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ANGELICUM 80 (2003) 339-367 339 Antropologia biblica PreTRO Paoto Zerara, O.P. Pontificia Universita 5. Tornmusy, Roma Introduzione* L’ebraico, l'aramaico e il greco indicano il genere umano, la persona indi- vidua, i] maschio e la femmina con una svariata terminologia. Fondamental- mente I’uomo é un corpo individuo che gode di una vita esterna partecipatagli da Dio. Per natura ¢ mortale, essendo l'immortalita monopolio specificamente divino. E un essere dipendente nella natura in quanto creato € nella storia in quanto assunto da Dio. Davanti a Dio é un servo, creato specialmente per il servizio cultuale. Allo stesso tempo € autonomo e responsabile dei suoi atti sot- to la regia sovranita di Dio. Fatto ad immagine divina, tende verso la patria cele- ste. Peccatore e redento, vive nella rigenerazione dello Spirito Santo. 1. La terminologia masoretica Il genere umano & 27% ‘adam, uomo, dalla radice o7x ‘dm, che indica il ros- sore, Dalla medesima radice proviene 7% ‘ddamah, terra, con riferimento al suo colore rossastro. Parallelamente, in accadico !’uomo é chiamato salmat qaqqa- di, nero di testa, con riferimento alla nigredine dei capelli. Dio creo i] genere umano, 278 ‘adam, a sua imagine (Gn 1,27); si propose di sterminare il medesi- mo genere umano, c7x “adam, assieme agli animali, dalla faccia della terra (Gn 6,7). La parola c7x ‘adam puo significare un uomo individuo (Gn 16,12; Lv 5; Ne 2,10) e anche il primo uomo, Adamo, come nome proprio senza articolo (Gn ~ 4,25; 5,1.3.4.5; 1 Cr 1,1). La forma aramaica 27x “adam non appare nel TM. Delle volte il genere umano é@ wux ‘énd5, uomo, dalla radice ex ‘ns, che indica Ja debolezza, la mollezza: Jahweh voleva cancellare il ricordo degli ebrei ~ dal genere umano, dux ‘ends (Dt 32,26); c’é una servitd per |'uomo, sux énd5, ~ sulla terra (Gb 7,1). Il termine zx “nds puod anche significare |l’uomo indivi duo (Gb 5,17; 13,9; Sal 55,14). La corrispondente forma aramaica, oun ‘@ndi, puo significare il genere umano (Dn 4,14) o |'uomo individuo (Esd 4,11). Altre volte il genere umano é cin ya ben-’énds, figlio d’uomo: Dio tiene conto dell’uomo, wax-y2_ ben-'ends (Sal 144,3). Talvolta @ semplicemente wx ‘i3, uomo, dalla radice wx 75 o wx ‘ws che indica la forza: le vie dell’uomo, wx 7S, stanno davanti agli occhi di Jahweh (Pro 5,21); VAssiria cadra per una spada non di uomo, vx “i (Is 31,8). La mede- Accogliamo ¢ presentiamo volentieri questo contributo sintetico del Padre Zerafa per lunghi anni professore di S. Scrittura all'Angelicum e collaboratore della rivista. 340 PIETRO PAOLO ZERAFA, O.P. sima forma pud anche significare l'uomo individuo (Gb 9,32). Generalmente ox “is si dice degli uomini; raramente si riferisce agli animali per indicarne il maschio (Gn 7,2); eccezionalmente si dice di Dio per esprimerne la personali- ta: Janweh é sant 78 mil-hamah, uomo [persona] di guerra, guerriero (Es 15,3). La forma aramaica mx 7t non appare nel TM. a) — Luoma individuo L'uomo individuo é stx42 ben-“adam, figlio d’uomo: beato l'uomo, 27872 ben-‘adam, che si attiene alla norma (Is 56,2); Dio non @ un uomo, o7KNy2 ber- ‘adam, perché si penta (Nm 23,19). La corrispondente forma aramaica, 27% bar-‘adam, non appare nel TM. L'individuo puo essere semplicemente ox ‘adam, uomo: Neemia era un uomo, ‘adam, che cercava il benessere dei figli di Israele (Ne 2,10); l’'uomo, o7x “adam, stolto disprezza la madre (Pro 15,20) Delle volte l’individuo @ dux ‘ends, uomo: beato |'uomo, sux ‘ends, che Dio corregge (Gb 5,17); si pud ingannare un uomo, wx “énds, non Iddio (Gb 13,9). I termine zvux “ends sta in parallelismo con 27x ‘adam (Is 13,12) e con omg 2 ben-adam (Is 56,2). Lindividuo @ anche ox uomo (qualcuno), 0 2x12 ben- ‘is, figlio d’uo- mo: Dio non € un uomo, &x 75, come Giobbe (Gb 9,32); Jahweh e Dio e non uomo, 2x 75 (Os 11,9); gli uomini, sx722 Dné- 7, non devono amare la vani- ta (Sal 4,3). I] termine wx ‘ZS sta in parallelismo con cvx ‘adédm (Is 2,9) e con omy 3 ben-‘adam (Ne 23,19). Il termine 2x42 ben-f§ sta in parallelismo con a7x ‘adam (2 Sam 7,14). * Maschio Il maschio degli uomini e degli animali é 2 z@kdr, sostantivo o aggettivo dalla radice ignota; il corrispondente accadico e zikaru, zikru. Il patto tra Jah- weh e Abramo assieme alla sua discendenza esige la circoncisione di ogni maschio, 73! zakar (Gn 17,10); ogni maschio, “st zakar, tra i figli di Aronne potra mangiare dell’offerta farinacea (Lv 6,11); |’animale del sacrificio pasquale deve essere senza difetti, maschio, 75) zakar, dell'anno (Es 12,5). La forma aramaica 737 d‘kar non appare nel TM. Delle volte il maschio é@ 723 geber, dalla radice 21 gbr che indica Ja forza, il valore. [] termine si trova prevalentemente nei testi poetici e significa il maschio come forte, valoroso, distinto dalle donne, dai bambini e dagli uomi- ni inabili alla guerra: Mosé voleva condurre fuori dall’Egitto tutto il popolo con i suoi giovani e vecchi, con i figli ¢ le figlie, ma il Faraone voleva concedere I'u- scita solo agli adulti maschi, o-33 g‘barim, plurale di 123 geber (Es 10,9-11); Gio- vanni figlio di Kareca e tutti gli ufficiali portarono nella terra d’Egitto i maschi adulti, o-31 g«barim, le donne e i bambini (Ger 43,5.6). Il termine 72: geber pud ANTROPOLOGIA BIBLICA 341 anche significare un uomo in generale (Gb 4,17), un maschio in generale (Gb 38,3) e un neonato sano (Gb 3,3). Pud stare in parallelismo con -> zakar (Ger 30,6) @ con wx ‘énds (Gb 4,17), La forma aramaica és: gbar (Dn 2,25; $,11) Dalla medesima radice >=: derivano anche Je seguenti forme ebraiche. I] verbo az yabar, essere forte, esprime la forza o fortezza dell'uomo (Gb 21,7), di Dio (Is 42,13), degli attributi divini (Sal 103,11), dell’acqua (Gn 7,18) e di ogni cosa (Sir 39,21; testo ebraico non masoretico). L'aggettivo (o sostantivo) maschile s922 gibbor esprima la forza o il valore degli animali (Pro 30,30), degli vomini (Gn 10,9) edi Dio (Dt 10,17). I sostantivo femminile m grberet significa una srbirah, & il titolo ono- rifico della moglie principale del Faraone (1 Re 11,19) e della madre del re di Giuda (1 Re 15,13) Altre volte il maschio si chiama semplicemente = 7 (qualcuno): un toro padrona (Gn 16,4). Un altro sostantivo femminile, ~ che cozza e ammazza un uomo, tx ‘7s, o una donna, verra lapidato (Es 21,28); un uomo, &x 7s, 0 una donna che cadono nell’idolatria saranno lapidati a mor- te (Dt 17,2). fl termine ex ‘i5 pud stare in parallelismo con ba‘al, dominatore, dalla radice >: + 2Gkar (Gs 5,4). L'uomo sposato & ‘I che esprime il dominio: una donna ripudiata che si risposa e viene di nuovo npudiata o acquista la liberta per via della morte del secondo marito, non puo essere ripre- sa dal primo marito, Sy= ba‘al (Dt 24,4). Besabea apprese la notizia della mor- te di Uria e fece lutto per suo marito, by3 ba’al (2 Sam 11,26). In questo senso Jahweh @ Sys ba‘al metaforicamente (Os 2,18). Il medesimo termine puo signi- fica un dominatore (Is 16,8), 0 un proprietario (Es 21,28) e puo indicare una competenza (padrone di un/arte, incantatore, Qo 10,11) o un sentimento (padrone d’ira, irascibile, Na 1,2). Pud anche stare come un nome 0 titolo divi- no presso gli abitanti di Canaan (Gde 2,13), Ugarit (Leggenda di Keret, ANET p. 144), Tiro (Lettera di Amarna, ANET, p. 484) e anche dell’Egitto (Supplica egi- ziana, ANET p. 280). La forma aramaica corrispondente é sy> bel, Esd 4,8.9.17). Dalla medesima radice bz= b‘! deriva il verbo S22 ba‘al che significa dominare (1 Cr 4,22) e sposare (Dt 21,13). Molte volte il marito si chiama semplicemente 2x 7, uomo (Gn 3,6.1 16,3; 29,32.34; Lv 21,7; Nm 30,7; Dt 28,56). Anche Jahweh si chiama 2 in quanto marito del suo popolo (Os 2,18). In 2 Sam 11,26 2» He S22 ba‘al stanno in parallelismo. * Femmina La femmina degli uomini e degli animali di ogni eta pi négébah, tem- mina, di radice ignota, l'opposto propriamente di zy 2akar (Gn 1,27; 5,2; Lv 12,5.7) ma anche di 723 geber (Ger 31,22): Dio cred |'uomo e lo cred maschio, s3t 2dkar, e femmina, 222 n¢gébah (Gn 1,27); la donna che partorisce una fem- 342 Pierro PaoLo ZeKAra, O.P. mina, 3p) n:gébah, sara impura due settimane (Lv 12,1); nell'arca di Noe gli animali entrarono a coppie, mast zakar, e femmina, 7372 nqebah (Gn 7,9). La corrispondente forma aramaica, 72270 miqebah non appare nel TM. Molte volte la femmina di ogni eta tra gli uomini, gli animali ¢ tutte le cose é nex “iSa@h, donna, dalla radice wx ‘nS che esprime la debolezza, la mol- lezza. I] termine nzK “issah e l’opposto proriamente di ox 7§ (Es 36,6; Dt 17,2.5) ma anche di o7x ‘@dam (Qo 7,28). Il popolo aveva contribuito troppo per la costruzione de! santuario: nessun uomo, wx ‘if 0 donna, mex ‘“issah, doveva contribuire di pit (Es 36,6); chi casca neil'idolatria, uomo, ox ‘i§ 0 donna, 79x “issah, verta lapidato (Dt 17,2.5); Noe doveva prendere nell’arca sette coppie di animali, maschio, mx ‘iS, e femmina, myx ‘issah (Gn 7,2); le tende del san- tuario del deserto dovevano esse attaccate insieme, una, 19x ‘15a, all'altra (Es 26,3.3,5,17; cf. Ez 1,923; 3,13). La donna maritata é "vs ‘alah (dominata, participio passivo Qal del verbo 59> ba‘al) 0 Sy; nby3 b‘ulat-ba‘al (dominata dal dominatore): Dio ammo- ni il re di Gerar per aver preso Sara che era maritata, ya nbya be‘ulat-ba‘al (Gn 20,3); se un uomo dorme con una donna maritata, 5 be'tulat-ba‘al, mori- ranno tutti e due (Dt 22,22). La terra promessa é metaforicamente maritata, nbws be‘iilah, perché Dio la prende per sposa (Is 62,4). Delle volte la donna mari- tata si chiama semplicemente nex “sSGh, donna (Gn 2,24.25; 3,8.17; 4,1.17) 2. La terminologia del Nuovo Testamento Il genere umano &@ &v@punog “anthrépos, uomo: un muto giumento con voce umana (del genere umano), a@panov ‘anthropou, impedi la demenza del pro feta (2 Pt 2,16); il muro della Gerusalemme celeste era alto centoquaranta- quattro braccia in misura umana (del genere umano), avOpdnov /anthrépou (Ap 21,17). Il medesimo termine indica gli uomini individui (Mt 4,19; 12,12; Mc 1,17; Le 5,10), gli sposati (Mt 19,10), i figli (Mt 10,35) i servi o schiavi (Lc 12,36) e Cristo stesso (1 Cor 15,21). A) — L'uomo individuo L'uomo individuo di ogni