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CE LIVRE A ETE DONNE A LA
BIBLIOTHÈQUE CANTONALE
ET UNIVERSITAIRE
DE LAUSANNE
VITA DI GESÙ
Tip. Entelli Borroni.
^iTA
LA
VITA DI GESÙ
DOTT. D. F.VSTRÀTJSS
Volume I.
MILANO
PER FRANCESCO SANVITO
1863.
(Proprie! ìi letteraria ).
3 e. <ìo1-
DON
V^.UfiiveiiiiT> i **/
PREFAZIONE ALLA I.4 EDIZIONE
L'Autore.
PREFAZIONE ALLA III.' EDIZIONE
L'Autore.
INTRODUZIONE '
Necessaria, formazione
di diversi modi di spiegare le storie sacre.
") Delle note che seguono più avanti, quelle segnate con asterisco, si tro
vano soltanto nella terza edizione.
22 13TB0DUZ10KE
nità senza intermediarii , e in cui le idee appajono immediatamente
realizzate *). Ma siccome l' incivilimento è essenzialmente una me
diazione , cosi la progrediente coltura de' popoli discerne in modo
sempre più distinto le mediazioni di cui l'idea ha bisogno per rea
lizzarsi; e però quella differenza fra la nuova coltura e gli antichi
documenti religiosi appare sovratutto nella parte apparentemente sto
rica , per modo che il diretto intervento della divinità nella umanità
perde ogni verosimiglianza. Al che può aggiungersi in ispecie una
tal qnal repulsione, in quanto la parte umana di quei documenti, ap
partenendo ad una umanità primitiva, reca l'impronta d'uno sviluppo
relativamente minimo e , in alcune circostanze, della rozzezza. Il di
vino non può (si, principalmente, per l'intervento immediato, si per
la rozzezza) essere avvenuto a quel modo, oppure l'avvenuto a quel
modo non è divino: cosi si esprimerà quella differenza, e se la in
terpretazione vuole appianarla, essa dovrà o presentare il divino come
non avvenuto a quel modo, e togliere quindi agli antichi documenti
ogni valore storico, o dimostrare che l'avvenuto non è divino nel senso
che vi si annette, e quindi togliere il contenuto assoluto a cine' libri. In
ambo i casi la interpretazione si può effettuare cono senza prevenzioni;
con prevenzioni quand'ella rivoltasi ciecamente contro la coscienza del
disaccordo fra la nuova coltura e gli antichi documenti e s'imagina di non
aver che a scoprire il senso originale di questi ultimi; senza prevenzioni
quand'ella riconosce ciliarmente e apertamente confessa di riguar
dare ciò che quegli antichi scrittori raccontano diversamente dal modo
onde essi li considerarono. Adottare quest' ultimo punto di vista
non vuol dir tuttavia menomamente romperla colle antiche scritture
religiose , ma anche qui conservando 1' essenziale si può senza tema
sacrificare ciò che non lo è.
§ 2.
Diverse spiegazioni
delle leggende divine presso i Greci.
I 3.
Interpretazione allegorica presso gli Ebrei.
Filone.
i 4.
Interpretazione allegorica fra i cristiani.
Origene.
Per i cristiani de' primi tempi, i quali, avanti la fondazione de' propri
canoni, si valevano principalmente dell'antico testamento come di scrit
tura sacra, il bisogno d'una interpretazione allegorica del medesimo era
tanto maggiormente sentito, in quanto essi si erano levati al disopra
del punto di vista di quella scrittura assai più degli stessi più colti
giudei. Nessuna maraviglia adunque che venisse adottato pressoché
generalmente nella Chiesa primitiva quel modo di interpretazione già
in uso fra gli israeliti. Ma fu di nuovo in Alessandria eh' esso ebbe
il suo principale sviluppo, ed ivi apparve essenzialmente collegato al
nomo di Origene. In conformità colla triplice divisione da lui am
messa nella natura umana (tricotomia antropologica), Origene attri
buiva alla scrittura un triplice senso: l'uno letterale o corporeo, l'al
tro morale o psichico, il terzo mistico o pneumatico '). Generalmente,
egli lascia sussistere queste tre specie di senso , 1' una allato del
l'altra, sebbene con diverso valore; ma, in singoli casi, egli non isco-
vre nella concezione letterale senso alcuno, o ne trova uno assurdo,
e ciò por ispingerc viemeglio i lettori alla scoperta del senso mi
stico. Si può certo scorgere una semplice posposizione del senso letterale
al senso nascosto, là dove Origene bene spesso rammenta che Io scopo
dei racconti biblici non è di riferirci vecchie favole, ma di darci insegna
menti per la vita -); là dove, in varie storie, egli sostiene che la
concezione (puramente) letterale condurrebbe alla rovina della reli
gione cristiana 7'); e là dove applica , al rapporto tra la interpre
tazione, letterale e la allegorica, la sentenza che la lettera uccide, lo
spirito vivifica 4). Ma il senso letterale è assolutamente abbandonato,
là dove è detto che tutti i passi della scrittura hanno un senso spi-
x«i scr: t<5v vM.yyiV:ov rresroiijxe xai isti t«v ò.cttxnblov ob&'t tsi/ìcjv iràvn; dxpatov
tijv ìa-.ipiav tóv stpoooyaoiuvov xatà. tò oouattx'zv iyóvxov , ufi yeyt.vyavjov.
Gonfr. Homil. 6, in Esaiam, n. 4.
*) Ciò osserva anche Mosheim nella sua traduzione del libro di Origene
contro Celso, p. 94. Nota.
INTHODUZIOSE 2»
chè, se nel passo più sopra citato egli adduce a mo' d'esempio non
doversi, fra l'altre cose, intendere alla lettera che Satana , trasportato
il Signore sovra di un alto monte, gli avesse di là mostrati tutti i
regni del mondo, cosa ad occhio umano impossibile; non la è que
sta, a vero dire, una spiegazione allegorica, ma si una semplice ver
sione del senso letterale che, invece d'un fatto esterno, esprimerebbe
il fatto interno d' una visione. D' altronde , persino laddove offrivasi
una tentazione seducente di sagrificare il senso letterale ad uno spi
rituale, come, a mo' d'esempio, nella maledizione del fico '), ivi pure
Origene non osa spiegarsi chiaro ; più preciso egli si mostra nel
racconto dell'espulsione dei mercanti dal tempio, ove rappresenta la
condotta di Gesù, presa alla lettera, quale arrogante e sediziosa 2).
Oltre a ciò , egli nota espressamente che la verità storica ha nella
scrittura una parte sempre maggiore, che non il vero semplicemente
spirituale 3).
Ì 5.
*.) Hoffmann (pag. 47) si e intrattenuto a lungo del sallo che la mia genesi
della interpretazione mitica fa dal III al XVII secolo, mentre, a suo avviso,
per essere autorizzali a chiamarla un risultato dello sviluppo del cristiane
simo fino a' nostri giorni, quella interpretazione dovrebbe appoggiarsi ad una
non interrotta serie di rappresentanti in tutti i secoli della Chiesa cristiana.
Ma una simile esigenza è una vera assurdità, e la prontezza con cui, sull'e
sempio del suo inventore, ella fu raccolta da altri, come per es. da Osiander,
i:\TRODUZIOME
prosperare della credenza della Chiesa; essa era il primo segno di
vita d' una coltura la quale , come già prima nel paganesimo e nel
giudaismo , era ornai giunta nel seno stesso del cristianesimo a un
grado di forza e d'indipendenza bastevole per reagire contro il ter
reno materno, ossia contro la vigente religione. Finché quella rea
zione si volse dapprima soltanto contro la Chiesa dominante , essa
formò il dramma nobile, ma rapidamente svolto, della riforma; all'in
contro, rivoltasi più tardi ai documenti biblici , ella si manifestò sul
principio negli aridi tentativi rivoluzionarii dei deisti e giunse dap
poi sino a questi ultimi tempi, per trasformazioni variate.
1 deisti e naturalisti inglesi del XVII e del XVIII secolo, i quali
rinnovarono nel seno della Chiesa la polemica degli antichi avver
sari pagani del cristianesimo, si diedero indistintamente a combattere
1' autenticità e la credibilità della Bibbia e ad abbassare i fatti ivi
') Nel suo Awi/ntor, dell'anno 1G98; vedi in Leland, Schizzo degli scrini dei
deisti, tradotto in tedesco da Schmid, I parte, pag. 85 e seg.
*) In Leland, II parte, i scz., pag. 108 e seg.
3) Nel suo scritto The moral philosopher, 1857; vedi Leland, I parte, p. 247
c seg.
') Posfhummis Works, 2 voi., 1748; in Leland, I, pag. 412 e seg.
5) Chubb, Poslhumous Works, 1, pag. 102 e seg.; in Leland, I, pag. 4SI.
») Chubb, rosili, ir., 2, pag. 2G9; in Leland, I, pag. 423.
;) The resurreclion of Jesus considered — 6// a moral philosopher, 1744. Le
land, I, pag. 530.
sl S/'j: disronres on the miracles of our Sariour: pubblicati separatamente
dal 1727 al 1729; con aggiunti due scritti apologetici degli anni 1729 e 1730.
INTHODUZIOE 33
cata l'autorità de' maggiori allegoristi fra i padri della Chiesa, di un
Origene, di un Agostino e d'altri; con questa differenza però, che
Wooklon suppone loro la intenzione di sopprimere il significato lette
rale, sostituendovi l'allegorico; mentre essi, tranne alcuni esempi con-
irari in Origene, inclinano a lasciar sussistere amho i significati, l'uno
accanto all'altro.
Il linguaggio di Woolston lascia per verità a dubitare a quale delle
due opinioni egli di preferenza s'appigli; pensando che, prima di di
chiararsi avversario del cristianesimo volgare, egli erasi occupalo della
interpretazione allegorica della scrittura '), potrebbesi credere che a
questa inchinasse l'opinione sua; ma egli si diffonde, al contrario, con
tanta predilezione sull'assurdità del senso letterale dei racconti mira
colosi, e colorisce ogni cosa d'un tono cosi frivolo, che, fuor di du
ino il deista, penetrando nel significato allegorico, non mirò se non
ad assicurarsi le spalle, per iscagliarsi poi con vie maggior sicurezza
sul senso letterale.
Queste obiezioni de' deisti contro la Bibbia e contro la divinità della
sua storia furono specialmente propagate , sul suolo di Germania ,
dall'anonimo (Heimaro), de' cui frammenti, ritrovati nella biblioteca
di Wolfenbiittel, Lessing imprese sino dall'anno 1774 la publicazirtne.
Oltre a numerose osservazioni contro ogni religione rivelata in ge
nere5), essi concernevano in parte l'antico7'), in parte il nuovo te
stamento '). Quanto al primo, lo scrittore ritrovava gli uomini, a cui
quel libro attribuisce communicazioni dirette con Dio, cosi malvagi, che
ammessa la realtà di quei fatti ne andava, a suo credere, degradata la di
vinità; i risultati poi di quelle communicazioni, le pretese dottrine e leggi
divine, cosi grossolane e perniciose da parergli impossibile lo attribuirle a
Dio; i miracoli concomitanti infine, assurdi ed incredibili, per modo da far
risultare nel loro complesso essere stata una communicazione con Dio
') Scrbòckh, Kirchengeschichte seit der Reform, VI [iurte (Storia dilla Chiesa
dal tempo della riforma) pag. 191.
*) In Lessing;s Beitragen zur Geschickte unii LUeratur (Saggi di storia e
letteratura); il frammento nel terzo saggio, pag. 1!);> e seg.je, nel quarto saggio,
il primo frammento, p. 265, e il secondo, pag. 288.
1> Il terzo e il quarto frammento nel quarto saggio di Lessing ; e le altre
opere inedite dell'autore dei frammenti di Wolfenbiittel, publicate da Schmid!
nel 1787.
M 11 quinto frammento sulla storia della risurrezione nel quarto saggio di
Lessing, e il frammento sullo scopo di Gesù e de' suoi discepoli, publicalo
separatamente da Lessing nel 1778.
Strauss — V. di G. Voi. 1, 3
34 ivruonu/.iuM.
(i.
ihrer wahren Gestalt fiir adite Christvsverehrer (I miracoli delN. T. nella loro
forma reale per i veri cultori di Cristo), 1799.
') Voi. l.Seseg. Confr. Das exegetische Handbuch iiber die drei erslen Evun-
tjelien (Manuale esegetico sopra i tre primi Evangeli) 1830-33 , voi. 1, parte 1,
pag. 4 e scg. È una edizione nuova e corretta del Commentario.
*) Heidelberg, 1828, 2 voi.
IXTRODUZIOME 3D'
') Allgem. Riblioth., voi. 1, 294. Confr. l'opera intitolata: Einlcitung in das
A. T. (Avviamento all'A. T.), 5, 23 e seg., 4. ediz.
l) Questo lavoro comparve per la prima volta nella quarta parte del Re-
pertorium fiir biblische una morgenlandische Literaturj più tardi fu publicata.
a datare dal 1790, con annotazioni, da Gabler.
!) Eichhorn's Urgesehisckte (Sloria primitiva) edita da Gabler, 3, 98 e seg.
INTRODUZIONE il
indegno dell'essere divino l'aver lasciato inserire un frammento mi
tologico in un libro recante cosi indubbie traccie della propria divina
origine. Più tórdi, tuttavia '), Eichhorn medesimo dichiarò che avea
mutato avviso, in vari punti, sui capitoli II e III della Genesi, e che
in luogo della relazione storica d'un avvelenamento, egli vi scorgeva
il simbolo mitico d'un pensiero filosofico, il desiderio cioè di una con
dizione migliore del proprio essere, origine d'ogni male nel mondo.
Laonde, in questo punto Eichhorn preferi abbandonare la storia per
conservare l'idea, anziché attenersi alla storia tenacemente col sagri -
ficio d'ogni pensiero superiore. Per il rimanente, tuttavia, egli accor-
dossi con Paolo e con altri, nel riguardare il maraviglioso della sto
ria sacra siccome una veste , cui bastava togliere , perchè ne appa
risse la pura forma storica.
1 7.
I 8.
') Ausfdhrliche Erhinrnng iiber theol. Censurai, Vorrede. Von freier Unter-
svchnng des h'anons (Del libero esame del canone) 2, 52, 59, 151, 182.
s) Nella Einlcitung zar Eichhorn's Urgeschichte, 2, 481 e seg. (1792).
5) Sopra i miti, le leggende istoriche e i pensieri filosofici del mondo pri
mitivo. In Paulus, Memorabilien, 5, 1 e seg. (1793).
') Ad Apollod. Athen. Biblioth. , libri tres et fragni, curis secundis illustr.
Heyne, pag. 16.
*) Siccome una tradizione orale, la quale non conta che un piccol numero
d'inlermediarii, offre maggior sicurezza storica, Hoffinaon invoca per la credibi
lità della storia primitiva dell'antico testamento la grande longevità dei primi
uomini; avendo Adamo vissuto ancora 160 anni insieme con Lamech, padre
di Noè, e Noè 60 anni ancora insieme con Abramo, e trovandosi i 500 anni
fra Giacobbe e Mosè riempiti da tre o quattro generazioni soltanto (pag. 5i).
Non si sa davvero da qual lato prendere un simile argomento.
1>TR0DUZI0SE
ammessa la ispirazione divina, può sembrare inverosimile che Dio abbia
dato la rappresentazione mitica di fatti e di idee, invece della rappre
sentazione reale; d'altro lato, l'esame attento delle scritture bibliche
dimostra che l'idea della loro ispirazione, lungi dall' impedirne la con
cezione mitica, non è che un mito ella stessa (Batter, Hebr. Mylh.
Einleilung).
La ripugnanza a riconoscere negli antichi documenti della reli
gione ebrea e cristiana dei miti al paro che nelle religioni pagane,
fa da Wegscheider attribuita in parte all'ignoranza, in cui molti si
trovano, del progresso della storia, in parte ad una certa inquietu
dine che non ardisce chiamare collo stesso nome cose che sono evi
dentemente le stesse. In pari tempo egli dichiarò impossibile, senza
riconoscere dei miti nella storia sacra e senza distinguerne il vero
senso dalla forma non istorica , il difendere con successo il carat
tere divino della bibbia dalle obiezioni e dai motteggi de' suoi avver
sari i ')•
I critici sunnominati, pertanto, definirono il mito, in generale:
la esposizione di un fatto o di un pensiero sotto forma storica bensi,
ma determinata dal genio e dal linguaggio simbolico e imaginoso
della antichità. In pari tempo si distinsero diverse specie di miti 4):
miti istorici, ossia racconti di avvenimenti reali, soltanto coloriti dal
l'opinione antica che mescola il divino coli' umano, il naturale col
sopranaturale; miti filosofici, o racconti null'altro contenenti che un sem
plice pensiero, un principio filosofico od una idea contemporanea. Ma
queste specie possono in parte mescolarsi, in parte divenire, mercè
gli abbellimenti della poesia, miti poetici, ne' quali il fatto primitivo o
la idea primitiva scompajono quasi affatto sotto la veste d'una ricca
imaginazione. Tra queste diverse specie di miti la distinzione è dif
ficile, perocché quegli stessi puramente simbolici abbiano storica appa
renza al paro di quelli aventi realmente una base storica; tuttavia i
sullodati critici stabiliscono, per questa medesima distinzione, alcune
norme. Anzi tutto, essi dicono, bisogna vedere se il racconto ha uno
scopo , e quale. Dove non appaia visibile scopo alcuno pel quale
In leggenda si sarebbe potuta inventare, quivi ognuno troverà il mito
') Vedi la Memoria sopra Mose e i redattori del Pentateuco, nel 58 volume
del Comm. ùber den Peni., pag. 670.
i>thoduzio\e
zioni; non ci faranno più meraviglia e la semi-oscurità gettata sopra molti
avvenimenti e le idee singolari sul genere di quella che gli abiti degli
Israeliti non si siano punto sdrusciti nel traversare il deserto. Valer
sostiene anzi che non si possa togliere dal Pentateuco il meraviglioso,
senza far violenza all'intenzione primitiva degli scrittori, altrimenti che
coll'attribuire alla tradizione una gran parte nella esposizione di quegli
avvenimenti.
De-Wetie in un modo ancor più deciso di Vater si dichiarò con
tro la spiegazione naturale e in favore della spiegazione mitica di
alcune parti dell'antico testamento. Per determinare la credibilità di
an racconto, egli dice, bisogna dapprima esaminare la tendenza del
narratore '): s'egli non vuol raccontare la pura storia, s'egli vuol
agire sovra un altro mobile che non sia la verità storica, s'egli vuol
dilettare, commuovere, o far toccare con mano una verità filosofica
o religiosa, la sua relazione non ha alcun valore storico. Poi, quando
.mclie il narratore avesse intenzioni storiche può essere tuttavia
t'ir ei non adergasi al punto di vista della storia : egli può essere
un narratore poetico : non guidato come il poeta da una ispirazione
interna e subiettiva, ma immerso in una poesia esterjia ed obiettiva
da cui dipende. Ciò si riconosce allorquando egli narra in buona
fede cose assolutamente impossibili ed imaginarie, cose che sorpassano
non solo l'esperienza abituale, ma anche le leggi della natura. I rac
conti di questa fatta derivano in ispecie dalla tradizione. La tradi
zione, dice De-Wette, non è nè critica, nè imparziale; la sua tendenza
non è storica, ma patriottica c poetica. Ora la curiosità patriottica
s'accontenta di tutto ciò che lusinga la sua passione. Più i racconti
sono belli, onorevoli, meravigliosi, e meglio vengono accolti; e là
dove la tradizione ha lasciato delle lacune , la imaginazione accorre
tosto a riempirle co' suoi adornamenti. Buona parte de' libri sto
rici dell'antico testamento , continua Dc-Wette , recano cotesta im
pronta: laonde si credette finora (dagli autori delle spiegazioni natu
rali) di poter separare dal fondo storico quegli abbellimenti e quelle
trasformazioni, e valersi cosi di que' racconti siccome di fonti storiche.
Ciò sarebbe possibile, se allato della relazione meravigliosa noi aves
simo un'altra relazione puramente storica intorno ai medesimi avve
nimenti. Ma non è questo il caso della storia dell'antico testamento :
imi siamo rimandati unicamente a quei documenti , cui non pos-
') In una Memoria sulla questione: È egli permesso accettare dei miti nella
bibbia e nel nuovo testamento in ispecicf Questa memoria fu redatta in oc
casione di un esame della mitologia ebraica di Bauer; e comparve nel Journal
fiir auserlesene theol. Literatur, 2, i, pag. 43 e seg.
■t ilolTuiann (pag. SI alla 58) cade nel ridicolo quando cerca avvilire l'ori
gine dell'interpretazione mitica osservando che i primi passi in questa via
furono imposti agli esegeti dalla necessità e dall'imbarazzo. Che cosa è dun
que il movente progressivo cosi nella vita che nella scienza, se non la ne-
• essità, l'imbarazzo, la contraddizione, che rende impossibile arrestarsi sull'ul-
timo gradino della scala, ma costringe sempre a salire ad un gradino superiore?
') Sui primi due capitoli di Luca, nell'Henri Museum, l, 4, pag. 693 e seg.
I\TRODUZIO>'E 51
la quale viene cosi abbassata ad una vana lettura , clic non merita
pure il nome di storia. Secondo l'autore codesti difetti dell'interpre
tazione naturale conducono, dacché la sovranaturale non può accettarsi
per base, al punto di vista mitico. Questo non altera il materiale del
racconto e non si arrischia in arguzie interpretative; bensì accetta
lo insieme , non come vera storia, ma come leggenda sacra. Siffatta
concezione è raccomandata dall' analogia con tutta l'antichità politica
e religiosa, poiché molti racconti dell'antico e del nuovo testamento
hanno la rassomiglianza più esalta coi miti della antichità profana.
Ma ciò che parla sovratutto in suo favore si è, che per essa dispa-
jono d'un tratto le innumerevoli ed altrimenti insolubili difficoltà che
presentansi rispetto alla concordanza degli evangeli e della cronologia ').
!).
L'esplicazione mitica
applicata al Nuovo Testamento.
Di tal modo erasi introdotta l' esplicazione mitica non solo nel
l'antico, ma anche nel nuovo testamento, non senza però che si fosse
costretti a giustificare un tal passo. Già Gablcr aveva appuntato il
Commentario di Paulus che troppo poco vi si concedesse al punto
di vista mitico, il quale deve accettarsi per certi racconti del nuovo
testamento. Varii di que'racconti , infatti, contengono non solo giu
dizi erronei, quali ne possono dare anche testimoni oculari , e cui
basti il rettificare perchè risulti il naturale andamento ; ma conten
gono puranco cose false ed avvenimenti impossibili , che non po
terono giammai narrarsi a quel modo da testimoni oculari ; e come
la tradizione soltanto può formare di simili finzioni , cosi è d'uopo
concepirle in un senso mitico *).
La difficoltà più grave a superarsi , quando dall' antico testa
mento trasportasi nel nuovo il punto di vista mitico , è questa :
che di solito si cercano i miti soltanto nei tempi primitivi e favolosi
§ 10.
L' idea del mito cosi adottata per la spiegazione della storia biblica
non fu tuttavia, per lungo tempo ancora, né chiaramente compresa
né abbracciata in una sufficiente estensione.
Non fu chiaramente compresa. Colla distinzione in miti storici
e in filosofici, l'idea del mito erasi lasciata imporre un carattere che
') Einleitung in das X. T., pag. 422 e seg., 453 e seg.
*) Specialmente por opera di Gieseler: iiber die Entstehung und die friihestsn
Schicksak der schriftlichen Evangelien (Sulla formazione e sulle vicende pri
mitive degli evangelii della scrittura).
3) Vedi l'Appendice dello scritto di Schultz sulla comunione , e gli scritti
di Siefferl e di Schneckenburger sull'origine del primo evangelo canonico.
*) Nei Probabilie».
INTRODUZIONE 0»
'I Gabler's Neuestes theol. Journal, 7 voi., pag. 83, confr. 397 e 409.
*) Diverse considerazioni nelle quali e per le quali il biografo di Gesù può
lavorare; in Bertholdt's Krit. Journal, 5, 233 e seg.
58 1NTB0DUZI0SE
dell'altro elemento. Usteri tenne il medesimo linguaggio: più non po
tersi distinguere qual parte di realtà storica e qual parte di simbolo
poetico i miti evangelici contengano; la critica non avere stromenti
precisi abbastanza per isolare l'un dall'altro que' due elementi; tutt' al
più potersi giungere ad una specie di probabilità, e dire: in fondo
a questo racconto vi ha maggiore realtà storica; in quest'altro pre
dominano il simbolo e la poesia.
Due direzioni opposte qui seguono gli interpreti; gli uni trovano,
con troppa facilità, il fondo storico ne' racconti mitici della scrittura;
gli altri, disperando riuscire in questa operazione, assai difficile invero,
riguardano tutti i miti che incontransi nella storia biblica, come al
trettanti miti filosofici, per lo meno in quanto essi rinunciano ad ogni
tentativo per estrarne il residuo storico. La è questa direzione esclu
siva che si credette trovare nella mia critica della vita di Gesù; per
lo che molti fra coloro che giudicarono di quest' opera, ebbero ripe
tutamente occasione di notare i diversi modi di mescolanza e le di
verse proporzioni fra lo storico e l'ideale, che il mito presenta nel
suo speciale dominio: la religione pagana e la storia primitiva; ben
inteso che nel dominio della storia primitiva del Cristianesimo, posto
che l'idea del mito vi sia ammissibile, la parte storica sarà maggiore
d'assai. Ullmann non solo distingue un mito filosofico ed un mito sto
rico , ma di più separa dal mito storico, nel quale la libera finzione
predomina sempre, la storto mitica in cui l'elemento storico, benché
fuso nell'elemento ideale, prepondera tuttavia. In quarto luogo infine
egli ammette una storia con elementi da leggenda; e questo è il ter
reno propriamente storico ove più non s'intendono che alcuni echi
lontani della finzione mitica. Siccome poi l'espressione mito, imagi-
nata originariamente per un sistema religioso affatto diverso, cagiona
inevitabilmente ripugnanza e confusione quando la si applica al si
stema religioso cristiano; cosi, segue Ullmann (e in ciò conviene, fra
gli altri, anche Bretschneider) sarebbe più opportuno il non parlare,
nella storia primitiva del Cristianesimo, che di leggende evangeliche
e di elementi di leggenda '). Per lo incontro George tentò ultima
mente di separare non solo, con maggior rigore, le idee di mito e di
') Ullmann, Esame del mio libro sulla vita di Gesù, nei Tlieol. Studien unii
Kritiken, 1836, 3; 783 e seg. Confr. il giudizio di Mùller sulla medesima opera,
ibid., 839 seg.; Tholuk, Glaubunirdigkeit , 54 seg.; Bretschneider, Spiegazione
sulla concezione mitica del Cristo storico, Allg. KZtg. luglio 1837, 860 seg.
INTRODCZIOJE
leggenda, ma di appropriare pur anco agli evangeli il primo a pre
ferenza della seconda. In generale si può dire ch'egli denomina mito
tutto ciò che sinora erasi chiamato mito filosofico, e leggenda ciò che
prima avea nome di mito storico. Pure, trattando queste due idee
siccome i due antipodi , egli le colse con una precisione tale che la
idea del mito s'avvantaggiò incontestabilmente in chiarezza. Secondo
lui, mito è l'invenzione d'un fatto per mezzo di un'idea; leggenda in
vece è l'intuizione di una idea in un fatto e per mezzo di un fatto.
Una nazione, una comunità religiosa, trovasi in una certa situazione,
in una tal cerchia di istituzioni, di cui lo spirito e la idea vivono in
lei. La nazione, la comunità religiosa, sente il bisogno di completare,
raffigurandosi la propria origine , la coscienza intima eh' ella ha del
proprio stato attuale; ma questa origine è ravvolta nelle tenebre del
passato, oppure non è cosi appariscente da soddisfare alla pienezza del
sentimento e dell'idea attuali. Allora, la luce di questa idea proietta
sull'oscura tela del passato una imagine colorita di quelle origini, ima-
ginc eh' altro non è tuttavia se non un riflesso ingrandito delle in
fluenze contemporanee. Se tale è la origine del mito, la leggenda,
all'incontro , ha per punto di partenza i fatti ; solamente che questi
fatti sono forse o incompleti o rimpiccioliti od anco accresciuti nelle
loro proporzioni affine di magnificare gli eroi. Ma i punti di vista,
d'onde si debbono abbracciare que' fatti, le idee che vi erano origi
nariamente racchiuse, sono scomparse nella tradizione. In loro luogo
sorgono nuove idee, frutto dei tempi che la leggenda ha traversati;
gli è così, per es., che il periodo posttnosaico del popolo ebreo, la cui
idea fondamentale era di elevarsi successivamente al puro monoteismo
e alla teocrazia, fu rappresentato nella leggenda posteriore sotto una
luce affatto opposta e quale un periodo di decadenza della costitu
zione religiosa promulgata da Mose. Da ciò non può a meno di na
scere che una concezione così poco storica trasformi e disfiguri
qua e là i fatti storici trasmessi dalla tradizione, colmi le lacune, ag
giunga particolarità caratteristiche , e allora il mito ricompare nella
leggenda; nell'egual guisa che il mito, ora propagandosi per la tra
dizione e facendosi cosi indeciso ed incompleto, ora esagerando ta
lune particolarità, per es. i numeri, cade a sua volta sotto l'influenza
della leggenda. Cosi queste due formazioni, essenzialmente diverse nella
origine loro , vengono ad incrociarsi e mescolarsi. Dall' impressione
vivente, dall'idea originaria che la prima communità cristiana aveva del
suo fondatore, si formò miticamente la storia della sua vita; e questa,
()!) imt.oduzio.ve
benché in forma non istorica, pur rappresentava il vero significato della
idea del Cristo; — il contrario avviene de' fatti reali; — la leggenda
non solo li trasfigura e qua e là li ingrandisce, ma li pone pur anco
sotto una luce falsa, e così li riempie di una falsa idea, di modo che ne
andrebbe per noi perduto il vero significato della vita di Gesù. Laonde,
secondo George, la credenza cristiana trovasi ben più al sicuro col rico
noscere negli evangeli elementi mitici, anziché elementi di leggenda ').
Quanto a noi, che qui non vogliamo per anco occuparci de' rap
porti dogmatici, noi rimaniamo per ora, in questa Introduzione, sem
plicemente preparati ad incontrare nella storia evangelica , cosi dei
miti che delle leggende; c quando ci accingeremo ad estrarrc dai rac
conti riconosciuti mitici il residuo storico che vi si potrà trovare, ci
guarderem da due cose ; vale a dire , né ci porremo sull' egual ter
reno degli interpreti naturalisti, con una divisione rozza e meccanica,
hè, disconoscendo la verità storica laddove si mostri , faremo dispa
rire la storia per un eccesso di critica.
L'idea del mito, al suo primo apparire fra i teologi, oltre all'essere
poco chiaramente concepita, non fu neppure applicata alla storia bi
blica con sufficiente estensione.
Eichhorn non riconosceva un vero mito che sul limitare della storia
primitiva dell'antico testamento; tutto il resto egli credeva doversi
spiegare storicamente , col metodo naturale. In seguilo , pur ammet
tendosi elementi mitici nell'antico testamento, passò lunga pezza senza
che si pensasse a nulla di simile nel testamento nuovo. Ammesso final
mente il mito, lo si tenne per lungo tempo ancora sulla soglia, vale
a dire, alla storia dell' infanzia di Gesù , ed ogni passo più in là gli
venne interdetto. Ammone, l'anonimo E. F., nel Magazzeno di Henke,
Vedi Aminone, $ 8. Nola 8. Program, ciUUo. Così pure, Hase, Leben Jesu,
\ 52 (2 etliz.): Tholuk, 208 e seg. ; Kern, i principali fatti della storia evan
gelica, 1 art., Tiibinger Zetschrifl fiir neologie, 1836, 2, pag. 39.
') Confr. Quinci, Prolog, in Maithmum, § 5, in Lucam, § 6.
