la tua fame fanza fine cupa .
O Ciel , nel cui girar par che fi creda
Le condizion di quaggiù trafmutarfi ,
Quando vetta, per cui quefta difceda?

»4
31 DFX PURGATORIO '
Noi andavam co'paffi lenti e fcarfl :
Ed io attento all'ombre, ch' i'fentia
' Pietofamente piangere e lagnarfi : »
E per ventura udi' : Dolce Maria>
Dinanzi a noi chiamar così liei pianto ,
Come fa donna, che'n partorir Ha;
E fcguitar : Povera fofti tanto ,
• Quanto veder fi può per queil' ofpizio,
• Ove fponefli'1 tuo portato fanto.
Seguentemente intefi : O buon Fabtizio ,
Con povertà volefti anzi virtute ,
Che gran ricchezza poffeder con vizio,
Quefte parole m'eran sì piaciute,
Ch'io mi traflì oltre per' aver contezza
Di quello fpirto, onde parèu venute .
Efib parlava ancor della larghezza ,
Che fece Niccolao" alle pulc'elle,
Per condurre ad onor lor giovinezza .
O anima , che tanto ben favelle ,
Dimmi chi fofti, diffi , e perchè fola.
Tu queftc degne lode rinnovelle.
Non fia fenza mercè la tua parola,
S'io ritorno a compier lo canjmin corto
Di quella vita , ch' al termine vola .
Ed egli: Io ti dirò , non per conforto,
Ch' io attend* di lì , ma perchè tanta
Grazia in te luce prima che Cc morto,
CANTO XX. 33
o
l'fui radice della mala pianta,
Che la terra Criftijna tutta aduggia
Si, che buon frutto rtéo fe ne fcuianta.
Ma fe Doagio, Guanto, Lilla, e B ruggia
4>oteuer , tofto .ije faria vendetta :
Ed io la cheggio a lui , che tutto giuggia .
Chiamato fui di là Ugo Ciapetta :
Di me fon nati i Filippi e i Luigi,
Per cui novellamente è Francia retta.
Fig!iuo> fui d' un beccajo di Parigi ,
Quando li Regi antichi venncr meno
Tutti, fuor ch'ua renduto in panni bigi,
Trovami ftretto nelle mani il freno
Del governo del regno , e tanta poffa
Di nuovo acquifto, e più d'umici pieno,
Ch' alla corona vedova promoffa
La tefta di mio figlio fu, dal quale •
Cominciar di coftor le facrate olia .
Mentre che la gran dote Provenzale
Al fangue mio non tolfe la vergogna,
Poco valea , ma pur noa facea male .
Lì cominciò con forza, e con menzogna
La fua rapina : e pofcia per ammenda
Ponti, e Normandìa prefe, e Guafcogna .
Carlo venne in Italia, e per ammenda
Vittima fe' di Curradino, e poi
Rifpintè al Ciel Tommafo per ammenda ,

B5
34 DEL PURGATORIO
Tempo vegg'io non molto dopo ancoì,
Che tragga un'altro Coirlo fuor di Francia,
Per far conofcer «Aglio e fc, e i fuoi.
Senz'arme n'efce , e«folo con la lancia,
Con la qual gioftrò Giuda, e quella poni»
Sì, eh' a Fiotenza fa fcoppiar la pancia.
Quindi non terra, ma pèccata e onta
Guadagnerà per fe tanto piìl grave,
Quanto più lieve fimil danno conta.
L' altro , che già ufcì prefo di nave,
Veggio vender fua figlia , e patteggiarne .
Come fan li corfar dell' altre fchiave .
O avarizia , che puoi tu più farne,
Poi ch' hai '1 fangue mio a te sì tratto,
Che non fi cura della propria carne ?
Perchè men paja il mal futuro , e '1 fatto ,
Veggio in Alagna entrar la fiordalifo ,
E. nel Vicario fuo Crifto efler catto .
Veggiolo un' altra volta effer derifo :
Veggio rinnovellar l'aceto , e'1 fele,
E tra vivi ladroni effere ancifo.''
Veggio '1 nuovo Pilato sì crudele,
Che ciò noi fazia , ma fenza decreto
Porta nel tempio le cupide vele .
O Signor mio , quando farò io lieto
A veder la vendetta , che nafcofa
Fa dolce l'ira tua nel tuo fegceto?
'CANTO XX. 35
Ciò, ch'i' dicea di quell'unica fpofa
Dello Spirico Santo , e che ti fece
Verfo me volger per alcuna chiofa ,
Taut' e difpofto a tutte no/Ire prece ,
Quanto il dì dura; ma quando s'annotta,
Contrario fuon prendemo in quella vece:
Noi ripetiam Pigmalione allotta,
Cui traditore e ladro e patricida
Fece la voglia fua delitto ghiotta:
E la miferia dell'avaro Mida,
Che feguì alla fua dimanda ingorda,
Per la qual fempre convien che fi rida .
D*l folle Acàm ciafcun poi fi ricorda,
Come furò le fpoglie , sì che l' ira <n
Di Jofuè qui par ch'ancor lo morda.
Indi accufiam col marito Safira:
Lodiamo i calci, ch'ebbe Eliodoro :
Ed in infamia tutto '1 monte gira
Polinneftor, ch'ancife Polidoro:
Ultimamente ci fi grida: Craffo,
Dicci , che '1 fai , di che fapore è J' ore .
Talor parliam 1' un' alto, e l'altro baffo,
Secondo l'affe/ion, ch' a dir ci fprona
Ora a maggiore, ed ora a minor paffo.
Però al ben , che '1 dì ci fi ragiona ,
Dianzi non er' io fol : ma qui da prcffo
.Non alzava la voce altra. perfona .

B 6
36 DEL PURGATORIO
Noi eravam partiti già da eflo,
E bngavam di foverchiar la ftrada
Tanto , quanto al poder n' era permeflo ;
Quand' io feuti', come cofa che cada ,
Tremar ìo monte : onde mi prefe un gielo ,
Qual prender fuol colui , ch' a morte vada.
Certo non fi fcotea sì forte Delo , •
Pria che Latona in lei faceflc'1 nido,
A parturir li du'fcchi del Cielo.
Poi cominciò da tutte parti un grida
Tal, 'che '1 maeftro in ver di me fi feo,
Dicendo : Non dubbiar , mentr' io ti guido .
Gloria in exceljìs tutti Dea
Dice», per quel ch'io da vicin comprefi,
Onde'ntender lo grido fi potèo.
Noi ci reftammo immobili e fofpefi ,
Come i paftor, che prima udir quel canto,
Fin che'l tremar cefsò, ed ei compièfi.
Po,i ripigliammo noftro cammin fanto,
Guardando l'ombre, che giacèn per terra .
Tornate già in fu Tuùto pianto.
Nulla ignoranza mai cotanta guerra
Mi fe'defideiofo di fapere,
Se la memoria mia in ciò non erra,
Quanta parèmi allor penfando avere:
Nè per la fretta dimandare er' ofo ,
Nè per me 11 potea cofa vedere :
Così m'andava timido e peufofot
37

CANTO VENTES1MOPRIMO.

ARGOMENTO.

Seguendo i Patti per il quinta girone apparve


. lar9 uno fpirito , da cui rìchiejla avendo la
cagitae dello Scotimento del munte , e del canto
deir anime poc' anzi udito , intefero avvenir
ciò , qualora alcuna delf anime terminata la
fiia purgazione fi leva per gir' al Cielo : ella
fne lo fpirito fi da a cono]cere , e loro 4ic(t
eh' era Stazio .

fete naturai , che mai non fazia ,


Se non con l' acqua , onde la f mminetta
Sammaritana dimandò la grazia,
Mi travagliava , e pungèmi la fretta
Per la 'mpacciata via retro al mio duca,
E condolami alla giufta vendetta .
Ed ecco, sì come ne fcrive Luca,
Che Crifto apparve a' duo , ch' erano 'n vìa ,
Già furto fuor della fepulcral buca ,
Ci apparve un'ombra, e dietro a noi venia
Dappiè guardando la turba , che giace :
Nè ci adderamo di lei , sì parlo pria ,
5S DEL PURGATORIO
Dicendo : Frati mici , Dio vi dea pace :
Noi ci volgemmo fubito ; e Virgilio
Rendè lui'l cenno , ch' a cio fi conface :
Poi cominciò : Nel beato concilio
Ti ponga in pace la verace Corte ,
Che me rilega nell' eterno cfilio .
Come, difs' egli, e perchè andate forte,
Se voi fie;e ombre , che Dio fu non degni ?
Chi v' ha per la fua fcala tanto fcorte 9
E '1 dottor mio : Se tu riguardi i fegni ,
Che quefti porta, e che l' Angel proffila,
. Ben vedrai , che co' buon con vien ch' e' regni -
Ma perchè lei, che dì e notte fila,
Non gli avea tratta ancora la conocchia ,
Che Cloto impone a ciafcuno e compila ,
L'anima fua. ch' è tua, e mia firocchia,
Venendo fu non potea venir fola ,
Pcrocch' al noftrt» modo non adocchia :
Ond'io fui tratto fuor dell'ampia gola
D'Inferno per moftrarli, e mofti-crolli
Oltre, quanto '1 potrà menar mia (cuoia.
Ma dinne , fc tu fai , perchè tai crolli
Diè dianzi '1 monte, e perchè tutti ad una.
Parver gridare infino a' fuoi piè molli?
Sì mi diè dimandando per la cruna
Del mio difio, che pur con la fperanza
Si fece la mia fete men digiuna.
CANTO XXI. 3
Quei cominciò: Cofa non è, che fanza
Ordiue fenta la religione
Della montagna , o che fia fuor d' ufanza .
Libero è qui da ogni alterazione :
Dì quel, che'1 Cielo. in se da sè riceve,
Eflerci puote , e non d'altro cagione :
Perchè non pioggia, non grando, non neve,
Non rugiada % non brina più fu cade ,
Che la fcaletta de' tre gradi breve.
Nuvole fpaflc non pajon , nè rade ,
Nè corrufcar, nè figlia di Taumante,
Che di là cangia .foven te contrade.
Secco vapor non furge pili avante,
Ch'ai fomrno de' tre gradi, ch'io pirlai,
Ov' ha'1 Vicario dì Pietro le Riante.
Trema forfe più giù poco , od affai:
Ma per vento, che'n terra fi nafconda,
Non fo come , quafsù non tremò mai :
Tremaci, quando alcuna anima monda
Si fente sì, che furga, o"che fi muova
Per falk fu , e tal grido feconda .
Della mondizia il fol voler fa pruova ,
Che tutta libera a mutar convento
L' alma forprende, e di voler le giova.
Prima vuoi ben; ma non lafcia'1 talento,
Che divina giuftizia centra voglia ,
Come fu al peccar, po»c al tormento.
40 DEL PURGATORIO
Ed io, che. fon giaciuto a quefta doglia
Cinquecento anni e più, pur mo fentii
Libera volontà di miglior foglia .
Però fentifii 'i {remoto , e li ]>ii
Spiriti per lo monte render l'ode
A quel Signor, che tofto fu gl'invii.
Così gli dille : e però che fi gode
Tanto del ber, quant'è grande la fete,
Non faprci dir, quant'e' mi fece prode.
E '1 favio duca: Ornai veggio la rete,
Che qui vi piglia, e come fi fcalappia,
Perche ci trema, e di che congaudete.
Ora chi fofti ,' piacciati ch' io fappia ,
E perchè tanti fecoli giaciuto
Qui fe', nelle parole tue mi cappia.
Nel tempo, che'l buon Tito con l'ajuto
Del fommo Rege vendicò le fora,
Ond' ufcì '1 Sangue per Giuda venduto ,
Col nome , che più dura e più onora ,
Er'io di là , rifpofe quello fpirto,
Famofo aliai , ma non con Fede ancora .
Tanto fu dolce mio vocale fpirto ,
Che Tolofano a fe mi trafle Roma,
Dove mertai le tempie ornar di mirto.
Stazio la gente ancor di là mi noma :
Cantui di Tebe, e poi del grande Achille :
Ma caddi "n via con la feconda foma .
CANTO XXI. 41
Al mio ardovfnr Teme le faville, '«
Che mi fcaldar della divina fiamma ,'
Onde fono allumati più di mille»
Dell'Eneida dico, «la qual mamma
Fummi , e fummi nutrice poetando i,
Sanz' riffa non fermai pefo di dramma .
E per effec- vivuto di là , quando
Viffe Virgilio, affentiipi uà Sole
Più , -ch' i' non deggie , al mio ufcir di bando .
Volfer Virgilio a me quefte parole
Con vifo, che tacendo dicea : Taci:
Ma non può tutto la virtù , che vuole :
Che rifo e pianto fon tanto feguaci
Alla paffion , da che ciafcun fi fpicca,
Che men feguen voler ne' più veraci .
Io pur forrifi, come l'uom, ch'ammicca :
Perche l' ombra fi tacque , e riguardommi
Negli occhi, ove'1 fembiante più fi ficca:
E fe tanto lavoro in bene aflbmmi ,
Dille, perchè la faccia tua teftefo
Un lampeggiar d' un rifo dimoftrommi ?
Or fon' io d'una parte e d' altra- prefo :
L'uni mi fa tacer, l'altra fcongiura,
Ch'i' dica: ond'io fofpiro, e fono intefo .
Dì, il mio imeftro, e non aver paura,
Mi dine , di parlar; ma parla, e digli
Quel, ch' e' dimanda con cotanta cura.
-4i DEL PURGATORIO
Ond'io: Forfe che tu ti maravigli,
Antico fgirto, del rider, ch'i'fei:
Ma più d'ammirazion vo', che ti pigli.
Quefti, che guida in alto gli occhi miei,
È quel Virgilio, dal qual tu togliefti
Forte a cantar degli uomini, e da' Dei.
Se cagione altra al mio rider credefti, »
Lafciala per non vera , ed cffer credi
Quelle parole , che di lui dicefti .
Già fi chinava ad abbracciar li piedi
Al mio dottor; ma e' gli dùTe: Frate,
Non far: che tu fe' ombra, e ombra vedi .
Ed ei furgendo : Or puoi la quantitate
Comprender dell'amor, ch' a te mi fcalda,
Quando difmento noftra vanitate,
Trattando l'ombre, come cola &lda.
43
* i»
CAN^O VENTESIMOSECONbo .
4

A R. G Ot M E

Sale il Patta con Virgilio e Stazi» al ftfto giro


ne, ève fi purga il peccato della Gola , e fe-
guendu ffr queljf il cammino ritrovano un'
arbori affai frano , oruatp ili pomi odoro/i,
fiiile cui foglie cadeva dalla roccia .una lim
pida acqua; alle qual pianta appresati udiro
no una voce , che rammentava efemfj di Tem-

G-" là eta l' Angel dietro a noi rimato ,


L' Angel , che n' avea volti al fefto giro ,
Avendomi dal vifo un colpo rafo :
E quei, ch'hanno a giuftizia lor diflro,
Detto n'avean, Beati , in le fue voci.
Con fitto , e fenz" altro ciò forniro :
Ed io pflj lic^e^ che per l'altre foci,
M'andava sì, che fenza alcun labore
Seguiva in fa gli fpiriti veloci;
Quando Virgilio corqinciò: Amore
Accefo di virtù fempre altro accefe,
Pur che la fiamma fi» parsile Cuore .
44 DEL PURGATORIO
Onde dall'ora, Ae tra noi difcefe
Nel' limbo dello 'nferno Giovenale,
Che la tua affezion mi fe'palefe,
Mia benvoglienza inverfo te fu, quale
Più ftrinfe mai di non vifta perfona ,
Sì ch'or mi partan corte qutfte fcale.
Ma dimmi; e come amico mi perdona,
Se troppa fìcurtà m'allarga il freno,
E come amico ornai meco ragiona:
Come potèo trovar dentro al tuo feno
Luogo avarizia tra cotanto fennó", -
Di quanto per tua cura fbfti pi«rto? •
Quefte parole Stazio muover fenno*
Un poco a rifo pria ; pofcia rifpofc :
Ogni tuo dir 3'amor m' è caro cenna.
Veramente più volte appajon cofe,
Che danno a dubitar falfa matera,
Per le vere cagion, che fon nnfcofc.
La tua dimanda tuo creder m'avvera
Effer , ch'io foffi avaro in l'altra vita,
Forfe per quella cerchia , dov' io era .
Or fappi, che avarizia fu parata
Trop'po da me : e quefta difmifura
Migliaja di lunari hanno punita.
£ fe non foffe, Ch'io drkzai mia cura,
Quand'io intefi là, ove tu chiame
Crucciato quafi ali' umana natura ,
CANTO XXII. 45
Perchè non' reggi tu , o faera rame
Dell' oro , l' appetito de' mortali ?
Voltando fentirci le gioftre grame .
Allor m'accorfi, che troppo aprir l'ali
Potèn le mani a fpendere, e pentèmi
Così di quel, come degli altri mali.
Quanti rifurgeran co' crini fcemi
Per l' ignoranza , che di quefta pecca
Toglie '1 pentèr vivendo, e negli ftremil
E fappi, che la colpa, che rimbecca
Per dritta oppofizione alcun peccato ,
Con effo infieme qui fuo verde fccca .
Però s'io fon tra quella gente flato,
Che piange l'avarizia, per purgarmi,
Per lo contrario fuo m' è incontrato.
Or quando tu cantafti le crude armi
Della doppia uiftizia di Jocafta ,
Diffe'1 Cantor de' bucolici carmi,
Per quel , che Clio lì con teco tafta ,
Non par che ti facefle ancor fedele
La Fè, fenza la qual ben far non bafia.
Se così è, qual Sole, o quai candele
Ti ftenebraron sì , che tu drizzafti
Pofcia diretro al pefcator le vele ?
Ed egli a lui : Tu prima m' inviafti
Verfo Parnafo a ber nelle fue grotte ,
E prima appretto Dio m' alluminafti.
45 DEL PURGATORIO
'V
Facefti , come quei , che va di notte ,
Che porta il luftie dietro, e sè non giova;
Ma dopo se fa le perfone dotte ;
Quando dieefti: Secol fi rinnuova,
Torna giuftizia, e primo tempo umano,
E progenie difcende dal Ciel nuova.
Per te poeta fui, per te Criftixno;
MH perchè veggi me' ciò , ch'i'difegno,
A colorar diffenderò la mano.
Già era '1 Mondo tutto quanto pregno
Della vera credenza feminata
Per li metraggi dell'eterno regno:
E la parola tua fopra toccata
Si confonava a' nuovi predicanti :
Ond' io a vietarli prefi nfata .
Vennermi poi parendo tanto fanti,
Che quando Domizian li perfeguette ,
Senza mio lagrimar non fur lor pianti :
E mentre che di là per me fi flette,
Io li fovvenni, e lor dritti coftumi
Fcr difpregiare a me tutte altre fette.
E pria, ch'io conduceffi i Greci a' fiumi
Di Tebe poetando, ebb'io battefmo:
Ma per paura chiufo Criftian fumi
Lungamente moftrando Paganefmo :
E quefta tiepidezza il quarto cerchio
Cerchiar mi fe' più che'l quarto centefmo :
CANTO XXII." 47
Tu dunque;, che levato hai'1 coperchio,
Che m'afcondeva quanto bene io'dico,
Mentre che del falire awan foverchio,
Dimmi dov'è Terenzio noftro amico,
Cecilio, Plauto, e Varro, fc lo fai :
Dimmi, fe fon dannati, ed in qual vico.
Cofloro, e Perfio, ed io, e altri afiai,
Rifpofe'l duca mio, Cam con quel Greco,
Che le M afe lattar. più ch'altro mai,
J\el primo cinghio del: carcere cieco .
Speffe fiate ngioniam del monte,
Ch'ha le nutrici noftre fempre feco.
Etiripide v'è nofòo, e Anacreonte,
Simonide , Agatone , e altri piùe
Greci, che già di lauro ornar la fronte.
Quivi fi veggion delle genti tue:
Amigone, Dcifile, ed Argìa,
Ed Ifmene sì trifta , come tue.
Vedefi quella, che moftrò Langìa:
Evvi la figlia di Tirefia, e Teti,
E con le fuore fue Dcidamìa.
Tacevano amendue già li Poeti , «
Di nuovo attenti a riguardare intorno ,
Liberi dal falire e da' pareti:
E già le quattro ancelle eran del giorno
Rimafe addietro, e la quinta era al temo,
Drizzando pare, in fu r ardente corno;
4S DEL PURGATORIO
Quando '1 mio duca: Io credo, ctó allo flrcaiò
Le deftrc fpallc volger ci convegna
Girando il mome, come far folemo .
Così 1' ufanza fu. il noftra infegna:.
E prendemmo la via con men fofpetto,
Per l'allentir di queil' anima degna.
Elli givan dinanzi , ed io foletto
Diretro, e afcoltava i lor fermeni,
Ch'a poetar mi davano intelletto : i
Ma tofto ruppe le dolci ragioni
Un'alber, clic trovammo in mezza ftrada
Con pomi ad odorar foavi e buoni :
E come abete in alto fi digrada
Di ramo in ramo', così quello in giufo,
Cred' io , perchè perfona fu non vada .
Dal lato, onde'1 camrnin noftro era chiufo,
Cadea dall'alta roccia un liquor chiaro,
E fi fpandeva per le foglie fufo.
Li duo Poeti all'alber s' apprettare;
E una voce per entro le fronde
Gridò : Di quello cibo avrete caro :"
Poi diSe : Più penfava Maria, onde
Foflcr le nozze orrevoli ed intiere,
Ch'alia fua bocca, ch'or per voi rifponde
E le Romane antiche per lor bere
Contente furon d'acqua : e Daniello
Difpregiò cibo, e acquiftò faveto.

Lo
CANTO XXII.
Lo fecol primo, quant'oto, fu bello:
Fe'favorofe con fame le ghiande, •
E nettare per fete ogni rufcello.
Mele, e locufte furon le vivande,
Che nudiiro il Batifta nel diferto:
Perch'egli è gloriofo, e tanto grande,
Quanto per l'Evangelio v'c aperto.

Dante , Tomo II.


50 DEL PURGATORIO

CANTO VENTESIMOTERZO.

ARGOM.ENTO.
Dante feguendo con Virgilio e Stazio il cammi
no per il fijlo girone vede l'anime de' Golafi ,
eh' erutto ali' cftremo ejlenuati dalla fame e
Hallo. fele; ed il Poeta ragiona collo fpirito -'.
4i Forefe , il quale gli dimoftra la cagione di'. j
cosi fatto dimagramento ; appreffo ji fa a ri-'^
prendere T immodejìo yeftire delle donne Fio- ?
remine.

LEntre che gli occhi per la fronda verde-


Ficcava io così, come far fuole
Chi dietro all'uccelliu fua vita perde,
Lo più che padre mi dicea: Figliuole,
Vienne oramai , che 1 tempo , che e' è 'mpofto,
Più utilmente compartir fi vuole.
I' volfl '1 vifo , e '1 paflo non men tofto
Appreffo a' favi, che parlavan sìc,
Che 1' andar mi facèn di nullo cofto :
Ed ecco piangere, e cantar s'udie,
. LMa mea, Domine , per modo
Tal, che diletto e doglia partutle.
CANTO XXITT. 51
O doke padre , che i quel, ch'i' odo?
Comincia' io : ed egli: Ombre, che vanno
Ferfe di lor dover folvendo '1 nodo.
Sì come i peregrin penfofi fanno ,
Giugnendo per cammin gente non nota ,
Che fi volgono ad effa , e non riftanno;
Così diretro a noi più tofto mota
Venendo, e trapaffando ci ammirava
£ D' anime iurba tacita e devota.
Negli occhi era ciafcuna ofcura e cava,
Pallida nella faccia, e tanto fcema,
-*.-- Che dall'offa lt pelle s'informava.
Non credo , che così a buccia ftrem*
Erifiton fi fuffe fatto fecco
Per digiunar, quando più n'ebbe tema.
Io dicea fra me fteffo penfando : Ecco
La gente, che' perdè Gerufalemme,
Quando Maria nel figlio dii di becca.
Parèn Tocchiaje annella fenza gemme:
Chi nei vifo degli uomini legge orno,
Bene avria quivi conofciuto l'emme.
Chi crederebbe, che l'odor d'un pomo
Sì governaffe, generando brama,
E quel d'un' acqua, non fappiendo como?
Già era in ammirar, che sì gli affama,
Per la cagione ancor non manifefta
Di lor magrezza , e di lor trifta fqcrama ;

C *
5a -DEL PURGATORIO
Ed ecco-4el profondo della tefta
Volfeame gli occhi un' ombra , e guardòfifo,
Poi gridò forte : Qual grazia m' è quefta ?
Mai non l'avrei riconofciuto al vifo:
Ma nella voce fua mi fu palefe
Ciò, che Fafpetto in sè avea conquifo.
Quefta favilla tutta mi raccefe
Mia conofcenza alla cambiata labbia,
E ravvifni la faccia di Forefe.
Dch non contendere all'afciutta fcabbia,
Che mi fcolora, pregava, la pelle,
Nè a difetto di carne, ch'io abbia;
Ma dimmi '1 ver di te: e chi fon quelle
Du' anime, che là ti fanno fcorta,
Non rimaner, che tu non mi favelle.
La faccia tua, ch'io lagrimai già morta,
Mi da di pianger mo non minpr doglia ,
Rifpofi lui , veggendola sì torta .
Però mi dì per Dio , che sì vi sfoglia :
Non mi far dir, mentr'io mi maraviglio:
Òhe mal può dir chi o pien d' altra voglia .
Ed egli a me: Dell'eterno configlio
Cade virtù nell' acqua , e nella pianta
Rimala addietro, ond'io sì mi fottiglio.
Tutta cfla gente, che piangendo canta,
Per l'eguitar la gola oltre mifura ,
In fame e'n fece qui fi rifa fama.
CANTO XXIII. sj
Di bere e di mangiar n'accende cura
L' odor, ch' efce del pomo e dello fprazzo ,
Che fi diftende fu per la verdura.
E non pure una volta quefto {pazzo
Girando fi rinfrefca noftra pena :
Io dico pena , e dovre' dir follazzo :
Che quella voglia all'arbore ci mena,
Che menò Crifto lieto a dire Eli ,
Quando ne liberò con la fua vena.
Ed io a lui: Forefe, da quel dì,
Nel qual mutafti Mondo a miglior vita,
Cinqu'anni non fon volti infino a qui.
Se prima fu la poffa in te finita
Di peccar più , che forveniffe i' ora
Del buon dolor, ch' a Dio ne rimarita,
Come fe' tu quafsù venuto ancora?
Io ti credea trovar laggiù di fotto,
Dove tempo per tempo fi riftora.
Ed egli a me: Si tofto m'ha condotto .
A ber 1a dolce affenzio de' martiri
La Nella mia col fuo pianger dirotto.
Con fuo' prieghi devoti , e con fofpiri
Tratto m' ha della cofta , ove s' afpetta ,
E liberato m'ha degli altri giri.
Tant'è a Dio più cara e più diletta j
La vedovella mia, the tanto amai,. ,
Quanto 'u bene operare è più folcita:

C 3
54 DEL PURGATORIO
Che la Barbogia di Sardigna affai
Nelle femmine fue è più pudica ,
Che la Barbagia, dov'io la lafciai .
O dolce frate , che vuoi tu , ch' io dica ?
Tempo futuro m' è già nel cofpetto,
Cui non farà queft'ora molto antica,
Nel qual farà in pergamo interdetto .
Alle sfacciate donne Fiorentine
L'andar moftrando con le poppe il petto .
Quai Barbare fur mai, quai Saratine,
Cui bifognaffe, per farle ir coverte ,
O fpiritali , o altre difcipline 1
Ma fe le fvergognate fbffer certe
Di quel , che'1 Ciel veloce loro ammanila,
Già per urlare avrian le bocche aperte .
Che fe l'antiveder qui non m'inganna,
Prima fien trifte , che le guance impeli
Colui, che mo fi confola con nanna.
Deh frate , or fa , che più non mi ti celi :
Vedi , che non pur' io , ma quefta gente
Tutta rimira là, dove'l Sol veli.
Perdi' io a lui : Se ti riduci a mente ,
Qual fofti meco, e quale io teco fui,
" Ancor fia grave il memorar prefente.
Di quella vita mi volfe cottui,
Che mi va innanzi, l' altr' jer , quando tonda.
Vi fi moltrò la fuora di colui;
CANTO XXIII. s
E'1 Sol moftrai: coftui per la profonda
Notte menato m'ha da' veri morti
Con queila vera carne, che'1 feconda.
Indi m'han tratto fu li fuoi conforti,
Salendo e rigirando la montagna,
Che drizza voi, che'1 Mondo fece torti.
Tanto dice di farmi fua compagna,
Ch' io farò là , dove fia Beatrice :
Quivi convien, che fenza lui timagna.
Virgilio è quelli , che così mi dice ;
£ additala: e queft'altr'è quell'ombra,
Per cui fcoffe dianzi ogni pendice
Lo voftro regno , Che da fe la fgombra .
5<S DEL PURGATORIO
*

CANTO VENTESIMOQUARTO.

ARGOMENTO.

Segue Dante il cammino ragionando colto fpjrito


di Forefe, da cui gli Tingono moftrate alcune
anime de' Golofi : dice poi , che partito lo
fftrito egli oflervò un'altra arbore, tra le cui
fraudi ufci una voce, che ricordava efempj al
Gota : in fne i Poeti da un' Angelo furono
volti alla fcala, che porta al fettimo gironi.

NÉ' dir l'andar, nè l' andar lui più lento


Facea; ma ragionando andavàm fotte,
Si come nave pinta da buon vento .
E l'ombre , che parean cofe rimorte,
Per le fofle degli occhi ammirazione
Traèn di me, di mio vivere accorte.
Ed io continuando '1 mio fermane
Diffi: Ella fen'va fu forfe più tarda,
Che non farebbe, per l'altrui cagione.
Ma dimmi , fe tu fai , dov' è Piccarda :
Dimmi, s'io veggio da notsr perfona
Tra quefta gente, che sì mi riguarda.
CANTO XXIV. 57
La mia forcila, che tra bella e buona
Non fo qual foffe più , trionfa lieta
Nell'alto Olimpo già di fua corona:
Si diffe prima; e poi: Qui non fi vieta
Di nominar ciafcun, da ch' è sì munta
Noftra fembianza via per la dieta .
Quefti (e moftrò col dito) è Baonagiunta ,
Buonagiunta da Lucca: e quella faccia
Di là da lui , più che l' altre trapunta. ,
Ebbe la fama Chiefa in le fue braccia :
Dal Torfo fu, e purga per digiuno
L'anguille dì Bolfena, e la vernaccia.
Molti altri mi moftrò ad uno ad uno :
E nel nomar parta tutti contenti,
Sì ch'io però non vidi un'atto bruno.
Vidi per fame a voto uftr li denti
Ubaldin dalla Pila, e Bonifazio,
Che pafturò col rocco molte genti.
Vidi Meffer Marchefe , eh' ebbe fpazio
Già di bere a Forlì con men fecchezza,
E sì fu tal, che non fi fentì fazio .
Ma come fa chi guarda, e poi fa prezza
Più d' un , che d' altro , fe' io a quel da Lueca ,"
Che più parea di me aver contezza .
Ei mormorava : e non fo che Gentucca ,
Sentiva io là,Vei fentia la piaga
Dalla giullma, che sì gli pilucca.

C5
58 DEL PURGATORIO
O anima, difs'io, che par' sì vaga
Di parlar meco, fa sì, ch'io t'intenda,
E te, e me col tuo parlare appaga.
Femmina è nata , e non porta ancor benda , .
Cominciò ei , che ti farà piacere
La mia città , come ch' uom la riprenda :
Tu te n' andrai con quefto antivedere :
Se nel mio mormorar prenderli errore,
Dichiarcranlti ancor le cofe vere .
Ma dì , s'io veggio qui colui, che fuore
Traffe le nuove rime , cominciando
Donne , di' aiete intelletto a' amore.
Ed io a lui: Io mi fon un, che, quando
Amore fpira, noto, e a quel modo,
Che detta dentro, vo Bonificando .
O frate, iffa vegg'io, difs'egli, il nodo,
Che'1 Notajo , e Guittone, e me ritenne
Di qua dal dolce ftil nuovo , ch' i' odo .
Io veggio ben , come le voftre penne
Diretro al dittator fen' vanno ftrette,
Che delle noftre certo non avvenne.
E qual più a gradire oltre fi mette,
Non vede più dall' uno ali' altro ftilo :
E quafi contentato fi tacette.
Come gli augei , che vernan verfo'l Nilo,
Alcuna volta di lor fanno fchicra,
Poi volan più in fretta, e vanni» in filo ;
CANTO XXIV. 59
Così tutta la gente, che li eta,
Volgendo '1 vifo raffrettò fuo paffo,
E per magrezza, e per voler leggiera.
E come l'uom, che di trottare e laffo,
L.afcia andar li compagni , e sì paffeggia ,
Fin che fi sfoghi l'affollar del caffo;
Sì latelò trapalar la fanta greggia
Forefe, e dietro sacco fen' veniva
Dicendo: Quando fia, ch' i' ti riveggiaZ
Non fo, rifpofi lui , quant'io mi viva:
Ma gii non fia'l tornar mio tanto tofto,
di' io non fia col voler prima alla riva ;
Perocchè '1 luogo. «'fui a viver pofto,
Di giorno in giorno più di ben fi fpolpa »
E a trifta ruina par difpofto.
Or va, difs' ei , che quei, che più n'ha colpa,
Vegg'io a coda d'una beftia tratto
Verfo la valle , ove mai non fi fcolpa .
La beftia ad ogni paffo va più ratto, :.
Crefcendo fempre, infin ch' ella '1 percuote,
E lafcia'l corpo vilmente disfatto.
Non hanno molto a volger quelle ruote ;
( E drizzò gli occhi al Ciel ) ch' a te fia chiaro
Ciò, che'1 mio dir più dichiarar nou puote.
Tu ti rimani ornai , che '1 tempo è caro
• In qucfto regno sì, ch'io perdo troppo,
Venendo reco sì a paro a paro.

C 6
6o DEL PURGATORIO
Qual' efce alcuna volta di galoppo
Lo cavalier di feliiera , che cavalchi ,
E va per farfi onor del primo intoppo;
Tal fi partì da noi con maggior valchi :
Ed io rimali in via con effo i due,
Che fur del Mondo si gran rnalifcalchi .
£ quando innanzi a noi si entrato fue,
Che gli occhi miei fi fero a lui feguaci ,
Come la mente alle parole fuc,
Parvermi i rami gravidi e vivaci
D'ira' altro pomo, e non molto lontani,
Per effer pure allora volto in laci .
Vidi gente fctt'effo alzar le mani,
E gridar non fa che verfo le fronde,
Quali bramofi fantolini e vani,
Che pregano, e'1 pregato non rifponde;
Ma per fare effer ben lor voglia acuta,
Tian'alto lor diiio , e noi nafconde.
Poi fi parti , sì come ricreduta :
E noi venimmo al grande arbore , ad effo .
Che tanti prieghi e lagrime rifiuta.
Trapalate oltre, fenza farvi preffo:
Legno è più fu , che fu morfo da Èva,
E quefta pianta fi levò da effo.
Sì tra le frafche non fo chi diceva :
Perchè Virgilio e Stazio ed io riftre,tti
Oltre andavàm dal lato, che fi leva .
CANTO XXIV. 61
Ricordivi, dicea, de'maladetti
Ne' nuvoli formati, che fatolli
Tefeo combatter co' doppi petti;
E degli Ebrei, ch'ai ber fi moftrar molli,
Perchè non ebbe Gedeon compagni,
Quando in ver Madiàn difcefe i colli-
Sì accoftati ali' un de' duo vivagni j
Paflammo udendo colpe della gola
Seguite già da mileri guadagni.
Poi rallargati per la ftrada fola
Ben mille paffi e più ci portammo oltre,
Contemplando ciafcun fenza parola.
Che andate penfando sì voi fol tre?
Subita voce diffe: ond'io mi fcoflij
Come fan beftie fpaventate e poltre .
Drizzai la tefta per veder chi foffi :
E giammai non fi videro in fornace
Vetri, o metalli sì lucenti e rofli,
Com'i'vidi un, che dicea: S'a voi piace
Montare in fu, qui fi convien dar volta:
Quinci fi va, chi vuole andar per pace.
L'afpetto fuo m'avea la vifta tolta:
Perch'io mi volfi indietro a' miei dottori,
Com' uom, che va, fecondo ch' egli afcolta *
£ quale anniMiziatrice degli albori
L' aura di Maggio muovefi , e olezza
Tutta impregnata dall' erba e da' fiori;
6ì DEL PURGATORIO
Tal mi fenti'un vento dar per mezza
La Fronte : e ben fenti' muover la piuma ,
Che fe' fentìr d' ambrofia Y OKZZH :
E fenti' dir: Beati, cui alluma
Tanto di grazia, che l'amor del gufto
Nel petto lor troppo difir non fuma,
Efuriendo fempre, quanto è giullo.
CANTO VENTESIMOQUINTO.

ARGOMENTO.

a Stazio al Poeta /' opra mirabili della


generazione, e mo/fra carne ì' anime vtftano
forma yijìbile , con che gli rifolve un qucfiio .
Indi fafiti al fettimo ed ultimo girone , i» cui
fi purga il peccato della Lufttria , Dante ri
trova F antro: , che tra fiamme ardenti canta
vano un' Inno, ed affrtffo ripetevano efempj
ài Caftità.

'Ra era, onde'1 falir non volea ftorpio ;


Che 'i Sole avea Io cerchio di merigge
Lafciato al Tauro, e la notte allo Scorpio.
Perchè come fa l'uom, che non s'affigge,
Ma vaffi alla via fua , chechè gli appaja ,
Se di bifogno (limolo il trafigge ;
Così entrammo noi per la callaja,
Uno innanzi altro prendendo la fcala,
Che per artezza i falitor difpaja.
E quale il cicognin, che leva l'ala
Per voglia di volare, e non s'attenta
D'abbandonar lo nido, 'e giù la cala i
64 DEL PURGATORIO
Tal' era io con voglia acceTa e fpenta
Di dimandar venendo infino ali' atto ,
Che fa colui, ch' a dicer s'argomenta.
Non lafciò per l' andar , che foffe ratto ,
Lo dolce padre mio; ma diffe: Scocca
L'arco del dir, chc'nfino al terro hai tratto.
AHor ficuramente aprii la bocca,
E cominciai: Come fi può far magro
Là, dove l'uopo di nutrir non tocca?
Se t'ammentaffi, come Meleagro
Si confinilò al confimi ar d'un tizzo,
Non fora, diffe, quefto a te sì agro.
E fe penfaffi , come al voftro guizzo -»
Guizza dentro allo fpecchio voftr* image,
Ciò, che par duro, ti parrebbe vizzo.
Ma perchè dentro a tuo voler t'adage,
Ecco qui Stazio ; ed io lui chiamo e prego ,
Che sa or fanator delle tue piage. >
Se la vendetta etema gli dislego , . L
Rifpofe Stazio , là dove tu fie ,
Difcolpi me non poteri' io far niego .
Poi cominciò : Se le parole mie ,
Figlio, la mente tua guarda e riceve,
Lume ti fieno al come , che tu die .
Sangue perfetto, che mai non fi beve
Dall'affetite vene, e fi rimane
Quafi alimento , die di menft leve ,
CANTO XXV. 65
Prende nel coro a tutte membra umane
Virtute informativa, come quello,
Ch'a farfl quelle per le vene vane.
Ancor digefto fcende, ov'è più bello
Tacer, che dire : e quindi pofcia geme
Sovr' altrui fangue in naturai vafello.
Ivi s'accoglie l'uno e l'altro infieme,
L'un difpofto a patire, e l'altro a fare^
Per lo perfetto luogo, onde fi preme;
E giunto lui comincia ad operare
Coagulando prima , e poi ravviva
Ciò, che per fua materia fe' gettare.
Anima fatta la virtute attiva, »
Qual d'una pianta, intanto differente,
Che queft'è'n via, e quella è già a riva,
Tanto ovra poi , che già fi muove e fente,
Come fungo marino: ed ivi imprende
Ad organar le poffe, ond'è femente.
Or fi piega, figliuolo , or fi diflendc
La virtù, ch' è dal cor del generante,
Dove natura a tutte membra intende.
Ma come d'animai divegna fante,
Non vedi tu ancor : queft'è tal punto,
Che più favio di te già fece errante
Sì, che per fua dottrina fe'difgiunto
Dall'anima il poffibile intelletto,
Perchè da Lui non vide organo affluito.
66 DEL PURGATORIO
Apri alla veritl, che viene, il petto,
E fappi , che sì tofto come al feto
L'articolar del cerebro è perfetto,
Lo Motor primo a lui fi volge lieto,
Sovra tanta arte di natura, e fpira
Spirito nuovo di virtù repleto ,
Che ciò , che truova attivo quivi , tira
la Aia fuftanzia, e falli un'alma fola,
Che vive , e fente , e sè in sè rigira .
£ perchè meno ammiri la parala,
Guarda '1 calor del Sol , che fi fa vino ,
Giunto ali' umor , che dalla vite cola .
E quando Lachesìs non ha più lino,
Solvefi dalla carne , ed in virtute
Seco ne porta e l'umano, e'1 divino,
L' altre potenzie tutte quante mute,
Memoria , intelligenzia , e volontade ,
In atto molto più che prima acute.
Senza reftarfi per fe fteflà cade
Mirabilmente ali' una delle rive :
Quivi conofce prima le fue ftrade.
Tofto che luogo là la circonfcrive,
La virtù formativa raggia intorno-
Così, e quanto nelle membra vive .
E come 1' aere , quand' è ben piorno
Per l'altrui raggio, che'n fe fi riflette,
Di divedi color fi moftra adomo;
CANTO XXV. 67
Così l'aer vicin quivi fi mette
la quella forma, che in lui fuggella
Virtualmente 1' alma , che riflette .
E fimigliante poi alla flammella ,
Che fegue '1 fuoco là , Vunque fi muta ,
Segue allo fpirto fua forma novella.
Perocchè quimii ha pufcia fua paruta,
È chiamai' ombra : e quindi organa poi
Ciafcun fentire inlino alla veduta .
Quindi parliamo, e quindi ridiam noi:
Quindi facciam le lagrime e i fofiiiri,
Che per lo monte aver fentiti puoi.
Secondo che ci affiggon li difiri ,
E gli altri aftetti, l'ombra fi figura:
E quefta e la cagion , di che tu mili .
E già venuto ali' ultima tortura
S* era per noi , e volto alla man deftra ,
Ed eravamo attenti ad altra cura.
Quivi la ripa fiamma in fuor baleftra: .
E la comice fpira fiato in fufo,
Che la reflette, e via da lei fequeftra:
Onde ir ne convenia dal lato fchiufo
Ad uno ad uno : ed io temeva '1 fuoco
Quinci, e quindi temeva il cader giufo.
Lo duca mio dicea : Per quefto loco
Si vuoi tenere agli occhi ftretto'1 freno,
Pcrocch' errar potrebbcfi ptr poco.
68 DEL PURGATORIO
Summa Deus elimcntitt , nel feno
Del grand' ardore Allora udì', cantando ,
Che di volger mi fe' caler non meno .
E vidi fpirti per la fiamma andando:
Perch'io guardava a i loro e a' miei pafl!,
Compartendo la vifta a quando a quando .
Appretto '1 fine , ch' a queil' inno falli ,
Gridavano alto : firum non cognofco :
Indi ricominciavan l'inno baffi.
Finitolo anche gridavano : Al bofco
Corfe Diana, ed Elice caccionne,
Che di Venere avea fentito'l tofco.
Indi al cantar tornavano: indi donne
Gridavano , e mariti , che fur cafti ,
Come virtute, e matrimonio imporrne.
E quefto modo credo, che lor bafti
Per tutto '1 tempo, che'1 fuoco gli abbrucia:
Con tal cura conviene e con tai pafti ,
Che la piaga da fezzo fi ricucia.
t
CANTO VENTESIMOSESTO.