eta @ similmente &vopwnog ‘anthropos: dopo il parto la donna non si ricorda piti dell’afflizione per la gioia che é venuto al mondo un uomo, avapanoc ‘anthrépos (Gv 16,21); il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini, avoparos ‘dnthrépos (Mc 9,31); Paolo rinuncia alla dissimulazione e lascia a tutta la coscienza degli uomini, &vOponog ‘anthropos, di giudicarlo davanti a Dio (2 Cor 4,2). I] termine &V@penog ‘anthropos & propriamente maschile ma generalmente indica le per- sone di ambedue i sessi. Quando si referisce alle persone coniugate indica lo sposo soltanto. Nel greco classico &vOpwnos ‘anthropos appare anche come fem- ANTROPOLOGIA BIBLICA 343 minile e indica la donna (Pindaro, xv@ovixar puthionikai 4,98). Sotto Vinflus- so del]'ebraico 0 aramaico biblico, I'individuo si chiama pure viog avépunoy 8 ‘anthropou, fighio d'uomo; tutti i peccati vengono perdonati ai figli degli UOMini, tig vioig tov GvOpmruv fois ‘uiOis ton ‘anthdpon (Mc 3,28) Delle volte l'individuo @ avnp ‘anér: un uomo, &vnp “anér, di nome Zac- cheo cercava di vedere quale fosse Gesu (Le 19,2.3); Giovanni il battista annun- cid I'arrivo di un uomo, &vap ‘anér, piu grande di lui (Gv 1,30). In modo gene- rale avnp ‘anér inchiude anche le donne (Rm 4,8; Ge 1,12). Quando si riferisce alle persone coniugate indica lo sposo soltanto (Mt 1,16.19). Hi maschio di ogni eta @ apony ‘drsén 0 dpoey “drsen: il creatore da princi- pio li fece maschio, épcev ‘darsen, ¢ femmina (Mt 19,4); non c’é pit maschio, Gpoev ‘arsen, né femmina poiché tutti siamo uno in Cristo Gesu (Gal 3,28); la donna dell’Apocalisse partori un figlio, un maschio, époev ‘arsen (Ap 12,5). Nel testo di Ap 12,13 dpoev ‘arsen vuol dire semplicemente figlio. Molte volte il maschio € avnp ‘anér che puo indicare |'umanita opposta alla divinita (Gv 1,13), 0 la mascolinita opposta alla femminilita (At 8,3) o la maturita opposta alla fanciullezza e debolezza. I figli di Dio nascono non da volere d’uomo, &vap ‘anér, ma da Dio (Gv 1,13). Saulo entrave in ogni casa trascinava uomini, avnp ‘anér, e donne (At 8,3). Quelli che mangiarono del pane moltiplicato erano circa cinquemila maschi, avnp ‘anér, senza contare le femmine e i bambini (Mt 14,21). Quando era bambino Paolo si comporta- va da bambino; diventato adulto, &vnp ‘anér, abbandono cio che era da bam- bino (1 Cor 13,11). La terminologia matrimoniale per I'uomo (e per la donna) é alquanto vaga, tiflettendo la vaga rispettiva posizione del fidanzamento e delle nozze in un ambiente culturale dove il contratto matrimoniale si espleta nel fidanzamen- to. L'uomo sposato (0 fidanzato), specialmente con riferimento alla celebrazio- ne delle nozze (praticamente il fidanzato o novello sposo), & vupetog numfios: | figli del talamo (gli invitati alle nozze) non digiunano mentre lo sposo, vupgiog numfios, sta con loro (Mc 2,19); l'amico dello sposo, vopgtog numfios, esulta di gioia alla voce dello sposo, vyugios numfios (Gy 3,29). Il termine proprio per il fidanzato, jvnotnp mnéstér (aspirante), non appare nel NT. Molte volte lo spo- so & semplicemente avnp ‘anér, uomo: i farisei domandarono se é lecito a uno sposo, &vap ‘anér, tipudiare la sposa (Mc 10,2); la sposa é legata allo sposo, évnp ‘anér, finché egli vive (Rm 7,2); con riferimento alle nozze, la Gerusalemme celeste & preparata come una sposa per lo sposo, svnp ‘anér (Ap 21,2) La femmina é nd» thélu (Mt 19,4; Mc 10,6; Gal 3,28) 0 OmAeva théleia (RM 1,26), Vopposto di &paev ‘arsen: da principio il creatore li fece maschio époev ‘arsen e femmina OA» thélu (Mt 19,4); le femmine, @ndeva théleia, cambiarono i rapporti naturali in rapporti contro natura (Rm 1,26). 344 Pietro Paoto Zerara, O.P. Molte volte la femmina & yuv4 guné, l'opposto di avip ‘anér: il regno dei cie- li simile al lievito che una femmina, yun gue, impastd con tre misure di farina (Mt 13,33); quelli che mangiarono del pane moltiplicato erano circa cinquemila maschi, avip “anér, senza contare le femmine, yovy guné, e i bambini (Mt 14,21). La donna sposata (0 fidanzata), specialmente con riferimento alla cele- brazione delle nozze, @ vonen nimfé chi possiede la sposa, voppy numfe, e lo sposo, vougtog mimfios (Gv 3,29); nella Babilonia distrutta non si udra la voce dello sposo, vipipiog miémfios, o della sposa, vijupn nuim/é (Ap 18,23). Il termine voqipn mmf pud anche significare la nuora (Mt 10,35; Le 12,53). La fidanzata propriamente é pvqctetpa mndsteira (cfr. Mt 1,18; Le 1,27; 2, Molte volte la donna sposata é semplicemente yovy gund: commette adul terio chi guarda una donna sposata, yovn guné, desiderandola (Mt 5,28); lo spo- so, &vap ‘anér, renda alla sposa, yuvn guné, il debito coniugale (1 Cor 7,3) 3. Le componenti dell’uomo nel testo masoretico Molti sono gli elementi che compongono |uomo. II testo di Gb 34,14.15 nih, Valito, v3 nf Samah, la ne elenca cinque: il cuore, 35 /éb, lo spirito, ny came, 703 basar, e la polvere, apar. | tre principali sono il corpo (0 carne) ne2 basar, la natura individua, 2=2 nepes, ¢ lo spirito, myn nif, Questi elementi non sono propriamente tre frazioni distinte di un tutto divisibile in tre. Sono piuttosto tre aspetti di un tutto indivisibile. Ciascuno degli aspetti pud rap presentare tutto il complesso umano: cosi il corpo, "v2 basar: il corpo (la per- sona) del salmista trema davanti a Jahweh (Sal 119,120); cosi la natura indivi- dua, vp nep §: la natura (la persona) di Geremia esclama (Lam 3,24); cosi lo spi- rito, mm nih: il salmista affida il suo spirito (la propria persona) nelle mani di Jahweh (Sal 31,6), I tre elementi raramente vengono elencati insieme: nella mano di Dio e la natura, 23 nepeS, di ogni vivente e lo spirito, nm nih, di ogni corpo, ~23 basar, umano (Gb 12,10). Pit volte appaiono insieme due di loro. Cosi la natura, ¢=s nepeS, e il corpo 723 basar, possono essere clencati insieme come due elementi distinti che compongono la totalita della realta umana (Is 10,18) 0 stanno in parallelismo come due espressioni distinte della medesima realta (Gb 14,22). La natura, Y=) nepes, ¢ il corpo “23 basar, stanno in parallelismo per indicare i medesimi sentimenti interni (Gb 7,11; Is 26,9). Il corpo, to, nm ni#h, stanno insieme per indicare i due elementi principali della realta umana (Nm 16,22; 27,16). La dicotomia che vede nell’uomo due elementi opposti ed esclusivi, uno materiale (il corpo) e |’altro immateriale (l’anima) resta aliena alla tradizione del V. T. basar, e lo spiri- ANTROPOLOGIA BIBLICA 345 fl corpo umano Fondamentalmente l’uomo é un corpo. Dio cre Adamo quando gli modello il corpo (Gn 2,7). La vita é una cosa estranea all’uomo. E di Dio, pro- viene da lui e torna a lui. I corpo & 235% ‘ddéimah, terra, Secondo I’etimologia popolare biblica I’uo- mo si chiama erx ‘adam perché Jahweh lo modello da 38 ‘ddamah che signi- fica la terra coltivata (Gn 2,7). Fu cacciato dal giardino dell‘Eden per lavorare la terra, =gqw ‘ddamah, dalla quale era stato tratto (Gn 3,23), Al termine della vita torna alla terra, naqx ‘ddamdh (Sal 146,3.4), perché da essa era stato tratto (Gn 3,19). E pure "sy ‘Gpdr, polvere (nella LXX 700¢ choiis), perché Dio lo modello ‘apar (Gn 2,7), che qui significa la polvere della quale € costituita la terra coltivabile, myx ‘ddamah (cfr. Is 40,12). Altrove significa la polvere della super- ficie terrestre (Gn 3,14), dell’intonaco (Lv 14,41.42.45), del ferro (Gb 28,2) o dell’oro (Gb 28,6); i resti di una citta distrutta (1 Re 20,10), di una cosa fran- tumata (2 Re 23,15) 0 incendiata (Nm 19,17). Metaforicamente puo avere i! senso di senza valore (Gb 22,24), umile (Gn 18,27), umiliato (Gb 30,19), spar- so (2 Re 13,7), numeroso (Gn 13,16). L'uomo torna in polvere, 22 ‘Gpar (Gn 3,19; Gb 10,9; 34,15; Sal 104,29; Qo 3,20; 12,7), zovg choiis (1 Mac 2,63). Piu volte é carne, 93 basar, che pud significare la carne degli animali da mangiare (Gn 9,4; Es 22,30; Dt 14,8), la carne dell'uomo come distinta dalle sue ossa (Gn 2,21; Dn 1,15), le qualita umane come dolcezza {Ez 11,19; 36,26), debolezza 2 Cr 32,8), temporaneita (Sal 78,39), mortalita (Gn 3,6), corporeita (Is 31,3) 9 la solidarita dei congiunti come membri di un medesimo corpo (Gn 2,24; 37,27; 2 Sam 5,1). Significa anche il corpo dell‘uomo (o degli animali), vuol dire l’uomo stesso: l’olio sacro non si versa sul corpo, ~z2 basar, di un uomo qualunque (Es 30,32); il sacerdote indossa vestiti di lino sopra la carne, basar (Lv 6,3); il lebbroso guarito lava il corpo, 773 baSsar, con acqua (Lv 14,9); Qoélet voleva dare la sua carne (se stesso), "23 basar, al vino (Qo 2,3); con il diluvio Dio voleva sterminare ogni carne, 7z2 basar, vuol dire gli uomi- ni e gli animali (Gn 6,17). La carne qualche volta appare come -xz S*’ér, che etimologicamente for- se significa la carne interna, vicina alle ossa. Nel TM significa la carne che si mangia, il nutrimento (Es 21,10), la forza del corpo (Sal 73,26), 1 congiunti (Lv 18,12) e la propria persona: |’uomo crudele fa danno a se stesso, 7x2 Ser (Pro 11,17). Pid propriamente il corpo é mu g*wijjah. Questo termine deriva probabil- mente dalla radice 3 gwh che significa una cosa soda, il dorso, e si dice del cor- po sia vivo sia morto: nella carestia dei sette anni, agli egiziani non restava che la terra e il proprio corpo (a propria persona), =" swijjah (Gn 47,18); dopo 346 PIETRO PAOLO ZeRaFA, OP. Vesilio gli ebrei della Palestina si |amentarono percheé i re stranieri dominava- no sul loro bestiame e sui loro corpi, 12 g“wijja@h, yuol dire sulle loro persone (Ne 9,37); i filistei appesero i corpi (cadaveri), a2 g*wijjah, di Saul e di tre suoi figli alle mura di Bet-Sean (1 Sam 31, 10.12); il messia giudica fra le genti e riem- pie tutto di corpi (cadaveri), m1 g*wijjah (Sal 110,6); nel castigo di Ninive cai saranno corpi (cadaveri), 72 g*wijjah, senza fine (Na 3,3); Sansone trovo del miele nel corpo (cadavere), 71 g*wijjah, del leone che aveva ucciso (Gde 14,8.9). Nelle visioni di Daniele e di Ezechiele il corpo, 73 g*wijjah, & l’elemento fisso che regge le parti moventi come faccia, occhi, braccia, gambe (Dn 10,6) e ali (Ez 1,11.23). C’é poi il termine mp gpa, corpo, che appare una sola volta (1 Cr 10,12) ed indica il cadavere di Saul e dei suoi