') Per es. Aminone, nella Dissertazione: Ascensus J. C. in cmlum /ustoria
biblica, ne' suoi Opuse. nov.; Rohr, Lettere sul razionalismo, pag. 238 scg., 537.
fi* n'TaODL'ZIOA'E
dubbii della critica, mentre il corpo stesso, vale a dire il periodo dal
battesimo alla risurrezione , rimase pur sempre intatto; cosi, come si
esprime l'autore di un esame della Vita di Gesù scritta da Greiling ')
si entrava nella storia evangelica per la porta trionfale del mito, e
per una porta simile si usciva: ma per tutto lo spazio intermedio
bisognava contentarsi del sentiero ritorto e faticoso della interpreta
zione naturale.
Gabler l), col quale accordasi recentemente Rosenkranz 5), allarga
alquanto di più il punto di vista mitico. Infatti egli distingue i mira
coli da Gesù operati da quelli che avvennero in lui, dicendo che i
primi dovevano spiegarsi naturalmente, i secondi mitologicamente. Ma,
tosto dopo, Gabler s'esprime, come se intendesse in un co'teologi nomi
nati più sopra, non ammettere i miti se non nei soli miracoli della in
fanzia di Gesù; e questo è un ristringere il punto di vista anteriore, poiché
è bensi vero che tutti i miracoli dell'infanzia nci.nostri evangeli sono bensi
miracoli prodottisi in Gesù e non operati da lui, ma altri assai se ne incon
trano di simili nel rimanente della sua vita. Seguendo, all'incirca, la divisio
ne fatta da Gabler, di miracoli per Gesù e miracoli in Gesù, Bauer nella
sua mitologia ebraica sembra aver fatto la scelta di ciò ch'ei credeva
potersi spiegare miticamente; poiché egli non trattò di tal guisa che
la concezione sovranaturale di Gesù colle circostanze straordinarie della
sua nascita, la scena del battesimo, la trasfigurazione, l'angiolo a Get
semani, l'angiolo sulla tomba. Son questi, egli è vero, racconti mara-
vigliosi presi in ogni parte della vita di Gesù ; ma sono solamente
miracoli (e neppur vi son tutti ) avvenuti in Gesù ; quelli operati da
lui ne sono esclusi.
Una applicazione in tali limiti ristretta, dell'idea del mito alla storia
della vita di Gesù vien tacciata d'insufficiente e inconseguente dall'au
tore più volte citato della Memoria intorno alle diverse considerazioni
sulle quali il biografo di Gesù può lavorare *). Considerare, egli dice, il
racconto evangelico in parte come pura storia , in parte come mito,
egli è un confondere i due punti di vista, e tale confusione è causata
da que' teologi, i quali non volendo nò sagrificare la storia, né atte-
Stiucs» — V. di G. Voi. I.
ISTRODI'ZIOSE
I 12.
M Determinazione di ciò che, nella Bibbia, è mito e storia reale. r\*ella sua
Bibliothck der heiligen Geschichte, II, 155.
*) Vedi più sopra 5 6.
!) fibl. d. heil. Gesch. 2, I 251.
68 l.VTRODUZIONE
lismo siffatto, pan ai fanciulli, preferisce un involucro dipinto coi co
lori della storia , per vuoto eh' esso sia d' ogni significato divino , al
fondo più ricco, ma spoglio di quella veste variopinta.
Più tardi fu De-Wette che, tenendo dietro arditamente al punto di
vista mitico traverso i libri mosaici , rigettando in modo risoluto il
termine medio della concezione storico-mitica , la quale non era in
ultima analisi che la concezion naturale, e rinunciando rigorosamente
ad ogni residuo di certezza storica in quei racconti, provocò una mol
teplice opposizione '). Gli uni, come Stendel, rigettavano assolutamente la
concezione mitica de' racconti biblici, ed insistevano sulla conservazione
del punto di vista strettamente storico e, perdi più, in senso sovrana-
turalista 2). Altri, come Meyer, non volevano ascoltare De-Wette , se
non ammettendo le riserve di Yater, che aveva almeno lasciato ampio
campo ai tentativi per sceverare dall'involucro mitico dei dati storici,
fossero anche semplicemente verosimili. Se il carattere singolare e ir
razionale di vari racconti che senza dubbio non sarebbero mai ca
duti in mente a chicchessia, se la irregolarità e le lacune della nar
razione e vari altri motivi non permettono di disconoscere un fondo
storico nel Pentateuco, bisogna pur fare dei tentativi modesti e misurati
per determinar questo fondo in ogni singolo caso, approssimativa
mente almeno. A preservare i fautori del mito storico dal cadere nel
l'assurdità delle spiegazioni naturali, Meyer consiglia le seguenti pre
cauzioni, che però, lungi dal rispondere all'intenzione dell'autore, mo
strano nuovamente quanto sia difficile 1' evitare una simile ricaduta.
l.°Si sceveri tutto ciò che a prima giunta presentasi siccome carattere
dell'interpretazione mitica, in opposizione alla storica: lo straordina
rio, il maraviglioso, l'immediato intervento della divinità e cosi pure
la teleologia religiosa del narratore. 2.° Si proceda dal semplice al
composto; si prenda per modello un caso in cui lo stesso fatto tro
visi duplicemente raccontato ed anzi presentisi nell'un de' racconti in
modo maraviglioso, nell'altro in modo naturale; per esempio la scelta
§ 13.
se non che quanto gli viene raccontato dai libri sacri di quella com-
munità è accaduto letteramcnte a quel modo ; nessun dubio elevasi
in lui, nessuna riflessione lo turba. Se invece il suo orizzonte è esteso
cosi da lasciargli scorgere la sua religione allato alle altre, ed egli la
paragona con queste, ecco la forma che prende il suo giudizio: ciò che
i pagani raccontano de'loro dei, i musulmani del loro profeta è falso;
pel contrario ciò che i libri biblici raccontano delle azioni di Dio, di
Cristo e degli altri uomini di Dio, è vero. Questa opinione generale
si è tradotta in teologia, nella proposizione: Che il cristianesimo si di
stingue dalle religioni pagane in quanto esso non è, al par di quelle,
una religione mitologica, ma bensi una religione storica.
Tuttavia questa proposizione, cosi presentala senza ulteriore deter
minazione, non è che il prodotto della limitazione dell'individuo nella
credenza in cui fu allevato , della sua incapacità ad avere per essa
altro che una affermazione, per le altre credenze altro che una ne
gazione; pregiudizio senza alcun valore scientifico e che si dissipa da
se medesimo alla menoma estensione del punto di vista storico. In
fatti, poniamoci in un'altra communità religiosa: il fedele musulmano
non crede trovare la verità che nel suo Corano, e non vede che fa
vole nella maggior parte della nostra Bibbia; l'ebreo attuale riconosce
un carattere reale e divino soltanto nella storia dell'antico testamento,
e non la riconosce in quella del testamento nuovo. Lo stesso fu dei
credenti nelle antiche religioni pagane innanzi il periodo del sincre
tismo. Ora chi ha ragione? Tutti insieme? Impossibile, perchè le loro
asserzioni si escludono. Ma quale in particolare? Ciascuno reclama per
sé la verità; le pretese sono eguali. Chi dunque deciderà? L'origine
di ciascuna religione? Ma ciascuna si attribuisce una origine divina.
Non solo la religione cristiana vuol procedere dal figlio di Dio, e la
religione ebrea da Dio per mezzo di Mosè, ma anche la maomettana
si dice fondata da un profeta ispirato immediatamente da Dio, e i Greci
essi pure facevano risalire agli dei l'istituzione dei propri culti.
« Ma, rispondesi , questa origine divina non riposa in nessuna re
ligione su documenti cosi autentici come nelle religioni ebrea e cri
stiana. Nel mentre i cicli mitici, presso i Greci ed i Latini, sono for
mati dalla raccolta di leggende prive di garanzia, la storia biblica fu
redatta da testimoni oculari o per lo meno da persone che da un lato,
per i loro rapporti con testimoni oculari , si trovarono in grado di rac
contare la verità; d' altro lato, sono d' una probità cosi manifesta da
non lasciare alcun dubio sulle loro intenzioni. » Questo argomento sa
1STR0DUZI0SE 73
rebbe infatti decisivo, se fosse provato che la storia biblica venne se ritta
da testimoni oculari o per lo meno da persone vicine agli av veni-
menti. Perocché, quantunque si possano introdurre, per opera anche
di testimoni oculari, errori, e in conseguenza falsi rapporti, nondimeno
la possibilità di errori non premeditati (l'inganno premeditato si può
d'altronde riconoscere facilmente) è circoscritta in limiti assai più an
gusti che non allorché il narratore, separato dagli avvenimenti per un
più lungo intervallo, è ridotto ad avere le sue informazioni dalla bocca
degli altri.
Pretendere che gli autori biblici siano stati testimoni oculari o vi
cini agli avvenimenti da essi narrati, non è che un altro pregiudizio,
il quale trovala sua immediata origine nelle intestazioni che i libri
biblici recano nel nostro canone. In capo ai libri che raccontano
l'uscita degli Ebrei dall'Egitto ed il loro passaggio traverso il deserto, e
posto il nome di Mosè, loro capo in questa impresa; dunque, se pure
ei non volle mentire scientemente, egli dovette dare una vera storia
di quegli avvenimenti, e se i suoi rapporti colla divinità furono quali
sono descritti in quei libri, egli fu in grado per ciò stesso di ripro
durre fedelmente la storia anteriore. Cosi pure fra i documenti sulla
vita e sulla morte di Gesù, ve n'ha due che recano in fronte i nomi
di Matteo e di Giovanni; ora questi due uomini essendo stati , quasi
dal principio alla fine , testimoni degli atti publici del loro maestro ,
furono in grado di darne le relazioni più degne di fede; di più essi,
in parte per gli intimi loro rapporti con Gesù e colla madre di lui,
in parte per l'assistenza sopranaturale nel discovrire e ricordare i fatti,
assistenza che , al dire dell'uno di essi , Gesù avea promesso a' suoi
discepoli, ottennero informazioni sulle avventure della sua giovinezza,
talune delle quali vengono dall'altro riferite.
Ma la è cosa facile a concepirsi e, in riguardo ai libri biblici, da
lungo tempo provata, che bisogna fidarsi ben poco de'titoli che recano
in fronte i libri antichi, specialmente religiosi. Nei pretesi libri di Mosè
parlasi anco della di lui morte e sepoltura; chi crede, a nostri giorni,
che Mosè ne abbia parlato anticipatamente in modo profetico? Fra i
salmi, il nome di David è dato a vari che suppongono le sventure del
l'esilio , e si pongono in bocca a Daniele, ebreo dell'esilio di Babilo
nia, predizioni che non poterono essere scritte prima di Antioco Epi-
fane. Egli è un risultato incontestabile della critica che i titoli de' libri
biblici non contengono in sé stessi, null'altro se non che talora lo sche
ma dello scrittore, talora anche l'opinione dell'antichità ebrea o cri
74 ISTHODUZIOE
stiana sull'origine dei medesimi. Di questi due punti, il primo non può
provar nulla; quanto al secondo, tutto riposa sulle seguenti questioni:
i.° Di quanto è antica questa opinione e quali ne sono i mallevadori?
2.° Sino a qual punto la natura dei libri in discorso accordasi con cote-
sta opinione? La prima questione comprende le cosi dette ragioni estrin
seche, la seconda le ragioni intrinseche in favore dell'autenticità dei
libri biblici. Quanto agli evangeli, de'quali solamente qui si tratta, tutta
l'opera ch'io sottopongo al lettore non ha altro scopo fuorché d'esami
nare per via delle ragioni intrinseche la credenza che merita ogni
singolo racconto dei medesimi, e per conseguenza la probabilità o im
probabilità della loro derivazione da testimoni oculari o per lo meno
da persone ben informate. Le testimonianze estrinseche al contrario
si possono esaminare in questa introduzione, ma solamente in quanto
e' sia necessario per iscorgere se quelle testimonianze offrano in sé
stesse un risultato preciso, il quale potrebbe trovarsi in contradizione
col risultato delle ragioni intrinseche; o se quelle testimonianze , in
sufficienti per sé medesime, lascino alle ragioni intrinseche la decisione
intera del problema.
Alla fine del secondo secolo dopo Cristo, come rilevasi dagli scritti
di tre dottori della Chiesa, Ireneo, Clemente Alessandrino e Tertulliano,
i nostri quattro evangeli erano riconosciuti , nella Chiesa ortodossa ,
siccome opera d'apostoli e di discepoli d'apostoli; e nella qualità di do
cumenti autentici intorno a Gesù, essi erano stati separati da una mol
titudine di altre produzioni simili. Il primo, nell'ordine del nostro ca
none, supponevasi redatto da Matteo, che in tutti i cataloghi è anno
verato fra i dodici apostoli; il quarto da Giovanni, il discepolo prediletto
del Maestro; il secondo da Marco, l'interprete di Pietro; il terzo da
Luca, il compagno di Paolo '). Ma noi abbiamo eziandio testimonianze
di scrittori più antichi, sia nei loro propri scritti, sia nelle citazioni fatte
da altri.
Al primo evangelo si riferisce ordinariamente la testimonianza di
Papias, vescovo di Jerapoli. Papias, ch'era stato auditore, à.Mxmì;, di
Giovanni (probabilmente il sacerdote) e che si suppone martirizzato
sotto Marco Aurelio (161-180) -), riferisce che l'apostolo Matteo aveva
scritto i memorabili, t» lóy.a, i memorabili del Signore t« xupiaxi. 3),
astrazion fatta dalla certezza in lui che gli sarebbero mancati i mezzi
per riuscirvi. Papias non volle dunque attribuirgli che una negligenza
completa d'ogni concatenamento cronologico, e questa negligenza non
esiste punto nel secondo evangelo *). In tali circostanze, che cosa pos
sono significare gli echi lontani che il nostro evangelo sembra ritro
vare al pari del primo, fra i più antichi scrittori ecclesiastici ?
Luca, compagno di Paolo, ha egli scritto un evangelo? Su questo
punto manca una testimonianza della antichità e del peso di quella di
Papias per Matteo e per Marco. Ma evvi , negli atti degli apostoli ,
in favore di questo evangelo una testimonianza di specie particolare,
che ne comprova la provenienza, se non assolutamente da Luca, per
lo meno da un compagno di Paolo; poiché deesi concludere, dal pream
bolo del terzo evangelo e da quello degli atti (e d'altronde il tenore
dique'diie libri non contradice punto a questa conclusione) ch'essi
sono del medesimo scrittore o del medesimo compilatore. Ora il re
dattore degli atti degli apostoli, in alcuni capitoli della seconda metà,
(16, 10-17; 20, 5-15; 21, 1-17; 27, 1-28, 16) parla di sé e dell'a
postolo Paolo nella prima persona del plurale (noi cercammo, kqniiiaauvj,
noi fummo chiamati, stp<Kxk*V]tai vui-, ecc.); in conseguenza egli si dà
a riconoscere per suo compagno. Di vero, il tenore di molti altri rac
conti di questo libro intorno all'apostolo, talora incerto, tal altra me
raviglioso, tal altra anche in contraddizione con lettere autentiche di
Paolo, è difficile a conciliarsi, e non si comprende perchè l' autore non
invochi una simile relazione con uno de'più illustri apostoli , sia nel
preambolo degli atti, sia in quello dell'evangelo; dimodoché si venne
a congetturare che, forse, quei passi in cui il narratore parla di sé
medesimo come attore negli avvenimenti, appartengano a memorie
d'un altro scrittore cui egli non avrebbe fatto che intercalar nel suo
libro '). Checché ne sia di cotesta congettura, potrebbe darsi che il
compagno di Paolo avesse composti que'due scritti in tempi e in cir
costanze in cui nessuna influenza apostolica più non lo proteggeva
dall'influenza della tradizione quanto al rigettare i racconti tradizionali;
pel solo motivo di non averli uditi narrare da Paolo, è impossibile
ch'egli si decidesse a respingerli, per poco che quei racconti gli fossero
parsi edificanti e credibili; e certo ci non era in una disposizione di spi-
') De-Wette, § 116. Tholuk pretende anzi che Luca abbia scritto il suo evan
gelo in Gerusalemme o in Cesarea, durante la prigionia di Paolo, perla ragione
ch'egli quivi ne aveva il maggior tempo e la migliore occasione. Secondo il
medesimo teologo è probabile che Luca, durante quella sua dimora, sia stato
ancora insieme colla madre di Gesù; dacché, iu ragion dell'età, ella poteva
vivere ancora e probabilmente viveva difalli, che difficilmente Giovanni avrebbe
lasciato Gerusalemme vivente ancora la donna a lui raccomandata : e Gio
vanni a quell'epoca trovavasi ancora in Gerusalemme; pag. 141 e seg. (Come
s'egli non avesse potuto rimanere in quella città anche dopo la morte di Ma
ria!). Intorno a questo modo di dimostrare, confr. l'esame del libro di Tho
luk, nel Lìteraturblatt zur Allg. Kztg. 1837, n. 69, pag. 549.
s) De-AVette, I. cit., e Credner §§ 56 e 108.
') Confr. Credner, 1, pag. 154 c seg.
*) Eusel). H. E. 5, 20. 24.
») De-Welte, S 109.
8) De-Wette, 1. cit.
1
1.NTB0DUZ103E 79
sia perchè i Montanisti vi avessero attinta l'idea del loro Paraclito, sia
perchè esso non sembrasse in accordo cogli altri tre evangeli La
prima citazione d'un passo di questo evangelo, sotto il nome di Gio
vanni, si trova in Teolìlo d'Antiochia, verso l'anno 172 ■). Laonde
Tholuk medesimo 3) osserva ben poco conto potersi fare delle te-
slimonianze estrinseche in favore del quarto evangelo da quelli fra i
moderni teologi che contestano all'apostolo la non meglio autenticata
apocalissi. Infine la presenza ad Efeso di due Giovanni , l'apostolo ed
il sacerdote, è una circostanza la quale è ben lungi dall'essere stata
sufficientemente confrontata colle più antiche testimonianze che attri
buiscono a Giovanni da un lato l'Apocalisse, dall'altro l'Evangelo e te
Lettere.
Cosi le testimonianze più antiche ci dicono talora, che un apostolo
od un uomo apostolico ha scritto un evangelo , non però se questo
sia il vangelo che più tardi ebbe corso nella Chiesa sotto il suo nome;
tal altra che esistevano di simili scritture, non però se queste scritture
siano state attribuite ad un dato apostolo o ad un compagno d'un
apostolo. E frattanto, con tutta la loro incertezza, queste testimonianze
non vanno oltre il principio del secondo terzo del secondo secolo, mentre
le citazioni precise non cominciano che nella seconda metà di questo
stesso secondo secolo. Giusta tutti i calcoli di probabilità, gli apostoli
avevano cessato di vivere nel corso del primo secolo, non escluso Gio
vanni, che pretendesi morto verso l'anno 100 dopo Gesù Cristo*),
ma sulla età e sulla fine del quale si spacciarono di buon' ora delle
favole Che latitudine per attribuir loro degli scritti ond' essi non
erano gli autori! Gli apostoli, dispersi, muoiono l'un dopo l'altro nella
seconda metà del primo secolo; la predicazione evangelica si propaga
a poco a poco nell'Impero Romano e va assumendo un tipo sempre
più determinato. Indi tante sentenze conformi a passi de' nostri odierni
evangeli , sentenze che noi troviamo citate dai più antichi scrittori
ecclesiastici senza indicazione di fonte , e che furono indubitatamente
attìnte alla tradizione orale. Ma ben presto questa tradizione venne
consegnata in varie scritture, dell'una o dell'altra delle quali un apo-
stolo forse diede i tratti principali; scritture che sul principio non ave
vano peranco una forma determinata e che perciò ebbero a subire
di molti rimutamenti e rimpasti, come attestano e l'esempio del-
l'evangelo degli ebrei e le citazioni di Giustino. Queste scritture
dapprima presero nome , a quanto sembra , non da determinati au
tori , ma talora , come l' evangelo degli ebrei , dal circolo di let
tori fra cui quel libro fu primamente in uso; tal altra dall'apostolo o
dall'evangelista delle cui comunicazioni orali o note taluno avea posto
assieme un racconto evangelico; e tale sembra fosse il significato origi
nario del xv/rà che trovasi in fronte al primo evangelo '). Del resto
fu naturale il supporre che i documenti sopra Gesù che trovavansi in
circolazione, e che la Chiesa aveva adottati, provenissero da' suoi di
scepoli: così Giustino e Celso attribuivano gli scritti evangelici agli
apostoli in generale; cosi gli scritti isolati attribuivansi al tale e tal
altro apostolo o discepolo degli apostoli, secondochè avevasi di lui qual
cosa d' orale o di scritto che servisse di base ad uno scritto evan
gelico, o secondo eh' ci godeva d' una considerazione particolare in
una regione o in un partito. L' evangelo degli ebrei passò per tutte
e tre queste sorta di denominazioni, chiamato ùayyihov *off 'E&xaouj,
dai circolo de' suoi lettori, poi, più tardi in modo generale, evange-
lium jaxta duodecim apostolos; finalmente con designazione precisa,
sccundum Matthawm -).
Ma, ci si dice, ammesso pure che noi non abbiamo, in alcuno dei
nostri evangeli, la relazione d'un testimonio oculare, sembra incredibile
che in un'epoca in cui vivevano tanti testimoni oculari, siansi formati,
nella Palestina medesima , leggende non isteriche intorno a Gesù e
collezioni di codeste leggende. Che al tempo degli apostoli, noi rispon
diamo anzi tutto, si fossero già trovate in una circolazione generale
collezioni di racconti sulla vita di Gesù, e che uno de'nostri evangeli
in particolare fosse noto ad un apostolo e riconosciuto da lui, ciò non
potrà mai essere provato. Quanto all'origine di aneddoti isolati , basta
soltanto sviluppare alquanto più le idee che si hanno sulla Palestina
e sui testimoni oculari, per comprendere che quelle idee non impedi
scono punto d' ammettere che delle leggende siansi formate così di
buon'ora. Or chi ci dice eh' esse abbiano dovuto nascere per lo ap
punto nei luoghi della Palestina in cui Gesù avea maggiormente di-
% 14.
') Fu pure questo difetto nel distinguere che condusse gli Alessandrini ad
una specie di allegoria, i deisti ad olrjezioni e motteggi, i sopranaturalisti a
liervertimenti del senso letterale, come quello testé imaginalo da HoiTinann
{Ckristoterpe auf 1858, pag. 184) per ispiegare la condotta di Davide riguardo
ai vinti Ammoniti.
Si ivruouuziOM;
Ercole, del loro Bacco; che se, per l'opposto, si suppone il carattere
divino o la discendenza divina di que' personaggi, le loro azioni ed av
venture diverranno credibili quanto quelle degli uomini biblici, con
una eguale supposizione. « Non tanto, si potrà rispondere; poiché
se "Vischnu è comparso, nei tre primi Avatara, sotto la forma di pesce,
di tartaruga e di cignale; se Saturno divorava i suoi figli; se Giove
trasformavasi in toro, in cigno, le son cose queste ben più incredibili
che non il vedere Jehova venirsene ad Abramo in forma umana sotto
il terebinto, od apparire a Mosè nel roveto ardente ». Gli è questo
il carattere stravagante della mitologia pagana, del quale assai ritrag
gono molti racconti della storia biblica, quelli per esempio, di Balaam,
di Giosuè, di Sansone; ma tale carattere è in questa meno spiccante
e non ne forma il tipo generale come nella religione indiana ed anco
in certe parti della greca. Ma come mai può questo valere a decidere
la questione? Questo prova soltanto che la storia biblica è più vicina al
vero che non l' indiana o la greca; ma non che la storia biblica sia
vera o non possa contenere invenzioni di sorta.
e Ma i soggetti della mitologia pagana sono per la maggior parte
tali, che si sa anticipatamente non esser quelli che una pura finzione ;
mentre incontestabile è l'esistenza di quelli della storia biblica. Un
Brama, un Ormuzd, un Giove, non hanno mai esistito; ma esiste
un Dio, un Cristo, ed esistettero un Adamo, un Noè, un Abramo, un
Mosè. » Primieramente l'esistenza di un Adamo , di un Noè, fu già
revocata in dubbio, al pari di quegli individui della religione pagana,
ed è infatti soggetta a dubbio; in secondo luogo poi, nella leggenda
greca d'Ercole, di Teseo, di Achille e d'altri eroi, qualcosa di storico
vi può essere. Ma non è qui che bisogna arrestarsi; poiché, se ci li
mitiamo a concludere semplicemente eh' anco in questo la storia biblica
è meno lungi dal vero che non il mito pagano, senza però essere
vera, lo spirito non potrà tuttavia ristarsi dal fare, su questa diversità,
una considerazione piena di conseguenze, che ridurrà vere anco le al
tre due differenze più sopra indicate. Andiam dunque più oltre, e ve-
diam da che cosa noi riconosciamo negli dei greci degli esseri fittizi.
Non gli è forse da ciò , che loro si attribuiscono cose incompatibili
coli' idea di Dio? All'opposto, il Dio biblico è per noi il Dio vero,
perchè, in ciò che la bibbia dice di lui nulla appare di inconciliabile
coll'idea che noi ci facciamo della divinità. Astrazion fatta dalla con
tradizione esistente fra questa nostra idea e la molteplicità degli dei
pagani, co'particolari delle loro volontà cde'loro atti, ciò che ci ri
IRTnODUZIOSE 85
pugna a prima giunta egli è, che gli dei medesimi hanno una storia;
essi nascono, crescono, si maritano, generano figli, compiono imprese,
danno combattimenti, subiscono fatiche, trionfano e sono vinti. E sic
come la nostra idea dell'essere assoluto non è conciliabile coll'idea del
medesimo essere soggetto al tempo ed allo spazio, affetto da contra
rietà e patimenti; cosi noi ne'racconti, ove gli esseri divini sono cosi
rappresentati, non riconosciamo nulla di storico e soltanto dei miti.
Gli è in questo senso che si sostiene che nella bibbia , e segna
tamente iicll* antico testamento , non si contengono miti. Di vero, la
storia della creazione colla sua successione di giorni di lavoro e col ri
poso finale dopo il compimento dell'opera; l'espressione di sovente ri
petuta nel corso ulteriore del racconto che Dio si penti d'aver fatta
la tal cosa; questi ed altri simili modi di dire non potino guari sfug
gire al rimprovero d'attribuire a Dio un carattere temporale: e gli è
appunto a ciò che si attaccarono coloro che vollero interpretar miti
camente cotesta storia primitiva. Cosi pure, il narrare apparizioni di
vine , o miracoli operati dalla divinità , egli è un supporre che Dio si
mostri o agisca esclusivamente in un luogo determinato, in un mo
mento determinato; e tutti questi racconti danno agio a sostenere che
con essi si voglia discendere Dio nel tempo e assimilare il suo modo
d' agire a quello degli uomini. Nulladimeno , si può in generale as
serire , dell' antico testamento , che l' idea di Dio non vi appare es
senzialmente intaccata dal carattere temporale che si attribuisce al suo
modo d'agire; questo carattere temporale vi si mostra piuttosto come
una semplice forma, una apparenza inevitabile, surla dai limiti neces
sari posti alla facoltà rappresentativa dell'uomo e sopratutto dell'uomo
non illuminato dalla scienza.
Dire nell'antico testamento: Dio fece un'alleanza con Noè, con Abramo,
condusse più tardi il suo popolo fuor dell'Egitto, gli diede leggi, lo
guidò nella terra promessa, gli suscitò dei giudici, dei re, dei profeti,
« lo punì infine della sua disobbedienza coll'esilio: ognuno ben vede
che la è tutt' altra cosa che il narrare di Giove, ch'ei nacque in Creta,
da Rea, che fu sottratto in una caverna agli occhi di suo padre Sa
turno, che di poi egli incatenò suo padre, liberò gli Uramidi , vinse,
col soccorso di loro e della folgore da loro avuta, i Titani ribelli, ed
infine divise l' impero del mondo tra i suoi fratelli ed i figli suoi. La
differenza essenziale fra i due quadri sta in ciò, che nel quadro pagano
il Dio medesimo è un essere soggetto a sviluppo, diverso alla fine da
quel ch'era al principio e che in lui e per lui qualche cosa si prò
86 ISTRODUZIOXE
duce e si compie; mentre in vece, nel quadro biblico, gli è solo dalla
parte del mondo che qualche cosa si muta, e Dio persiste nella sua
identità assoluta: egli è colui che è, secondo l'espressione della bibbia;
e ciò che in lui sembra appartenere al tempo, non è che un riflesso
superficiale proiettato sul suo modo d'agire dal cammino delle cose
mondane, cammino da lui originato e diretto. Nella mitologia pagana
gli dei hanno una storia; nell'antico testamento, Dio non ne ha; sol
tanto il suo popolo ne ha una; e se col nome di mitologia si intende
essenzialmente una storia degli dei, bisogna confessare che la storia
ebraica non ha mitologia.
La religione cristiana ha preso dalla religione ebraica la cognizione
della unità e immutabilità di Dio. Se il Cristo nasce, cresce, opera mi
racoli, soffre, muore e risuscita, sono questi gli atti ed il destino del
Messia, al di sopra dei quali Dio rimane nella sua immutabile iden
tità. Laonde di mitologia, nel senso da noi accennato più sopra, nep
pure il nuovo testamento non ne contiene. Ciò nullameno, di fronte
al testamento antico, la posizione è mutata d'alquanto. Gesù si chiama
il figlio di Dio non nel semplice senso dei re teocratici che portavano
quel nome, ma come realmente generato dallo spirito divino, ossia per
chè il Verbo pijo?) divino è incarnato in lui. In quanto egli forma
un essere solo col padre e la pienezza della divinità risiede in lui ,
egli è più di Mosè; l'agire e il soffrire non sono in lui fatti esterni
alla divinità; e sebbene il rapporto della divinità con Gesù non deb-
basi riguardare come un rapporto di sofferenza per la natura divina,
nulladimeno qui, secondo il nuovo testamento, e più ancora secondo
la dottrina conseguente della Chiesa, gli è sempre un essere divino che
vive e che soffre, e ciò che gli accade ha un valore ed un significato as
soluto. Cosi, secondo l'idea del mito più sopra accennata, si potrebbe
ammettere che, da questo lato, il nuovo testamento partecipi, più del
l'antico, del carattere mitico. Ma se si insiste per dare alla storia di
Gesù il titolo di mitica, bisogna notare che questa denominazione come
non pregiudica nulla, cosi nulla importa al fondo della questione sto
rica. Infatti l'idea di Dio non contradice per nulla al suo passaggio
in una esistenza, dove rimane intatta la sua immutabilità; per cui, sotto
questo riguardo, la storia evangelica, malgrado che rechi la designa
zione di mitica, potrebbe ancor essere storicamente vera.
La storia biblica pertanto non ferisce la nostra concessione della divi
nità nell'egnal guisa della storia pagana; essa quindi non reca al par di
questa l'impronta caratteristica della finzione, senza però, notiam bene,
INTRODUZIONE 87
') Heydenrcich, ùber die Unzulàssigkeit u. s. f., Stiick. Confr. Storr. doctr.
rhrist. § 55 et seq.
1NTH0DLZI0SE 89
mento temporale; rimprovero che si può fare eziandio così all'opinione
biblica in quanto distingue, nell'attività divina, degli atti particolari,
come all' opinione opposta in quanto distingue 1' azione di Dio nella
creazione dalla sua azione nella conservazione del mondo *).