ARGOMENTO.

Dante andando con Virgilio e Stazio vede altre


anime de' Luffuriofi venir tra fe fanune verft
le prime , li quali nelf incontrarjì f une con
f altre fi baciavano, e dicevano efcmpj di Luf-
furia , di fai feguivano la loro ftrada ; ed il
Poeta tra quefti parla con Guido Cuimcelli ,
ti Arnaldo Daniello .

ME.Sntre che sì per 1' orlo uno innanzi altro


Ce n'andavamo, e fpeffo'l buon macftro
Diceva: Guarda, giovi," ch'io ti fcaltro;
Ffriami'1 Sole in fu l'omero deftro,
Clic già raggiando tutto l' Occidente
Mutava in bianco afpetto di cileftro :
Ed io facea con l'ombra più rovente i
Parer la fiamma ; e pure a tanto indizia
Vidi molt' ombre andando poner mente.
Quefta fu la cagion, che diede inizio
Loro a parlar di me : e cominciarli
A dir: Colui non par corpo fittizio.
70 * DEL PURGATORIO
Poi verfo me, guanto potevan farti,
Certi fi feron fempre con riguardo
Di non ufcir, dove non foffero arfi.
O tu, che vai, non per cffer più tardo,
Ma forfe reverente agli altri dopo,
Rifpondi a me, che'n fete ed in fuoco ardo.
Ne folo a me la tua rifpofta è uopo:
Che tutti quelli n' hanno maggior fete ,
Che d'acqua fredda Indo, o Etiopo .
Dinne, com'è, che fai di te parete
Al Sol , come fe tu non foffi ancora
Di morte entrato dentro dalla rete?
Sì mi parlava un d' effi; ed io mi fora
Già manifefto, s'io non foffi attefo
Ad altra novità , ch' apparfc allora ;
Che per lo mezzo del cammino accefo
Venia gente col vifo incontro a quella ,
La qual mi fece a rimirar fofpefo.
Lì veggio d' ogni parte farli pretla
Ciafcun' ombra , e baciarti una con una
Senza reftar, contente a breve fetta:
Così per entro loro fchiera bruna
S'ammufa l'una con l'altra formica,
Forfe a fpiar lor via , e lor fortuna .
Tofto che parton l'accoglienza amica ,
Prima che.'1 primo patto 11 trafcorra,
Sopra gridar ciafcuna s'affatica
C A N7 T O XXVI, 71
La nuovS gente : Soddoma e Gomorra ,
E l'altra: Nella vacca entrò Pafife,
Perche '1 torello a fua lufluria corra.
Poi come gru, ch' alle montagne Rife
Volaffer parte, e parte in ver l'arene,
Qucfte del giel, quelle del Sole fchifc;
L'una gente fen'va, l'altra fen' viene,
E tornan lagrirnando a' primi canti,
E al gridar , che più lor fi conviene :
E raccoftarfi a me come davanti
Effi rnedefmi, che m'avean pregato,
Attenti ad afcoltar ne' lor fembianti.
Io, che due volte avea vitto lor grato,
Incaminciai : O anime ficure
D'aver, quando che fia, di pace flato,
Non fon rimafe acerbe, nè mature
I.e membra mie di là , ma fon qui meco
Col fangue fuo, e con le fue giunture.
Quinci fu vo , per non effer più cieco :
Bonn' è di fopra, che n'acquifta grazia;
Perchè '1 mortai pel voftro Mondo reco.
Ma fe la vofrra maggior voglia fazia
Tofta divegna si , che '1 Ciel v' alberghi ,
Ch'é pien d'amore, e più ampio fi fpazia ,
Ditemi, acciocchè ancor carte ne verghi,
Chi fiete voi , e chi è quella turba ,
Che sì ue va diretro a' voftri terghi ?
7z DEL PURGATORIO
Non altrimenti ftupido fi turba
Lo montanaro, e rimirando ammuta,
Quando rozzo e falvatico s'inurba;
Che ciafcun' ombra fece in fua parnta :
Ma poichè fliron di ftupore fcarqhe, -
Lo qual negli alti cor tofto s' attuta :
Beato te, che delle noftre marche,
Ricominciò colei, che pria.. ne chiefc,
Per viver meglio efperienza imbarche. „
La gente , che non vien con noi , offefe
Di ciò, perchè già Cefar trionfando
Regina centra fe chiamar s'intefe:
Però fi parton , Soddoma gridando ,
Rimproverando a fe, com'hai udito,
E ajutan l'arfura vergognando.
Noftro peccato fu Ermafrodito : '
Ma perchè non fervammo umana legge.
Seguendo come beftie l'appetito,
In obbrobrio di noi per noi fi legge,
Quando pai-ùnmci. il nome di colei,
Che s'imbeftiò nelle 'mbeftiate fchegge.
Or fai noftri atti, e di che fummo rei:
Se forfe a nome vuoi faper chi femo.
Tempo non è da -dire , e non faprei .
Farotti ben di me volere fcemo :
Son Guido Guinicclli, e già mi purgo,
Per ben dolermi prima ch'alio ftremo.

Quali
CANTO XXVI. 75
Quali nella triftizia di Licurgo
Si fer duo figli a riveder la madre,*
Tal mi fec'io, ma non a tanto infurgo,
Quando i' udi' nomar fe fteffo il padre
Mio , e degli altri miei miglior , che mai
Rime d' amore ufar dolci e leggiadre :
E fenza udire e dir penfofo andai
Lunga fiata rimirando lui,
Nè per ìo fuoco in là più m' appretti! .
Poichè di riguardar pafciuto fui ,
Tutto m'offerfi pronto al fuo fervigio
Con l'affermar, che fia credere altrui. "
Ed egli a me : Tu lafci tal veftigio ,
Per quel ch' i' odo, in me, e tanto chiaro,
Che Lete noi può torre , nè far bigia .
Ma fe le tue parole"tir ver giuraro,
Dimmi, che è cagion, perchè dimoftri
Nel dire e nel guardar d'avermi caro?
U io a lui : Li dolci detti vwftri ,
Che, quanto durerà l'ufo moderno,
Faranno cari ancora i loro inchioftri.
O fhte, diffe, quefti, ch'io ti fcqgio
Col dito (e additò uno fpirt%innanzi)
Fu miglior fabbro del parlar materno:
Verfi d'amoA, e profe di romanzi
Soverchiò tutti; e lafcia dir gli ftolti,
Che quel di Lemosl credcn ch' avanzi :

Dante , Toma II. D


74 DEL PURGATORIO
A voce più ch'ai ver drizzan li volti,
E così fcrman fua opinione ,
Prima ch' arte , o ragion per lor s' afcolti .
Così fer molti antichi di Guittone,
Di grido in grido pur lui dando pregio,
Fin che l' ha vinto '1 ver con più pcrfone.
Or fe tu hai sì ampio privilegio,
Che licito ti Cai' andare al chioftro,
Nel quale è Crillo abate del collegio,
Fagli per me un dir di pater noftro,
Quanto bifogna a noi di quefto Mondo ,
Ove poter peccar non è più noftro.
Poi forfe per dar luogo altrui fecondo,
Che preffo avea , difparve per lo fuoco ,
Come per l' acqua il pefce andando al fondo.
Io mi feci al moftrato innanzi un poco,
E diffi, ch'ai fuo nome il mio deflre
Apparecchiava graziofo loco . .
Éi cominciò liberamente a dire :
Tan in' abbelis votrs cortois dcnian ,
Ch'i tu non puous , ne yutil a. yas cobrire.
Jeu fui Aypaut, che plor, e vai cantau
Coa^ft tofttpi la fpafada filar ,
Et vie giau feu le jor, che ffer dtnitn.
Ara vus preu pera elicila vaiar, *
Che vus ghida al fom delle fcalina ,
Sijytgna vus a temps de ma doler :
Poi s'afcofe nei fuoco, che gli affina.
75

CANTO VENTESIMOSETTIMO.
ARGOMENTO.

Vedono i Poeti ««' Angelo , per cui avvlfo paga


ni tra le fiamme , e vanno ali' ultima fcala ,
falla quale, ornai giunta la nttte, fi fermano.
Quivi Dante addormcntatnfi ebbe una vijioni, e
rifregliatofi ali' aurora fall col fuo duci e con
Stazio alla cima, dovi Virgilio lo mlfe in liber
tà ii far per innanzi egni cofa a fuo talento .

come , quando i primi raggi vibra


Là, dove il fuo fattore il fangue fparfe,
Cadendo Ibero folto l'alta Libra,
E'n l' onde in Ganga di nuovo riarfe,
Sì flava il Sole, onde '1 giorno fen'giva,
Quando l' Angel di Dio lieto ci apparfc .
Fuor della fiamma flava in fu la riva ,
E cantava: Beati mundo corde,
In voce affai piii che la noftra viva :
Pofcia: Più non fi va , fe pria non morde,
Anime fante, il fuoco: entrate in eiio,
Ed al cantar di là non fiate forde.

D a
75 DEL^ PURGATORIO
Sì diffe, come noi gli fummo preflo:
Perch'io divenni tal , quando lo'ntefi,
Quale è colui, che nella foffa è meffo .
In fu le mau commelle mi protefi ,
Guardando '1 fuoco, e immaginando forte
Umani corpi già veduti accefi.
Volferfi verfo me le bu«ne fcorte:
E Virgilio mi diffe : Figliuol mio ,
Qui puote effer tormento , ma non morte .
Ricordati, ricordati: e fe io
Sovr'effo Gerion ti guidai falvo, . •
• Che farò er, che fon più preffo a Dio?
Credi per certo, che fe dentro all'alvo
Di quefta fiamma fteffi ben mili' anni,
Non ti potrebbe far d' un capei calvo .
E fe tu credi forfe, ch'io t'inganni,
Fatti ver lei, e fatti far credenza
Con le tue mani al lembo de' tuo' panni.
Pen giù ornai, pon giù agni temenza:
Volgiti 'n qua , e vieni oltre ficuro .
Ed io pur fermo, e centra cofcienza.
Quando mi vide ftar pur fermo e duro ,
Turbato un poco dine: Or vedi, figlio,
Tra Beatrice, e te è quello muro.
Come al nome di Tisbe aperfe'1 ciglio
Piiamo in fu la morte , e riguardolla ,
Allor che'1 gelfo diventò vermiglio!
CANTO XXVII. 77
Così la mia durezza fatta folla ,
Mi volli al favio duca udendo il nome ,
Che nella mente fempre mi rampolla .
Ond' e' crollò la tetta, e diffe: Come,
Volerne! ftar di qua ? indi forrife ,
Come al fanciul fi fa', ch' è vinto al pome.
Poi dentro al fuoco innanzi mi fi mife,
Pregando Stazio , che veniffe retro ,
Che pria per lunga flrada ci divife .
Come fui dentro , in un bogliente vetro
Gittato mi farei per rinfrefcarmi,
Tant' era ivi lo 'ncendio fenza metro .
Le dolce padre mio per confortarmi
Pur di Beatrice ragionando andava ,
Dicendo : Gli occhi fuoi già veder panni .
Guidavaci una voce, che cantava
Di là : e noi attenti pure a lei
Venimmo fuor là , ove fi montava .
Peniti, benttìitti patris mei,
Sonò dentro a un lume, che li era,
Tal, che mi vinfe, e guardar uol potei.
Lo Sol fen'va, foggiunfe , e vien la fera:
Non v' arretrate , ma ftudiate '1 paflb ,
Mentre che 1' Occidente non s' annera .
Dritta falia la via per entro.'1 faffo
Verfo tal parte, ch'io toglieva i raggi
Dinanzi a me del Sol, ch'era già laffo.

D 3
78 DEL PURGATORIO
E di pochi fcaglion levammo i faggi ,
Che'l Sol corcar per l'ombra, che fi fpenfe,
Sentimmo dietro ed io e gli miei faggi.
E pria che in tutte le fue parti immenfc
Fuffe orizzonte fatto i'un'afpetto,
E notte aveffe tutte "fue difpenfe , -,
Ciafcun di noi d' un grado fece letto :
Che la natura del monte ci affranfe
La pofl'a del fulir , più che '1 diletto .
Quali fi fanno ruminando manfe
Le capre, ftate rapide e proterve,
Sepia le cime , prima che fien pranfe ,
Tacite ali' ombra , mentre che '1 Sol ferve ,
Guardate dal paftor, che'n fu la verga
Poggiato s' è , e lor poggiato ferve :
E quale il mandrian, che fuori alberga
Lungo '1 peculio fuo queto per notta ,
Guardando, perchè fiera non lo fperga;
Tali eravamo tutt' e tre allotta ,
Io come capra, ed ei come paftorì,
Fafciati quinci e quindi dalla grotta .
Poco potea parer li del di fuori ;
Ma per quel poco vedev' io le ftelle
Di lor folere e più chiare e maggiori .
Sì ruminando, e ai mirando in quelle,
Mi prefe '1 fonno; il fonno , che fovente,
Anzi che'1 fatto fia , fa le novelle.
CANTÒ XXVII. 79
Nell'ora, credo, che dell'Oriente
Prima raggiò nel monte Citerea ,
Che di fuoco d' amor par fempre ardente .-
Giovane e bella in fogno mi parca
Donna vederi andar per una landa
Cogliendo fiori; e cantando dicea:
Sappi.i qualunque'l mio nome dimanda .,
Ch'io mi fon Lia , e vo movendo 'n torno
Le belle mani a farmi una ghirlanda.
Per piacermi allo fpecchio, qui m' adorno;
Ma mia fuora Radici mai non fi fmaga
Dal fuo ammiraglio, e fiede tutto giorno.
EH'è de' fuo' begli occhi veder vaga,
Com'io dell' adornarmi con le mani:
Lei lo vedere , e me l' ovrare appaga .
E già per li fplendori antelucani ,
Che tanto a i peregrin furgon più gran' ,
Quanto tornando albergan men lontani,
Le tenebre fuggian 4aj:utri i lati ,
E'1 fonno mio con effe : ond' io levami ,
leggendo i gran maeftri già levati .
Quel dolce pome, che per tanti rami
Cercando va la cura de' mortali,
Oggi porrà in pace le tue fami :
Virgilio inverfo me quefte totali
Parole usò; e mai non furo ftrenne,
Che fbfler di piacere a quefte iguali.
So DEL PURGATORIO
Tanto voler fovra voler mi venne
Dell'effer fu , ch' ad ogni patio poi
Al volo mio fentia crefcer le penne.
Come la fcala tutta fotto noi
Fu corfa , e fummo in fu '1 grado fuperno ,
In me ficcò Virgilio gli occhi fuoi ,
E diffe: Iì temperai fuoco, e l'eterno
Veduto hai , figlio , e fe' venuto in parte ,
Ov'io per me più oltre non difcerno.
Tratto t'ho qui con ingegno e con arte:
Lo tuo piacere omai prendi per duce:
Fuor fe' dell' erte vie, fuor fe' dell' arte.
Vedi là il Sol , che 'n fronte ti riluce :
Vedi l'erbetta, i fiori, e gli arbucelli,
Che quella terra fol da fe produce.
Mentre che vegnon lieti gli occhi belli,
Che lagrimando a te venir mi fenno,
Seder ti puoi, e puoi andar tra elli.
Non afpettar mio dir più , nè mio cenno :
Libero, dritto, fano è tuo arbitrio,
E fallo fora non fare a fuo fenno :
Perch'io te fopra te corono, e initrio.
CANTO VENTESIMQTTAVO .

ARGOMENTO.

Pervenuto Dante alla vetta del mante entra nella


farefta del Paratifo tensore , e giunto con Pir-
gilio e Stazio alle eliiarijitne acque del fiume
Lete, vede nelf oppofta parte Malelda , die an
dava cantando , ed ijctgliendi /' un dall' nitro
dìverp fiori , dalla gitale yengongli fpiegate al
cune froprieta di quel delizioso loco .

V.Ago già di cercar dentro e dintorno


La divina forefta fpeffa e viva,
Ch'agli occhi temperava il nuovo giorna,
Senza più afpettar lafciai la riva,
Prendendo la campagna lento lento
Su per lo fuol, che d'ogni parte oliva .
Un'aura dolce, fenza mutamento
Avere in fe, mi feria per la fronte
Non di più colpo, che foave vento;
Pet cui le fronde tremolando pronte
Tutte quante piegavano alla parte ,
U'ia prim' ombra gitta il fanto monte,
Si DEL PURGATORIO
Non però dal lor'effer dritto {parte
Tanto , che gli augelletti per le cime
Lafjiaflcr d' operare ogni lor' arte :
Ma con piena letizia 1' ore prime
Cantando riceveano intra le foglie ,
Che tenevan bordone alle fue rime
Tal, qual di ramo in ramo fi raccoglie
Per la pineta in fui lito di Cbiaffi,
Quand'Eolo Scirocco fuor difcioglie.
Già- m' avean trafportato i lenti paffi
Dentro ali' antica felva tanto , ch' io
Non potea rivedere, ov'io m'entraffi:
Ed ecco più andar mi tolfe un rio,
Che'n ver fmifìra con fue picciole onde
Pieguva l'erba, che'n fua ripa ufclo.
Tutte l'acque , che fon di qua più monde,
Parriano avere in fe miftura aleuna
Vedo di quella, che nulla nafcoudei
Avvedrà che fi muova bruna bruna
Sotto l' ombra perpetua , che mai
Raggiii- non Ifttcia Sole ivi, nè Luna.
Co' piè riftetti, e con gli occhi pallai
Di là dal fiumicello per mirare
La gran variaziqu de'frefclu Mai:
E )à m'apparve, sì com'cgli appare
Subitamente cofa. che difvi*
Per m.u.ivigir.i tuct' altro penfare,
CANTO XXVIiI. Sj
Una donna foletta, che fi gia
Cantando ed ifciegliendo fior da flore ,
Ond' era pinta tutta la fua via. .,.
Dch bella Donna, ch' a raggi di amore
Ti fcaldi, s' i' vo' credere a'fembianti,
Che foglion' effer teftimon del core ,
Vegnati voglia di trarreti avanti,
Dift'io a lei, verfo quefta riviera
Tanto, ch'i'poffa intender, che tu canti.
Tu mi fai rimembrar dove, e qual'era
Proferpina nel tempo, che perdette
La madre lei, ed ella primavera.
Come fi volge con le piante ftrette
A terra, e intra sè donna, che balli,
E piede innanzi piede appena mette,
Volfefi'n fu' vermigli ed in fu' gialli
Fioretti verfo me non altrimenti,
Che vergine , che gli occhi oncfti avvalli :
E fece i prieghi miei ellèr contenti
Sì appreffando fe , che 'I dolce fuono
Veniva a me co' fuoi intendimenti .
Tofto che fu là, dove l'erbe fono
Bagnate già dall'onde del bel fiume,
Di levar gli occhi fuoi mi fece dono.
Non credo , che fplendefl'e tanto lume
Sotto le ciglia a Venere trafitta
° Dal figlio fuor di tutte ilio coftume.
D6
84 DEL PURGATORIO
Ella ridea dall'altra riva dritta
Traendo più color con le fue mani,
Che l' alta terra fenza feme gitta .
Tre pafli ci facea'l fiume lontani:
Ma Ellefpomo là, 've pafsò Xerfe,
Ancora freno a tutti orgogli umani,
Più odio da Leandro non fofferfe
Per mareggiare intra Sefto e Abido,
Che quel da me , perchè allor non s' aperte.
Voi flete nuovi : e forfe perch' io rido ,
Cominciò ella , in quefto luogo ''«letto
All'umana natura per fuo nido,
Maravigliando tienvi alcun fofpetto :
Ma luce rende il falmo Dtleltafti,
Che puote difnebbiar voftro 'ntelletto .
E tu, che fe' dinanzi , e mi prejafti,
Dì s'altro vuoi udir : ch'io venni prefta
Ad ogni tua queftion , tanto che bafti .
L'acqua, difs'io , e'1 fuon della forefta
Impugnan dentro a me novella fede
Di cofa, ch'io udi' contraria a quella .
Ond'ella: l' dicerò, come procede
Per fua cagion ciò , ch'ammirar ti face,
E purgherò la nebbia, che ti fiede.
Lo Sommo Ben, che folo effo a fe piace,
Fece l'uom buono a bene, e quefto loco
Piede per arra a lui d'eterna pace .
CANTO .XXVIII. 85
Per fua diffalta qui dimorò poco:
Per fua diffalca in pianto ed in affanno
Cambiò onefto rifo e dolce giuoco.
Perchè '1 turbar, che fotto da fe fanno
L'efalazion dell'acqua e della terra ,
Che quanto poflbn dietro al calor vanno ,
All'uomo non faceffe alcuna guerra;
Quefto monte fallo ver lo Ciel tanto,
E libero è da indi, ove fi ferra.
•Or perchè in circuito tutto quanto
i L'aer fi volge -con la prima i/olta ,
Se non gli è rotto '1 cerchio d'alcun canto,
In quefta altezza, che tutta è difciolta
Nell'aer vivo, tal moto percuote,
E fa fonar la felva , perch' è folta :
E la percoffa pianta tanto puote,
Che della fua virtute l'aura impregna,
E quella poi girando intorno fcuote :
E l'altra terra, fecondo ch' è degna
Per fe , o per fuo Ciel , concepe e figlia
Di diverfe virtù diverfe legna.
Non parrebbe di là poi maraviglia
Udito quefto, quando alcuna pianta
Senza feme palefe vi s'appiglia.
E faper dei, che la campagna fanta ,
Ove tu fe", d' ogni femenza è piena ,
E flutto ha in fc , che di là non fi fchianta .
86 DEL PURGATORIO
L'acqua, che vedi, non furge di vena,
Che riftori vapor, che giel converta,
Come fiume , ch' acquifta , o perde lena ;
Ma efte di fontana falda e certa ,
Che tanto del voler di Dio riprende ,
Quant'ella verfa da duo parti aperta.
Da quefta parte con virtù difcende,
Che toglie altrui memoria del peccato :
Dall' altra d' ogni ben fatto la rende .
Quinci Lete, così dall'altro lato
Kuuoè fi diurna; e non adupra,
Se quinci e quindi pria non è guftato.
A tutt' altri fapori efto è di fopra :
E avvegna ch' affai poffa effer fazia
La fete tua ; perchè pili non ti fcuopra ,
Parotti un corollario ancor per grazia :
Nè credo, che '1 mio dir ti fia men caro,
Se oltre promiflion teco fi fpazia .
Quelli ch'anticamente poetaro
L'età dell'ero, e fuo ftato felice,
Forfe in Parnafo efto l..co fagnaro.
Qui tu innocente l'umana radice :
Qui primavera fempre , ed ogni frutto :
Nettare è quafto , di che ciafcun dice .
Io mi rivolfi addietro allora tutto
A' mie' Poeti, e vidi, che con rifo
Udito avcvan 1' ultimo coftrutto :
Poi alla Delia <U>una tornai '1 vifo.
«7

CANTO VENTESIMONONO.

ARGOMENTO.

Sìa il fotta , che andando con Maleida lungo


le fponde tisi fiume Lete vide nella. farcfta. un
lucentiffimo fpleudore , e ptr f aere udì una
fotte melodia , ed in olire afferyò una procef-
fionc, in cui veniva un Grifone traente un car
ro trionfale , che giunto a lui dirimpetto fi
fermò con tutta la gente , che lo accompa
gnava .

\- Amando, come donna innamorata,


Continuò col fin di fue parole,
Sesti, quorum tifiu funi peccata '.
E come ninfe, che il givan fole
Per le falvatiche ombre difiando
Qual di fuggir, qual di veder lo Sole;
Allor fi mofle centra '1 fiume andando
Su per la riva, ed io pari di lei,
Picciol paffo con picciol feguitando.
Non eran cento tra i fuo' pafii e i miei,
Quando le ripe igualmente dier volta
Fei modo, ch'ai Levante mi rendei .
88 DEL PURGATORIO
Nè anche fu cosJ noftra via molta,
Quando la donna mia a me fi totfc
Dicendo : Frate mio, guarda , e afcolta .
Ed ecco un luftro fubito trafcorfe
Da tutte parti per la gran torcila,
Tal che di balenar mi mife in forfe .
Ma perchè '1 balenar, come vien, refla,
E quel durando più e più fplendeva,
Nel mio penfar dicea : Che cofa è quefta ?
E una melodia dolce correva
Per l'aer luminofo: onde buon zelo
Mi fe' riprender i; ardimento d' Èva :
Che là , dove ubbidìa la terra e '1 Cielo ,
Femmina fòla , e pur teftè formata
Non fofferfe di ftar fotto alcun velo ;
Sotto '1 qual fe divota foffe fiata,
Avrei quelle ineffabili delizie
Sentite prima , e poi lunga fiata .
Mentr'io m'andava tra tante primizie
Dell'eterno piacer tutto fofpefo,
E diCofo ancora a più letizie,
Dinanzi a noi tal, quale un fuoco accefo,
Ci fi fe' l'aer fotto i verdi rami,
E'1 dolce fuon per canto era già'ntefo.
O facrofante Vergini , fe fami , .
Freddi , o vigilie mai per voi fofferfi ,
Cagion mi fprona, ch'io mercè ne chiami.
CANTO XXIX. 89
Or convien , ch' Elicona per me verfi .
E Urania m' ajuti col fuo coro
Forti cofe a penfar mettere in vcrft»
Poco più oltre fette alberi d'oro
Falfava nel parere il lungo tratto
Del mezzo, ch'era ancor tra noi e loro':
Ma quando i' fui sì preffo di lor fatto ,
Che l' obbietto comun , che '1 fenfo inganna ,
Non perdca p:r diftanza alcun fuo atto;
La virtù, ch' a ragion difcorfo ammanna ,
Sì com'egli eran candelabri apprefe,
E nelle voci del cantare Ofanna .
Di fopra fiammeggiava il bello arnefe
Più chiaro affai, che Luna per fereno
Di mezza notte nel fuo mezzo mefe .
Io mi rivolfi d'ammirazion pieno
Al buon Virgilio: ed effo mi rifpofe
Con vifta carca di ftupor non meno :
Indi rendei l' afpetto all'alte cofc,
Che fi movièno incontro a noi sì tardi,
Che foran vinte da novelle fpofc .
La donna mi fgridò : Perchè pur' ardi
Si nell'affetto delle vive luci,
E ciò che vien diretro a lor non guardi?
Genti vid'io allor , com'a lor duci,
Venire appreffo veftite di bianco :
E tal candoc giammai di qua non faci.
pò DEL PURGATORIO
L'acqua fplendeva dal fìniftro fianco ,
E rendea a me la mia fmiftra cofta ,
S'io riguardava in lei, come fpecchio anco.
Quand'io dalla mia riva ebbi tal pofta,
Che folo il fiume mi facea dittante,
Per veder meglio a' paffi diedi fofta :
E vidi le fiammelle' andare avante ,
Lafciando dietro a fe l' aer dipinto ,
E di tratti pennelli avea fembiante;
Di ch' egli fopra rimanea diftinto
Di fette lifte tutte in quei colori ,
Onde fa 1' arco il Sole , e Delia il cinto .
Quefti (tendali dietro eran maggiori,
Che la mia vifta: e quanto a mio avvifo ,
Dieci paffi diftavan quei di fuori .
Sotto così bel Ciel , com' io divifo ,
Ventiquattro fignori a due a due
Coronati venian di fiordalifo.
Tutti cantavan : Benedetta tue
Nelle figlie d' Adamo ; e benedette
Sieno in eterno le bellezze tue .
Pofcia che i fiori e l' altre ffefche erbette
A rimpetto di me dall' altra fponda
Libere fur da quelle genti elette ,
Sì come luce luce in Ciel feconda , y
Vennero appreffo lor quattro animali ,
Coronato ciafcun di verde fronda .
CANTO XXIX. 91
Ognuno era pennuto di fei ali ;
Le penne piene d'occhi; e gli occhi d'Argo,
Se foffer vivi , farebber cotali .
A difcriver lor forma più non fpargo
Rime, Lettor: ch'altra fpefa mi ftrigne
Tanto, che'n fluefta non poffo eGfer largo.
Ma leggi Ezechiel , che li dipigne ,
Come li vede dalla fredda parte
Venir con vento , con nube , e con igne :
E quai li troverai nelle fue carte,
Tali eran quivi, fafvo ch' alle penne
Giovanni è meco, e da lui fi diparte.
Lo fpazio dentro a lor quattro contenne
Un carro in fu duo ruote trionfale,
Ch' al collo d' un Grifon tirato venne :
Ed elio tendea fu l'una, e Paltr'ale
Tra la mezzana e le tre e tre liftc ,
Sì ch' a nulla fendendo facea male:
Tanto falivan, che non eran vifte:
Le membra d'oro avea, quanto era uccello;
E bianche l' altre di vermiglio mifte .
Non che Roma di carro così bello
Rallegrane Affricano , ovvero Augufto;
Ma quel del Sol faria pover con clloj
Quel del Sol , che fviando fu combutta
Per F orazion della Terra devota ,
Quando fu Giove arcanamente giufto.
p-j DEL PURGATORIO
Tre donne in giro dalla deftra ruota
Venièn danzando ; l' un* tanto roffà ,
Ch' appena fora dentro al fuoco nota ;
L' altr' era , come fe le carni e 1' ofla
Foflcro fiate di fmeraldo fatte;
La terza parca neve teftè moffa :
Ed or parevan dalla bianca tratte
Or dalla roffa , e dal canto di quefta
L'altre toglièn l'andare e tarde e ratte.
Dalla finiftra quattro facèn fefta ,
In porpora veftite , dietro al modo
D' una di lor , ch' avea tre occhi in teiìa ,
Appreffo tutto '1 pertrattato nodo
Vidi duo vecchi in abito difpari ,
Ma pari in atto ed oneftato e fodo.
L'un fi moftrava alcun de' famigliati
Di quel fommo Ippocrate, che Natura
Agli animali fe', ch' eli' ha più cari:
Moftrava l'altro la contraria cura
Con una fpada lucida e acuta ,
Tal che di qua dal rio mi fe' paura .
Poi vidi quattro in umile paruta,
E diretro da tutti un veglio folo
Venir dormendo con la faccia arguta .
E quefti fette col primajo lluolo
Erano abituati : ma di gigli
Dintorno al capo non facevan brolo;
CANTO XXIX.
Anzi di rofe e d' altri fior vermigli :
Giurato avria poco lontano afpetto ,
Che tutti ardeffer di fopra da' cigli.
E quando '1 carro a me fu a rimpetto,
Un tuon s'udì; e quelle genti degne
Parvero aver l'andar più interdetto,
Fermandos' ivi con le prime infegne .
P4 DEL PURGATORIO

CANTO TRENTESIMO.

ARGOMENTO.

Defcriveft in qntjìo canto la maejìofa difcefa di


Beatrice dal Cielo , al cai comparire PtrgiUo
Ai[parve; ed ella pojìajì fui carro trionfale co
minciò a riprender Dante; rivolta dipoi agli
Angeli fegul a lamentarli della vita , che il
Poeta, abii/'ando i doni dclla natura , e della
grazia, uvea malamente condotta.

'l Settenttion del primo Cielo,


Che nè occafo mai feppe, nè orto,
Nè d' altra nebbia , che di colpa velo ;
E che faceva li ciafcuno accorto
Di fuotlover, come'1 più baffo face,
Qual timon gira per venire a porto,
. Fermo s' affiffe , la gente verace
Venuta prima tra '1 Grifone ed eflb
Al carro volfe sè come a fua pace :
E un di loro, quafi da Ciel melTo,
reni fpottfa de Libano , cantando
Gridò tre volte ; e tutti gli altri appreffo.
CANTO XXX.
Quale i beati al noviffimo bando
Surgeran prefti , ognun di fua caverna
La riveftita carne alleviando?
Cotali in fu la divina bafterna
Si levar cento ad vocem Tanti fenls
Miniftd, e meffaggier di vita eterna. .
Tutti 'dicèn : Benttìidus , qui venis ,
E fior gittando di Copra e dintorno,
Àfanibus a date ìitta plettis . •
Io vidi già nel cominciar del giorno
La parte orientai tutta rofata ,
E l' altro Ciel di bel fereno adorno ;
E la faccia del Sol nafcere ombrata ,
Sì che per temperanza di vapori
L'occhio lo foftenea lunga fiata:
Così dentro una nuvola di fiori,
Che da/le mani angeliche faliva ,
E ricadeva giù dentro e di fuori ,
Sovra candido vel cinta d'oliva
Donna m' apparve fotto verde manto
Vcftita di coler di fiamma viva .
E lo fpirito mio , che già cotanto
Tempo era ftato con la fua prefenza,
Non era di ftupor tremando affranto.
Sanza degli occhi aver più conofcenza,
Per occulta virtù, che da lei mofle,
D' antico amor lenti' la gran potenza .
96 DEL PURGATORIO
Tolto che nella vifta mi percoffe
L'alta virtù, che già m'avea trafitto
Prima ch'io*fuor di puerizia foffe,
Volfimi alla finiftra col rifpitto ,
Col quale il fantolini corre alla mamma,
Quando ha paura, o quando egli è afflitto,
Per dicere a Virgilio : Men che dramma-
Di fangue m' è rirnafa, che non tremi:
Conofco i fegni dell'antica fiamma.
Ma Virgilio n' avea lafciati fcemi
Di fe, Virgilio dolcifììmo padre,
Virgilio, a cui per mia falute diemi:
Nè quantunque perdeo l' antica madre
Valfr alle guance nette di rugiada,
Che lagrimando non tornaffero adre.
Dante, perchè Virgilio f<?ne vada,
Non piangere anche, non piangere ancora :
Che pianger ti convien per altra fpada :
Quafi ammiraglio , che 'n poppa ed jn prora
Viene a veder la gente , che miniftra
Per gli alti legni , ed a ben far la 'ncuora ;
In fu la fponda del carro finiftra ,
Quando mi volfi al fuon del nome mio,
Che di neccfiìtà qui fi rigiftra ,
Vidi la donna, che pria m'apparto ,
Velata fotto l' angelica fefta
' Drizzargli occhi ver medi qua dal rio .

Tutto
"CANTO XXX. 97
Tutto che'1 vel, che le fcendea di tefta,
Cerchiato dalla fronde di Minerva
Non la lafciaffe parer manifefta ,
Realmente nell'atto ancor proterva
Continuò , come colui , che dice ,
E '1 più caldo parlar dietro riferva :
Guardami beni ben fon, ben fon Beatrice:
Come "degnafti d'accedere al monte?
Non fapei tu , che qui o' 1' uom felice?
Gli occhi mi cadder giù nel- chiaro fonte:
Ma veggendémi in efib io traffi all'erba;
Tanta' vergogna mi gravò la fronte f
Così la madre al figliò par fuperba,
Com'ella parve a me: perchè d'amaro
Senti' '1 fapor della pietate acerba .
Ella fi tacque, e gli Angeli-cantaro
Di fubito in te Domine fperavi ,
Ma oltre peiles meos non paffaro.
Sì come neve tra le vive travi
Per lo dofib d'Italia fi congela,
Soffiata e ftretta dalli venti Schiavi, - .
Poi liquefatta in fe ftefili trapela,
Pur che la terra, che perde ombra, fpiri,
Sì che par fuoco fonderia candela;
Così fui fenza lagrime e fofpiri *
Anzi '1 cantar di que' , eh* notati fcmpre
Dietro alle note degli eterni giri'.

Dantt, Tomo II. E


.y8 DEL PURGATORIO
Ma poichè 'ntefi nelle dolci tempre
Lor compatire a me, più che fe detto
Aveffer: Donna, perchè sì lo (lempre?
Lo giel, che m'era'ntoruo al cor riftretto,
Spirito ed acqua fedi , e con angofcia
Per la bocca e per gli occhi ulti del petto.
Ella pur ferma in fu la deftra cofcia
Del carro ftando, alle fuftanzie pie
Volfe le fue paiole così pofcia :
Voi vigilate nell'eterno die,
Sì che notte, nè fonno a voi non fura
Paffo, che faccia '1 fccol per fue vie:
Onde la mia rifpofta è con più cura,
Che m'intenda colui, che di là piagne,
Perchè fia colpa e duol d'una mifura.
Nctp pur per ovra delle ruote magne,
Òhe drizzan ciafcun feme ad alcun fine,
Secondo che le itelle fon compagne;
Ma per larghezza di grazie divine,
Che sì alti vapori hanno a lor piova,
Che noli re vifte là non vau vicine ;
Quefti fu tal nella fua vita nuova
Virtualmente, ch'ogni abito deftro
Fatta averehbe in lui mirabil pruova.
Ma tanto più maligno , e più filvefrro
Si fa'l terren sol mal feme e non colto,
' Quaut' egli ha più di buon vigtr tendilo .
CANTO XXX. pp
Alcun tempo '1 foftenni col mio volto :
Moftrando gli occhi giovinetti a lui
Meco'1 menava in dritta parte volto.
Sì tofto, come in fu la foglia fui
Di mia feconda etade, e mutai vita,
Quefti fi tolfe a me , e diefli altrui .
Quando di carne a fpirto era falita ,
E bellezza , e virtù. crefciuta m' era ,
Fu' io a lui men cara e men gradita :
E volfe i paffi fuoi per via non vera,
Immagini di ben feguendo fajfe,
Che nulla promiffion rendono intera .
IN' è l'impetrare fpirazion mivalfe,
Con le quali ed in fogno e altrimenti
Lo rivocai ; sì poco a lui ne ealfe .
Tanto giù cadde , che tutti argomenti
Alla falute fua eran già corti,
Fuor che moftrargli le perdute genti.
Per quello vifitai 1' ufcio de' morti ,
E a colui, che l'ha quafsù condotto,
Li prieghi miei piangendo furon porti.
L'alto fato di Dio farebbe rotto,
• Se Lete fi pauaffe, e tal vivanda
Foflfe guftata fenza alcuno fcotto
Di pentimento, che lagrime fpanda.
ioo DEL PURGATCRIO

CANTO TRENTESIMOPRIMO.
ARGOMENTO.
Beatrice nuovamente rivolge a Dente il fuo par
lare , e fi fa con più a' ardire a riprenderlo ;
per lo che egli fa indotto a confe/ar ili pro
pria tocca il fuo errore, dal -cai iatenfo rin-
crefcimento cadde a terra tramortito, indi ria-
yutofi fu da Matelda tuffato nslf acque del fu*
are Leu, e tratto ali' altra riva.

O Tu, che fe' di là dal fiume facro,!


Volgendo fuo parlare a me per punta,
Che pur per taglio m'era parut' acro,
Ricominciò feguendo fenza cunta ,
Dì, di, fe queft'è vero: a tanta accufa
Tua confeffion conviene effer congiunta .
Era la mia virtù tanto confufa,
Che la voce fi mofte, e pria fi fpenfe,
Che dagli organi fuoi foffe difchiufa .
Poco fofferfe; poi diffe: Che penfe?
Rifpondi a me , che le memorie trifte
In te non fono ancor dall'acqua offenfe.
CANTO XXXr. 101
Confufi»ne e paura infieme mifte
Mi pinfero un tal Sì fuor della bocca ,
Al quale intender fur meftier le vifte .
Come baleftro frange, quando fcocca ,
Da troppa tefa la fua corda e 1' arco ,
E con men foga 1' afta il fegno tocca ;
Sì fcoppia'io fott'effo grave carco,
Fuori fgorgando lagrime e fofpiri,
E la voce allentò per lo fuo varco .
Ond'ella a me : Perentro i miei difiri,
Che ti menavano ad amar lo bene ,
Di là dal qual non è a che s' afpiri ,
Quai foffe attraverfate , o quai catene
Trovafti ; perchè del paffare innanzi
Doveffiti così fpogliar la fpene?
E quali agevolezze, o quali avanzi
Nella fronte degli altri fi moftraro,
Perchè doveffi lor paffeggiare anzi?
Dopo la tratta d' un fofpiro amaro
A pena ebbi la voce, che rifpofe,
E le labbra a fatica la formato.
Piangendo dilli : Le prefenti cofe
Col falfo lor piacer volfer mie' pafli ,
Tofto che'1 voftro vifo fi nafcofe.
Ed ella : Se taccfli , o fe negaffi
Ciò, che confeflfi , non fora men nota
La colpa tua ; da tal giudice fafli :

E 3
DEL PURGATORIO
Ma quando {coppia dalla propria gota
L'accufa del peccato, in noftra Corte
Rivolge sè contra 'I taglio la ruota .
Tuttavia perchè me' vergogna porte
Del tuo errore, e perchè altra volt*
Udendo le Sirene fie più forte;
Pon giù 'I femc del piangere , ed afcplta :
Sì udirai, come 'n contraria parte
Muover doveati mia carne fepolta.
Mai non t'apprefentò natura ed arte
Piacer, quanto le belle membra, in ch'io
Rinchiufa fui , e che fon terra fparte :
E fe'1 fommo piacer sì ti fatilo
Per la mia morte; qual cofa mortale
Dovea poi trarre te nel fuo difio?
Ben ti dovevi per lo primo ftrale
Delle cofe fallaci levar fufo
Diretr'a me, che non era più tale.
Non ti dovea gravar le penne in giufo
Ad afpettar più colpi o pargoletta,
O altra vanità con sì breve ufo .
Nuovo augelletto due, o tre afpetta;
Ma dinanzi dagli occhi de' pennuti
Rete fi fpiega indarno , o fi faetta .
Quale i fanciulli vergognando muti
Con gli occhi a terra (larmoli afcoltando ,
E sè riconofcendo, e ripentuti ;
CANTO XXXI. io}
Tal mi ftav'io: ed ella difie: Quando
Per udir fe' dolente, alza la barba,
E prenderai più doglia riguardando.
Con men di refiftenza fi dibarba
Robufto cerro o vero a noftral vento,
O vero a quel della terra d'Iarba;
Ch'io non levai al fuo comando ii mento:
E quando per la barba il vifo chiefe ,
Ben conobbi '1 velen dell'argomento.
E come la mia faccia fi diftefe,
Pofarfi quelle belle creature
Da loro apparfion l'occhio comprefe :
E le mie luci ancor poco ficure
Vider Beatrice volta in fu la fiera,
Ch'è fola una perfona in duo nature.
Sotto fuo velo e oltre la riviera
Verde pareami più fe fteffa antica
Vincer che l' altre qui , quand' ella e' era .
Di penter sì mi punfe ivi l'ortica,
Che di tutt' altre cofe qual mi torfe
Più nel fuo amer, più mi fi fe'nimica.
Tanta riconofcenza il tcor mi motfe ,
Ch'io caddi vinto, e quale allora femmi,
Salfi colei , che la cagion mi porfe .
Poi quando '1 cor virtù di fuor rendemmi,
LfL donna, ch'io avea trovata fola , .
S«pra me vidi; e dicea: Tiemmi, tiemmi.