figli. La natura individua Ogni corpo ha delle qualita che costituiscono la propria individualita 0 personalita. La tradizione egiziana riconosce iI ka, un elemento incorporeo che tisiede nel corpo e dopo la morte sopravive nei suoi resti 0 intorno a qualche cosa che ad esso appartiene come un quadro o una statua. Nella tradizione del VT c’é il ve nepes, un fattore incorporeo che si distingue dalle varie parti del cor- po ma non si distingue dal corpo stesso: si identifica con esso, gli supplisce la sua configurazione individuale e lo rappresenta quasi come sua epitome Il wi nepes si distingue dalla carne in generale, sv basdr. Dio distrugge came, 103 basar, e up: nepes (Is 10,18); dalla carne di dentro [vicino alle ossal, “xd §’ér: l'uomo pietoso benefica il suo wp: nepes, il crudele fa danno alla sua came, "xd S“ér (Pro 11,17); dal ventre (l'interno) j22 befen: il salmista chiede pieta per il suo vps nepes e il suo 22 befen (Sal 31,10). Il 2a: mepes si identitica con la stessa natura individua: “dice il mio vp: nepes” equivale a “dico io” (Lam 3,24); “il nostro dpi nepes @ sfuggito” uguale a “noi siamo sfuggiti” (Sal 124,7); “danneggiare il nostro wa: nepes” significa “danneggiare noi stessi” (Ger 26,19). L'uomo ha una natura emotiva. Pertanto il w23 nepes puo essere la sede delle diverse emozioni come il compiacimento: i! t= nepes di Jahweh si compiace nel suo Servo (Is 42,1); ii desiderio: il ¢22 nepes del pigro brama ma non ha nulla (Pro 13,4); l’amore:; l‘innamorata cerca colui che @ amato dal suo w=) nepes (Ct 3,1); la gioia: il vey nepes del salmista esulta in Jahweh (Sal 35,9); odio: il vax nepes di Davide odiava i Gebusei di Gerusalemme (2 Sam 5,8); l’angoscia: il ‘dpa nepes di Geremia piange in segreto Ger 13,17). I viventi hanno una natura viva. Pertanto i] va) nepes pud significare la vita: Giacobbe morirebbe alla perdita di Beniamino perche il suo vm) nepes era legato al vay nepes del figlio (Gn 44,30); David non bevve Vacqua che i suoi pro- di gli portarono attraversando l’'accampamento dei filistei a rischio del loro vey nepes (2 Sam 23,17); Dio modelld I’uomo e gli soffid un alito di vita; cosi ANTROPOLOGIA BIBLICA 347 V'uomo divenne un pi nepes vivo (Gn 2,7). In Sal 26,9; Lam 3,58 la natura, vei nepes, sta in parallelismo con la vita, sr hajjim, Anche gli animali hanno una natura viva: il giusto guarda la vita, vei nepes, degli animali (Pro 12,10). Siccome nella tradizione del Y.T. la vita sta nel sangue (Lv 17,11), il 253 nepes e il sangue sono la stessa cosa (Dt 12,23), e siccome la vita appartiene a Dio e \'uomo non ne puod disporre a volonta, il sangue degli animali, cioe il corpo, 723 basar, con la sua vita, 2B: nepes, non pud essere consumato (Gn 9,4). IT morti hanno una natura morta, sono un z=) nepes morto. Il sacerdote e il nazireo sono consacrati a Dio: non si accostano al ze) nepes morto (cadave- te), neanche di un genitore (Lv 21,11; Nm 6,6). Delle volte il cadavere viene chiamato semplicemente zs3 nepes (Lv 19,28; 21,1; 22,4; Nm 5,2)6,11; 9,6:7.10; 19,11.13; Ag 2,13). ‘Tre altri termini secondari possono indicare la natura individua o perso- nalita. I primo é =} gap (corpo, altura). Un ebreo divenuto schiavo con il suo "2 gap (con la sua sola persona, senza moglie), andra libero nel settimo anno con il suo 9: sap, solo, senza compenso (Es 21,3.4). Il secondo é 5-3 gerem (0550, forza, persona); quando I'esercito proclamé feu re di Istaele, ogni soldato pre- se i] suo mantello e lo stese sotto il o73 gerem, sotto la propria persona, nel pro- Prio posto (2 Re 9,13), I] terzo €csy ‘epem (sso, sostanza, persona): c’é chi muo- re con un exp ‘esern sano, in piena salute (Gb 21,23). Alla morte il ¢e: nepes di ogni uomo si ritira nello Swxw $l, il posto del- la morte (Pro 5,5; 7,27), un luogo di tenebre, vermi e polvere (Gb 17,13-16), dove non c’é nessuna vita, nessuna attivita (Sal 6,6; Is 14,9-11; 38,16). Lo spirito di vita 11 TM non ha un sostantivo proprio per indicare la vita: impiega la for- ma £"0 hajjim, vita, come plurale astratto dell’aggettivo 7 haj, vivo. E non personifica la vita come personifica il corpo (spasima a Dio il corpo, ~33 basar [carne] del salmista, Sal 63,2), la natura individua (anela a Dio la natura, 222 nepeS, del salmista, Sal 42,2) e la morte (nelle case di Sion entro la morte, Ger 9,20). Personifica invece lo spirito della vita, nm ni*h (Sansone bevve dell’ac- qua, gli torné lo spirito e si rianimd, Gde 15,19; l’arnalecita stremato si risto- 10 ¢ gli ritorné lo spirito, 1 Samm 30,12). In tre testi incerti (Gb 41,13; Pro 27,9; Is 3,20) lo spirito della vita potreb- be essere inteso sotto il nome di ve) nepes, natura. In diversi testi lo spirito appa- re con il nome di m9¥2 nSamah (dalla radice ew: nim, anelare, ansimare) che significa lo spirito piuttosto come atto della respirazione: alla visione dell’an- gelo Daniele perdette ogni vigore e gli mancé lo spirito, il respiro new: n'Samah (Dn 10,17); Jahweh modell l’uomo e gli spiro lo spirito, il respiro, 7322 nsamah, della vita (Gn 2,7). 348 Pierro Paolo ZeRArA, O.P. Generalmente il TM chiama lo spirito nm nih dalla radice probabilmen- te nominale (nm nvh che indica il respiro come forza, vigore. Delle volte saw néSamah e ns ith stanno in parallelismo come due concetti equivalenti: i mal- vagi periscono a un soffio, respiro, 2982 n'Samah, di Dio; si perdono al respiro, spirito, mm nih, suo (Gb 4,9; cfr. 33,4). Altre volte i due termini stanno insie- el me come due concetti complementari nell’espressione m-n2a1 mis*mat nih: diluvio morirono tutti quelli che avevano nelle narici il respiro [respirazione] della respirazione [spirito], mrvnzea nismat nih, della vita (Gn 7,22; cfr. 2 Sam 22,16; Sal 18,16). Il significato originale di x7 ru*f era probabilmente connes- so con il respiro umano (il verbo denominativo ny mh si rifa sempre all’idea dell'odorare, Gn 8,21; 27,27; Es 30,38; Lv 26,31; Dt 4,28; 1 Sam 26,19; Gb 39,25; Sal 115,6; Is 11,3; 0 sentire, Gde 16,9; 0 compiacersi, Am 5,21). Nell’u- so concreto il termine ha quattro significati principali: il vento, l'incorporeo, il respiro, la vita. Il vento 1 TM menziona i quattro venti (Ger 49,36), il vento levante (Es 10,13), meridionale (Ez 42,18), occidentale (del mare, Es 10,19), settentrionale (Pro 25,23), di procella (Sal 107,25), del giorno (serale, Gn 3,8). Il vento é figura di cio che @ passeggero, senza valore o consistenza, perché passa senza lasciare traccia: la vita di Giobbe é un vento, nm nih: passa come niente (Gb 7,7); i suoi argomenti sono un vento, mn nih: non valgono niente (Gb 15,2); gli idoli del- la Babilonia sono un vento, nxn rif: non contengono niente (Is 41,29); tutto cid che accade sotto il sole é vanita, é un inseguire il vento, nm nih, (Qo 1,14; 2,11.17.26; 4,4.6; 6,9). L’incorporeo Come una cosa che non si vede con gli occhi e non si afferra con le mani il mn nith pud indicare nel TM cid che non é corporeo o carnale, cid che nel- la letteratura posteriore si chiama spirito, In questo senso Jahweh € chiamato una volta e indirettamente nm rii#h: gli egiziani sono uomini non Dio, i loro cavaili sono carne non spirito, mm nich (Is 31,3). Ma gli esseri incorporei che formano la corte di Jahweh e spesso appaiono con il nome generale di santi (Gb 5,1; 15,15; Sal 89,6.8; Dn 8,13; Zc 14,5) o figli di Dio (Gn 6,2.4; Gb 1,6; 2,1; 38,7; Sal 29,1; 82,1; 87,9) o inviati di Lui (Gb 33,23; Sal 78,49; 91,11) non sono chiamati spirito, m= rh, nel TM. Lo spirito, nx rii#h, che appare nell’e- spressione ‘Dio degli spiriti’ (Nm 16,22; 27,16) si riferisce al respiro umano che proviene da Dio. ANTROPOLOGIA BIBLICA 349 I respiro Diverse volte il nx rii4h significa il respiro di Dio o degli uomini, I mal- vagi periscono a un soffio, respiro, 7991 n'samah, di Dio; si perdono al respiro, spirito, nx rth, suo (Gb 4,9). Dio diede agli uomini tl respiro nay n'samah € lo spirito [respirazione] m= réh (1s 42,5), 0 i] respiro, +223 n'Samdh, della respi- fazione, ny rift (Gn 7,2). Il respiro, ni run, degli uomini € differente da quel- lo degli animali (Qo 3,21). Presso gli uomini il respiro, rx nih, esprime i diversi sentimenti, come la gelosia (Nm 5,14), la ribellione (Gdc 9,23), l’amarezza (Is 54,6), la prodezza (Gs 5,1). Esprime anche il sentimento 0 la disposizione in generale come quan- do uno ha il sentimento, n> nwh affranto (Ez 21,12). E puo rappresentare lo stesso uomo, soggetto del sentimento: i] salmista lascia il suo sentimento, n> nih, se stesso, nella mano di Dio (Sal 31,6). Similmente il respiro, spirito, nx nif, di Dio puo esprimere un senti- mento divino come lira (Is 30,28) e puo esprimere il sentimento in generale, come quando il sentimento, spirito, => nih, di Jahweh si impazientisce (Mic 2,7). Molte volte il sentimento, spirito, r= né“fi, di Dio o Jahweh significa Dio stesso: nella creazione lo spirito, => nif, di Dio, vuol dire Dio stesso, aleggia- va sulle acque (Gn 1,2). La vita Jahweh é vivo, 7 haj (Gs 3,10), € giura per la sua vita: “0 haj ‘ani, per quanto io viva, per la mia vita (Nm 14,21). L'uomo pure é vivo, *t haj (Lam 3,39), Egli ha la respirazione [spirito], m7 nieh, della vita, 2-0 hajjim (Gn 6,17; 7,15), 0 il respiro [respirazione], sa¢2 nSamah, della respirazione [spirito], "7 nh, della vita, ovr hajjim (Gn 7,22), o semplicemente la respirazione [spiri- to], 777 rh, che significa la vita (Qo 3,19; Ez 37,5). Dio gli elargi questa vita dopo averlo modellato, quando gli spird nelle narici il respiro [respirazionel, naz msamah, della vita, om hajjim; cosi |'uomo divenne una natura viva 77 =e: nepes ajjah (Gn 2,7). Jahweh forméd (il verbo 73: jasar) Jo spirito [respiro della vita], m- nih, del- !'uomo entro di lui (Zc 12,1); Giobbe ha lo spirito [respiro della vita], 7 rivft, nelle sue narici (Gb 27,3). Lo spirito {respiro della vital, m= nih, resta estra- neo all‘uomo, rimane proprieta di Jahweh (Gn 6,3). Dio Jo tiene nella propria mano (Gb 12,10), e I'uomo non ne pud liberamente disporre. Dio lo guarda (Nm 16,22; 27,16; Gb 10,12), lo riprende alla morte (Qo 12,7) e lo rida quan- do restituisce la vita (Ez 37,5). Nella tradizione masoretica non si trova I'idea di un’anima immateriale come un elemento costitutivo dell’uomo che conti- nua a sussistere con una esistenza propria dopo la morte del corpo. 