Se dunque l'idea di Dio esige una azione immediata, l'idea del mondo
una azione semplicemente mediata, e se non si possono conciliare questi
due modi d'agire ammettendo fra essi una alternativa, non resta più
che supporli ambedue costantemente e perpetuamente riuniti , co
sicché l'influenza di Dio sopra il mondo sia sempre e dovunque du
plice, mediata, ed immediata insieme. Di vero, sostener ciò gli è un
sostenere ch'essa non è nè l'una nè l'altra cosa, e la distinzione che
si cerca stabilire perde tutto il suo valore. Cerchiamo di raffigurarci
più esattamente questi rapporti. Se si parte dall'idea di Dio, la quale
esige una azione immediata sul mondo, il mondo è, eternamente, per
Dio un tutto; se in vece si parte dalla concezione del mondiale, del
finito, il mondo è essenzialmente qualche cosa composta di parti e di
frammenti, ed è ciò che esige per noi un intervento di Dio semplice
mente mediato. Dimodoché bisogna dire: Sul mondo, come sopra un
lutto, Dio agisce immediatamente; ma su ogni singola parte esso non
agisce che per l'intermediario stesso della sua azione sulle altre parti,
vale a dire, per le leggi naturali *).
Questo modo di vedere, giusta il quale Dio non agisce immediata
mente che sull' assieme, non è più favorevole al valore storico della
storia biblica di quel che lo sia 1' opinione esaminata più sopra , che
ammette soltanto una azione mediata di Dio sopra il mondo. I miracoli
') Parole di Bauer, nel suo Esame dei Prolegomeni di Miiller; in Jakn'sJahr-
bùchern fiir Philol. und Padag. 1828, i Heft., pag. 7.
lJiTBODUZIOSE 95
bocca, e per l' involontaria addizione di abbellimenti ora dell'uno, ora
dell'altro narratore , siccome palla di neve, ingrandi. Ma col tempo si
trovano spiriti più felicemente dotati, che ispirati da queste leggende
ne fanno oggetto di un lavoro poetico o prammatico religioso; la
maggior parte de' racconti mitici che la antichità ci trasmise, quale il
ciclo delle leggende sulla guerra di Troia e sopra Mosè, si presentano
a noi sotto questa forma elaborata ed abbellita. Qui parrebbe che la
finzione volontaria intervenga necessariamente: e non è vero. Nel nostro
tempo e colla nostra coltura intellettuale, in cui dominano il giudizio
e la critica, egli è quasi impossibile raffigurarsi un tempo ed una col
tura, in cui l'imaginazione agiva così potentemente da trasformare le
sue composizioni in realtà nello spirito stesso di colui che la creava.
Ma la intelligenza produce, nelle società illuminate, gli stessi miracoli
della imaginazione in quelle che lo sono meno. Prendiamo il primo
storico prammatico antico o moderno, per esempio Livio: Numa, egli
dice, impose ai Romani una quantità di prescrizioni religiose, perchè
nell'ozio gli animi non si dessero ad una pericolosa licenza, ne luxu-
riarentur otto animi, e perchè egli riguardava la religione siccome
il miglior mezzo di tenere in freno una moltitudine ignorante e rozza
in quei secoli, mullitudem imperitam et illis sccculis rudem. Questo
re, segue lo storico, istitui giorni fasti e nefasti, poiché doveva tal
volta esser utile il non far nulla insieme col popolo , idem nefastos
dies fastosque fecit, quia aliquando nikil cum popolo agi utile futurum
erat ')• Da chi sapeva Tito Livio che tali fossero stati i motivi di
Numa? Essi non erano stati certamente tali, ma pur Tito Livio lo cre
deva. La è una combinazione del suo intelletto riflessivo, la quale gli
pane così necessaria eh' egli la presentò, con piena convinzione, sic
come una realtà. La leggenda popolare ovvero un antico poeta aveva
altrimenti spiegate le concezioni di Numa in fatto d'istituzioni religiose;
supponendo cioè colloqui di lui colla Ninfa Egeria, la quale avea ri
velato al suo protetto qual fosse il culto più gradevole agli dei. Come
si vede, il rapporto è quasi Io stesso d'ambo le parti; se la leggenda
ha un autore particolare , questi credette non poter ispiegare i dati
storici che per via d'una comunicazione con un essere superiore, in
quella guisa che Livio non credeva poterli spiegare che colla suppo
sizione di viste politiche. [Il primo riguardava per realtà il prodotto
della sua fantasia, come il secondo la combinazione del suo intelletto 2).
«) I, 19.
*) George (pag. 26) mostra nella stessa guisa, che ogni erudito, cercando
96 INTBODUZIOXE
I 13.
Dal fin qui detto rilevasi qual sia il senso preciso in cui noi ap
plichiamo l'espressione mito a certe parti della storia evangelica. In
pari tempo, siami permesso lo esporne qui anticipatamente le specie
e le gradazioni diverse che noi verremo incontrando in questa storia.
Noi chiamiamo mito evangelico un racconto che si riferisce imme
diatamente o mediatamente a Gesù, e che noi possiamo considerare
non come espressione di un fatto, ma come prodotto di una idea dei
suoi partigiani primitivi. Sul terreno dell'evangelo come sopra altri
terreni noi troveremo che il mito, preso in questo senso, è talora un
mito puro formante la sostanza del racconto, talora un accidente di
una storia vera.
Il mito puro, nell'evangelo, avrà due fonti che concorrono simul
taneamente alla sua formazione ; solo , che nella maggior parte dei
casi , ora 1' una , ora l'altra predomina. La prima di queste fonti è ,
come si disse, l'aspettazione del Messia, nelle sue varie forme, aspet
tazione che esisteva nel popolo ebreo prima di Gesù e indipenden
temente da lui ; la seconda è l'impressione particolare lasciata dietro
di sé da Gesù, in grazia della sua personalità, della sua azione e del
suo destino, e colla quale egli modificò l'idea che i suoi compatrioti
si facevano del Messia. Gli è quasi unicamente dalla prima fonte che
proviene, a ragion d'esempio, la storia della trasfigurazione; la seconda
non vi forni che una sola circostanza, quella in cui i personaggi ap
parsi si pongono a discorrere con Gesù della morte che Io attende.
All'opposto, egli è dalla seconda che deriva il racconto del lacerarsi
102 INTRODUZIONE
del velo del tempio alla morte di Gesù; perocché il motivo che sem
bra averlo dettato è la posizione che Gesù stesso, e dietro lui la sua
comunità religiosa, si erano formata di fronte al culto ebraico ed ai
Tempio. Qui noi troviamo già qualche cosa di storico ; di vero , ciò
che in questo caso dà origine all' idea creatrice del mito , egli è un
semplice riflesso generale dei caratteri e dei rapporti dell'epoca; ma
immediatamente dopo noi passiamo nel terreno del mito storico.
Il mito ritrae della storia quando un fatto particolare e preciso è
il tema di cui l' imaginazione si impadronisce per circondarlo di
concezioni mitiche , le quali hanno per punto di partenza l' idea del
Cristo. Questo fatto è talora un discorso di Gesù, per esempio, il di
scorso sui pescatori d'uomini e quello sul fico sterile che noi ora leg
giamo trasformati in istorie maravigliose ; talora un atto , una circo
stanza reale della sua vita; cosi il suo battesimo, avvenimento reale,
fu abbellito di particolari mitici narrati dagli evangeli ; come pure è
probabile che varii racconti di miracoli abbiano per fondamento cir
costanze naturali che furono o presentate sotto una luce sovranat ti
rale o sopracariche di particolarità meravigliose.
Le concezioni sin qui enumerate son tutte a ragione designate sic
come miti, anche nel senso nuovo e più preciso che George diede a
questa idea in quanto che una idea è pur sempre il punto di par
tenza della parte non istorica di essi, sia che questa parte derivi dulia
tradizione, sia che abbia un autore particolare; non cosi di quelle parti
nelle quali si notano incertezze e lacune, travertimenti e modifica
zioni di sensi , confusione e mescolanza , risultati di una lunga tra
dizione orale, oppure nelle quali si trovano i caratteri opposti, vale
a dire una viva imagine ed un quadro completo; caratteri che accen
nano del pari ad una origine tradizionale: — a tali racconti meglio si
addice la denominazione di leggende.
Infine bisogna distinguere, così dal mito che dalla leggenda, ciò che
non servendo ad una idea metafisica nè derivando dalla tradizione ,
vuol essere considerato come una addizione dello scrittore, addizione
puramente individuale, e che mira a rendere gli oggetti presentati al
lettore, a concatenarli, ad amplificarli, ecc., ecc.
Io qui non ho voluto che enumerare le forme diverse della parte non
istorica degli evangeli. La parte storica, che ancor vi rimane in quan
tità considerevole, non ne soffre menomamente.
INTRODUZIONE 103
I 16.
') Confr., oltre gli scritti più antichi citati, 5 8, il libro di Bohlen intitolato
Die Gene sin, pag. 17, e particolarmente George, Sfythus und Sage, p. 91 e scg.
404 INTRODUZIOSE
cade, e quella della successione. Anco nelle epoche più violente, nei
mutamenti più rapidi, tutto segue un certo ordine di sviluppo, tutto
procede per via successiva cosi nel crescere che nel decrescere. Se
dunque ci si narra d'un grande uomo, che, sino dalla nascita e dai
primi anni dell'infanzia, egli abbia manifestata la grandezza che fu l'ap-
panaggio della sua età senile; se si narra de'suoi partigiani, aver essi
a prima giunta riconosciuto in lui ciò ch'egli era ; se , dopo la sua
morte, il loro passaggio dal più profondo scoraggiamento all'entusiasmo
più vivo è rappresentato qual'opera di una sol'ora: noi dovremo più
che dubitare della realtà della storia che abbiamo davanti.
Infine, deesi tener conto di tutte le leggi psicologiche, le quali non
permettono di credere che un uomo abbia sentito, pensato ed agito
diversamente da quel che fanno gli altri uomini o da quello eh' egli
stesso suol fare. Tale è per esempio il caso dei membri del Sinedrio
ebreo, che aggiustano fede al dire delle guardie poste accanto alla
tomba di Gesù, essere egli risorto, e che, invece d'accusarli d'essersi
lasciato involare il corpo durante il loro sonno, li istigano, a prezzo
di danaro, a spander la voce di quell'avvenimento. Si porrà nella stessa
categoria l'incapacità della memoria umana a ritenere fedelmente e a
riprodurre discorsi come quelli di Gesù nel quarto evangelo.
Però vuoisi confessare che nelle grandi personalità, in ispecie, assai
cose avvengono più rapidamente che non dovrebbesi attendere; e che
ben di sovente gli uomini nelle loro azioni sono inconseguenti né ten
gono fede al loro carattere. Di questi ultimi due punti si userà dunque
con cautela e solo in cognizione ad altri criterii del mito.
2.° Ma non soltanto colle leggi che regolano gli avvenimenti,
bensi ancora con sé medesimo e con altre narrazioni, vuoisi che sia
d'accordo un racconto, perchè esso abbia un valore storico.
La discordia è maggiore quando essa giunge sino alla contradizione, e
quando una relazione afferma ciò che l'altra nega. Per esempio, un rac
conto dice, espressamente che Gesù non predicò in Galilea se non dopo
l'arresto di Giovan Battista, ed un altro racconto, dopoché Gesù ha
già da lungo tempo predicato cosi in Galilea, che in Giudea, nota che
Giovanni non era stato ancora gittato in carcere.
Se invece la seconda relazione diversifica soltanto in qualche cosa
dalla prima , la discordanza riguarda semplici punti accessori , come
il tempo (purificazione del tempio), il luogo (antica residenza dei pa
renti di Gesù), il numero (uomini di Gadar, angeli alla tomba di Gesù),
«1 nome (Matteo e Levi): oppure il fondo stesso degli avvenimenti.
INTRODUZIONE
In quest'ultimo caso, talvolta i caratteri ed i rapporti appaiono in un
racconto affatto diverso che quel che sono nell'altro. Per esempio :
secondo un narratore, Giovan Battista riconosce in Gesù il Messia de
stinato a soffrire; secondo l'altro, si mostra sorpreso del suo patire.
Talvolta invece un avvenimento è narrato in due o più maniere, una
sola delle quali può essere la vera. Per esempio, al dir di un racconto,
egli è sulle rive del lago di Galilea che Gesù fece abbandonare le reti
a' suoi primi discepoli chiamandoli a seguirlo; al dir di un altro, ei
li converti alla sua dottrina in Giudea e mentre appunto recavasi in
Galilea. Si ha pure una obiezione contro la realtà storica di un rac
conto allorché fatti o discorsi che si narrano avvenuti in due volte
sono di somiglianza tale da non potersi ammettere che il fatto sia
accaduto o il discorso siasi pronunciato più d'una volta sòia.
Qui si domanda, sino a qual punto debbasi annoverare, fra le di
scordanze delle narrazioni, il caso in cui l'una di esse tace ciò che
l'altra racconta. In sé medesime e senz' altre esplicazioni siffatto ar-
qumenlum ex silentio non ha valore alcuno; ma ne ha assai quando si
possa provare che l'altro narratore avrebbe parlato della cosa se l'a
vesse saputa, e ch'ei l'avrebbe saputa se fosse accaduta.
lì. I caratteri positivi di una leggenda o di una finzione si mostrano,
sin nella forma, sia nel fondo.
1.° Se la forma è poetica, se gli attori vi scambiano discorsi
simili ad inni, e più lunghi e più ispirati che non si possa attendere
dalla loro coltura e dalla loro situazione, — quei discorsi almeno non
debbono considerarsi come storici. Del resto l'assenza di questa forma
poetica non guarentisce ancora per nulla il carattere storico d'un rac
conto, poiché il mito ama la forma più semplice e, in apparenza com
pletamente storica. Qui dunque tutto dipende dal fondo.
2.° Se il fondo di un racconto concorda singolarmente con
certe idee che prevalgono nel circolo stesso ove il racconto nacque,
e le quali paiono piuttosto il risultato di opinioni preconcette che non
della esperienza, in allora, la origine mitica del racconto, sarà, a se
conda delle circostanze, più o meno verosimile. Cosi noi sappiamo che
gli ebrei amavano riguardare i grandi uomini come figli di madri
rimaste lungo tempo sterili: ciò solo deve farci diffidare della verità sto
rica del racconto che pone in quel caso la nascita del Battista. Noi
sappiamo eziandio che gli ebrei vedevano in tutti gli scritti de' loro
profeti e de'loro poeti, delle predizioni, e nella vita degli antichi uo
mini di Dio, de'tipi del Messia; ciò ne suggerisce il sospetto, che quanto
106 IHTRODUZIOSE
') Confr. Tholuk : Sul rapporto che esiste fra le differenze nei particolari e
la terità nello assieme (Glaubioiirdigkei t, pag. 437).
108 INTRODUZIONE
chialo d'una inesattezza essenziale; con ciò si perde ogni garanzia della
possibilità di un residuo di fatto naturale, il quale d'altronde non po-
trebb'essere ritrovato senza congetture arbitrarie.
Gli esempi che seguono mostreranno quali siano in tali casi i se
gni caratteristici. Maria fa una visita ad Elisabetta che trovasi incinta;
il figlio di questa si agita nel suo seno, lo spirito l'invade ed ella
saluta Maria come madre del Messia. Tutto questo racconto ha contro
di sé caratteri non dubbii del mito: pur potrebbe darsi, a quanto sem
bra, che Maria avesse fatto ad Elisabetta una visita, nella quale tutto
sarebbe andato naturalmente. In fatti però, al viaggio stesso di Maria
fidanzata si appongono difficoltà psicologiche, e tutta la visita in uno
colla parentela delle due donne appare il prodotto della imaginazione
che si sforzò di porre in presenza l'una dell'altra la madre del Messia
e quella del Precursore. Altro esempio: è detto che gli uomini i quali
apparvero a Gesù sul monte della trasfigurazione erano Mosè ed Elia,
e che lo splendore che ivi lo illuminò era una luce sovranaturale :
anche qui si potrebbe, sopprimendo il maraviglioso , conservar come
fatto la presenza di due uomini ed una luce mattutina. Ma colle idee
che correvano sui rapporti di Gesù con Mosè ed Elia, la leggenda
era disposta non pure a trasformare in Mosè ed Elia due uomini qua1
lunque (la cui personalità, il cui scopo, il cui contegno sarebbero d'al
tronde assai enigmatici, posto che non fossero quei due profeti), ma
benanco ad inventare di pianta tutta la scena dell'incontro. Del pari
qui non si tratta di un chiarore qualunque (descritto d'altronde con
molta esagerazione e inesattezza, posto che fosse naturale) piuttosto
che di un chiarore sovranaturale; ma libero alla imaginazione il crearlo
sul modello del racconto della faccia luminosa di Mosè.
Ecco dunque la regola: nel caso in cui non solo i particolari e le
modalità di un avvenimento appaiano sospetti alla critica, e il mecca
nismo esterno esagerato , ecc. , ma il fondo stesso riesca in parte
inconcepibile alla ragione, in parte singolarmente notevole colle idee
degli ebrei d'allora intorno al Messia ; in tal caso, dico, non solo le
supposte precise circostanze del fatto, ma l'intero fatto medesimo sono
a riguardarsi come non istorici. Per I' opposto , ove soltanto alcune
particolarità di forma nel racconto di un fatto rechino in sé carat
teri mitici, in allora sarà per lo meno possibile il supporre ancora nel
fatto un fondo storico. Aggiungiamo però che , anco in caso simile,
non si potrà mai determinare con certezza se questo fondo esista real
mente e in che consista, a meno che non si giunga ad una tale de
INTRODUZIONE 10»
terminazione per combinazioni dedotte d'altra parte. Quanto alle leg
gende od alle addizioni fatte dallo scrittore, egli è più agevole lo iso
larne, almeno approssimativamente, il fondo storico, sceverando tutto
ciò da cui traspaia un quadro fallace, esagerazione, ecc., cercando di
separar la mistura e di colmar le lacune.
La linea di separazione però tra il mitico e lo storico rimarrà pur
sempre incerta in documenti i quali, come gli evangeli, hanno incor
porato in sè l'elemento mitico; e in un primo lavoro generale che
cerchi d'apprezzare que' documenti dal punto di vista critico, si po
trà esigere meno che in ogni altro una demarcazione già esattamente
tracciata. Egli è d'uopo, nella oscurità che la critica crea collo spe
gnere tutti i lumi riguardati sinora come storici, che l'occhio apprenda
dall'abitudine a discernere nuovamente i particolari: per lo meno l'au
tore di quest'opera chiede espressamente che laddove ei dichiara di
non sapere ciò che sia accaduto, non gli si attribuisca d'aver inteso
sostenere nulla essere accaduto a).
«co in ciò la scienza rispose ai buon senso, alla logica dell' umanità , e in
qualche modo all'intuito generale che è l'operazione indistinta in alcuni,
distinta e chiara in altri, del buon senso e della logica. Quindi fu detto che
la causa prima creò tutto, e in questo tutto le cause secondarie; che essa con
serva tutto, che dappertutto ritrovasi senza che col lutto si confonda; che
insomma sia legge suprema da cui le altre leggi emanano, e dalla quale
dipendono.
Ora se la scienza accorda alla causa prima l'azione immediata sull'esistenza
«lei tutto , se le accorda la conservazione del tutto, non sappiamo per quali
vie le possa negare l'intervento anco immediato sulle cause secondarie, cioè
sulle leggi naturali. Perchè la scienza venga a questo le è necessario ricor
rere all'invenzione di principii i quali limitando, con l'azione, l'idea di Dio
e dei suoi attributi, importino una contradizione nella scienza stessa; infatti,
la causa prima ammessa dalla scienza come conseguenza logica delle cause
naturali, e che agisce immediatamente sull'esistenza del tutto, non è più la
stessa causa prima esclusa dalla scienza dall'intervento nelle cause secon
dile.
Perchè la scienza si salvi adunque dalle contradizioni è necessario che am
metta la possibilità dell'intervento immediato della causa prima nelle cause
secondarie, ciò che significa la possibilità della sospensione delle leggi di
natura, che vai quanto dire la possibilità dei miracoli.
Non entro per ora a discutere quali sieno i caratteri veri del miracolo, nò
in qua! modo la storia e la tradizione possano accettar per miracolo ciò che
miracolo non è, né, se parlando del Cristo, ne abbia per errore accettati; di
questo dirò appresso; per ora mi basta la certezza che i miracoli non sono
nella sfera delle cose impossibili, e che la scienza non può considerarli tali.
Il secondo punto che mi conviene toccare è questo: dal vedere chiaramente
il modo come nei popoli non cristiani siasi ingenerata la credenza dell'in
tervento immediato divino, si può legittimamente inferire lo stesso dei cri
stiani, in modo tale che quanto alla loro origine in nulla o solamente in poco
tutte le religioni si distinguano l'una dall'altra? Io penso di no. Primo, perchè
non tutti i fatti della vita del Cristo possono spiegarsi, come altrove dirò,
né secondo le leggi ordinarie, né per qual siasi modificazione dello spirito
umano affetto da sentimento religioso, o educato a riferir certi effetti a cause
soprannaturali; secondo, perchè i fatti del Cristo hanno una loro specialità,
ed é l'essere stati vaticinati assai prima che realmente accadessero. Lo Strauss
ha già preveduta quest'ultima obbiezione e vi risponde col dire che gli scrit
tori del vangelo aggiunsero alla tradizione fatti forse non accaduti, ma rispon-
denli in tutto alle profezie, quasi per completare il numero delle ragioni che
112 ÌKTRODCZIOSE
■••:!.-- '
§ 17.
fki ■
Racconto di Luca. ')
concezione iam.med.iata e sopranaturale.
;."•
t i nostri evangelisti fanno precedere l' apparizione publica di
quella di Giovan Battista; Luca è il solo che, innanzi la na-
primo., narri di quella del secondo. Questo racconto non si
omettere in un lavoro esclusivamente dedicato alla vita
Gesù , sia perchè dal principio alla fine la vita del Battista è in
slegarne con quella di Gesù, sia perchè questo paragrafo serve
caratterizzare i racconti evangelici. Fu supposto che questo pa
ragrafo, col resto de' primi due primi capitoli di Luca, fosse una in
terpolazione apocrifa e posteriore; ma tale congettura non è auto
rizzata dalla critica, ed è solo di coloro i quali, sentendo che la storia
della infanzia esigeva una esplicazione mitica, temevano d'applicare a
resto dell'cvangelo quel punto di vista ancora nuovo s).
coppia sacerdotale era invecchiata senza aver figli, quando
') Una volta per sempre io ricordo che quando nel corso di questo evan-
pelo io dirò, per brevità Luca, Matteo, ecc., intendo l'autore del terzo, del
(•rimo evangelo , ecc. , senza decidere se questi libri provengano da questi
nomini apostolici o da autori sconosciuti posteriori a loro.
*) Vedi il prospetto in Quinci, Comm. in Lue. Proleg., pag. 247 e seg.
Stmom. — V. di G. Voi. I. 8
114 VITA DI GESÙ
un bel giorno al sacerdote, che stava ardendo incenso nel santuario ,
appare l' angelo Gabriele e annuncia per la loro vecchiaia un figlio
che vivrà consacrato a Dio , e sarà il precursore destinato a pre
parare le vie del Signore visitante il suo popolo al tempio del Messia.
Dubitando Zaccaria della promessa, in causa dell'età sua e di quella
di sua moglie, l'angelo, in segno ed in punizione, lo colpisce di ma-
tolezza sino al compimento di essa; e questa mutolezza dura infatti
sino all'epoca della circoncisione del figlio ormai nato; nel qual mo
mento il padre, che deve imporgli il nome prescritto dall'angelo, ri
cupera la parola ed erompe in un inno di gioia (Lue. 1 , 5 - 25 ;
57 - 80).
L'evangelista ha voluto narrare, ciò si comprende da sè, una serie
di avvenimenti esterni e di avvenimenti miracolosi; annuncio del pre
cursore del Messia, ordinato da Dio e procurato colla apparizione d'uno
degli spiriti più elevati; gravidanza operata non senza una benedizione
particolare del cielo; mutolezza inflitta e guarita in modo straordi
nario del pari. Ma la è un' altra questione il sapere se noi possiamo
condividere l'avviso del narratore e convincerci che realmente la na
scita di Giovan Battista fu preceduta da una tale serie di avvenimenti
miracolosi.
L' apparizione dell' angelo è in questi racconti il primo punto che
ripugni alla nuova coltura, cosi per la apparizione in sè stessa come
per il carattere particolare ch'ella presenta. Esaminiamo dapprima que-
st: ultimo lato. L' angelo si dà a riconoscere egli stesso per Gabriele
che sta in faccia a Dio (TaSpiiX b craptartixà; bóaio-j tou Oes-j): ora, non
si può concepire che la corte degli spiriti celesti sia per lo appunto
ordinata come se l'erano figurata gli Ebrei dopo l'esilio, e che per
sino i nomi degli angeli fossero dati nella lingua del popolo Ebreo
Lo stesso sopranaturalismo, benché sul suo terreno , pure qui si ri
trova .in "qualche imbarazzo. Se infatti i nomi e le categorie degli
angeli, quali si suppongono in questo racconto, fossero nati origina
riamente sul suolo della religione ebraica rivelata; se Mosè od uno degli
antichi profeti li avesse stabiliti , il sopranaturalista potrebbe e do
vrebbe accettarli per veri.
Ma queste determinazioni precise della dottrina degli angeli si tro
vano per la prima volta nel libro di Daniele 2), composto al tempo
') Paulus, Exeget. Handbuch, 1, a, pag. 78 e seg. 95; Bauer, Hebr. M'jthol.,
2 voi., pag. 218 e seg.
*) Ivi Michele è designato coinè tino dei primi principi, 10, 13.
CAPITOLO PRIMO 115
<Je Maccabei, e nel libro apocrifo di Tobia esse furono evidentemente
prodotte dalla influenza della religione di Zoroastro, e gli Ebrei me
desimi attestano eh' essi recaron seco da Babilonia i nomi degli an
gioli *). Da qui risulta una serie di questioni estremamente imbaraz
zanti per il sovra naturalista. Forse che queste idee erano false fino
a che si trovavano soltanto fra i popoli esteri e divennero vere pas
sando fra gli Ebrei? o furono desse sempre vere e popoli idolatri sco
prirono una verità di un ordine così elevato a preferenza del popolo
di Dio? Se questi idolatri furono esclusi da una rivelazione divina par
ticolare, dunque essi giunsero colle sole forze della loro ragione ad
una tale scoperta, prima che vi giungessero gli Ebrei colla loro rive
lazione; dimodoché la rivelazione sembra essere superflua od agire
soltanto in modo negativo, coll'impedire cioè la troppo pronta cogni
zione della verità. Se, per isfuggire a questa conseguenza, si prefe
risce ammettere una influenza rivelatrice di Dio fra i popoli stranieri
ad Israele, il punto di vista dei sopranaturalisti scompare, e in allora,
non essendo possibile che nella religione che si combatte tutte cose
siano rivelate, ci è lecito lo esercitare i diritti della critica e lo scernere
fra esse. Ora noi non troveremo conforme ad una idea appurata di
Dio, il rappresentarcelo come un re mortale, circondato d'una corte ;
e se Olshausen invoca, in sostegno della realtà di quegli angioli, la
scala degli esseri, che si può ragionevolmente ammettere s), ei non
giustifica con ciò l'opinione ebrea, ma vi sostituisce una opinione mo
derna. Si verrebbe quindi ad ammettere per una scappatoia una eco
nomia da parte di Dio, che egli cioè avesse inviato uno degli spi
riti superiori colla ingiunzione di attribuirsi, conformemente alle idee
ebraiche, per essere creduto dal padre di Giovan Battista, un grado
<-d un titolo ch'ei non avea realmente. Ma Zaccaria, come appare dal
seguito del racconto, non credette all' angelo e non fu convinto che
') Langc , Cber den geschichll. Charalcter der kanon. Evang. , insbes. der
Kindheitsgesch . Jesn (Del carattere storico degli Evangelii canonici ed inispe-
cie della storia dell'infanzia di Gesù), pag. SI; Hoffmann, pag. 138.
*) Hebr. Mythol., 2, pag. 218.
') Bauer, Hebr. Mythol., 1, pag. 129; Paulus, Exeget. Handbuch, 1, a, 74.
*) Paulus, Commentar, 1, pag. 12.
') Bauer, 1. «it. 1, pag. 120.
*) Glaubenslehre, 1 Thl., ! 42 e 43. 2 Aufgabe.
CAPITOLO PB1MO li»
desiderio, dice Schleiermacher, per noi che viviamo oggidì, trovasi
so ddisfatto, quando ci raffiguriamo che altri globi celesti sono popolati
al pari del nostro: con che resta esclusa la prima fonte della credenza
negli angioli. La seconda fonte sta nell' idea di Dio siccome di mo
narca circondato dalla sua corte; questa idea non è più la nostra. Noi
sappiamo in oggi spiegare con cause naturali i mutamenti nel mondo
e nella umanità che in allora si credevano opera di Dio agente per
il ministero degli angeli; dimodoché la credenza degli angeli manca
di qualunque vero punto d'appoggio nel terreno delle idee moderne
e più non esiste che quale una tradizione morta. Il risultato non
varia quand'anche, con uno dei più recenti autori della dottrina degli
angeli1), noi facciamo derivare questa opinione dal bisogno dell'uomo
di distinguere i due lati della sua natura morale, e di raffigurarseli
come esseri posti fuori di lui, angioli e demoni. Poiché, anco in tal
modo , l' origine delle due concezioni rimane puramente subiettiva
e gli angioli non sono altro se non ideali della perfezione nella crea
tura; ideali che, concepiti dal punto di vista inferiore del sentimento
che imagina, scompaiono nell' ordine superiore della intelligenza che
comprende *).
Contrariamente a questo risultato delle cognizioni moderne , risul
tato negativo della esistenza degli angeli, Olshausen cerca dedurre da
quelle medesime cognizioni, prese dal lato speculativo, ragioni posi
tive per la realtà dell'apparizione narrata da Luca.
Il racconto evangelico, egli dice, non contradice per nulla ad una
giusta concezione del mondo, poiché Dio è immanente nel mondo, il
quale è mosso dal suo soffio 5). Ma, appunto perché immanente nel
mondo, Dio avrà meno che mai bisogno dell'intervento degli angioli
per agire sovr'esso; e' non è se non in quanto ei siede sur un trono
lontano , nell' alto dei cieli , che gli abbisogna mandar degli angioli
quaggiù per far eseguire le sue volontà sulla terra.
Dovrebbe recar maraviglia che Olshausen possa argomentar di tal
guisa , se dal suo modo di trattare l' angelologia e la demonologia
non risultasse chiaramente che agli occhi di questo autore gli angioli
sono, non già esseri individuali esistenti per sé stessi, ma bensi forze
l'abbia conosciuto prima del battesimo , e come più tardi ancora egli
abbia potuto ingannarsi sul suo carattere di Messia (Gio. 1, 30; Mat.
il, 2) «).
Così bisognerà convenire nel risultato negativo della critica e della
polemica de' razionalisti, che nulla cioè di così sopranaturale potè ac
cadere prima e durante la nascita del Battista. Ora domandasi quale
idea positiva abbiasi a formare di questo racconto per surrogarla al
l'idea che fu rovesciata.
18.
') Dorsi, in Henke's Museum, i, 4, pag. 733 e seg.; Gabler, nel suo Neuest.
tkeol. Journal, 7, 4, pag. 403.
') Briefe iiber die Bibel im Volkstone (Ausg. Frankfurt uud Leipzig 1800 ).
! Bd., 6 Brief, 31 e seg.
122 VITA DI GESÙ
§ 19.
') La causa di una tale opinione viene nel miglior modo chiarita du un
passo, classico per questa materia, dell'Evangelo della Natività di Maria (Fa-
bricius, Codex apocryphvs N. T. I, pag. 22 et seq.; Thilo, 1, pag. 522): « Deus-
— vi si dice — cum alicujus uterurn claudit, ad hoc facit, ut mirabilius
denuo aperiat, et non libidinis esse, quod nascitur, sed divini muneris cogito-
icatur. Prima enim gentis vestra Sara mater nonne usque ad octogesimum
annuin infecunda fuil? et tamen in ultima senectutis telate genuit Isaac, cui
repromissa erat benediclio omnium gentium. Rachel quoque, tantum Domino
grata, tantumque a sancto Jacob amata, din stcrilis fuit, et tamen Joseph
genuit non solum dominum jEgypti, sed plurimarum gentium fame peritu-
rarum liberalorem. Quis in ducibus vel fortior Sampsonc, vel sanctior Sa
muele? et tamen hi ambo steriles matres abuere.... Ergo.... crede.... dilatos
diu eonceptus et steriles partus mirabiliores esse solere. » La tinta cristiano-
ascetica di questo passo non impedisce (Hoffmann, pag. 141) di trovarvi la
••spressione esatta dell'idea dell'antico toslamento. Pongasi soltanto, in prin
cipio, natura, se vuoisi, invece di libidinis, e dicasi poi qual significato, se non
quello del noslro Apocrifo, potevano gli ebrei trovare in queste storie della
nascila d'Isacco ecc., pur ammettendone la realtà.