E 4
ie>4 DEL PURGATORIO
Tratto m' ave' nel fiume infino a gola,
E tirandoli aie dietro fen'giva
Sovr'effo l'acqua lieve, come fpola.
Quando fu prelìb alla beata riva ,
Afperges me sì dolcemente udiffi ,
Ch' io noi fo rimembrar , non ch' io lo feriva .
La bella donna nelle braccia apriffi :
Abbraceiommi la tefta, e mi fommerfe,
Ove convenne, ch'io l'acqua inghiottiffi :
Indi mi tolfe, e bagnato m'offerfe
Dentro alla danza delle quattro belle,
E ciafcuna col braccio mi coperfe.
Noi fem qui ninfe , e nel Ciel femo (Velie :
Pria che Beatrice difcendeflc al Mondo ,
Fummo ordinate a lei per fue ancelle.
Menrenti agli occhi fuoi : ma nel giocondo
Lume , ch' è dentro , aguzzeran li tuoi
Le tre di là , che miran più profondo :
Così cantando cominciaro: e poi
Al petto del Grifon feco menarmi,
Ove Beatrice volta flava a noi.
Dififer : Fa che le ville non rifparmi :
Pofto t'avem dinanzi agli fmeraldi,
Ond' Amor già ti traffe le fue armi .
Mille difiri più che fiamma caldi
Strinfermi gli occhi agli occhi rilucenti»
Che pur fovra '1 Grifone ftavan fa1di .
CANTO XXXI. i»5
Come in lo fpecchio il Sol , non altrimenti
La doppia fiera dentro vi raggiava
Or con uni , or con altri reggimenti .
Penfa , Lettor , s' io mi maravigliava ,
Quando vedea la cofa in fe ftar queta ,
E nell'idolo fuo fi trafmutava .
Mentre che piena di ftupore e lieta
L' anima mia guftava di quel cibo,
Che faziando di fe di fe affeta ;
Sè dimoftrando del più alto tribo
Negli atti , l' altre tre fi fero avanti T
Cantando al loro angelico caribo.
Volgi , Beatrice , volgi gli occhi fanti ,
Era la fua canzene, al tuo fedele,
Che per vederti ha moffi paffi tanti.
Per grazia fa noi grazia, che difvele
A lui la bocca tua , sì che difcerna
La feconda bellezza, che tu cele .
O ifplendor di viva luce eterna ,.
Chi pallido fi fece fotto l' ombra
Sì di Parnafo , o bevve in fua citema ,
Che non pareffe aver la mente ingombra ,
Tentando a render te, qual tu parefti
Là, dove armonizzando il Ciel t'adombra,
Quando nell'aere aperto ti folvefti?

E5
io6 DEL PURGATORIO

CANTO TRENTESIMOSECONDO ,
V
ARGOMENTO.

Dante con Maleltla e Stazio feguenda la gloria-


fa procejìone di Beati, pervenne al? arbore
della fetenza del bene e del male, il quale ji
riverì di mìfteriofo colore , e mentre i Beati
cantarono un' inno , il Poeta s' addormentò ,
« fi pvi fifvegliatojt e/ferva akuni ftrani acci
denti .

JL Anto eran gli occhi miei fiffi e attenti


A distornarli la decenne fece,
Che -gli altri fenfi m' eran tutti fpenti;
Ed effi quinci e quindi avèn parete
Di non caler : cosi lo fanto rifa
A fe traèli con l' antica rete ;
Quando per forza mi fu volto '1 vifb
Ver la finiftra mia da quelle Dee ,
Perch'io lidia da loro un Troppo fifo .
E la dilpofizion, di' a veder' ee
Negli occhi pur teftè dal Sol percoffi ,
Sansa la. viila; alquanto effer mi ree..
CANTO xxxrr. 107 .
Mi poichè al poco il vifo rifotmofli ,
(Io dico al poco per tifpetto al molto
Senfibile, onde a forza mi rimoffi)-
Vidi in fui braccio deftro effer rivolto
Lo gloriofo efercito, e tornarli
Col Sole e con le fette fiamme al volto.
Cerne fotto li feudi per falvarfi
Volgefl fchiera, e sè gira col fegno .
Prima che poffa tutta in sè mutarli;
Quella milizia del celcfte regno, «
Che procedeva, tutta trapaffonne,
Pria che piegaffe'l carro il primo legno.
Indi alle ruote fi tornar lè donne ,
E '1 Grifon moffe '1 benedetto carco ,
Sì che però nulla penna crollonne.
La bella donna, che mi tratte al varco',
E Stazio, ed. io feguitavam la ruota,
Che fe' 1' orbita fua con minore arco -
Sì palleggiando- l'alta felva vota
(Colpa di quella, ch'ai ferpente crefe)
Temprava i paffi in angelica nota.
Forfe in tre voli tanto fpazio prefc
Disfrenata faetta , quanto eramo
Rimoffi, quando Beatrice feefe.
Io fenti' mormorare a tutti Adamo:
Poi cerchiare una pianta difpogliata
Di fiori e d' altra fronda in ciafcun ramo .

E 6
io8 DEL PURGATORIO
La chioma fua , che tanto fi dilata
Più , quanto più è fu , fora dagl' Indi
Ne'bofchi lor pet altezza ammirata.
Beato fe' , Grifon , che non difcindi
Col becco d'efto legno dolce al gufto,
Eofciachè mal fi torfe'1 ventre quindi:
Così d'intorno all'arbore robufto
Gridaron gli altri: e l'animai binata:
Sì fi conferva il feme d'ogni giufto.
E folto al temo, qh'egli avea tirato,
Traffelo. al pie della vedova frafca;
E quel di lei a lei lafciò legato .
Come le noflre piante, quando calca
Giù la gran luce mifchiata con quella ,
Che raggia dietro alla celefte Lafca,
Turgide- fanfi , e poi fi rinnovella
Di fuo color ciafcuna, pria clic 'I Sole
Giunga li fuoi corfier fott' altra ftella
Men che di rofe , e più che- di viole
Colore aprendo, s'innovò la pianta,
Che prima avea le ramora sì fole.
Io non lo'ntefi; nè quaggiù- fi canta •
L'inno, che quella gente allor cantaro,
Nè la nota fofferfi tutta quanta.
S'io poteffi ritrar, come affonnaro
Gli occhi fpietati udendo di Siringa,
Gli occlù , a cui più vegghiar coftò sì caro;
CANTO XXXn. 109
Come pintor , che con efempio pinga ,
Difegnerei, com'io m'addormentai:
Ma qual vuoi Ca , che l' affannar ben finga :
Però tratterro a quando mi (Vegliai ,
E dico, ch' un fplendor mi fquareiò '1 velo
Del fonno, e un chiamar: Surgi, che fai?
Quale a veder de' fioretti del melo,
Che del fuo pomo gli Angeli fa ghiotti,
E perpetue nozze fa nel Cielo,
Pietro e Giovanni e Jacopo condotti,
E vinti ritornare alla parola ,
Dalla qual furon maggior fonai rotti,
E videro fcemata loro fcuola >
Così di Moisè, come d'Elia,
E al maeftro fuo cangiata ftola;
Tal torna' io : e vidi quella pia
Sovra me ftarfi, che conducitrice-
Fu de'mie'paffi lungo '1 fiume pria:
E tutto 'n dubbio diffi : Ov' è Beatrice I
Ed ella : Vedi lei fotto la fronda
Nuova federfi in fu la fua radice.
Vedi la compagnia, che la circonda:
Gli altri dopo'1 Grifon fen' vanno fufo
Con. piìi dolce canzone e più profonda.
E fe fu più lo fuo parlar diffufo ,
Non fo : perocchè già negli occhi m' era
Quella, eh' ad altro 'ntender m' avea chjufov
no DEL PURGATORIO
Sola fedesfi in fu la terra vera,
Come guardia lafdita lì del plauftro ,
Che legar vidi alla biforme fiera .
In cerchio le facevan di fe elauftro
Le fette ninfe con que'lumi in mano,
Che fon Ccuri d'Aquilone e d'Auftro.
Qui farai tu poco tempo filvano,
E farai meco fanzs fine cive
Di quella Roma, onde Crifto è Romano:
Petò in pro del Mondo , che mal vive ,
Al carro tieni or gli occhi , e quel, che vedi,
Ritornato di là fa, che tu fcrive :
Così Beatricoc ed io, che tutto a' piedi
De' fuo' comandamenti era devoto ,
La mente e gli occhi , ov' ella volle , diedi .
Non fcefe mai con sì veloce moto
Fuoco di fpeffa nube, quando piove,
Da quel confine, che più è remoto;
Com'io vidi calar 1' uccel di Giove
Per 1' arbor giù rompendo delia fcorza,
Non che de' fiori e delle foglie nuove :
E ferìoT carro di tutta fua forza:
Ond' ei piegò , come nave in fortuna
Vinta dall'onde or da poggia, or da orza.
Pofcia vidi avventarfi nella cuna
Del trionfai veiculo una volpe,
Che d' ogni ptfto buon parea digiuna .
CANTO XXXIL li i
Ma riprendendo lei di laide colpe,
La donna mia la volfe in tanta futa,
Quanto foflferfon 1' offa fenza polpe .
Pofcia per indi, ond'era pria venuta,
L'aguglia vidi fcender giù nell'arca
Del carro , e lafciat lei di fe pennuta .
E qual'efce di cor, che fi rammarca;
Tal voce ufct del Cielo , e cotal diffe :
O navicella mia , com' mal fe' carca 1
Poi parve a me, che la terra s'apriffe
Tra 'mbo le ruote ; e vidi ufcirne un drago,
Che per lo carro fu la coda fiffe.
E come vefpa , che ritraggo l' ago ,.
A fe traendo la coda maligna
Traffe del fondo , e giffen' vago vago .
Quel , che rimafe , come di gramigna
Vivace terra , della piuma offerta ,
Forfe con intenzion cafta e benigna,
Si ricoperfe, e funne ricoperta
E l'una e l'altra ruota, e'1 temo in tanto,
Che più tiene un fofpir la bocca aperta .
Trasformato così '1 dificio fanto
Mife fuor tefte per le parti fue,.
Tre fovra '1 temo , e una in ciafcun canto .
Le prime eran cornute, come bue:
Ma le quattro un fol corno avèn per fronte-
Simile moiìro in vifta mai non fue .
nz DEL PURGATORIO
Sicura, quali rocca in alto monte,
Seder fovr'eflo una puttana fciolta
M'apparve con le ciglia intorno pronte .
E come perchè non li foffe tolta ,
Vidi di cofta a lei dritto un gigante :
E baciavano infieme alcuna volta.
Ma perchè l'occhio,cupido e vagante
A me rivolfe , quel feroce drudo
La flagellò dal capo infin le piante .
Poi di fofpetto pieno, e d'ira crudo
Difciolfe '1 moftro , e traffel per la felva
Tanto , che fol di lei mi fece feudo
Alla puttam e alla nuova belva .
CANTO TRENTESIMQTERZO.

ARGOMENTO.

Beatrice lungamente a Dante ragiona intorno agli


accidenti eia effo lui veduti : indi il Poeta in
compagnia dì Stazio viene confitto da Ma
ieida a bere le dolci acqui del fumé JSunoe;
dalle quali , ficcarne egli dice , rittrnò puro e
difpojlo per falire al Cielo .

Eus vensrunt gentis , alternando


Or tre or quattro, dolce falmodìa
lf donne incominciato lagrirnando :
E Beatrice fofpirofj e pia
Quelle afcoitava sì fatta, che poco
Più alla croce fi cambiò Maria.
Ma poichè l' altre vergini dier loco .
A lei di dir ; levata dritta in pie
Rifpofe colorata come fuoco ,
Modicutn , & non viiebitis me :
Et iterata , forelle mie dilette ,
Modicttm , £? yos viJebitis me.
Poi le fi mife innanzi tutte e fette :
E dopo fe, folo accennando, moffe
Me , e la donna , e '1 favio , che riflette .
ti* DEL PURGATORIO
Così fen' giva: e non credo, che folte
Lo decimo fuo paffo in terra pofto,
Quando con gli occhi gli occhi mi psrcoffe:
E con tranquillo afpetto : Vien più tofto,
Mi diffe, tanto, che s' i' parlo tcco,
Ad afcoltarmi tu fie ben difpofto .
Sì com'i'fui, com'io doveva, feco,
Diflemi: Frate, perchè non t'attenti
A dimandare ornai venendo meco?
Come a color, che troppo reverenti
Dinanzi a' fuo' maggior parlando fono,
Che non traggon la voce viva a' denti,
Avvenne a me, che fenza'ntero fuono
Incominciai : Madonna , mia bifcgna
Voi conofcete , e ciò , ch' ad efla è buono .
Ed ella a me : Da tema e. da vergogna
Voglio che tu ornai ti difviluppe ,
Sì che non parli più com'uom, che fogna.
Sappi, che'l vafo, che '1 ferpente ruppe,
Fu, e non è; ma chi n'ha colpa, creda,
Che vendetta di Dio non teme fuppe .
Non farà tutto tempo fanza teda
L' aguglia , che lafciò le penne al carro ;
Perchè divenne moftro, e pofcia preda .
Ch'io veggio certamente, e però'l narro,
A darne tempo già ftelle propinque
Sicure d'ogn' intoppo e d'ogni sbarro:
CANTO XXXIII, 11
Nel quale un cinquecento diece e cinque
Meffo di Dio anciderà la fuja,
E quel gigante, che con lei delinque.'
E forfe che la mia narrazion buja ,
Qual Temi e Sfinge, men ti perfuade ;
Perch'a lor modo lo'ntelletto attuja :
Ma tofto fien li fatti le Najade,
Che folveranno quefto enigma forte
Sanza danno di pecore e di biade.
Tu nota ; e sì come da me fon porte
Quefte parole, sì le'nfegna a' vivi
Del viver, ch' è un correre alla morte:
Ed aggi a mente, quando tu le ferivi,
Di non celar qual' hai villa la pianta,
Ch'è or duo volte dirubata quivi.
Qualunque ruba quella, o quella fchianta.,
Con bcftemmia di fatto offende Dio,
Che folo all'ufo fuo la creò fama. •
Per morder quella, in pena e in difio
Cinque mili' anni e più l'anima prima
Bramò colui , che '1 morfo i;i fe punlo ,
Dorme lo'ngegn» tuo, ft non iftima
Per fingular cagione effere eccelfa
Lei tanto , e sì' travolta nella cima .
E fe ftati non fonero acqua d' Elfa
Li pcnfler vani intorno alla tua mente ,
E '1 piacer loro un Piramo alla gelfa i
n6 DEL PURGATORIO
Per tante circoftanze (blamente
La giuftizia di Dio nello 'nterdetto
Conofcerefti all'alber moralmente.
Ma perch'io veggio te nello 'ntelletto
Fatto di pietra , ed in peccato tinto ,
Si che t'abbagliail lume del mio detto,
Voglio anche , e fe non fcritto , almen dipinto
Che te nel' porti dentro a te per quello,
Che fi reca'1 bordon di palma cinto.
Ed io : Sì come cera da fuggello ,
Che la figura imprefla non trafmuta ,
Segnato è or da voi lo mio cervello .
Ma perchè tanto fovra mia veduta
Voftra parola difiata vola ,
Che più la perde, quanto più s'ajuta?
Perchè conofchi , diffe, quella fcuola ,
Ch' hai feguitata , e veggi fua dottrina
Come può feguitar la mia parola :
E veggi voftra via dalla divina
Dittar cotanto , quanto fi difcorda
Da terra '1 Ciel , che più alto feftina .
Ond' io rifpofi lei : Non mi ricorda ,
Ch'io ftraniaffi me giammai da voi,
Nè nonne cofcienzia, che' rimorda.
E fe tu ricordar non te ne puoi,
Sorridendo rifpofe, or ti rammenta,
Sì come di Leteo beefti ancòi :
CANTO XXXIII. 117
E fc dal fummo fuoco s'argomenta,
Cotefta oblivion chiaro conchiude
Colpa nella tua voglia altrove attenta.
Veramente oramai faranno nude
Le mie parole , quanto conyerrafli
Quelle fcovrire alla tua vifta rude.
E più cormfco, e con più -lenti paffi
Teneva '1 Sole il cerchio di merigge,
Che qua eia, come gli afpetti , falli ;
Quando s' affitlcr , sì come s' affigge
Chi va dinanzi a fchiera per ifcorta,
Se truova novitate in fuo veftigge,
Le fette donne al fin d'un' ombra fmorta,
Qual folto foglie verdi e rami nigri
Sovra fuoi freddi rivi l' alpe porta .
Dinanzi ad elle Eufrates e Tigri
Veder mi parve ufcir d' una fontana ,
E quafi amici dipartirfi pigri.
O luce , o gloria della gente umana ,
Che acqua è quefia, che qui fi difpiega
Da un principio, e sè da se lontana?
Per cotal prego detto mi fu : Prega
Matelda, che'l ti dica: e qui rifpofe,
Come fa chi da colpa fi dislega,
La bella donna : Quefto , e altre cofe
Dette li fon per me : e fon ficura ,
Che l'acqua di Leteo non glicl nafcofe.
n8 DEL PURGATORIO
E Beatrice : Forfe maggir cura ,
Che fpeffe volte la memoria priva, -
Fatto ha la mente fua negli occhi ofcura.
Ma vedi Eunoè , che là deriva :
Menalo ad effo, e come tu fe'ufa,
La tramortita fua virtù ravviva.
Com' anima gencil, che non fa icufa,
Ma fa Tua voglia della voglia altrui,
Tolto com'è per fegno fuor difchiuià;
Così poi che da effa prefo fui,
La bella donna moffefi, e a Stazio
Donnefcamente diffe : Vien con lui .
S'io avefli, Lettor, più lungo fpazio
Da fcrivere, io pur eantere 'n parte
Lo dolce ber, che mai non m'avria fazio;
Ma perchè piene fon tutte le carte
Ordite a quefta cantica feconda ,
.Non mi lafcia più ir lo fren dell'arte.
Io ritornai dalla fantiffim'onda
Rifatto sì , come piante novelle
Rinnovellate di novella fronda,
Puro e difpofto a falire alle ftelle.

Fine fatta Seconda Cantica .


DEL PARADISO
CANTO PRIMO.
• i
ARGOMENTO.

Trattar volendo il divino Poeta del caleftc lento


Regno , dopo aver fatta f invocazione ad Afol
lo , racconta , come fulf ora ilei maitino levoflt
Hai terrestre Paraii:]'» verfo del Cielo in cont-
fagnia di Beatrice, da cui con ingcgnofo di'
fcorfo gli fa moftrata la cagione, perché egli
poteffe col corfo in alla falire .

I vA gloria di colui , che tutto muove ,


Per l' Univerfo penetra , e rifplende
• In una parte più , e meno altrove .
Nel Ciel, che più della fua luce prende,
Fu' io, e vidi cofe, che ridire
Nè fa , nè può qual di lafsù difcende :
Perchè apprefiando sè al fuo difire,
Noftro intelletto fi profonda tanto,
Che retro la memoria non può ire.
Veramente quant'io del regno fanto
Nella mia mente potei far teforo,
Sarà ora materia del mio canto.
lao DEL PARADISO
O buono Apollo , all'ultimo lavoro
Fammi del tuo valer sì fatto vafo,
Come dimanda dar l'amato alloro.
Infino a qui l'un giogo di Paniafo
Affai «i fu: ma or con amendue
M'è uopo entrar nèll'aringo rimafo.
Entra nel petto mio, e fpira tue,
Sì come quando Marfia traefti
Della vagina delle membra fire.
O divina virtù, sì mi ti pretti
Tanto, che l' ombra del beato regna
Segnata nel mio capo io manifefti.
Venir vedrami al tuo diletto legno,
E coronarmi allor di quelle foglie,
Che la matera e tu mi farai degno.
Sì rade volte, Padre, fe ne coglie,
Per trionfare o Cefarc o Poeta ,
(Colpa e vergogna dell'umane voglie)
Che partorir letizia in fu la lieta
Delfica Deità dovria la fronda
Peneja, quando alcun di fe affeta.
Poca favilla gran fiamma feconda :
Forfe diretro a me con miglior voci
Si pregherà, perchè Cirra rifponda .
Surge a' mortali per diverfe foci
La lucerna del Mondo ; ma da quella ,
Che- quattro cerchi giugne con tre croci

Cco
C A N T O I. iM
Con miglior cotfo , e con migliore ftella
Efcc congiunta , e la mondana cera
Più a fuo modo tempera e fuggella.
Fatto avea di là mnne , e di qua fcra
Tal foce quafi, e tutto era là bianco
Quello emifperio , e l'altra parte nera;
Quando Beatrice in fui finiftro fianco
Vidi rivolta, e riguardar nel Sole:
Aquila sì non gli s' affine unquanco .
E sì come fecondo raggio fuole
Ufcir del primo , e rifalire infufo ,
Pur come Peregrin, che tornar vuole;
Così dell'atto fuwper gli occhi infufo
Nell'immagine mia il mio fi fece,
E fiffi gli occhi al Sole oltre a noftr'ufo.
Molto è licito là, che qui non lece
Alle noftre virtù , flter'cè 'del loco
Fatto per proprio dell' umana fpcce .
Io noi fofferfi molto, ni sì poto,
Ch'io noi vedefti sfavillar dintorno
Qual fe*ro, ^bollente efce del fuoc*."
E difubife parve giorno a giorno
Effete aggiunto, come quei, che puote,'
Aveffe '1 Ciel d' un altro Sole adorno .
Picatrice tutta nell'eterne ruote m .
Fiffa con gli occhi flava, ed io in lei
Le luci fiflè , di lafsù remote ,

Dante , Tomo II. • P


iza DEL FARADISO
Nel fuo afpetto tal dentro mi fei,
Qual C fe' Glauco nel guftar dell' erba ,
Che '1 fe' conforto in mar degli altri Dei .
Trnfumaaar lignificar per varia
Non fi poria; però l'efempio bafli
A cui efperienza grazia ferba .
5' io era fol di me quel , che creafti
Novellamente, Amor, che'1 Ciel governi,
Tu'1 fai, che col tuo Lume mi levafti.
Quando la ruota , che tu fempiterni
Defiderato, a fe mi fece attefo
Con l'armonia, che temperi , e difcerni,
Parvemi tanto allor del Ci^o accefo
Dalla fiamma del Sol, che pioggia o fiume
Lago non fece mai tanto diftefo .
La novitfcdel fuono, e'1 grande lume. -
Di lor cagion nV accelero un difio
Mai non fenato di cotanto acume.
Ond'ella, ehe vedea me sì com'io,
Ad acquetarmi 1' animo commolTo ,
Pria ch'io a dimandar, la bocca aprìo;
E cominciò : Tu fteffo ti fai groffo
Col falfo immaginar, sì che non vedi
Ciò, che vedrefti, fe 1' aveffi fcoflò.
Tu non fe'in terra sì come tu credi:
Ma folgore , fuggendo '1 proprio fito ,
- Non corfe come tu, ch' ad eflb riedi.
CANTO T. 123
S'i'fui del primo dubbio difveftito
Per le forrife parolette brevi,
Dentro a un nuovo più fui irretito;
E diffi : Già contento requievi
Di grande ammirazion ; ma ora ammiro
Com'io trafcenda quefti corpi lievi.
Ond'ella, appreso d'un pio fofpiro,
Gli occhi drizzò ver me con quel fembiante
Che madre fa fopra figliuol deliro:
E cominciò : Le cofe tutte quante
Hann'ordine tra loro; e quefto è forma,
Che l' Univerfo a Dio fa fimigliante .
Qui veggion l'alte creature l'orma
Dell'eterno valore, il quale è fine,
Al quale è fatta la toccata norma .
Nell'ordine, ch'io dico, fono aceline
Tutte nature per diverfe forti ,
l'ih al principio loro, e men vicine :
Onde fi muovono a diverfi porti
Per lo gran mar dell'effcre, e ciafcuna
Con inftinto a lei dato, che la porti.
Quefti ne porta '1 fuoco in ver la Luna :
Quefti ne'cor mortali è promotore :
Quefti la terra in fe ftringe e aduna .
Nè Pur le creature, che fon fuore
D'intelligenzia , queft' arco faetta ,
Ma quelle, ch'hanno intelletto e amore .

F a
ii4 DEL PARADISO
La providenzia , che cotanto alletta ,
Del fuo lume fa '1 Ciel fempre quieto,
Nel qual Svolge quel, ch'ha maggior fretta:
Ed ora 11, com'a fito decreto,
Cen' porta la virtù di quella corda,
Che ciò, che fcocca, drizza in fegno lieto.
Ver' è, che come forma non s'accorda
Molte fiate alla 'ntenzion dell' arte ,
Perch'a rifponder la materia o forda;
Così da queflo corfo fi diparte
Talor la creatura, ch'ha podere
Di piegar, così pinta , in altra parte.
E sì come veder fi può cadere
Fuoco di nube, fe l'impeto primo
A terra è torto da falfo piacere;
Non dei più ammirar, fe bene ftimo,
Lo tuo falir, fe non come d'un rivo,
Se d' alto monte fcende giufo ad imo .
Maraviglia farebbe in te, fe privo
D'impedimento giù ti foffi affifo,
Com'a terra quieto fuoco vivo.
Quinci rivolfe in ver lo Cielo il vifo.
CANTO SECONDO. "

ARGOMENTO.

Dann fall con Beatrici nella Luna , dove come


fa giunto rendè grazie a Dia, chi lo aveva
falla terra inalzato : chiede poi alla fua gui
da ondi fieno cagionate le macchie di quel
Pianeta, fcpra di che ella ragionando impu
gna ì' opinion del Poeta , e con diverfo prin
cìpio rifolve la frefente quiftione .

O Voi , che fiele in piccioletta barca ;


Defiderofi d'afcoltar, feguìti
Dietro al mio legno, che cantando varca.
Tornate a riveder li voftri liti:
Non vi mettete in pelago, che forfe
Perdendo me rimarrefte fmarriti.
L'acqua, ch'io prendo , giammai non fi corfe :
Minerva fpira, e conducemi Apollo,
E nuove Mufe mi dimoftran l'Orfe.
Voi altri pochi, che drizzafte'1 collo
Per tempo al pan degli Angeli , del quale
Vivefi qui , ma non fen' vien fatollo ,

F3
iz6 DEL PARADISO
Metter potete ben per l'alta fale
Voftro navigio , fervando mio folco
Dinanzi ali' acqua, che ritorna eguale.
Que'gloriofi , che paffaro a Coleo,
Non s' ammiraron , come voi farete,
Quando Jafon vider fatto bifolco.
La concreata e perpetua fete
Del deiforme regno cen' portava
Veloci quafi come'l Ciel vedete.
Beatrice in fufo , ed io in lei guardava :
E forfe in tanto, in quanto un quadre1 pofa,
E vola, e dalla noce fi difchiava,
Giunto mi vidi, ove mirabil cofa
Mi torfe '1 vifo a fe : e però quella .
Cui non potea mi'ovra effere afcofa,
Volta ver me sì lieta come bella :
Drizza la mente in Dio grata, mi difle,
Che n'ha congiunti con la prima (Iella.
Pareva a me, che nube ne coprifle
Lucida fpeffa folida e pulita,
Quafi adamante, che lo Sol ferule.
Per entro sè l'eterna margherita
Ne ricevette, com' acqua recepì
Raggio di luce, permanendo unita .
S'io era corpo, e qui non fi concepe,
Com' una dimenfione altra patio,
Ch'effer convieu fe corpo in corpo repe.
C A N T O IL 127
Accender ne dovria piìi il difio
Di veder quella efienzia, in che fi vede,
Come noftra natura e Dio s' unìo .
Lì fi vedrà ciò, che tencm per fede,
Non dimoftrato, ma fia per fe noto
A guifa del ver primo , che 1' uom crede .
Io rifpofi : Madonna , sì devoto,
Quant'efler poffo più, ringrazio lui,
Lo qual dal mortai Mondo m' ha rimoto .
Ma ditemi, che fon li fegni bui
-Di quefto corpo, che laggiufo in terra
Fan di Cain favoleggiare altrui?
Ella forrife alquanto ; e poi : S' egli erra
L'opinion, mi diffe, de' mortali,
Dove chiave di fenfo non differra,
Certo non ti dovrien punger li ftrali
D' ammirazione omai : poi dietro a' fenfi
•Vedi , che la ragione ha corte 1' ali .
Ma dimmi quel, che tu da te ne penfi.
Ed io: Ciò, che n'appar quafsù diverto,
Credo che'1 fanno i corpi rari e denfi.
Ed ella : Certo affai vedrai fommerfo
Nel falfo il creder tuo, fe bene afcolti
L'argomentar, ch'io li farò awerfo.
La fpéra ottava vi dimoftra moki
Lumi, li quali nel quale, e nel quanto
Notar fi poQon di diverfl volti .
DEL PARADISO
Se raro e denfo ciò faceffer tanto ,
Una fola viriù farebbe in tutti
Più e men diftributa , ed altrettanto .
Virtù diverfe effer convengon frutti
Di principi formali , e quei, fuor ch'uno,
Seguiterieno a tua ragion diftrutti.
Aucor fe raro foffe di quel bruno
Cagion , che tu dimandi ; od oltre in parte
Fora di fua materia sì digiuno
Efto Pianeta, o sì come comparte
Lo graffi) e'1 magro un corpo, così quefta
Nel fuo volume cangerebbe carte.
Se '1 primo foffe , fora manifefto
Nell'eeliffi del Sol, per trafparere
Lo lume , come in altro raro ingeilo .
Quefto non è; però è da vedere
Dell' altro : e s' egli avvien , ch' io l' altro caffi ,
Falfificato fu lo tuo parere.
S'egli è, che quefto raro non trapaffi,
Effer conviene un termine , da onde
Lo fuo contrario più paffar non laffi :
E indi l'altrui raggio fi rifonde
Così, come color torna per vetro,
Lo qual diretro a fe piombo nafconde .
Or dirai tu , ch' el fi dimoftra tetro
Quivi lo raggio più che in altre parti,
Per cfler lì rifratto pii» a retro .
C A.N T O II. iij
Da quefta inftanzia può dilibetatti
Efperienza , fe giammai la pruovi ,
Ch' efler fuol fonte a' rivi di voftre atti .
Tre fpecchi prenderai , e due rimuovi
Da te d' un modo , e l' altro più rimoffo
Tr' ambo li primi gli occhi tuoi ritruovi i
Rivolto ad effi fa, che dopo'1 doffo
Ti ftea un lume , che i tre fpecchi accenda ,
E torni a te da tutti ripercoflb :
Benchè nel quanto tanto non fi ftenda
La vifta più lontana, li vedrai
Come convien , ch' egualmente tifplenda .
Or 'come a i colpi degli ealdi rai
Della neve riman nudo'l fuggetto , (
E dal colore, e dal freddo prunai;
Così rimafo te nello 'ntelletto
Voglio informar di luce sì vivace,
Che ti tremolerà nel fuo afpetto .
Dentro dal Ciel dell.i divina pace
Si gira un corpo, nella cui virtute
L'effer di tutto fuo contento giace.
Lo Ciel feguente, ch'ha tante vedute,
Queil' elfcr parte per diverfe effenzc
Da lui jliftinte , e da lui contenute .
Gli altri giron per varie differenze
Le diftinzion, che dentro da fe hanno,
Difpengono a lor fini , e lor femenze .
F5
ijo DEL PARADISO
Quefti organi del Mondo così vanno , .
Come tu vedi ornai, di grado in grado,
Che di fu prendono, e di fotto fanno*
Riguarda bene a me sì com' io vado
Per quefto loco al ver, che tu difiri,
SI che poi fappi foi tener lo guado.
Lo moto e la virtù de' fanti giri ,
Com« dal fabbro l'arte del martello ,
Da' beati motor convien che fpiri .
E'1 Ciel, cui tanti lumi fanno bello.
Dalla mente profonda , che lui volvs ,
Prende l' image , e faffene fuggello .
E come l'alma dentro a voftra. polve
Per differenti membra, e conformate
A diverfe potenzie, fi rifolve;
Così l' intelligenza fua bontate • . -
Multiplicata per le ftelle fpiega, •
Girando sè fuvra fua unitale .
Virtù diverfa fa diverfa lega
Col preziofo corpo , che l' avviva ,
Nel qual, sì come vita in voi, fi lega.
Ter la natura lieta , onde deriva ,
La virtù mifta per lo corpo luce,
Come letizia per pupilla viva .
Da effa vien ciò, che da luce a luce
Par differente, non da denfo e raro:
Effa è formai principio, che produce,
Conforme a fua bontà, lo tuibo e'1 chiaro.
CANTO TERZO.

ARGOMENTO.

Racconta il Poeta, che nella Luna vii*! l'anime


di quelle ftrfone , che non avcano perfettamen
te adempiuto i voti: ài poi ragiona con Pie-
tarda , che gli fpiega, come tutti i Beali fono
contenti del grado di gloria laro compartito:
appreso gli narra ì' (ftituto di vita* che ej/a e
Coftansta arcano in terra abbracciato.

l Sol , che pria d' amor mi (caldo '1 petto,


Di bella verità m' avea fcoverto
Provando e riprovando il dolce afpetto :
Ed io per confefiàr corretto e certo
Me fteffo, tanto, quanto fi convenne,
Levai lo capo a profferer più erto.
Ma vifionc apparve , che ritenne «
A fe me tanto ftretto per vederli,
Che di mia confeffion non mi fovvenne.
Quali per vetri trafpareuti e terfi,
O ver per acque nitide e tranquille
Non sì profonde , che i fondi fien perfi ,

F 6
13* DEL. PARADISO
Tornan de'noftri vifi le poftille
Debili si, che perla in bianca fronte
Non vien men tofto alle noftrc pupille ;
Tali vid' io più facce a parlar pronte :
Perch'io dentro all'error contrario corG
A quel , ch' accefe amor tra l' uomo e '1 fonte ,
Subito , sì com' io di lor m' accorfl ,
Quelle (limando fpecchiati fembianti,
Per veder di cui fbffer gli occhi torfi,
E nulla vidi , e ritorfili avanti
Dritti nel lume della dolce guida,
Che forridendo ardea negli occhi fanti .
Non ti maravigliar , perch'io forrida,
Mi diffe, appreffo'1 tuo pueril quoto,
Poi fopra '1 vero ancor lo piè non fida ,
Ma te rivolve, come fuole, a voto;
Vere fuftanzie fon ciò , che tu vedi ,
Qui rilegate per manco di voto .
Però pada con effe, e odi e credi,
Che la verace luce , che le appaga ,
Da fe non lafcia lor torcer li piedi .
Ed io all'ombra, che parca più vaga
Di ragionar , drizzami , e cominciai
Quafi com' uom , cui troppa voglia fmaga ",
O ben creato fpirito, che a' «i
Di vita eterna la dolcezza fenti,
Che non guftata non s'intende mai ,
CANTO TU. 133
Graziofo mi fla , fe mi contenti
Del nome tuo, e della voftra forte:
Ond'ella pronta, e con occhi ridenti :
La noftra carità non ferra porte
A giulla voglia , fe non come quella ,
Che vuoi Ornile a fe tutta fua Corte.
Io fui nel Mondo vergine forella :
E fe la mente tua ben mi riguarda,
Non mi ti celerà l' effer più bella ,
Ma riconefcerai, ch'io fon Piccarda,
Che pofta qui con quefti altri beati
Beata fon nella fpera più tarda.
Li noftri aSetti , che folo infiammati
Son nel piacer dello Spirito Santo,
Letizian del fu' ordine formati:
E quefta forte , che par giù cotanto ,
Però n'è data , perchè fur negletti
Li noftri voti , e voti in alcun canto .
Ond'io a lei: Ne' mirabili afpetti
Voftri rifplende non fo che divino ,
Che vi trafmuta da' primi concetti :
Però non fui a rimembrar feftino ;
Ma or m'ajuta ciò, che tu mi dici,
Sì che raffigurar m' è più Latino .
Ma dimmi: voi, che flete qui felici,
Difiderate voi più alto loco
Per più vedere , o per più farvi amici ?
134 DEL PARADISO
Con queil' altr' ombre pria forrife un poco:
Da indi mi rifpofe tanto lieta ,
Ch'arder parca d'amor nel primo foco:
Frate, la noftra volontà quieta
Virtù di carità, che fa volerne
Sol quel, ch' averno, e d'altro non ci affcta.
Se difiaffimo effer più fuperne,
Foran diftordi gli noftri diflri
Dal voler di colui , che qui ne cerne :
Che vedrai non capere in quefti giri ;
S'effere in caritate è qui necefic,
E fe la fua natura ben rimiri :
Anzi è formale ad effo beato effe
Tenerli dentro alla divina voglia ,
Perch' una fanfi noftre voglie ftcffe .
Si che come noi fem di foglia in foglia
Per quefto regno, a tutto '1 regno piace,
Com'allo Re, ch'a fuo voler ne'nvoglia:
E la fua volontade è noftra pace:
Ella è quel mare, al qual tutto fi muove
Ciò, ch'ella cria, e che Natura face.
Chiaro mi fu allor, com'ogni dove
In Cielo e Paradifo, tifi la grazia
Del Sommo Ben d'un modo non vi piove.
Ma sì com'egli avvien, s'un cibo fazia,
E d'un' altro rimane ancor la gola,
Che quel a chiere , e di quèl fi ringrazia j
CANTO III. 135
Così fec' io con atto e con parola
Per apprender da lei qual fu la tela,
Onde non traffe infino al cò la fpola.
Perfetta vita ed alto merco inciela
Donna più fu , mi diffe , alla cui norma
Nel voftro Mondo giù fi vefte , e vela ;
Perchè 'nfino al morir fi vegghi e dorma
Con quello fpofo , ch' ogni voto accetta ,
Che cariiate , a fuo piacer , conforma .
Dal Mondo per feguirla giovinetta
Fuggimmi , e nel fu' abito mi chiufi ,
E promifi la via della fua fetta.
Uomini poi a mal più ch' a bene ufi
Fuor mi rapiron della dolce chioftra :
Dio lo fi fa , qual poi mia vita fufl .
E queiV altro fplendor, che ti fi moftra
Dalla mia deftra parte , e che s' accende
Di tutto '1 lume della fpera noftra ,
Ciò , eh' ip dico di me , di fe intende :
Sorella fu , e così le fu tolta
Di capo 1' ombra delle facre bende .
Ma poi che pur' al Mondo fu rivolta
Centra fuo grado, e contra buona ufanza,
Non fu dal vel del cor giammai difciolta .
Queft' è la luce della gran Goftanza ,
Che del fecondo vento di Soave
'1 terzo, e l'ultima poftanza .
156 'DEL PARADISO
Così patlommi: e poi cominciò Ave,
Maria, cantando; e cantando vanìo,
Come per acqua cupa cofa grave.
La vifta mia , che tanto la feguìo ,
Quanto poffibil fu , poi che la perfe ,
Volfefi al fegno di maggior difio ,
Ed a Beatrice tutta fi converfe :
Ma quella folgorò nello mio fguardo
Sì, che da prima il vifo noi fofferfe:
E ciò mi fece a dimandai più tardo .
«37

CANTO QUARTO.

ARGOMENTO.

Rìlrovandufi il Poeta fra alcuni difficoltà, Beatri


ce fopra di quitte imprende a ragionare ; e gli
dimostra , carne tutti i Comprenfuri hanno i loro
feggi nel Cielo Empireo : feguita poi a mani-
feftargli altre verità . In fine Dante propone
alla fua guida un quejìto : Se in alcun modo
faditìsfar fi poffa a' voti non adempiuti .