350 PiETRO PAOLO ZERAFA, O.P. 4. Le componenti dell’uomo nella letteratura intertestamentaria La letteratura intertestamentaria comincia verso l’anno 200 a.C. Si trova nei libri apocrifi e in alcuni scritti biblici tardivi (praticarente i libri deutero- canonici del V.T.), Sotto l’influsso della tradizione greca questa letteratura fa una grande distinzione (nell’‘uomo e in ogni altra parte dell’universo) tra |’elemen- to immateriale (non semplicemente incorporeo) che ha una vera consistenza e che vale tutto e l'elemento materiale senza consistenza e senza valore. Nell'uo- mo riconosce due elementi fondamentali: il corpo, oa sora, che alla morte si riduce in cenere (Sap 2,3), e 'anima, yoxm psuché o mvedpa pnetima, che alla morte non si distrugge ma scende negli inferi dove resta viva e attiva. A proposito dell’anima dei vivi il Libro della Sapienza impiega promi- scuamente yox7 psuché e xvedpa pnetima: la sapienza non entra in un’anima, woyn psuché, malvagia, né dimora in un corpo, c@ya sdma, soggetto al male (Sap 1,4); sull’anima, yvxn psuché, pesa il corpo, cpa soma, corruttibile (Sap 9,15), quando manca la sapienza |’anima, veda pnetima, si disfa mentre il corpo, o@pa sma, si riduce in cenere (Sap 2,3); |'uomo ha |‘anima, nvevpa prewnia, in prestito (Sap 15,16). Delle volte i due termini si trovano insieme per indicare la medesima anima: Dio spird nell’'uomo un‘anima, wuyn psuche, attiva e gli infuse un’anima, nvevpo pnetima, viva (Sap 15,11). A proposito dell’anima dei morti il Libro della Sapienza similmente impie- ga sia wor psuché che zvetpo pnetima: le anime, yvyn psuché, dei giusti godono la pace: nessun tormento le tocca (Sap 3,1); al giudizio finale i malvagi hanno il tormento dell’anima, xvetya pnetima (Sap 5,3). I due termini stanno anche insie- me per indicare |’anima dei morti: 'uomo puo uccidere ma non puo riportare Vanima, xveSua pnetima, né liberare l/anima, wuz psuché, rinchiusa (Sap 16,14) Alle anime dei morti viene attribuita una svariata attivita: dolgono alla vista del male che si commette sulla terra (1 Enoch 9,10); adorano Dio ed esul- tano se sono anime buone (Testamento di Abramo 20, 12-14). L'anima di Abele ancora grida vendetta contro Caino e la sua discendenza (1 Enoch 22,7), Nel- \'Apocalisse di Mos® {Vita di Adamo e Eva - Apocalisse] l'anima di Adamo ormai separata dal corpo é lo stesso Adamo (ApMo 32,4), adagiato bocconi sulla ter- ra nel paradiso (ApMo 35,2) dove tiene un colloquio con Dio che gli promette la risurrezione e la glorificazione (ApMo 39,2.3) In questo ambiente intertestamentario gli esseri incorporei, intermedi tra Dio e l'uomo, che prima venivano chiamati generalmente santi (Gb 5,1; 15,15) 0 figli di Dio (Gn 6,2.4; Gb 1,6; 2,1; 38,7), o inviati da lui (Gb 33,23; Sal 78,49; 91,11) cominciano ad apparire come spiriti, xvedpa pnefima (Sap 7,20; I Enoch 15,4.6.8.10). Tra questi spiriti si trovano gli intermediari cattivi identificati con il serpente e diavolo (1 Cr 21,1; Sap 2,24; cfr. Sir 15,11). Sono spiriti (Tb 6,8 {versione greca]; Testamento di Simeone 4,9; 6,6; Testamento di Giuda 16,1; Testa- ANTROPOLOGIA BIBLICA En a! mento di Beniamino S,2; Flavio Giuseppe, Antichita 4,6,3; 1 Clem. 59,3; Pseudd Clemente Ometia 3,33, PG 2, 132). Sono angeli caduti a causa della sessualita (1 Enoch 6,1-6) 0 della superbia (2 Enoch 29,4-6) 5. Le componenti dell’uomo nel Nuovo Testamento INT. si allinea con la tradizione masoretica quando, (raramente), men- ziona tre elementi costitutivi dell'uomo, il corpo, cayc séma, la natura, yon psuché, ¢ lo spirito, xvedpa pneiima. Si allinea con la tradizione intertestamenta- tia quando (generalmente) ne menziona soltanto due, il corpo, o@ja sdma, e I'a- numa, vogn psuché o nvedua pnetma. Le supera tutte € due quando parla delle componenti sotto l’aspetto morale, presentando i] corpo come sede de! peccato, Ja natura come abbandonata a se stessa (non bonificata dall’elemento sopran- naturale) ¢ lo spirito come clevato al grado soprannaturale dallo spirito di Dio. 1 corpo umano IL N.T. non impiega il termine Shag démas (dal verbo nyo démd, costrui re) che generalmente significa la struttura (carcassa) dell'uomo vivo e raramente anche dell'uomo morto o degli animali. Impiega il termine capa séma che significa il corpo in tutti i sensi possibili: il corpo degli animali morti (i corpi delle vittime sacrificali vengono bruciati fuori dell’accampamento, Eb 13,11) 0 vivi (il freno in bocca ai cavalli governa tutto il loro corpo, Gc 3,3); il corpo degli uomini morti (i discepoli di Giovanni presero i] suo corpo e Jo seppelli- rono, Mt 14,12) 0 vivi (l’occhio é la lucerna del corpo; se si ammala tutto il cor- po sara tenebroso, Mt 6,22.23). ll corpo, o@pa soma, pud significare anche il sesso (Abramo credette di poter diventare padre quando aveva circa cent’anni e il suo corpo era come morto, Rm 4,18.19), 0 la persona umana (i cristiani romani devono offrire il loro corpo [se stessi] come sacrificio vivente, Rm 12,1), 0 la persona viva (chi dimora in questo corpo vive lontano dal Signore, 2 Cor 5,6). Pud pure signifi- care la realta, la cosa reale (i riti religiosi sono ombre; la realta € Cristo, Col 2,17) o la comunita (i cristiani sono un solo corpo in Cristo, Rm 12,5; 1 Cor 12,27) Esso significa specificamente la componente palpabile deli’uomo quan- do appare insieme con altre componenti come woyn psuché (Mt 6,25) 2 xved- ja pnetima (1 Cor 5,3). Il corpo @ anche oapé sarks, carne. Questo termine significa la carne degli uomini, degli animali, dei volatili, dei pesci (1 Cor 15,39) e dello stesso Cristo tisorto (Lc 24,39). Significa il corpo: l'uomo e la donna diventano una carne {un corpo] sola (1 Cr 6,16); la carne [il corpo] di Cristo non vide corruzione (At 2,31). Significa l’uomo: se i giorni di tribolazione non fossero stati abbreviati, nessun uomo [carne] si sarebbe salvato (Mt 24,22); ogni uomo [carne] vedra 352 Perko PAOLO ZeRAFA, O.P. la salvezza di Dio (Le 3,6). Significa il corpo di adesso, di questo mondo: Cri- sto ha riconciliato l’uomo con Dio per mezzo della morte nel corpo della sua carne [nel suo corpo carnale} (Col 1,22); il corpo reale: Cristo ¢ venuto nella carne (1 Gv 4,2), apparso nella carne (1 Tm 3,16); il corpo debole: lo spirito é pronto ma la carne é debole (Mt 26,4); il corpo naturale: i farisei giudicano secondo la carne, secondo cid che appare (Gv 8,15). Specificamente significa la componente palpabile dell’uomo quando si oppone ad altre componenti come yvyn psuché (Mt 10,28), mvetja puetima (Mt 26,41), vodg noms (Rm 7,25). Sotto I’aspetto morale il corpo, o@ua soma, puod avere una connotazione peggiorativa come sede delle cattive inclinazioni (Rm 6,12). Viene chiamato corpo di peccato (Rm 6,6), di carne (Col 2,11), di morte (Rm 7,24); i cristiani devono mortificare le opere del corpo (Rm 8,13). D’altra parte il corpo puo ave- re un aspetto dignitoso perché & per il Signore e il Signore é per lui (1 Cor 6,13); perché viene redento (Rm 8,23) e trasformato in un corpo glorioso (Fil 3,21) Sotto il medesimo aspetto morale la carne ote sdirks, pit del corpo, con- nota il peccato e chi si libera dalla carne si libera dal peccato. Le opere della carne sono fornicazione, impurita, dissolutezza, idolatria e altri peccati (Gal §,19-21). [1 bene non dimora nella carne (Rm 7,18); coloro che stanno nella carne non possono piacere a Dio (Rm 8,8). Lomo carnale, oapxivog sarkinos, é lasciato al peccato (Rm 7,14). I] corpo del peccato (peccaminoso, Rm 6,6) & un corpo della carne, sapé sdrks (Col 2,11). Il peccato della carne include ogni specie di peccato (non solo i peccati sessuali, Gal 5,19-21), perché anche la men- te, voiig nods, pud essere carnale, di carne, atpé sdrks (Col 2,18). Il cristiano non é pit nella carne, oapé sdrks (Rm 8,9). Con il battesimo (una circoncisione non fatta per mano di uomo) il cristiano si spoglia del corpo della carne (Col 2,11); il corpo del peccato viene distrutto (Rm 6,6). La natura dell’uomo Nei testi rari che mettono insieme tre componenti dell’uomo (corpo, natura, spirito, 1 Ts 5,23; natura, spirito, cuore, Eb 4,12), il N.T. chiama la natu- fa yoxn psuche, come il V.T. la chiama z=3 nepes. Effettivamente la LXX gene- ralmente traduce w23 nepes con wuzn psuché e raramente con altri termini come EnOupia ‘epithumia, desiderio (Dt 12,15), édevépu ‘eleuthéra, libera (Dt 21,14), il semplice pronome personale jpeig ‘émeis, noi (nel genitivo, Nm 31,50). D’al- tra parte impiega wozn psuché dove il TM non ha ze: nepes per tradurre altri ter- mini come ny nih, spirito (Gn 41,8; Es 35,21), 2 léb, cuore (2 Re 6,11), m0 hajjah, appetito (Gb 38,39). Nel greco classico won psuché primariamente significa I’alito come sor- gente di vita. Poi significa la stessa vita (Omero, fliade 5,296), la natura indi- ANTROPOLOGIA BIBLICA 353 vidua sede delle emozioni (Pindaro, Carmi di Nemea 9,39), lo stesso individuo (uomo, Euripide, Ippolito, 505; animale, Senofonte, Circa l'equitazione 11,1), una cosa qualunque (Isocrate, 12,138), l'anirna [elemento immateriale dell’uomo] (Pindaro, Frammenti 133), |e anime dei morti (Omero, fliade 23,65). Nel N.T. il senso di natura individua appare quando wort psuché sta accanto a rvevpo. pretima: la parola di Dio, piu tagliente di ogni spada, pene- tra fino alla divisione della natura, woz psuché, ¢ dello spirito, xvetwa pneti- ma (Eb 4,12; cfr, Mt 12,18); 0 con mveduc pnetima e c@ua séma insieme: tutto il nostro spirito, tvedpa pnewma, natura, wuz) psuche, e Corpo, capa séma sia irreprensibile (1 Ts 5,23). I] senso di natura appare anche quando yoyn psuché significa l'uomo in generale: ognuno (ogni yuyn psuché) era nel timore a sa dei prodigi compiuti dagli apostoli (At 2,43); 0 gli animali in generale: negli cau- ultimi tempi il secondo angelo versera la sua coppa nel mare € ogni essere vivente, worn Gwig psuché zdés, morira (Ap 16,3) Sotto l'aspetto morale yugn psuché indica la natura lasciata a se stessa, sen- za il conforto o rinforzo soprannaturale. L’'uomo la puo odiare (Le 14,26; Gv 12,25) o perdere (Mt 16,25; Mc 8,35; Le 9,24). Questo senso morale appare in modo particolare nel termine