*) De-Wetle, Kritik der mosaischen Geschichte, pag. C7.
x) Neuestes theol. Journal, 7, 1, pag. 402 e seg.
') In llenke's Museum, 1, 4, pag. 702 e seg.
Stbapss - F. di G. Voi. I. «J
130 VITA DI GESÙ
piccola opera poetica sul fare di molte invenzioni ebraiche che noi
ritroviamo ancora negli apocrifi. Per vero ei non vuole asserire che
tutto sia inventato di pianta, anzi crede potervi essere, in fondo, dei
fatti e una tradizione molto diffusa: su che il poeta si preso la libertà
di ravvicinare ciò che era discosto e di dar forme precise ai dati in
certi della tradizione; ragion per la quale egli opina che ogni sforzo
per iscoprirvi la base storica e naturale, sia sforzo inutile ed infrut
tuoso '). Horst ha già congetturato che l'autore di questo passo fosse
un cristiano tendente al giudaismo; Schleiermacher medesimo ammette
ch'ei venisse composto da un cristiano della scuola ebrea, sviluppata
in un tempo in cui esistevano ancora puri discepoli di Giovanni;
questo passo mirava ad attirarli al cristianesimo , mostrando che il
rapporto di Giovanni col Cristo era la sua propria e più elevata de
stinazione, e collegando in pari tempo al ritorno del Cristo una glo
rificazione esterna del popolo.
Una tale interpretazione del passo è la sola vera; e ciò appare evidente
mente, solo che si considerino più da vicino gli scritti dell'antico testa
mento, ai quali, come notano quasi tutti i commentatori, questa storia
dell'annuncio e della nascita di Giovati Battista somiglia in un modo sin
golare. Ma non bisogna raffigurarsi (ciò che ora serve cosi comodamente
alle confutazioni 9) della concezione mitica di questo paragra fo), non biso
gna raffigurarsi che l'autore abbia sfogliazzato l'antico testamento e rac
coltine ad uno ad uno i tratti sparsi. No, quei tratti, quali nell'antico testa
mento si trovano, relativi alla tarda nascita di uomini ragguardevoli,
eransi da lungo tempo fusi in un quadro totale per il lettore, il quale ne
toglieva quelli che più convenivano al caso speciale. — Il tipo più an
tico di tutti i tardi di nascita è Isacco. Nella stessa guisa che Zaccaria
ed Elisabetta son detti avanzati nei loro giorni srpoo&vxótt; tv Taf;
mipoL-.? abrzSrj (v. 5), cosi Abramo e Sara erano del pari avanzati in età,
rrp;,3£.?i.x:Tii ?_usp5v, (\, Mos. 18, H.lxx), quando un figlio fu loro an
nunciato. Gli è particolarmente da questa storia che fu trasportata, nel
racconto di Luca , Y incredulità del padre , fondata sull' età inoltrata
de'parenti, e la domanda di un segno. Abramo, dopo che Dio gli ebbe
promesso per il suo crede una posterità che possederebbe la terra di
Canaan, come in atto di dubbio, richiese: Da che conoscerò che io possie-
') vber die Scirriften des Lucas , pag. 24 e seg. Ciò è riconosciuto anche da
Hase, Leben Jesu, 5 82. Confr. con jj 52.
*) Per es. Hoffmann, pag. 142.
CAPITOLO PRIMO 131
deró quella terra*? xa.-zk ti yvàoiuai o-i Avpovoufow amm (1 , Mos., 1 3,8, lxx).
Cosi qui Zaccaria: Da che conoscerò io ciò? xa-% ti yvóaouou tojtj;
(v. 18). La leggenda non trasse partito per Elisabetta dall'incredulità
di Sara; questo nome d'Elisabetta che è detta una delle figlie d'Aa
ron. lf. tùv SuyxTÉpw 'Aapàv, potrebbe far pensare all'egual nome della
moglie di Aaron , fratello di Mosè (2, Mos. 6, 23, lxx).
Dalla storia di un altro personaggio nato da tardi genitori, Sansone,
è preso l'angelo che annuncia la nascita del figlio. Nel nostro rac
conto 1' angelo apparisce al padre in mezzo al tempio , mentre nel
libro de'giudici (13) egli apparisce prima alla madre, poi al padre in
mezzo alla campagna, mutamento prodotto naturalmente dalla diversa
condizione dei genitori rispettivi; oltreché, giusta le idee degli ebrei
ne'tempi posteriori, i sacerdoti avevano non di rado, mentre incen
savano il tempio, angelofanie e teofanie ')• Dalla medesima fonte de
riva l'ordine che consacra sin dalla nascita Giovanni, del quale era
nota la vita ascetica , al Nasireato (nasir, votato a Dio), — in quella
guisa che per Sansone son vietati alla madre, fin dal tempo della
di lei gravidanza, il vino, le bevande forti e gli alimenti impuri; — poi
l'angelo prescrive al fanciullo l'egual regime di vita 9), e di più ag
giunge, come per Giovanni, che il fanciullo è votato a Dio fino dal
ventre della madre 3). Anco la promessa di opere ricche di benedi
zioni per il loro popolo è analoga per ambedue (Confr. Lue. 1, 1G, 17,
con Giud. 13, 5): cosi pure la formula finale sul crescere dei due fan
ciulli fecondo di speranze *).
Rimane ancora la storia d'un terzo personaggio nato tardivamente,
di Samuele; forse sarebbe troppo arrischiato il considerare come una
') Wetstein (zu Lue. 1, II, pag. 6i7 e scg.) riporta dei passi da Giuseppe
e dai Rabbini, ne' quali è detto che tali apparizioni furono retaggio di gran-
sacerdoti. Ma il nostro passo medesimo (v. 22) attesta che si era facilmente
disposti a supporne di simili anco per sacerdoti ordinari.
») Giud. 12, 14 (lxx). Ka< ofvov xal aixipa (al. uiboaua, ebr. 1sX!)uì] jt.-ìtw.
Lue. 1, 15: Rai o'vov, xal a'txtpa. co pi sn';:.
*) Giad. 13, 5: Ovti ny.a.'juvjoi, é<rzcu za Qtà (al. RoZlp 3ssù ima.) ts nat-
Jóp.-cv ìx r.I? yanrp'og (al. àsib tk xvXìa.:).
Lue. 1, 15: Km sntiyxxn; àyko izb1dòr;cv:'J.t ÉT( ex xoiXi'as un^po; aùrrou.
') Giud. 13, 24 e seg. Kui riXcywiv ówtsv xùpio?, xai ijùfrjài (al. ^pj^bv) xb
r,a.Àia.p:vy x'ii ypiaxo nvùua. xupiou munopijtijàai oxr.ù ev stixpiuìolij Aòv,
à'jrtnhn Ss/pi xttl àwuùo'ov WoìxnL Confr. 1, Mos. 21. 20.
LÓc. 1 18: Ti ùl ■n'Aiàiov r,jiavt tal ixpaTaiot/rs irveiiuntTi , xai ry » '«<"»
ipsintt, iw vuipa; à.vauftiia»t aJTo-i jrp's; tòv lapaijX.
132 VITA DI GESÙ
') i Mos. 16, il, 20, (lxx): Ke/.l xcti.iam ?; ovoiia ct'r.o'j 'laua/f).. 17, 19: —
'laaàx.
Lue. 1, 5: Kai xcOAung tì eveua aÒToJ 'I&)àwi;v.
*) Olshausen, Bibl. Commentar, I, pag. 119; Hoflmann, pag. 146.
CAPITOLO PRIMO 133
ricevere il favore d' un tal figlio , e in conseguenza essa non ha va
lore storico alcuno; l'altra invece, che Giovanni nacque sotto Erode
(il grande), è senza dubbio un calcolo cronologico esatto.
In riassunto , noi siamo qui sopra un terreno mitico-poetico , e la
sola realtà storica che si possa conservar con certezza riducesi a questa.
Giovan Battista per le sue opere posteriori, e pei rapporti di queste
colle opere di Gesù , produsse una impressione cosi potente che la
leggenda cristiana si trovò indotta a glorificarne in quel modo la na
scita, collegandola a quella di Gesù ') a).
! 20.
Noi non avevamo per la storia della nascita di Giovan Battista che
la sola narrazione di Luca; ma per la genealogia di Gesù noi abbiamo
anche Matteo; dimodoché il controllo reciproco dei due narratori al
levia da un lato il lavoro della critica, se pur lo moltiplica dall'altro.
Del resto l'autenticità dei due primi capitoli di Matteo, i quali racchiu
dono la storia della nascita e della infanzia di Gesù, fu contestata al
pari di quella dei paragrafi paralleli di Luca "); ma le medesime pre
venzioni essendo invalse così per Matteo che per Luca, a ragione ba
starono confutazioni solide per ridurre i dubi al silenzio J).
La storia dell'annunciazione e della nascita di Gesù è preceduta in
Matteo (li, 17), seguita in Luca (3, 23, 28), da un albero genealo
gico, il quale deve attestare la discendenza davidica di Gesù, siccome
membri , anche senza Gesù '). Ma questo calcolo , mentre evita una
irregolarità, ricade in un'altra: che cioè (v. 17), nella frase: Da Abramo
a Davide, ecc., àrì Wfipaxn hn ^Sìd, xz\., Davide è incluso; mentre
dalla frase: Dall'esilio di Babilonia sino a Cristo, darà t.;s unoixiaix;
hofiSka-jo; iu; tou Xpurtcò, il Cristo è escluso. Vi si sfugge, se invece
di Giosia si conta due volte Geconia; con che per la terza serie si
hanno quattordici nomi, compreso Gesù; ma per non ne avere uno
di troppo nella seconda , bisogna rinunciare a contar due volte Da
vide. Ma qui si ricadrebbe, solo in senso inverso, nella medesima irre
golarità a cui volevamo prima sfuggire , che cioè si dovrebbe contar
doppiamente nel passare dalla seconda alla terza serie, e non nel pas
sare dalla prima alla seconda. Forse la vera spiegazione fu intrave
duta da De-Wettc, il quale osserva che, nel conto totale, v'ha qualche
cosa infatti, ai due passaggi, che si contò due volte; la prima volta
una persona, Davide, che vuol essere calcolata in doppio; la seconda
un avvenimento, l'esilio di Babilonia, che cade fra Giosia e Geconia.
Quest'ultimo , non avendo regnato che tre mesi a Gerusalemme , ed
avendo passato la maggior parte della sua vita a Babilonia, è, vera
mente, nominato alla fine della seconda serie per legar questa coll'ul-
tima, ma vuol essere contato al principio della terza *).
Confrontiamo ora coi passi corrispondenti dell'antico testamento la
genealogia di Matteo, sempre independentemente da quella di Luca;
essa non concorda completamente con que'passi, e il risultato di que
sto confronto è opposto a quello che fu precedentemente ottenuto :
vale a dire, che, se la genealogia considerata in sé stessa è costretta
a raddoppiare un termine per riempire il suo quadro , ella omette ,
confrontata coll'antico testamento, vari termini, per non oltrepassare
il suo numero di quattordici. Questa genealogia, riguardata siccome
il celebre albero genealogico della casa reale di Davide, si può com
parare coll'antico testamento da Abramo sino a Zorobabele ed ai suoi
figli, epoca in cui la famiglia di Davide comincia a rientrare neh" o-
scurità, e in cui non facendone più cenno l'antico testamento, cessa
') Pur che almeno questa esclusione non derivi dal motivo mistico di
Olshausen, Comment. , i , pag. 46 , il quale pretende non essere conveniente
l'incorporare Gesù stesso nelle generazioni, ma il metterlo a parte come co
ronamento del tutto. Ma che non si troverebbe colla parola conveniente? Un'al
tra ragione , per cui convenga il contare due volte Davide , ci è data adesso
da Hoffmann, pag. 149.
') Exeget. Handbuth, 1, 1, pag. 12.
CAPITOLO SECOSDO IH
ogni garanzia di confronto per la genealogia di Matteo. La serie delle
generazioni da Àbramo sino a Giuda, Fares ed Esron, si conosce abba
stanza dalla Genesi; quella da Fares sino a Davide si trova alla fine
del libro di Ruth e nel secondo capitolo del primo libro dei Paralipo
meni; quella da Davide sino a Zorobabele nel terzo capitolo del me
desimo libro; senza contare alcuni punti isolati di confronto.
Terminando il parallelo, noi troviamo la linea da Abramo a Davide,
vale a dire tutta la prima serie dei quattordici nella nostra genealogia,
concordante, nei nomi d'uomini, coi dati dell'antico testamento; ma
si hanno di più alcune donne, una delle quali forma difficoltà. Ivi si
dice (v. 4), che Raab fu madre di Booz; non solo ciò è privo di con
ferma nell'antico testamento, ma, supponendo ch'ella fosse la bisavola
di Jesse padre di David, si frapporrebbero tra la sua epoca e quella
di David (dal 1430 al 1050 circa av. G. C.) troppo poche generazioni;
poiché non se ne avriano che quattro per quattrocento anni, compren
dendovi Raab o Davide. Questo errore ricade anche sulle genealogie
dell'antico testamento, poiché Salmon, bisavolo di Jesse, è chiamato
marito di Raab in Matteo, e così nel libro di Ruth (4, 20), che in Matteo
stesso, figlio di Naasson, il quale (secondo 4,Mos. 1, 7) apparteneva ancora
al tempo del passaggio nel deserto '); di là venne facilmente 1" idea
di unire il figlio di Naasson con questa Raab, che aveva salvato gli
spioni israeliti (Jos. 2), e di far entrare nella famiglia di Davide e
del Messia questa donna a cui il patriottico Israelita attribuiva • una
importanza particolare (Confr. Jac. 2, 25, Hebr. 11, 31).
Più numerose divergenze s'incontrano nella sezione di Davide sino
a Zorobabele ed a suo figlio, vale a dire nella seconda serie dei quat
tordici, compresi i primi termini della terza. Primamente, mentre qui
(v. 8,) si dice: Gioram generò Ozia, 'Iw/sòu kykvmt fì» 'Q&av, noi leg
giamo (nel l,Paralip. 3, 11, 12)che Ozia era non il figlio, ma il ni
pote del figlio di Joram; che tre re regnarono fra essi, Ocozia, Joas
ed Amazia; e che solo a quest'ultimo succede Ozia (2, Paralip. 2G, i;
od Azaria, come lo si chiama nel 1, Paralip. 3, 12, e nel 2, Re,
14, 21. In secondo luogo, il nostro genealogista dice: Giosia generò
Geconia e i suoi fratelli, 'luoias àì èyswws tìv 'Is^ovi'av xai toù; àà0.yw;
(kt.oìi. Ma, da un lato, noi vediamo (1, Paralip. 3, 16) che il figlio e
successore di Giosia si chiamò Gioachimo, e che fu soltanto il figlio
e di Giosia (v. 8, li), intende la parola generò, iyisnqot, non nel senso letterale, ma
in un senso più ampio: era tra'suoi discendenti, e posteris ejus erat; come se il ge
nealogista, lungi dallo escludere i termini omessi, avesse voluto invece compren
derli implicitamente nella lista (Quinòl su questo passo). In tal caso è impos
sibile ch'egli avesse contato come fece. D'egual valore è la scappatoia di
Hoffmann, il quale prende qui il yiviì. non per grado, ma per generazione ;
dimcolochò, il v.!7, àr:o ±a3tà irù;th usTo.'xtaias B^uXuvo; yivta.1 &txatlcxja.fjiz ,
significherebbe soltanto che da Davide sino all'esilio, o, come calcola Hoffmann,
sino alla ricostruzione del Tempio, v'ebbero il età d'uomini, vale a dire 500
anni: con clic non sarebbe detto che la famiglia in questione avesse avute»
solo li rampolli (pag. 136). E pure non se ne enumerano proprio che li!
') Tuttavia confrontisi Fritzsche, su questo passo.
*) Fritzsche, in Moti., pag. 11.
') Paulus , pag. 292. Del resto davasi importanza al numero sette anche
nelle genealogie. Lo si vede, per es., dal passo: iSfrotus durò Ac?àa'Ev5y ,
E»<* settimo dopo Adamo. Jud., v. 14.
*)ft'W. Comment, pag. 46. Nota.
144 VITA DI GESÙ
lo; poiché gli Ebrei si raffiguravano che le grandi visite divine, favorevoli
o funeste, ritornassero ad intervalli regolari: e però in quella guisa che
il fondatore del sacro popolo era succeduto, dopo quattordici genera
zioni, al re secondo il cuore di Dio, cosi il figlio di Davide, il Messia, do
veva esser sorto in capo a quattordici generazioni dopo la restaura
zione del popolo ebreo Noi troviamo una regolarità affatto simile
fino nelle più antiche genealogie della genesi. Come, secondo il libro
della generazion degli uomini , (H(Dj:; yvAotw àvSpómuv, cap. 5, Noè,
secondo padre del genere umano, è il decimo dopo il primo padre
Adamo: cosi dopo Noè, o per meglio dire, dopo il figlio di Noè, Abramo,
il padre de' fedeli, è il decimo 2).
Questo modo di trattare a priori il proprio soggetto, questo letto
di Procuste sul quale l'autore ora si raccorcia, ora si allunga quasi
come farebbe un filosofo che costruisse un sistema, non desta certo
una prevenzione favorevole al redattore della nostra genealogia. Vero è
che si invoca l'abitudine de'genealogisti orientali di permettersi siffatte
omissioni; ma colui che, dichiarando formalmente, tutte le generazioni,
t.xou.: ai yvjty.', essere state quattordici durante un certo intervallo, dà
una lista in cui, sia caso, sia disegno, mancano vari termini, dà prova
di un arbitrio o di una mancanza di critica, ben capaci di scuotere
la fiducia nel suo «lbero genealogico.
La genealogia di Luca, presa isolatamente, non presenta tanti er
rori come quella di Matteo; perocché, se la si confronti con sè me
desima , non se ne possa trarre conclusione alcuna , mancandovi la
controprova di una somma r>). Di più tale controprova manca eziandio,
I 21-
') ùber den Lukas, pag. 53. Confr. Winer, Reuliciirterbuch, voi. i, pag. 630,
148 VITA DI GESÙ
alcuna la parola generò, iytwm, s' ei non avesse pensato che ad una
paternità legale. Cosi, a questo riguardo, l'una delle due opinioni in
torno al rapporto delle genealogie non ha alcun vantaggio sull'altra.
Finora noi non abbiamo fatto che tracciare nelle generali questa
ipotesi; ora vuoisi esaminarla più da vicino per giudicare s'ella sia
ammissibile. Supponiamo un matrimonio del fratello del defunto colla
sua vedova: l'esame ed il risultato rimarranno assolutamente gli stessi,
sia che togliamo a Matteo, con sant'Agostino e Giulio Africano, l'in
dicazione del padre naturale, sia che la togliamo a Luca, con Schleier-
macher. Noi prenderem dunque ad esaminare il rapporto , a cagion
d'esempio, sotto la prima forma, tanto più che Eusebio, seguendo Giulio
Africano, ci lasciò intorno ad essa una spiegazione esatta assai. Giu
sta questo modo di vedere, la madre di Giuseppe fu prima maritata
coli' uomo designato da Luca qual padre di Giuseppe , con Eli ;
morto Eli senza figli, suo fratello, cioè Giacobbe, detto padre di Giu
seppe da Matteo, sposò, a termini della legge ebraica, la vedova e
generò Giuseppe. Allora Giuseppe fu considerato legalmente qual figlio
del defunto Eli, come lo chiama Luca, mentre, naturalmente, egli era
figlio di suo fratello, Giacobbe, figliazione seguita da Matteo.
Ma, condotta sin qua solamente, l'ipctesi sarebbe ben lungi dal bastare;
poiché se i due padri di Giuseppe erano fratelli veri, figli dello stesso
padre, essi avevano un solo e medesimo albero genealogico; e in tal caso
le due genealogie non dovrebbero diversificare che nel padre di Giu
seppe; al di là di questo, esse avrebbero dovuto concorrere tosto di nuovo.
Per ispiegare in qual modo esse possano divergere sino a Davide,
bisogna aggiungere la seconda ipotesi, fatta eziandio da Giulio Afri
cano, che cioè i due padri di Giuseppe non fossero stati che fratelli
uterini, avessero cioè avuto la medesima madre, senza avere il mede
simo padre. Si dovria dunque ammettere che la madre dei due padri
di Giuseppe fu maritata due volte , la prima col Matthan di Matteo,
discendente da Davide per Salomone e per la linea regale , al quale
essa generò Giacobbe, la seconda, prima o dopo, col Matthan di Luca,
discendente da Davide per via di Nathan, al quale essa generò Eli.
Essendosi Eli maritato ed essendo morto senza figli, il suo fratello ute
rino Giacobbe sposò la vedova e generò Giuseppe, che fu legalmente
considerato qual figlio del defunto.
Senza dubbio l'ipotesi d'un matrimonio cosi complicato in due gradi
che si seguono immediatamente , ipotesi a cui ci ha costretti la di
vergenza delle due genealogie, non è assolutamente impossibile, ma
CAPITOLO SECOSDO 149
è inverosimile. Ora la difficoltà è raddoppiata dalla concordanza che
in mal punto s'incontra, in mezzo a due serie divergenti, nei due
gradi di Salatiele e di Zorobabele. Infatti, per ispiegare come mai Neri
in Luca possa chiamarsi, del pari che Geconia in Matteo, padre di
Salatiele, padre di Zorobabele, bisognerebbe non solo rinnovar l'ipo
tesi d'un matrimonio tra un fratello e la vedova di suo fratello, ma
ammettere eziandio che i due fratelli succedutisi nel matrimonio colla
medesima moglie non fossero fratelli che dal lato materno. La dif
ficoltà non viene essenzialmente diminuita col notare che non soltanto
il fratello, ma anche il più prossimo parente consanguineo , poteva ,
se non doveva, succederò in un simile matrimonio al defunto (Ruth.
3, 12 seg.; 4, 4 seg.) •); poiché dovendo, anche per due cugini, l'al
bero genealogico concorrere ben più innanzi che qui non concorra per
Giacobbe e per Eli, per Geconia e Neri, bisognerebbe tuttavia ricorrere
due volte alla ipotesi dei fratelli uterini; con questo solo che i due ma
trimoni complicati non cadrebbero su due generazioni immediatamente
successive. Ora il supporre che non soltanto questo doppio caso si
rinnovi due volte, ma che, due volte eziandio, i genealogisti si siano
separati in egual modo nella indicazione del padre naturale e del padre
legale, ed ambedue le volte senza avvertirlo, la è una esplicazione in
verosimile; ed inverosimile a segno, che l'ipotesi d'una adozione, benché
incontri solamente la metà di queste difficoltà, ne ha già abbastanza
per non potersi sostenere. Infatti non esigendo l'adozione alcun rap
porto di fraternità, e neppure di parentela fra il padre naturale ed il
padre adottivo, cessa il bisogno di ricorrere ad una seconda supposi
zione di due fratelli uterini; e rimane solo la necessità di ammettere
due volte un rapporto di adozione , e due volte con questa parti
colarità , che uno dei genealogisti lo ha ignorato, il che non si può
supporre in un giudeo, e che l'altro ne tenne conto, ma senza dir
nulla.
Si credette in questi ultimi tempi poter risolvere la difficoltà in
modo più semplice assai: si pretese avere in uno degli evangelisti la
genealogia di Giuseppe, nell'altro quella di Maria, dimodoché la di
vergenza delle due genealogie più non involgerebbe contraddizione a);
e si volle anco aggiungere che Maria era una figlia ereditaria s). L'opi-
') Confr. Michaelis, Mas. Rechi. 2, pag. 200; Winer, Realworterbuch, 2, p. 22.
•) Per es., Spanheim, Dubia Evangel., P. i, pag. 13 et seq.; Lightfoot, Mi-
chtelis, Paulus, Quinòl, Olshausen, ora Hoffmann, ecc.
Già Epifanio e Grotius hanno emesso questa congettura; Olshausen, p. 45,
150 TITA DI GESO
ninno che anche Maria appartenesse alla schiatta di Davide è già antica.
Veramente fu in corso l'idea che il Messia, siccome un secondo Melchi-
sedecco, riunir dovesse la dignità reale alla dignità sacerdotale '); e
in ragione del parentado di Maria con Elisabetta, figlia d'Aaron, quale
è esposto da Luca, 1, 36 "-), non solo v'ebbero molti che, sin da'primi
tempi , fecero nascere Giuseppe da una famiglia proveniente da al
leanze fra discendenti di Giuda e di Levi 3), ma non fu raro il sup
porre che Gesù, disceso per via di Giuseppe dalla schiatta reale, lo
fosse, per via di Maria, dalla schiatta sacerdotale 4). Ma l'opinione che
non tardò a prevalere si fu, che Maria discendesse da Davide. Molti
apocrifi si esprimono in questo senso 5); e cosi pure Giustino mar
tire, il quale dice che la Vergine fu della schiatta di Davide, di Gia
cobbe , d' Isacco e di Abramo , dalla qual frase si potrebbe anche
desumere ch'ei riferisse a Maria uno dei nostri quadri genealogici,
i quali risalgono del pari, per via di Davide, sino ad Abramo ').
Ma se ora si domanda quale dei due alberi genealogici debba con
siderarsi per quello di Maria, e' sembra veramente impossibile lo at
tribuirle cosi l'una che l'altra delle due genealogie, poiché ambo s'an
nunciano in modo troppo preciso siccome appartenenti esclusivamente
a Giuseppe; l'una colle parole: Giacobbe generò Giuseppe, 'laxàp Ijwwsos
Tjy 'Iwi3^, l'altra colle parole: figlio di Giuseppe, figlio di Eli, uìU 'luoìj
toù 'E7.Ì. Nondimeno, anche qui, la parola di Matteo, generò, ìyhwnu
') Cosi si spiega, fra gli altri, Paulus, intorno a questo passo. Anche gli
Ebrei, supponendo che una Maria, figlia d'Eli, fosse tormentata nell'altro mondo
(v. Liglitfoot 1. eit.) sembrano aver preso per l'albero genealogico di Maria,
quello che, in Luca, parte da Eli.
*) Per es., Lightfoot, Uorce, pag. 750: Osiander, pag. 86.
s) Confr. Jucbasin, f. 55, 2, in Lightfoot, pag. 183; e Bava Balbra, f. HO, 2,
in Welstein, pag. 250 e seg. Confr. insieme Joseph. Vita, i.
VITA DI GESÙ
nipote, pronipote e cosi via sino al grado più lontano? Fu detto che
nella frase: Adamo figlio di Dio, '\&xu -roj 6ssu, il genitivo w non
poteva significare figlio nel vero senso della parola; ma sta pur sem
pre, eh' esso si riferisce anche qui all'autore immediato dell'esistenza,
idea nella quale non si può comprendere nè un suocero nè un avo.
Un'altra difficoltà che questo modo di spiegare i due alberi genea
logici ha in comune colla prima interpretazione, è il concorso delle
due genealogie in Salatiele e Zorobabele. Si potrebbe anche qui sup
porre, come più sopra, un matrimonio del fratello colla vedova di suo
fratello; nullameno i commentatori che si sono occupati di questo
punto preferiscono per lo più ammettere che que' nomi simili nelle
due genealogie non indichino gli stessi individui. Ma quando in Luca,
al 21° e 22° grado dopo Davide, del pari che in Matteo al 19° e al
20° '), compresi i quattro gradi ommessi, s'incontrano gli stessi nomi,
di cui uno assai celebre, non v'ha più dubbio che trattasi delle me
desime persone.
Non solo non trovasi nel nuovo testamento alcuna traccia la quale
indichi che Maria discende da Davide *), ma vari passi del medesimo
si esprimono anzi in senso contrario. In Luca , ( 1 , 27 ) le parole :
della casa di Davide , H oixaò li3là , si riferiscono solo alle pa
role immediatamente vicine: un uomo di nome Giuseppe, àvJpì à óvoux
'lomo, e non alle parole più lontane: una vergine fidanzata, mxpSivov
niuvrl,r:toum-j. Ma sopra tutto vuoisi notare l' espressione di Luca :
Giuseppe andò anch' egli — poich' egli era della casa e della patria
di Davide — a farsi iscrivere con Maria, ct-Afa ài *aì 'Iwify hx ri
E.vctt a&zov il oixou x7.ì aaip:x: &<x.$\d à.nny^a.^y.'ì^ct.'. ajv M'/pia: dove egli
era cosi facile il porre abzsù;, essi, invece di àu-ròi, egli, se l'autore avesse
creduto che anche Maria discendesse da Davide; e quest'ultima osser
vazione conferma viemeglio la già dimostrata impossibilità di riferire
a Maria la genealogia davidica del terzo evangelista.
§ 22.
') Tali sono Eichhorn, Einleit. in das N. T. I, pag. 423; Kaiser, Bibl. Theol.
I, pag. 232; Wegschneider, Instilut. 1 123, not. A; De-Wette, Bibl. Dogm. g 279
fa Exeget. Handbuch, 1, 2, pag. 32; Winer, Bibl. Reahvorterbuch, 1, pag. 660;
Hase, L-ben Jesu, § 33; Fritzsche, Comm. in Matlh., pag. 33; Ammon, Fortbil-
dunjits Christenthums sur Weltreligion, 1, pag. 196.
loi VITA DI GESÙ
conservato genealogie risalenti cosi addietro ')• Riconoscendo pertanto
in ambedue libere creazioni , in quanto non furono attinte all' antico
testamento, od arbitrarie applicazioni a Gesù di estranee genealogie ,
noi potremmo sempre ammettere come fondamento storico, che Gesù
discende da Davide, sebbene i gradi intermediari di questa discen
denza siano stati diversamente completati da differenti autori 4). Ma
il punto dal quale cosi argomentasi, vale a dire il viaggio a Betlemme
dei parenti di Gesù in occasione del censo, è, come vedremo ben tosto,
tutt'altro che certo, e in ogni modo non basterebbe a rendere vero
simile la discendenza davidica di Gesù. Un'altra circostanza di mag
gior peso si è che in ogni luogo del nuovo testamento, e senza con
tradizione apparente da parte degli avversari, Gesù passa per discen
dente di Davide. Ma il titolo di figlio di Davide può essere una qua
lificazione data a Gesù, non per motivi storici, bensi per motivi dogma
tici. Il Messia, secondo le profezie, non poteva discendere che da Da
vide. Or come egli è facile il concepire che un uomo di Galilea, del quale
era affatto ignota la genealogia, e al quale d'altronde nessuno poteva
provare ch'egli non fosse disceso da Davide — come egli è facile con
cepir che quest'uomo, acquistatasi la fama di Messia, desse argomento
alla diversa leggenda della sua discendenza da Davide, e che da questa
leggenda siansi poi formate genealogie le quali, non fondate su docu
menti autentici, caddero necessariamente nelle divergenze e contraddi
zioni che appaiono dal confronto tra quelle di Matteo e di Luca 3)f
Se ora si domanda qual sia il risultato storico offerto da queste ge
nealogie, esso consiste unicamente in un fatto d'altronde già noto: che
cioè, Gesù, personalmente e per mezzo de' suoi discepoli, produsse sopra
nomini imbevuti d'opinioni strettamente ebraiche una tale impressione
siccome Messia , che questi non esitarono a credere in lui realizzato
il carattere profetico della discendenza da Davide, e che più di una
penna si accinse a giustificare, con una dimostrazione genealogica di
quel carattere, la sua qualità di Messia ') a).
! 23.