I.Nera duo cibi dittanti, e moventi


D'un modo, prima fi morda di fame,
Che liber'uomo l'un rccafle a' denti .
Sì fi flrarebbc un' agno intra duo brame
Di fieri lupi igualmente temendo :
Sì fi ftarebbe un cane intra duo dame.
Perchè s'io mi tacca, me non riprendo,
Dalli miei dubbi d'un modo fofpinto,
Poich'era neccflfario, nè commendo.
Io mi tacea : ma '1 mio difir dipinto
M'era nel vifo, e'1 dimandar con elio
Più ealdo affai , che per parlar diftints .
J?8 DEL PARADISO
Fefli Beatrice, qual fe'Daniello,
Nabuccodonofor levando d'ira,
Che l'avea fatto ingiuftamente fello.
E diffe : Io veggio bea come ti tira
Uno ed altro diflo, sì che tua cura
Se fteflà lega sì , che fuor non fpira .
Tu argomenti : Se '1 buon voler dura ,
La violenza altrui per qual ragione
Di meritar mi fcema la mifura?
Ancor di dubitar ti da cagione
Parer tornarli 1' anime alle ftelle ,
Secondo la fentenza di Piatone.
Quefte fon le quiftion , che nel tuo velie
Fontano igualemente: e però pria;
Tratterò quella , che più ha di felle .
De'Serafm colui, che più s'india,
Moisè , Samuello , e quel Giovanni ,
Qual prender vogli, io dico, non Maria,
Non hanno in altro Cielo i loro fcanni ,
Che quelli fpirti, che mo t'appariro,
Nè hanno all'effer lor più o meno anni;
Ma tutti fanno bello il primo giro,
E differentemente han dolce vita
Per fentir più e raen l'eterno fpiro.
Qui fi moftraron, non perchè fortita
Sia quefta fpera lor, ma per f«r fegno
Della celeftial, ch'ha mai falita.
C A N T O IV. i3P
Così parlar convienfi al voftro ingegno ,
Perocchè folo da fenfato apprende
Ciò, che fa pofcia d'intelletto degno.
Per quello la fcrittura condefcende
A voftra facilitate., e piedi e mano
Attribuifce a Dio, ed altro intende .
E Santa Chiefa con afpetto umano
Gabbrieil' e Micfiel vi rapprefenta ,
E l'altro, che lobbia rifece fano.
Quel , che Timeo dell' anime argomenta ,
Non è limile a ciò , che qui fi vede ,
Perocchè, come dice, par che fenta.
Dice , che palma alla fua ftella riede,
C redend<f quella quindi effer decifa ,
Quando Natura per forma la diede .
E forfe fua ffcntenzia è d' altra guifa ,
Che h voce non fuona, ed effer puote
Con intenzion da non effer derifa.
S'egl' intende tornare a qucfte ruote
L'onor della 'nfluenzia e'1 biafmo, forfe
In alcun vero fuo arco percuote .
Queilo principio male intefo torfc
Già tutto'1 Mondo quafi, sì che Giove,
Mercurio, e Marte a nominar trafcorfe.
L'altra dubitazion, che ti commuove,
Ha men velen, perocchè fua malizia
Non ti potria menar da me altrove .
J4o DEL PARADISO
Parere ingiufta la noftra giuftizia
Negli occhi de' mortali, è argomento
Di Fede, e non d'eretica nequizia.
Ma perchè puote voftro accorgimento
Ben penetrare a quefta veritate,
Come ditìri, ti farò contento.
Se violenza è quando quel, che pate,
Neente conferifce a quel, che sforza,
Non fur queft'alme per effa fcufate :
Che volontà, fe non vuoi, non s'ammorza,
Ma fa come Natura face in foco,
Se mille volte violenza il torza :
Perchè s'ella fi piega affai o poco,
Segue la forza : e così quefte fero,
Potendo ritornare al fanto loco.
Se foffe flato il lor volere intero,
Come tenne Lorenzo in fu la grada ,
E fece Muzio alla fua man fevero ;
Così l' avria ripinte per la ftrada ,
Ond' eran tratte , come furo fciolte :
Ma così falda voglia è troppo rada .
E per quefte parole, fe ricolte
L'hai come dei, è l'argomento caffo,
Che t' avria fatto noja ancor più volte.
Ma or ti s' attraverfa un'altro pafib
Dinanzi agli occhi tal , che per te ftefle
Non n'ufcircfti, pria farefti laffo.
CANTO IV. 141
Io t'ho per certo nella mente meffo,
Ch'alma beata non poria mentire,
Perocchè fempre al Primo Vero è predi».
E poi potefti da Piccarda udire,
Che l' affezion del vel Goftanza tenne ,
Sì ch'ella par qui meco contraddire. ..
Molte fiate già , frate , adivennc ,
Che per fuggir periglio contro a grato
Si fe' di quel, che far non fi convenne:
Come Almeone, che di ciò pregato
Dal padre fuo la propria^nadre fpenfc,
Per non perder pietà fi fe'fpietato.
A quefto punto voglio, che tu penfe,
Che la forza al voler fi mifchia, e fanno
Si , che fcufar non fi poffon l' offenfe .
Voglia affolula non confente al danno :
Ala confentevi in tanto, in quanto teme3
Se fi ritrae, cadere in più affanno.
Però quando Piccarda quello fpreme,
Della voglia afibluta intende, ed io
Dell'altra, sì che ver diciamo infieme.
Cotal fu l'ondeggiar del fante rio,
Ch'ufci del fonte, ond'ogni ver deriva:
Tal pofe in pace uno ed altro difio .
O amanza del primo amante, o diva,
Difs'io appreffo, il cui parlar m'innonda
E fcalda sì, che più e più m'avviva;
142 DEL PARADISO
Non è I' affezion mia tanto profonda ,
Che batti a render voi grazia per grazia;
Ma quei, che vede e puote , a ciò rifponda,
Io veggio ben , che giammai non fi fazia
Noftro 'ntelletto , fe '1 ver non lo illuftra ,
Di fuor dal qual nefiun vero fi fpazia .
Pofafi in eflb , come fera in luftra ,
Tofto che giunto l'ha : e giugner puollo,
Se non ciafcun difio farebbe fruftra :
Nafce per quello a guift di rampollo
Appiè del vero il dubbio: ed è Natura,
Ch'ai fommo pinge noi di collo in collo.
Quefto m'invita, quefto m'afficura
Con riverenza, Donna, a dimandarvi
D' un'altra verità, che m' è ofcura.
Io vo'faper, fe l'uom può foddisfarvi
A' voti manchi sì con altri beni,
Ch' alla voftra ftadera non fien parvi .
Beatrice mi guardò con gli occhi pien*
Di faville d'amor, con sì divini,
Che, vinta mia virtù, diedi le reni,
E quafi mi perdei con gli occhi chini .
145

CANTO QUINTO.

ARGOMENTO.

teatrìce parla della natura ed ejfensa del Voto ,


e riffondc al quelito dal Poeta dianzi propofto-
ìe , dichiarando in qual maniera fuddisfar £
pofa ai voti non adempiuti. Salgono pofcia
tmendue in Mercurio , ove Dante fcorgc UH
grendiffìmo numero di Spiriti , ad uno At' quali
fa. egli alcune dimandi .

Io ti fiammeggio nel caldo d' amore


Di là dal modo, che'n terra fi vede,
Si che degli occhi tuoi vinco '1 valore,
Non ti maravtgliar: che ciò procede
Da perfetto veder, che come apprende,
Così uel bene apprefo muove '1 piede .
Io veggio ben sì come già rifplende
Nello 'ntelletto tuo l' eterna luce ,
Che vifta fola fempre amore accende:
E s' altra cofa voftro-arnor feduce,
Non è fe non di quella alcun veftigio
Mal conofciuto , che quivi traluce .
144 DEL PARADISO
Tu vuoi faper , fe con altro fervigio
Per manco voto fi può render tanto ,
Che l'anima ficuri di litigio:
Sì cominciò Beatrice quefto canto:
E sì com'uom, che fuo parlar non fpezza,
Continuò così '1 proceflo fanto .
Lo maggior don , che Dio per fua larghezza
Fefle creando, e alla fua bontate
Più conformato, e quel ch'ei più apprezza,
Fu della volontà la libertate,
Di che le creature intelligenti
E tutte e fole furo e fon dotate .
Or ti parrà, fe tu quinci argomenti,
L'alto valor del voto, s'è sì fatto,
Che Dio confenta, quando tu confenti:
Che, nel fermar tra Dio e l'uomo il patto,
Vittima faffi di quefto teforo,
* Tal, qual'io dico, e falli col fu' atto.
Dunque che render puoffi per riftoro?
Se credi bene ufar quel , ch' hai offerto ,
Di mal tolktto^vuoi far buon lavoro .
Tu fe' omai del maggior punto certo .
Ma perche Santa Chiefa in ciò difpenfa ,
Che par contra lo ver , ch' i' t' ho fcoverto ;
Convienti ancor federe un poco a menfa,
Perocchè '1 cibo rigido , ch' hai prefo ,
Richiede ancora ajuto 3 tua difpenfa .

Apri
C A N T O V. 145
Apri la mente a quel , eh' io ti palefo ,
E fermalvi entro : che non fa fcienza
Senza lo ritenere avere intefo.
Due cofe fi convegnono aH'eflenza •*
Di quefto facriflcio: l'una è quella,
Di che fi fa; l'altra è la convenenza.
Queft' ultima giammai non fi cancella',
Se non fervuta , ed intorno di lei .. .
Sì precifo di fopra fi favella: - .; li
Però neceffitato fu agli Ebrei
Pur l' offerere , ancor che alcuna offerta
Si permntaffe , come làper dei . : .'
L' altra , che per materia t'è aperta,
Puote bene effer tal, che non fi 'falla, "-
Se con altia materia fi converta. . '. • .
Ma uon trafmuti carce alla fua fpalla
Per fuo arbitrio alcun fenza la volta
E della chiave bianca e della gialMt:.
Ed ogni permutanza credi ilolta,
Se la cofa dimeflà in la forpreft,
Come '1 quattro ineTfei , non è raccolta .
Però qualunque cofa tanto pefa
Per fuo valer, che tragga ogni bilancia,
Soddisfar non fi può con altre fpefa.
Non prendano i modali il voto a ciancia :
Siate redeli , ed a ciò far non bieci-, •
Come fu lepte alla fua prima mancia ;

Dante, Tomo li. G


i4<5 DEL PARADISO
Cui più fi convenia {licer: Mal feci,
Che fervando far peggio : e così ftoko
Ritrovar puoi lo gran Duca de' Greci 5
Onde pianfe Ifigenia il fuo bel volto,
E fe' pianger di fe e i folli e i favi ,
Ch'udir pariar di così fatto colto.
Siate, Criftiani, a muovervi più gravi:
Non fiate come penna ad ogni vento,
E non crediate, ch'ogni acqua vi lavi.
Avete '1 vecchio e '1 nuovo Teftamento ,
E '1 Paftor della Chiefa , che vi guida :
Quefto vi bafti a voftro fulvamente).
Se mala cupidigia altro vi grida,
Uomini fiate , e non pecore matte ,
Sì che'1 Giudeo tra voi di voi non rida.
Non fate come agnel , che lafcia il latte
Della fua madre , e feaplice e lafcivo
Seco imdefmo a fuo piacer combatte .
Così Beatrice a me, com'ìò ferivo :
Poi fi rivolfe tutta dittante
A quella parte, ove '1 Mondo .$ più vivo.
Lo fuo piacere, e'1 tramutar fcmbiante
Pofer filenzio al mio cupido kigegno ,
Che già nuove quiflioni avea davante:
E sì come faetta, che q£l fegno
-Percuote pria , che fia la corda queta ;
Cosi corranno nel fecondo regno.
CANTO V. 147
Quivi la donna mia vid'io sì lieta ,
Come nel lume di quel Ciel fi mife ,
Che più lucente fe ne fe' il Pianeta .
E fe la ftella fi cambiò e rife;
Qual mi fec' io , che pur di mia natura
Trafmutatile fon per tutte guife l
Come in pefchiera , ch' è tranquilla e pura,
Traggono i pefci a ciò , che vien di fuori
Per modo , che lo ftimin lor paftura ;
Sì vid' io ben più di mille fplendori
Trarfi ver nói, ed in ciafcun s'udia:
Ecco chi crefcerà li nòftri amori :
E sì come ciafcuno a noi venia,
Vedeafi l'ombra piena di letizia
Nel folgor chiaro , che di lei ufcia .
Pcnfa , Lettor , fe quel , che qui s' inizia ,
Non procedere , come tu avrefti
Di più favere angofciofa carizia ;
E per te vederai , come da quefti
M' era in difio d' udir lor condizioni ,
Sì come agli occhi mi fur manifefti .
O bene nato , a cui veder li troni ,
Del trionfo eternai concede grazia ,
Prima che la milizia s' abbandoni ;
Del lume , che per tutto '1 Ciel fi fpazia ,
Noi femo acceG : e peroje difii
Da noi chiarirti , a tuo piacer ti jfazia .

Ga
J48 DEL PARADISO
Così da un di quelli fpirti pii
Detto mi fu; e da Beatrice: Di di
Sicuramente, e credi come a Dii.
Io veggio ben, sì come tu t'annidi
Nel proprio lume , e che dagli occhi il traggi ,
Perch'ei comifca, sì come tu ridi:
Ma non fo chi tu fe', nè perchè aggi,
Anima degna, il grado della fpera,
Che fi vela a' mortai con gli altrui raggi:
Quello difs' io diritto alla lumiera ,
Che pria m'avea parlato: ond'ella feffi
Lucente più affai di quel, ch' eli' era.
Sì come '1 Sol , che fi cela egli fteffi
Per troppa luce, quando '1 caldo ha rofc
Le temperanze de' vapori fpeffi;
Per più letizia sì mi fi nafcafe
Dentro al fuo raggio la figura fanta ,
E così chiufa chiufa mi rifyoie
Nel modo, che'l ieguente canto canta.
149

CANTO SESTO.
ARGOMENTO. ., ,. •

Lo Spirito fopraccennato al Poeta rìfpondt , e gli


dimoftra cflcr V anima di Giuftiniano Impera
tore, e quindi prende acca/ione di celebrar le
gloriofe gtjia delf àquila Imperiale : feguita poi
a dirgli , che in quel Pianeta erano coloro , cbe
aveano yirtuofamintc operato per acytìftarft
fama ed onore.

A Ofciachè Goftantin l'aquila volfe


Centra M corfo del Ciel, che la feguio
Dietro all'antico, che Lavina tolfe;
Cento e cent'anni e piii l'uccel di Dio
Nello ftremo d' Europa fi ritenne
Vicino a' monti , de' quai prima ufcìo :
E fotto l'ombra delle facre penne
Governò'l Mondo lì di mane in mano ,
E sì cangiando in fu la mia pervenne.
Cefare fui , e fon Giuftiniano ,
Che per voler del primo amor,ch'io fento,
D'entro alle leggi traffi il troppo e'1 vano:

G3
DEL PARADISO
E prima ch'io all'opra foffi attento,
Una natura in Crifto effer, non piùe
Credeva , e di tal fede era contento .
Ma il benedetto Agabito , che fue
Sommo Pattare, alla Fede fincera
Mi dirizzò con le parole fue .
lo gli credetti : e ciò , che fuo dir' era
Veggio ora chiaro , sì come tu vedi ,
Ogni contraddizione e falfa e vera.
Tofto che con 1a Chdefa molli i piedi ,
A Dio per grazia piacque di fpirarmi
L'alto lavoro, e njtto in lui mi diedi.
E al mio Bellifar commendai l'armi,
Cui la deftra del Ciel fu si congiunta ,
Che fegno fu, ch'io doveffi pofarmi.
Or qui alla quiflion prima- s' appunta
La mia rifpofta; ma la condizione
Mi ftringe a feguitare alcuna giunta ,
Perchè tu veggi con quanta ragione
Si muove contra'1 fagrofanto fegno
E chi '1 s' appropria , e chi a lui s' oppone .
Vedi quanta virtù 1' ha fatto degno
Di riverenza, e cominciò dall'ora,
Che Pallante mori , per darli regno .
Tu fai , ch' e' fece in Alba fua dimora
Per trecent'anni, ed oltre infine al fine,
Che tre a tre pugnar per lui ancora .
CANTO VI. i$i
Sai quel, che fé' dal mal delle Sabine
Al dolor di Lucrczia in fette Regi,
Vincendo 'ntorno le genti vicine .
Sai quel, che fe' portato dagli egregi
Romani incontro a Brenno, incontro a Pino,
Incontro agli altri Prineipi e collegi:
Onde Torquato , e Quìntio , che dal cirt»
Negletto fu nomato, e Deci, e Fabi
Ebber la fama, che volentier mirro.»
Effo atterrò l'orgoglio degli Arabi,
Ciie diretro ad Annidale paffaro
L'alpfelre rocce, Pò, di che tu labi.
Sott'effo giovanotti trionfare
Scipione , e Pompco , ed a quel colle ,
Sotto '1 qual tu nalcefti , parve amaro .
Poi preffo al tempo, che tutto '1 Ciel volle
Ridar lo Mondo a fu o modo fereno,
Cefare per voler di Roma il tolle:
E quel , che fe' da Varo infino al Reno,
Ifara vide, ed Era, e vide Senna,
Ed ogni valle , onde '1 Rodano è pieno .
Quel, che fe', poi ch' egli ufci di Ravenna,
E faltò'l Rubicon, fu di tal volo,
Che noi feguiteria lingua , nè penna :
In yer la Spagna rivolfe lo ftuolo:'
Poi ver Durazzo, e Farfaglia percoffe
Sì, ch'ai NU. caldo C fentì del' duolo,

G4
i?2 DEL PARADISO
Antandro e Simoertta, onde fi mofle,
Rivide, e là, dov' Ettore fi cuba,
E mal par Tolommeo poi fi lifcoffe.
Da onde venne folgorando a Giuba :
Poi fi rivolfe nel voftro Occidente ,
Dove feutia la Pompejana tuba .
Di quel, che fe' col bajulo feguente,
Bruto con Caffie nello 'nferno latra,
E Modona e Perugia fu dolente.
Piangene ancor la trifta Cleopafra,
Che, fuggendogli innanzi , dal colubr»
La morte prefe fubitana ed atra.
Con coftui corfe infmo al lito rubro:
Con toftui pofe'1 Mondo in tanta pace,
Che fu ferrato a Giano il fuo delubro .
Ma- ciò, che'l fegno, che parlar mi tace,
Fatto avea prima, e poi era fatturo
Per lo regno mortai, eh' a lui foggiace,
Diventa in apparenza poco e fcuro,
Se in mano al terzo Cefare fi mira
Con occhio chiaro, e con affetto puro :
Chela viva giuftizia, che mi fpira,
Gli concedette in mano a quel , ch'io dico,
Gloria di far vendetta alla fua ira .
Or qui f ammira in ciò , ch' io ti replicoa
Pofcia con Tito a far vendetta corfe
Della vendetta del peccato antica.
C A N T O VI. 153
E qaanclo'1 dente Longobardo morfe
La Santa Chiefa , fotto alle fue ali
Carlo Magno vincendo la foccorfe.
Ornai puoi giudicar di que'cotali,
Ch'io accufai di fopra, e de'lor falli,
CUe fon cagion di tutti i voftri mali.
L' uno al pubblico fegno i gigli gialli
Oppone , e l'altro appropria quello a patte,
Sì ch' è forte a veder qual più fi falli .
Faccian gli Ghibellin , faccian lor' arte
Sott' altro fegno : che mal fegue quello
Sempre .chi la giuftizia, e lui diparte :
E non l' abbatta efto Carlo novello
Co' Guelfi fuoi, ma tema degli artigli ,
Ch'a più alto leon traffer lo vello.
Molte fiate già pianfcr gli figli
Per la colpa del padre : e non fi creda,
Che Dio trafmuti l'armi per fuoi gigli.
Quefta picciola ftella' fi correda
De' buoni fpirti , che fon flati attivi ,
Perchè onore e fama gli fucceda :
E quando li deliri poggian quivi,
Sì difviando pur convien, che i raggi
Del vero amore in fu poggin men vivi .
Ma nel conmenfurar de'noftri gaggi
Col merto è parte di noftra letizia ,
Perchè non li vedèn minor , nè maggi -
154 DEL PARADISO
Quinci addolcifce la viva giuftizia
In noi l'affetto sì, che non fi puote
Torcer giammai ad alcuna nequizia.
Diverfe voci fanno dolci note ; y
Così divertì (canni in noftra vita
Rendon dolce armonia tra quefte ruote .
X dentro alla prefente margherita
Luce la luce di Romèo , di cui
Fu l'opra grande e bella mal gradita.
Ma i Provenzali, che fer centra lui,
Non hanno rifo: e però mal cammina
Qual fi fa danno del beri fare altrui .
Quattro figlie ebbe, e ciafcuna Reina ,
Ramondo Berlinghieri , e ciò gli fece
Romèo perfona umile, e peregrina:
E poi il moffer le parole biece
A dimandar ragione a quello giuilo ,
Che gli aflcgnò fette e cinque per diece .
Indi pa ràffi povero e vetufte:
E fe'l Mondo fapeffe'1 cor, ch'egli ebbe
Mendicando fua vita a frutto a frullo,
A fi;,; lo loda, e pii) lo lederebbe.
CANTO SETTIMO.

ARGOMENTO.

Gittjìiniano dopo un ìreve canto dij'parvi con gli


altri Spiriti ,- e Beatrice rifolye a Dante una
difficoltà, eh' eragli nata da alcune parole delf
Imperatore : fegae pofcia a ragionargli alta
mente intorno al modo, che Iddio ufar volle
aeli» grand' opera dtlT umana Redenzione.

O Sanaa Sanltus Bini Sabaoth i


Suferilluftrant dentate tua
Fel-ces ignes herum malahoth :
Così volgendofi alla nota fua
Fu vifo a me cantare effa fuftanza,
Sopra la qual doppio lume s'addisa:
Ed effa e l'altre moffero a fua danza,
E quafi velociffime faville
Mi fi velar di fubita diftanza.
Io dubitava , e dicea : Dille dille ,
Fra me , dille diceva alla mia donna ,
Che mi diffeta con le dolci ftillc:
Ma quella reverenza, che s'indonna
Di tutto me, pur per B e per ICE
Mi richinava, come Tuom, ch'aflonna. -„

G 6
1S6 DEL PARADISO
Poco fofffcrfè me cotal Beatrice,
E cominciò raggiandomi d'un tifo-
Tal , che nel fuoeo faria l' uom felice :
Secondo mio infallibile avvifo,
Come giufta vendetta giuftamente
Punita foffe , t' hai in penfler mifo :;
Ma io ti folverò tofto la mente :
E tu afcolta , che le mie parole
Di gran fentenzia ti faran prefente ,
Per non {offrire alla virtù, che vuole
Freno a fuo prode, queil' uom, che non nacque
Dannando sè dannò tutta fiia prole i
Onde 1' umana fpezie inferma giacque
Giù per fecoli molti in grande errore,
Fin ch'ai Verbo di Dio di fcender piacque.
U'ia natura, che dal fuo Fattori
S'era allungata, unìo a fe in perfona.
Con l'atto. fol del fuo Eterno Amore.
Or drizza il vifo a quel che fi ragiona ..
Quefta natura al fuo Fattore unita ,
Qua! fu creata , fu lmcerà e buona t
ìAa per fe ftefia pur fu ella sbandita
Di Paradifo, perocchè fi torfc
Da via di verità , e da fua vita .
£a pena dunque, che la Croce porfe,
S'alia natura aflunta fi mifura,
Nulla giammai sì giuftanicute morfe t
CANTO VII. 157
E così uulla fu di tanta ingiura ,
Guardando alla perfona, che fofferfe,
In che era contratta tal natura.
Però d' un' atto ufcir cofe diverfe :
di' a Dio, e a' Giudei piacque una morte:
Per lei tremò la Terra, c'l Ciel s'aperfe.
Non ti dee oramai parer più forte,
Quando fi dice, che giufta vendétta.
Pofcia vengiata fu da giufta Corte'.
Ma i' veggi' or la tua mente riftretta
Di penfiero in penfier dentro ad un nodo,
Del q«al con gran difìo folver s' afpetta.
Tu dici: Ben difcerflo ciò, ch' i' odo :
Mn perchè Dio volefie , m' è occulto ,
A noflrra redenzion pur quefto modo ,
Quefto decreto , frate , fta fepulto
Agli occhi di dafcuno , il cui ingegno
Nella fiamma d'amor non è adulto..
Veramente, però ch' a quefto fegno--- •-'' -
Molto C mira , e poco fi difcerne,
Dirò perchè tal modo fu più degno.
La Divina Bontà , che da fe fperne
Ogni livore , ardendo in fe sfavilla ,
Si che difpiega le bellezze eterne.
Ciò, che da lei fenza mezzo diftilla,
Non ha poi fine , perchè non fi muove
La fua imprenta , quand' ella figiila.*
i58 DEL PARADISO
-Ciò , che da effa fanza mezzo piove ,
Libero è tutto, perchè non foggiace
Alla virtute delle cofe nuove .
Più l'è conforme, e però più le piace :
Chel'ardor fanto, ch'ogni cofa raggia,
Nella più fimigliante è più vivace.
Di tutte quefte^ofe s' avvantaggia
L'umana creatura, e s'una manca,
Di fua nobilita convien che eaggia .
Solo il peccato è quel , che la disfranca ,
£ falla ditlimilc al Sommo Bene ,
Perchè del lume fuo poco s' imbianca :
£d jii fua dignità mai non riviene,
Se non riempie , dove colpa vota ,
Contra mal dilettar con giufte pene.
Voftra natura , quando peccò tota
Nel feme fuo, da quefte dignitadi,
Come di Paradifo, fu remota :
Nè ricovrar poteafi , fe tu badi
Ben fottilmente , per alcuna via,
Senza paffar per un di quefti guadi :
O che Dio folo per fua cortefia
Dimeffb aveffe , o che l' uom , per fe idi»
Aveffe foddisfatto a fua follìa .
Ficca mo l' occh io per entro l' abiffo
Dell'eterna configlio, quanto puoi
Al mio parlar diftrettamente fiffo .
CANTO VII. I5j»
Non potea l'uomo ne' termini fuoi
Mai foddisfar , per non potere ir giufo
Con umiltate , obbediendo poi ,
Quanto difubbidendo intefe ir fufo :
E quefta è la ragion, perehè l'upm fue
Da poter foddisfar per fe difchiufo .
Dunque a Dio convenia con le vie fue
Riparar l'uomo a fua intera vita,
Dico con l'una, o ver con ambedue.'- »
Ma perchè l'ovra tauro è più gradita
Dell' operante, quanto più apprefenta
Della bontà del core , ond' è ufcita ;
La Divina Bontà, che'1 Mondo impronta ,
Di proceder per tutte le fue vie
A rilevarvi fufo fu contenta:
Nè tra l' ultima notte e 'ì primo die
Sì alto e sì magnifico proceffo
O per l'uno, o per l'altro fue, o fi«:
Che più larga fu Dio a dar fe fteffo,
In far l' uom fufficiente a rilevarli ,
Che s' egli aveffe fol da fe dimeflo.
E tutti gli altri modi erano fearfi
Alla giuftizia , ft'l Figliuol di Dio
Non foffe umiliato ad incarnare.
©r per empierti bene ogni difio,
Ritorno a dichiarare in alcun loco ,
Perche tu veggi lì così , coni' io .
i6a DEL PARADISO
Tu dici : Io veggio l'aere, io veggio 'ì foce,
L' acqua, e la terra, e tutte lor rnittur<r
Venire a corruzione , e durar poco :
E quefte cofe pur fur creature ,
Perchè fc ciò, ch'ho detto, è flato vero,
Effer dovrian da corruzion ficure .
Gli Angeli , frate , e'1 paefe (incero,
Nel qual tu fe', dir fi poflbn creati ,
Sì come fono in loro effere intero :
Ma gli elementi , che tu hai nomati ,
E quelle cofe, che di lor fi fanno,
Da Creata virtù fono intormati.
Creata fu la materia , ch'egli hanno :
Creata fu la virtù informante
In quefte (Ielle , che 'ntorno a lor vanno .
L' anima d' ogni bruto, e delle piante
Di compleffion potenziata tira
Lo raggio e '1 moto delle luci fante .
Ma noftra vita fenza mezzo fpira
La fomma beninanza, e la 'nnamora
Di fe , sì che poi fcmpre la difira .
E quinci puoi argomentare ancara
Voftra refurrezion , fe tu ripentì
Come l'umana carne fedi allora,
Che li primi parenti intrambo fenfi .
lèi
CANTO OTTAVO.

ARGOMENTO.

Dante fole con Beatrice in Venere , dove afferra


le anime de' Beati moverji in giro, le quali io-
famente fattefegli incontro , una dì qaefte , che
era f anima di Carlo Martello Re d' Ungheria^
con ejjo lui favella àifpiegandagli in fine , come-
ila virtuofo padre nafca talvolta viziofa figliatia ,

creder lo Mondo in fuo perielo.


Che la bella Ciprigna il folle amore
Raggiato volta nel terzo epiciclo :
Perche non pure a lei faceano onore
Di facrificj, e di votivo grido
Le genti antiche nell'antico errore;
Ma Dione onoravano, e Cupido,
Quefta per madre Tua, queflo per figlio,
E dicean , eh' ei fedette in grembo a Dido :
E da coftei, ond'io principio piglio,
Pigliavano '1 vocabol della ftella, _ .
Che'1 Sol vagheggia or da coppa , or da cigli»,
Io non m' accorfi del falire in. ella :
Ma d' efferv' entro mi fece affai fede
£<$ donna mia, ch'io vidi fu più bili».
i6ì DEL PARADISO
E come in fiamma favilla ft vede ,
E come in voce voce fi diicerne ,
Quando una è ferma, e l' altra va e rie de ;
Yid' io in eira luce altre lucerne
Muoverfi in giro più e men correnti
Al modo , credo , di lor vifte eterne .
Di fredda nube non difcefer venti
O vifibilv, o no, tanto feftini,
Che non pareffero impediti e lenti
A chi aveffe quei lumi divini
Veduto a noi venir, lafciando'l giro
Pria cominciato in gli alti Serafini :
E dietro a quei , che più 'nnanzi apparir» ,
Sonava Ofanna, sì che unque poi
Di riudir non fui fanza difiro.
Indi fi fece Pun più prefli» a noi,
E folo incominciò: Tutti fem prefti
Al tuo piacer, perchè di noi ti gioi.
Noi ci volgiam co' Principi celefti
D' un {iro , d' un girare , e d' una fete ,
A' quali tu nel Mondo già dicefti :
fai , chi intendindo il ttrzo del movete :
E fem sì pian d' amar, che per piacerti
Non fia men dolce un poco di quiete .
Pofcia che gli occhi miei fi furo offerti ^
Alla mia donna reverenti, ed efla
Fatti gli ave» di fe contenti e certi ,
CANTO Vili.
Rivolferfi alla luce , che promeffa
Tanto s' avea : e Dì , chi fiete , fue
La voce mia di grande affetto imprell».
£ quanta, e quale viti' io lei far piùe
Per allegrezza nuova, che s'accrebbe,
Quand'io parlai all'allegrezze fue;
Così fatta mi difle: il Mondo m'ebbe
Giti poco tempo: e fc più foffe flato,
Molto farà di mal, che non farebbe.
La mia letizia mi ti tien celato,
Che mi raggia dintorno, e mi nafconde.
Quali animai di fua feta fiifciato .
Affai m'amafti, ed avefti bene onde:
Che s'io fofli giù (tato, io ti muftì-ava
Di mio amor più oltre, che le fronde.
Quella finiftra riva, che fi lava
Di Rodano, poich'è mifto con Sorga,.
Per fuo fignore a tempo m' afpettava ;
E quel corno d' Aufonia , che 3' imborga
Di Bari, di Gaeta, e di Crotona,
Da ove Tronto e Verde in mare fgorga.
Fulgeami già in fronte la corona
Di quella Terra, $heì Danubio riga»
Poi che le ripe Tedefche abbandona :
E la bella Trinacria, che caliga
Tra Pachino e Pelero fopra 1 golfo „
Che liceve da Euro maggior briga »
j64 DEL PARADISO
Non per Tifèo , ma- per nafcente folfo,
Attefi avrebbe li fuoi regi ancora
Nati per me di Carlo e di Ridolfo ,
Se mala fignoria, che fempre accuora
Li popoli fuggetti , non avelie
Moffo Palermo a gridar: Mora, mora.
E fe mio frate quefto antivedeffe,
L' avara povertà di Catalogna
Già fuggiria, perchè non gli offendefTe:
Che veramente provveder bifogna
Per lui , o per altrui , sì di' a fua barca
Carica più di carco non fi pogna . . -
La fua natura , che di larga Parca
Difcefe, avria meftier di tal milizia,
Che non curaffe di mettere in. arca .
Perocch'io credo, che l'alta letizia,
Che 'i tuo parlar m'infonde, fignor mio,
Ov' ogni ben fi termina, e s'inizia,
Per te fi veggia, come la vegg'io;
Grata m' è più, e anche quefto ho caro,
Perchè '1 difcerni rimirando in Dio.
Fatto m'hai lieto: e così mi fa chiaro,
Poichè parlando a dubjfar m' hai moffo ,
Come ufcir può di dolce feme amaro .
Quefto io a lui: ed egli a me : S'io poflb
Moftrarti un vero , a quel , che tu dimandi _
Terrai '1 vifo , come tieni '1 doflb . »•
CANTO Vili. 165
Lo ben , che tutto '1 regno , che tu {candì ,
Volge e contenta , fa efier virtute
Sua provedenza in quefti corpi grandi :
E non pur le nature provvedute
Son nella mente, ch' è da fe perfetta,
Ma effe infieme con la lor falute .
Perchè quantunque quefto arco faetta,
Difpofto cade a provveduto fine,
Sì come cocca in fuo fegno diretta.
Se ciò non foffe, il Ciel, che tu camminc,
Producerebbe sì li fuoi effetti ,
Che non farebbero arti, ma ruine.:
E ciò effer non può , fe gi' intelletti ,
Che muovon quefte ftelle, non fon manda,
E manco '1 primo , che non gli ha perfetti .
Vuo'tuj che quefto ver più ti s'imbianchi?
Ed io : Non già ; perchè impoffibil veggio ,
Che la Natura, in quel, ch'èuopo, fianchi.
Ond'egli ancora: Or dì, farebbe il peggio
Per l'uomo in terra, fe non foffe cive?
Sì , rifpos' io , e qui ragion non cheggio .
E può egli effer, fe giù non fi vive
DiverfamentL- per diverfi ufi ci?
Nò; fe'1 maeftro voftro ben vi fcrive.
Sì venne deducendo infino a quici:
Pofcia conchiufc : Dunque effer dive.rfe
Convien de'voftii effetti le radici ;
1 66 DEL PARADISO
Perch' un nafce Solone, ed altro Serfe,
.Altro Melchifedech , ed altro quello,
' Che volando per l'aere il figlio perfe.
La circular Natura , ch' è fuggello
Alla cera mortai , fa ben fu' arte;
Ma non diftingue l' un dall' altro oftello .
Quinci adivien , ch' Efaù fi diparte
Per feme da Jacob ; e vien Quirino
Da sì vii padre, che fi rende a Marte .
Natura generata il fuo cammino
Simil farebbe fempre a' generanti,
Se non vinceffe il provveder divino .
Or quel, che t'era dietro, t'è davanti.
Ma perche fappi , che di te mi giova ,
Un corollario voglio, che t'ammanti.
Sempre Natura , fe fortuna truova
Difcorde a fe , come ogni altra fernente
Fuor di fua region, fa mala pruova .
E fe '1 Mondo laggiù poneffe mente
Al fondamento, che Natura pone,
Seguendo lui avria buona la gente .
Ma voi torcete alia religione
Tal , che fu nato a cingerli la fpada ,
E fate Re di tal , ch' è da fermone :
Onde la traccia voftra è fuor di ftrada .
i67

CANTO NONO.

ARGOMENTO.

Sante ftgue a favellar con «»' altra ili quelle


anime , la quale dopo avergli detto nffer' ella
Cunizza forella ff Ezzclino da. Romano , fTi
fice alcuni funejli awcnimtnti della Marca
Triviglana : indi Folco da Marfiglia farla col
Poeta del luogo , ove era nato, e gli paleft
«.'«' altra di quelle ap.iast beaie .

JL/Appoichè Carlo tuo , bella Clemenza ,


M'ebbe chiarito, mi narrò gl'inganni,
Che ricever dovea la Aia femenza.
MS diffe : Taci , e lafcia volger gli anni :
Si ch'io non pollo dir, fe non che piant»
Giu.fto verrà dirictro a'voftri danni.
£ già la vita di quel lume fanto
Rivolta s'era al Sol, che la riempie,
Come a quel ben, ch' a ogni cofa è tanto.
Ahi anime ingannate, e fatture 'mpie,
Che da si fatto ben torcete i cori,
Drizzando in vanità le voftre tempie l
i68 DEL PARADISO
Ed ecco un' altro di quegli fplendori
Ver me fi fece , e '1 fiw voler piacermi
Significava nel chiarir di fuori.
Gli occhi di Beatrice , ch' eran fermi
Sovra me, come pria, di caro aCènfo
Al mio difio certificato fermi.
Dch metti al mio voler tafìo compenfo,
Beato fpirto, diffi, e fammi pruova,
Ch' io poffa in te reflatter quel , eh' io pcnfo.
Onde la luce , che m' era ancor nuova ,
Del fuo profondo, ond'ella pria cantava,
Seguette, come a cui di ben far giova:
In quella parte della Terra prava
Italica, che fiede intra Rialto,
E le fontane di Brenta e di Piava ,
Si leva un colle, e non furge molf alto,
Là onde fcefe già una faceila ,
Che fece alii? contrada grande affalto:
D' una radice nacqui ed io ed ella :
- Cunizza fui chiamata, e qui refulgo,
Perche mi vinfe Jl lume d'efta ftella.
Ma lietamente a me medefma indulgo
La cagion di mia: forte, e non mi noja :
Che forfe parria forte al voftro vulgo.
Di quefta lutulenta e chiara gioja »
Del nqJtro Cielo , che più m' è propinqua,
Grande- fama «male, e pria che muoja,

Queflo
CANTO IX. i69
Quefto centefim' anno nncor s'incinqua:
Vedi fe far fi dee l' uomo eccellente ,
Sì ch'altra vita la prima relinqua:
E ciò non penfa.la turba prefente,
Che Tagliamento , e Adfce richiude,
Nè per effer battuta ancor fi peute .
tofto fia , che Padova al palude
Cangerà l'acqua, che Vicenza bagna,
Per effere al dover le genti crude.
E dove Silc, e Cagnan s'accompagna,
Tal fignoreggia,^ va con la tefta alta,
Che già per lui carpir fi fa la ragna.
Piangerà Feltro ancora la diffalta
Dell'empio fuo paftor, che farà fconcia
Sì, che per fimil non s'entrò in Malta.
Troppo farebbe larga la bigoncia^
Che riceveffe '1 fangue Perrarefe ,
E fianco chi'l pefalfe ad oncia ad oncia,
Che donerà quefto prete cortefe,
Per moftrarfi di parte: e cotai doni
Conformi fieno al viver del paefe .
Su fono fpecchi, voi dicete Troni,
Ortae rifulge a noi Dio giudicarli:?,
Sì cTSt queir! parlarne pijon buoni. -
Qui fi tacette , e fccemi femtìlaute, * " .
Che foffe 13 altro volta , per la ruota ..
In che fl mife , com'era davante. • - •

Dante , Tomo IL M
J7o DEL PARADISO
L'altra letizia, che m'era già nota,
Preclara cofa mi fi fece in vifta,
Qual fin balafcio, in che lo Sol percuota.
Per letiziar lafsù fulgor s' acquifta ,
Sì come rifo qui : ma giù s'abbuja
L'ombra di fuor, come la mente è trifta.
Dio vede tutto, e tuo veder s'illuja,
Difs'io, beato fpirto , sì che nulla
Voglia di fe a te puote effer fuja.
Dunque la voce tua , che '1 Ciel trafiulia
Sempre col canto di que' fuochi pii ,
Che di fci ale fannofi cuculia ,
Perché non foddisface a' miei diflit
Già non attenderemo tua dimanda,
S'io m'intuaffi, come tu t'immii.
' La maggioj? valle , in che l'acqua fi fpanda,
Incominciaro allor le fue parole,"
Fuor di qud mar, che la terra inghirlanda,
Tra difcordanti. liti centra '1 Sole
JTanto fen'va, che fa meridiano
Là , dove l'orizzonte pria far fuolc.
Di quella valle fu' io littorano
Tra Ebro e Macra, che per cammin coria
Le Geuovefe parte dal Tofcano . <»
Ad un'occafo quafi e ad un'orto
Buggea fiede , e la Terra , ond' io fui ,
Che fe' del fangue fuo già caldo il porto.
CANTO IX. 171
Folco mi difie quella gente, a cui
Fu noto il nome mio: e quefto Cielo
Di me s' imprenta , com' io fe' di lui :
Cbe più non arfe la figlia di Belo,
Nojando ed a Sicheo e a Creufa ,
Di me, infin che fi convenne al pelo:
Nè quella Rodopea, che delufa
Fu da Demofoonte, nè Alcidc, *
Quando Jole nel core ebbe richiufa .
Non però qui fi pente, ma fi ride,
Non della colpa, eh' a mente non torna,
Ma del valor , eh' ordinò e provvide .
Qui fi rimira nell'arte, ch'adorna
Con tanto affetto , e difcernefi '1 bene
Perchè al Mondo di fu quel di giù torna .
Ma perchè le tue voglie tutte piene
Ten' porti , che fon nate in quella fpera,
Procedere ancor' oltre mi conviene.
Tu vuoi faper chi è 'n quefta lumiera ,
Che qui apprcflb me così fondila,
Come raggio di Sole in acqua mera .
Or fappi, che là enwo fi tranquilla
Raab, ed a noft' ordine congiunta
Di lui nel fommo grado fi figiila.
Da quefto Cielo, in cui l'ombra s'appunta,
Che '1 voftro Mondo face, pria ch'altr'alma
Del trionfo di Crifto fu affunta .

H 2
i7» DEL PARADISO
Ben fi convenne lei lafciar per palma
In alcun Cielo dell' alta vittoria ,
Che s'acquiftò con l'una e l'altra palma;
Pcrch' ella favorò la prima gloria
Di Jofuè in fu la terra fanta ,
Che poco tocca al Papa la memoria. -
La tua città, che di colui i pianta,
ChApria volfe le fpalle al fuo attore,
E di cui è la 'nvidia tanto pianta ,
Produce e fpande il maladetto fiore,
Ch'ha difviate le pecore e gli agni,
Perocchè fatto ha lupo del paftore.
Per quefto 1' Evangelio e i Dottor magni
Son derelitti, e folo a i Decretali
Si ftudia sì, che pare a'ior vivagni.
A quefto intende'! Papa e i Cardinali:
Non vanno i lor penfieri a Nazzarette
Là, dove Gabbriello aperfe l'ali.
Ma Vaticano, e l'altre parti elette
Di Roma, che fon ftate cimitero
Alla milizia, che Pietro feguette,
Tofto libere fien dell'adultero. . . .
-.'fan e ! ,f,
.:.< I ti i'tfi'-; vantai ,!?9j •
173

CANTO DECIMO.

ARGOMENTO.

Tratta il Poeta delf ordine , che itane Dio in


mar f Univerfo '. dice poi come fali in com
pagnia di Beatrice nel Sole , in cui vide in
torno di fé alcuni fpirìti in figura di corona
difpofi girar cantando; uno de' quali fa gli
vianiftfta e/ferì S. Tottimaft d'equino, e gli
ià in oltre contezza degli altri Beati -, che
formavano quella corina .

VTUardando nel fuo Figlio con l'Amore,


Che l'uno e l'altro eternalmente fpira,
Lo Primo ed Ineffabile Valore ,
Quanto per mente , o per occhio fi gira
Con tanto ordine fe', ch'effer non puote
Senza guftar di lui chi ciò rimira. .
Leva dunque , Lettore , ali' alte ruote
Meco la vifta dritto a quella parte,
Dove l'un moto all'altro fi percuote:
E 11 comincia a vagheggiar nell' arte-
Di quel maeftro, che dentro a fe l'ama
Tanto , che mai da lei l'occhio non parte.