yug.xos psuchikds adibito sia come aggettivo: l'uo- mo naturale [Valgata: animalis horno| non recepisce le cose dello spirito di Dio (1 Cor 2,14; cfr. 15,44; Ge 3,15); sia come sostantivo: il primo uomo era natu- rale; il secondo, lo spirituale, venne dopo (1 Cor 15,46); i falsi dottori sono naturali, privi dello spirito (Gd 19). L’anima umana A parte i] corpo umano il N.T. generalmente riconosce soltanto un ele- mento incorporeo (l’anima umana) chiamato promiscuamente yuyn psuché o Rvedpa pnetima benché i due termini non abbiamo precisamente il medesimo significato etimologico. In questo senso wuyy psuché e ode séma formano I’'uomo completo: non bisogna temere coloro che uccidono il corpo, ada sdma, senza poter uccide- re l’anima, yoyn psuché; bisogna piuttosto temere colui che li pud far perire tut- tie due (Mt 10,28). In questa dicotomia yuyn psuché puo significare la vita dei viventi, sia animali: negli ultimi tempi il secondo angelo suona la tromba e perira un terzo delle creature de! mare che hanno la vita, wuz psuché (Ap 8,9); sia uomini: Giuseppe poteva tornare in patria perché erano morti coloro che insidiavano la vita, woxy psuché, del bambino (Mt 2,20). Puo significare I’ani- ma che da la vita, che é la sede del sentimento: l’anima, wug4 psuché, di Cri- sto era triste fino alla morte (Mt 26,38), che alla morte va via: quella notte sara domandata la vita, yoy psuché, del ricco (Le 12,20), che sopravive per con- to proprio: negli ultimi tempi I’Agnello apre il quinto sigillo e le anime, yuzn 354 PirtTRO PaOLo ZeRaFA, O.P. psuché, degli immolati per Cristo domandano la giustizia (Ap 6,9.10), che rice- ve il premio (Ap 20,4) 0 il castigo (Rm 2,9; cfr. Mt 10,39). Molte volte la dicotomia del N.T. accanto al corpo, o@pa soma, mette lo spi- rito, ’anima, xvedpa pnetima, che nella LXX quasi sempre traduce il termine n7 rii“it, Nel greco classico il verbo xvéw pneéd, dalla radice pnu, significa soffiare. Viene applicato primariamente al vento e all’aria (Omero, Odissea 4,361). Poi all’uomo che soffia con la bocca, per esempio nel flauto (Polluce 4,72) 0 allo stesso flauto che soffia (Mirino, Antologia Palatina 6,254) 0 suona (Mnesimaco 4,57). Infine all’uomo che soffia con le narici, il che vuol dire che respira e per mezzo del respiro esterna diversi sentiment o disposizioni come vita, ardo- Te, fierezza, odore. Il sostantivo nvedye pnetima significa soffio di vento, brezza, aria, senti- mento. Significa anche lo spirito dell’uomo come soffio, respiro, vita, essere vivente, odore, ispirazione. L’aggettivo mvevpatixdg preumatikds e \’avverbio Rvevpatixas pneumatikds si riferiscono primariamente a cid che concere i! ven- to (macchina a vento, nvevpatixdy [pyavov] pneumatikon |‘organon|, Vitruvio 10,1,1), Varia (Aristotele, Metereologica, 380a,23), il vapore (Plutarco, Alessandro 35), la sastanza (Strabone 1,3,5) e poi anche al respiro (Teofrasto, De Causis Plantarum 6,15,3; Aristotele, De Generatione Animalium 371a,31). Nel N.T. nvetjia pnetima significa il vento che soffia dove vuole (Gv 3,4); il respiro della vita: negli ultimi tempi i due testimoni vengono uccisi ma dopo tre giorni ¢ mezzo torna in essi il respiro della vita che viene da Dio (Ap 11,11); Vanima come |’elemento incorporeo dell’uomo (Ge 2,26), sede de! sentimen- to: l'anima di Maria esulta in Dio (Lc 1,47); l'anima che sopravvive dopo la morte: i cristiani si associano alle anime dei giusti (Eb 12,23); Cristo riprese la vita e ando a predicare alle anime nel carcere (1 Pt 3,19). Significa anche gli esseri incorporei che sono gli spiriti in generale (i sad- ducei dicono che non ci sono spiriti, At 23,8) 0 spiriti buoni (gli angeli sono spi- titi che amministrano coloro che devono salvarsi, Eb 1,14) o spiriti cattivi (Cri- sto caccid gli spiriti dagli indemoniati, Mt 8,16). Anche Dio é spirito (Gv 4,24). Gli spiriti appaiono con fattezze umane: le gerarchie pit alte degli angeli sono state create circoncise (Giubilei 15,27) per poter celebrare il sabato (Giubi- lei 2,18). Ma la loro spiritualita esclude la corporeita e tutto cid che essa com- porta: gli spiriti non hanno un corpo, non mangiano e non bevono (Testamen- to di Abramo 4,9; cfr. Tb 12,19). Non esclude pero necessariamente la materiali- ta. In greco l’immaterialita viene espressa non con mvetua. pneiima o nvevpatixds pneumatikds ma con cviic. ‘aiilia (Nicomaco di Gerasa, Arithmetica Introductio 1,3), &ibAog ‘diilos (Plutarco 2,440e), che non si trovano nel N.T. 0 nella LXX anche se ivi si trova il sostantivo #n ‘wé (materia, Sap 11,17; bosco, Gc 3,5). Poi c’é lo Spirito Santo (At 1,8) dal quale scaturisce l’aspetto morale spe- ANTROPOLOGIA BIBLICA 355 cialmente nella tradizione paolina. Questo appare in modo particolare dall’u- so dell’aggettivo o sostantivo nvevpotixos pneumatikds, spirituale. Raramente Paolo impiega questo termine con riferimento agli esseri incorporei: i cristia- ni lottano non contro il sangue o la carne ma Conwo gli spiriti, rveopatixa pneumatikd nelle regioni celesti (Ef 6,12). Molte volte nveupatixé ¢ pnewmatikés si riferisce all’opera dello Spirito Santo che tocca il naturale (corporeo, carna- le) trasformandolo in sovrannaturale. Sicché mveypattxog pneumatikds diventa l'opposto di wugixdg psuchikds, capxivos sarkinos, capKixos sarkikdés, Ltuomo naturale, wugixdg psuchikds, non recepisce le cose dello spirito di Dio; l’uomo spirituale, xvevpatixdg pneumatikds, giudica ogni cosa (1 Cor 2,14.15). Paolo doveva trattare i Corinti come carnali, cupkivég sarkinos, non come spinituali, mvevpatiKog preumatikds (1 Cor 3,1), Alla morte viene seminato un corpo natu- tale, wozixoc psuchikés, e alla risurrezione risorge un corpo spirituale, tvevatixce pneumatikés (1 Cor 15,44). | pagani di Macedonia e Acaia hanno partecipato ai beni spirituali, rvevopatixos pneumatikds, della comunita di Gerusalemme e gli rendono servizio nei bent carnali, capKixoc sarkikds (Rm 15,27). Paolo semi- no beni spirituali, nvevpatixdg pneumatikés, tra i Corinzi (1 Cor 9,11). Nel Sinai uli ebrei mangiarono il cibo spirituale, rvevpatixog preumatikos, e bevvero Ja bevanda spirituale, nveupatinas pretmatikds (1 Cor 10,3.4). Di fronte alla leg- ge spirituale, rvevpatixos pnewmatikds, Paolo si sente carnale, oupxivos sarkinos, lasciato al peccato (Rm 7,14). 6. La posizione della donna Dio cred l’uomo maschio e femmina (Gn 1,27), Di fronte agli animali la donna é superiore (Gn 2,20). Di fronte all’uomo la donna é uguale per natura (Gn 2,23). Di fronte al marito la moglie ha il diritto al nutrimento, vestiario ¢ coabitazione coniugale (Es 21,10). Nella societa la donna é inferiore all’uomo: |'ambiente biblico @ decisa- mente maschilista. Dall'uomo 6 stata tratta la donna (Gn 2,22); da lui ricevet- te il nome (Gn 2,23); per lui é stata creata (Gn 2,18) ed é diventata un inciam- po (Gn 3,6). Fin quando rimane nella casa paterna la donna sta sotto il domi- nio del padre che controlla i suoi voti (Nm 30,4-6), la da in isposa (Dt 7,6) e la puo anche vendere (Es 21,7-11; Ne 5,1-5). Con il fidanzamento passa sotto il dominio dello sposo che diventa i] suo padrone 0 dominatore, °z3 ba‘al (Gn 20,3), pagando il prezzo matrimoniale (Gn 34,12; Es 22,15.16; 1 Sam 18,25). La pratica della poligamia (Dt 21,15-17) é l'espressione piu chiara della posi- zione inferiore della donna nella societa. Essa assume una certa dignita soltanto quando diventa la madre della prole del marito (Gn 16,4); Ja donna senza figli vive nell'amarezza (Gn 30,1; 1 Sam 1,10.11). La stessa moglie del re é priva di importanza sociale e non viene chiamata regina. Invece la madre del re aveva 356 Pierro PaoLo Zerara, O.P. il titolo onorifico di signora (1 Re 15,13; 2 Re 10,13; 2 Cr 15,16; Ger 13,18; 29,2: ¢ poteva esercitare una grande influenza sul re suo figlio (1 Re 2,13-15), Acqui- sta la liberta alla morte del marito se non cade sotto il dominio di chi lo sosti- tuisce (2 Sam 12,8; 16,20-22). Si pud intravedere un certo sviluppo della posizione della donna o meglio una certa definizione della consegna dell’uomo nelle due descrizioni di Ada- mo come primo patriarca. Nella tradizione jahwista (Gn 2,4b-25; ecc.) Adamo @ centro e capo deila creazione. Per lui Dio cred il giardino di Eden, gli ani- mali e la donna. La vita coniugale era il compimento della sua persona (Gn 2,18). Non aveva lobbligo di generare: i suoi figli noti sono soltanto tre, Cai- no (Gn 4,1), Abele (Gn 4,2) e Set (Gn 4,25), Nella tradizione sacerdotale (Gn 1,1-2,4a) Adamo fu creato dall'inizio in una societa di due sessi. Assieme alla donna ricevette il dominio della terra e l’obbligo di riempire la terra (Gn 1,28) Adempi quest’obbligo generando figli e figlie (Gn 5,4), Questa sembianza di sviluppo corrisponde al passaggio dalla cultura seminomade che riconosce un dominio assoluta al capofamiglia, alla cultura sedentaria che sottopone il dorni- nio del capofamiglia all’autorita superiore degli anziani che si adunano alla por- ta della citta. Nonostante questo sviluppo la condizione sociale della donna rimase decisamente subordinata. Paolo riconobbe questa subordinazione (Ef 5,22-24; 1 Tm 2,13) e per attenuarla disse che come la donna é dall’uomo, cosi l’uomo @ per mezzo della donna (1 Cr 11,12) e se la donna fu sedotta e cadde in tra- sgressione, essa si redime partorendo figli (1 Tm 2,15). 