') Fabricius, Codex apocryphus N. T. pag. i9S 66; Thilo, Cod. apocryphus
N. T. t. I, pag. 161 et seq. 319 e seg.
*) Questa Anna degli apocrifi ricorda quella di Samuele anche a Gregorio
ÌS'isseno o al suo interpolatore, quando egli dice: Mtuthou toi'vuv xaì aJnj :a
tripi 7.]; «ipps; -rsù ZnpoxrìX Jwy.'u /.-.x. Fabricius, 1, pag. 6.
CiPlTOLO TEnZO 159
da marito (secondo l'uno degli apocrifi) '), o tutti i vedovi nel popolo
(secondo l'altro 2), rechino il loro bastone, e che quegli sul cui bastone
(come sul bastone di Aaron (4, Mos. 17) si manifestasse un segno (il segno
cioè annunciato nel passo d'Isaia), debba essere lo sposo di Maria. Questo
segno si manifestò sul pastone di Giuseppe: un fiore, come è detto
nella profezia, vi spuntò, ed una colomba venne a posarsi sulla cima ").
Giuseppe, secondo gli apocrifi ed i padri della Chiesa, era già vecchio 4).
Ma v'ha una differenza tra l'Evangelo della natività di Maria e il Pro-
tevangelo di Giacomo: secondo il primo, malgrado il voto di castità
opposto da Maria e il rifiuto di Giuseppe motivato dall'età sua inol
trata, ebbero luogo tra essi, dietro l'ordine del gran sacerdote, veri spon -
sali , e più tardi un matrimonio , che nello spirito dello scrittore ri
mase indubiamente casto. Nel Protevangelo invece non parlasi, fin dal
principio, nè di sponsali nò di matrimonio, e sembra non trattisi che
della custodia della vergine affidata a Giuseppe 3); e questi stesso, in
occasione del viaggio a Betlemme, è incerto se debba farla iscrivere
come figlia o come moglie, per tema che il dirsi suo marito lo facesse ap
parir ridicolo a motivo della differenza d'età u). Così anche, là dove
in Matteo, Maria è chiamata la moglie di Giuseppe, i yvn , l'apocrifo
non la designa per precauzione che sotto il nome di fanciulla, v staisi
evita anzi volontieri la parola prendere, nu.p/X'/.-izi-j, o la scambia col
J&z.jXà&y.t, conservare, come fanno pure vari padri della Chiesa7). Ri
cevuta nella casa di Giuseppe, Maria, secondo il Protevangelo, fu inca
ricata insieme con molte fanciulle di fare la stoffa per le cortine del
tempio, e le toccò, in sorte, di lavorare la porpora. Frattanto, trovan
dosi Giuseppe assente per affari, Maria riceve la visita dell'angelo.
') Erung. de nativ. Mar., c. 7: Cunctos de domo ctfamilia David nuptui ha-
bilcs non conjugalos.
»» Protev. Jac., c. 8: Toù; yrjpiùzvxa; tsù J.asu.
"i Cosi nell'Evang. della natività di Maria, c. 7 e 8; alquanto diversamente
od Protevangelo di Giacomo, c. 9.
») Protei-, c. 9: vecchio izpmfìvKifó. Ecang. de nativ. Afarice,8, grandmvus. Ephi-
phan. Ade. haeresis, 78, 8: Egli sposa Maria, vedovo ed in età di oltre oltan-
t'anni: \au3x-jv. t>?v Mapi'av yfìpo;, xatóywv ijhx:ou xzpl tsù oydo'r*.o -sta, iiàv
%■/.: ctp'zrt'ù a ff-vip'
») ll /.(À\i$& oòtw eìs T;p«ow ciouró, c. 9. Confr. Erang. , De nativ. Mar.,
c. 8 e 10.
•) Protev. Jac. c. 17.
')C. 14. Vedi le varianti, in Thilo, prig. 227. Le citazioni dei Padri della
Chiesa, nel medesimo, pag. 563, nota.
160 VITA DI GESÙ
Giuseppe al suo ritorno la trova incinta e la interroga, non come suo
li danzato, bensì come custode responsabile del suo onore; ma essa h»
dimenticate le parole dell'angelo ed afferma ignorare la causa della
sua gravidanza. Ora, nel mentre Giuseppe cerca il modo di sbaraz
zarsi segretamente della custòdia di Maria,» 1' angiolo gli appare in>
sogno e lo tranquillizza colle sue spiegazioni. La cosa giunge a co
gnizione dei sacerdoti, ed ambedue, sospetti d'incontinenza, sono co
stretti a bere l'acqua di prova, CJup t,;,- DAyUw, ma non avendone
sofferto alcun danno, vengono rilasciati liberi; dopo di che segue il
censo e la nascita di Gesù ■).
Questi racconti apocrifi furono nella Chiesa riguardati per lungo
tempo siccome storici , e vennero al paro de'racconti canonici spie
gati in modo miracoloso dal punto di vista sopranaturale: in quella
guisa che ne' tempi moderni dovettero, insieme cogli altri racconti
del nuovo testamento, assoggettarsi all'esplicazione naturale. Se nel
l'antica Chiesa la credenza ai miracoli era così smisuratamente forte
che non arrestavasi al nuovo testamento , ma giungeva perfino ad
abbracciare relazioni apocrife ed illudevasi sul loro carattere eviden
temente non istorico, il razionalismo positivo di alcuni apostoli dei
lumi moderni fu eccessivo per modo, ch'essi credettero poterlo appli
care anco ai miracoli apocrifi. Tale fu l'autore della storia naturale
del grande profeta di Nazareth, il quale, spiegando naturalmente, senza
esitare, i racconti della discendenza e della giovinezza di Maria , li
comprese nella cerchia delle sue deduzioni *). A'nostri giorni, in cui
si comprende il carattere evidentemente mitico di que' racconti apo
crifi, si getta uno sguardo di compassione così su quegli antichi padri
della Chiesa, che sui nostri moderni autori di spiegazioni naturali. E
in verità vi si è autorizzati, in quantochè il carattere mitico non possa
disconoscersi ne'racconti apocrifi se non per una grande ignoranza.
Ma riguardando più davvicino la loro differenza dai racconti cano
nici sui primi di della vita di Giovan Battista e di Gesù, non sembra
che una differenza di forma; dalla medesima radice, che noi scopriremo
più lungi, uscirono gli uni come rampolli sani e vigorosi, gli altri
come germogli deboli , artificiati e fuor di stagione. Tuttavia quei
padri della Chiosa e quegli autori di spiegazioni naturali avevano
I 24.
Hoffmann, pag. 176, scg.,il «male anche qui non si contenta di rimanersi sulla
difensiva, ma trova anzi inconsiderato e contrario ad ogni moralità coniu
gale che Maria avesse tenuto parola al proprio fidanzato del messaggio del
l'angelo!
') Bibl. Commi nt. 1, pag. 119.
») C. 8 — 10.
CAPITOLO Tr.BZO iGo
In conseguenza gli autori delle spiegazioni naturali, volendo salvare
il carattere di Maria senza far danno a quello di Giuseppe, invagina
rono una comunicazione, tarda, egli è vero, di Maria a Giuseppe, per
rendere concepibile l'incredulità di quest'ultimo. Come l'apocrifo della
natività di Maria, essi pure introdussero un viaggio, ma non di Giu
seppe; e si valsero del viaggio di Maria presso Elisabetta indicato da
Luca per ispiegare il ritardo di quella comunicazione. Prima di quel
viaggio, dice Paulus, Maria non si scoverse a Giuseppe: probabilmente
dia volle prima accordarsi colla sua amica più attempata, sul modo di
fare quella comunicazione e per sapere sopratutto se, come madre
del Messia, ella dovesse maritarsi. Solo al suo ritorno ella informa Giu
seppe, probabilmente per mezzo di altri, del come sta la cosa e delle
promesse da lei ricevute. Questa prima rivelazione non trova Giu
seppe sufficientemente preparato : egli è in preda a pensieri d'ogni
sorta, incerto tra il sospetto e la speranza, fino a che un sogno lo de
cide '). Ma, in primo luogo, con ciò si attribuisce il viaggio di Maria ad
un oggetto che vi è estraneo nel racconto di Luca. Non per domandar
consiglio, ma per assicurarsi del segno dato dall'angelo, Maria si reca
d:i Elisabetta ; nessuna inquietudine cui l'amica debba calmare espri
mevi ne' discorsi di Maria alla madre futura del Precursore; ma una
gioia orgogliosa cui nulla conturba. D' altronde una confessione cosi
tarda non può giustificare Maria. Che condotta é questa di una fidan
zata la quale fa un viaggio di molte leghe dopo una rivelazione divina
Matt. 1, 21.
(.Non temerò di prendere Maria per tua moglie....) Essa li partorirà un figlio
e tu gli porrai nome Gesù, poiché egli salverà il suo popolo da'lor peccali.
( M? fo/fa3.;j nayùsj$ih Mccpiàu tjv yuvar'xà \aou.. .) Té et/ì ài u'toj xa.1
xvXìov.s Ts òvoua arra-i 'b;nojv abri? yxp ojgh tìv %-iòv a:rcoj àirb Ti3v
(x.uac,~:ó-j abr/v.
1 Mos. 16, Il e seg. (annunciazione d'Ismaele):
E l'angiolo del Signore le disse: Ecco che tu hai concepito e partorirai un
figlio e lo chiamerai col nome d'Ismaele. Egli sarà.... Km tl-sv aìnn b dyytXoi
Kupicu- iJsù (jj ìm yai~f>i iytts , xai tììi? ui;y , xr/.i xalÀoit; t; bvoiia owtoj
'Imiz'i).. Ojto; irs-ii.:....
Lue. 1, 50.
E l'angelo le disse: Ecco che tu concepirai e partorirai un figlio e lo chia
merai col nome di Gesù. Egli sarà.... Kr/i fìjrsv b àyye).o; abrcìr iJoù aM*ifo
vj yaxrzùi, x/.ì tifi; uisv, x/.i xcùAnv.? xb ovatta, abxrj 'Iijtouv Ojtj; ìfjza.:....
') De-Wette, Kritik. dcr mos. Grschischte, pag. 86 e seg.
*) Il sogno che secondo Matteo dissipò i dubbi e le inquietudini di Giuseppe
ha puranche , in certo modo, un antecedente in quello che, secondo la tra
dizione ebraica registrala dallo storico Giuseppe , ebbe il padre di Mosè in
circostanza analoga, trovandosi inquieto della gravidanza di sua moglie, seb
bene per altro motivo. « Amarames, uomo ben nato Ira gli Ebrei — cosi
Giuseppe, Antiq. 2, 9, 3 — temendo per tutto il popolo, che era minacciato
di perire colla distruzione dei fanciulli, ed inquieto per sé stesso a motivo
della gravidanza di sua moglie, non sapeva a qual partito appigliarsi. Nella
sua disperazione egli invoca la protezione di Dio.... Dio mosso a pietà si pre
senta a lui durante il sonno e lo esorla a non disperare dell'avvenire.... poiché.
CAPITOLO TERZO 109
rude, perocché non eviti di gettare, in un sospetto per quanto pas-
seggiero di Giuseppe, un'ombra sulla virtù di Maria, ombra che non
vien cancellata che più tardi; laddove il racconto di Luca è più de
licato e più abile, e mostra a prima giunta Maria nella pura luce di
fidanzata del cielo f).
I 2o.
L'angelo che, secondo Luca, appare a Maria, dice soltanto che Maria
diverrà gravida, non determinando però ancora in qual modo ella
genererà un figlio, cui dovrà por nome Gesù ; che questo figlio sarà
grande e verrà chiamato il figlio dell' altissimo u'ù? ò^'trrso; che Dio
gli darà il trono del suo avo Davide e ch'egli regnerà senza fine sulla
casa di Giacobbe. Tutto ciò s'attaglia perfettamente alle formole abi
litili degli Ebrei concernenti il Messia, e le stesse parole, figlio dell'Al-
tmimo , se fossero sole, non dovrebbero prendersi che nel senso di
un re ordinario d'Israele, come nel 2, Sam. 7, 14, Psalm. 2, 7; e con
verrebbero dunque viemeglio al più grande dei re, al Messia, anco
considerato nella semplice qualità di uomo. Questo linguaggio ebraico
getta, quando vi si rifletta, una nuova luce sul valore storico di quella
apparizione angelica; perocché debbasi convenire con Schleiermacher
che difficilmente il vero angelo Gabriele avrebbe annunciato l'arrivo
questo figlio che sta per nascere libererà la schiatta degli Ebrei dalla schia
vitù dell'Egitto , e si farà tra gli uomini un nome che durerà quanto l'uni
verso. ■ '\{iapct(iri; zó-j zòytyov'oVM nap% toi's 'Uppaioig , àtsàtà; iwìp toj
"avrà? écvous , in axxr-t tfe iTii-pcxwcsoiivj-.ii vestito; ir:i).iivtri , y.o.ì xaXtsia;
nt' ahr.u ixjn yxp o.bxii tò ybvcUjV, ài à.uvyjx^o:; i,v. Kr/i srpbs txsTscav
Ts-j zio-j TfM7TETar.... ò ài 3sb; Datori; aùtàv.... iylwzc/.-zo.i v.axà. xoù; ujtvoo; abua,
zìi urrzz a.ctcyrjó'j/Aiì/ etòrsv rrspi t<5v «sW.óvtojv rrwpsxóiXs!.... b rr</.£ y%p oùros
— ti 'E^pa'wv ysvsfc , ih rr«p' hiyvstitoK àvàjxi?- àstsXjott , nvvm ài
?S òcsv nh/tt ypóvov tx aMK'/.vza, tvj^i-oa srap' tkvSpa'ltoi;.
l) Su ciò confr. Ammon, Fortbildung r/es Christettthvms , (Sviluppo del cri
stianesimo) 1, pag. 208.
170 VITA DI GESÙ
del Messia con formule cosi strettamente ebraiche '). Per la stessa
ragione saremmo indotti , insieme con questo teologo , ad attribuire
quel racconto, del pari che il precedente riguardante Giovan Battista,
ad un solo e medesimo autore ebreo-cristiano. Solo allorché Maria ,
a motivo della sua verginità, fa delle obiezioni all'annunciazione d'un
figlio, l'angelo determina ulteriormente il modo della concezione, di
cendo ch'ella sarà prodotta dallo Spirito Santo, per virtù della divi
nità : da quel punto, la denominazione di figlio di Dio, u«s Gzo'j, assume
un senso metafisico più preciso. E per confermare come un prodigio
siffatto non sia impossibile a Dio, l'angelo ricorda a Maria ciò che
avvenne alla di lei parente Elisabetta; dopo di che, ella s'abbandona,
pienamente fiduciosa, ai disegni di Dio sopra di lei.
In Matteo, dove lo scopo principale è di dissipare le inquietudini
di Giuseppe, l'angelo comincia tosto col dirgli che il fanciullo con
cepito in Maria fu generato dallo Spirito Santo, 7roejt«a óipov , come
l'evangelista ha già esposto da sé medesimo al v. 18; e la destina
zione messiaca di Gesù viene soltanto in seguito determinata dalle
parole: c Egli libererà il suo popolo da' loro peccati ». Questo lin
guaggio suona a prima giunta meno conforme alle idee ebraiche che
non i termini ne' quali Luca espose la funzione messiaca del nasci
turo fanciullo. Ma nelle parole peccati, àmptiauc, sono comprese le
punizioni del popolo, vale a dire la sua soggezione agli stranieri; di
modoché l'elemento ebraico non manca. D'altra parte nella parola re
gnare, fìwaùjùit.v, usata da Luca, è racchiusa l'idea della dominazione
sopra un popolo docile e migliore: laonde neppur qui si disconosce
completamente il carattere più elevato del Messia. Poi, sia l'angelo,
sia piuttosto l'evangelista — mediante una formola che gli è assai fami
gliare : Tutto ciò avvenne, perchè fosse compiuto ciò che è detto , ecc.
touto ù'I oXvj yìycMvj, iva silyrMiKj ts fa :ly >a\. (v. 22) — aggiugne una
profezia dell' antico testamento , che trovasi secondo lui verificata in
questo modo di concezione di Gesù, che cioè, secondo Isaia (7, li),
una vergine doveva divenir gravida e partorire un figlio, il qual sa
rebbe chiamato Emanuele: Iddio con noi.
Il senso primitivo del passo d'Isaia è, giusta le nuove ricerche,
il seguente 2) : Essendo il re Achaz , per paura dei re di Siria
') Con questa interpretazione, la discussione sul significato della parola ns^y
Perde la sua importanza. D'altronde la si potrebbe risolvere dicendo che quella
parola significa non la fanciulla intatta, ma la fanciulla nubile (V. Gesenius,
l c.,ì,a,p.397, seg.) Sin dal tempo di Giustino, gli Ebrei sostenevano che quella
parola dovevasi tradurre non per vergine, rapavo?, ma per fanciulla, vsxv.-r.
Mal. e. Tryph. n. 45, pag. 137 E. dell'ediz. citata. — Confr. Jren. adv. har. 3, 21.
') Ckristologie des A. T. 1, b, pag. 47.
172 VITI DI GESÙ
Note sull'uso dogmatico dei passi delI'A. T. nel T. N., nel theol. Stud. und h'ri-
tiken, 1833, 2, pag. 441; ed. HolTmann, pag. 183.
CAPITOLO TEBZO 173
fondo indicato dagli autori del testamento nuovo, quanto il senso imme
diato che la ragione ci costringe a riconoscere: cosi s'accordano la
sana ragione e l'antica fede.
4. Decisione della critica. Le profezie dell'antico testamento non
avevano il più di sovente che una applicazione immediata alle circo
stanze del tempo; ma esse furono riguardate dagli uomini del nuovo
testamento come vere profezie relative a Gesù nella sua qualità di
Messia, poiché la ragione era in quegli uomini modificata dal modo
di pensare del loro popolo; ciò che il razionalismo e l'antica fede
disconoscono del pari ').
In conseguenza noi non esiteremo, per quel che riguarda la pro
fezia in questione, ad ammettere che gli evangelisti ne torturarono
il senso applicandolo a Gesù. Se poi la nascita reale di Gesù da una
vergine desse occasione a quella applicazione, o la profezia stessa,
già prima applicata al Messia, inducesse ad ammettere la nascita di
Gesù in modo cosi miracoloso, gli è quanto ci accingiamo ad esa
minare.
§ 26.
') Nella sua maniera cavillosa, Hoffniann (pag. 187) cerca, colla incertezza
sulla modalità del fatto, rendere incerto il fatto stesso che n'è del tutto in
dipendente.
CAPITOLO TERZO in
Plutarco: giam mai fu detto di donna ch'ella avesse un figlio senza il
memo d'un uomo '), e ad applicare l'impossibile di Cerinto ì). Sol
tanto nelle specie più inferiori del regno animale si conosce una pro
pagazione senza intervento sessuale •>), e considerando la cosa unica
mente dal punto di vista fisiologico, si potrebbe dire d'un uomo nato
senza il concorso dei sessi, ciò che Origene disse nel senso del più
alto sopranaturalismo 4), che cioè le parole del Salmo 22, 7: Io sono
un verme e non un uomo, sono una profezia della nascita di Gesù,
comechè generato al pari di quegli esseri inferiori , senza concorsi
sessuale. Ma, alla considerazione puramente fisiologica, l'angiolo, in
Luca, aggiunge di già la considerazione teologica, che ({, 37) nulla
è impossibile alla potenza divina. Siccome la onnipotenza divina, for
mando una sola cosa colla sapienza divina , non agisce mai senza
motivo sufficiente, così bisognerebbe poter qui mostrare un simile
motivo. Ora, per sospendere una legge naturale da lui stesso stabi
lita, non vi potrebb'essere per Dio altro motivo sufficiente se non
olle quella sospensione fosse indispensabile ad ottenere risultati degni
di lui. A tale obiezione si risponde: Lo scopo della redenzione esigeva
la purità di Gesù ; ora per essere puro dal peccato , Gesù doveva ,
coll'esclusione del concorso d'un padre peccatore e coll'influenza divina
sulla sua concezione, essere sottratto alla macchia del peccato origi
nale s). Ma , come già fu notato u), e come Schleiermacher recente
mente dimostrò in modo da risolvere per questo lato la questione7),
la sola esclusione della partecipazione paterna non bastava, e bisognava
pure escludere la partecipazione materna, non meno infetta del pec-
') Ibujftov vitìtuia 7T0TÌ j-uvi} ")Àyixa.i stonyti! à\ya, xsrvwvt'a; «v<?pa;. Con-
jugial. pracept. Opp. ed. Hutten, voi. 7, pag. 428.
') Irena;us adv. heer. 1, 26: Cerinlhus Jesutn subjecit non ex virgine natura;
impossibile enim hoc ei visura est.
*) Su di die s'appoggia infatti una argomentazione, in Henke's, news Ma-
|«;in, 3, 5, pag. 369, nota.
•) Homil. in Lucani, 14. Quanto a coloro che adducono anche i primi uo
mini essere nati senza il concorso dei due sessi, vedi i miei scritti polemici,
«, 2, pag. 72.
') Vedi Olshansen, I. cit. pag. 49 eseg. Neander, L. J. Chr. pag. 16. Quanto-
ai tentativo di Bauer, Jahrtriicher fùr wiss. Krit. 1855. Dee. n. Ili, per rendere
questo argomento più elevalo e più speculativo, io ho già dimostrato ne' mini
Sfritti polemici, 4, 3, pag. 104, in quale confusione egli sia caduto.
') Per es. Eichhorn, Enleit. in das neue N. T. 1 voi., pag. 407.
') Glaubenslehre, 2 Thl. 8, 97, pag. 73 e seg. della seconda edizione.
Stmom. — V. di G. Voi. I. li
178 VITA DI GESÙ
') Questo punto venne posto specialmente in rilievo nello Schizzo del dogma
della nascila sopranaturale di Gesù, Schmidt's, Bibliothek, 1, 3, pag. 400 e seg.;
nelle Osservazioni sul punto di fede: il Cristo fu concepito dallo Spirito Santo,
Henke's, Neuem Magasin, 3, 3, 363 e seg.; in Kaiser's, Bibl. theol. 1,231 e seg.;
He-Wetle, Bibl. Dogmatik, g 281; Schleiermacher's, Glaubenslehre, IL, $ 97.
CAPITOLO TERZO 179
gelo; così, vuoisi sopratutto aver riguardo a questo, che nel corso
degli evangeli di Marco e di Giovanni, come pure nel rimanente
degli stessi evangeli di Matteo e di Luca , non trovasi fatta veruna
allusione retrospettiva a quel modo di concezione. Non solo Maria
designa Giuseppe come il padre di Gesù , senz' altra spiegazione
(Luca, 2, 48), e non solo l'evangelista parla di ambedue come di veri
genitori di Gesù, yzvt? (Lue. 2, 41), il che non può intendersi se non
in senso generale in un autore che ha fatto poco prima il racconto
della concezione miracolosa; ma eziandio tutti i contemporanei di Gesù, al
dire de'nostri evangeli, lo riguardavano qnal figlio di Giuseppe, e non
di rado questa nascita gli fu rinfacciata, lui presente, con termini dì
spregio (Matt. 13, 55; Luca, 4, 22; Giovanni, G, 42). Tali rimproveri
gli avrebbero offerto una occasione decisiva per invocare la sua con
cezione miracolosa, eppure ci non ne disse motto. Se si obietta ch'ei
non voleva persuadere altrui della divinità della sua persona con quel
mezzo affatto esterno, e ch'ei non poteva ripromettersene effetto
alcuno da coloro le cui disposizioni interne gli erano ostili, bisogna
notare che, secondo il quarto evangelo, i suoi stessi discepoli, pure
qualificandolo figlio di Dio , lo riguardavano qual vero figlio di
Giuseppe ; poiché Filippo lo presenta a Natanaele come Gesù figlio
di Giuseppe, 'Iwjv tbv vihv L'óo&f (Giov. I, 46), evidentemente nel senso
di paternità propria che gli ebrei attribuivano a quella designazione;
e in nessun luogo si legge che fosse quella una opinione od erronea od
incompleta, cui gli apostoli avessero dovuto rinunciare più tardi; lungi
da ciò, il contesto della narrazione significa indubbiamente che gli
apostoli erano sin d'allora nel vero. La supposizione enigmatica colla
quale, alle nozze di Cana, Maria si rivolse a Gesù '), è troppo inde
terminata per provare che la madre ricordi in essa la nascita sopra-
nalurale del figlio; ad ogni modo quel fatto è equilibrato da un altro
opposto, che cioè la famiglia di Gesù, e (come sembrerebbe da Mat
teo 12, 46, confr. con Marco 3, 21) la sua madre istessa si ingannarono
più tardi sopra i suoi sforzi: cosa che sarebbe appena esplicabile con tali
ricordanze, anche tra' suoi fratelli.
Né meglio degli evangeli, gli altri scritti dell'antico testamento con
tengono cosa che confermi l'opinione della nascita sovranaturalc di
Gesù; che se l'apostolo Paolo chiama Gesù nato di donna, ysvóuivo:
« rwwoòj (Gal. 4, 4), non si vorrà scorgere in questa espressione
1 27.
') Schizzo del dogma, ecc., in Schmidt's, Bibl., 1. cit. pag. 403 e seg.; A'. Ch.
I- Schmidt, ib. 3, 1, pag. 132 e seg.; Schleiermacher, Glau-benslehro, 2, | 97,
71; Wegscheider, Inslilut., f 123, ». (/.
') Il che è dichiarato espressamente verisimile da Eichhorn, Einleit.in das
A'- T., 1, pag. 423, e per lo meno possibile da De-Wetle, Exeget Handbuch,
1. 1, pag. 7.
') Il dire, come Hoffmann (pag. 200), che anche nel caso di Gesù trattasi ili
«im eredità , di quella cioè della profezia , egli è un giuoco di parole che
Hoffmann stesso non trova comprovante; poiché l'adozione nella linea di Da-
vi'k dal lato paterno non gli sembra sufficiente se non in quanto siavi una
v«ra discendenza davidica dal lato materno ; ciò che a torlo egli crede sta
bilito nella genealogia di Luca.
482 - T1TA DI GESO
venisse compreso, e non ci rimarrebbero ancora due diverse genea
logie di questa specie.
Non è dunque possibile il contestare l'opinione di que' dotti, cho sif
fatte genealogie venissero redatte nella credenza che Gesù fosse stato
il vero figlio di Maria e di Giuseppe. Gli autori o compilatori dei nostri
evangeli, sebbene convinti per parte loro della origine superiore di
Gesù, accolsero quelle genealogie nelle loro collezioni. Solo che Mat
teo (1, 16), trovando nell'originale: Giuseppe generò Gesù da Maria,
;lfc<7>fy àì iyivAcz tòv 'Isaoiv ex t-j? Mr/ffas, (confr. v. 3. ìì, 6), ed avendo
una diversa opinione, mutò quelle parole in Gitiseppe, sposo di Maria,
dalla quale nacque Gesù, tòv 'Iwoii^ -ròv àvàpi Map a:, è& fe iyevu^ 'Iwvs,
e Luca, per lo stesso motivo, invece di mettere semplicemente: Gesù
glio di Giuseppe, 'Uoo-k u«? 'koio pose: Gesù, figlio, come credevasi,
di Giuseppe, ov, ò; évoui'kra , uiò-- 'Iwoijcp. Noi abbiam notato più sopra
che le nostre genealogie non ponno essere state composte nell'idea
che Giuseppe non fosse il vero padre di Gesù; e non bisogna appog
giarsi su questa osservazione per obiettare che in allora non vi po
teva essere interesse alcuno ad incorporarle negli evangeli; perocché
la composizione primitiva d'una genealogia di Gesù , supposto anche
che nel nostro caso si tratti solamente di riferire a Gesù alberi ge
nealogici già esistenti, era richiesta da un potente interesse; interesse
che sperava, nell'ipotesi della discendenza corporea di Gesù da Giu
seppe, di offrire un punto essenziale d' appoggio alla credenza nella
sua qualità di Messia. Nell'altra ipotesi un interesse differente, ma
più debole , induceva ad adottare le genealogie già esistenti; poiché
quantunque non vi fosse figliazione naturale tra Giuseppe e Gesù,
quelle genealogie non sembravano inutili per far discendere Gesù da
Davide. Nella stessa guisa , le due storie della nascita, in Matteo ed
in Luca, le quali escludono decisamente Giuseppe dalla cooperazione
al concepimento di Gesù, attribuiscono nullameno importanza alla di
scendenza davidica di Giuseppe (Matt. i, 20; Lue. I, 27; 2, 4).
in conseguenza, anche quando il punto di vista fu mutato, si volle
conservare ciò che veramente non aveva importanza se non per la
prima opinione.
Per tal modo l'origine delle nostre genealogie si trova trasportata
in un tempo ed in un circolo della nostra Chiesa primitiva in cui
Gesù veniva tuttora riguardato qual uomo nato naturalmente. Eccoci
quindi agli Ebioniti. La storia de' primi tempi c'informa che gli Ebio-
niti distinguevansi ancora dai Nazareni in quanto che essi avevano
CAPITOLO TERZO 183
adottato q uella opinione intorno alla persona del Cristo '). Noi dove
vamo dunque attenderci di ritrovare quegli alberi genealogici negli
antichi evangeli ebioniti, sui quali ci rimangono ancora informazioni;
ma non saremo di poco sorpresi nello apprendere clic a quegli evan
geli mancavano per lo appunto le genealogie. Veramente, siccome l'èva fi-
gelo degli Ebioniti non comincia, secondo Epifanio che dopo l'ap
parizione di Giovan Battista , potrebbesi intendere per le genealogie,
*mr/).c)ia>., che si suppongono soppresse, la storia della nascita e dell'in
fanzia narrate nei due primi capi del nostro Matteo; poiché, rigettandosi
dagli Ebioniti la concezione di Gesù senza padre, essi non poterono cer
tamente adottare quei due capitoli per lo meno nella forma loro at
tuale; laonde potrebbesi credere che nel loro vangelo mancassero sol
tanto quei due capitoli contrari al loro modo di vedere, e che gli alberi
genealogici conformi a' loro dogmi fossero inserti in alcun'altra parte.
Ha questa spiegazione non è ammissibile, perciocché Epifanio, par
lando de'Nazareni, e asserendo di non sapere se le genealogie loro
mancassero o no, caratterizza que' documenti col dire ch'essi anda
rono da Abramo fino a Cristo,-:*; àrrò toj 'Appaiti ho; Kgkttoj s); quindi,
lorchè egli dice che le genealogie mancavano ad alcuni eretici , egli
intende evidentemente parlare degli alberi genealogici, quantunque, ap
plicando questa espressione agli Ebioniti , ei vi comprenda eziandio
la storia della nascita.
Come dunque avviene che non si trovino le genealogie precisa
mente nella setta cristiana, dove noi credevamo averne a cercare l'ori
gine? Recentemente un erudito congetturò che i giudei-cristiani aves
sero per prudenza soppressi gli alberi genealogici, per non agevolare
od aumentare le persecuzioni che sotto Domiziano, ed ancor prima ,
minacciavano la famiglia di David l). Ma spiegazioni attinte fuor dei
sabbietto, e da circostanze fortuite, soggette esse pure al dubbio della
critica storica, non dovrebbersi invocare che lorquando sia assoluta
mente impossibile il trovare una spiegazione nella cosa stessa.
Nel nostro caso però le cose non sono ancora a sì mal punto. V
padri della Chiesa, com'è noto, parlano di due sorta di Ebioniti, di
') S. Juslin. Mart. Dia/, cum Tryphone, 48; Origenes , contra Celsum, L. 5,
«1, Euseb. H. E. 3, 27.
') Hceres., 30, 14.
5) Epiphan., Hceres., 29, 9.
'JCredner, Beilràge zur Einleitung in (bis N. T., 1, pag. 443 Anni.