H3
174 DEL PARADISO
Vedi come da indi fi dirama
L'obblico cerchio , che i Pianeti porta,
Per foddisfare al Mondo, che gli chiama:
E fe la ftrada lor non Coffe torta,
Molta virtù nel Ciel farebbe in vano,
E quafi ogni potenzia quaggiù morta.
E fe dal dritto più o men lontano
Foffe '1 partire , affai farebbe manco
E giù e fu dell' ordine inondano .
Or ti riman, Lettor, fovra '1 tuo banco.
Dietro penfaado a ciò , che fi preliba ,
S'effer vuoi lieto affai prima, che ftauco.
lYleffo t'ho innanzi: ornai per te ti ciba:
Che a fe ritorce tutta la mia cura
Quella materia, ond'io fon fatto fctiba.
Lo miniftro maggior della Natura , .
Che del valor del Cielo il Mondo impronta ,
E col fuo lume il tempo ne mifura ,
Con quella parte, che fu fi rammenta,
Congiunto fi girava per le fpire,
In che più tofto ogni ora s' apprefenta ;
Ed io era con lui: ma del falire
Non m' accors' io , fe non com' uom s' accorjs
Anzi '1 primo penfier del fuo venire :
Oh Beatrice , quella , che fi fcorge
Di bene in meglio sì fubitamente ,
-Che l' atto fuo per tempo non fi fporgc ,
CANTO X. 175
Quant' efler convenia da. fe lucente l
Quel , ch' era dentro al Sol,dov'io entrami,
Non per color, ma per lume parvente,
Perch'io lo'ngegno, e l'arte, e l'ufo chiami,
Sì noi direi, che mai s'immaginaffe;
Ma creder puoffi, e di veder fi brami.
E fe le fantafie noftre fon baffe
A tanta altezza, non è maraviglia,
Che fovra '1 Sai non fu occhio , ch' andato .
Tal' era quivi la quarta famìglia
Dell' alto padre , che fempre la fazia ,
Moftrando come fpjra , e come figlia .
E Beatrice cominciò: Ringrazia,
Ringrazia il Sol degli Angeli, ch' a qucft*
Senfibil t' ha levato per fua grazia .
Cor di mortai non fu mai sì digefto
A divozione , e a renderfi a Dio
Con tutto '1 fuo gradir cotanto prefto ,
Com' a quelle parole mi fee' io :
E sì tutto'l mio amore in lui fi mife,
Che Beatrice eelifsò nell' obblio .
Non le difpiacque ; ma sì fe ne rife,
Che lo fplendor degli occhi fimi ridenti
Mia mente unita in più cofe divife.
Io vidi più fulgor vivi e vincenti
Far di noi centro , e di fc far corona ,
Più dolci in voce , che'n vifta lucenti :
J76 DEL PARADISO
Così cìnger la figlia di Latona
Vedem tal volta, quando l'aere è pregno,
Sì che ritenga il fil, che fa la zona.
Nella Corte del Ciel, d'ond'io rivegno,
Si truovan molte gioje care e belle
Tanto, che non fi poffon trar del regno.
E 1 canto di que'lumi era di quelle : .
Chi non s' impenna sì, che lafsù voli,
Dal muto afpetti quindi le novelle .
Poi sì cantando quegli ardenti Soli
Si fiir girati intorno a noi tre volte,
Come ftelle vicine a' fermi poli;
Donne mi parver non da ballo fciolte ,
Ma che s' arreftin tacite afcoltando ,
Fin che le nuove note hanno ricolte :
E dentr' all'un fenti' cominciar : Quando
Lo raggio della grazia, onde s'accende
Verace amore , e che poi crefce amando ,
Multiplicato in te tanto rifplende,
Che ti conduce fu per quella fcala ,
U' fanza rifalir neflun difcende ;
Qual ti negaffe '1 viri della fua fial*
Per la tua fete in libertà non fora,
Se non com' acqua , ch' al mar non fi ala .
Tu vuoi faper di quai piante s' infiora
Quefta ghirlanda, che'ntorno vagheggia
La bella donna, ch'ai Ciel t'avvalora.
C A N T O -X. 177
Io fui degli agni della fatua greggia,
Che .Domenico mena per cammino,
Du'ben s'impingua, fe non fi vaneggia.'
Quefti, che m' è a deftra più vicino,
Frate, e maeftro furami; ed effo Alberto
È di Cologna , ed io Thomas d' Aquino .
Se tu di tutti gli altri eQer vuoi certo,
Diretro al mio parlar ten' vien col vifo
Girando fu per lo beato ferto.
Quell'altro fiammeggiare efce del tifo
Di Grazian, che l'uno e l'altro Foro
Ajutò si , che piace in Paradifo .
L'altro, ch'appreflb adorna il noftro coro,.
Quel Pietro fu , che con la poverella
Offerfe a Santa Chiefa il fuo Teforo .
La quinta luce, ch' è tra noi più bella,
Spira di tale amor, che tutto '1 Mondo
Laggiù n' ha gola di faper novella .
Entro v' è l' alta luce , u' sì profondo
Saver fu meffo, che fe'1 vero è vero,
A veder tanto non furfc '1 fecondo .
Appreffo vedi'1 lume di quel cero,
Che giufo iu carne più addentro vide
L' angelica natura, e '1 miniftero .
Nell' altra piccioletta luce ride
Queil' avvocato de' templi Criftiani ,
Del cui latino Agoftin fi provvidde .

H5
i 78 DEL PARADISO
Or fe tu T occhio della mente frani
Di luce in luce dietro alle mie lode,
Già dell'ottava con fete rimani:
Per vedere ogni ben dentro vi gode
L'anima fanta, che'1 Mondo fallace
Fa manifefto a chi di lei ben' ode :
Lo corpo, ond'ella fu cacciata, giace
Ginfo ia Cieldaufo, ed eQa da martiro,
tt da efilio venne a quefta pace.
Vedi oltre fiammeggiar l'ardente fpiro
D' Ifidoro , di Beda , e di Riccardo ,
Che a confiderar fu più che viro .
4Jucfti , onde a me ritorna il tuo riguardo,
È il lume d'uno fpirto, clie'n penfleri
Gravi a morire gli parve effer tardo.
Effa è h luce eterna di Sigieri ,
Che leggendo 'nel vico degli ftrarai
Sillojizzò invidiofi veri .
Indi, come orologio, che ne chiami
Nell' ora, che la fpofa di Dio ftirge
A mattinar lo fpofo , perchè l' ami ;
Che 1' una parte e l'altra tira ed urge,
Tintiu fonando con sì dolce nota,
Che'1 ben diipofto fpiito d'amor turge;
Così vid'io la gloriofa ruota
Muoverli , e render voce a voce in tempra ,
Ed in dolcezza, ch'effer non può nota,
Se non colà , dove '1 gioir s' infempra .
179
CANTO UNDECIMO.

ARGOMENTO.

Dottar S. Tommafo novellamente fi fa a ra


gionar con Dante, e gli dichiara il fenfo <f al
cune fue parole , che alt intendimento di luì
erano a/quanto ofcure , ed in eia fare prende
occasione di 'raccontargli brevemente la ferafica
Vita del Patriarca S. Francefco d'Jjìfi.

Infenfata cura de' mortali,


Quanto fon difettivi fillogifmi
Quei, che ti fanno in baffo batter l'tlil
Chi dietro a jura , e chi ad anforifmi
Sen'giva, e Chi feguendo Sacerdozio,
E chi regnar per forza , e per fofifmi :
E chi rubare, e chi civil negozio,
Chi nel diletto della carne involto
S'affaticava, e chi fi dava all'ozio;
Quando da tutte quefte cofe fciolto
Con Beatrice m'era fufo in Cielo
Cotanto gloriofamente accolto .
Poichè ciafcuno fu tornato ne lo
Punto del cerchio, in che avanti s'e'ra,
Fcrmoffi, come a candelier canddo:

H 6
~

DEL PARADISO
Ed io fcuti' dentro a quella lumiera
Che pria m'avca parlato , fortidendo
Incominciar facendofi pili mera:
Così, com'io del fuo raggio m' accendo,
Si riguardando nella luce eterna,
Li tuo' penfieri , onde cagioni, apprendo.
Tu dubbi, ed hai voler, che fi riceina
In sì aperta e sì diftefa lingua
Lo dicer mio, ch'ai tuo fentir fi fiema:
Ove dinanzi diffi : U'ben s'impingua,
E là, u'diffi : Non furfe il fecondo;
E qui è uopo che ben fi diftingua .
La previdenza, che governa'! Mondo
Con quel configlio , nel quale ogni afpetto
Creato è vinto , pria che vada al fondo ,
Perocchè andaffe ver lo fuo diletto
La fpofa di colui , ch' ad alte grida
Difposò lei col fangue benedetto,
In fe ficura , e anche a lui più fida ;
Duo Principi ordinò in fuo favore ,
Che quinci e quindi le foffer per guida.
L'un fu tutto Serafico in ardore,
L'altro per fapienzia in terra fue
Di Cherubica luce uno fplendore.
Dell' un dirò, perocchè d'amendue
Si dice , l' un pregiando , qual eh' uom prende ,
Perche ad un fine fur l'opere fuc.
GIÀ N T O XI. 181
Intra Tapino e l'acqua, che difcende
Del colle eletto dal beato Ubaldo ,
Fertile cofta d' alto monte pende ,
Onde Perugia fente freddo e caldo
Da Porta Sole, e dirietro le piangi
Per greve giogo Nocera con Gualdo .
Di quella cofta là, dov'ella frange
Più fua rattezza, nacque al Mondo un SolCj
Come fa quefto tal volta di Gange .
Però chi d' effo loco fa parole
Non dica Afcefi, che direbbe corto,
Ma Oriente , fe proprio dir vuole .
Non era ancor molto lontan dall' Orto ,
Ch' e' cominciò a far fentir la Terra
Della fua gran virtude alcun conforto .
Che per tal donna giovinetto in guerra
Del padre corfe, a cui com'alla morte ,
La porta del piacer neflun differra :
E dinanzi alla fua fpirital corte,
Et comai patre le li fece unito ,
Pofcia di dì in dì 1' amò più forte .
Quella , privata del primo marito .,
Mille e cent'anni e più difpetta e fcura
Fino a coftui fi flette fenza invito : -
Nè valfe udir, che la trovò Ccura
Con Amielate al fuon della fua voce
Colui , cb,' a tutto '1 Mondo fe' paura :
i8a DEL PARADISO
Nè valfe cfler coftante , nè feroce ,
Sì che dove Maria rimafe giufo,
Ella con Crifto falfc in fu la Croce.
>Ia perch' io non proceda troppo chiufo ,
Francefco e Povertà per quefti amanti
Prendi oramai nel mio parlar diffufo.
La lor concordia , e i lor lieti fcmbianti
Amore e maraviglia, e dolce fguardo
Faceano effer cagion de'penfier fanti:
Tanto che'1 venerabile Bernardo
Si fcalzò prima , e dietro a tanta r<ace
Corfe, e correndo gli parv' effer tardo.
O ignota ricchezza, o ben verace ì
Scalzafi Egidio, e fcalzafi Silveftro
Dietro allo fpofo , sì la fpofa piace .
Indi fen'va quel padre, e quel maeftto
Con la fua donna, e con quella famiglia,
Chè già legava 1' umile capeilro :
Nè gli gravò viltà di cor le ciglia ,
Per eflbr fi' di Pietro Bernardone,
Nè per parer difpetto a maraviglia.
Ma regalmente fua dura intenzione
Ad Innocsnzio aperfe , e da lui ebbe
Primo (igillo a fua religione.
Poi che la gente poverella crebbe
Dietto a coftui, la cui mirabil vita
Meglio in gloria del Ciel li canterebbe ;
CANTO XI. 183
Di feconda corona redimita
Fu per Onorio dall'eterno Spiro
La fanta voglia d'efto archimandrita .
E poi che per la fete del martiro
Nella prefenza del Soldan fuperba
Predicò Crifto, e gli altri, che'l feguire;
E per trovare a converfione acerba
Troppo la gente, e per non ftare indarno,
Reddiffi al frutto dell' Italica erba .
Nel crudo faffo intra Tevere ed Amo
Da Crifto prefe l'ultimo figiilo,
Che le fue membra du'anni portarne.
Quando a colui, ch' a tanto ben fortillo,
Piacque di trarlo fufo alla mercede,
Ch'egli acquiftò nel fuo fàrfi pufillo;
A i frati fuoi, sì com'a giufte erede,
Raccomandò la fua donna più cara,
E comandò che l'amaffero a fede :
E del fuo grembo 1' anima preelara
Muover fi volle tornando al fuo regno :
E al fuo corpo non volle altra bara.
Penfa oramai qual fu colui, che degno
Collega fu a mantener la barca
Di Pietro in alto mar per dritto fegno :
E quefti fu il noftro Patriarca :
Perchè qual fegue lui, com'ei comanda,
Difceruer puoi, che'buona merce carea.
1 84 DEL PARADISO
Ma il fuo peculio di nuova vivanda
È fatto ghiotto sì , ch' efftr non puote ,
Che per diverfi falti non fi fpanda :
E quanto le fue pecore rimote ,
E vagabonde più da eflb vanno,
Più tornano all'ovil di latte vote.
Ben fon di quelle, che temono '1 danno,
E ftringonQ al paftor; ma fon sì poche,
Che le cappe fornifce poco panno .
Or fe le mie parole non fon fioche,
Se la tua audienza è ftata attenta ,
Se ciò , ch' ho detto , alla mente rivoche ,
In parte fia la tua voglia contenta :
Perchè vedrai la pianta onde fi fcheggia,
E vedra' il corregger, ch'argomenta
D u' ben s'impingua, fé non fi vaneggia.
18$
. ' . ' ' •' ••-.'.-«

CANTO DUODECIMO.

ARGOMENTO.

finito avendo S. Tommafo di favellare , quella


corona di lucenti Spiriti cominciò a girare , a
cui cT intano »' apparve una maggiore compo-
fta f altri Beati, tra' quali ara S. Bonavtittu-
Tui che a Danti racconta la vita del Patriarca
S. Domenico, e pofcia gli da contezza di fé ,
e degli altri fuoì compagni .

Oì tofto come l'ultima parola


La benedetta fiamma per dir tolfe,
A rotar cominciò la fanta mola :
E nel fuo giro tutta non fi volfe,
Prima ch' ua' altra d'un cerchio la chiufe,
E moto a moto, e canto a canto colfe:
Canto , che tanto vince noftre Mufe ,
Noftre Sirene in quelle dolci tube,
Quanto primo fplendor quel , che rifufe .
Come fi volgon per tenera nube
Du' archi paralleli e concolori,
Quando Giunone a fua ancella jube,
i86 DEL PARADISO
Nafcendo di quel d'entro quel di fuori,
A guift del parlar di quella vaga ,
Oh' Amor confunfe , "come Sol vapori :
E fanno qui la gente effer prefaga
Per lo patto , che Dio con Noè pofe
Del Mondo, che giammai più non s'allaga;
Così di quelle fempiterne rofe
Volgènfi circa noi te duo ghirlande,
E sì l'eftrema all'intima rifpofe.
Poichè '1 tripudio e l'altra fefta grande
Sì del cantare , e sì del fiammeggiarli
Luce con luce gaudiofc e blande
Infieme appunto, e a voler quietarfi;
Pur come gli occhi, ch' al piacer che i muove,
Conviene infieme chiudere e levarli;
Del cor dell'una delle luci nuove
Si molTe voce, che l'ago alla ftella
Parer mi fece in volgermi al fuo dove;
E cominciò: L'amor, che mi fa bella,
Mi tragge a ragionar dell'altro duca,
Per cui del mio sì ben ci fi favella .
Degno è, che dov'è l'un l'altro s'induca
Sì , che com' elli ad una militato ,
Così la gloria loro infieme luca.
L'efercito di Crifto, che Sì caro
Coftò a riarmar, dietro alla 'nfegna
Si nwves tardo, fofyecciofo , e raro-;
CANTO XII. 187
Quando lo'mperador, che ferapre regna,
Provvide alla milizia , ch'era in forfe,
Per fola grazia , non per effer degna :
E, com'è detto, a fua fpofa foccorfe
Con duo campioni, al cui fare, al cui dire
Lo popol difviato fi raccorfe .
In quella parte , ove farge ad aprire
Zeffìro dolce le novelle fronde,
Di che fi vede Europa riveftire ,
Non molto lungi al percuoter dell'onde,
Dietro alle quali per la lunga foga
Lo So>tal volta ad ogni uom fi nafconde.
Siede la fortunata Callaroga
Sotto 1a protezion del grande feudo ,
In che foggiace il Leone , e foggioga .
Dentro vi nacque l'amorofo drudo
Della Fede Criftiaua , il fanto atleta ,
Benigno a'fuoi , ed a' nimici crudo:
E come fu creata , fu repleta
Sì la fua niente di viva virtute ,
Che nella madre lei fece profeta .
Poichè le fponfalizie fur compiute
Al facro fonte intra lui e la Fede,
U' lì dotar di mutua falute ;
La donna , che per lui l'affenfo diede.
Vide nel fonno il mirabile frutto ,
Ch' ufcir dovea di lui , e delle rede :
1 88 DEL PARADISO
E perchè foffe quale era in coftrutto,
Quinci fi moflb fpirito a nomarlo
Del poffeflìvo, di cui era tutto:
Domenico fu detto : ed io ne parlo , -
Sì come dell'agricola, che Crifto
Eleffe ali' orto fuo per ajutarlo .
Ben parve meffo, e famigliar di Crifto,
Che '1 primo amor, che'n lui fu manifefto,
Fu al primo configlio, che diè Crifto.
SpetTe fiate fu tacito e defto
Trovato in terra dalla fua nutrice,
Come diceffe : Io fon venuto a quafto .
O padre fuo veramente Felicel
O madre fua veramente Giovanna,
Se'nterpretata vai, come fi dicel
Non per lo Mondo, per cui mo s'affanna
Diretro ad Oftienfe e a Taddeo,
Ma per amor della verace manna,
In picciol tempo gran dottor fi feo,
Tal che fi mife a circuir la vigna ,
Che tofto imbianca, fe'l vignajo è reo;
Ed alla fedia, che fu già benigna
Più a' poveri giufti , non per lei,
Ma per colui, che Cede, e che traligna,
Non difpenfare o due o tre per fei ,
Non la fortuna di primo vacante,
Neu dtcimas , qme funi pauperum Dti ,
CANTO XII.
AddtaWndò, ma centra '1 Mondo errante
Licenzia di combatter per lo fcme,
Del qual ti fafcian ventiquattro piante.
Poi con dottrina, e con volere infieme3
Con l'ufi do apoftolico fi moffe,
Quafi torrente , ch' alta vena preme :
E negli fterpi eretici percoffe
L' impeto fuo più vivamente quivi ,
Dove le refiftenzc eran più groffe.
Di lui fi fecft- poi diverfi rivi,
Onde l'orto cattolico fi riga,
Sì che i fuoi artmfcelli ftan piii vivi.
Se tal fu l' una ruota della biga ,
In che la Santa Chiefa fi difefe,
E vinfe in campo la fua eivil briga ;
Ben ti dovrebbe affai effer palefc
L'eccellenza dell'altra, di cui Tomma
Dinanzi al mio venir fu sì cortefe .
Ma l'orbita, che fe'la parte fomma
Di fua circonferenza , è derelitta ,
Sì ch' è la muffa , dov'era la gromma.
La fua famiglia, che fi moffe dritta
Co' piedi alle fu' orme , è tanto volta ,
Che quel dinanzi a quel dirietro gitta :
E tofto s' avvedrà della ricolta •
Della mala coltura, quando'1 loglio
SiJagncrà, che l'arca gli fia tolta .
ìpo- DEL PARADISO
Ben dico, chi cercaflc a foglio a foglio
Noftro volume ancor troverria carta,
Da' leggerebbe : l' mi fon quel, ch'io foglio.
Ma non fia da Cafal, nè d'Acquafparta,
Là onde vegnou tali alla Scrittura ,
Ch'uno la fugge, e 1' altro la coarta.
Io fon la vita di Buonaventura
Da Bagnoregio, -che ne' grandi ufici
Sempre pofpofi la finiftra cura.
Illuminato, e Agofìin fon quici ,
Che fur de' primi fcalzi poverelli,
Che nel capeftro a Dio fi fero amici.
Ugo da Sanvittore e qui con elli ,
E Pietro Mangiadorc , e Pietro Ifpano,
Lo qual giù luce in dodici libelli :
Natan Profeta, e '1 Metropolitano
Crifoftomo, ed Anfelmo, e quel Donato ,
Ch' alla prim' arte degnò poner mano :
Raban è quivi, e lucemi dallato
Iì Calavrefe abate Giovacchino
Di fpirito profetico dotato.
Ad inveggiar cotanto paladino
Mi molte la infiammata cortefia
Di fra Tommafo , e'1 difcreto latina,
E molle meco qucfta compagaia.
CANTO DECIMO-TERZO.

ARGOMENTO.

Offerivi il Poeta più partitatnente le due fplen-


dentijime curane de' Beati , che gli giravan
fi intorno , i quali dopo aver cefaio dui canta
re e ài co.it)t>ier-e il lar giro . 0'. Tomninfo di
nuovo ragiona con Dante ^piegandogli il fcnfa
dì alcune fue parole dette già di fopra nel de
cimo canto .

J.Mmagini chi bene intender


Quel, ch'io or vidi, e ritc-gna l'image,
Mentre ch'io dico, come ferma rupe,
Quindici ftelle, che in. diverfe plage
Lo Cielo avvivan di tanto fereno ,
Che foverchia dell'acre ogni compage.
Immagini quel Carro , a cui il feno
Balla del noftro Cielo e notte e giorno,
Sì ch' al volger del temo non vien meno :
Immagini la bocca di quel cunjo,
Che li comincia in punta dello ftcìo,
A cui la prima ruota va dintorno ,
BEL PARADISO
Aver fatto di fe duo fegni in Cielo ,"
Qual fece la figliuola di Minoi,
Allora che fentl di morte il gielo :
E l'un nell'altro aver gli raggi fuoi,
E amenduo girarfi per maniera ,
Che l'uno andaflc al primo, e l'altro al poi;
Ed avrà qnafi l'ombra della vera
Coftelhzione, e della doppia danza,
Che circulava il punto , dov' io era :
Poi ch' è tanto di là da noftra ufanza ,
Quanto di là dal muover della Chiana
Si muove '1 Ciel , che tutti gli altri avanza.
Lì fi cantò non Bacco, non Pcana,
Ma tre Pcrfone in divina natura,
Ed in una fuftanzia effa, e l'umana.
Compiè '1 cantare, c'1 volger fua mifura,
E atteferfi a noi quei fanti lumi ,
Felicitando sè di cura in cura.
Ruppe '1 filenzio ne' concordi numi
Pofcia la luce , in che mirabil vita
Del poverel di Dio narrata fumi :
E diffe : Quando l'una paglia è trita,
Quando la fua femenza è già ripofta,
A batter 1' altra dolce amor m' invita .
Tu credi, che nel petto, onde la cofta
Si traffe, per formar la bella guancia,
Iì cui palato a tutto'! Móndo catla,

Ed in
CANTO XIII. ipj
Ed in quel, che forato dalla lancia,
E pofcia e prima tanto foddisfece ,
Che d'ogni colpa vince la bilancia,
Quantunque alla Natura Umana lece
Aver di lume, tutto forte infufo
Da quel valor, che l'uno e'1 altro fece:
E però ammiri ciò , ch' io diffi fufo , .
Quando narrai , che non ebbe fecondo
Lo ben , che nella quinta luce è chiufo .
Ora apri gli occhi a quel, ch'io ti rifpondo,
E vedrai il tuo credere, e i mio dire
Nel vero farfi, come centro in tondo.
Ciò che non muore, e ciò che può morire,
Non è fe non fplendor di quella idea,
Che partorifce, amando, il noftro Sire:
Che quella viva luce, che sì mea
Dal fuo lucente, che non fi difuna
Da lui, nè dall'amor, che'n lor s'intrca,
Per fua bontate il fuo raggiare aduna,
Quali fpecchiato in nuove fuffiftenze ,
Eternalmente rimanendofi una .
Quindi difcende all'ultime potenze
Giù d'atto in atto tanto divenendo,
Che più non fa, che brevi contingenze:
E quefte contingenze effere intendo
Le cofe generate, che produce
Con feme e fenza feme il Ciel movendo .

Dante, Tomo II. I


194 DEL PARADISO
La cera di coftoro, e chi la duce
Non fta d' un modo, e però fotto '1 fegna
Ideale poi più e men traluce :
Ond' egli avvien , ch' un medefimo legno ,
Secondo fpezie, meglio e peggio frutta,
E voi nafcete con diverto ingegno .
Se foGc appunto la cera dedutta ,
E fotte M Cielo in fua virtù fuprema,
La luce del fuggel parrebbe tutta.
Ma la Natura la dì fempre fcema,
Similemente operando ali' artifla ,
Ch'ha l' abito dell'arte, e man, che trema.
Però fe'1 caldo Amor la chiara vifta
Della prima virtù difpone e fegna,
Tutta la perfezion quivi s' acquifta .
Così fu fatta già la terra degna
Di tutta l' animai perfezione :
Così fu fatta la Vergine pregna.
Si ch'io commendo tua opinione:
Che 1' umana natura mai non fue,
Nè fia, qual fu in quelle duo perfone.
Or s' io non procedeffi avanti piùe,
Dunque come coftui fu fenza pare?
Comincierebber le parole tue.
Ma perchè paja ben quel, che non pare,
Penfa chi era , e la cagion , che '1 mofie ,
Quando fu detto Chiedi, a dimandare.
CANTO XIII. i95
N on ho parlato sì , che tu non polle
Ben veder , ch' ei fu Re , che chiefe fenno ,
Acciocchè Re l'ufficiente folle:
Non per faper lo numero, in che enno
Li motor di quafsù, o fe necej'e
Con contingente mai necej'e fenno :
Non ji tft dare pri:nu:n mutavi effe ,
O fe del mezzo cerchio far fi puote
Triangol , sì ch' un tetto non aveflb .
Onde fe ciò, ch'io diffi , e quefto note
Regal prudenza e quel Vedere impari,
In elic' lo ftral di mia 'ntenzion percuote :
E fe al Surfe drizzi gli occhi chiari,
Vedrai aver folamente rifpetto
A i Regi, che fon molti, e i buon fon rari.
Con quefta diftinzion prendi'1 mio detto:
E così puote flar con quel, che credi
Del primo padre, e del noftro diletto.
E quefto ti fia fempre piombo a' piedi,
Per farti muover lento, com'uom iaffo,
E al sì, e al nò, che tu non vedi :
Che quegli è tra gli ftolti bene abbaffo,
Che fanza diftinzione afferma , o niega
Così nell'un, come nell'altro paffo:
Perch'egl' incontra, che pifi volte piega
L' opinion corrente in falfa parte ,
E poi l'affetto lo'ntelletto lega.

Il
1 5,6 DEL PARADISO
Vie più che'ndarno da riva fi parte,
Perchè non torna tal, qual'ei fi muove,
Chi pefca per lo vero, e non ha l'arte:
E di ciò fono al Mondo aperte pruove
Parmenide , Melino, Briffo, e molti,
I quali andavano, e non fapèn dove.
Sì fe'Sabello, ed Arrio, e quegli ftolti,
Che furon come fpade alle fcritture,
In render torti li diritti volti.
Non fien le genti ancor troppo ficure
A giudicar, sì come quei, che itima
Le biade in campo, pria che fien mature:
Ch'io ho veduto tutto'1 verno prima
Iì prun moftrarfi rigido e feroce,
Pofcia portar la rofa in fu la cima:
E Legno vidi già dritto e veloce
Correr lo mar per tutto fuo cammino,
Perire al fine all'entrar della foce.
Non creda donna Berta, e fer Martino,
l'er vedere un furare, altro offercre,
Vedergli dentro al configlio divino :
Che quel può furgere , e quel può cadere.
*P7

CANTO DEC1MOQUARTO.

ARGOMENTO.

// favlo Re Salamou! tnanifejla a Dante una ve


rità : il Poeta dipoi racconta , che vide un
nuovo chiarore, e quindi con Beatrice fall in
Mane, dove o/ervà due raggi, che nel Piane
ta formavano una Croce Splendente , i» cui fta
va Gesù Crijìo, e l'anime de' Beati cantavano
con faaytJ/Sma armonia.

\J Al centro al cerchio, esì dal cerchio al ceno»


Muovefi l'acqua in un ritondo vafo,
Secondo eh' è percoffa fuori o dentro :
Nella mia mente fc'fubito cafo
Quefto, ch'io dico, sì come fi tacque
La gloriofa vita di Tommafo,
Per la fimilitudine, che nacque
Del fuo parlare e di quel di Beatrice ,
A cui sì cominciar dopo lui piacque.
A coftui fa meftieri , e noi vi dice
Nè con la voce, nè penfando ancora,
D'un' altro vero andare alla radice.

13
jp8 DEL PARADISO
Diteti fe la luce, onde s'infiora
Voftra fuftanzia, rimarrà con voi
Eternalmente, sì com'ella è ora:
E fe rimane; dite come, poi
Che farete vlfibili rifatti ,
Effer potrà ch' al veder non vi noi :
Come da più letizia pinti e tratti
Alla fiata quei , che vanno a ruota ,
Levan la voce e rallegrano gli atti ;
Così all'orazion pronta e devota
Li fanti cerchi moftrar nuova gioja
Nel torneare, e nella mira nota.
Qual fi lamenta, perchè qui fi muoja,
Per viver colafsù., non vide quive
Lo refrigerio dell' eterna ploja .
Quell'uno e due e tre, che fempre vive,
E regna fempre in tre e due e uno,
Non circonfcritto, e tutto circonfcrive ,
Tre v«lte era cantato da ciafcuno
Di quelli fpirti con tal melodia,
Cir ad ogni merto faria giufto muno :
Ed io udì' nella luce più dia
Del minor cerchio una voce modefta,
Forfe qual fu dell' Angelo a Maria ,
Rifponder: Quanto fia lunga la fetta
Di Paradifo, tanto il noflro amore
Si raggerà d'intorno catal vefta.
CANTO XIV.
La fua chiarezza feguita l'ardore,
L' ardor la vifione , e quella è tanta ,
Quanta ha di grazia fovra fuo valore .
Come la carne gloriofa e fanta
Pia riveftila , la noftra perfona
Più grata fia per effer tuttaquanta :
Perchè s'accrefcerà ciò, che ne dona
Di gratuito lume il Sommo Bene ;
Lume , ch' a lui veder ne condiziona ;
Onde .la vifion crefcer conviene,
Crefcer l' ardor, che di quella s' accende,
Crefcer lo raggio, che da e(To viene.
Ma sì come carbon, che fiamma rende,
E per vivo candor quella foverchia,
Sì che la fua parvenza fi difende;
Così queflo fulgor, ehe già ne cerchia,
Fia vinto in apparenza dalla carne,
Che tutto dì la terra ricopcrchia :
Nè potrà tanta luce affaticarne:
Che gli organi del corpo faran forti
A tutto ciò , che potrà dilettarne .
Tanto mi parver fubiti ed accorti
E l' uno e 1' altro coro a dicere Amrne ,
Che ben mofttar difio de' corpi morti;
Forfe non pur per lor , ma per le mamme,
Per li padri, e per gli altri, che fur cari.
Anzi che foffer fempiterne fiamme.
200 DEL PARADISO
Ed ecco intorno di chiarezza pari
Nafccrc un hiftro fopra quel , che v' era ,
A guìfa d'orizzonte, che rifchiari.
E sì come al falir di prima l'era
Comincian per lo Ciel nuove parvenze,
Sì che la cofa pare e non par vera ;
Parvenu H novelle fufliftenze
Cominciare a vedere , e fare un gir»
Di fuor dall'altre due circonferenze.
O vero sfavillar del fanto fpiro,
Come fi fece fubito e candente
Agli occhi miei, che vinti noi (offrirai
Ma Beatrice sì bella e ridente
Mi fi moftrò, che tra l'altre vedute
Si vuoi lafciar, che non feguir la mente.
Quindi riprefer gli occhi miei virtute
A rilevarli , e vidimi translato
Sol con mia donna a più alta falute.
Ben m'accors'io, ch'i'era più levato,
Per 1' affocato rifo della ftella ,
Che mi parca più roggio, che Pufato.
Con tutto '1 core, e con quella favella,
Ch'è una in tutti, a Dio feci olocaufto,
Qual conveniafi alla grazia novelk :
E non er'anco del mio petto efaufto
L'ardor del facrificio, ch'io conobbi
EfTo li tare flato accetto e faufto :
CANTO XIV. 201
Che con tanto lucore, e tanto robbì
M'apparvero fplendor dentro a' duo raggi,
Ch'io «fli: O Eliòs, che sì gli addobbil
Come diftinta da minori in maggi
Lumi biancheggia tra i Poli del Mondo
Galaffia si, che fa dubbiar ben faggi;
Si coftellati facèn nel profondo
Marte quei raggi il venerabil fegno,
Che fan giunture di quadranti in tondo.
Qui vince la memoria mia lo 'ngegno :
Che'n quella Croce lampeggiava Crifto;
Sì ch'io non fo trovare efèmplo degno.
Ma chi prende fua croce, e fegue Crifto,
Ancor mi fcuferà di quel , ch' io laflb ,
Vedendo in quell'albòr balenar Crifto.
Di corno in corno , e tra la cima e '1 baffo
Si movèn lumi, fcintillando forte
Nel congiungerfi inficme , e nel trapaffo :
Così fi veggion qui diritte e torte ,
Veloci e tarde, rinovando viftà,
Le minuzie de' corpi lunghe e corte
Muoverli per lo raggio, onde fi lifta
Tal volta l'ombra, che per fua difefa
La gente con ingegno ed arte acquifta.
F. come giga ed arpa in tempra tefa
Di molte corde fan dolce tintinno
A tal, da cui la nota non o intefa ;
DEL PARADISO
Così da' lumi, che lì m' apparimia
S'accogliea perla Croce una melode,
Che mi rapiva fanza intender l'inno.
Ben m' accora' i», ch' eli' era d'alte lode,
Perocchè a me venia : Rifurgi , e vinci ,
Com'a colui, che non intende , e ode.
Io m'innamorava tanto quinci,
Che'n fino a li non fu alcuna cofa,
Che mi legaffe con sì dolci vinci.
Forfe la mia parola par tropp'ofa,
Pofponendo '1 piacer degli occhi belli ,
Ne'quai mirando mio difio ha pefa.
Ma chi s'avvede, che i vivi fuggelK
D'ogni bellezza più fanno pii» fufo,
E ch' io non m' era 11 rivolto a quelli ,
E fcufar puommi di quel, ch'm'aceufo
Per ifcufarmi, e vedermi dir vero:
'• Che '1 piacer fanto non è qui difchiufo,
Forchè fi fa montando pòi tacere.
CANTO DECIMOQUINTO.

ARGOMENTO.

M. Gacciaguida accoglie con grandi amare il


Poeta, e gli ditaoftra, M egli era. il Padre il
Alighieri , da cui frefo aveva il cognome la
laro famigliu ; appre/o gli narra i cojlumi ,
thè erano al fuo tempo in Firenze ; in fue gli
Jice come fegucudo C Imperador Currado ma
ri coiai/attendo cantre Turchi per la Fede di
1 Grifo.

BSempre
Enigna volontade, in cui fi liqus
l'amor, che drittamente fpira,
Come cupidità fa nell'iniqua,
Silenzio pofe a quella dolce lira,
E fece quietar le fante curde,
Che la delira del Cielo allenta e tilt.
Come faranno a'giufti prieghi forde
Quelle fuftanzie , che , per darmi voglia
Ch'io le pregaffi, a tacer fur concorde?
Ben' è che fenza termine fi doglia
Chi per amor di cofa, che non duri
Etenulmciue, queil' amor fi fpoglia.

16
204 DEL PARADISO
Quale per li fòren tranquilli e puri
DifCorre ad ora ad or lubito fuoco,.
Movendo gli occhi, che ftavan ficuri,
E pare ftella, che tramuti loco,
Se non che dalla parte, onde s' accende -
Nulla fen' perde , ed efib dura poco ;
Tale dal corno, che'n deftro fi ftende,
Al pie di quella Croce corfe un'aiUa
Della coftellazion , che lì rifplende :
Nè fi parti la gemma dal fuo naftro;
Ma per la lifta radiai trafcorfe ,
Che parve Fuoco dietro ad alabaftro r
Sì pia l' ombra d' Anchife fi porfe ,
C Se fede merla noftra maggior Mufa )
Quando in Elifio del figliuol s'accorfe..
O fanguis meus, o fuper infufa
Grada Dei; ficut tibi, cui
£ìs unquam deli janua redttfa ?
Così quel lame; ond'io m'attefi a lui :
Pofcia rivolfi alla mia donna '1 vifo,
E quinci e quindi ftupefatto fui :
Che dentro agli occhi fuoi ardeva un rifa
Tal, ch'io penfti co' miei toccar lo fonda
Delfa mia- grazia e del mio Paratifo .
Indi a udire e a veder giocondo-
Giunfc- lo fpirto- al fue principio cofe ,
Cì)' io non. iutefi, sì parlò pcofònda:
CANTO XV. 205
Nè per elezion mi fi nafcofe,
Ma per neceflità: che'l fuo concetto
Al fegno de' mortai fi foprappofe . . .
E quando l'arco dell'ardente affetto
Fu sì sfocato, che'l parlar difcefe.
In ver lo fegno del noftro'ntelletto;
La prima cofa, che per me s'intefe,
Benedetto fie tn , fu , trino ed uno r
Che nel mio feme fe? tanto cortefe r
E feguitò-: Grato e lontan digiuno
Tratto, leggendo nel maggior volume,
Du'non fi muta mai bianco, nè bruno,
Soluto hai, figlio, dentro a quefto lume..
In ch' io ti parlo , mercè di colei ,
Ch'ali' alto volo ti vefti le piume.
Tu credi, che a me tuo penfier mei
Da quel, ch' è primo, così come raja
Dell' un, fe fi conofce, il cinque e'1 fti:
E però ch'io mi fin , e perch'io paja
Più gaudiofo a te, non mi dimandi,
Che alcun' altro in quefta turba gaja .
Tu credi '1 vero , che i minori e i grandi
Di quefta vita mirai» nello ipeglio,
In che prima, che perni, il pentìer pandi.
Ma perchè '1 facro amore, in che io veglia
Con perpetua vifta , e che m'affeta
Ci dolce difiar , s' adempia meglio :.
DEL PARADISO
La voce tua ficura balda e lieta
Suoni la volontà, fuoni '1 delio,
A che la mia rifpofta è già decreta .
I' mi velfi a Beatrice : e quella udio
Pria ch'io parlaffi, e arrifemi un cenno,
Che fece crefeer l'ale al voler mio:
E cominciai così : L'affetto e '1 fenno,
Come la prima egualità v' appatfe ,
D'un pefo per ciafcun di voi fi fenno.
Perocchè al Sol, che v' allumò e arfe
Col caldo e con la luce, en sì iguali,
Che tutte fimiglianze fono icarfe.
Ma voglia e argomento ne' mortali ,
Per la cagion , eh' a voi è raanifefta ,
Diverfamente fon pennuti in ali.
Ond' io, che fon mortai, mi fento in qucfta
Difagguagliauza : e però non ringrazio ,
Se non col core alla paterna fefta.
Ben fupplico io a te, vivo topazio,
Che quefta gioja preziofa ingemmi,
Perchè mi facci del tuo nome fazio.
O fronda mia, in che io covnpiacemmi
Pure allettando, io fui la tua radice:
Cotat principio dipendendo fernmi.
Pofcia mi diffe: Quel, da cui fi dice
Tua cognazione, e che cent'anni e piile
Girato lu 1 monte in 1a prima cornice,
CANTO XV. 207
Mio figlio fu , e tuo bifavo fue :
Ben fi convieni, che la lunga fatica
Tu gli raccorci con l'opere tue.
Fiorenza dentro dalla cerchia antica ,
Ond' ella toglie ancora e Terza , e Non5 ,
Si flava in pace fobria e pudica.
Non avea catenella, non corona ,
Non donne contigiate , non cintura ,
Che foffe a veder più che la perfona .
Non faceva nafcendo ancor paura
La figlia al padre, che'1 tempo e la dote
Non fuggian quinci e quindi la mifura.
Non avea cafe di famiglia vote ,
Non v'era giunto ancor Sardanapala
A inoftrar ciò , che 'n camera fi puotc .
Non era vinto ancora Montemalo
Dal voftro Uccellatojo, che com'è vinto
Nel montar fu, così farà nel calo.
Bellincion Berti vid'io andar cinto
Di cuojo e d'offe, e venir dallo fpecchio
La donna fua fanza '1 vifo dipinto :
E vidi quel de' Nerli , e quel del Vecchio
Effer contenti alla pelle fcoverta,
E le fue donne al fufo, ed al pennecchio r
O fortunate l e ciafcuna era certa
Della fua fepoltura, ed ancor nulla
Sta per Francia nel ktto deferta.
DEL PARADISO
L'una vegghiava a ftudio della culla,
E confidando ufava l'idioma,
Che pria li padri e le madri traftulla :
L'altra traendo alla rocca la chioma
Favoleggiava con la fua famiglia
De'Trojani, e di Fiefole , e di Roma.
Saria tenuta allor tal maraviglia
Una Cianghella , un Lapo Salterello ,
Qual or faria Cincinnato, e Corniglia.
A così ripofato, a così bello
Viver di cittadini, a così fida
Cittadinanza, a così dolce oftell»
Maria mi diè, chiamata in alte grida;
E nell'antico voftro Batifteo
Infieme fui Origliano e Cacdaguida,
Moronto fu mio frate , ed Elifeo :
Mia donna venne a me di Val di Pado ,
E quindi '1 fopranneme tuo fi reo -
Poi feguitai lo 'mperador Currado ,
Ed ei mi cinfc della fua milizia;
Tanto per bene oprar gli venni in gratto.
Dietro gli andai incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo ufurpa
Per colpa del paftor voftra giuftizia .
Quivi fu'ìo da quella gente turpa
Difvfluppato dal Mondo fallace r
Iì cui amor molte anime deturpa,.
E venni dal martirio a quefta pace.
20JJ

CANTO DECIMOSESTO.

ARGOMENTO.

Cttcciaguida racconta al Posta in qual tempo, ed


in qual luogo egli foffe nato , e quanto in al
lora fuffs popolata. Firenze : fi lagna pofcia del
tàfordinc in effa avvenuto per cagion de' novi
cafati ; in oltre gli fa menzione dslls antichi
ed. onorale famiglie , eh' ireno al fuo temfo ia
città .