7. Luomo mortale Lebraico o aramaico biblico e mishnico (targum, mishna, talmud) non ha un termine proprio per la mortalita. Impiega il verbo ma miit, morire (gli esuli non devono temere l’uomo che muore [mortale}, Is 51,12) 0 il sostanti- vo nv; mawet, morte (non c’@ uomo che non vede la morte, Sal 89,49). L'ebraico moderno ha l’aggettivo *nv3 maw*ti, mortale. I] greco biblico ha l’aggettivo Ovntdés thnétés, mortale (alla risurrezione questo corpo mortale, Ovntg thneétos, si veste di immortalita, 1 Cor 15,53); impiega anche l’aggettivo w@apto¢ fthartos, corruttibile (Rm 1,23; 1 Cor 15,53). Per |'immortalita l’ebraico 0 aramaico biblico non ha un termine proprio. Si serve del sostantivo cbw ‘dlam che significa un tempo lungo, sempre: Jah- weh é da sempre e per sempre (Sal 90,2); la parola di Dio rimane (il verbo ¢ qiim) per sempre (Is 40,8). L’ebraico mishnico impiega il medesimo sostantivo obw “Glam (Berakot 9,5) assieme all’aggettivo ov2 qajjajm, 22 qajjam, duraturo, dal verbo ex qm: come i] grande nome di Dio é duraturo [eterno] cosi é dura- turo {eterno] il giuramento fatto per il suo nome (Berakot 32a). L'ebraico moder- ANTROPOLOGIA BIRLICA 35: x no ha il sostantivo moo ‘alondwet, immortalita, composto dalla negazione bx ‘ale il sostantivo mz mawet, morte, Il greco biblico ha il sostantivo &éavacia ‘athanasia, immortalita: nella risurrezione si compie la Scrittura quando que- sto corpo mortale si veste di immortalita, G@avacia ‘athanasia (1 Cor 15,54). Ha anche l’aggettivo &Gaptos ‘dfthartos, incorruttibile (Rm 1,23) e i sostanti- vo GpBapoia ‘aftharsia, incorruttibilita (Rm 2,7) L'uomo muore. E mortale: tora in terra perché da essa fu tratto; € pol- vere e torna in polvere (Gn 3,19); il figlio d’uomo non é immortale, LXX aGavatog ‘athdnathos (Sir 17,30). Dio non muore. Jahweh é da sempre e per sem- pre (Sal 90,2); l'immortalita é la caratteristica piu specifica di Dio: € un mono- polio divine (1 Tm 6,1 La tradizione antica mesopotamica conosce una sola coppia umana immortale, Utnapishtim, l’eroe del diluvio, e sua moglie che dopo I'inonda- zione ottennero !'immortalita perché vennero associati agli dei da Enlil |’au- tore del diluvio (Epica di Gilgamesh IX, iii, 1-2; ANET pp. 88, 93). Cosi Utna- pishtim descrive la sua divinizzazione: “Enlil sali sulla barca, mi prese la mano e mi fece salire con lui. Fece salire mia moglie e la mise in ginocchio vicino a me, Stette in mezzo a noi, ci toccé la fronte e pronuncid la benedizione: ‘fino adesso Utnapishtim era soltanto un uomo: da ora in poi Utnapishtim e sua moglie saranno dei come noi’.” (Epica di Gilgamesh X, 189-194; ANET p. 95) Da quel momento vissero nelle montagne, lontano dagli uomini mortali. Diversi testi mesopotamici esprimono il desiderio basilare dell immorta- lita e 'impossibilita assoluta di appagarlo. Tra essi spiccano |’Epica di Gilgamesh gia menzionata, il Mito di Adapa e il Mito di Etana. Epica di Gilgamesh Questo eroe vide il suo amico Enkidu perire di morte prematura e fu osses- sionato dal desiderio di conquistare |’immortalita. Giro sulle montagne é tro- vo Utnapishtim che gli racconto [a storia del diluvio e gli rivelé che la pianta della vita si trovava in fondo al mare. Gilgamesh riusci a impossessarsi della pianta e la depose sulla spiaggia. Mentre si bagnava un serpente gliela porto via e Gilgamesh capi che l'immortalita non é per gli uomini (Epica di Gilgamesh XI, 266-310; ANET pp. 96-97). Hl mito di Adapa Ea, divinita della sapienza e della saggezza, creo Adapa (uomo) dandogli la forma umana e la sapienza divina. Adapa bisticcid con il vento € gli spezzo le ali. Anu, divinita del cielo, chiamé Adapa in giudizio con l'intenzione non di condannarlo ma di dargli il cibo della vita per renderlo divino e immotta- le. Ea non voleva rinunciare al culto che gli prestava Adapa e¢ lo convinse che 358 PieTRO Paoto Zerara, O.P. quel cibo era avvelenato. Adapa rifiutd il cibo e perdette la possibilita di diven- tare immortale (Adapa; ANET pp. 101-103). Il mito di Etana Nel tempo primordiale l’aquila e il serpente erano amici. Poi bisticciarono e il serpente strappo le ali all’aquila. Conseguentemente il popolo di Kish lan- guiva. Etana, re di Kish, si mise d’accordo con l'aquila: egli le riparo le ali e le lo porto in groppa verso il cielo per trovare la pianta del parto (se non precisamen- te dell’immortalita). Durante il tragitto le mani di Etana si irrigidirono; egli cad- de a terra e la pianta del parto gli sfuggi per sempre (Etana; ANET pp. 114-118) La storia biblica dell’albero della vita nel giardino di Eden (Gn 2,9; 3,22) serve al medesimo scopo. Adamo aveva la possibilita di acquistare |'immorta- lita per mezzo del frutto di questo albero. Pecco, fu cacciato dal giardino e per- dette il frutto della vita. L'immortalita non é per |’uomo. Nel periodo intertestamentario il Libro della Sapienza pare dire che !'uo mo per natura é immortale, perché Dio non ha fatto la morte; ha creato tutte le cose per l’esistenza; esse sono sane, senza veleno di morte (Sap 1,13,14), Dio cred I'uomo per la incorruttibilita 4g@apoia ‘aftharsia (Sap 2,23). Delle volte l’autore di questo Libro parla del]'immortalita semplicernen- te nella memoria dei posteri: meglio essere senza figli e avere la virtu poiche V'immortalita, 4@avacia ‘athanasia, sta nel ricordo di essa (Sap 4,1; cfr, 8,13.17) Dove parla dell’immortalita, c@avacia ‘athanasia, personale (Sap 3,4; 15,3; cfr. 1,15), l’autore si rifa allo stato primordiale nel giardino dell’Eden dove c’era un’armonia perfetta, senza corruzione, per tutti i viventi, anzi per tutte le cose (Sap 1,14). L’armonia andé perduta a causa del peccato (Sap 2,24), sfugge tutt’ora ai peccatori (Sap 2,24) ma rimane assicurata in favore dei giu- sti (Sap 1,15; 3,4; 15,3). Varmonia primordiale dell’Eden, con la sua incorruttibilita, riguarda in modo particolare |’elemento incorporeo, !’anima, dell’uomo. L’autore del Libro della Sapienza dipende evidentemente dalla nozione intertestamentaria che vede nell'uomo due elementi: uno corporeo e corruttibile, l’altro incorporeo e incor- ruttibile. Il futuro dei giusti comporta la vita; le loro anime stanno nelle mani di Dio dove nessun tormento le tocca (Sap 3,1). Il futuro dei cattivi comporta la morte che raggiunge solo coloro che sono dalla parte del diavolo (Sap 2,24). Que- sta non é semplicemente la morte fisica: é la perdita dell’armonia primordiale. Paolo sviluppa la dottrina del Libro della Sapienza quando dice che Cri- sto introdusse la giustificazione per la vita eterna come Adamo introdusse il peccato e la morte (Rm 5,15-21; cfr. 1 Cor 15,22). La morte introdotta da Ada- mo non é semplicemente la morte fisica, ma la perdita dell’armonia di Eden. Ela vita introdotta da Cristo non é semplicemente Ia vita fisica ma la vita eter- ANTROPOLOGIA BIBLICA 359 na: gli efesini erano morti nei peccati ma Dio diede loro la vita in Cristo (Ef 2,1-6); | colossesi erano morti nei peccati ¢ adesso sono vivi con Cristo (Co! 2,13). La differenza tra Paolo ¢ il Libro della Sapienza sta nel fatto che Paolo deriva la vita eterna dall’opera di Cristo mentre il Libro della Sapienza la deri- va dalla vita giusta Giovanni pure costruisce sulla base stabilita dal Libro della Sapienza quando dice che chi crede in Cristo non morira in eterno (Gy 11,25.26; cfr. 5,24; 6,40.50; 8,51) e quando chiama i! castigo eterno una seconda morte (Ap 2,11; 20,6). 8. Luomo creatura di Dio Assieme a tutta la natura |’uomo é un essere dipendente perché é stato creato da Dio, £ semplicemente una creatura. Nel TM Dio cred, x73 to dei cieli (Is 40,26), i confini della terra (Is 40,28), il settentrione e il mezzo- giorno (Sal 89,13), il vento (Am 4,13) Cre, x73 bard’, il genere umano (Gn 1,27), ogni individuo (Qo 12,1), il produttore e il distruttore (Is 54,16). Fece, ny ‘aah, il firmamento tra le acque (Gn 1,7), la terra e i suoi cam- pi (Pro 8,26), le bestie selvatiche (Gn 3,1). Fece, x22 ‘asah, l’uomo (Gb 32,22; 35,10), tutte le nazioni (Dt 26, 19), il salmista (Sal 119,73), il povero (Pro 14,31; 17,5), Giobbe nel seno materno (Gb 31,15). Formo, 737 jasar, tutto (Ger 10,16; 51,19), la terra ([s 45,18), la terraferma (Sal 95,5), i monti (Am 4,13), bestie selvatiche e volatili (Gn 2,19). Formé, 2 jasar, \'uomo (Gn 2,7.8), ’occhio (Sal 94,9), Geremia nel seno materno (Ger 1,5). Tessé, sdkak, il salmista nel seno materno (Sal 139,13), Giobbe di ossa e nervi (Gb 10,11). Costrui, 733 banah, in donna la costola che aveva tolto dall’uomo ne! tor- pore che gli aveva infuso (Gn 2,22) Genero, +>: jalad, i monti dopo che era esistito da sempre (Sal 90,2). In ebraico questo verbo si dice anche dell’uomo che procrea una discendenza (Gn 4,18) o produce qualche cosa (Is 59,4) Partori, Sin ful, la terra e il mondo dopo che era esistito da sempre (Sal bara’, i cieli e la terra (Gn 1,1), i cieli (Is 42,5), l’al- 90,2). Questo verbo propriamente esprime le doglie del parto ma si dice meta- foricamente dell'uomo che produce qualche cosa di ammirevole, come il capo- mastro che produce tutto (Pro 26,10). Stabili, p> kid, i cieli (Pro 3,19; 8,27), la luna e le stelle (Sal 8,4), la terra e il mondo sopra le acque (Sal 24, Ger 10,12; $1,15), i monti (Sal 65,7). Fond, ve jasad, la terra da principio (Sal 102,26; cfr, 104,5; Pro 3,19), il mon- do e quanto contiene (Sal 89,12), la terra e il mondo sopra le acque (Sal 24,1.2). 360 Pietro Paoto Zerara, O.P, Acquisté (tenne in suo dominio, produsse), 737 gandh, i cieli e Ja terra (Gn. 14,19.22), la sapienza (Pro 8,22). Acquistd (produsse) i reni del salmista (Sal 139,13). Nel N.T. Dio cre6, {il verbo] xtiGo ktizd, tutto (Ef 3,9; Ap 4,11), la crea- zione (Mc 13,19), il cielo, la terra e il mare (Ap 10,6); egli @ colui che cred, xtioas ktisas (Rm 1,25). Tutto é creatura, xtiowg ktisis (Rm 8,39) o xttopa Ktisina (1 Tm 4,4), di Dio. Cred, stitw Atizd, la donna per I’uomo (1 Cor 11.9). Fece, xoinw poiéd, tutto (At 7,50), i secoli (Eb 1,2), il mondo (At 17,24), il cielo, la terra e i] mare (At 4,24); egli @ colui che ha fatto [creato], norjoag poiésas (Mt 19,4; alcuni codici qui hanno xticag ktisas, colui che creo). Fece, noinw poiéd, |'uomo maschio e femmina (Mt 19,4). Generd, yevvaw genndd, Cristo nel seno di Maria (Mt 1,20); noi siamo anche la sua stirpe, yqvog génos (At 17,28). Tutto fu fatto, yivopr ginomai, per mezzo del Verbo e senza di lui nulla fu fatto, yivouicr ginomai (Gv 1,3). In modo particolare |’uomo é un essere dipendente nella storia della sal- vazza per mezzo del popolo di Dio creato (scelto, chiamato, assunto) apposi- tamente. Dio cred (scelse, chiamé, assunse), 873 bard’, Giacobbe (Is 43,1), Israele (Is 43,15), coloro che portano il suo nome (Is 43,3), tutti i membri del suo popo- Jo (MI 2,10). Fece, ngy ‘aéah, il suo popolo (Dt 32,6; Sal 95,6; 100,3), Giacobbe (Dt 32,15), Israele (Is 44,1.2), coloro che portano il suo nome (Is 43,7). Form, 73 jdsar, il suo popolo (Is 43,21), Giacobbe (Is 27,11; 44,1.2), Istae- le (Is 43,1), coloro che portano il suo nome (Is 43,7). Costrui, 733 bandh, di nuovo il suo popolo (Ger 24,6), la vergine di Israe- le (Ger 31,4), coloro che rimasero in Giuda (Ger 42,10), Giuda ¢ Israele [LXX Gerusalemme] (Ger 33,7). Genero, +b jalad, il re all’inizio del regno (Sal 2,7); egli é la pietra che generd il popolo e fu trascurata (Dt 32,18). Partori, 57 ful, il suo popolo (lo gener metaforicamente) e da esso fu dimenticato (Dt 32,18). Stabili, 35 kun, il suo popolo e questi lo ripago peccando contro di lui (Dt 32,6); stabili, j> kan, la citta di Gerusalemme per sempre (Sal 48,9). Fondo, “e> jasad, sugli zaffiri il popolo afflitto e sulla malachite le sue pie- tre (Is 34,11); fondo, 75 jasad, la citta di Gerusalemme per i] rifigio dei poveri (Is 14,32). Acquistd (produsse), nz qanah, la congregazione dall’antichita (Sal 74,2), il suo popolo scegliendolo (Dt 32,6) e facendolo uscire dall’Egitto (Es 15,16), il resto del popolo riportandolo dall’esilio (Is 11,11). ANTHOPOLOGIA BIBLICA 361 Dio che ha fatto tutto dirige anche tutto. Dirige gli astri (Gb 38,31-35; Sal 147,4; Is 40,26; Bar 3,35). Dirige i popoli (Am 9,7) especialmente il suo popo- lo. Lo porto verso la terra santa dalla Mesopotamia (Gn 12,1), lo fece scende- re in Egitto (Gn 15,13) e uscire dall’Egitto (Es 3,8), lo mando neil’esilio di Babi lonia (2 Cr 36,21) € lo riporto in terra santa (Esd 1,1), Nella pienezza del tem- po mando il figlio per compiere il piano della redenzione (Gal 4,4), lo sacrifico per tutti (Rm 8,32), lo risuscito (At 2,24) e lo fece sedere alla sua destra nei cie- li (EF 1,20). 