484 VITA DI GESÙ
cui gli uni. oltre ai principii severi sull' obbligo di seguire la legge,
mosaica, riguardavano Gesù qual figlio, generato naturalmente, di Giu
seppe e di Maria, e gli altri, chiamati bentosto anche Nazareni, adot
tavano , con la Chiesa ortodossa , una generazione per opera dello
Spirito Santo '). I più antichi padri della Chiesa, come Giustino mar
tire, Ireneo, non conoscono che quegli Ebioniti i quali riputavano Gesù
un uomo naturalmente generato e, soltanto dopo il battesimo, dotato
di forze superiori s). In quella vece, in Epifanio e nelle Omelie Cle
mentine, noi troviamo degli Ebioniti che accolsero in sé un ele
mento gnostico speculativo. Fu attribuita cotesta direzione , che se
condo Epifanio deriva da un certo Ekai , all'influenza dell' Essenis-
mo r'), e già se ne notarono le tracce presso i falsi dottori della let
tera ai Colossi 4); mentre che la prima classe degli Ebionisti era ma
nifestamente sorta dal giudaismo ordinario. Quale delle due tendenze
fosse anteriore, e quale posteriore, non è cosi facile il determinare.
Vista la differenza ultimamente accennata, che cioè gli Ebioniti gno
stici sono menzionati per la prima volta dai Clementini e da Epifanio,
c gli altri lo sono già da Giustino e. da Ireneo, potrebbonsi conside
rare questi ultimi siccome i più antichi. Ma siccome anche Tertulliano
ha notizia di una cristologia gnostica degli Ebioniti"), e sino dall'epoca
di Gesù il germe di tali opinioni trovavasi nelf'essenismo, così sem
bra più sicuro partito il prendere, le due tendenze quali contempo
ranee e progredienti l'una allato dell'altra Riguardo all'altra differenza
non v'hanno prove migliori che l'opinione nazarena intorno al Cristo
siasi soltanto in seguito ridotta alla ebionita 7): poiché le notizie, in
parte confuse '), in parte tardive, dovute agli scrittori ecclesiastici, spie
garci naturalmente coll'illusione ottica della Chiesa, la quale progre
dendo continuamente nella glorificazione di Cristo, mentre una parte
dedi ebrei-cristiani rimanevasi stazionaria, vedeva le cose come se
• Ila rimanesse immobile e gli altri indietreggiassero verso l'eresia.
Con questa distinzione di Ebioniti semplici e di Ebioniti speculativi
guadagnasi un punto; che cioè la mancanza delle genealogie presso
gli ultimi, — quelli di cui parla Epifanio, — non è una prova ch'esse
fossero mancate anche agli altri. E lo è tanto meno , se ci vien dato
di dimostrare esser cosa verosimile che le ragioni della loro avver
sione per questi alberi genealogici stessero appunto in ciò che pro
priamente li separava dagli Ebioniti semplici. Ora,, una di queste ra
gioni si era evidentemente l'opinione sfavorevole che gli Ebioniti di Epi
fanio e delle Omelie Clementine avevano di Davide, dal quale la ge
nealogia del nostro primo vangelo fa discendere Gesù. Come è noto,
essi distinguono nell'antico testamento una doppia profezia, mascolina
luna, femminina l'altra; 1' una pura, l'altra impura; quella annun
ciarne soltanto cose divine e vere; questa cose terrestri ed erronee;
la prima derivante da Adamo e da Abele, la seconda da Eva e da
Caino, ed ambedue continuate per tutta la storia della rivelazione "*).
Essi non riconoscevano nell'antico testamento per veri profeti che gli
uomini pii da Aclamo sino a Giosuè; mentre non solo non ricono
scevano per tali, ma anzi detestavano, i profeti e gli uomini di Dio
posteriori, fra i quali son nominati Davide e Salomone r>). Per di più,
coi troviamo indizi positivi che Davide fu l'oggetto della speciale loro
abominazione. Infatti diversi motivi rendevano loro odioso Davide.
<cosi pur Salomone): Davide era stato un guerriero sanguinario; e lo
spargimento del sangue, presso gli Ebioniti, era uno dei peccati prin
cipali. Si conosce un adulterio di Davide (e di Salomone le sue sen
sualità): ora, gli Ebioniti abborrivano l'adulterio più ancora che l'omi
cidio. Davide suonava istrumenti da corda ; e la musica degli istru-
menti da corda, invenzione dei Cainiti (1 Mos. , 4, 21), era segno di
falsa profezia; da ultimo le profezie provenienti da Davide, e quelle'
') Yedansi i passi in Credner (Memoria citata). Un brano delle Omelie Cle
mentine, benché senza nome, mostra chiaramente che questi erano i tratti
die dispiacevano in Davide a questa setta cristiana. Si legga, Homil., 3, 25:
"Et( [irp> xai o! àsri t"? toikou (tou Kaìv) ùiadoy]: srpoelrtXvSbtt; Ttpa'zt ui.yoi
iyivovTo , xai ijxiX'zrf.ta. , xai' xidàpai , xai yaXxi'i; csrlov jro^mxuv Èyévovto.
Si' o xai r) t<5v iyy'o-.tM srpzqipeia, (totyav xai yicù.niptiM y'viìuo:/., XmSavbyzos
ùtà. tZv hàìmaStióv fcù; stclluov; èyv.pit.
*) Epiphan., Hwres., 30, 14. 16. 34.
») Hom. 3, 17.
') Schneckenburgcr, Ober das Evangelium tìrr JSgypter, pag. 7; Baur, Christl.
Gnosis, pag. 760 e seg. Confr. Credner, 1. cit., pag. 253 e seg.; Hoffmann, p. 208.
5) Orig. Comm. in Matlh., T. 16, 12. Tertulliano, De carne Chrisli, 14; vedi
pag. 210, nota 5, passo nel quale per verità sono confusi gli Ebioniti specu
lativi e gli Ebioniti ordinarli.
- CAPITOLO TERZO 1S7
figlio di Davide, al quale si riferiscono gli alberi genealogici, e non di
Dio '). Aggiungasi, che Epifanio narra degli antichi gnostici ebraiciz-
zanti Corinto e Carpocrate, che questi si valevano, per vero, dello stesso
vangelo degli Ebioniti, ma che adoperavano le genealogie ivi contenute
a provare la generazione umana di Gesù per via di Giuseppe *). Le
memorie, éMouytuovtituam, di Giustino, di origine giudeo-cristiana, sem
brano aver contenuto esse pure una genealogia, siccome il nostro Matteo:
perocché Giustino, al parodi Matteo, parla relativamente a Gesù d'una
schiatta di Davide e di Abramo, jivo; tou \a$id xcti \3puoLti, d'un sangue
di Giacobbe per via di Giuda , Fares e Davide , axipua H 'laxòS, J:%
'Uùùa xo.ì 4>«pi,- v. ù àctSìà xaitpyóutvov; solo che ai tempi e nel circolo di
Giustino, l'opinione d'una generazione sopranaturale di Gesù aveva
di già condotto a riferire la genealogia piuttosto a Maria che a Giu
seppe 3).
Cosi, nelle genealogie, abbiamo un documento dimostrante, in accordo
con indicazioni provenienti d'altro lato, che nella prima epoca cristiana,
in Palestina, un certo numero di cristiani, abbastanza grande per forma
re nel suo seno, sotto differenti punti di vista, due differenti genealogie
') Cloment. Homil., 18, 15. Essi riferivano in conseguenza il passo tli Siati.
11, 2": nessuno conosce il padre se non è il figlio, ourfe?; Éyvw t'ov na-iipa , ti
<rj a uiV?j xt5.., a quelli che riputavano Davide padre di Cristo e Cristo suo fi
glio, disconoscendo cosi il figlio di Dio , tcù; stampa vou/iovra; Xpiirtoj t;v
ia3ì(> x*j «ÒTjv ùs tcv Xciaròv viov erma, xa.ì uicv 3:ou (ili épwxórai; , —
«1 essi si lagnavano che in vece di Dio tutti dicessero Davide, devr- tzù 3iou
ibv SaBtfr Tìàvii; iltyv».
') Hcercs. , 30 , 14 : '0 iùv yxp JLypnGo; xa2 KapzoxpcU , tv aòiù xpópuvw
sar/ auroi; (tsiì 'Effiwv /i'oj; ) tòayyùAcv, o\tzo -Js *PX''' MatSatov
tìajyùj&j à.à t"; yivtaXoyia; Qwfijovxcu siaptoriv ;x astip(iato; 'Iw7.;<j> xr/ì
Hapia; créa! t'.v Kpttrclv. Io non vedo come Credner ( Beitrcege , 1. cit. ) in
tenda per genealogia non già l'albero genealogico, ma la storia della nascita.
In qual modo la storia della nascila, secondo Matteo, avrebbe potuto servire
a provare l'origine puramente umana di Gesù? Credner può dire che l'evan-
?elo ebionila adoperato da Corinto e da Carpocrate non aveva gli alberi ge
nealogici , e che di conseguenza questi eretici non hanno potuto argomen
tare sovra quel passo che nel libro loro mancava. Ma vuoisi badare alla
piega che prende Epifanio, dopo essersi espresso a quel modo sull'uso fatto
'la Corinto e Carpocrate delle genealogie, per passare agli Ebioniti; questi
iflimo altre idee; in fatti, sopprimendo le genealogie che sono in Matteo, ecc.
Questo modo di dire dimostra chiaramente che il vangelo degli Ebioniti si
'listingueva da quello, d'altronde identico, di Corinto e Carpocrate per la man
canza delle genealogie.
') Dialog. c. Tryph., 100, 120. Qui pure non posso condividere l'opinione-
di Credner, che conlesta a Giustino la genealogia (I. cit., pag. 212, 4ìó).
188 VITA DI GESÙ
I 28.
Spiegazione naturale
della sLoria della concezione.
Dal fin qui detto risulta che la spiegazione sopranalurale della con
cezione è soggetta ad estreme difficoltà cosi filosofiche che esegetiche.
Val dunque la pena d'esaminare se sia possibile un'altra spiegazione
del racconto evangelico, la quale tolga di mezzo simili difficoltà: e si
credette da vari averla trovata collo spiegare naturalmente talor l'uno
o l'altro de' racconti evangelici, talora ambedue.
Per primo il racconto di Matteo parve prestarsi ad una tale inter
pretazione; si provò, con l'aiuto di numerosi passi rabbinici, che, secondo
le idee ebraiche, il figlio di genitori pii è generato con la coopera
zione dello Spirito Santo, ed ò chiamato suo figlio, senza che siasi
pensato ad escludere con queste espressioni la partecipazione virile
al concepimento. Di modo che si disse che il capitolo di Matteo
contiene nulla di più di quel che segue: L'angelo volle dire a Giuseppe,
non già che Maria fosse divenuta incinta senza cooperazione dell'uomo,
ma soltanto che, malgrado la sua gravidanza, dovevasi considerarla
pura ed incontaminata. E fu solamente in Luca, soggiungesi , che, per
■una esagerazione dell'idea primitiva, le parole: io non conosco uomo,
dvàpa ob yyàrjM, furono interpretale come escludenti ogni partecipa
zione paterna ■). Gli avversari a ragione opposero che, anche in Matteo,
Spirilo Santo e da una vergine, viene spiegalo giusta le idee dei tempi , in
Sclimidt's, BUA., 1, i, pag. 101 e seg. — Horst, in Henke's Museum, 1, 4, 497
« seg., sui due primi capitoli dcll'cvangelo di Luca.
') Osservazioni sul punto di fede: Cristo fu concepito dallo Spirilo Sanlo,
in Henke's neuem Magazin, 3, 5, 399.
!i Schleiermacher, Ùber den Lukas, pag. 26 e seg.
190 VITA DI GESÙ
inteso la cooperazione di un uomo) diverrà madre di un figlio, il quale,
per questa sua origine santa, dovrà chiamarsi il figlio di Dio.
Ma esaminiamo più davvicino in qual modo il rappresentante della
spiegazione razionalista si raffiguri le particolarità della concezione di
(iesù. Egli parte da Elisabetta , cui chiama la patriottica e prudente
liglia d'Aronne. Avendo questa concepito la speranza di generare un
profeta di Dio, ella dovette augurarsi ch'ei fosse il profeta supremo,
il precursore del Messia, e in conseguenza che il Messia avesse a na
scere ben tosto. Nel suo parentado , vi era una persona che poteva
benissimo essere la madre del Messia: era questa la giovane vergine
Maria discendente di David; non tratlavasi più d'altro che di eccitare
in lei particolari speranze.
Dielro tali insinuazioni, si intravede un piano abilmente concertato
da Elisabetta riguardo alla sua giovane congiunta, e si spera d'essersi a
quello iniziati; ma qui Paulus d'un tratto fa calar la tela ed osserva che il
modo pel quale Maria fu convinta ch'essa diverrebbe madre del Messia
deve rimanere storicamente indeciso: solo egli ha certezza che, in
lutto questo, Maria rimase pura, poiché essa non avrebbe potuto com
parire , come fece più tardi , con una coscienza netta sotto la croce
del figlio qualora si fosse sentita degna di biasimo per l'origine delle
speranze ch'essa aveva concepito di lui. Più innanzi non si trovano
che le indicazioni seguenti sulla particolare opinione di Paulus: L'an
gelo annunciatore comparve forse a Maria la sera, oppure la notte;
Luca dice soltanto: evenendo presso di lei, egli disse , x/A EtmlSàv irpÌK
aò'S;-j, tìsit; e non nomina punto l'angelo, b dyyzlo:. Questa lezione , che
secondo Paulus è la migliore, dimostra qui non trattarsi d'altro fuorché
d'uno che sopravviene (come se il participio venendo non avesse ad
essere in tal caso accompagnato dal pronome qualcuno, ik, o non
dovesse riferirsi, in mancanza di tale pronome, al soggetto: l'angelo
Gabriele, b ayyO^i Tufcù. ). Paolus soggiunge che Maria avendo udito
parlare della visione di Zaccaria, completò quella scena nella sua im
maginazione , supponendo che questi che le appariva fosse 1' angelo
Gabriele.
E di già Gabler, in un esame del Commentario di Paolus '). con
una nudità di parole che non gli sta male, pose in luce ciò che si
nasconde sotto questa spiegazione del racconto evangelico. Secondo
') Nel Neuesten theol. Journal, 7 voi., 4 Slùck., pag. 407 e seg. Paragonisi
B:iuer, Hebr. Myth., 1, pag. 192 e seg.
CAPITOLO TERZI» IDI
Paulus, ci dice, non rimane altro a pensare se non che taluno abbia
fatto credere a Maria d'esser l'angelo Gabriele, e mercè tale impostura
abbia giaciuto secolei, per generare il Messia. E che! domanda Gabler,
Maria mentre è fidanzata, diviene incinta d'un altro, e si dirà che lo
divenne senza peccato in un modo approvato da Dio con un' opera
zione santa ed innocente! Maria apparirebbe qui quale una pia visio
naria, ed il preteso messaggero del cielo sarebbe o un impostare od
un fanatico vulgare esso pure. Questo teologo, dal punto di vista cri
stiano, trova a ragione ributtante una simile asserzione; ma dal punto
di vista scientifico , essa contraddice del pari le leggi dell' esegesi e
della critica.
L'autore della Storia naturale del gran profeta di Nazaret deve
essere qui considerato pel migliore interprete di Paulus. Quantunque,
nella redazione di questa parte della sua opera, egli non potesse an
cora approfittare del Commentario di questo teologo , pure egli è in
teramente animato dallo stesso spirito e scopre senza riguardi ciò che
questi nasconde ancor sotto un velo. L'istorico Giuseppe narra ') che
un cavaliere romano (per lo appunto alla stessa epoca di Gesù) ri
dusse alle sue voglie una casta sposa d'un nobile romano, facendola
invitare da un sacerdote di Iride nel tempio della Dea, sotto pretesto
che il Dio Anubi domandava di abbracciarla. La donna , tutta inno
cenza e fede, v'acconsenti , ed avrebbe forse in appresso creduto di
mettere alla luce un fanciullo divino, se il miserabile, con amaro mot
teggio, non le avesse scoperta la verità. Venturini , impadronitosi di
quest'avventura , suppone che Maria , mentre era fidanzata al vecchio
Giuseppe , fosse ingannata da un giovane fanatico e innamorato di
lei (più innanzi egli lo nomina per Giuseppe di Arimatea), e ch'ella
poi in tutta innocenza ingannasse gli altri *). Qui appare evidente che
tale spiegazione altro non è che la vecchia bestemmia ebraica , che
ritrovasi in Origene e nel Talmud, che cioè Gesù falsamente chiama-
vasi nato da una vergine pura, mentre in realtà egli era frutto del
l'adulterio di Maria con un certo Pantero 3).
29.
Se, per non rendersi oggi ridicoli, si vuol toglier di mozzo l'ori
gine sopra naturale di Gesù, dice Gabler nel suo esame del Commen
tario di Paulus, e se, d'altro lato, le spiegazioni naturali conducono
ad asserzioni non soltanto strane, ma ancor ributtanti, meglio e ricor
rere ad un mito col quale tutte le difficoltà di simili spiegazioni vengano
ruminate. Parecchi uomini grandi avevano nell'antico mondo mitolo
gico una nascita straordinaria ed erano figli degli dèi. Gesù stesso
parlava della sua origine celeste, chiamava Iddio suo padre, ed altrove
dicevasi figlio di Dio in qualità di Messia. In Matteo (1, 22 e seg.),
scorgesi inoltre che il passo di Isaia (7,14) era riferito a Gesù nella
prima Chiesa cristiana. Gesù, si diceva, deve, conformemente a quel pas
so, nascere, quale Messia, da una Vergine per operazione divina; ciò che
accader doveva, conchiudevasi, gli è pur realmente accaduto; ed in questa
guisa sviluppossi un mito filosofico (dogmatico) sulla nascita di Gesù.
La spiegazione mitica lascia nella sua verità la storia reale di Gesù:
Gesù è nato da un matrimonio regolare fra Giuseppe e Maria , con
che si risparmia, come fu notato, a ragione, tanto la dignità di Gesù
quanto il rispetto dovuto alla di lui madre ').
Si pensò adunque, per ispiegare la formazione di un tal mito, all'in
clinazione che traeva il mondo antico a rappresentare come figli degli
dei, gli uomini grandi, benefattori dell'uman genere. Numerosi sono gli
esempi raccolti dai teologi: si evocarono dalla mitologia e dalla storia
') Gabler, Newst. theol. Journal, 7, 4. pag. 408; Eichorn, Einleit. in dai
X. T., 1, pag. 428 e seg.; Bauer, Ilebr. Mythol. , 1, 192 e seg.; W'egscheider,
lutil., | 123; De-Wette, BUA. Dogmal., % 281, ed Exeg. Hundbuek, 1, 1, pag. 18;
Kaiser, Bibl. Theol., 1, pag. 231 e seg.; Ammon, Forlbildung, pag. 201; Hase,
Lete* Jetu, } 33; Fritzschc, Comm. in Mallh., pag. 56, Quest'ultimo giusta
mente dire nel titolo del primo capitolo, pag. 6: Non minus Me (Jesus) ut
Inani doctorum judaicorum de Messia sentt'ntia>,patrem habet spiritimi divinimi,
Matrem tirginem.
Stmoss — V. di G. Voi. I. 13
194 VITA DI GESÙ
greco-romana le memorie di Ercole , di Castore e Polluce , di Ro
molo, di Alessandro e principalmente di Pittagora ') e di Platone, in
torno al qual ultimo San Gerolamo, con frase interamente applicabile
a Gesù, cosi si esprime: Sapientice principem non aliter arbitrantur,
nisi de partii virginis editum '2).
Potrebbe quindi concludersi da questi esempi che il racconto della
concezione sopranaturale di Gesù sia nato, senza alcuna realtà storica,
da una simile tendenza; ma gli ortodossi ed i razionalisti si accordano,
quantunque per motivi differenti assai , nel contestare una tale ana
logia.
Se poco manca che Origene, a motivo della somiglianza dei racconti
d'ambe le parti, non consideri come vere meraviglie le leggende pagane
sui figli degli dèi, Paulus, dal suo punto di vista, è abbastanza conse
guente per ispiegare i racconti dell'una e dell'altra specie quali storie
naturali ma vere. Per ciò che almeno riguarda il racconto su Platone,
non puossi sostenere, egli dice, che la base di questo racconto siasi
formata solo in tempi posteriori; ma Pcrizionc potè agevolmente cre
dere di essere gravida di uno de' suoi dèi ; ed essendo suo figlio
divenuto più tardi un Platone, tale circostanza la confermò nella sua
credenza, senza per questo esserne stata la causa. Tlioluk fa osservare
una differenza notevole , che cioè i miti di Romolo ed altri si for
marono alcuni secoli dopo l'epoca di quegli uomini, mentre i miti re
lativi a Gesù devono essersi formati pochissimo tempo dopo la sua
morte "). Egli evita però prudentemente di far cenno del racconto
della nascita di Platone , ben sapendo esser questo un punto per
tale riguardo pericoloso. In questa vece Osiander si estende con
compiacenza sulla nascita di Platone , e sostiene che l'apoteosi di
questo filosofo , figlio d'Apollo , non venne che parecchi secoli dopo
la di lui morte 4). Falsa asserzione: poiebè il figlio della sorella
di Platone ne parlava come di voce sparsa di già per Atene
In altra guisa Olshauscn, seguito da Neander, cerca rendere l'ana
logia delle nascite divine della mitologia innocue per la opinione
') Hase, L. J., 1 55, è d'accordo su questo punto. Vedasi De-Wetle, Exeget.
ti<mdbnch, 1, 1, pag. 19.
'! Xeantler. /. Ch., pag. 10.
'! Antiq., io, 2, 6.
196 VITA DI CESÒ
per la nascita del Messia, il maggiore di tutti quegli strumenti di
vini, sostituisse la facoltà mancante nell'uno con una facoltà assoluta
nell'altro: non è che un passo più avanti nel maraviglioso. E ben deve
averlo compreso il redattore del vangelo di Luca: perciocché egli fa
tacere i dubj di Maria con quella sentenza colla quale Jehova nel-
l' antico testarne nto ridusse al silenzio quelli di Sara Tale grada
zione doveva completamente stabilirsi , non potendo impedirla nè il
rispetto dei Giudei pel matrimonio, rispetto sempre accompagnato pa
rallelamente da una stima ascetica pel celibato, nè l'idea dominante
che rappresentava il Messia come un uomo ordinario -), allato alla quale
esisteva, fin dai tempi di Daniele, l'idea del Messia, ente superiore. Ma
una determinata occasione di svolgere l' idea che formava la base
delle nostre storie sulla nascita trovavasi in parte nel titolo di figlio
di Dio, uii; Oin'j, divenuto l'attributo del Messia 5). Egli è nella natura
di queste espressioni primitivamente metaforiche di essere col tempo
comprese in un senso sempre più speciale e limitato; e particolar
mente fra i Giudei posteriori, era universale tendenza lo attribuire un
significato materiale a ciò che in origine non aveva che un signifi
cato spirituale e figurato. Questa naturale inclinazione a prendere
in un senso sempre più letterale il titolo di figlio di Dio dato al Messia
era avvalorata da un passo del salmo 2, 7, ove le parole mio figlio
sono seguite da quelle altre: io ti ho oggi generato; espressioni queste
che dovevano quasi inevitabilmente far pensare ad un rapporto di
figliazione fisica: essa era pure rafforzata dalla profezia d'Isaia sulla
vergine partoriente, profezia che sembra essere stata, come tant'altre il
cui senso immediato si era reso oscuro, riferito al Messia; il qual rap
porto può riscontrarsi nella scelta della parola nv.pOko; , cioè ver
gine pura ed immacolata , presso i settanta , laddove Aquila ed altri
traduttori greci adoperano semplicemente la parola ysvivts , zitella =).
Di tal guisa, le idee di figlio di Dio e di figlio della Vergine combi-
naronsi per modo che si fece intervenire l'operazione divina in luogo
dell'operazione umana e paterna. Wetstein, per vero, assicura che nessun
Giudeo rifori mai al Messia il passo di Isaia, e Schottgen medesimo
') Mos., 18, 14, LXX: Mi; à#wa.*taii irapà tò Seó p'.uu; — Emi cosa al
alia difficile al Signore? Lue. 1, 37: — 4Oti oòx aàwantoit xapx xrj ?_tà jraw
ò~na: Conciossiachè nulla sia impossibile al Signore.
*) E dell'uno e dell'altra parla Neander, L. J. dir., pa.?. 10.
*) Paragonisi Eic'.ioru, Ein'.rit. in da* X\T., I. di.
•) De-Well", Exrg. Iluncìbuch. J, I. pai. 17.
CAPITOLO TLRZO 197
non potè che a gran fatica raccogliere, nei rabbini, indizj dell'opinione
che riguarda il Messia qual figlio d'una vergine '). Ma, colle nostre
imperfette nozioni sulle idee messiache di quell'epoca, questo non ci
distoglie dal supporre che in allora regnasse una opinione i cui prin
cipi! fondamentali completi si trovano nell'antico testamento, e di cui
ii nuovo reca una traccia non dubbia.
Rimane ancora un'objczione che io non posso più chiamare propria
di Olshausen, dacché altri teologi pretendono al vanto di sostenerla.
Si obietta cioè che la spiegazione mitica del racconto evangelico è par
ticolarmente pericolosa, perocché essa sia tale da far nascere, quan
tunque in maniera oscura , imagini profane e sacrileghe siili' origine
di Gesù. Tale spiegazione, aggingnesi, non può che favorire un'opi
nione la quale distrugge l'idea di un redentore, che cioè Gesù, non
essendo Maria maritata quando ella lo portava nel seno , venne alla
lace per via disonesta -). Olshausen nella prima edizione del suo libro
aggiungeva confessar egli volentieri che gli autori di siffatte spiega
zioni non sanno quel che si facciano; a lui vuoisi -rendere un'uguale
giustizia, perocché sembra ch'egli non sappia che cosa sia una spie
gazione mitica. Diversamente, come avrebbe egli potuto dire che tale
modo d' interpretazione non è adatto che a favorire questa opinione
blasfematoria sull'origine di Gesù, e che, in conseguenza, tutti coloro
') Hura, 2, pag. 421 e seg. Tuttavia varii rabbini più moderni convengono
generaunente in questa opinione. Vedi Matthaei, lìeligionsgl. der Apostel, 2,
a, pag. 533 e scg.
*i Bibl. Comm., 1, pag. 47. Tlieile anch'egli, benché vegga che nella spiega
zione mitica la concezione prima del matrimonio cade insieme con la conce
zione sopranaturale, trova tuttavia possibile che siasi voluto, rifiutando questa,
conservar quella; contro di ciò,io lo rimando alle regole critiche esposte nel? XVI.
Cou alquanto più di dolcezza, Neander (pag. 9) pone il dilemma che la spiegazione
mitica debba qui ammettere od una pura finzione od una Unzione die in so
stanza contenga qualcosa di storico, la qualcosa non potrebbe essere che l'ima-
gine profana e disonesta di cui egli parla; ora l'interprete mitico, egli dice, di ne
cessità èspinto verso quest'ultima alternativa, essendo la prima in piena con tra
dizione col semplice e prosaico racconto di Matteo. In ciò non evvi che una
cosa a lamentare, che cioè Neander siasi anticipatamente interdetta la possi
bilità di penetrare nella natura mitica di certi racconti evangelici, suppo
nendo che il mito non possa essere, neppure in origine, semplice e prosaico.
Colui che non vuole ritrovar alberi nella foresta, non ha che a stabilire fra sé
« s« che un albero debba avere l'aspetto rosso; egli è certo che neppure uno
«gii né troverà, tranne forse qualcheduno in autunno.
198 vita ni gesù
clic miticamente intendono il racconto evangelico sono pronti a com
mettere l'assurdità già rimproverata da Origene ai calunniatori giu
daici? Questa assurdità consiste nel prendere come storico in un rac
conto, d'altronde riconosciuto per non istorico, un passo particolare,
come per esempio che Maria non fosse ancor maritata ; il qual
passo non essendo stato inventato che per appoggiare il concepimento
di Gesù senza la cooperazione di uomo qualsiasi , non ha maggior
valore dello stesso concepimento. Niuno di coloro che qui ammettono
un mito in tutta l'estensione della parola fu mai cosi cieco o cosi in
conseguente; per lo contrario tutti supposero tra Giuseppe e Maria un
legittimo matrimonio, e se Olshausen attribuisce alla spiegazione una
assurdità, egli è solo per isbarazzarsene alla spiccia; poiché egli con
fessa che per il soggetto siffatta spiegazione è seducente assai.
1 30.
') Vedi Origene in Mutili., 10, 17; Epifan., llmres., 78. 7; tiistoria Josephì,
e. % Protev. Jac, 9. 18.
s) Grisost,, Om., l'»2; in Suieer, r. Mafia. Le particolarità sono rivoltanti
nel Protorangelo (ti Giacomo, e. 19 e 20.
») Gerol. ad Matth., 12, e Advers. Helvid.
4) 1 fratelli di Gesù in Winer's, Zeitschrift fiir wissenschaflliche Theologie,
i, 3, pag. 564 e seg.
3) Biblisches Realwòrterbuch, 2 Auflagc, 1 voi., pag. 664. Nola; De-WeUe su
questo passo; Neander, L. J. Chr. pag. 34.
CAPITOLO TERZO 201
') Vedi in Thiio, Codex Apoeryphus N. T., l.pag. 563, not.,i differenti nomi
flie loro dà la leggenda.
204 VITA DI (itSÙ
dubbio, questa Maria è colei che in Giovanni, 19, 2ìi, viene indicala
qual sorella della madre di Gesù e moglie di certo Clopa. Noi ab
biamo quindi due volte un Giacomo ed un Giosè fra i figli di Maria,
madre di Gesù, e fra quelli dell'altra Maria sua sorella. Questa somi
glianza di nomi nel circolo più vicino a Gesù si aumenta viepiù se noi
ci rammentiamo che, nelle liste degli apostoli (Matt. 10, 2 e seg.;Luca
(J, 14, e seg.) sonvi altri due Giacomo, che l'anno cosi quattro col
fratello e col cugino di Gesù; inoltre due Giuda, che fanno tre, col
fratello di Gesù; ed infine due Simeoni, che fanno anch'essi tre, con
il fratello di Gesù. Con tanti nomi somiglianti, domandasi se mai per
sonaggi identici non siano stati qui presi per personaggi distinti.
Difatti, il fratello di Giacomo figlio d'Alfeo, nell'elenco degli apostoli
è nominato, forse siccome il più giovane, dopo Giacomo, figlio di Ze-
bedeo; e Giacomo cugino di Gesù (Marco 15, 40) è denominato il
minore, b t«.zp;?; confrontando Giovanni 19, 25 scorgesi che quest'ul
timo è detto figlio di un tal Clopa; ora, potrebbe darsi che il nome
di Clopa, K/.o-y.f, dato al marito della sorella di Maria, e quello di Al-
feo, 'Mo /.re?, dato al padre dell'apostolo, non fossero altro che forme
differenti della parola ebraica isSn. Quindi, l'apostolo Giacomo il mi
nore sarebbe una sola e medesima persona col cugino di Gesù dello
stesso nome, e più non rimarrebbero che il figlio di Zebedeo ed il
fratello di Gesù. Nella storia degli apostoli (lo, 13) un Giacomo com
pare, con voce preponderante , in quel che si chiama concilio degli
apostoli; ora, siccome dagli Atti (12, 2) risulta che il figlio di Zebedeo era
già stato messo a morte, e fino a quel punto negli Atti degli apo
stoli non si era fatto parola di altri che del figlio di Alfeo (1, 13),
questo Giacomo, che non è designato in un modo più preciso (Atti ap.
15, 13), non può essere altri che il Giacomo figlio d'Alfeo. D'altro
lato, Paolo (Gal. 1, 19) parla di un Giacomo, fratello del Signore,
à&'lyo; tou Kupiou, da lui veduto in Gerusalemme; e siccome senza al
cun dubbio egli lo enumera (Gal. 2,9) insieme con Pietro e Gio
vanni fra le colonne, a-ùloi, della comunità, in quella identica guisa
in cui Giacomo (l'apostolo) appare nel concilio apostolico; cosi ne con
segue che questo Giacomo apostolo non sarebbe altri che lo stesso fratello
del Signore , tanto più che il fratello del Signore sembra essere fra
gli apostoli annoverato, nella frase di Paolo: Io non vidi altro apostolo
che Giacomo, fratello del Signore, fwpov dì x<5v àr.^ox'^Mv oix e-Jov, et [in
I 31.