O Poca noftra nobiltà di fangue ,


Se gloriar di te la gente fai
Quaggiù, dove l'affetto noflro langue,
Mitabil cofa non mi fata mai:
Che là, dove appetito non fi torca,
Dico nel Cielo, io me ne gloriai .
Ben fe' tu manto , che tofto raceorcc ,
Sì che fe non s'appon di die iu die,
Lo tempo va dintorno con le fotce.
Dar voi , che prima Roma fofferìe ,
In che la fu.i famiglia men pcrfeura,
Rincoiniuciarou le parole mie :
2io DEL PARADISO
Onde Beatrice, ch'era un poco fceura,
Ridendo parve quella , che tofsio
Al primo fallo fcritto di Gineura.
Io cominciai : Voi flete '1 padre mio :
Voi mi date a parlar tutta baldezza :
Voi mi levate sì , ch' i' fon più ch' io :
Per tanti rivi s' empie d' allegrezza
La mente mia , che di fe fa letizia :
Perchè può foftener, che non fi fpezza:
Ditemi dunque, cara mia primizia ,
Qua! fon gli voftri antichi, e quaifur gli anni,
Che fi fegnaro in voftra puerizia t
Ditemi dell'ovil di San Giovanni,
Quant' era allora, e chi eran le genti
Tra effo degne di più alti fcanni?
Come s'avviva allo fpirar de' venti
Carbone in fiamma, così vidi quella
Luce rifplendere a' miei blandimenti:
E come agli occhi miei fi fe'più bella,
Così con voce più dolce e foave,
Ma non con quefta moderna favella,
DiGTemi: Da quel dì, che fu detto Ave,
Al parto , in che mia madre , ch' è or fanta ,
S' alleviò di me , ond' era grave ,
Al fuo Leon cinquecento cinquanta
E tre fiate venne quefto fuoco
A tinti amma rii fotta la fua pianta.
CANTO XVI. in
Gli antichi miei ed io nacqui nel loco ,
Dove fi truova pria l'ultimo fefto
Da quel , che corre il voftro annual giucco .
Bafti de' miei maggiori udirne quefto.
Chi ei fi furo, e onde venner quivi,
Più è tacer , che ragionare , onefto .
Tutti color , ch' a quel tempo eran' ivi
Da potere arme tra Marte e'1 Batifta,
Erano '1 quinto di quei, che fon vivi:
Ma la cittadinanza, ch' è or mifta
Di Campi , e di Certaldo , e di Figghine ,
Pura vedeafi nell'ultimo artifta.
O quanto fora meglio effer vicine
Quelle genti, ch'io dico, ed al Galluzza,
E a Trefpiano aver voftro confine ,
Che averle dentro, e foftener lo puzzo
Del villan d' Aguglion , di quel da Signa ,
Che già per barattare ha l'occhio aguzzol
Se la gente , ch' al Mondo più traligna ,
Non foffe ftata a Cefare noverca,
Ma come madre a fuo figliuol benigna;
Tal fatto è Fiorentino, e cambia , e merca.
Che fi farebbe volto a Simifonti
Là, dove andava l'avolo alla cerca.
Sariefi Montemurlo ancor de' Conti:
Sarienfi i Cerchi nel pivier d' Acone ,
E forfe in Valdigrieve i Buondclroooti.
sia DEL PARADISO
Sempre la confufion delle perfone
Principio fu del mal della cittade,
Come del corpo il cibo , che s' appone .
E cieco toro più avaccio cade,
Che cieco agnello: e molte volte taglia
Più e meglio una , che le cinquè fpade .
Se tu riguardi Luni, ed Urbifaglia,
Come fon' ite, e come fe ne vanno
Diretro ad effe Chiufi, e Sinigaglia;
Udir, come le fchiatte fi disfanno,
Non ti parrà nuova cofa, nè forte,
Pofcia che le cittadi termine hanno .
Le voftre cofe tutte hanno lor morte,
Si come voi ; ma celafi in alcuna ,
Che dura molto, e le vite fon corte.
E come '1 volger «tei Ciel della Luna
Cuopre ed ifcuopre i liti fanza pofa,
Così fa di Fiorenza la Fortuna :
Perchè non dee parer mirabil cofa
Ciò, ch'io dirò degli alti Fiorentini,
Onde la fama nel tempo è nafcofa.
Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini,
Filippi, Greci, Ormarmi, e Alberichi,
Già nel calare illuftri cittadini :
E vidi così grandi, come antichi,
Coa quel della Sannella quel dell'Arca,
E Sottanieri, e Ardiughi, e Boftichi.
CANTO XVT. 2,3
Sovra la porta, che al prefente è carca
Di nuova fellonia di tanto pefo ,
Che tofto fla jattura della barca ,
Erano i Ravignaui , ond'è difcefo
U Conte Guido, e qualunque del nome
Dell'alto Bellincione ha pofcia prefo.
Quel della Pretta fapeva già , come
Regger fi vuole, ed avea Galigajo
Dorata in cafa fua già l'elfa e'1 pome.
Grande era già la Colonna del Vajo,
Sacchetti, Giucchi, Sifanti, e Barucci ,
^E Galli, e quei che arroffan per lo ftajo.
Lo ceppo, di che nacquere i Calfucci,
Era già grande, e già erano 'tratti
Alle curule Sizii, ed Arrigucci.
O quali vidi quei , che fon disfatti
Per lor fuperbia l e le palle dell' oro
Fiorian Fiorenza in tutti fuoi gran fatti.
Così facèn li padri di coloro ,
Che, fempre che la voftra Chiefa vaca,
Si fanno graffi ftando a confiftoro .
L' oltracotata fchiatta , che s'indraca
Dietro a chi fugge , e a chi moftra '1 dente ,
O ver ia borfa, com'agnel fi placa;
Già venia fu, ma di picciola gente,
Sì che non piacque ad Ubertin Donato ,
Che '1 fuocero il faceffe lor parente .
2i4 DEL PARADISO
Già era'l Caponfacco nel mercato
Difcefo giù da Fiefole , e già era
Buon cittadino Giuda , ed Infangato.
Io ditò cofa incredibile e vera:
Nel picciol cerchio s'entrava per porta,
Che fi nomava da quei della Pera .
Ciafcun , che della bella infegna porta
Del gran Barone, il cui nome, e '1 cui pregio
La fefta di Tommafo riconforta,
Da eflo ebbe milizia e privilegio;
Avvegna che col popol fi rauni
Oggi colui, che la ftfcia col fregio.
Già eran Gualterotti ed Importuni:
E ancor faria Borgo più quieto,
Se di nuovi vicin foffer digiuni.
La cafa, di che nacque il voftrp fleto
Per I» giufto difdegno , che v'ka morti,
E pofto fine al voftro viver lieto,
Era onorata effa, e fuoi conforti.
O Buondelmente, quanto mal fuggirli
Le nozze fue per gli altrui confortil
Moki farebber lieti , che fon trifti ,
Se Dio t'aveife conceduto ad Ema
La prima volta, ch' a città venirti»
Ma conveniafi a quella pietra fcema,
Che guarda '1 ponte, che Fiorenza feffe
Vittimi nella fua pace poftrema .
CANTO XVI. 215
Con quefte genti , e con altre con effe
Vid'io Fiorenza in sì fatto ripofo,
Che non avea cagione, onde piangeffe.
Con quefte genti vid' io gloriofo ,
E giufto '1 popol fuo tanto , che '1 giglio
Non era ad afta mai pofto a ritrofo,
Nè per divifion fatto vermiglio .
DEL PARADISO

CANTO DECIMOSETTIMO.

ARGOMENTO.

Ricerca Dante da Cacciaguida aperta contezzt


intorno gli accidenti di fua vita futura prefs-
gitigli Kclt' Inferno e nel Purgatorio . Quindi
Caccìaguida prenuncia al Poeta f efìglio falla
Patria, ed il fuo rifugio preffb i Signori detta
Scala . In fine lo sfarla a fcriverc quanta ayfii
nel viaggio veduto.

al venne a Climenè per accertarli


Di ciò, ch' aveva incontro a fé udito,
Quei , ch' ancor fa li padri a' figli (carfi ;
Tale era io, e tale era fentito
.£ da Beatrice, e dalla fanta lampa,
Che pria per me avea mutato fito.
Perchè mia donna : Manda fuor la vampa
Del tuo difio, mi diffe, sì ch'ell'efca
Segnata bene della 'nterna ftampa .
Non perchè noftra conofcenza crefca
Per tuo parlare, ma perchè t'aùQ
A dir la fete, sì che J'uom ti mefca.

O cara
CANTO XVII. 217
O cara' pianta mia , che sì t'infnfi,
Che come veggion le terrene mentì
Non capere in triangolo du'ottufi,
Cosi vedi le cofe contingenti ' .;
Anzi che fieno in fe, mirando '1 punta,'
A cui tutti .li tempi fon prefenti;
Mentre .ch' i'era a Virgilio congiunto
Su per lo monte, che 1' anime cura,
E difcendendo nel Mondo defunto ,. .
Dette mi far di mia vita futura . . ' - >• :
Parole gravi; avvegna ch'io mi fenta
Ben tetragono a i colpi di ventura :
Perchè la voglia mia faria contenta
D'intender quàl fortuna mi s'appreffa;
Che faetta previfa vìen più lenta.
Così difs'io a qnella luce ftcfla,
Che pria m' avea parlato, e come volle
Beatrice, fu la mia voglia confèfla.
Nè per ambage , in che la gente folle
Già s'invefcava , pria che fofle ancifo
L' Agnel dt Dio , che le peccata tolle ;
Ma per chiare parole, e con precifo
Latiu rifpofe queil' amor paterno
Chiufo, e parvente del fuo prsprio rifo:
La contingenza, che fuor del quaderno
Della voftra materia non fi ftende,
Tutta è dipinta nel cofpettp eterno :

Dante , Tomo IL K
-i8 DEL PARADISO
Neceffità però quindi non prende ,
Se non come dal vifo, in che fi fpecchia
Nave, che per corrente giù difcende.
Da indi, sì come viene ad orecchia
I>olce armonia da organo, mi viene
A vifta'1 tempo, che ti s'apparecchia.
Qual fi partì Ipoiito d' Atene . .
Per la fpietata e perfida noverca ,
Tal di Fiorenza partir ti conviene.
Quefto fi vuole, e quéfto già fi cerca;
E tofto verrà fatto a chi ciò penfa
Là , dove Crifto tutto dì fi mcrca .
La colpa feguirà h parte offenfa
In grido, come fuol; ma la vendetta
Fia teftimonio al ver, che la difpenfa.
Tu lafcerai ogni cofa diletta . -•'•
Kù caramente: e qiiefto è quello ftrale,
Che l'arco dell' efilio pria faetta.
Tu proverai, sì -come fa di fale
Lo pane altrui, e com'è duro calle
Lo fcendere e'1 falir per l'altrui fcale.
E quel, che più ti graverà le fpalle,
Sarà la compagnia malvagia e fcempia,
Con la qual tu cadrai in quefta valle :
Che tutta ingrata, tutta matta ed empia
Si farà contra te : ma poco appreflb
Ella , non tu, n' avrà rofla la tempi» .
CANTO XVII. 219
Di lua beftialitate il fuo prócelTo
.Farà la pruova, sì di' a te fla bello
Averti fatta parte per te ftcffo.
Lo primo tuo rifugio, e'1 primo cftello
Sarà la cortefia del gran Lombardo,
Che 'n fu la Scala porta il fanto uccello ;
Ch'avrà in te sì benigno riguardo,
Che del fare e del chieder tra voi due
Fia prima quel , che tra gli altri è più tardo .
Con lui vedrai colui, che impreffo fue
Nafcendo sì da quefta ftella forte,
Che notabili fien 1' opere fue .
Non fe ne fono ancor le genti accorte
Per la novella età , che pur nove anni
Son quafte ruote intorno di lui torte .
Ma pria che '1 Guafco l'alto Arrigo inganni ,
Parran faville della fua virtute
In non curar d'argento, nè d'affanni.
Le fue magnificenze conofciute
Saranno ancora sì, che i fuoi nimici
Non ne potrai! tener le lingue mute.
A lui t'afpetta, ed a' fuoi benefici:
Per lui fia trafmutata molta gente,
Cambiando condizion ricchi e mendici :
E porterane fcritto nella mente
Di lui, ma noi dirai ; e diffe cofc
Incredibili a quei , che fia prefente .

Ka
220 DEL PARADISO
Poi giunfc: Figlio, qnefte fon le chiofe
Di quel, che ti fu detto: ecco le'nfidie,
Che dietro a pochi giri fon imfcofe.
Non vo'però, ch' a' tuo' vicini invidie,
Pofcia che s' infutura la tua vita
Via più là , che'1 punir di lor perfidie .
Poichè tacendo fi moftrò fpadita
L'anima fama di metter la trama
In quella tela , ch' io le -porfi ordita ,
Io cominciai, come colui, che brama,
Dubitando, configlio da perfona,
Che vede, e vuoi dirittamente, ed ama:
Ben veggio, padre mio , sì come (prona
Lo tempo verfo me per colpo darmi
Tal , ch' è più grave a chi più s' abbandoni:
Perche di provedenza è buon, ch'io m'armi,
Si che fe luogo m' è tolto più caro,
Io non perdeffi gli altri per miei carmi.
Giù per lo Mondo fenza fine amaro,
E per lo Monte, del cui bel cacume
Gli occhi della mia donna mi levato,
E pofcia per lo Ciel di lume in lume
Ilo io apprefo quel , che , s' io ridico ,
A molti fia favor di forte agrume :
E s'io al vero fon timido amico,
Temo di perder vita tra coloro,
Che quefto tempo chiameranno antico .
CANTO XVII. 3
La luce , in che rideva il mio tefoto ,
Ch' io trovai lì , fi fé' prima corrufca,
Quale a raggio di Sole fpecchio d'oro;
Indi rifpofe : Cofcienza fufca
O della propria, o dell'altrui vergogna,
Pur fentirà la tua parola brufca .
Ma nondimen, rimoffa ogni menzogna,
Tutta tua vifion fa manifefta ,
E lafcia pur grattar dov'è la rogna:
Che fc la voce tua farà moietta
Nel primo gufto , vita! nutrimento
Lafccrà poi , quando farà digefta .
Quefto tuo grido farà come vento,
Che le più alte cime più percuote:
E ciò non fa d' onor poco argomento ,
Però ti fon moftrate in quelle ruote,
Nel monte, e nella valle dolorofa
Pur l'anime, che fon di fama note:
Che l'animo di quel, ch'ode, non pofa,
Nè ferma fede per efempio , ch' haja
La fua radice incognita e nafcofa,
Nè per altro argomento , che non paja .
221 DEL PARADISO

CANTO DECIMOTTAVO.

ARGOMENTO.

dtt Cacciaguiiiii moftrati al Poeta alcuni


Spiriti, ch'erano in quella rifplendeuie Croce
di Sfarle, ed avevano glorio/a niente militan
fir la vera Fede ; poi Dante fale con Beatrici.
nel Pianeta di Giove , dove o/ervò le animi
de' Santi ordinarli in figura di alcun: lettere,
e quindi in forma di «»'

VJIà fi godeva folo del fuo verbo


Quello fpirto beato, ed io guftava
Lo mio, temprando '1 dolce con l'acerbo:
E quella donna , ch' a Dio mi menava ,
Diffe : Muta penfier, penfa ch'io fono
Preflo a colui, ch'ogni torto difgrava.
Io mi rivolfi ali' amorofo fuono
Del mio conforto ; e quale io allor vidi
Negli occhi fanti amor, qui l'abbandono:
Non perch'io pur del mio parlar diffidi,
Ma per la meate, che non puJ» reddire
Sovra fe tanto, s'altri uon la guidi.
C ANTt) XVIIT. 223,
Tanto pofs' io il quel punto ridire ,
Che rimirando lei lo mio affetto
Libero fu da ogni altro difire.
Fin che l' piacere eterno , che diretto
Raggiava in Beatrice, dal bel vifo -. . -
Mi contentava col fecondo afpetto,
Vincendo me col lume d'un. fortifo,
Ella mi diffe : Volgiti , ed afcolta ,
Ch e non pur ne' miei occhi è Paradifo .
Come fi vede qui alcuna volta
L'affetto nella vifta, s'ello è tanta,
Che da lui fia tutta F anima tolta ;
Così nel fiammeggiar del fulgor fanto ,. ;- ; ;
A cui mi volfi , conobbi la voglia •i
In lui di ragionaimi ancora alquanto.
E cominciò: In quefta quinta foglia - .'-
Dell' albero , che vive della cima ,
E frutta fempre , e mai non perde foglia .,
Spiriti fon beati, che giù, prima
Che venifiero al Ciel , fur di gran voce ,
Sì ch'ogni Mufa ne farebbe opima.
Però mira ne' corni della Croce:
Quel , ch'io or nomerò, 11 farà l'atto,
Che fa in nube il fuo fuoco veloce .
Io vidi per la Croce un lume tratto
Dal nomar Jofuè, com'ei fi feo :
Ni mi fu noto il dir prima elici fate*.
3J4 DEL PARADISO
Ed al nome dell'alto Maccabeo
Vidi muoverfi un' altro roteando :
E letizia era ferza del paleo.
Così perirlo Magno, e per Orlando
Duo ne fcguì lo mio attento fguardo,
Com' occhio fegue fuo falcon volando.
Pofcia tratte Gulglielmo, e Rinoardo,
E '1 Duca Gottifredi la mia vifta
Per quella Croce, e Roberto Guifcardo.
Indi tra l'altre luci mota e mifta
Moftrommi l'alma, che m'avea parlato,
Qual'era tra i cantor del Cielo artifta.
Io mi rivolli dal mio deftro lato,
Per vedete in Beatrice il mio dovere
O per parole, o per atto.fegnato ;
E vidi le fuc luci tanto mere,
Tanto gioconde , che la fua fembianza
Vinceva gli altri, e l'ultimo folere .
E come, per fentir più dilettanza,
Bene Operando l'uom di giorno in giorno
S'accorge, che la fua 'virente avanza;
Sì m' accors'io ,che'1 mio girare intorno
Col Cielo 'nfieme avea crefciuto l'arco ,
Veggcndo quel miracolo più adorno .
E quale è il trafmutare in picciol varco
Di tempo in bianca donna, quando'1 volto
Suo fi diffalchi di vergogna il carco;
CANTO XVIII. 215
Tal fu negli occhi miei, quando fu volto
Per lo candor.della temprata ftell*
Sefta , che dentro a fe m' avea ricolto .
Io vidi in quella Giovial facella
Lo sfavillar dell'amor, che lì era,
Segnare agli occhi miei nofta favella.
E come augelli furti di riviera ,
Quafi congratulando a lor pailore,
Fanno di fe or tonda or lunga fchiera ;
Sì dentro a' lumi fante creature
Volitando cantavano, e facènfì
Or D. or I. or L. in fue figure .
Prima cantando a fua nota moviènfi ;
Poi, diventando l'un di quefti fegni,
Un poco s'arrellavano, e tacènfi .
O diva Pegafea, che gl'ingegni
Fai gloriofl, e rendigli longevi,
Ed effi teco le cittadi e i regni ,
Illuftrami di te, sì ch'io rilevi
- Le lor figure , com' io l' ho concette :
Paja tua poffa in quefti verfi brevi.
MoftrarQ dunque in cinque volte fette
Vocali e confonanti : ed io notai
Le parti sì , come mi parver dette .
Diligile jujlitiam , primai
Fur verbo e nome di tutto '1 dipinto :
Q.u! jadicaiis Termiu, fur lezzai.

K5
aio £EL PARADISO
Pofcia nell'M del vocabol quinto
Rimafero ordinate, sì che Giove
Pareva argento lì d' oro diftinto .
E vidi fcendere altre luci, dove
Era'1 colmo dell' M, e lì quetarfi
Cantando, credo, il ben, ch' a fe le muove.
Poi come nel. percuoter de' ciocchi arfi
Surgono inmunerabili faville,
Onde gli (lolti fogliono agurarfi,
Rifurger parver quindi più di mille
Luci, e falir quali affai, e qua' poco,
Sì come 1 Sol , che 1' accende , fortille :
E quietata ciafcuna in fuo loco ,
La tefta e'1 collo d'un' Aquila vidi
Rapprefentare a quel diftin;o foco.
Quei, che dipinge lì, non ha chi'l guidi i
Ma effo guida , e da lui fi rammenta
Quella virtù, ch' è forma per li nidi.
L'altra beatitudo , che contenta
Pareva' in prima d'ingigliarli all'emme,
Con poco moto feguitò la'mprenta.
O dolce (Iella , quali e quante gemme
Mi dimoftraron , che noftra giuftizia
Effetto fu del Ciel, che tu ingemmel
Perch'io prego la mente, in che s'inizia
Tuo moto e tua virtute, che rimiri
Ond'efce'l fummo, che'l tuo raggio vizia:
CANTO XVIII. 217
Sì ch' un' altra fiata ornai s'adiri
Del comperare e vender dentro al tempio,
Che fi murò di fegni, e di martiri.
O milizia del Ciel, cu'io contemplo,
Adora per color , che fono in terra
Tutti fviali dietro al malo efemplo.
Già fi folea con le fpade far guerra :
Ma or fi fa togliendo or qui or quivi
Lo pan , che '1 pio padre a neflun ferra .
Ma tu, che fol per cancellare ferivi,
Penfa che Pietro e Paolo, che moriro
Per la vigna, che guafti, ancor fon vivi.
Ben puoi tu dire: Io ho fermo '1 difiro
Sì a polui, che volle viver folo,
E che per falci fu tratto a martire,
Ch'io non conofco il Pefcator, nè Polo,
2a8 DEL PARADISO

CANTO DECIMONONO.

ARGOMENTO.

H Con •de' Beati dìfpofti in fgura di Aquila a


Dante ragiona fu la quijlione : Se alcuno fen-
za la Fedi Criftiana fi poffa falvare, e gli di-
ce, die niuno fenza creder' in Crìjìo fi era fai-
vaio giammai'. foggiugne in oltre, che molti
ancor de' Criftiatii per ìì laro pravo operare fa
ranna riprovati ne'.f uniyerfale giuilUio.

JT Area dinanzi a me con l'ale aperte


La bella image , che nel dolce fruì
Liete faceva l'anime confette.
l'area ciafcuna rubinetto, in cui
Raggio di Sole ardeffe sì accefo,
Che ne' miei occhi rifraiigeffe lui .
E quel, che mi convien ritrar teftefo,
Non portò voce mai, nè fcriffe inchioftro,
N4 fu per fantafia giammai comprefo;
Ch'io vidi, e anch'udì' parlar lo roftro,
E fonar nella voce ed To e Mio,
Quand'era nel concetto Noi e Noftro.
CANTO XIX.
E cominciò : Per effer giufto e pio
Son'io qui efaltato a quella gloria,
Che non fi lafcia vincere a difio :
Ed in terra lafciai la mia memoria
Si fatta, che le genti li malvage
Commendau lei, ma non feguon la ÌÌOIM .
Così un fol calor di molte brage
Si fa fentir, come di molti amori
Ufdva folo un fuon di quella image .
Ond'io apprcflo: O perpetui fiori
Dell'eterna letizia, che pur' uno
Sentir mi fate tutti i voftri odori ,
Solvetemi, fpirando, il gran digiuno,
Che lungamente m'ha tenuto in fame,
Non trovandoli in terra cibo alcuno.
Ben fo io , che fe in Cielo altro reame
La divina giuftizia fa fuo fpecchio,
Che'1 voftro non l'apprende con velame.
Sapete, come attento io m'apparecchio
Ad afcoltar: fapete quale è quello
Dubbio, che m' è digiun cotanto vecchio.
Quali falcone, ch'efce di cappello,
Muove la tefta, e con l'ale s'applaude,
Voglia moftrando, e facendofi bello;
Vid'io farfi quel fegno, che di laude
Della divina grazia era contefto,
Con canti, quai fi fa chi lafsù gaude.
2jo DEL PARADISO
Poi cominciò : Colui , che volfe il fèfto
Allo ftremo del Mondo, e dentro ad eflb
Diftinfe unto occulto e manifefto,
Non potco fuo valor sì fare impreDTo
In tutto l'Univerfo, che'1 fuo Verbo
Non rimanerle in infinito ecceflo.
E ciò fa certo, che'l primo fuperbo,
Che fu la fomma d'ogni creatura ,
Per non afpettar lume, cadde acerbo.
£ quinci appar, ch'ogni minor natura
È corto recettacolo a quel bene,
Che non ha fine, e sè in sè mifura.
Dunque noftra veduta, che conviene
Effere alcun de' raggi della mente.
Di che tutte le cofe fon ripiene ;
Non può di fua natura effer ponente
Tanto, che fuo principio non difcerna
Molto di là da quel, ch'egli è, parvente:
Però nella giuflizia fempiterna
La vifta , che riceve il voftro Mondo ,
Com' occhio per lo mare, entro s'interna;
Che benchè dalla proda veggia il fondo,
In pelago noi vede; e nondimeno
Egli è , ma cela lui l' effer profondo .
Lume non è, fe non vien dal feteno,
Che non (ì turba mai, anzi è tenèbra,
Od ombra della carne, o fuo veneno.
CANTO XIX. 131
Affai t'è mo aperta la latèbra,
Che t' afcondeva la giuftizia viva ,
Di che facci quiftion cotanto crebra:
Che tu dicevi : Un'uom nafte alla riva
Dell'Indo, e quivi non è chi ragioni
Di Crifto , nè chi legga , nè chi feriva :
E tutti fuoi voleri e atti buoni
Sono , quanto ragione umana" vede,
Sanza peccato in vita , od in fermoni .
Muore non battezzato e fenza Fede :
Ov'è quella giuftizia, che il condanna?
(V è la colpa fua , fed ei non crede ?
Or tu chi fe', che vuoi federe a fcranna,
Per giudicar da lungi mille miglia
Con la veduta corta "d'una fpanna?
Certo a colui, che meco s' affottiglia ,
Se la Scrittura fovra voi non folTc ,
Da dubitar farebbe a maraviglia .
O terreni animali, o menti groffe,
La prima volentà, ch' è per fe buona,
Da fe, ch' è fommo ben., mai non fi moffe.
Cotanto è giufto, quanto a lei confuona:
Nuìlo creato bene a fe la tira,
Ma e(la, radiando, lui cagiona.
Quale fovr'effo'l nido fi rigira,
Poi che ha pafciuto la cicogna i figli,
E come quei, eh' è pafto, la rimira;
23 2 DEL PARADISO
Cotti fi fece, e sì levai li cigli.
La benedetta immagine , che l'ali
Movca fofpinta da tanti configli ,
Roteando cantava, e dicea : Quali
Son le mie note a te, che non le 'ntendi ,
Tal' è il giudicio eterno a voi mortali.
Poi feguitaron quei lucent' incendi
Dello Spirito Santo ancor nel fegno,
Che fe' i Romani al Mondo reverendi .
Effo ricominciò : A quefto regno
Non fall mai chi non credette in Crifto
Nè pria, nè poi che'1 fi chiavaffe al legno.
Ma vedi, molti gridan Crifto Crifto,
Che faranno in giudicio affai men propt
A lui , che tal , che non conobbe Crifto .
E tai Criftian dannerà 1' Etiòpe,
Quando fi partiranno i duo collegi,
L'uno in eterno ricco, e l'altro inòpe.
Che potran dir li Perfi a i voftri Regi ,
Com' e' vedranno quel volume aperto ,
Nel qual fi fcrivon tutti fuoi difpregi?
Lì fi vedrà tra l'opere d'Alberto
Quella , che tofto moverà la penna ,
Perchè '1 regno di Praga fia deferto .
Lì fi vedrà il duol , che fopra Senna
Induce, falfeggiando la moneta,
Quei, che morrà di colpo di cotenna."
CANTO XIX. 133
Lì fi vedrà la fuperbia, ch'afleta,
Che fa lo Scotto, e l' Inghilefe folle , '
Si che non può foffrir dentro a fua meta.
Vedraffi la lufluria , e 'l viver molle
Di quel di Spagna, o di quel di Bucmme,
Che mai valor non conobbe, nè volle.
Vedraffi al Ciotto di Gerufuicmme
Segnata con un' I la fua bontate ,
Quando '1 contrario fegnerà un' emme .
Vedraffi l'avarizia, e la viltate
Di quel, che guarda l'ifola del fuoco,
Dove Anchife finì la lunga etate:
E a dare ad intender quanto è poco;
La fua fcrittura fien lettere mozze,
Che noteranno molto in parvo loco.
E parranno a ciafcun l'opere fozze
Del Barba, e del Fratel, che tanto egregia
Nazione , e duo corone han fatto bozze .
E quel di Portogallo, e di Norvegia
Li fi csnofccranno, e quel di Rafcia,. -
Che male aggiuftò'1 conio di VinegU.
O beata Ungheria, fe non fi lafcia
Più malmenarel e beata Navarca,
Se s' armaffe del monte, che la fafciat
E creder dee ciafcun, che già per arra
Di quefto Nicosla, e Famagofta
Per la lor beftia fi lamenti e gar-ra,
Che dal fianco dell' altie non fi fcofl* .
234 BEL PARADISO

C A NJT O VENTESIMO.

ARGOMENTO.
»
Pengato a Dante moftrate le anime di alcuni
giujliflìaii Re, cV erano in quella augufta im
magine del? Aquila; ed ammirando il Poeta,
come. ivi fo/sro due personaggi , eh' egli fi cre
deva effere ftati Pagani , gli viene fpiegatn ,
come ambedue morti erano credendo in Cesti
Crifto .

colui , che. tutto '1 Mondo alluma ,


.Dell'emifperio noftro fi difcende ,
E '1 giorno d' ogni parte fi confuma ,
Lo Ciel , che fol di lui prima s' accende ,
Subitamente fi rifa parvente
Per molte luci , in che una rifplende .
E quefto «tto del Ciel mi venne a mente,
Come '1 fegno del Mondo, e de' fuoi duci
Nel benedetto toftro fu tacente:
Però che tutte quelle vive luci
Vie più Incendo cominciaron canti
Da mia memoria labili e caduci.
CANTO XX. 235
O dolce Amor, che di tifo t'ammanti,'. -•'
Quanto parevi ardente in que' favilli , ; i
Ch'aveano fpirto fol di penfier fantil
Pofcia che i cari e lucidi lapilli , 'i
Ond'io vidi 'agemmato il fcffo lumi,
l'ofer Glenzio agli angelici fquilli,
Udir mi parve un mormorar di fiume,
Che fcende chiaro già di pietra in pietra ,
Moftrando l'ubertà del fuo cacume.
E come fuono al collo della cetra
Prende fua forma , e sì come al pertugio
Della fampogna vento, che penetra;
Così rimoffo d' afpettare indugio
Quel mormorar dell'Aquila faliffi
Su per lo collo , come foffe bugio .
Fecefi voce quivi, e quindi ufciffi
Per lo fuo becco in forma di parole,
Quali afpettava'l core, ov'io le fcrifD.
La parte in me, che vede, e pate il Sole
Nell'aguglie mortali, incomindommi,
Or fifameme riguardar fi vuole :
Perchè de' fuochi, ond'io figura fommi,
'Quelli, onde l'occhio in tefta mi fcintilla,
Di tutt'i loro gradi fon li fommi.
Colui , che luce in mezzo per pupilla ,
Fu il cantor dello Spirito Santo ,
Che l'arca trattatò di vilia in villa :
ij6 DEL PARADISO
Ora conofce'l meno del fuo canto,
In quanto affetto fu del fuo con figlio ,
Per lo remunerar, ch' è altrettanto .
De' cinque, che mi fan cerchio per ciglio,
Colui, che più al becco mi s' accofta,
La vedovella confolò del figlio :
Ora conofcc quanto caro cofta
Non feguir Crifto, per Fefperienza
Di quefta dolce vita , e dell' oppofta .
E quel, che fegue in la circonferenza,
Di che ragiono , per I' arco fttperno,
Morte indugiò per vera penitenza :
Ora conofce che '1 giudicio eterno
Non fi trafmuta, perchè degno preco
Fa craftino laggiù dell' odierno .
L' altro , che fegue, con le leggi e meco
Sotto buona 'ntenzion , die fe' mal fruttOj
Per cedere al paftor fi fece Greco :
Ora conofce come'1 mal dedutto '••
Dal fuo bene operar non gli è nocivo,
Avvegua che Ca'l Mondo indi diftrutto.
E quel , che vedi nell'arco declivo,
Ouiglieltno fu , cui quella terra plora ,
Che piange Carlo e Federigo vivo :
Ora conofce come s'innamora
Lo CieJ dol giufto regs, ed al fembiante
Del fuo fulgore il fa vedere ancora .
. CANTO XX, 237
Chi crederebbe giù nel Mondo errante,
Che Rifèo Trojano in quefto tondo
Fofle la quinta delle luci fante?
Ora conofce affai di quel , che '1 Mondo
Veder non può della divina grazia ;
Benchè fua vifta non difcerna il fondo.
Qual lodoletta, che 'n aere fi fpazia
Prima cantando, e poi tace contenta
Dell' ultima dolcezza , che la fazia ;
Tal mi fembiò l' imago della 'mprenta
Dell' eterno piacere, al cui difio
Ciafcuna cofa, quale eli' è, diventa.
E avyegna ch'io foffi al dubbiar mio
Li, quafi vetro allo color, che'l vede;
Tempo afpettar tacendo non patio :
Ma della bocca : Che cofe fon quefte?
Mi pinfc con la forza del fuo pefo :
Perch'io di corrufcar vidi gran fette.
Poi appreffo con l'occhio più accefo
Lo benedetto fegno mi rifpofe ,
Per non tenermi in ammirar fofpefo :
. Io veggio , che tu credi quefte cofe ,
Perch' io le dico , ma non vedi" come :
Sì che fe fon credute , fono afcofe.
Fai come quei , che la cofa per nome
Apprende ben; ma 1a fua quiditate
Veder non puote, s'altri non la prome .
23 8 DEL PARADISO
Regimai colorimi vjojenzia pate
Dal caldo amore, e da viva fperanza,
Che vince la divina volontate ;
Non a guifa che '1 uomo aU'uom fovranza;
Ma vince lei , perchè vuole effer vinta :
E vinta vince con fua beninanza.
La prima vita del ciglio e la quinta
Ti fa maravigliar , perchè ne vedi
La region degli Angeli dipinta .
De' corpi fuoi non ufcir, come credi,
Gentili , ma Criftiani in ferma Fede,
Quel de' pafluri, e quel de' paffi piedi:
Che l'una dallo'nferno, u'non fi riede
Giammai a buon voler, tornò all'offa,
E ciò di viva fpeme fu mercede;
Di viva fpeme, che rnife fua poffa
1NV prieghi fatti a Dio per fufcitarla ,
Si che poteffe fua voglia effer mofla.
L' anima gloriofa , onde fi parla ,
Tornata nella carne, in che fu poco,
Credette in lui , che poteva ajutarla :
E credendo s'accefe in tanto fuoco
Di .vero amor , ch' alla morte feconda
Fu degna di venire a quefto giucco .
L'altra per grazia, che da sì profonda
Fontana ftilla, che mai creatura
Non pinfe l'occhio influo alla prim'onda,
CANTO XX. 239
Tutto fuo amor laggiù pofe a drittura :
Perchè di' grazia in grazia Dio gli aperfe
L' occhio alla noftra redenzion futura :
Onde credette in quella, e non fofferfe
Da indi '1 puzzo più del paganefmo,
• E riprendeane le genti perverfe. •*
Quelle tre donne gli fur per battefmo ,
Che tu vedefti dalla deftra ruota,
• Dinanzi: al battezzar più d'.un milleimo..
O predeftinazion , quanto- rimota
È la radice tua da quegli afpetti,
Che la prima cagion non veggiou total
E voi mortali tenetevi ftretti
A giudicar : che noi , che Dio vedemo ,
Non concitiamo ancor tutti gli eletti :
Ed enne dolce così; fatto fcemo :
Perchè'! ben noftro in quefto èen s'affina :
Che quel, che vuole Dio, e noi volemo.
Così da. quella immagine divina ,
Per farmi chiara la mia corta vifta ,
Bata mi fu foave medicina .
E come a buon cantor.buon citarifta
Fa feguitar ìo guizzo della corda ,
In che più di piacer lo canto acquifta ;
Sì mentre che parlò, mi fi ricorda,
Ch'io vidi le duo luci benedette-,
Pur come batter d'occhi fi concorda,
Con le parole muover le ìiammcuc.
-240 DEL PARADISO

C A'N TO V BNT.E S IM OPR IMO.

ARGOMENTO.
- I "» - •- j
Dante fale con BtUnice iit Setumo, dvte tran/>
i Contemplanti, ti in quello vede una fcali
altijima , i fopra eja fctiidtr' infinito numero H
Stati; inifi il Pìteta Jì fa a parlar con S. Fil
tra Dannano, '-ìì guiile dòpo aver i-ifpojlo ni
alcuni fue iitttirogasiimi gii racconta -hi (gli
fi fife; e l' iftifuto della fua vit

vTIà eran gli occhi -iniei riflffi al volto


' DelLr mif donna , -e l'animo con effi,
- E da ogni altro intento s' era tolto :
Ed ella no» ridea : ma, S'io rideffi,
Mi cominciò , tu ti' farefti quale
Semele fu , quando di cener fefli :
Che la bellezza mia ,- che per le fcale
Dell'eterno palazzo più s'accende,
Corn' hai veduto, quanto più fi fale,
Se non fi temperane, tanto fplende,
Che '1 tuo mortai podere al fuo fulgore
Parrebbe fronda, che trono fcofcende.

Noi
CANTO XXI. 241
Noi fem levati al fettiroo fplendore,
Che folto '1 petto del Lione ardente
Raggia mo mifto giù del fuo valore.
ficca dirietro agli ocelii tuoi la mente,
E fa di quegli fpecchio alla figura ,
Che 'n quefto fpecchio ti farà parvente .
Qual faveffe qual' era la paftura
Del vifo mio nell'afpetto beato,
Quand'io mi trafmutai ad nltra cura,
Conofc crebbe quanto m'era a grato
Ubbidire alla mia celefte fcorta,
Contrappelando l'un con l'altro lato.
Dentro al criftallo , che "1 vocabol porta,
Cerchiando '1 Mondo, del fuo caro duce ,
Sotto cui giacque ogni malizia morta,
Di color d'oro, in che raggio traluce,
Vid' io uno fcalèo eretto in fufo
Tanto , che noi feguiva la mia luce .
Vidi anche per li gradi fcender giufo
Tanti fplendor, ch'iopenfai, ch'ogni lume,
Che par nel Ciel, quindi fofle diffufo.
E come per lo naturai coitume
Le pole inficme al cominciai del giorno
Si muovono a fcaldar le fredde piume ;
Poi altre vanno via.fenza ritorno ,
Altre rivolgon fe, onde fon moffe,
B altre roteando fan foggiorno ;

Dante, Tomo li. L


24z DEL PARADISO
Tal modo parve a me, che quivi foffe
In quello sfavillar, che'nfieme veane,
Sì come iti certo grado fi percoffe :
E quel, che preflo più ci fi ritenne,
Si fe' sì chiaro, ch'io dicea penfando;
Io veggio ben l'amor che tu m'accenne.
Ma quella, ond'io afpetto il come, e'1 quando
Del dire e del tacer , fi fta; ond'io
Centra '1 difio fo ben, ch'io non dimando.
Perch' ella , che vedeva il tacer mio
Nel veder di colui , che tutto vede ,
Mi difle : Scivi il tuo caldo difio.
Ed io incominciai : La mia mercede
Non mi fa degno della tua rifpofta,
Ma per colei.. che'1 chieder mi concede:
Vita beata , che ti ftai nafcofta
Dentro alla tua letizia , fammi nota
- La cagion, che sì preffo mi t' accofta;
E dì perchè fi tace in quefta ruota
La dolce finfbnia di Paradifo,
Che giù per l' altre fuona sì devota.
Tu hai l'udir mortai, si come'1 vifo ,
Rifpofe a m* : però qui non fi canta
Per quel, che Beatrice non Jia rifo.
Giù per li gradi della fcala fanta
Difcefi tanto fol per farti fefta
Col dire, e con la luce, che m'ammanta:
CANTO XXI. 245
Nè più amor mi Fece effer più prefta :
Che più e tanto amor quinci fu ferve,
Sì come'1 fiammeggiar ti manifefta.
Ma T alta carità , che ci fa ferve
Pronte al configlio, che'1 Mondo governa,
Sorteggia qui, sì come tu offerve.
Io veggio ben, difs'io, facra lucerna,
Come libero amore in quefta Corte
Batta a feguir la previdenza eterna .
Ma queft'è quel, ch' a cerner mi par forte;
Perchè predeftinata fofti fola
A quefto ufìcio tra le tue conforte.
Non venni prima all'ultima parola,
Che del fuo mezzo rece il lume centro
Girando fe come veloce mola.
Poi rifpofe l' amor , che v' era dentro :
Luce divina fovra me s' appunta ,
Penetrando per quefta, ond'io m'inventro;
La cui virtù col mio veder congiunta
Mi leva fovra me tanto , ch' io veggio
La fumma EiTenzia , della quale è munta .
Quinci vien l' allegrezza , ond'io fiammeggio,
Perchè alla vifta mia, quant'ella è chiara,
La chiarità della fiamma pareggio.
Ma quell'alma nel Ciel, che più fi fchiara,
Quel Serafin , che'n Dio più l' occhio ha fiffo,
Alla dimanda tua non foddisfara :

L a
144 DEL PARADISO
Perocchè sì s' innoltra nell' abiflb
Dell'eterno ftatuto quel, che chiedi,
Che da ogni creata vifta è fcifib.
E al Mondo mortai quando tu riedi,
Quefto rapporta , sì che non prefumma
A tanto fegno più muover li piedi .
La mente, che qui luce, in terra fumma:
Onde riguarda come può laggiùe
Quel, che non puote, perchè '1 Cieli' allumina.
Sì mi prefcriffer le parole fue;
Ch'io lafciai la quiliione, e mi ritraili
A dimandark umilmente chi tue.
Tra duo liti d' Italia furgon faffi,
E non molto diftanti alla tua patria,
Tanto che l tuoni affai fuonan più baffi:
E fanno un gibbo,.che fi chiama Catria,
Difetto al quale è confettato un'ermo,
Che fuol' effer difpofto a fola latria .
Cosi ricominciommi '1 terzo fermo ;
E poi continuando diffe: Quivi
Al fervigio di Dio mi fei sì fermo,
Che pur con cibi di liquor d' ulivi
Lievemente paflava caldi e gieli,
Contento ne'penfier contemplativi.
Render Iblea quel chioftro a quefti Cicli
Fernlemente : ed ora è fatto vano,
Sì che tofto convien , che fi riveli.
CANTO XXI. 145
In quel loco fu' io Pier
E Pietro peccator fui nella cafa
Di Noftra Donna in fui lito Adriano.
l'oca vita mortai m'era rimafa,
Quand' io fu' chiefto , e tratto a quel cappello ,
Che pur di male in peggio fi travafa.
Venne Cephas, e venne il gian vafello
Dello Spirito Santo, magri e fcalzi
Prendendo '1 cibo di qualunque oftello:
Or vogfion quinci e quindi chi rincalzi
Gli moderni pafluti, e chi gli meni,
Tanto fon gravi, e chi dirietro gli alzi.
Cuopron de' manti lor gli palafreni,
Sì che duo beftie van fott'una pelle:
O pazienzia , che tanto foftieni !
A quefta voce vid' io più fiammelle
Di grado in grado fccndere e girarli :
Ed ogni giro le facca più belle.
Dintorno a quefta vennero , e fcrmarfi ,
E fero un grido di sì alto fuono,
Che non potrebbe qui affomigHarG :
Nè io lo 'ntefi , sì mi vinfe il tuono .
246 DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOSECONDO.

ARGOMENTO..