9, L'uomo schiavo di Dio L'uomo € il servo di Dio che rende il servizio cultuale come uno schiavo che non ha nessun diritto davanti al adrone. L'uomo servo di Dio Nella tradizione mesopotamica I'uomo fu creato per servire gli dei (L'epi- ca della creazione V1,8; ANET p. 68), per portare il loro giogo (La creazione del- uomo dalla dea madre 7-9; ANET p. 99); Ea non volle che il suo fedele Adapa diventasse divino e immortale per non perdere ij servizio che gli prestava (Ada- pa; ANET pp. 101-103). La tradizione biblica dice dappertutto che I'uovo ser- ve Dio. Nel V.T, le genti servono, abad, i loro dei (Dt 12,2), altri dei (Dt 8,19), déi delle genti (Dt 29,17}, déi dell’estero, +3: nékdr (Gs 24,20; Ger 5,19), dei stra- nieri, 77 2arim (Ger 5,19), Baal (Gdc 2,11), Asere (2 Cr 24,18), idoli (2 Cr 33,22), le schiere celesti (Dt 4,19). Sono servi, 1=9 ‘Obéd (participio), di Baal (2 Re 10,23). Gli antenati degli ebrei abitarono nei tempi antichi oltre i] fiume e ser- virono, ‘abad, altri déi (Gs 24,2.14.15; cfr. Gdt 5,7 axokvéjw ‘akolouthéd). Poi Abramo, chiamato da Jahweh, abbandoné la Mesopotamia per i] Canaan e comincio a servire Jahweh. Gli ebrei discendenti di Abramo servono, 722 ‘abad, Jahweh (Es 3,12; 4,23; 7,16.26). Non devono servire altri déi (Dt 7,4), déi delle genti (Dt 7,16). Ma piu volte attraverso | secoli abbandonarono Jahweh e servirono, bad, gli dei delle genti (Gdc 3,6), gli dai stranieri (Ger 5,19), i Baal e le Asere (Gdc 3,7). Sono servi, 722 ‘ebed, di Jahweh (2 Re 9,7). Tra questi servi sono menzio- nati Abramo (Gn 26,24), Isacco (Gn 24,14), Giacobbe (Ez 28,25), i tre patriar- chi insieme (Es 32,13), Mos@ (Es 14,31), Giosué (Gs 24,29), Caleb (Nm 14,24), Davide (2 Sam 3,18), Ezechia (2 Cr 32,16), Zorobabele (Ag 2,23), Eliakim (Is 22,20), Giobbe (Gb 1,8), i profeti (2 Re 9,7), Flia (2 Re 9,36), Giona (2 Re 14,25), Isaia (Is 20,3), il Servo dell’esilio (Is 42,1; 49,3; 50,10; 52,13), i Germoglio, nos yemati, Messia (Zc 3,8). Rendono servizio, 772 ‘dbddah, a Janweh. Dopo l'uscita dall’Egitto gli 362 Pierro Paoto Zerara, O.P. ebrei dovevano compiere il servizio di Jahweh in Canaan (Es 12,25.26; 13,5). Le tribu di oltre il Giordano (Ruben, Gad e meta della trib. di Manasse) costrui- rono una testimonianza (altare) della loro intenzione di compiere il servizio di Jahweh (Gs 22,26.27). Al tempo di Roboamo i giudei furono fatti servi di Sisach per imparare la differenza tra il servizio di Jahweh e il servizio dei regni delle terre (2 Cr 12,18). Con la riforma deuteronomica Giosia restauré il servi- zio di Jahweh (2 Cr 35,10,16). Nelle relazioni umane |’inferiore serve, ‘Abad, il superiore. Il servo ser- ve il padrone: il servo, 72 ‘ebed, ebreo servira, 129 ‘abad, il padrone sei anni, Es 21,2). I] suddito serve il re: gli uomini di Sichem servirono, 72 ‘abad, Abi- melech (Gdc 9,28). Il re vassallo serve il re supremo: il re Ezechia si ribellé con- tro il re di Assiria e non lo volle servire, t=» ‘abad (2 Re 18,7). Ma non c’e I'i- dea generale di un servizio vicendevole tra uguali, ¢ tantomeno I'idea di un ser- vizio del superiore all'inferiore. Eccezionalmente |’opera del re @ chiamata servizio: se Roboamo diventa servo, 324 ‘ebed, del popolo e lo serve, 722 ‘Gbud, il popolo lo servira, 732 ‘abad (1 Re 12,7). Pit eccezionalmente ancora |'opera di Jahweh viene chiamata servizio: Jahweh si levera contro i consiglieri catti- vi per servire [compiere], sy ‘bad, i] suo servizio, m739 ‘abédah, un servizio, may ‘abdddh, strano (Is 28,21). Nel NT. tutta la vita cristiana viene presentata come un servizio di Dio c’@ anche l’idea generale del servizio vicendevole tra uomini uguali e del ser- vizio del superiore all’inferiore. Cristo é venuto per compiere la volonta di Dio (Gv 6,38-40; cfr. Mt 26,42; Le 22,42; Gv 4,34; 5,30; 9,31). Egli é il servo, naig pais, di Dio (Mt 12,18; At 3,13.26; 4,27.30; con riferimento al Servo dell’esilio, Is 42,1; 49,3; 59,10; 52,13) E venuto anche per servire, b1axovéw diakonéo, gli uomini (Mt 20,28; Mk 10,45; Lc 22,27). Gli apostoli hanno il servizio, Staxovia. diakonia, dell’apostolato (At 1,17.25). Sono i servi, 0dA0¢ doiilos, di Dio (At 4,29; [Paolo} Tt 1,1; [Glovan- ni] Ap 1,1). Sono i servi, S00A0¢ doillos, di Cristo ({Paolo] Gal 1,10; Fil 1,1; [Gia como] Gc 1,1). Sono i servi, dmnpntne ‘upérétés, di Cristo (1 Cor 4,1), della paro- la (Le 1,2) della rivelazione (At 26,16). Sono servi, bod40g dotilos, di tutti (2 Cor 4,5). Servono, Sovieba douletid, tutti (1 Cor 9,19). I discepoli di Cristo lo ser- vono, diaxovéw diakonéd, (Gv 12,26), Ae1tovpyéw leitourgéd (At 13,2). Sono i ser- Vi, 5iéKxovos (Gv 12,26), BodA0g doitlos, di Dio (At 16,17; 1 Pt 2,16; Ap 7,3; 19,2.5; 22,3.6). Sono servi, 600A0¢ doitlos, |’uno dell’altro (Mt 20,27; Mc 10,44) e ser- vono Staxovew diakonéé, l'un |’altro (Le 22,26). Il servizio dell’uguale all’uguale e del superiore all’inferiore si esprime con diversi termini tra cui i seguenti. ANTROPOLOGIA BIBLICA 363 Il sostantivo 6000 doiilos, servo: Paolo non é che un servo dei Corinzi per Cristo (2 Cor 4,5). Il verbo Sovk00 douléd, servire: Paolo libero da tutti si é messo a servire tutti (1 Cor 9.19) Il sostantivo 6taKovog didkonos, servo: tra j cristiani si fa servo colui che vuole diventare grande (Mt 20,26; 23,11; Mc 9,35; 10,44); Paolo é il servo del nuovo patto (2 Cor 3,6); ci sono poi i servi (diaconi) professionali (Fil 1,1; 1 Tm 3,8.12). Il verbo biaxovéw diakonéd, servire: Paolo serve [porta la colletta] la chie- sa di Gerusalemme (Rm 15,25); chi ha i carismi serve gli altri come ammini- stratore della grazia (1 Pt 4,10); il dizcono professionale serve secondo le sue competenze (1 Tm 3,10.13). I] sostantivo duaxovie diakonia, servizio: gli apo- stoli si dedicano al servizio della parola (At 6,4); Giuda aveva condiviso il ser- vizio apostolico (At 1,17); Paolo racconto agli anziani cid che Dio aveva ope- rato per suo servizio [ministero] (At 21,19; cfr. 1 Tm 1,12; 2 Tm 4,11); Timo- teo deve compiere bene il suo servizio (2 Tm 4,5) Il servizio cultuale Nel periodo seminomade (dall’inizio fino a Mose) i] popolo del V.T. ser- viva Dio attenendosi alle esigenze della chiamata di Abramo, con la quale il patriarca riconobbe Jahweh come suo Dio e Jahweh assunse la stirpe del patriar- ca come suo popolo. Queste esigenze trovarono eventualmente posto nelle clausole de! patto codificate nel decalogo morale (Es 20,2-17; Dt $,6-21). Nel periodo sedentario (da Giosue in poi) il popolo serviva Dio con il culto sacri- ficale praticato nel santuario (Es 10,26; 12,25.26; 2 Cr 35,10.16) ed eventual- mente codificato nel decalogo cultuale (Es 34,10-28). Il servizio, 7722 ‘abodah, tichiesto da Jahweh era precisamente il culto sacrificale (Gs 22,27). I sacerdo- tie i leviti erano i tecnici di questo servizio (Nm 3,7; 4,19; 7,5; 8,11; 16,9; 18,6; 1 Cr 24,3.19; 2 Cr 8,14; 31,16). Incidentalmente nella tradizione mesopotamica il servizio che Adapa prestava al suo creatore Ea era connesso con il culto nel tempio di Eridu (Adapa; ANET p. 101). E Ciro, re dei persiani, giustifica la pro- pria ascesa dicendo che Marduk lo aveva chiamato per restaurare il culto tra- scurato dai suoi predecesssori (Tavoletta di Ciro, ANET PP. 315-316). Con la distruzione del tempio di Gerusalemme e |"istituzione deila sina- goga, la preghiera orale prese il posto del culto sacrificale. I rabbini la chiama- vano servizio, nqay ‘dbodah, del cuore (Sif. Deut. 41; Taanit 26). IL N.T. resta solidale con il V.T. quando presenta il servizio di Dio come un culto liturgico impiegando i sostantivi Le1towpyoc leitourgds 0 S0dA0¢ dotilos e il verbo Aatpedw latretid con i loro derivati. Il sostantivo rertovpydg leitourgés, da Aevtés leitds, publico, Epyov ‘érgon, lavoro, indica.ogni specie di servo e anche un servo cultuale: Cristo € un som- mo sacerdote e servo, Aevtoupyoe /eitourgds, del santuario celeste (Eb 8,2). Il ver- 364 Pietro Paolo Zerara, O.P. bo Aettoupyéa leitourgéd significa servire e venerare: ogni sacerdote giorno per giorno venera, Aeitovpyée leitourgéd, Dio con gli stessi sacrifici (Eb 10,11). ll sostantivo Aevtoupyia. leitourgia significa un servizio in generale e il servizio cul- tuale: Mosé asperse la tenda e gli arredi del culto, Aevtovpyie leitourgia (Eb 9,21). Il sostantivo Sodi0¢ dotilos, da 5ém déd, legare, significa ogni specie di ser- vo e anche colui che rende il culto: nella distruzione finale saranno risparmiati i servi, S0dA0g dotilos, di Dio [coloro che gli rendono ‘1 culto] (Ap 7,3); nella Gerusalemme celeste i servi, 500A0g dorilas, di Dio [coloro che gli rendono i] cul- to] lo servono, Aatpeve latretid (Ap 22,3). Il verbo Aatpevw latretid, da Latpr¢ Idtris, mercenario, significa servire e venerare; nel N.T. ha sempre un senso