§ 32.
Il censo ').
non si riferissero a tempi assai posteriori, sui quali Luca poteva in conse
guenza avere delle nozioni più esatte : e come se non fosse verosimile che
ei venisse tratto in inganno riguardo a Lisania ed a Thendas che riguardo
al censimento.
Venendo poscia al passo medesimo che si riferisce al censo , Tholuk trova
ammissibili tutte le già proposte spiegazioni; il passo può essere una glossa,
ma anche stpóvt può esser preso per r.pmpa oppure per l'equivalente di npZ-cov,
e stpuì-zov per l'equivalente di demum; nulla poi impedisce di leggere ot>r?
in vece di auti?. Quanto male si nasconde la sfiducia verso ciascuno di que
sti espedienti sotto le apparenze della fiducia in tutti.
Altrove si parlerà delle inesattezze di dettaglio ed anche delle inavvertenze.
') Olshausen, Paulus, Kuinòl fa questo passo.
J) Tholuk, pag. 194, Neander, pag. 19.
CAPITOLO QUARTO 221
') Storr, Opusc. acari., 3, pag. 120 e seg.; Sùskiinl , Varmischte Anfsàtze,
pag. 63; e recentemente Tholuk, pag. 182 e seg.
*) Michaelis, Anmerk. z. d. St. una Einl. in das N. T., 1, 71.
: Mùnter, Stem der Weisen, pag. 88; confi*. Hoffmann, pag. 23o.
CAPITOLO QUARTO 223
chè la locuzione ^jeuoveiovro? lopla; non può significare che praeses
%rk*.
Cosi nel tempo in cui Matteo, 2, 1, e Luca 1, 5, 26, pongono la
nascita di Gesù , è impossibile che vi sia stato un censimento ; e se
Je informazioni storiche sono esatte, quelle degli evangelisti sono ne
cessariamente false. Ma non potrebbe darsi che le cose stessero al ro
vescio, e che Gesù fosse nato dopo la cacciata di Archelao, all'epoca
del censo di Quirino ? Indipendentemente dalle difficoltà in cui tale
ipotesi ci getterebbe riguardo alla cronologia della rimanente vita di
Gesù, è impossibile che un censo romano, dopo la cacciata di Archelao,
chiamasse i genitori di Gesù, da Nazaret in Galilea a Betlemme in
Giudea ; poiché solo la Giudea, con quanto aveva appartenuto ad Ar
chelao, divenne provincia romana , soggetta al censo ; in Galilea in
vece rimase Erode Antipa quale principe alleato ; e nessuno de' suoi
sudditi domiciliati a Nazaret poteva essere chiamato a Betlemme per
esservi censito '). L'evangelista quindi, per avere il suo censo, rap
presenta lo stato del paese, quale fu dopo la deposizione di Archelao;
ed in pari tempo, per rendere questa operazione comune alla Galilea,
figurasi il reame indiviso come lo era sotto Erode il Grande. Egli
suppone adunque cose che evidentemente contradiconsi, o piuttosto
egli non ha che una idea eccessivamente confusa dei rapporti poli-
') Il passo di Giuseppe, B. j., 2, pag. i, ove è detto che Giuda il Galileo,
dopo la deposizione di Archelao, sollevò , a motivo del censo , gli indigeni,
toù; ixr/iup su-, non prova si facilmente come Hoffmann crede, pag. 234, che
il censo fosse slato esteso anche nella Galilea: perciocché Giuseppe dice nella
sua opera posteriore e più esatta , Antiq. 18, 1,1: Quirino venne anch'egli
nella Giudea, riunita al governo della Siria, per fare il censo delle proprietà dei
Giudei e per vendere i beni di Archelao, ctapiy t?i xaì Kvpvvio; e«; nìv 'livùaiav,
apzoòsw t.Js Zu&i'as j-«vouénfv, arroTiuijasuevós Te abuàv tò; obotas *cti àrro-
Jiueriu»?; ~à '\pyà.àtou yoruaia. In questa maniera il censo (che comprendeva
d'altronde, secondo 17, 13, 5, tutta la parte di Siria che era provincia romana,
fu evidentemente limitato, in Palestina , al principato di Giudea. Paragonisi
quindi la descrizione della rivolta, Antiq., 18, 1, 1, 2, 1, ove più non parlasi
della Galilea , ove Giuda è chiamato il Golanita ed ove il sommo pontefice
compiacente a Gerusalemme è rappresentato siccome trascinato dalla molti
tudine, Ma-aurtarv.aoitk brrb tri; tù^o?, e si sarà costretti a considerare la
Giudea quale teatro della rivolta, e , o pigliare l'espressione del libro sulla
Guerra giudaica, indigeni, sai/wp/ou;, in un senso più esteso, o supporre che
Giuda dopo avere aizzati i Galilei, per natura turbolenti, colla prospettiva di
un censo che bentosto li avrebbe colpiti, avesse da quel paese trasportata la
rivolta in Giudea.
Stura — V. di G. Voi. I. 15
226 VITA DI GESÙ
tici di quell'epoca; a tale che egli estende il censo (nè vuoisi dimen
ticarlo) non solo a tutta la Palestina, ma anche a tutto l'impero ro
mano.
Non pertanto le difficoltà non si limitano a queste impossibilità cro
nologiche; il modo con cui, al dire di Luca, il censo venne eseguito,
va soggetto pur esso a gravi obiezioni. Dapprima egli dice che Giu
seppe si recò, a motivo del censo, a Betlemme, essendo egli della casa
e della patria di Davide, J'ii xs elvai a'yio-j èi o/itòu xaì vtaxptoh Aa?«f, e che
ciascuno recavasi nella propria città, th -riv i&icu n'oli* , cioè, secondo
il contesto, nel luogo d'origine della propria schiatta. Ed invero, nei
censi giudaici, era ciascuno obbligato di farsi inscrivere nel luogo della
sua tribù, essendoché, presso i Giudei, l'organamento per famiglia e
per tribù costituiva la base dello Stato ; per lo contrario , i Romani
eseguivano il censo nei luoghi di residenza e nei capiluoghi di di
stretto '). Essi non conformavansi agli usi delle popolazioni conqui
state se non in quanto questi usi non incagliassero le loro operazioni;
ora siffatti usi erano qui in opposizione diretta col loro scopo ; poi
ché un privato come Giuseppe poteva essere chiamato dal censo in
luoghi lontanissimi dalla sua dimora, dove non conoscevasi il suo avere
e dove era impossibile verificare le sue dichiarazioni *). Laonde sarebbe
piuttosto ad ammettersi con Schleiermacher n) che la vera causa che
condusse i genitori di Gesù a Betlemme, fosse un'inscrizione sacerdotale
confusa dall'evangelista con il censo di Quirino a lui più nolo. Ma con
questo non sarebbe tolta la contradizione che trovasi nel poco felice asserto
di Luca: questo evangelista fa inscrivere Maria insieme con Giuseppe
(v. 5); ora secondo il costume giudaico l'iscrizione comprendeva i
soli uomini Luca avrebbe dunque commessa per lo meno una ine-
'i In SchmiuTs, Bibliothek fili- Krit. unii Exag. 3, i, pag. 121. Confr. Kaiser,
Bibl. Theol. 1, pag. 230: Amnion, Forlbildung, 1, pag. 196; Credner, Einl. indas
A7, r. l,pag. 135; De- WMe,Exeget. Handbuch, su questo passo. È singolare che
Sieffert, (eber den Ursprung des ersten eoang. pag. 68 e seg., 1.38 e seg.) faccia
rimprovero a Matteo di nulla sapere delle circostanze che condussero da
Nazareth a Betlemme i genitori di Gesù. (Vedasi d'altro lato Kern, sull'ori-
gitu dell'exangelo di Matteo , in Tdbinger Zeitschrift far Tkeologie , 1854 , 2 ,
pag. 113). Nè meno curioso, si è che Winer(b. Rw. 2, pag, 330) difenda Luca
dalla taccia di essersi ingannalo sulla data del censo di Quirino , dicendo
rhe questo evangelista, secondo gli Atti degli Apostoli, 3, 37, ebbe piena no
tizia di censo; perciocché quel passo stesso degli Atti , in cui Theudas ap
pare mal collocato rispetto a Giuda, dimostra che l'autore non era assai esperto
iiflla cronologia di quel tempo.
\
VITA SI GESÙ
di Luca per ammettere che Gesù sia nato in Betlemme, possiam dire
sin d' ora di non avere nessuna garanzia che Betlemme sia il luogo*
di sua nascita.
I 33.
') vber den Lukas, pag. 53. Confr. Neander, Leben Jesu Chr., pag. 22.
') Nel suo Saggio sulla storia dei miracoli del Nuovo Testamento, confronta
Gabler, Neuestes theol. Journal, 7, 4, pag. 411. Qui pure lo stesso autore della
Storia naturale del profeta di Nazaret , non trova nei miracoli del racconto-
evangelico alimento sufficiente alla sua brama di interpretazione naturale ,
ma s'accinge a raggiustare a suo modo le favole degli evangeli! apocrifi.
CAPITOLO y lai. -Ri 231
') Exeg. Handbuch, 1 , a, pag. i80 e seg. Mentre Paulus suppone un feno
meno naturale esterno, Mattai, Synopse der vier Evangelien, pag. 3, ammette
un'apparizione angelica interna.
£32 VITA DI GESÙ
veranno nella mangiatoia ii neonato fanciullo. Se, ora, essi avessero già
avuto per parte di Maria qualche sentore della prossima nascita del Messia,
la meteora luminosa sarebbe già stata per essi una conferma, ar.yu.icv, del
dir di Maria, névi sarebbe voluta la presenza del fanciullo nella man
giatoia per certificarli della veracità dell' apparizione. Infine noi pos
siamo accordare alle nostre anteriori ricerche abbastanza fiducia per
chiedere d'onde mai Maria, dacché non eravi stato né annuncio mi
racoloso nò concezione sovranaturale , avrebbe attinta la ferma spe
ranza di generare il Messia.
Allato a questa spiegazione naturale, soggetta a tante difficoltà, Bauer
pretese darne una mitica '), ma senza fare un passo più in là del
l'interpretazione naturale, e ripetè punto per punto l'esposizione di Pau-
lus. Gabler obiettò, con ragione, contro questa spiegazione mitologica
mista, ch'essa accumulava, al paro della spiegazione naturale, troppe
inverosimiglianze; che tutto sembrava più semplice coli' adozione di
un mito puro, dogmatico; che conciò una maggiore armonia si esten
deva su questa storia primitiva del cristianesimo, le cui parti si erano
fino a quel punto dovute considerare come puri miti -). In conseguenza,
Gabler erode che il racconto evangelico sia il prodotto delle idee del
tempo, le quali esigevano che gli angeli venissero in iscena alla na
scila del Messia. Sapevasi, egli dice, che Maria aveva partorito in una
casa di pastori ; se ne concluse che gli angeli avessero dovuto recar
tosto a que' buoni pastori la nuova della nascita del Messia nella loro
stalla, e che quegli esseri divini, usi a lodar sempre Dio, avessero qui
pure intuonalo un cantico. Del resto, un ebreo-cristiano, che già co
nosceva alcuni dati della nascita di Gesù, — dice terminando Gabler, —
non poteva figurarsela in maniera diversa da quella ond' è qui rap
presentata 3).
La spiegazione di Gabler è eloquente prova del come sia difficile
svincolarsi dall'interpretazione naturale e sollevarsi completamente al
l'interpretazione mitica; poiché mentre quel teologo crede essersi avan
zato ben dentro nel terreno mitico, tiene tuttora un piede su quello
della spiegazione naturale. Difatti , nel racconto di Luca, egli accetta
come storica una particolarità la quale, per il suo legame cogli ele-
') È questa l'opinione di Thilo, Codex apocryphus N. T., pag. 383, not.
') Vedi Schòltgen, 1. cit., 2, pag. 531.
!) Sola, 1, 48: « Sapientes nostri perhibent, circa horam nativitatis Mosis
tolam domum repletam fuisse luce (Wetstein). »
*) Vber den Lukas, pag. 29 e seg. A lui si congiunge oggidì, fra gli altri,
Neander, L. J. Ch., pag. 21 e seg.
5) Confr. De-Wette, Kritik der mosaischen Geschichte, p. 116; George, Mythus.
und Suge, pag. 33 e seg.
CAPITOLO QUARTO 235
prire la fonte dalla quale quel racconto potè passare nel vangelo di Luca.
Pervero, ei rifiutasi a supporre che tal racconto provenisse da Maria, quan
tunque si potrebbe credervisi autorizzati dal versetto 19, ove è detto che
ella racchiuse tutti quei discorsi nel suo cuore; ed in ciò egli ha tanto
maggior ragione, in quanto quel versetto (di cui Schleiermacher non
tiene verun conto) non è che una frase presa nella storia di Giacobbe e
di Giuseppe. La Genesi infatti racconta di Giacobbe, nella sua qualità di
padre di quel figlio maraviglioso , com'egli racchiudesse pensoso nel
suo cuore le parole di Giuseppe che aveagli narrato i suoi sogni profe
tici ed erasi perciò fatto segno all'invidia de'suoi fratelli; in simil guisa, di
mezzo alle maraviglie della nascita di Gesù , il racconto di Luca at
tribuisce a Maria in questo luogo, e più sotto (2, 51), il contegno che
meglio addicevasi alla circostanza ; e mentre gli altri esprimono ad
alta voce il loro stupore, ella, tacita e meditabonda, racchiude in sé
stessa ciò che vede e ciò che sente '). Schleiermacher cerca pertanto
l'origine del racconto di Luca, non già in Maria, ma nei pastori; e ciò
pel motivo che tutto vi è narrato dal punto di vista non di quella,
ma di questi. Bisognava dire piuttosto che tutto vi è narrato dal punto
di vista della leggenda, poiché essa campeggia del pari sopra Maria
e sopra i pastori. Schleiermacher crede impossibile che quel racconto
sia una bolla d'aria formata dal nulla; son dunque un nulla, secondo
Ini, le idee degli ebrei e dei primitivi cristiani intorno a Betlemme, ove
essi credevano dovesse necessariamente nascere il Messia; sullo stato
pastorale cui essi reputavano particolarmente onorato d'un commercio
col cielo; sugli angioli, ond'essi facevano gl'intermediari di quel com
mercio. A noi è impossibile tener cosi poco in conto questo assieme di
opinioni, e comprendiamo facilmente come potesse nascerne qualcosa di
simile al racconto di Luca. Infine Schleiermacher aggiunge non poter cre-
i 34.
primitivamente non si fosse inteso con questo che il semplice nome della fun
zione messiaca, bisognò pure, dal momento che una persona reale fu rico
nosciuta per Messia , pensare al di lui nome ( contro Hoffmann , pag. 247 ,
appoggiato da Osiander, pag. 103).
') Confr. Schneckenburgcr, ùber den Ursprung des ersten kanonischen Evan-
idiums, pag. 69 e seg.
23S VITA DI GESÙ
orientali che sanno da sè medesimi interpretare quel tacito segno. Gli
uni e gli altri vengono diretti a Betlemme: i pastori dalle parole del
l'angelo, i magi dietro informazioni prese in Gerusalemme; e gli uni
e gli altri rendono omaggio al fanciullo: i pastori con cantici di lode,
i magi con doni preziosi , prodotti dell' Oriente loro patria. Ma da
questo punto i due racconti cominciano a differire più notevolmente.
In Luca tutto procede alla meglio; i pastori ritornano esultanti e nessun
male accade al fanciullo; egli può anzi venir presentato al tempio nel
tempo debito, e continua a crescere in pace. In Matteo, la cosa prende
un andamento tragico ; i magi, collo informarsi in Gerusalemme del
neonato re dei Giudei, provocano da parte di Erode un ordine san
guinario contro i fanciulli di Betlemme; il fanciullo Gesù vi è sottratto
con una pronta fuga nel vicino Egitto e non ritorna nella Terra Santa
che dopo la morte di Erode.
Qui dunque noi abbiamo una doppia introduzione del fanciullo mes-
siaco, che possiamo raffigurarci cosi: l'una, in Luca, ha per iscopo di
far conoscere ne'dintorni la nascita di Gesù; l'altra, in Matteo, di an
nunciarla alle remote contrade. Ma secondo Matteo, la nascita di Gesù
non è conosciuta neppur ne' dintorni , vale a dire in Betlemme , se
non per via della stella; in conseguenza, se questo racconto è storico,
quello di Luca, giusta il quale i pastori, lodando Iddio, raccontano do
vunque (v. 17, 20) ciò che era stato loro annunciato come avveni
mento di tutto il popolo (v. 10) , non può più essere vero. E vice
versa se , come narra Luca , la nascita di Gesù fu resa publica nella
regione di Betlemme per via di un angelo e dell'intermediario dei pastori,
dev'essere falso ciò che dice Matteo, il quale non fa arrivar che più
tardi, in un co'magi, la prima notizia di quella nascita a Gerusalemme,
città distante da Betlemme sole due o tre ore di cammino. Ora, in
quanto vari motivi ci decisero a riguardare come non istorico il rac
conto di Luca sull'annuncio della nascita per via dei pastori, sembre
rebbe rimaner posto per quello di Matteo; ci bisogna quindi ricercare
in ragioni intrinseche la fede storica ch'esso merita.
La narrazione comincia come se fosse assolutamente cosa da sot
tintendersi da sè che astrologi siano in grado di riconoscere, in un
astro annunciante la nascita del Messia, il significato di quel fenomeno.
Noi avremmo a meravigliare che magi pagani abbiano avuto dal fondo
dell'Oriente nozioni sopra un re ebreo a cui dovevano pagare il tri
buto di adorazione; però vogliamo tenerci per soddisfatti nel sapere che,
70 anni più tardi, era sparsa nell'Asia l'aspettazione d'un dominatore
CAPITOLO QUARTO 23D
«lei mondo, il quale doveva nascere dal seno del popolo ebreo '). Una
difficoltà ben più grave ci arresta ; che cioè , a giudicare da questo
racconto, avrebbe ragione l'astrologia nel sostenere che la nascita dei
grandi uomini e i rivolgimenti considerevoli nelle cose umane sono
annunciati da apparizioni sideriche: opinione questa passata già da gran
tempo noi dominio della superstizione. Bisognerebbe quindi cercar di
spiegare in qual modo quest'arte fallace abbia potuto aver ragione nel
nostro caso particolare, senza perciò dover nulla concludere per altri
tasi. Il partito più spiccio per l'ortodossia sarebbe quello d'invocare una
dispensa straordinaria di Dio, il quale, per guidar da lontano i magi sino
a Gesù, sarebbesi accomodato alle loro idee astrologiche, e avrebbe fatto
apparire a' loro occhi la stella ch'essi attendevano. Ma siffatto espediente
ci pone in un imbarazzo considerevole; perocché una tale concordanza
fra il più notevole degli avvenimenti e la divinazione astrologica dovea
raffermare nella loro fede in quella scienza menzognera non pure i
magi e i loro compatrioti, ma eziandio i giudei e i cristiani che ap
presero quelle maraviglie, e cagionare con ciò un errore ed un danno
incalcolabili. Dunque, se non è conveniente lo introdurre qui una di
spensa straordinaria di Dio ), e se d'altro lato non si vuole ammettere
neppure che, nel corso regolare della natura, mutamenti astronomici
concorrano con avvenimenti importanti che succedono sulla terra, bi
sognerebbe ammettere in questo caso speciale una coincidenza for
tuita; ma invocare il caso o non vuol dir nulla o è un dipartirsi dal
punto di vista sopranaturale.
L'opinione ortodossa sul racconto in questione non solo conferma
la falsa scienza degli astrologi, ma giustifica benanco la falsa spiega
zione di una profezia; perocché, mentre i magi che seguono la loro
stella prendono la via giusta, icapi de'sacerdoti e gli scribi di Geru-
') Ben disse Fritrsche su questo punto: — Comporlo, quasi magos non ad se
rMUuros statini scivissct, orli sidcris tempore, ecc.
1) K. Ch., Schmidt, Exeg. Beitrage , 1 , pag. 150 e seg. Gonfr. Fritzsche.
G>mro. in Valth., pag. 82 e Dc-Wette.
'iHofTmann crede che una tale violazione dei diritti dell'ospitalità Erode
non se la sarebbe permessa, Erode ch'egli ci rappresenta a ragione siccome
"n mostro di crudeltà. Questa condotta sembra a noi in contraddizione non
tenore di Erode (e in ciò l'argomentazione di Neandcr, pag. 50, è super-
te ma colla sua intelligenza.
Stiuuss. — V. di G. Voi. I. 16
VITA DI GESÙ
prive di fondamento, e, in ultima analisi, non vi sa rispondere se non
thè col dire che la storia di tutti i tempi presenta dimenticanze in
comprensibili, le quali mostrano semplicemente come una mano supe
riore diriga il corso degli avvenimenti umani. Quando il sopranatu
ralista invoca qui una mano superiore, certo ei vuol dire che Dio me
desimo accecò Erode, di solito cosi prudente, gli fece mancare il mezzo
sicuro di raggiungere il suo scopo e salvò cosi il fanciullo mes-
siaco da morte prematura. Ma questa azione divina presenta un altro
aspetto: che cioè, invece di un fanciullo, molti altri dovettero perire.
A ciò nulla si avrebbe ad objettare quando provar si potesse ch'era
quello il solo mezzodì salvare Gesù da una sorte inconciliabile collo
scopo della redenzione. Ora, dal momento che si ammette l'intervento
sopranaturale di Dio per accecare Erode ed inspirare in seguilo ai
magi di non ripassar per Gerusalemme , si domanderà perchè quel
l'intervento non siasi esercitato in altro modo, ispirando da bella prima
ai magi di lasciar da banda Gerusalemme e di recarsi direttamente
a Betlemme, precauzione la quale avrebbe impedito il subito ridestarsi
dell'attenzione di Erode e avrebbe forse prevenuto ogni male '). Dal
punto di vista ortodosso, più non rimane che a rispondere nello stile
affatto antico , che bene incolse ai bambini se perirono in si fresca
età, perocché un così breve soffrire li sottrasse a molte miserie, ed in
ispecie al pericolo di partecipare al peccato d' incredulità dei Giudei
riguardo a Gesù, avendo essi avuto l'onore di perdere la vita e di
diventare martiri per la causa di Cristo ecc. ì).
Ora, i magi lasciano Gerusalemme di notte, tempo in cui gli Orien
tali amano viaggiare; la stella, che pare essi non abbiano più veduta
dopo la loro partenza dalla patria, appare loro di nuovo e li precede
sulla via di Betlemme, fino a che da ultimo si ferma sulla dimora del
fanciullo e dei suoi genitori. Da Gerusalemme a Betlemme la strada
va verso il sud ; la vera direzione degli astri mobili è dall' ovest al
l' est , come quella dei pianeti e di una parte delle comete , ovvero
dall'est all'ovest, come quella di un'altra parte delle comete: c se al
cune comete camminano nella direzione dal nord al sud, il movimento
proprio e vero di quegli astri è affatto impercettibile in confronto
del loro moto apparente, prodotto dalla rivoluzione diurna della terra,
') Per esempio Eusebio, Demonst. emng., 9, citato in Suicer, 1, pag. 559.;
Johann. Damasc, De fide orthod., 2, 7.
') Crisostomo ed altri in Suicer, 1. cit. , e VEvangelium infanti® araUcum,
t. 7.
') Vedi in Kuinòl, Conm. in ìlatt., pag. 23.
244 VITA DI GESÙ
I 35.
') Dalla spiegazione dei racconti dei miracoli secondo il modo della loro for
mazione nel museo di Henke's, i, 3, 399 e seg. Simili spiegazioni trovansi nella
Memoria sui due primi capitoli di Matteo e di Luca, nel magazzeno di Henke's,
5, 1, 171 e seg. e in Malthaii, Rcligionsgl. der Apostel, 2, pag. 423 e seg.
CAPITOLO QUAHTO 253
secondo l'idea che se ne erano formata volgendo gli sguardi verso il cielo
cosparso di stelle. Neander ') conserva quale storica la fuga in Egitto e la
strage degli innocenti. Questa spiegazione del racconto evangelico non si
svincola, propriamente parlando, che dalla difficoltà maggiore, vale a dire
la stella che precede i magi e che si ferma sulla casa: le altre diffi
coltà sussistono ancora. Ma essa ha già abbandonato la fiducia illimi
tata nella veracità dell'evangelista e supposta una parte non istorica
nel racconto che ci vien trasmesso. Ora, se si chiede fino dove esten
dasi questa porzione non istorica, di quale specie ella sia, e s'ella siasi
prodotta su di una base' storica o sopra semplici idee , egli è facile
il vedere che la poca storia mal precisata cui una critica meno in
dulgente di quella di Neander può lasciar sussistere , è assai meno
adatta alla creazione del racconto evangelico che non il ciclo assai
preciso d'idee e di tipi che nel capitolo seguente verranno sviluppati.
§ 30.
') Jalkut Rubeni, f. 32, 3 (in Welstein): Qua hora natus est Abrahamus
pater noster. super quem sii pax, stetit quoddam sidus in oriente, et deglu-
tivit quatuor astra quae erant in quatuorcceli plagis. — Secondo uno scritto
arabo intitolato Maallem, questa stella che annuncia la nascita di Àbramo è
veduta in sogno da Nemrod. Fabric. Cod. pseudepigraph. V. T. 1 , pag. 345.
4) Testnmentum XII patriarcharum, test. Levi , 18. (Fabric. Cod. Pseudepi
graph. V. T., pag. 584 e seg.): xóti datpov auTou (dell' itpto; xarv;«
messineoì év ouc«v<".... ijwritov fa-; yvóotw x. t. ?.. Pesikta Sotarta f. 48 , 1
(in Schòltgen, 2, pag. 531 >: Et prodibit stella ab oriente, qua; est stella Mes
sia;, et in oriente versabitur dies quindecim. Paragonisi Sonar Genes. f. 74,
in Schòtlgen, 2, 524 ed alcuni altri passi che Ideler indica neWHandbuch der
Chronologie, 2 voi., 409, Anni. 1, e Bertholdt, Christologia Judworum, g 14.
5) Confr. coi passi citati nella noia precedente il Protevangelo di Giacomo,
cap. 21; Ek?o«ev «ctIgo, i:a.uu.iytzv , 5xx;n/«vr« tv toig àairpsts tojtsi,- xa
iuGÌJW'.wot «uroùi tou yahsn. L'esagerazione è ancor più grande in Ignazio,
Ep. ad Ephes. 19. Vedasi la collezione dei passi a ciò relativi in Tliflo,
Cod. apocr. 1, pag. 390 e seg.
') Exeget. Beitrage. 1, pag. lo9 e seg.
CAPITOLO QUAIITO 257
none t\ve fu tanto più scevra da ogni cattiva intenzione, e tanto meno
contestata, quanto più si andava allontanandosi dai tempi di Gesù, e
in quama maggiore oscurità veniva avvolta particolarmente la storia
della infanzia di lui. Cosicché, bentosto più non si dubitò che l'aspet
tata stella non avesse presieduto alla nascita di Gesù '). Se la si
sappose veduta da magi orientali , egli è che tale particolarità of-
ferivasi spontanea dal momento che si credeva alla apparizione della
stella; poiché, da un lato, nessuno poteva meglio degli astrologi com
prendere il significato di questo fenomeno , e l' Oriente riputavasi la
patria delle cognizioni astrologiche; d'altro lato, doveva sembrar con
veniente il far vedere in realtà a dei magi la stella messiaca che
rantico mago Balaam aveva veduto in ispirilo.
Nondimeno questo particolare, insieme col viaggio dei magi in Giu
dea e coi doni preziosi da loro offerti al fanciullo messiaco, si riferisce
ad altri passi ancora dell'antico testamento. Nella descrizione del mi
glior avvenire data da Isaia (cap. CO), il profeta espressamente di
chiara che in allora i popoli ed i re più lontani verranno in Geru
salemme ad adorare Jehova , e porteranno seeo dell'oro, dell'incenso
e d'ogni sorta pregevoli doni *). Se in questo passo non parlasi che
del tempo del Messia , e se lo stesso Messia vi manca , il salmo 72
parla di un re che verrà temuto per quanto dureranno la luna ed il
sole, che farà fiorir la giustizia, ci in onore del quale ogni nazione
intuonerà inni di lode: questo re può adunque intendersi facilmente
per il Messia; e il salmo ne dice precisamente (v. 10, 13) quello che
disse Isaia ( cap. GO ) , che cioè re stranieri gli porteranno oro ed
altri doni. Aggiungasi che, nel passo di Isaia, la menzione di un pel
legrinaggio di popoli stranieri a Gerusalemme è congiunta alla men
zione di una luce splendente al disopra di questa città "'), luce che
facilmente poteva rammentare la stella di Balaam. Avendosi pertanto
•/ Fritzsche, nella soprascritta del capitolo II: Eliam stella, quarti judaka
disciplina sub Messia natales visura iri dicit, quo Jesus nascebatur tempore
esorta est.
») Come in Matteo. 2, il, è detto dei magi; Uposhtyxav «jtó.... ypjo'.v x»l
àifar», cosi in Isaia, 60, 6 (LXX) è detto: ''H£oua:, cf'psvts; ypiyjlov, xa; Xi-
■fiorr, o«9vj.iILterzo dono che in Matteo consiste in auin» , è in Isaia
Ibi-- 'KU.'O,-.
*)V. 1 e 5: Surge, illuminare Jerusulem: quia venti lumen luum, et gloria
Os«ni super te orla est.
Stiacci — V. di C. Voi. I. 17
258 VITA DI GESÙ
oil awd\e più tardi nel racconto dell'infanzia di Augusto in Svelonio ').
Cosi pure la leggenda ebraica per Mosè; il qual ultimo racconto (2
Mos.. 1, 2)*) è somigliantissimo ai racconti evangelici in questo, che
d'ambo i lati il decreto di morte fu pronunciato, non già nominati
vamente contro Mosè e Gesù, ma in modo generale contro una data
classe di fanciulli; nel caso di Mosè, contro tutti i fanciulli maschi neo
nati; in quello di Gesù, contro tutti i fanciulli di due anni all'ingiù.
Veramente, secondo l'Esodo, il decreto di morte pronunciato non ri
guarda direttamente Mosò , del quale il Faraone non sospetta nep
pure la nascita, e che solo accidentalmente trovasi esposto a pericolo
da quel decreto; ma la tradizione formatasi in seno al popolo ebreo
non giudicò l' intento del racconto precisato abbastanza, e questo ri-
uveite quindi fino dai tempi dello storico Giuseppe un andamento
che \o rende di assai più somigliante alle leggende di Ciro e di Au
gusto, e per conseguenza al racconto di Matteo. Vi si dice, infatti, che
Faraone fu indotto ad ordinare la morte di tutti i fanciulli maschi
ila una comunicazione dei suoi jerogrammati 3), che gli predissero la na
scita di un fanciullo destinato ad umiliare gli Egiziani e ad innal
zare gì' Israeliti. Gli jerogrammati rappresentano la stessa parte de
gli interpreti di sogni in Erodoto, e degli astrologi in Matteo. Non
andò guari che la leggenda immaginossi, che il padre della nazione
fosse stato, al pari del suo legislatore, sino dai primi momenti di sua
nascita, esposto al pericolo dai micidiali progetti di un tiranno so
spettoso. Faraone , rispetto a Mosè , faceva la parte di nemico e di
• >'.>pressore; la stessa parte si attribuì a Nemrod rispetto ad Abramo;
'> i.'clav., 94: Ante paucos quam nascerete menscs, prodiginm lìomce factum
;>-'.!, i-, quo denuntiabatur regem populi romani itaturam partorire; scnatum
r rtrrri'.um censuisse ne qui* ilio anno genita* educaretur: eoi qui gravidas uxores
A.ii •/-«•»/ , quod ad se quisque spem traheret , curasse ne senntus-eonsultum ad
•T-irwm deferretur.