5, Benedetta parìa al Poeta, e gli dice, ch'egli


ayea portato il nome di Gesti Crifto fui monn
Caffini ,~ altre ài ciò gli da contezza di alcuni
altri Beati y che ivi erano .. Poi Dante col!a
fua guida fale alt ottava sfera nel fcgno £
Gemini , mie Ji rivaifé a riguardar' i fette
Pianeti inferiori , ed il globo terre]}re .

vyppreffo di ftupore alla mia guid*


Mi volfi come parvol , che ricorre
Sempre colà, dove più fi confida:
E quella, come madre, che foccorre
Subito al figlio pallido ed anelo
Con la fua voce, che'1 fuol ben difporre,
Mi dille : Non fa' tu, che tu fe'n Cielo,
E non fa' tu, che'1 Cielo è tutto fanto,
E ciò , che ci li fa, vien da buon zelo?
Come t'avrebbe trafmutato il canto,
(Ed io ridendo, mo penfar lo puoi;)
Pofcia che 'i grido t'ha. moffo cotanto?
CANTO XXII. 247
Nel qual fe 'ntefo aveffi i prieghi fuoi ,
Già ti farebbe nota la vendetta,
La qual vedrai innanzi che tu mnci.
La fpada di quafsù non taglia in fretta ,
Ne tardo, mache al parer di colui,
Che defiando, o temendo l'afpetta.
Ma rivolgiti omai inverfo altrui:
Ch' affai illuftri fpiriti vedrai ,
Se, COTO'ÌO dico, h vifta tidui.
Com' a lei piacque, gli occhi dirizzai,
E vidi cento fperule , che 'nfieme
Pii» s'abbellivan con mutui rai.
Io flava come quei , che 'n fe ripreme
La punta del difio, e non s'attenta
Del dimandar, sì del troppo fi teme."
E la maggiore, e la più luculenta
' Di quelle margherite innanzi felli,
Per far di fe la mia voglia contenta:
Poi dentro a lei udi' : Se tu vedeffi,
Com' io, la carità, che tra noi arde,
Li tuoi concetti farebbero efpreffi:
Ma perchè tu' afpettando non tarde
AH' alto fine , io ti farò rifpofta
Pure al penfier, di che sì ti riguarde .
Quel' monte a cui Caffino è nella cofta,
Fu frequentato già in fu la cima
Balla gente ingannatale mal difpofta :
24» DEL PARADISO
Ed io fon quel , che fu vi portai prima
Lo nome di colui , che 'n terra adduSc
La verità, che tanto ci fabiana:
E tanta grazia fovra me riluffe ,
Ch'io ritraffi le ville circonftanti
Dall'empio colto, che'l Mondo feduffe.
Qucfti altri fuochi tutti contemplanti
Uomini furo accetì di quel caldo,
Che fa nafcere i fiori e i frutti fanti.
Qui è Maccario : qui è Romoaldo t
Qui fon li frati miei , che dentro a' chioftri
Fermar li piedi, e tennero '1 cor faldo.
Ed io a lui : L' affetto , che dimoftri
Meco parlando, e la buona fembianza,
Ch'io veggio, e noto in tutti gli ardor voilri,
Così m'ha dilatata mia fidanza,
Come'1 Sol fa la rofa , quando apena
Tanto divien, quant'ella ha di pofiimza.
Però ti prego, e tu, padre, m'accerta,
S'io pollb prender tanta grazia, ch'io
Ti veggia con immagine fcoverta.
Ond'egli: Frate, il tuo alto ditto
S'adempierà in fu l' ultima fpera,
Ove s'adempion tutti gli altri, e'1 mio.
Ivi è perfetta matura ed intera
Ciafcuna difianza: in quella fola
£ ogni parte là , dove fempt' era ;
CANTO XXII. z4?
Perchè non è in luogo, e non s' impela:
E noftn fcala infino ad efia varca:
Onde così dal vifo ti s'invola. - .
Infin lafsù la vidi il Patriarca
Jacob ifporger la fuperna parte,
Quando gli apparve d'Angeli sì carca .
Ma per falirla mo neffun diparte .
Da terra i piedi: e la regola mia
Rimafa è giù per danno delle carte.
Le mura, che folcano effer badia,
Fatte fono fpelonche, e le cocolle
Sacca fon piene di farina ria.
Ma grave ufura tanto non fi tolle
Contra'1 piacer di Dio, quanto quel frutto
Che fa il cor de' monaci sì folle :
Che quantunque la CUiefa guarda, tutto
È della gente, che per Dio dimanda,
Nè di parente, nè d'altro più brutto.
La carne de' mortali è tanto blanda ,
Che giù non bafta buon cominciamento
Dal nafccr della quercia al far la ghianda.
Pier cominciò fanz'oro e fanza argento,
Ed io con orazione e con digiuno,
E Francefco umilmente il fuo convento .
E fe guardi al principio di ciafcuno ,
Pofcia riguardi là, dov'è trafcorfo,
Tu vejcrai 4«1 bianco fatto bruno .

L5
2$o DEL PARADISO
Veramente Giordan volto è retrorfo ::
Più fu il mar fuggir, quando Dio volfc,
Mirabile a veder , che qui il foccorfo .
Così mi ditfe, e indi fi rieolfe
Al fuo collegio , e '1 collegio fi ftrinfe :
Poi come turbo. in fu tutto s' accolfe .
La dolce donna dietro a lor mi pinfe
Con un fol cenno fu per quella fcala :
Sì fu* virtù la mia natura vinfe :
Nè mai quaggiù , dove fi monta. e cala ,
Naturai mente fu sì ratto moto,
di' agguagliar fi poteffe aìla mia ala .
S'io tomi. mai, Lettore, a quel devoto
Trionfo, per lo quale io piango fpeffo
Le mie peccata , e '1 petto mi percuoto ;
Tu non avrefti in tanto. tratto- e me(To>
Nel fuoco il dito , in quanto ia vidi '1 fegao,
Che fegue'l Tauro, e fui dentro da effo.
O gloriofe- ftelle , o lume pregno •
Di gran Virtù , dal quale io riconofco
Tutto (qual che fi fia) il mio ingegno;
Con voi nafceva, e s'afcondèva vofeo
Quegli r chrè padre d'ogni mortai vita,
Qitand' io- fènti' da pjirnj^ l'-ael- Tofco :
E poi quando mi fu- grazia largii*
D' entrar nell'alta. ruota, clic vi gira ,
La voto region mi fu- fòctM..',:''
CANTO XXII. 251
A voi devotamente ora fofpira
L'anima mia , per acquiftar vii-tute
Al paffo forte , che a fe la tira .
Tu fe' sì preflo all'ultima falute ,
Cominciò Beatrice, che tu dei
Aver le luci tue chiare e acute :
E però prima che tu pia t'tnlei ,
Rimira in giufo, e vedi quanto Mondo-
Sotto li piedi già effer ti fei :
Sì che'1 tuo cor, quantunque piife, giocondo
S' apprefenti alla turba trionfante ,
Che lieta vien per quefto etera tondo .
Col vifo ritornai per tutte quante
Le fette fperer, e vidi quefto globo
Tal , ch' io fornfi del fuo vii fembiante :
E quel configlio per migliore approbo,
Che l'ha per meno : e chi ad altro penfa
Chiamar fi puote veramente probo .
Vidi la figlia di Latona incenfa
Senza quell'ombra, che mi fu cagione,
Perchè già la credetti rara e denfa .
L' afpetto del tuo nato , Iperione ,
Quivi foftenni, e vidi com' fi muove
Circa, e vicino a lui Maja e Dione.
Quindi m' apparve il temperar di Giove
Tra '1 padre e '1 figlio : e quindi mi fu chiaro-
Ili variar , che fanno di lor dove :
2<;2 DEL PARADISO
E tutti e fette mi fi dimoftraro
Quanto fon grandi, e quanto fou veloci,
E come fono in dittante riparo.
L' ajuola , che ci fa tanto feroci ,
Volgendomi con gli eterni Gemelli,
Tutta m'apparve da' colli alle foci:
Pofcia. rivolli gli ocelii agli occhi belli.
CANTO VENTESIMOTERZO.

ARGOMENTO.

Racconta il Poeta , come. vide Gesù. Grillo a gai-


fa di Sole rifplendtrt e radiar fopra i Beati ,
e die di poi oflervò Maria Vergine -, fopra la
quale fcefe un Angelo , che £ intorno a ìn
f aggirava cantando con foavijjìmti melodia ,
dopo di che effe leyojt in. alto , ed. i Stati canr
tanna laude .

V^Ome F augello intra. 1' amate fronde


Pofato al nido de'fuoi dolci nati
La notte , che le cofe ci- nafconde ,
Che per veder gli afpetti defiati,
E per trovar lo cibo , onde gli pafca,
In che L gravi labor gli fono aggrati,
Previene '1 tempo^in fu l'aperta ftafca ,
E con ardente affetto il Sole afpetta ,
Fifo guardando, pur che 1" alba nafca ;'
Così la donna mia fi ftava eretta,
E attenta rivolta in ver la plaga,
Sotto U quale il Sol moftra men fretta.:
PARADISO
SI che veggendola io fofpefa e vaga ,
Fccimi quale è .quei , che difiand»
Altro vorria , e fperando s' appaga .
Ma poco fu tra uno ed altro quando ;
Del mio attender, dico, e del vedere
Lo Ciel venir più e più rifchiarando .
E Beatrice diffe : Ecco le ferriere
Del trionfo di Crifto, e tutto'! frutt*
Ricolto del girar di quefle fpere .
?areamf, che'1 fuo vifo ardeffe tutto:
E gli occhi avea di letizia sì pieni ,
Che paffar mi convien lenza coftrutto.
Quale ne' plenilunii. fereni.
Trivia ride- tra le ninfe eterne ,
Che dipingono'l Cfel per tutti i feni j
Vid'io fopra migliaja di lucerne
Un Sol , che tutte- quante l' accendea ,
Come fa '1 noftro 1e vifte fuperne :
E per la yiva luce trafparea
La lucente fuftanzia tanto chiara
Nel vifo mio, che non la foftenea»
O Beatrice dolce guida e cara l
"Ella mi diffe : Quel, che ti fobranza,.
È virtù ,. da cui nulla fi ripara .
Quivi è lafapienza, e la poiTanza,
Ch' sprl le ftrade tra '1 Cielo e la Terra,
Onde fu già sì lunga difianza...
CANTO XXIIL
Come fuoco di nube fi tfifferra
Per dilatarli, sì che non vi cape,
E fuot di fan natura in giù s' atterra ;
Così la mente mia. tra quelle dape
Fatta più grande di fe ftcffa nfcìo,
E che fi feffe, rimembrar non fape.
Apri gli occhi , e riguarda qua! fon' io :
Tu hai vedute- cofe, che poffente
Se' fatto. a foftener lo rifo> mio .
Io era come quei, che fi rifente
Di vifione obblita, e che s'ingegna
Indarno di riducerlafi a mente,
Quando io. udi' queft» profferta degna
Di tanto grado, che. mai non fi ftingue-
Det libro , eh '1 preterito raffegna .
Se mo fonaffer tutte quelle lingue ,.
Che Polinnia con le fuore fero
Del latte lor dolciffimo più pingue,
Per ajutarmi, almillefmo del vero
Non fi verria cantando '1 fanto rifo,
E quanto'l fanto afpetto facea merov
E così figurandoci Paradifo-
Convian fallar lo. fàgrata poema ,
Come chi truova fua cammin recifo .
Ma chi penfaffe il ponderofo tema ,.
E L'omero mortai, che fe ne carca,
Noi biafmerebbe,' fc. fott'eflo. tremai».
DEL PARADISO
Non è pofeggio da picciola barca
Quel, che fendendo va l'ardua prora,
Ne da nocchicr , di' a fe medefmo parca .
Perchè la faccia mia sì t'innamora,
Che tu non ti 'rivolgi al bel giardino ,
Che folto i raggi di Criilo s'infiora?
Quivi è la rofa , in che '1 Verbo Divino
Carne fi fece : quivi fon gli gigli ,
Al cui odor fi prefe'l buon cammino.
Così Beatrice: ed io, ch'a'fuoi configli
Tutto era pronto , ancora mi rendei
Alla battaglia de' debili cigli.
Come a raggio di Sol, che puro mei
Per fratta nube , già prato di fiori
Vider coperti d'umbra gli occhi miei?
Vid' io così più turbe di fplendori
Fulgurati di fu di raggi ardenti,
Sanza veder principio di fulgori .
O benigna virtù, che sì gl'imprend,
Su t'efaltafti per largirmi loco
Agli occhi lì, che non eran poffenti..
Il nome del bel flor, eh' io fempre invoco
E mane e fera, e tutto mi riftrinfe
L'animo ad avvifar lo maggior foco»
E com' ambo le luci mi dipinfe
Iì quale e'1 quanto della viva ftella,.
Che lafiii vince, come Quaggiù vinfei
CANTO XXIII. 257
?erentro'l Cielo fcefe una facella
Formata in cerchio a guifa di corona-,
E cinfela, e gi rolli intorno ad ella.
Qualunque melodia più dolce fuona
Quaggiù , e più a fe l'anima tira,
Parrebbe nube, che fquarciata tuona,
Comparata al fonar di quella lira,
Onde fi coronava il bel zaffiro,
Del quale il Ciel più chiaro s' inzaffira .
Io fono amore angelico , che giro
L'alta letizia, che fpira del ventre,
Che fu albergo del noftro difiro:
E girerommi, Donna del Ciel, mentre
Che feguirai tuo Figlio , e farai dia
Più la fpera fuprema, perchè lì entre.
Così la circulata melodia
Si figillava, e tutti gli altri lupi
Facèa fonar lo nome di Maria .
Lo rcal majito di tutti i volumi
Del Mondo, che più ferve, e più s'avvìv*,
Nell'alito di Dio e ne'coftumi,
Avea fòvra di noi l'interna riva
Tanto dittante, che la fua parvenza
Là . dov' i'era, ancor non m'apparivi»:
Però non ebbcr gli occhi miei potenza
Di feguitar la coronata fiamma ,
Che fi levò appi-elio fua femeaza..
?5S DEL PARADISO
E come fantolin, che'nver la mamma
Tende le braccia, poi che 'I latte prefe,
Per l'animo, che 'n fin di fuor s'infiamma,
Ciafcun di quei carnieri in fu fi ftefe
Con la fua cima, sì che l'alto affetto,
Ch'egli aveano a Maria, mi fu palefe .
Indi rimafer lì nel mio cofpetto ,
Regina Cali cantando sì dolce,
Che mai da me non fi partì '1 diletto .
Oh quanta è l' ubertà,. che fi foffolce
In quell'arche ricchiflhne, che foro
A feminar quaggiù buone bobolce-l
Quivi fi vive, e go'.e del teforo,
Che s'acquiftò piangendo nell'elio
Di Babilonia, ove fi lafciò l'oro.
Quivi trionfa fotto l'alto Filio
Di Dio e- di Maria di fua vittoria
E con l'antico e col nuovo concili»
i, che tien le chiavi di tal gloria.
25!»

CANTO VENTESIMQQUARTO.

ARGOMENTO-

Beatrice dopo ff aver' invocato- a favai- Sei Patta


il Collegio Jpojlolico, prega S. Pietro ad efs-
minarlo intorno la vinte fella Fede , fopra di
che il grande Apoftolo propane a JÌMte varj
quefiti, a' quali avendo fatta rifpofta, il Santo
lo benedice , ed. approvò la fuu Fedi »

O Sodalizio eletto alla- gratr Cena


Del benedetto Agnello, il qua! vi ciba
SI, che la voftra voglia è fempre piena;
Se- per grazie di Dio quefli preliba-
Di quel , che cade della voftra menfa ,
Anzi che Morte tempo gli prefcriba,
Ponete mente alla fua voglia immenfa,
E rotatelo alquanto : voi bevete
Sempre del fonte, onde vien quel , eh* ei penf*<.
Cosi Beatrice r e quelle anime liete
Si fero fpere fopra fiffi poli ,
rummando forte a guifa di comete, .
itfo DEL PARADISO
E come cerchi in tempra d'oriuoli
Si giran sì , che '1 primo a chi pon mente
Quieto pare, e l'ultimo che voli;
Così quelle carole differente
mente danzando della fua ricchezza
Mi fi facean ftimar veloci e lente.
Di quella., ch'io notai di più bellezza,
Vid'io ufdre uri fuoco sì felice ,
Che nullo vi lafciò di più chiarezza;
E tre fiate intorno di Beatrice
Si volfe con un canto tanto divo,
Che la mia fantafia noi mi ridice:
Però falta la penna , e non Io ferivo r
Che l'immaginar noftro a colai pieghe,
Won che'1 parlare, è troppo color.vivo.
O fanta fuora mia, che sì ne preghe
Devota per lo tuo ardente affetto,
Da quella bella fpera mi disleghe :
Pofcia fermato il fiioco benedetio
Alla mia donna dirizzò lo ipiro, ;
Che favellò così, coro' io ho detta,
Ed ella : O luce eterna del gran viro,
A cui Noftro Signor lafciò le chiavi,
Ch' ei portò giù di quefto gaudio miro,
Tenta coftili de' punti lievi e gravi,
Come ti piace, intorno della
Per la'quaj tu fu per lo mar?
CANTO XXIV. 261
S'egli ama bene, e bene fpera, e crede ,
Non t' è occulto, perchè '1 vifo hai quivi,
Ov' ogni cofa dipinta fi vede .
Ma perchè quefto regno ha fatto civi
Per la verace Fede a gloriarla,
Di lei parlare è buon ch' a lui arrivi .
Si come il baccellier s' arma , e non parla
Fin che'1 maeftro la quiftion propone,
Per approvarla , non per terminarla ;
Così m'armava io d'ogni ragione,
Mentre ch'ella dicea, per efier prefto
A tal querente, e a tal profeffione .
Dì buon Criftiano : fatti manifefto :
Fede che è? ond'io levai la fronte
In quella luce , onde fpirava quefto.
Poi mi volfi a Beatrice : « quella pronte
Sembianze femmi, perchè io fpandefii
L' acqua di Cuor del mio interno fonte .
La grazia, che mi da, ch'io mi confeffi,
Comincia' io , dall'alto primipilo,
Faccia li miei concetti efiere efprefiì :
E feguitai : Come '1 verace ftilo
Ne fcriffe , padre , del tuo caro frate ,
Che mife Roma teco nel buon filo ,
Fede è fuftanzia di cofe fperate,
E antìimcnto delle non parventi :
E quefta pare a me fua quiditade.
a6a DEL PARADISO
Allora udi': Dirittamente fenti,
Se bene intendi, perchè la ripofe
Tra le fuftanze , e poi tra gli argomenti .
Ed io appreflo : Le profonde cofc ,
Che mi largifcon qui la lor parvenza,
Agli occhi di laggiù fon sì nafcofe,
Che l' cffer lor v' è in fola credenza .
Sovra la qual fi fonda l'alta fpène:
E però di fuftanzia prende intenza :
E da quefta credenza ci conviene
Sillogizzar fenza avere altra vifta :
Però intenza d'argomento tiene.
Allora udi' : Se quantunque s' acquifta
Giù per dottrina foffe così intefo,
Non v'avria luogo ingegno di fofifta:
Così fpjrò da quell'amore accefo;
Indi foggiunfe: Affai bene è ttafcorfa
D' qfta moneta già la lega e '1 pefo:
Ma dimmi fe tu l'hai nella tua borfa .
Ed io : Sì ho sì lucida , e sì tonda ,
Che nel fuo conio nulla mi s'inforfa.
Appretto ufcl della luce profonda,
Che lì fplendeva: Quefta cara gioja,
Sovra la quale ogni virtù fi fonda,
Onde ti venne ? ed io : La larga ploja
Dello Spirito Santo, ch' è dift'ufa
In fu le vecchie e 'n fu le nuove cuoja,
CANTO XXIV.
È fillogifmo, che la mi ha cenchiufa
Acutamente , sì che 'n verfo d' ella
Ogni dimoftrazion mi pare ottufa .
Io udi'poi : L'antica e la novella
Propofizione , che sì ti conchiude,
Perchè l'hai tu per divina favella ?
Ed io: La pruova, che'1 ver mi difchiude,
Son l'opere feguite, a che natura
Non (caldo ferro mai , nè battè ancude .
Rifpofto finnmi : Dì v chi t' aflìcura,
Che quell'opere foffer quel medefmo,
Che vuoi provarfi? non altri il ti giura .
Se'l Mondo fi rivolfe al Criftianefmo,
Difs'io, fenza miracoli, queft'uno
È tal , che gli altri non fono '1 centefmo :
Che tu entrafti povero e digiuno
In campo a feminar la buona pianta,
Che fu già vite , ed ora è fatta pruno .
Finito quefto, l'alta Corte fanta
Rifonò per le fpere: Un Dio lodiamo
Nella melode, che lafsù fi canta.
E quel Baron , che sì di ramo in ramo
Efaminando già tratto m'avea,
Che all'ultime fronde appreffavamo ,
Ricominciò: La grazia, che donnea
Con la tua mente , Ja bocca t' aperfe
lulino a qui, com' aprir fi dovea;
*<?4 DEL PARADISO
Sì ch'io appruovo ciò, che fuori emetfc :
Ma or conviene cfprimer quel, che creili,
E onde alla credenza tua s' pfferfe .
O fanto padre, e fpirito , che vedi
Ciò, che credefti, sì che tu vincefti
Ver lo fcpolcro più giovani piedi,
Comincia' io, tu vuoi, ch'io manifcfti
La forma qui del pronto creder mio ,
Ed anche la cagion di lui chiedefti.
Ed io rifpondo : Io cred<^in uno Dio
Solo ed eterno, che tutto '1 Ciel muove,
Non moto con amore e con difio :
Ed a tal creder non ho io pur pruove
Fifice e metanfice : ma dalmi
Anche la verità, che quinci piove
Per Moisè, per profeti, e per falmi,
Per l' evangelio, e per voi, che fcrivefle,
Poichè l'ardente fpirto vi fece almi.
E credo in tre perfone eterne, e quefte
Credo una effenzia sì una, e sì trina,
Che fofFcra congiunto fono et efte .
Della profonda condizion divina,
Ch'io tocco mo , la mente mi figiila
Più volte l' evangelica dottrina .
Queft' è '1 principio : quefts-è la favilla ,
Che fi dilata in fiamma poi vivace,
E come ftelta in Cielo in me fcintilla .

Come
CANTO XXIV. 265
Come'l fignot , ch'afcoka quel che piace,
Da indi abbraccia'l fervo gratulando
Per la novella, tofto ch' e' fi tace;
Così benedicendomi cantando
Tre volte cinfe me, s! com'io tacqui,
L'Appoftolico lume, al cui comando
Io avea detto; sì nel dir gli piacqui.

Dante, Tomo II. M


Z66 DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOQUINTO.

ARGOMENTO.
L' /popolo S. Jacopo cfamìna il Patta intorni
la virtù della Speranza , proponendogli inrj
qucfui , a' quali efo rifponde . Dante poi ritro
va S. Giovanni , il fuale manifeftagli , che li
fuafalma morendo era rimafta in terra, e che
folataente Gesù Crijlo e Maria tergine tram
cui laro corpi in Cielo .

mai continga, che'1 poema facro,


Al quale ha pofto roano e Cielo e Terra .
Sì che m'ha fatto per più anni macro,
Vinca la crudeltà, che fuor mi ferra
Del bello ovile , ov' io dormi' agnello
Nimico a' lupi, che gli danno guerra;
Con altra voce ornai , con altro velia
Ritornerò poeta , ed in fui fonte
Del mio battefmo prenderò'l cappello:
Perocchè nella Fede , che fa conte
L'anime a Dio, quiv' entra' io, e poi
Pietro per lei sì mi girò la fronte .
CANTO XXV. 267
Indi fi moffe un lume verfo noi
Di quella fchiera , ond'ufci la primizia,
Che lalciò Crifto de'vicarj fuoi.
£ la mia donna piena di letizia
Mi diffe : Mira, mira: ecco '1 Barone ,
Per cui laggiù fi vifita Galizia.
Si come quando '1 colombo fi pone
Preflo al compagno, l'uno e l'altro pande,
Girando e mormorando, l'affezione;
Così vid'io l'un dall'altro grande
Principe gloriofo cffere accolto ,
Laudando il cibo, che lafsù fi prande.
Ma poi che '1 gratular fi fu affollo,
Tacito toram me ciafcun s' afBffe
Ignito si , che vinceva '1 mio volto .
Ridendo allora Beatrice diffe:
Inclita vita , per cui l'allegrezza
Della noftra Bafilica fi fcriffe,
Fa rifonar la fpeme in quefta altezza :
Tu fai, che tante volte la figuri,
Quanto Jesù a' tre fe'più chiarezza.
Leva la tetla , e fa che t'afficuri ,
Che ciò, chevien quafsh dal mortai Mondo,
Convien ch'a'noftri raggi fi maturi.
Qutfto conforto del fuoco fecondo
Mi venne: ond'io levai gli occhi a' monti,
Che gi' incurvaron pria col troppo pondo .

Ma '
268 DEL PARADISO
Poichè per grazia vuoi , che tu t' affronti ,
Lo noftro Imperatore , .anzi la morte
Nell' aula più fegreta co' fuoi Conti ;
Sì che veduto '1 ver di quefta Corte ,
La fpeme, che laggiù bene innamora,
In te ed in altrui di ciò conforte:
Dì quel , che eli' è , e come fe ne 'nfiora
La mente tua , e dì onde a te venne :
Così feguìo'1 fecondo lume ancora.
E quella pia , che guidò le penne
Delle mie ali a così alto volo,
Alla rifpofta così mi prevenne :
La Chiefà militante alcun figliuolo
Non ha con più fperanza, com'è fcritto
Nel Sol , che raggia tutto noftro ftuolo :
Però gli è conceduto , che d' Egitto
Vegna in Gerufalemme per vedere,
Anzi che '1 militar gli fia prefcritto .
Gli altri duo punti, che non per fapere
Son dimandati, ma perch'ei rapporti,
Quanto quefta virtù t'è in piacere,
A lui lafc' io : che non gli faran forti ,
Nè Ai jattanzia : ed egli a ciò rìfponda,
E la grazia di Dio ciò gli comporti .
Come difcente , ch' a dottor feconda ^
Pronto e libente in quel, ch'egli è efperto,
Perchè la fua bontà ft difafconda ;
CANTO XXV. 269
Speme, difs'io, è uno attender certo .
Della gloria futura, il qual produce
Grazia divina e precedente raerto.
Da molte ftelle mi vien quefta luce:
Ma quei la diftillò nel mio cor pria,
Che fu fomrao cantor del fommo duce .
Sperino in te, nella fua Teodìa,
Dice, color, che fanno '1 nome tuo:
E chi noi fa, s'egli ha la Fede mia?
Tu mi ftillafti con lo ftillar fuo
Nella piftola poi, sì ch'io fon pieno,
Ed in altrui voftra pioggia replùo .
Mentre io diceva , dentro al vivo feno
Di quello 'nceudio tremolava un lampo
Subito e fpetlb a guifa di baleno:
Indi fpirò : L' amore , ond' io avvampo
Ancor ver la virtù, che mi feguettc
Infin la palma, ed all'ufcir del campo,
Vuoi ch' io refpiri a te, che ti dilette
Di lei: ed emmi a grato, che tu diche
Quello , che la fperanza ti promette .
Ed io : Le nuove e le fcritture antiche
Pongono '1 fegno , ed effo lo m' addita ,
Dell'anime, che Dio s'ha fatte amiche.
Dice Ifaia, che ciafcuna veftita
Nella fua Terra fia di doppia vefta ;
£ 1* fu.a Terra è quefta. dolce vita.

M 3
270 DHL PARADISO
E'ì tuo fratello affai vie più digefta
Là, dove tratta delle bianche ftole,
Queila rivelazion ci manifefta .
E prima , e preflo '1 fin d'efte parole
Sperent in te difopra noi s' udì,
A che rifpofer tutte le carole :
Poicia tra efle uà lume fi fchiatl ,
Sì che , fe '1 Cancro aveffe un tal criftallo ,
Iì verno. avrebbe un mefe d'un fol di.
E come furge e va ed entra in balia
Vergine lieta fol per fare onore
Alla novizia , non per alcun fallo ;
Così vid'io lo fchiarato fplendore
Venire a' due, che fi volgeano a ruota,
Qual conveniafi al loro ardente amore.
Mifefl 11 nel canto e nella nota :
E la mia donna in lor tenne l' afpetto
Pur come fpofa tacite ed immota .
Quelli è colui, che giacque fopra'1 petto
Del noftro Pellicano : e quefti fue
Di fu la Croce al grande ufizio eletto:
La donna mìa così , nè però pioe
Mofle la villa fua di ftare attenta
Pofcia , che prima alle parole fue.
Quale è colui, ch'adocchia, e s'argomenta
Di vedere ecliflàr lo Sole un poco,
Che per veder non vedente diventa ;
CANTO XXV. 271
Tal mi fec'io a queil' ultimo fuoco,
Menticene detto fu: Perchè t'abbagli
Per veder cofa , che qui non ha loco ?
In Terra è terra '1 mio corpo , e faragli
Tanto con gli altri, che'1 numero noftro
Con l' eterno propofito s' agguagli .
Con le duo ftole nel beato chioftro
Son le duo luci fole, che faliro :
E qucfto apporterai nel Mondo voftrot
A quefta voce lo Sfiammato giro
Si quietò, con effo'1 dolce mifchio,
Che fi facea del fuon nel trino fpiro ;
Sì come por ceffar fatica o rifchio
Gli remi pria nell'acqua ripercoffi
Tutti fi pofano al fonar d' un fifchio .
Ahi quanto nella mente mi commoffi,
Quando mi volfl per veder Beatrice,
Per non poter vederla , bench' io folli
Pretto di lei, e nel Mondo felicel
27* DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOSESTO»

ARGOMENTO.

V Apoftolo S. Giovanni tfamina il Poeta intorno


la virtù della Carità , e gli propone alcuni qut-
fii, a cui dopa aver' egli pienamente rifpojla
i Beati cantarono il divino Trifaggio . Dan
te poi fcorge f anima ilei padre Adamo, il
quale gli racconta il tempo dilla fita fslicitif
ed. in)"(licita.

lEntr'io dubbiava per lo vifo fpento-


Della fulgida fiamma, che lo fpenfe,
Ufcì un fpiro, che mi fece attento ,
Dicendo : In tanto che tu ti rifenfe
Della vifta , che hai in me confiuita ,
Ben' è che ragionando la compenfe.
Comincia dunque , e di ove s' appunta
L'anima tua ; e fa ragion che fia
La vifta in te fmarrita e non defunta:
Perchè la donna , che per quefta dia
Region ti conduce , ha nello fguardo
La virtù , ch' ebbe la man d' Anania >
CANTO XXVI.
Io diffi : Al fuo piacere e tofto e tardo
- Vegna rimedio agliocchi , che fur porte,
Quand' ella entrò col fuoco , ond' io fempre ar-
Lo ben , che fa contenta quefta Corte , ( d° .
Alfa ed Omega è di quanta fcrittura
Mi legge amore o lievemente, o forte.
Quella medefma voce, che paura
Tolta m' avea del fubito abbarbaglio ,
Di ragionare ancor mi mife in cura ;
E diffe : Certo a più angufto vaglio
Ti conviene fchiarar : dicer convienti
Cbi drizzò l'arco tuo al tuo bcrzaglio.
Ed io: Per filofoiici argomenti,
E per autorità , che quinci fcende ,
Cotale amor convien che'n me s' impronti :
Che '1 bene , in quanto ben come s' intende ,
Così accende amore , e tanto maggio ,
Quanto più di bontate in fe comprende.
Dunque all'effenzia, ov' è tanto avvantaggio,
Che ciafcun ben, che fuor di lei fi truova,
Altro non è che di fuo lume un raggio ,
Più che in altro convien che fi muova
La mente, amando, di ciafcua, che cerne
Lo vero , in che fi fonda quefta pruova.
Tal vero allo'ntelletto mio iterne
Colui, che mi dimoftra'1 primo amore
Di tutte le fuftanzie fempiterne .

M s
a74 DEL PARADISO
Sterne1 la voce del verace autore,
Che dice a Moisè di fe parlando :
Io ti farò vedere ogni valore.
Sternilmi tu ancora incominciando
L'alto preconio, che grida l'arcano
Di qui laggiù fovra ad ogni alto bando.
Ed io udi': Per intelletto umano,
E per aucoritade a lui concorde
De' tuoi amori a Dio guarda '1 fovrano.
Ma dì ancor, fe tu fenti altre corde
Tirarti verfo lui , sì che tu fuone
Con quanti denti quefto amor ti morde.
Non fu latente la fanta intenzione
Dell'aguglia di Crifto, anzi m'accorti
'Ove menar volea mia profeffione:
Però ricominciai : Tutti quei morfi ,
Che poffon far Io cor volgere a Dio ,
Alla mia cariiate fon concorfi :
Che l' eflere del Mondo, e l'effer mio,
La morte, ch'el foftenne, perch'io viva,
E quel, che fpera ogni fedel, com'io,
Con la predetta conofcenza viva
Tratto m' hanno del mar dell' amor torto,
E del diritto m'han pofto alla riva.
Le fronde, onde s'infronda tutto l'orto
Dell'ortolano eterno, am'io cotanto,
Quanto da lui a lor dì bene è porto.
CANTO XXVI. 275
Si com'io tacqui, un dolciffimo canto
Rifonò per lo Cielo, e la mia donna
Dicea con gli altri: Santo, Santo, Sant».
E come al lume acuto fi difonna
Per lo fpirto vifivo , che ricorre
Allo fplendor , che va di gonna in gonna ,
E lo fvegliato ciò che vede abborre;
Sì nefcia è la fua fubita vigilia,
Fin che la ftimativa noi foccorre ;
Così degli occhi miei ogni quifquilia
Fugò Beatrice col raggio de'fuoi,
Che rifulgeva più di mille milia :
Onde me' che dinanzi vidi poi,
E quali (tupefatto dimandai
D'un quarto lume, ch'io vidi con noi.
E la mia donna : Dentro da quei rai
Vagheggia il fuo fattor 1' anima prima ,
Che la prima virtù crcaffe mai .
Come la fronda, che flette la cima
Nel tranfito del vento , e poi fi leva
Per la propria virtù , che la fublima ,
Fec' io in tanto , in quanto ella diceva ,
Stupendo , e poi mi rifece Scuro
Un difio di parlare , ond' io ardeva ;
E cominciai: O pomo, che maturo
Solo prodotto folli , o padre antico ,
A cui ciafcuna fpofa è figlia e nuro ;

M 6
DEL PARADISO
Devoto quanto pollo a te fupplìeo ,
Perchè mi parli : tu vedi mia voglia :
E, per udirti torto, non la dico.
Tal volta un' animai coverto broglia,
Sì che l' affètto convien che fi paja ,
Per lo ftguir, che face a lui la'nvoglia;
E fimilmeute l' anima primaja
Mi facea trafparer per la coverta
Quant'eHa a compiacermi venia gaja.
Indi fpirfr: Sanz'effermi profferta
Da te la voglia tua, difcerno meglio,
Che tu qualunque cofa t' è più certa t
Perch'io la veggio nel verace fpeglio,
Che fa di fe pareglio ali' altre cofe,
E nulla face lui di fe pareglio.
Tu vuoi udir, quant'è che Dio mi pofe
NeU'eccelfo giardino, ove cofteì
A così lunga itala ti difpofe:
E quanto fu diletto agli ocelù miei,
E la propria cagioii del gran difdegno,
E l' idioma , ch' ufai , e ch' io fei .
Or, figliuol mio, non il guftar del legno
Fu per (e la cagion di tanto efilio,
Ma folameme il trapaffar del fegno .
Quindi, onde molTc tua donna Virgilio,
Quattromila trecento e duo volumi
Di Sol defiderai quefto concilio ;
CANTO XXVI, 277
E vidi lui tornare a tutti i lumi
Della fua ftrada novecento trenta
Fiate , mentre eh' io in Terra fumi .
La lingua , ch' io parlai , fu tutta fpenta
Innanzi che all'ovra inconfumabile
Fofle la gente di Nembrotte attenta :
Che nullo affetto mai razionabile
Per lo piacere uman , che rinnovella
Seguendo '1 Cielo, fempre fu durabile.
Opera naturale è, ch'uom favella:
Ma così o così , natura lafcia
Poi fare a voi, fecondo che v'abbella.
Pria eh' io fcendeffi alla 'nfernale ambaftia ,
UN s' appellava in Terra il fommo Bene ,
Onde vien la letizia , che mi fafcia :
ELI fi chiamò poi: e ciò conviene:
Che l'ufo da' mortali è come fronda
In ramo , che fen' va , ed altra viene-.
Nel monte , che fi leva più dali' onda ,
Fu' io con vita pura e difonefta
Dalla prim'ora a quella, ch' è feconda ,
Come'l Sol muta quadra, all'ora fefta.
1?8 DEL PARADISO

CANTO VENTESIMOSETTIMO.

ARGOMENTO.

S. Pietro armato di ardente zelo riprende ulta


mente i cattivi Paslori : dopo ciò i Santi le-
yandofi in alto dìfparven , e Dante fall alla
nona sfera con Beatrice , da cui gli fu dima-
frate la natura e proprietà di quel? altiffina
deh .

AL Padre, al Figlio, allo Spirito Santo


Cominciò gloria tutto '1 Paradifo,
Sì che m' innebbriava il dolce canto.
Ciò , ch' io vedeva , mi fembrava un rifo
Dell' Univerfo : perche mia ebbrezza
Entrava per l'udire e per lo vifo.
O gioja l o ineffabile allegrezza I
O vita intera d'amore e di pacel
O fanza brama fìcura ricchezzal
Dinanzi agli occhi miei le quattro face
Stavano acccfe, e quelli, che pria venne,
Incominciò a 'farfi più vivace;
CANTO XXVII. 279
E tal nella fembianza fua divenne ,
Qual diverrebbe Giove , s' egli e Marte
Foffero augelli, e cambiafferfi penne .
La provedenza, che quivi comparto
Vice e uficio, nel beato coro
Silenzio p-jfto avea da ogni parte ,
Quand'io udì': Se io mi trafcoloto,
Non ti maravigliar : che, dicend'io,
Vedrai trafcolorar tutti coftoro.
Quegli, ch'ufurpa in terra il luogo mio,
Iì luogo mio, il luogo mio, che vaca
Nella prefenza del Figliuol di Dio,
Fatto ha del cimiterio mio cloaca
Del fangue e della puzza, onde'1 pervertoa
Che cadde di quafsù, laggiù fi placa.
Di quel color, che per la Sole avvertì»
Nube dipinge da fera e da mane ,
Vid'iu allora tutto '1 Cicl cofperfo.
E come donna onefta, che permane
Di fe licura, e per l'altrui fallanza
Pure afcoltando nmida fi fane;
Così Beatrice trafmutò fembianza :
E tale celifli credo che'n Ciel fue.
Quando patì la fuprcma Poffanza:
Poi procedetter le -parole fue
Con voce tanto d;i fc tranfmutata ,
Che la fembianza non fi mutò piùe :
;8o DEL PARADISO
Non fu la Spofc di Crifto allevata
Del fanguc mio, di Lin , di quel di Cleto,
Per effete ad acquifto d' oro ufata :
Ma per acquifto d'efto viver lieto
E Sifto , e Pio, Califto, e Urbano
Sparfer lo fangue dopo molto fleto .
Non fu noftra 'ntenzion , ch' a deftra mano
De' noftri fucceffor parte fedefle,
Parte dall' altra del popol Criftiano :
Nè che le chiavi , che mi fur conceffe ,
Diveniffer regnacelo in veflillo ,
Che contra i battezzati combattette :
Nè ch'io foffi figura "di figillo
A' privilegi venduti e mendaci,
Ond'io fovente arroffo e disfavillo.
In vefta di paftor lupi rapaci
Si veggio di quafst) per tutti i pafchi.
O difefa di Dio, perchè pur giacil
Del fangue noftro Caprfmi e Guafchi
S' apparecchian di bere. O buon principio,
A che vii fine convien che tu cafchi l
Ma l'alta previdenza, che con Scipi»
Difefe a Roma la glòria del Mondo,
Soccorra tafto , sì cotn' io concipio :
E tu figliuol , che per lo mortai pondo
Ancor giù tornerai , apri la bocca,,
E nonnafconder quel, ch' io non nafcoado,
CANTO XXVII. ì&
Sì come di vapor gelati fiocca
In giufo l'aer noftro, quando '1 corno
Della Capra del Ciel col Sol fi toccaj.
In fu vid'io così l'etere adorno
Farli, e fioccar di vapor trionfanti,
Che fatto avèn con noi quivi foggiorno.
Lo vifo mio feguiva i fuo'fembianti,
E feguì fin che'1 mezzo per lo molta
Gli tolfe '1 trapalar del più avanti :
Onde la donna, che mi vide afciolto
' Dell' attendere in fu , mi diffe : Adira*
II vifo, e guarda come tu fe' volta.
Dall'ora , ch'io avea guardato prima ,
l'vidi moffo me per tutto l'arco,
Che fa dal mezzo al fine il primo elima;
Sì ch' io vedea di là da Cade il varco
Folle d'Uliffe, e di qua preflo il lito,
Nel qual fi fece Europa dolce carco.:
E più mi fora difcaverto il fito
Di quefta ajuola ; ma '1 Sol procedea
Sotto i miei piedi un fegno e più partito.
La mento innamorata , che donnea
Con la mia donna tempre, di ridure
Ad effa gli occhi più che mai ardea^
E fe natura, o arte fe'pafture
Da pigliare occhi per aver la mente,
In caine umana , o nelle fue pinture-,
DFL PARADISO
Tutte adunate parebber niente
Ver lo piacer divin , che mi rifulfé ,
Quando mi volli al fuo vifo ridente.
E la virtù, che lo fguardo m'indulfe,
Del bel nido di Leda mi divelle,
E nel Ciel velociffimo m'impulfe.
Le parti fue viviffime ed eccelfe
Si uniformi fon, ch'io non fo dire
Qual Beatrice per luogo mi fcelfe.
Ma ella, che vedeva '1 mio difire ,
Incominciò ridendo tanto lieta ,
Che Dio parca nel fuo volto gioire :
La natura del moto , che quieta
II mezzo, e tutto l'altro intorno muove,
Quinci comincia , come da fua meta .
E quefto Ciclo non ha altro dove ,
Che la mente divina, in che s'accende
L'amor, che '1 volge, e la virtù, ch' ei piove.
Luce ed amor d'un cerchio lui comprende,
Sì come quefto gli altri, e quel precinto
Colui, che '1 cinge, folamente intende.
Non è fuo moto per altro diftimo;
Ma gli altri fon mifurati da quefto,
Sì -come diece da mezzo e da quinto .
E come'1 tempo tenga in cotal tefto
Le fue radici , e negli altri le fronde ,
Ornai a te puot'effer manifefto .
CANTO XXVII. 283
O cupidigia, che i mortali affonde
Sì fotto te, che nell'uno ha podere
Di ritrar gli occhi fuor delle tu' ondel
Ben fiorifce negli uomini '1 volere;
Ma l:i pioggia continua convelle
In bozzacchioni le fufine vere .
Fedi; ed ìnnocenzia fon reperte
Solo ne' pargoletti : poi ciafcuna
Pria fugge, che le guance fien coperte.
Tale balbuziendo ancor digiuna ,
Che poi divora con la lingua fciolta
Qualunque cibo per qualunque luna :
E tal balbuziendo ama, ed afcolta
La madre fua , che con loquela intera
Difia poi di vederla fcpolta .
Così fi fa la pelle bianca nera
Nel primo afpetto della bella figlia
Di quei, ch'apporta mane, e lafcia fera.
Tu, perchè non ti facci maraviglia,
Penfa che'n Terra non è chi governi,
Onde fi fvia l' umana famiglia .
Ma prima che Gennajo tutto fverni,
Per la centefma, eh' è laggiù negletta,
Ruggeran sì quefti cerchi fuperni ,
Che la fortuna, che tanto s'afpetta,
Le poppe volgerà u'fon le prore,
Sì che la daue correrà diretta:
E vero frutto verrà dopo '1 fiore.
2«4 DEL PARADISO

CANTO VENTESfMOTTAVO.

ARGOMENTO.

Dice il Poeta che vide un punta radiante acatif-


fina ìna , a cai tf intorno aggiravanfi nnc
cerchj ; ed era Dio [lante nel mezzo de i novi
etri degli Angeli : indi Beatrice gli fpiiga co
me i cerchj di quel mondo intelligibile corri-
fpondano alle sfere del mondo fenfibile, e fi-
gite poi a ragionargli delle Angeliche Caria-
citte .