religioso: i martiri stanno davanti al tro- no di Dio e lo servono, Laxpetw latretid, giorno e notte nel suo santuario (Ap 7,15). I sostantivo Aatpeia fatreia significa servizio e culto; nel N.T. ha solo un senso religioso: i sacerdoti entrano ne! santuario per rendere il culto, razpera latreta (Eb 9,6). ILN.T. riconosce come servizio fatto a Dio anche il bene che gli uomini fanno l'un l’altro, perché Cristo riconosce come fatto a sé cid che si fa per i suoi fratelli (Mt 25,40). Servizio da schiavo Davanti a Dio l’uomo non é un mercenario: ¢ uno schiavo. Dio non man- ca di retribuire il bene (Sal 37,25; Rm 2,6), ma la sua giustizia é una condi- scendenza, “cn fesed (Ger 9,23), una compassione éAg0¢ ‘éleos (Le 1,50.54). L'uo- mo é un verme (Gb 25,6; Is 41,14), senza nessun diritto. Giobbe cerco di fare valere i suoi diritti, ma fu zittito dalla teofania (Gb 38,2); Paolo espresse la per- plessita dell’uomo senza diritti, ma accettd il fatto e lo elucidé con la figura del- la creta in mano al vasaio (Rm 9,21). Luomo é Io schiavo di Dio 10. Essere autonomo e responsabile L’uomo é una semplice creatura (Gn 1,27; 1 Cor 11,9); soggetto a Dio come la creta al vasaio (Is 29,16; 45,9; 64,7; Ger 18,6; Rm 9,21), servo [schia- vo] di Dio (Gn 26,24; At 16,17) e di altri uomini (Gn 26,15; Mt 20,27), un pic- colo dettaglio di un complesso pit grande, che é la personalita corporativa (retribuzione collettiva, Es 20,6; 34,7; Dt 5,9.10; 7,9; corpo mistico, Ef 1,23; Col 1,18), debole (Sap 9,5; 2 Cor 13,4). Cid nonostante |’uomo ha un potere deci- sionale che lo rende in qualche modo autonomo e responsabile dei propri atti, come si vede dalla storia del popolo di Dio e dell'umanita intera. Nel V.T. la sede decisionale é i] cuore, 2b /éb 0 235 lébab, 11 TM menziona il cuore 858 volte. Non lo attribuisce mai a Dio benché, con forte antropo- morfismo, gli attribuisce spesso altri organi o attributi umani come mani (Gn ANTROPOLOGIA BIBLICA 365 49,24), occhi (Gn 6,8), orecchi (Nm 11,1), bocca (Es 17,1), parola (Es 9,21). Del- le volte il cuore si riferisce alle cose inanimate e indica i! loro mezzo o centro: i flutti si condensarono in mezzo al mare (Es 15,8; cfr. Dt 4,11; 2 Sam 18,14; Sal 46,3; Pro 23,34; 30,19; Ez 27,4.25.26.27; 28,2.8; Gio 2,3). Quattro volte vie- ne attribuito agli animali ¢ indica il loro organo vitale: i] cuore, => [éb, del coc- codrillo @ duro come pietra (Gb 41,16; cfr. 2 Sam17,10; Dn 4,13; 5,21). Negli altri testi si attribuisce sempre all’uomo. Raramente indica |’orga- no vitale del corpo umano (Gn 45,26; 1 Sam 4,13; 2 Sam 18,14; 2 Re 9,24; Os 13,8). Generalmente indica i diversi aspetti della vita psichica, come intellet- to (Sal 90,12), volonta (1 Sam 7,3), mente (Gb 12,3), intenzione (Dt 15,9), cono- scenza (Dt 8,5), memoria (1 Sam 21,13) e la sede decisionale: Dio vide che |’uo- mo continuamente decideva il male nel cuore, léb (Gn 6,5); un uomo non deve decidere nel cuore, =5 /éb, di rifiutare un prestito a causa della vicinanza dell’anno sabbatico (Dt 15,9). Dio trattiene l’uomo dal fare qualche cosa indu- rendogli il cuore: induri il cuore, 35 feb, del Faraone per non permettere agli ebrei di partire dall’Egitto (Es 4,21), Il cuore serve anche come coscienza per appurare la moralita del comportamento umano: il cuore, => Jb, di Davide fu punto dal rimorso per aver tagliato il lermbo del manteilo di Saul (1 Sam 24,6); i cuore, 25> /@bab, di Giobbe non si vergogna delle sue gesta (Gb 27,6). Nel greco classico il cuore, xapdia kardia, puo indicare diverse affezioni umane, ma non é la sede del potere decisionale. Perd, sotto |’influsso de! TM, i testi greci del V.T. attribuiscono il potere decisionale anche al cuore: il nemi- co decide nel cuore, kopdie kardia, di gettarti nella fossa (Sir 12,16; nel testo ebraico non masoretico 25 /éb); Dio castigd il suo popolo che non aveva rinun- ciato alle decisioni del cuore, xapéia kardia, perverso (Bar 2,8). Il cuore serve anche da coscienza; il Siracide raccomanda di consultare un uomo pio ma di seguire il consiglio del cuore [la coscienza], xapdia kardia, perché nessuno é pit fedele di lui (Sir 37,13; nel testo ebraico non masoretico 225 /ébab). Il Libro della Sapienza introduce il termine greco proprio per la coscien- 2a, ovveiénorg Suneidésis: la malvagita @ timorosa; oppressa dalla coscienza, ovvetdnotg suneidésis, presume sempre il peggio (Sap 17,10). Il Siracide [si vera lectio] impiega il medesimo termine per indicare il potere decisionale: Dio scru- ta l'abisso e il cuore, xapdia kardia, e penetra le loro decisioni (Sir 42,18 nel codice Sinaitico; i codici Alessandrino e Vaticano hanno eidnatg ‘eidésis, cono- scenza; nel testo ebraico non masoretico 3> /eb). Nel greco del N.T. il cuore continua a essere la sede del potere decisiona- le: i cristiani tradotti davanti al giudice devono decidere nel cuore, xapdia kardia, di non preparare la propria difesa (Le 21,14); fa bene chi decide nel cuore, xapbia kardia, di serbare vergine la figlia sua (1 Cor 7,37). Il medesimo termi- ne indica anche la coscienza: la coscienza, xapdic kardia, @ sana quando ci rim- 366 Pietro PaoLo Zerara, O.P. provera; se non ci rimprovera ci rilasciamo nelle mani di Dio (1 Gv 3,19-21). Paolo indica la coscienza con il termine proprio ovveidnorg sunerdésis: la cosci za, avveiSnoic suneidésis, di Paolo gli testifica di essersi comportato bene nel mondo (2 Cor 1,12). Pietro impiega il medesimo termine: i] battesimo non lava il corpo ma purifica la coscienza davanti a Dio (1 Pt 3,21). Delle volte la coscien- za @ debole (1 Cor 8,12); delle volte é anche contaminata (Tt 1,15). La vera coscienza é quella che é giusta davanti a Dio (1 Pt 2,19), L'uomo é autonomo e responsabile sotto la regia di Dio. 11. Immagine di Dio La nota antropologica piu alta presenta l’uomo come imagine di Dio, La tradizione biblica ha una visione molto ottimista dell’uomo, Egli é sopra tut- to l’universo, (Sal 8,7), di poco interiore alle divinita [gli esseri celesti] (Sal 8,6); é una divinita [un essere celeste], un figlio di Dio [partecipe della divinita] (Sal 82,6; riferimento particolare ai magistrati). Sopratutto e |’immagine, (Gn 1,26.27; 9,6), mat d*muit (Gn 1,26; 5,1) di Dio. immagine umana di Dio é un fattore pit teologico che antropologico U'uomo vede e venera Dio attraverso le :mmagini. L'uomo primitivo vede Dio negli elementi ¢ le forze della natura che non riesce a controllare ¢ alle quali selem deve soggiacere. L’uomo sviluppato, che comincia a definire e controllare la natura, umanizza Dio attribuendogli cid che di pit specifico c'é nell’umanita. La tradizione egiziana assunse il sole come Dio supremo ¢ lo umanizzo attri- buendogli un corpo umano sovrastato dal disco solare. | Greci presentarono Zeus, il Dio supremo, come un patriarca circondato dalla famiglia divina. Gli ebrei fecero largo uso degli elementi naturali grandiosi come i] fuoco, il fumo, il tuono, il terremoto (Es 13,21.22; 19,16-19) per indicare la presenza di Dio. Ma quando si tratta di descrivere Jahweh il V.T. impiega la figura dell’'uomo dignitoso come si vede nelle visioni di Isaia (Is 6,1-4), Ezechiele (Ez 1,26) e Daniele (Dn 10,6). Avendo Jahweh fattezze umane, il V.T. proibisce ogni sua rappresenta- zione con le fattezze degli esseri corporei che si trovano nel cielo, in terra o sot- toterra (Es 20,4-6; Lv 26,1; Dt 4,15-18; 5,8), e per rendere la proibizione pit perentoria la estende ad ogni specie di rappresentazione (Dt 4,23). Dalla idea teologica di Dio con le fattezze umane, scaturisce |’idea antro- pologica dell’uomo fatto ad immagine di Dio. Cio che piti accomuna I’uomo a Dio come sua immagine ¢ lo distingue dagli animali é forse il discernere, p3 bi: il cavallo e il mulo non discernono, ya bin (Sal 32,9); l'uomo disceme pa bin (Pro 2,5) come Dio discerne, pa bin (Sal 5,2). Ma il lusso pud distruggere il discernere, y2 bin, e assimila l’uomo al bestia- me (Sal 49,21). : ANTROPOLOGIA AIBLICA 367 La qualifica di immagine di Dio conferisce all’uomo una certa sacralita € inviolabilita (Gn 9,6): chi offende l’uomo offende il suo creatore (Pro 14,31; 17,5). Incidentalmente, nell’apocrifo Vita di Adamo ed Eva, Satana decadde dal suo stato angelico perché cifiuto di venerare !'uomo come imagine di Dio (Vita 12-16). I N.T. perpetua e perfeziona I’idea dell'immagine. Con l’incarnazione Cri- sto diventa l’immagine di Dio (2 Cor 4,4; Col 1,15) € |'uomo diventa parteci- pe di questa immagine in Cristo (Rm 3,29). Ma la nota antropologica piu alta del N-T. presenta l'uomo come figlio ¢ erede (Gal 4,7). E come erede la sua desti- nazione non é piti la terra promessa ma il cielo (Fil 3,20; Eb 13,14) 12. Peccatore ¢ redento La nota antropologica pit bassa del V.T. presenta l'uomo come polvere, ~sy ‘Gpar (Gn 2,7). Da essa scaturiscono tutti gli inconvenienti dai quali Dio o il suo inviato doveva liberare il popolo. Nel]’antropologia paolina la nota pra bassa presenta I'uomo come peccatore (Rm 3,9; 5,12). Ma questa nota é una cosa del passato (Rm 5,8): Paolo guarda all'uomo con grande ottimismo, per- ché Dio lo ha creato di nuovo Ef (4,24), Cristo lo ha giustificato con il suo sangue (Rm 5,9), lo Spirito Santo lo ha rigenerato € rinnovato (Tt 3,5) Conclusione Nell‘antropologia biblica l'uomo passa da corpo animato con una vita esterna a un essere composto di anima e corpo; da imagine di Dio a figlio e ere- de in Cristo, da peccatore a redento. & un essere dipendente e servo [schiavo} di Dio che lo ha creato per il suo servizio. Alla stesso tempo & un essere auto- nomo, diretto dalla propria coscienza. Abstract In the O.T, the human being is composed of three elements: body, “32 basar, nature, 251 nepeS, and breath, mx nih. The N.T. very rarely retains the three elements and generally mentions only two elements: body, capa soma, and soul, yugn psuché or mveduce pnetima. Man is a servant [slave] created by God for his own [liturgical] service in the O.T. and also for the service of others in the N.T. He is totally depen- dent on God who allows him a personal autonomy directed by his conscience. He ts the image of God, destined for the heavenly abode. He is a regenerated sinner.

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