JT Ofcia che'ncontro alla vita prefente


De' miferi mortali aperfe '1 vero
Quella , che 'mparadifa la mia mente ;
Come in ifpecchio fiamma di doppiero
Vede colui, che fe n'alluma dietro,
Prima clic 1' abbia in vifta , od in penfiero,
E sè rivolve, per veder fe '1 vetro
Li dice'1 vero, e vede ch'el s'accorda
Con etto, come nota con fuo metro;
Così la mia memoria fi ricorda,
Ch'io feci riguardando ne' begli occhi,
Onde a pigliarmi fece Amor la corda :
CANTO XXVIII. 285
E com'to mi rivolfi , e furon tocchi
Li miei d* ciò, che pare in quel volume,
Quandunque nel fuo giro ben s'adocchi,
Un punto vidi , che raggiava lume
Acuto sì, che'l vifo, ch'egli affuoca,
Chiuder convienfi per lo forte acume .
E quale ftella par quinci più poca,
Parrebbe Luna locata con eQb v
Come ftella con ftella fi colloca.
Forfe cotanto , quanto pare appreflo
Allo cigner la luce, che'1 dipigne,
Quando '1 vapor , che "1 porta , più è fpeffo ,
Ditlante intorno al punto un cerchio d'igne
Si girava sì ratto, ch'avvia vinto
Quel moto , che più tofto il Mondo cigne :
E quefto era d'un' altro circuncinto ,
E quel dal terzo, e 'ì terzo poi dal quarto,
Dal quinto '1 quarto, e poi dal fefto il quinto :
Sovra feguiva'1 fettimo sì fparto
Già di larghezza, che'1 meffo di Juno
Intero a contenerlo farebbe arto:
Così l'ottavo, e'1 nono; e ciafchedune
Più tardo fi movea, fecondo ch'era
In numero diftante più dall' uno :
E quello avea la fiamma più fincera,
Cui men diflava la favilla pura ,
Credo, perocchè più di lei s'invera.
286 DEL PARADISO
La donna mia, che mi vedeva in cura
Forte fofpefo, diffe : Da quel punto
Depende il Cielo, e tutta la Natura.
Mira quel cerchio , che più gli è congiunto ,
E fappi, che'l fuo muovere è sì tofto
Per l'affocato amore, ond'egli è punta.
Ed io .a lei : Se'1 Mondo foffe pofto
Con 1' ordine , ch' io veggio in quelle ruote,
Sazio m'avrebbe ciò, elic m' è propofto.
Ma nel Móndo fenfibile fi puote
Veder le volte tanto più divine,
Quant'elle fon dal -centro più remote.
Onde fe'1 mio difio dee aver fine
In quefto miro ed angelico tempio,
Che folo amore e luce ha per confine ,
Udir convicmmi ancor, come l'efemplo
E l'efemplare non vanno d'un modo;
Che io per me indarno a ciò contemplo .
Se li tuoi diti non fono a tal nodo
Sufficienti, non è maraviglia,
Tanto per non tentare è fatto fodo.
Così la donna mia : poi dine : Piglia
Quel , eh' io ti diccrò , fe vuoi faziarti ,
Ed intoino da effo t' affbttiglia .
Li cerchi corporai fono ampi ed arti ,
Secondo '1 più e 'ì men della virtute ,
Che fi diftende per tutte lor parti .
CANTO XXVIII. 287
Maggior bontà vuoi far maggior falute :
Maggior falute maggior corpo cape,
S' egli ha le parti ugualmente compiute .
Dunque coftui, che tutto quanto rape
L'alto Univerfo feco . corrifponde
Al cerchio , che più ama , e clic più l'ape .
Perche le tu alla virtù circondo
La tua mifura, non alla parvenza
Delle fuftanzie, che t'appajon tonde,
Tu vederai mirabil convenenza
Di maggio a più e di minore a meno
In ciafcun Ciclo a fua intelligenza .
Come rimane fplendido e fercno
L'emifperio dell'aere, quando foffia
Borea da quella guancia, ond'è più leno;
Perche fi purga, e liiblve la roffla,
Che pria turbava , sì che'1 Ciel ne ride,
Con le bellezze d'ogni fua parroffia;
Così fec'io, poi che mi provvide
La donna mia del fuo rifponder chiaro,
E come fleto in Cielo il ver fi vide .
E poi che le parole fue reftaro,
Non altrimenti ferro disfaviila,
Che bolle, come i cerchi sfavillare.
Lo 'ncendio lor lèguiva ogni ftintilla :
Ed eran tante , che '1 numero loro
Pii» che '1 doppiar degli tcacchi s'immilla.
238 DEL PARADISO
Io fentiva ofannar di coro in coro
Al punto fiffo, che gli tiene all'ai,
E terrà fempre, nel qual fempre foro:
E quella, che vedeva i penfier dubi
Nella mia mente , «Hffe : I cerchi primi
T'hanno moftrato i Serafi e i Cherìibi.
Così veloci feguono i fuoi vimi,
Per fimigliarfl al punto , quanto ponno ,
E pofibn quanto a veder fon fublimi.
Quegli altri amor^ che distorno gli vonno,
Si chiaman Troni del divino afpetto,
Perchè '1 primo ternaro terminonno.
E dei faver, che tutti hanno diletto,
Quanto la fua veduta fi profonda
Nel vero, in che fi queta ogn' intelletto .
Quinci fi può veder, come fi fonda
L'efier beato nell'atto, che vede,
Non in quei ch'ama, che pofcia feconda:
E del vedere è mifura mercede,
Che grazia partorifcc, e buona voglia:
Così di grado in grado fi procede.
L' altro ternaro , che così germoglia
In quefta Primavera fempiternaj
Che notturno Ariete non difpoglia ,
Perpetualemente Ofanua fverna
Con tre melode, che fuonano in arce
Ordini di letizia, onde s'interna.

In effa
CANTO XXVin. 289
In effa gerarchla fon le tre Dee,
Prima Dominazioni , e poi Virtudi :
L'ordine terzo di Podeftadi ee.
Pofcia ne' duo penultimi tripudi
Principati ed Arcangeli fi girano :
L' ultimo è tutto d° Angelici ludi .
Quelli ordini di fu tutti rimirano,
E di giù vincon sì, che verfo Dio
Tutti tirati fono, e tutti tirano.
E Dionifio con tanto difio
A contemplar quefti ordini fi mife,
Che li nomò, e diftinfe, com' io .
Ma Gregorio da lui poi fi divife :
Onde sì tofto , come gli occhi aperfe
In quefto Ciel, di fe medefmo rife.
E fe tanto fegreto ver profferte
Mortale in Terra, non voglio ch'ammiri:
Che chi'1 vide quafsù gliel difcoverfe
Con altro affai del ver di quefti giri.

Dante , Tomo tt>


zpo DEL PARADISO

CANTO VENTESIMONONO.
ARO O. M E. N T O.

Beatrice a Dante difcorre intorno la. creazioni


degli Angeli: quindi fi fa a riprender' i Predi
catori - che trafcurando il l'angelo predicata
fé fteji, td ufano fcherzi à"tfconvenevoli alla
fantità del loro Apoftolico mìniftero ; feguita fui
a favellar delle Sojlanze

\Juzndo amboduo li figli di Latona


Coverti del Montone e della Libra
Fanno dell'orizzonte infieme -zona,
Quant'è dal punto, che'1 zenit inlibra,
Infin che l'uno e l'altro da quel cinto
Cambiando Temifperio fi dilibra,
Tanto col volto di rifo dipinto
Si tacque Beatrice, riguardando
Fiffo ne) punto, che m' aveva vinto :
Poi cominciò: Io dico, non dimando
Quel, che tu vuoi dir, perch'io l'ho villo
Ove s'appunta ogni uìi e ogni quando.
CANTO XXIX. 251

Non per avere a fc di bene acquiflo,
Ch' eflfcr non può , ma perchè fuo fplendore
Poteffe rifplendendo dir Subjìfio ;
In fua eternità di tempo fuore, (gue,
Fuor d' ogni altro comprender , com' ci piac-
S'apcrfe in nuovi amor l'Eterno Amore.
Nè prima quafi torpente fi giacque :
Che nè prima nè pofcia procedette
Lo difcorrer di Dio fovra quell'acque.
Forma, e materia congiunte e purette
Ufciro ad atto, che non avea fallo,
Come d'arco tricorde tre faette:
E come in vetro , in ambra , od in criftallo
Raggio rifplende sì, che dal venire
All'cìler tutto non è intervallo;
Cosl'1 triforme effetto dal fuo fire
Nell'effere fuo raggiò infieme tutto
Sanza diftinzion nell' efordire .
Concreato fu ordine , e coftiutto
Alle fuftanzie, e' quelle furon cima
Nel Mondo, in che puro atto fu produtto.
Pura potenzia tenne la parte ima :
Nel mezzo ftrinfe potenzia con atto
Tal vime, che giammai non fi diviraa.
Jeronimo vi fcriffe lungo tratto
De'fecoli degli Angeli creati
Anzi che l'alero Mondo foffe fatto .
Na
:92 DEL PARADISO
Ma queflo vero è fcritto in molti lati
Dagli fcrittor dello Spirito Santo :
E tu lo vederai , fe ben ne guati :
E anche la ragion lo vede alquanto,
Che non concederebbe , che i motori
Sanza fua perfezion foflér cotanto .
Or fai tu dove, e quando quefti amori
Furon creati , e come ; sì che fpenti
Nel tuo difio già fon tre ardori.
Nè giugneriefi numerando al venti
Sì tofto , come degli Angeli parte
Turbò Tfuggetto de'voftri alimenti.
L'altra rimafe, e cominciò queil'arte,
Che tu difcerni , con tanto diletto ,
Che mai da circuir non fi diparte .
Principio del cader fu il maladetto -
Superbir di colui, che tu vedefti
Da tutti i pefi del Mondo coftretto.
Quèlli, che vedi qui, furon modefti
' A riconofcer sè della bòntate,
Che gli avea fatti a tanto intender pretti :
Perchè le vifte lor furo efaltate
Con grazia illuminante, e con lor merto,
Sì ch' hanno piena e ferma volontate .
E non voglio che dubbi , ma fie certo ,
Che ricever la grazia è meritero,
Secondo che l'affetto gli è aperto .
CANTO XXIX. 293
Ornai dintorno a quefto confillero
Puoi contemplare affai, fe le parole
Mie fon ricolte , fenz'altro ajutoro .
Ma perchè 'n Terra per le voftre fcuole
Si legge, che l'Angelica natura
È tal, che'ntende, e fi ricorda, e vuole;
Ancor dirò , perchè tu veggi pura
La verità , che laggiù fi confonde ,
Equivocando in sì fatta lettura .
Quefte fuftanzie , poichè fur gioconde
Della faccia di Dio , non volfer vifo '
Da ella , da cui nulla fi nafconde :
Però non hanno vedere intercifo
Da nuovo obbietto , e però non bifogna
Rimemorar per concetto divifo.
Sì che laggiù non dormendo fi fogna ,
Credendo e non credendo dicer vero :
Ma nell'uno è più colpa e più vergogna.
Voi non andate giù per un fendero,
Filofofando : tanto vi trafporta
L' amor dell' apparenza , e '1 fuo penfiero .
Ed anco: quefto quafsù fi comporta
Con men difdegno , che quando è pofpofta
La divina Scrittura, e quando è torta.
Non vi fi penfa quanto fangue cofta
Seminarla nel Mondo, e quanto piace
CUi umilmente con effa s' accofta .

N3
PARADISO
Per apparcr ciafcim s'ingegna, e face
Sue invenzioni, e quelle fon trafcorfe
Da' predicanti, e'1 Vangelio fi tace.
Un dice, che la Luna fi ritorfe
Nella paffion di Crifto, e s'interpofe,
Perchè '1 lume del Sol giù non fi porfe:
Ed altri, che la luce fi nafcofe
Da fe: però agl'Ifpani e agl'Indi,
Com' a' Giudei , tale eeliffi rifpofe .
Non ha Firenze tanti Lapi e Hindi,
Quante sì fatte favole per annfo
In pergamo fi gridan quinci e quindi:
Sì che le pecorelle , che non fanno,
Tornan dal pafco pafciute di vento ,
E non le fcufa non veder lor danno.
IN'on difie Crifto al fuo primo convento ,
Andate, e predicate al Mondo ciance,
Ma diede lor verace fondamento :
E quel tanto fonò nelle fue guance ;
Sì ch' a pugnar, per accender la Fede,
Dell'Evangelio fero feudi e lance.
Ora fi va con motti , e con ifcede ,
A predicare, e pur che ben Grida,
Gonfia il cappuccio, e più non fi richiede.
Ma tale uccel nel becchetto s'annida,
Che fe'1 vulgo il vedeffe, vederebbe
La perdonau:-:a , di che fi confida:
CANTO XXIX. 295
Per cui tanta ftoltezza in Terra crebbe,
Che fanza pruova d'alcun teftimonio
Ad ogni promeffion fi converrebbe.
Di quefto'ngraffaì porco Santo Antonio,
Ed altri affai, che fon peggio che porci,
Pagando di moneta fanza conio.
Ma perchè fiem digreflì affai ; ritorci
Gli occhi oramai verfo la dritta ftrada ,
Si che la via col tempo fi raccorci.
Quefta Natura sì oltre s' ingrada
In numero, che mai non fu loquela,
Nè concetto mortai, che tanto vada .
E fe tu guardi quel, che fi rivela
Per Daniel , vedrai che'n fue migliaja
Determinato numero fi cela.
La prima luce, che tutta la raja,
Per tanti modi in effa fi ricepe,
Quanti fon gli fplendori , a che s'appaja.
Onde perocchè all'atto, che concepe,,
Segue l'affetto, d'amor la dolcezza
Diverfamente in effa ferve e tepe.
Vedi l'eccelfo ornai, e la largheaea
Dell'eterno valor, pofcia che tanti.
Speculi fatti s'ha, in che fi {pezza.
Uno manendo in fe, come davanti .
:P6 DEL PARADISO

CANTO TRENTESIMO.

ARGOMENTO.

Dante fate con Beatrice al Cielo Empireo , ov' el


la adarnojjl di farfreniente ineffabil bellezza .
Quivi il Poeta dopo una miftiriofa yljìons giun
ge a veder chiaramente il tritnfo degli Angeli
e ielle Anime beate : gli v'ita poi dalla fua
giuda moftratf la moltita/fiae degli Slitti, t
f ampiezza della fanta Città ài Dia .

)rfe femila miglia di lontano


Ci ferve l' ora fefta , e quefto Mondo
China già l'ombra quali al letto piano,
Quando 1 mezzo del Cielo a noi profondo
Comincia a farfi tal , che alcuna ftella
Perde '1 parere infino a quello fondo :
E come vien la chiariflhna ancella
Del Sol più oltre, così'1 Ciel fi chiude
Di vifta in vifta infino alla più bella :
Non altrimenti '1 trionfo , che lude
Sempre dintorno al punto , che mi vinfe ,
Parendo inchiufo da quel, che egl' inchiude»
CANTO XXX.
A poco a poco al mio veder fi (linfe :
Perchè tornar con gli occhi a Beatrice
Nulla vedere ed amor mi cottrinfe. f
Se quanto infuio a qui di lei fi dice
Foffe conchiufo tutto in una loda,
Poco farebbe a fornir quefta vice .
La bellezza, ch'io vidi, fi trafmoda
Non pur di là da noi, ma certo io credo,
Che folo il fuo fattoi tutta la goda .
Da quefto paffo vinto mi concedo
Più che giammai da punto di fuo tema
Soprato foffe comico, o tragedo :
Che come Sole il vifo , che più trema ,
Così lo rimembrar del dolce rifo
La mente mia da fe mèdefma fcema.
Dal primo giorno, ch'io vidi'l fuo vift)
In quefta vita infmo a quefta vifta ,
Non è'1 feguirc al mio cantar precifo:
Ma of convien , che '.1 mio feguir defitla
Più dietro a fua bellezza poetando,
Come ali' ultimo fuo ciafcuno artifta .
Cotal, qual'io la lafcio a maggior bando,
Che quel della mia tuba, che deduce
L'ardua fua materia terminando,
Con atto e voce di fpedito duce
Ricominciò: Noi femo ufciti fuore
Del maggior corpo al Ciel, ch' è pura luce;
DEL PARADISO
Luce intellettual piena d' amore ,
Amot di vero ben pien di letizia ,
. Letizia, che trafcende ogni dolzore.
Qui vederai T'una e l'altra milizia
Di Paradifo, e l'ima in quegli afpetti,
Che tu vedrai all'ultima giuftizia.
Come fubito lampo, che difcetti
Gli fpiriti viflvi, sì che priva
Dell'atto l'occhio di più forti obbietti;
Così mi circonfulfe luce viva,
E lafciommi fufciato di tal velo
Del fuo fulgor , che nulla m'appariva .
Sempre l'amor, che qneta quefto Cielo,
Accoglie in fe cosi fatta falute
Per far difpofto a fua fiamma il candele.
Non fur più tofto dentro a me venute
Quefte parole brievi, ch'io comprefi
'Me formontar di fopra a mia virtute :
E di novella vifta mi raccefi
Tale, che- nulla luce è tanto mera,
Che gli occhi miei non fi foffer difefi:
E vidi lume in forma di riviera
Fulvido di fulgore intra duo rive
Dipinte di miiabil Primavera.
Di tal fiumana ufcian faville vive,
E d'ogni parte fi mettèn ne'. fiori,
Quafi rubin, che oro circonfcrive :
CANTO XXX. 199
Poi come inebriate dagli odori
Riprofondavan sè nel miro gurge,
E s'una entrava, un'altra n'ufcia fuori.
L'alto difio, che mo t'infiamma ed urge
D'aver notizia di ciò, che tu vei,
Tanto mi piace più, quanto più turge.
Ma di queft' acqua convien , che tu bei
Prima che tanta fete in te fi fazii :
Così mi dille '1 Sol degli occhi miei ;
Anche foggiunfe: II fiume, e li topazii,
Ch'entrano ed efcono, e'1 rider dell'erbe
Son di lor vero ombriferi prefazii :
Non che da fe fien queftc cofe acerbe ;
Ma è difetto dalla parte tua,
Che non hai vifte ancor tanto fuperbe.
Non è fantin, che sì fubito ma
Con volto verfo il latte , fe fi fvegli
Molto tardato dall' ufanza fua ,
Come fec' io , per far migliori fpegli
Ancor degli occhi chinandomi all'onda,
Che fi deriva, perchè vi s' immegli.
E sì come di lei bevve la gronda
Delle palpebre mie; così mi parve
Di fua lunghezza divenuta tonda.
Poi come gente ftata fotto larve ,
Che pare altro che prima, fe fi fvefte
La fembianza non fua, in che difparve;
N6
3oo DEL PARADISO
Così mi fi cambiato in maggior fetta
Li fiori e le faville, sì ch'io vidi
Ambo le Corti del Ciel manifefte.
O ifplendor di Dio , per cu' io vidi
L'alto trionfo del regno verace,
Dammi virtù a dir, com'io lo vidi.
Lume è lafsù, che vifibile face
Lo Creatore a quella creatura,
Che folo in lui vedere ha la fua pace:
E fi diftende in circular Rgura
In tanto, che la fua circonferenza
Sarebbe al Sol troppo larga cintura .
Faffi di raggio tutta fua parvenza
Refleflb al fommo del mobile primo,
Che prende quindi vivere e potenza.
E come clivo in acqua di fuo imo
Si fpecchia quafi per vederfi adorno,
Quanto è nel verde e ne' fioretti opimo;
Sì fopraftando al lume intorno intorno
Vidi fpecchiarfi in più di mille foglie,
Quanto di noi lafsu fatto ha ritorno.
E fe l'infimo grado in fe raccoglie
Sì grande lume ; quant' è la larghezza
Di quefta rofa nell' eftreme foglie ?
La vifta mia nell'ampio e nell'altezza
Non fi fmarriva, ma tutto prendeva
11 quanto, e'1 quale di quella allegrezza.
CANTO XXX. 301
Preflo e lontano 11 nè pon , nè leva :
Che dove Dio fanza mezzo governa ,
La legge naturai nulla rilieva.
Nel giallo della rofa fempiterna ,
Che fi dilata , rigrada , e ridole
Odor di lode al Sol, che fempre verna .
QuaFè colui, che tace e dicer vuole,
Mi trafle Beatdce , e diili; ; Mira
Quanto è '1 convento delle bianche ftole l
Vedi noftra Città quanto ella giral
Vedi li noftri fcanni sì ripieni ,
Che poca gente ornai ci fi difira .
Jn quel gran feggio , a che tu gli occhi tieni
Per la corona, che già v' è fu pofta ,
Primachè tu a quefte nozze ceni ,
Sederà l' alma , che fia giù Agofta ,
Dell'alto Arrigo, ch' a drizzare Italia
Verrà inprima ch'ella fia difpofta.
La cieca cupidigia , che v' ammalia ,
Simili fatti v'ha al fantolino,
Che muor di fame e caccia via la balia ;
E fia Prefetto nel foro divino
Allora tal , che palefe e coverto
Non anderà con lui per un cammino :
Ma poco poi farà da Dio fofferto
Nel fanto uficio : eh' ci farà detrufo
Là , dove Simon mago è per fuo merto ,
E fura quel d' Alagna cller più giufo.
DEL PARADISO
• --.'•• »
CANTO TRENTESIMOPRIMO.

ARGOMENTO.
0/erva il Poeta con alto {lupare la gloria affi
lici Comprenforì; indi rivolto a Beatrice aflìfA
in fuo irono ls rettile grazie de'fonimi benefi
ci da lei ottenuti : infine per ayyifo di 5. Bei-
nardo riguarda la Regina del Culo , la quale
fpargcndo bdlìjinù fplendori gioirà tra le ft-
Jìe ed i citatici degli Angeli .

IN forma dunque di candida rofa


Mi fi moilrava la milizia fanta ,
Che nel fuo Sangue Crifto fece fpofa .
Ma l'altra, che volando vede e canta
La gloria di colui , che la 'nnamora ,
E la bontà, che la fece cotanta,
Sì come fchiera d'api, che s'infiora
Una fiata , ed una fi ritorna
Là, dove fuo lavoro s' infapora,
Nel gran fior difcendeva , che s' adoma
Di tante foglie, e quindi rifaliva
Là, dove il fuo amor tempre foggiqraa.
CANTO XXXf. 30?
Le facce tutte avèn di fiamma viva,
E l'ale d'oro, e l'altro tanto bianco,
Che nulla neve a quel termine arriva.
Quando fcendean nel flor di banco in banco ,
Porgevan della pace e dell'ardore, - %
Ch'egli acquiftavan ventilando '1 fianco.
Nè lo'nterporfi tra'1 difopra e'1 fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vifta e lo fplendorc :
Che la luce divina è penetrante
Per l'Univerfo, fecondo ch' è degno,
Sì che nulla le puote effere ottante.
Quefto ficuro e gaudiofo regno
Frequente in gente antica ed in novella
Vifo ed amore avea tutto ad un fegno.
O trina luce, che in unica ftella
Scintillando a lor vifta sì gli nPP3Sa^
Guarda quaggiufo alla noftra procella.
Se i Barbari venendo da tal plaga,
Che ciafcun giorno d' Elice fi cuopra
Rotante col fuo figlio, ond'ell'è vaga ,
Veggendo Roma e 1' ardua fu' opra
Stupefacènfi , quando Laterano -
Alle cofe mortali andò di fopra;
Io, che al divino dall'umano, »
All'eterno dal tempo era venuto,
E di Fiorenza in popol giufto e fano .
DEL PARADISO
Di che ftupor doveva effcr compiuto !
Certo tra effo e'1 gaudio mi facea
Libito non udire, e ftarmi muto.
E quafi peregrin , che fi ricrea
Nel tempio del fuo voto tiguaiàando ,
E fpera già ridir com' elio ftea ;
Si per la viva luce paffeggiando
Menava io gli occhi per li gradi
Mo fu, mo giù, e mo ricirculando .
Vedeva vifi a carità fuadi
D'altrui lume fregiati, e del fuo rifo,
Ed atti ornati di tutte oneftadi.
La forma generai di Paradifo
Già tutta il mio fguardo avea comprefa
In nulla parte ancor fermato fifo :
E volgeami con voglia riaccefa
Per dimandar la mia donna di coie,
Di che la mente mia era fofpefa .
Uno intendeva , ed altro mi rifpofe :
Credea veder Beatrice, e vidi un fene
Veftito con le genti gloriofe.
Diffufo era per gli occhi e per le gene
Di benigna letizia in atto pio,
Quale a tenero padre fi conviene.
Ed, Ella ov'è? di fubito difs'io.
Ond'egli: A terminar lo tuo difiro
Moffb Beatrice me del luogo mio :
CANTO XXXI. 305
E fe riguardi fu nel terzo giro
Del fommo grado , tu la rivedrai
Nel trono, che i fuoi metti le fortiro.
Sanza rifponder gli occhi fu levai ,
E vidi lei, che fi facea corona
Riflettendo da fe gli eterni rai .
Da quella region , che più fi tuona ,
Occhio mortale alcun tanto non difta ,
Qualunque in .mare più giù s' abbandona ,
Quanto 11 da Beatrice la mia vifta :
Ma nulla mi facea ; che fua effige
Non difcendeva a me per mezzo mifta .
O donna , in cui la mia fperanza vige ,
E che foffrifti per la mia falute
In Inferno lafciar le tue veftige, t
Di tante cofe , quante io ho vedute ,
Dal tuo podere , e dalla tua boutade
Riconofco la grazia e la virtute.
Tu m' hai di fervo tratto a liberiate
Per tutte quelle vie , per tutt' i modi ,
Che di ciò fare avean la poteftate.
La tua magnificenza in me cuftodi,
Sì che 1' anima mia , che fatt'hai fana,
Piacente a te dal corpo fi difnodi .
Così orai : e quella sì lontana,
Come parca , forrife e riguardommi ;
Poi fi tornò all'eterna fontana .
3o<? DEL PARADISO
E '1 fanto Sene : Acciocchè tu affommi
Perfettamente, diffe, il tuo cammino,
A che prego , ed amor fanto mandommi ,
Vola con gli occhi per quefto giardino :
Che veder lui t' accenderà lo fguardo
Più al montar per lo raggio divino :
E la Regina del Cielo, ond'i'ardo
Tutto d' amor , nè farà ogni grazia,
Perocch' io fono il fuo fede) Bernarda .
Quale è colui , che forfe di Croazia
Viene a veder la Veronica noftra ,
Che per l'antica fama non fi fazia,
Ma dice nel pemìer , fin che fi moftra ,
Signor mio Giesù Crifto Dio verace ,
Or fu sì fatta la fembianza voftra?
Tale era io mirando la vivace
Carità di colui, che'n quefto Mondo
Contemplando guftò di quella pace .
Figliuol di grazii •, quello eflfer giocondo,
Cominciò egli, non ti farà noto
Tenendo gli occhi pur quaggiufo al fonda:
Ma guarda i cerchi fino al più remoto.
Tanto che veggi feder la Regina ,
Cui quefto regno è fuddito e devoto.
Io levai gli occhi : e come da mattina
La parte Orientai dell'orizzonte
Soverchia quella , dove 1 Sol deelina ;
CANTO XXXI. 307
Così quafi di valle andando a monte ,
Con gli occhi vidi parte nello ftremo
Vincer di lume tutta 1' altra fronte .
E come quivi, ove s'afpetta il temo,
Che mal guidò Fetonte , più s'infiamma,
E quinci e quindi il lume è fatto fcemo ;
Così quella pacifica Oriafiamma
Nel mezzo s' avvivava ; e d' ogni parte
Per igual modo allentava la fiamma .
Ed a quel mezzo con 1* penne fparte
Vidi più di mili' Angeli feftanti ,
Ciafcun diftinto e di fulgore e d'arte.
Vidi quivi a' lor giuochi ed a' lor canti
Ridere una bellezza, che letizia
Era negli occhi a tutti gli altri Santi .
E s'io avelli in dir tanta divizia,
Quanto ad immaginar, non ardirei
Lo minimo tentar di fua delizia .
Bernardo, come vide gli occhi miei
Nel culdo fuo calor tìfli ed attenti ,
Gli fuoi con tanto affetto volfe a lei.
Che i miei di rimi rat fé' più ardenti.
3o8 DEL PARADISO
CANTO TRENTESIMOSECONDO .

ARGOMENTO.

// Santo Abate Bcrnardo iimojlra al Fotta F or


dine ed il compartimento df feggi , in cui fa-
vano i Santi osi del vecchia come del nuovi
Teftamznto; e principalmente gli da a vedtrt
/' alti/ima gloria ài Maria Vergine , e gli cc-
celftfofti da' Santi più ragguardevoli.

XxFfetto al fuo piacer quel contemplante


Libero uficio di dottore aflunfe ,
E cominciò quefte parole fante :
La piaga, che Maria richiufe ed unfe,
Quella, ch' è tanto bella da'fuoi piedi,
È colei, che l'aperfe e che la punfe .
Nell'ordine, che fanno i terzi fedi,
Siede Rachel di fotto da coftei
Con Beatrice , sì come tu vedi .
Sarra, Rebecca, Judit, e colei,
Che fu bifava al Cantor, che per doglia
Del fallo diffe ififerere mei ,
Puoi tu veder così di foglia in foglia
Giù digradar, com' io, ch' a proprio nome
Vo per la rofa giù di foglia in foglia .
CANTO XXXIT. 30
E dal fettimo grado in giù , sì come
InCno ad effo , fuccedono Ebree ,
Dirimendo del fior tutte le chiome:
Perchè fecondo lo fguardo , che fee
La Fede in Crifto, quefte fono il muro,
A che fi parton le facre fcalèe.
Da quefta parte , onde '1 fiore è maturo
Di tutte le fue foglie, fono affifi
Quei, che credettero in Crifto venturo.
Dall' altra parte , onde fono intercifi
Di voto i femicircoli , fi ftanno
Quei , ch' a Crifto venuto ebber li vifi .
E come quinci il gloriofo fcanno
Della Donna del Cielo , e gli altri fcanni
Di fotto lui cotanta cerna -fanno ;
Così di centra quel del gran Giovanni,
Che fcmpre fanto il difetto e'1 martire
Sofferfe , e poi l' Inferno da due anni :
E fotto lui così ccrner fortiro
Francefco, Benedetto, e Agoftino,
E gli altri fin quaggiù di giro in giro.
Or mira l' alto provveder divino :
Che l'uno e l'altro afpetto della Fede
Igualmente empierà quefto giardino.
E fappi, che dal grado in gii:, che fiede
A mezzo '1 tratto le duo difcrezioni ,
Per nullo proprio merito fi fiede,
3ro DEL PARADISO
Ma per l'altrui con certe condizioni:
Che tutti quefti fono fpitti affolli
Prima ch'aveflcr vere elezioni.
Ben te ne puoi accorger- per li volti ,
Ed anche per le voci puerili,
Se tu gli guardi bene, e fe gli afcold.
Or dubbi tu , e dubitando fili :
Ma io ti folverò forte legame,
In che ti ftringon li penfier fottili.
Dentro all'ampiezza di quefto reame
Cafual punto non puote aver fito ,
Se non come triftizia, o fete, o fame:
Che per eterna legge è ftabilito
Quantunque vedi, sì che giuftamente
Ci fi rifponde dall' anello al dito .
E però quefta feftinata gente
A vera vita non è fine caufa :
Entrafi qui più e meno eccellente.
Lo Rege, per cui quefto regno paufa
In tanto amore ed in tanto diletto,
Che nulla volontade è di più aufa-,
L'e menti tutte nel fuo lieto afpetto
Creando a fuo piacer di grazia dota
Diverfamente : e qui baffi l'effetto.
E ci6 efpreffo e chiaro vi fi nota
Nella Scrittura fanta in que' gemelli,
Che nella Madre ebber l'ira cominola.
CANTO XXXII. 311
Però, fecondo il color de' capelli
Di cotal grazia, l'altiffimo lume
Degnamente conyien che s' incappelli .
Dunque fanza mercè di lor coftume
Locati fon per gradi differenti,
Sol differendo nel primiero acume.
Baftava sì ne'fecoli recenti
Con l'innocenza, per aver falute,
Solamente la Fede de' parenti.
Poichè le prime etadi fur compiute ,
Convenne a' marchi all'innocenti penne,
Per circoncidere, acquielar virtute:
Ma poichè '1 tempo della Grazia venne,
Sanza battefmo perfetto di Crifto
Tale innocenza laggiù fi ritenne.
Riguarda ornai nella faccia, ch' a Crifto
Più s' afforriiglia : che la fua chiarezza*
Sola ti può difporre a veder Crifto.
Io vidi fovra lei tanta allegrezza
Piover portata nelle menti fante
Create a trafvolar per queil' altezza ,
Che quantunque io avea vifto davante ,
Di tanta ammirazion non mi fofpefe,
Nè mi moftrò di Dio tanto fembiante.
E queil' amor, che primo lì difcefe,
Cantando Ave, Maria, graiia piena,
Dinanzi a lei le fue ale diflefe .
3 li DEL PARADISO
Rifpofc alla divina cantilena
Da tutte parti la beata Corte,
Sì ch'ogni villa fen'fe'più ferena.
© fatuo Padre, che per me comporte
L'effer quaggiù lafciando'l dolce loco,
Nel qual tu fiedi per eterna forte,
Qual' è quell' Angel , clic con tanto giucco
Guarda negli occhi la noftra Regina
Innamorato sì , che par di fuoco ?
Così ricorfi ancora alla dottrina
Vi colui , ch' abbelliva di Maria ,
Come del Sol la ftella mattutina.
Ed egli a me: Saldezza e leggiadria,
Quanta effer puotc in Angelo ed in alma ,
Tutta è in lui, e sì volem che fia:
Perdi' egli è quegli, che portò la palma
Gfcifo a Maiia, quando '1 Figliuol di Dio
Carcar fi volfe della noftra falma .
Ma vienne ornai con gli occhi, sì com'io
Andrò parlando , e nota i gran pattici
Di quefto Imperio gluftiflimo e pio.
Quei duo, che feggon lafsù più felici,
Per cffer propinquiffimi ad Auguftaj
Son d' efta rofa quafi due radici .
Colui, che da (inifrra le s'aggiufta,
È'1 Padre, per lo cui ardito gufto
L' umana fpecie tanto amaro gufia .

Dal
CANTO XXXII. 313
Dal deftro vedi quel Padre vetufto
Di Santa Chiefa, a cui Crifto le chiavi
Raccomandò di quefto fior venufto.
E que' , che vide tutt' i tempi gravi ,
Pria che moriOe, della bella fpofa,
Che s'acquiftò con la lancia e co' chiavi,
Siede lungh'effo : e lungo l'altro pofa
Quel Duca, fotto cui viffe di manna
La gente ingrata mobile e ritrofa.
Di contro a Pietro vedi federe Anna
Tanto contenta di mirar fua figlia ,
Che non muove occhio per cantare Ofanna.
E contro al maggior Padre di famiglia
Siede Lucia, che moffe la tua donna,
Quando chinavi a ruinar le ciglia.
Ma perchè '1 tempo fugge, che t'affonna,
Qui farem punto , come buon fartore ,
Che, com'egli ha del panno, fa la gonna:
E drizzeremo gli occhi al primo Amore ,
Sì che guardando verfo lui penètri,
Quant'è poffibil, per lo fuo fulgore.
Veramente, nè forfe, tu t'arretri,
Movendo 1' ale tue credendo oltrarti :
Orando, grazia convien che s'impetri;
Grazia da quella, che puote aiutarti:
E tu mi feguirai con l' affezione,
Sì che dal dicer mio lo cor non parti :
E cominciò qucfla fanta orazione.
Danti , Tonto IL O
3i4 DEL PARADISO

CANTO TRENTESIMI O TERZO.


ARGOMENTO.

S. ternario frega con una fervente orazione


Maria forgine, affinchè e/a impetri al Poeta
virtìi di poter levarji alla vijìone ili Dio : dopo
ili che Dante giunfe a penetrar con lo fguardo
tuli' eterna luce divina , in cui vide rjuguftif-
fma Triade,e la Divinità con la Umanità nella
ferfutta del Verbo congiunte .

Ergine Madre, figlia del tuo Figlio,


Umile ed alta più che creatura ,
Termine fiffo d'eterno configlio,
Tu fe' colei , che l' umana natura
Mobilitafti sì , che '1 fuo Fattore
Non fi fdegnò di farfi fua fattura .
Nel ventre tuo fi raccefe l'amore,
Per lo cui caldo nell' eterna pace
Così è germinato quefto fiore.
Qui fe' a noi meridiana face i
: Di cantate , e giufo intra i mortali
Se' di Iperanza fontana vivace.
CANTO XXXIII. 3'S
Donna, fe' tanto grande, e tanto vali,
Che qual vuoi grazia, e a te non ricorte,
Sua difianza vuoi volar fenz'ali .
La tua benignità non pur foccorre
A chi dimanda , ma molte fiate
Liberamente al dimandar precorre.
In te mifericordia , in te pietate,
In te magnificenza , in te s' aduna
Quantunque- in creatura è di bontate .
Or queili, che dall'infima lacuna
Dell' Univerfo infm qui ha vedute
Le vite fpiritali ad una ad una,
Supplica a te per grazia di virtute,
Tanto che poffa con gli occhi levarli
Più alto verfo l' ultima falute .
Ed io, che mai per mio veder non arfi
Più, ch' i'fo per lo fuo, tutti i miei prieghi
Ti porgo, e prego, che non fieno fcarfi:
Perchè tu ogni nube gli disleght
Di fua mortalità co' prieghi tuoi,
Sì che'1 fommo piacer gli fi difpieghi.
Ancor ti prego, Regina, che puoi
Ciò che tu vuoi , che tu confervi fani
Dopo tanto veder gli affetti Tuoi.
Vinca tua guardia i movimenti umani :
Vedi Beatrice con quanti Beati
Per li miei prieghi ti chiudon le mani.
3i<? DEL PARADISO
Gli occhi da Dio diletti e venerati
Fiffi negli orator ne dimoftraro
Quanto i devoti prieghi le fon grati .
Indi ali' eterno lume fi drizzaro ,
Nel qual non fi de' creder, che s' invii
Per creatura l'occhio tanto chiaro .
Ed io , ch' al fine di tutti i difii
M' appropinquava, sì com'io doveva,
L' ardor del deriderio in me finii .
Bernardo m'accennava e forrideva,
Perch'io guardaffi in fufo: ma io era
Già per me fteffo tal , qual' ei voleva :
Che la mia vifta venendo fmcera,
E più e più entrava per lo raggio
Dell' alta luce , che da fe è vera .
Da quinci innanzi il mio veder fu maggio
Che '1 parlar noftro , ch' a tal vifta cede ,
E cede la memoria a tanto oltraggio.
Quale è colui, che fognando vede,
E dopo'1 fogno la paffione impreffa
Rimane, e l'altro alla mente non riede ;
Cotal fon' io, che quali tutta ceffa
Mia vifione , e ancor mi diftilla
Nel cor lo dolce, che nacque da efla-:
Così la neve al Sol fi difigilla :
Così al vento nelle foglie lievi
Si perdea la fentenzia di Sibilia.
CANTO XXXIII. 317
O fomma luce, che tanto ti lievi
Da' concetti mortali, alla mia mente
Riprefta un poco di quel, che parevi:
E fi la lingua mia tanto poffente,
Ch'una favilla fol della tua gloria
PotTa lafciare alla futura gente :
Che per tornare alquanto a mia memoria,
E per fonate un poco in quefti verfi ,
Più fi conceperà di tua vittoria .
Io Credo , per l' acume ch' io fofferfi
Del vivo raggio, ch'io farei fmarrito,
Se gli occhi miei da lui foffero avveifl.
E mi ricorda, ch' i' fu' più ardito ,
Per quefto a foftener , tanto ch' io giuufi
L' afpetto mio col valore infinito .
O abbondante grazia , ond' io prefuufi
Ficcar lo vifo per la luce eterna
Tanto , che la veduta vi confunfi l
Nel fuo profondo vidi , che s'interna
Legato con amore in un volume
Ciò, che per l'Univerfo fi fquaderna :
Suftanzia ed accidente, e lor coftume.
Tutti conflati infieme per tal modo ,
Che ciò, ch'io dico, è un femplice lume.
La forma univerfal di quefto nodo
Credo, ch'io vidi, perchè più di largo,
Dicendo quefto , mi fento ch' io godo ,
3i8 DEL PARADISO
Un punto folo m' è maggior letargo,
Che venticinque fecoli alla'mptefa,
Che fe'Netnmo ammirar l' ombra d'Argo.
Così la mente mia tutta fofpefà
Mirava fiffa immobile e attenta,
E fempre nel mirar faceafi accefa .
A quella luce cotal fi diventa ,
Che volgerli da lei per altro afpetto
È impoffibil , che mai fi confenta :
Perocchè '1 ben, ch' è del volere obbietto,
Tutto s'accoglie in lei; e fuor di quella
È difettivo ciò, ch' è 11 perfetto.
Ornai farà più corta mia favella
Pure a quel, ch'io ricordo, che d'infante,
Che bagni ancor la lingua alla mammella :
Non perchè più ch' un femplice fembiarrte
Foffe nel vivo lume, ch'io mirava,
Che tal' è fempre, qual s'era davantej
Ma per la vifta , che s' avvalorava
In me guardando una fola parvenza,
Mutandon!' io , a me fi travagliava .
Nella profonda e chiara fuffiftenza
Dell'alto lume parvemi tre giri
Di tre colori e d' una continenza :
E 1' un dall'altro, come Iri da Iri,
Parca refieflb : e '1 terzo parca fuoco ,
Che quinci e quindi egualmente fi fpirj.
CANTO XXXIII.
O quanto è corto T dire, e come fioco
Al mio concetto l e quefto a quel , ch''io vidi ,
È tanto, che non bafta a dicer poco.
O luce eterna, che fola in te fidi,
Sola t'intendi, e da te intelletta
Ed intendente te a me arridi ;
Quella circulazion , che sì concetta
Pareva in te, come lume rifleffo,
Dagli occhi miei alquanto circonfpetta ,
Dentro da fe del fuo colore fteffo
Mi parve pinta della noftra effige:
Perchè '1 mio vifo in lei tutto era meffo-.
Qual'è il geomètra, che tutto s' affige
Per mifurar lo cerchio , e non ritruova ,
Penfando r quel principio, ond'egli indige;
Tale era io a quella vifta nuova :
Veder voleva come fi convenne
L'imago al cerchio, e come vi s' indova ;
Ma non eran da ciò le proprie penne :
Se non che la mia mente fu percofla
Da un fulgore , in clic fua voglia venne .
AH' alta fantafia qui mancò poffa :
Ma già volgeva'l mio difiro e'1 velie,
Sì come ruota, che igualmente è moflà,
L'amor, che muove '1 Sole e l'altre ftelle.

Fine della Terza, ed ultima Cariile*.

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