1> Gii. Bauer (Sul mitico del primo periodo della vita di Mosè nel rt. giornale
teol. 13. 3) aveva paragonato, col salvamento meraviglioso di Mosè, il salva
tatelo di Ciro e di Romolo. Il paragone della strage degli innocenti a Be-
lifiume fu aggiunto da De-Welte, Krit. der mos. Geschichte, pag. 170.
'■> Giuseppe, Antiq., 2, 9, 2: T«v kpoypauatiw ?;; .... ày^HX-i iZ Qaadxì,
-.i/z' '.liuti tea xai' txst'vGV t';v xatp'yj tot? 'lapcnilitats o; txxinàov. uh ti]v
.Vj-vnr'v.» ifiuzviav, atàiiau ài tsùj 'lapartita? tpoufeie, àpit'i ài stó.vtas uxzp-
àtù*.r, xai àiZav àaiuvr,atav xti'attat. Ae:'aas ài b fixailtò; , y.c/.tx yvaiir,v trp
ottetti, zùa'm x<xv t'o j'ewtóìv àpavj otri tin 'lapx>iKna'j eì; tsv rroiauiv p.
260 VITA DI GESÙ
i sapienti caldei, la cm attenzione fu desiala da una 'stella notevole,
dichiararono al principe babilonese, esser nato a Thare un figlio dal
quale sarebbe sorto un gran popolo; e, dietro questa dichiarazione,
Nemrod emana un decreto di morte al quale Abramo felicemente
sfugge Qual meraviglia adunque che, come il padre ed il legi
slatore, così anche il ristauratorc della nazione, il Messia, trovi un altro
Nemrod, un altro Faraone nella persona di Erode? che la sua nascita
sia annunziala dai saggi al principe giudeo, che i suoi giorni siano
fin dal momento della sua nascila minacciati dal tiranno, e ch'egli
sfugga felicemente alle sue. insidie? La leggenda apocrifa non ha ella
forse ragioni simili per aggiustare a suo modo ed introdurre questo
racconto nella storia di Giovanni Battista? Egli pure è in pericolo
pel sanguinario ordine di Erode; vi sfugge riparando in una caverna
miracolosamente apertasi per lui e per sua madre , mentre il di lui
padre non volendo rivelare il nascondiglio del fanciullo è posto a
morte 2).
11 modo con cui Gesù sfugge alle persecuzioni di Erode è diverso
da quello col quale Mose, secondo la storia mosaica, ed Abramo, se
condo la leggenda ebrea , si sottraggono agli ordini contro di loro
emanati; egli sfugge la morte coll'uscir dal paese e col ricoverarsi in
Egitto. Trovasi eziandio, nella vita di Mose, una fuga fuor del pro
prio paese; non però nella storia della sua infanzia, ma lorquando,
fatto uomo, egli uccide l'Egiziano; perseguitato per quell'omicidio da
Faraone, egli ripara nella terra di Midian (2 Mos. 2, io). La fuga
del primo Goel, o liberatore, servi di tipo alla fuga del secondo; il
nostro testo medesimo lo dimostra chiaramente ponendo sulla bocca
dell'angelo, che invita Giuseppe ad abbandonare l'Egitto ed a ritor
nare in Palestina , parole identiche a quelle che motivarono il ri
torno di Mosè da Midian nell'Egitto 5). D'altra parte, la scelta del-
') Jalkut llubeni (continuazione del passo citato pag. 290, n. 1!: Dixeruni
sapiente* Xemrodi: Natut est Thara filius liac ipso hora, ex quo egressurus
esl populus qui hepreditabit pra-sens et futurum seculum; si tibì plaruerit, detur
patri ipsius domus argento auroque piena, et ocridat ipsum. Paragonisi pure il
passo del libro arabo in Fabricius, Cod. pseudepigraph., 1. cit.
*) Protei-. Jacobi, e. 22 e seg.
3) 2 Mos., 1, 1!), LXX: Eàauj, ànù.Zt, ti? Aiju:rr:v -'.vi'*: a: yyp xx-.-.u,
ci Ì?i~?jy:ì; cov T.jv ìlvyi'j.
« Va, ritorna in Egitto, perciocché son morti tutti coloro clic cercavano
l'anima tua ».
CAPITOLO OUARTO 2()l
l'Egitto qual luogo di rifugio di Gesù spiegasi nel modo più sem
plice: il giovane Messia non poteva come Mose fuggire dall'Egitto.
Per non perdere l'importanza attribuita all'Egitto, amico rifugio dei
patriarchi, si inverti la cosa, e lo si fece ricoverare in Egitto, paese
che d'altronde, per la sua vicinanza , offriva il più conveniente asilo
per uno che fuggisse dalla' Giudea. Meno acconcia alla spiegazione
di questo particolare è la profezia di Osea, citata dal nostro evange
lista: Io ho chiamato dall'Egitto il mio figliuolo, si tiyxtnu (xòùjaa xn
•j:s9 uou, perciocché non è certo che i Giudei abbiano riferito questo
passo al Messia, e su di ciò le prove immediate sono incerte assai ');
tuttavia confrontando dei passi come quelli del salmo 2, 8, in cui le
parole rtnN isz, tu filius meus , furono riferite al Messia, non riesce
improbabile che siasi data una spiegazione messiaca alle parole di
Osea, izz1}, vii* «su, mio figliuolo.
Contro questa sorgente mitica del racconto si elevarono in questi
ultimi tempi due principali difficoltà: primieramente, osservossi s'egli
è dalla profezia di Balaam che nacque la storia della stella, per qual mo
tivo Matteo, che pur tanto si compiace in dimostrare, nella vita di Gesù,
i! compimento delle profezie dell' antico testamento , non fa parola
del compimento di questa -)? Pel motivo che non fu egli che com
pose questa storia col sussidio dei passi dell'antico testamento; egli
la ricevette già composta da altri, che non gl'indicarono in pari tempo
donde l' avessero presa. E però, precisamente perchè parecchi rac
conti gli furono trasmessi senza la spiegazione che ne dava il ban
dolo, tentò talvolta egli stesso false interpretazioni; del che vedesi un
esempio, per la narrazione medesima della strage degli innocenti, nel
passo relativo al pianto di Rachele da lui male inteso 3). L'altra dif
ficoltà è questa; come mai la comunità dei giudeo-cristiani, fra i quali
il preteso mito dovette formarsi, avrebbe potuto accordare ai pagani
Mail., 2, 20: 'EjsfCSi'--.. . creino e:; y'y 'lipcaiìs nz-j'y.m'. yxp oi fczo'.vzi;
tò» ij*r/m t;S aatùivi. (Destati... vaitene in Israele perciocché son morti coloro
che cercavano l'anima del fanciullo). E qui notisi che solo col passo dell'an
tico testamento si spiega il come, nel passo dell'evangelista , trovisi quel plu
rale, che qui non è necessario. Vedi "Winer. N. T. Gramm., pag. 149. Inoltre
paragonisi 2 Mos., 1. cit., v. 20, con Matteo v. 14 e 21.
') Ved., per es., Schòttgen, Horce, 2, pag. 209.
*) Theile, zur Biographie Jesu, $ lo, Anmerk. 9; Hoffmann, pag. 269.
')Confr. i miei scritti polemici, 1, 1, pag. 42 e seg.; George, pag. 39.
2G2 VITA DI GESÙ
tanta importanza quanta è lor data nelle persone dei magi? ') Come
se i profeti , nei passi citati , non avessero già concessa questa im
portanza ai pagani; tanto più che in realtà tale importanza è un omag
gio che essi tributano al Messia , una devozione che gli protestano ,
cose tutte, astrazion fatta dalle particolari circostanze dell'ingresso di
quo' pagani nel regno del Messia, conformi agli stessi sentimenti dei giu
deo-cristiani. II racconto evangelico pertanto, ed è su ciò che dobbiamo
insistere, essendo miticamente concepito, non ci apprende- alcun par
ticolare della vita di Gesù; solo vi scorgiamo una nuova prova della
ferma credenza alla sua qualità di Messia, che Gesù lasciò dietro di
sé, dacché la forma messiaca fu data anche alla storia della infanzia
di lui *).
Ora riportiamoci per una volta ancora al racconto di Luca, cap. 2,
sui punti in cui questo racconto è parallelo a quello di Matteo. ]Noi
abbiamo già veduto che il racconto di Matteo non suppone già che
quanto è narrato da Luca sia precedentemente avvenuto; ancor meno si
può sostenere la proposizione inversa e dire che i magi fossero ve
nuti prima dei pastori. Sorge quindi il quesito se, forse, i due racconti
non intendano narrare lo stesso fatto , presentandolo sotto due dif
ferenti maniere. Nell'antica spiegazione ortodossa, che tendeva a con
siderare la stella di Matteo per un angelo, era facile confondere que
sta stella coli' angelo di cui parla Luca , di maniera che V angelo
apparso ai pastori nella notte della nascita di Gesù sarebbe stato preso,
in lontananza, dai magi, per una stella splendente al di sopra della
Giudea 3); cosi entrambi i racconti sarebbero veri nel punto essenziale.
Ultimamente, si suppose che uno solo dei due racconti fosse il vero,
quello cioè di Luca; si rappresentò quello di Matteo come una rifu
sione dell'altro adorna ed abbellita. Si pretese che l'angelo, colla luce
celeste di cui parla Luca, venisse poi, nella tradizione alterata rac
colta da Matteo, trasformato in una stella, dacché le idee di angioli
e di stelle nella teologia sublime dei giudei si confondevano; e che'
la stessa tradizione avesse mutati i pastori in savi di regal sangue ,
S 37.
') Vedi, per es. Augustin, De consensu evungelist., 2, 5; Storr, Opiuc. acad.
;3, pag. 96 e seg.; Sùskind, in Bengel's Arckiv., 1, I, pag. 216 e seg.
CAPITOLO QUABTO 205
vero, ch'essa la spargeva solo fra le persone animate da uguali sentimenti
{ella ne parlava a tutti coloro che attendevano la liberazione in Ge
rusalemme, Djx)m nifi aÒToi uirsi toi"; tff.o-i)tyou'svoi; J.órfwj.'v ìv 'h'.cu-
cx?.(»), ma ciò non poteva impedire che la voce non giungesse fino
al partito di Erode: perciocché quanto più l'entusiasmo di queste per
sone che attendevano la liberazione veniva eccitato da una simile no
tizia, tanto più dovette risvegliarsi l'attenzione del governo, e più Gesù
trovavasi esposto a cadere nelle mani di Erode che lo cercava.
Comunque sia, chi pone la presentazione al Tempio dopo la visita
dei magi dovrebbe pure decidersi a differire codesta presentazione
fin dopo il ritorno dall'Egitto; ma questa supposizione è contraddetta
anche dal testo nei racconti; chè infatti bisognerebbe porre fra la na
scita di Gesù e la sua presentazione al Tempio i seguenti avvenimenti:
l'arrivo dei magi, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti in Be
tlemme, la morte di Erode, il ritorno dall'Egitto; il che evidentemente
è troppo per un lasso di tempo di quaranta giorni. Si sarebbe adunque
costretti ad ammettere che la presentazione del fanciullo e la prima
visita della puerpera al tempio abbiano avuto luogo dopo il tempo
legale; ma ciò è in opposizione al testo di Luca: poiché quando egli
dice: Essendo compiuti i giorni della loro purificazione secondo la leg
genda di Mosè, ore hù.rtn zv ai ifispat toh x t'Za.p.in'u etbróv xv.zi. tsv v:m;v
Mwoa>; v. 22, positivamente dichiara che la visita al Tempio fu fatta
nel tempo legale. Però poco importa che essa abbia avuto luogo più
presto o più tardi: secondo Matteo, i genitori di Gesù potevano, cosi
dopo il ritorno dall'Egitto che immediatamente prima della loro par
tenza per questo paese, pensare a recarsi in Gerusalemme. Se infatti
Giuseppe , abbandonando l'Egitto, è avvertito di non andare, per ti
more di Archelao, nella Giudea, che era governata da quel principe,
gli era ancora meno fattibile il ritirarsi nella stessa Gerusalemme, ove
Archelao risiedeva.
In conseguenza, nessuna di queste due supposizioni permette di col
locare la presentazione al Tempio dopo la visita dei magi, e più non
rimane che l'altra alternativa, cioè: porre, colla maggior parte degli
interpreti '), questa presentazione raccontata da Luca, prima della vi
sita dei magi e della fuga raccontata da Matteo : spiegazione eh' è
anche la più naturale, per lo meno in quanlocbè Matteo indica in
') Sùskind, 1. cit , pag. 222. « Luca, dicendo: quando essi ebbero falla tutto
secondo la legge del Signore, ritornarono a Nazaret, xaì i^iXiiav óstayza. xati.
tòvvóuov KuprcUjùjrlarp^V/v ei- NaSajM-^esprimesi come solo può esprimersi co
lui che vuol risvegliare nei lettori l'idea che i genitori di Gesù si portarono im
mediatamente, e senza interposizione di un altro viaggio, da Gerusalemme a
Nazaret ». Questo era pure un motivo per cui Sùàkind ed altri preferivano
intercalare, prima della presentazione al tempio, la visita dei magi e la fuga.
Secondo Michaelis (Osservazioni sulla sua traduzione, pag. 379) la strada
da Gerusalemme a Nazaret passa per Betlemme; ma Betlemme è in una di
rezione opposta!
CAPITOLO QUARTO 2G7
I 38.
_ ') /( vangelo di Nicodemo, c. 16, Io chiama per vero il gran maestro, b uiya. :
tfàauÙAi; ed il Protevangelo di Giacomo, c. 24, lo fa sacerdote od anche gru
Striate. Vedi le varianti in Thilo, Cod. Apocr. N. T. i, pag. 271 Confi-. 205.
')!, pag. 203 e seg. Anche llofl'mann (pag. 276 e seg.) pretende che non
si possa spiegare il discorso dei due vecchi se non che supponendo che essi
•onoscessero la storia dell'infanzia.
270 VITA DI GESÙ
raeone, prima che egli desse principio al suo discorso inspirato; ma tutto
questo racconto eziandio tende per lo appunto a dimostrare che il pio ve
gliardo, in virtù dello spirito che lo invadeva, riconobbe tosto il fanciullo
messiaco; ed è per ciò che il narratore insiste sulle relazioni di Simeone
eolio Spirilo Santo, tnàa% àyiw, per ispiegare il come egli avesse potuto,
senza comunicazioni antecedenti, riconoscere in Gesù colui che cragli
stato promesso, e predire in pari tempo il corso dei suoi destini. Mentre
il nostro evangelo canonico suppone in Simeone stesso, però in forza
d'un principio sopranaturale, l' indizio per cui questo vecchio rico
nosce Gesù, l' Evangelium infantiw arabium pone questo indizio nella
persona stessa di Gesù e nel suo aspetto ') : ciò eh' è più conforme
allo spirito delia narrazione originale che noi sia la spiegazione na-
turale, dacché almeno quel libro apocrifo conserva la parte meravi
gliosa. Osserviamo però che, oltre le ragioni generali contro la pos
sibilità dei miracoli, un miracolo ha in questa circostanza una dif
ficoltà particolare : l' impossibilità cioè di trovarvi uno scopo degno
dell'intervento divino; poiché non vedesi in alcun luogo che questo
avvenimento dell'infanzia di Gesù sia stato fomite destinato a propa
gare la credenza nel Messia in circoli più estesi. Bisognerebbe adun
que, come l'intende l'evangelista (v. 26-29), che il miracolo non avesse
avuto di mira che Simeone ed Anna, e che in ricompensa della loro
pia aspettazione venisse loro concesso di riconoscere il fanciullo mes
siaco. Ma una giusta idea della Provvidenza non permette di credere
che essa operi miracoli per fini cosi particolari.
Ecco quindi un altro motivo per dubitare del carattere storico della
narrazione, tanto pia che giusta quanto finora fu detto, essa si ri
ferisce a racconti puramente mitici. Solo non bisogna arrestarsi a que
sto punto , e dire che probabilmente le vere parole di Simeone fu
rono queste: Potessi io, come è vero ch'io porto questo fanciullo, ve
dere il neonato Messia! parole alle quali la leggenda, dopo l'avveni
mento, avrebbe dato quell'aspetto che or ci si mostra in Luca -). Densi è
d'uopo cercare, nel carattere stesso di questa parte della storia evange-
') Confr. con le parole dirette da Simeone a Maria : Kai cou ùè ab-?; rèv
YJfP à'.ùz.n -sj.: [jinaa-a ( v, 55), « E una spada trafiggerà a te stessa l'a
nima •, le parole dot salmo messiaco di sventura, XXII, v. 21: p^cat asrò
ÒMvzi'a; y,o//rj un « libera l'anima mia dalla spada ».
',' Schleiermacher, Cber <len Lukas, pag. 57. Confr. le osservazioni in con
trario esposte nel | XVIII e gli autori citali a pag. 1 16, nota i.
ili VITI DI GESÙ
osservazione che pur non gli impedi d' adottare una simile spiega
zione per la nascita di Giovanni Battista. Ugualmente fa meraviglia
Neander il quale, in causa di idee esagerate, pretende, contro la stessa
spiegazione, che il mito abbia adornato il racconto in discorso di par
ticolari ben più magnifici ancora. Lungi, scrive Neander, dall'invocare
semplicemente una purificazione per la madre di Gesù, ed un riscatto
per Gesù stesso, il mito avrebbe aggiunto un' apparizione angelica od
un avvertimento celeste pel quale Maria od i sacerdoti sarebbero stali
sconsigliati dal fare un atto in opposizione colla dignità di Gesù '):
come se il cristianesimo dell'apostolo Paolo, ed a maggior ragione il
giudeo-cristianesimo donde que' racconti derivano, non avessero rite
nuto l'idea del Cristo soggetto alla legge, yrAum: urs vc«cv (Gal., 4 ,
4) e come se Gesù slesso non si fosse sottomesso al battesimo, pre
cisamente in Luca, senza un antecedente rifiuto per parte di Giovanni
Battista. Di maggior peso è la seconda osservazione di Schleiermacher,
che cioè, colui che inventò la storia non avrebbe posto vicino a Simeone,
A una, dalla quale non si è neppur tratto alcun partito per la poesia del rac
conto, e non avrebbe descritto minutamente le particolarità della di lei
persona, mentre trascurava il personaggio principale. Ma il far procla
mare la dignità di Gesù dalla bocca di due testimoni e porre vicino al
profeta una profetessa le sono simmetrie da leggenda. La minuziosa
descrizione dell'aspetto della profetessa può essere stata presa da qual
che persona reale che ancora viveva, in riputazione di pietà, al tempo
della composizione del nostro racconto. In quanto ai discorsi , quello
della donna è precipuamente destinato a diffondere la notizia, nella
stessa guisa che quello di Simeone volgesi a salutare il fanciullo al
momento del suo felice ingresso nel tempi ; ma le loro vere parole
non poterono venir riportate , poiché tutto nvvenne dietro le scene.
Schleiermacher, il quale precedentemente ha sostenuto che l'evange
lista raccogliesse il proprio racconto mediatamente od immediatamente
dalla bocca dei pastori, qui pretende ch'ei lo abbia saputo dalla bocca
di Anna, da lui cosi esattamente descritta; nel eh.: Neander conviene,
e non è questo 1' unico uncino gettato da Schleiermacher, al quale
Neander cerchi aggrapparsi nelle difficoltà succitate dalla critica mo
derna.
') Neander fa qui (pag. 24 e seg.) delle amplificazioni apocrife , come più
sopra degli ornamenti poetici, il carattere del mito. Si l*una che l'altra cosa
è erronea.
CAPITOLO QUARTO 273
A questo punto eziandio in cui il racconto di L uca lascia Gesù per
alcuni anni, trovasi una frase finale sul prosperoso crescere del fan-
cinllo (v. 40); una frase simile è applicata allo stadio corrispondente
della vita di Giovanni Battista, ed entrambe ricordano una formula
analoga nell'istoria di Sansone (Jud. 13,24, e seg.).
§ 39.
') DM. c. Tnjph., 78: « Giuseppe venne da Nazareth, ove dimorava, a Be-
thlemme d'onde era (originario), per farsi censire, avE^WSiE! ('Icròf) outb Na-
Caoit, vjzol òxit, e.;s BsS^ìu, orev ìjv, àsroypó.^aróo'.! » . Tuttavia si potrebbero
intendere le parole d'onde era, orev yv, come designanti solamente il luogo
della sua tribù, sopratutto se si riflette all'aggiunta di Giustino: t Poiché la
sua schiatta era della tribù di Giuda , che abita questo paese , à.~h jàp t?j
xaTO'.-Aoiyjti' *h yvv èxe'vijv CfuLIs 'lo\»ìa ts j'vjoì i;?.
*) Bcitràge sur Einleit. in das AT. T. I , pag. 217. Confr. Hoffmann , p. 238
e seg , 277 e seg.
CAPITOLO OUAHTO 277
Gerusalemme ed ivi ella venisse fidanzata a Giuseppe, ella ritornò tut
tavia, dopo gli sponsali, presso i suoi genitori, in Galilea. Giuseppe,
invece, non solo era nativo di Betlemme, come sembra voglia dire
fiioslino, ma aveavi eziandio sua dimora e quivi egli condusse Maria 1).
ÌÌ3 questa conciliazione a sua volta, è troppo favorevole a Matteo, a
spese di Luca: il censo, con ciò che vi appartiene, è e doveva essere
abbandonato; poiché, se Giuseppe ha casa propria in Betlemme, e non
si reca a Nazaret che per cercarvi la sua fidanzata, non può essere
il censo il motivo che lo ha chiamato nella prima di queste due città,
bensi egli vi avrebbe da sè fatto ritorno dopo alcuni giorni di lontananza,
e, sopratutto, se egli aveva in Betlemme la sua dimora, non era bi
sogno, al suo arrivo in questa città, ch'egli cercasse un albergo, xocrà?.uu«,
dove neppur trovò posto ; ma avrebbe condotto Maria sotto il pro
prio tetto. Laonde alcuni moderni commentatori , che vogliono ap
profittare dello spedienle offerto dall'apocrifo, senza però abbando
nare il censo di Luca, ammettono che Giuseppe avesse bensi abitato
e lavorato in Betlemme, ma che egli non vi avesse posseduto una casa
propriamente detta, e che lor quando il censo ve lo richiamò all'improv
viso, ei non se la fosse ancor procurata -). Ma Luca non rappresenta già
i genitori di Gesù in Betlemme come ivi domiciliati, e neppure come stra
nieri che cercassero stabilirvisi; bensi come individui i quali intendono di
partire dopo aver fatto un soggiorno possibilmente breve. Se, in tale
supposto , i genitori di Gesù appaiono poveri assai , Olshausen , per
conciliare la divergenza di cui si tratta, preferisce arricchirli e dice
che essi avevano possedimenti tanto a Betlemme quanto a Nazaret :
die essi avrebbero potuto stabilirsi si nell'una che nell'altra città: ma
che ignote circostanze, dopo il ritorno dall'Egitto, face vanii propendere
per Betlemme fino a quando un avviso celeste volse i loro passi per
altra parte. Questo motivo, che Olshausen lascia indeciso, e che faceva
desiderare ai genitori di prender domicilio in Betlemme, è precisato da
altri commentatori , Heydenreich per es. 5) , giusta i quali parve ai
genitori opportuno il far educare nella città di Davide il figlio di
Davide che loro veniva accordato.
Qui almeno bisognerebbe che i teologi prendessero esempio dalla
')C I. 8. 10.
'(Cosi si esprime Paulus, Exeg. Handbuch, 1, a, pag. 178.
') L'ber die Unzulassigkeit der mythischen Au/fassung (sulla inammissibilità
Gl'interpretazione mitica) u. s. f. i, pag. 101.
278 VITA DI GESÙ
sincerità di Neander per confessare con lui , che Luca non conosce
né questo progetto dei genitori di Gesù di stabilirsi in Betlemme,
né le cause che li indussero a rinunciarvi , e che solamente Matteo
è informato di questa particolarità. Ma quali sono adunque le cause di
questo preteso mutamento di progetto che Matteo sa indicare? La vi
sita dei magi, la strage degli innocenti, le visioni in sogno al momento
della fuga; racconti tutti che, come fu dimostrato, sono privi di un ca
rattere storico, e che quindi non possono servire a motivare da parte
dei genitori di Gesù un cambiamento di domicilio. D'altro lato, Neander
confessa che il redattore del primo vangelo potè benissimo non sa
per nulla del motivo particolare che determinò, secondo Luca, il viag
gio ( a Betlemme , ragione per cui potè prendere quest' ultima città
per il domicilio originario dei genitori di Gesù; ed aggiunge che in
sostanza i due racconti possono trovarsi in un accordo reale, quan
tunque i due scrittori non abbiano avuto la coscienza di tale accordo ').
Ma noi domanderemo , come più sopra , su che cosa fonda Luca il
viaggio a Betlemme? Sul censo, che, secondo le nostre precedenti
ricerche, è un appoggio tanto debole pel racconto di Luca, quanto lo
è per quello di Matteo la strage degli innocenti con tutto ciò che. le
vien dietro. Adunque non si tratta qui di salvare i due fatti narrati,
ammettendo che l'uno dei narratori ignorasse ciò che l'altro riferiva;
poiché ognuno di essi ha contro di sé, non solo l'ignoranza dell'altro,
ma eziandio l'inverosimiglianza del proprio racconto.
É necessario però distinguere ancor più esattamente gli aspetti iso
lati e gli elementi dei due racconti. Secondo che già si ebbe ad os
servare, il cambiamento di domicilio dei genitori di Gesù, di cui parla
Matteo , deriva dai racconti non istorici della strage degli innocenti
in Betlemme e della fuga in Egitto, di maniera che senza questi non
evvi più alcun motivo di mutare ulteriormente di residenza; noi pas
seremo perciò dalla parte di Luca, il quale fa risiedere i genitori di
Gesù nel medesimo luogo, cosi dopo che prima la nascita del fan
ciullo. Ma d'altro lato l'asserzione di Luca, che dice Gesù essere nato
in luogo diverso da quello nel quale risiedevano i suoi genitori, ri
posa sopra un dato altrettanto poco storico, cioè sul censo; e senza
questo dato non resta più ai genitori di Gesù alcun motivo di in
traprendere un sì lungo viaggio all'avvicinarsi del parlo di Maria; in
ciò adunque noi inclineremo per Matteo, che pone la nascita di Gesù
') L. J. Ch.
CAPITOLO QDABTO 111.)
') ùbrr den Lukas, pag. 49. Una simile titubanza si scorge in Theile, Zur
Biographie Jesu, pag. 15.
*) iber den Ursprung, u. s. w. pag. 68 e seg., e pag. 138.
') Confr. Ammon, Forlbildung,l, pag. 194 e seg.; De-Wette. Exegei. Ilaml-
»ars, 1, 2, pag. 24 e seg.; George, pag. 84 e seg. È un fatto che varii narra
tori cercano differenti narrazioni di uno stesso dato , e che poscia le spiega
zioni vengono spesso riunite anche in un solo e medesimo libro. Di ciò si
hanno moltissimi esempii nell'antico testamento. Cosi la Genesi, come fu no
tato più sopra, dà tre derivazioni del nome Isacco, pag. 194; due del nome
di Giacobbe (23, 26, 27. 56); due dei nomi di Edom (23, 25, 23, 50) e di 13er-
saba i»l, 31; 26, 55). Confr. De-Wette, Krilik der mos. Geschichte, pag. HO,
118 e seg. e i miei Scritti Polemici, 1, 1, pag. 85 e seg.
spegnerlo. I Magi non tornano a lui , com' egli aveva loro raccomandato , e
resta nell'ignoranza e nel turbamento. Ei si comprende come sia facile, iir
vista dei fatti che seguirono , ragionare secondo il proprio talento , e dire
come le cose avrebbero dovuto avverarsi, se si voleva evitare l'incompren
sibile di certi fatti, il mistero di certi avvenimenti. Ma anco su questo ter
reno noi avremmo molto da opporre al ragionamento dello Strauss. E pria
di tutto, se il raggiungere il fine giustifica la disposizione e l'ordinamento
dei mezzi, noi dobbiamo convenire che i mezzi adoperati dalla Provvidenza
siano stati i più convenienti, perchè il fine fu raggiunto, la conservazione
cioè di Gesù che doveva fondare la nuova religione. Troviamo logica la con
dotta di Erode , il quale se avesse mandato persone sue coi Magi , avrebbe
messi costoro in sospetto e fallito il suo disegno. In un tiranno non sempre
han luogo i migliori consiglile perchè facilmente si affida alla simulazione ed
all'inganno, resta di sovente ingannato. Erodo dovette pensare che i Magi,
non avendo interesse di sorta che il re fosse Erode o altri, dovessero ritor
nare a lui, dirgli sicuramente dove avevan visto il neonato, e dargli così la
facilità di spegnerlo. Questo ci par naturale, naturalissimo; e non sapremmo
trovare ragione per la quale i fatti dovevano necessariamente accadere al
trimenti.
Della stella abbiamo detto di sopra; e perciò non torniamo su quanto ne
dice lo Strauss , che per ridire la nostra opinione , cioè che quel miracolo
non sia stato una stella vera, o cometa o altro nel firmamento, ma un fatto
sopranaturale avvenuto nella mente di coloro che dissero di aver veduta
una stella.
Sull'uccisione dei bambini ordinata da Erode, l'autore incontra dei dubbir
perchè non trova questo atroce fatto narrato da altri storici. A noi non
pare esser questa una ragione di negare la relazione del vangelo. È un fatto
atroce , ma nella piccola città di Betlem pochi dovevano essere i bambini
nati da due anni in qua; e la narrazione evangelica pare più intesa a far
rilevare l'atrocità del fatto che il gran numero degli uccisi. Si era poi in
tempi, quando l'umano sangue si versava a torrenti, e quando lai fatti, co
munque abbominevoli , potevano dagli storici non essere riportali , per dar
luogo a fatti ancora più universali ed atroci. Il dire che il fatto venne rap
portato per fare avverare la profezia è un'asserzione gratuita come quella
della fuga in Egitto, e dal ritorno di Gesù a Nazaret. Le profezie si sono
avverate, e bisogna provare che i fatti non accaddero quali sono rapportali
dal vangelo, per venire alla conclusione che furon creati e narrali al sem
plice scopo di fare avverare la profezia , e di acquistar fede messiaca a
Gesù.
CAPITOLO OUABTO 289
— V. di C. Voi. I 19
CAPITOLO QUINTO.
§ 40.
fanciullo prendeva parte egli pure ai sacri riti , Gesù , narra il rac
conto , fu condotto a Gerusalemme da' suoi genitori , che , a quanto
pare, lo condussero in allora per la prima volta alla festa di Pa
squa. Trascorso il tempo della festa, i genitori si posero in viaggio per
far ritorno a casa. Sulle prime essi non si turbarono al non vedere se-
coloro il figliuolo, credendo ch'ei si trovasse fra la compagnia dei viag
giatori; e fu solo dopo aver fatta una giornata di cammino, e dopo
averlo cercato invano fra i parenti ed i conoscenti, ch'essi ritornarono
a Gerusalemme per averne notizia. Questa condotta dei genitori di
Gesù può sorprendere. Dovendosi in essi supporre una accurata sorve
glianza sul fanciullo celeste che loro era stato affidato, non si comprende
come essi l'abbiano trascuralo per tanto tempo: e per questo da vari fu
mosso loro rimprovero di negligenza e di dimenticanza dei proprii
doveri '). Generalmente si adduce a giustificazione dei genitori di
Gesù che quella maggior libertà concessa al figlio era facilmente con
cepibile con una educazione liberale 2); ma, anche secondo le idee mo
derne, una simile trascuranza del dodicenne fanciullo da parte dei ge
nitori, è qualche cosa più che semplicemente liberale: che cosa doveva
poi essere colle rigide idee che i popoli antichi, compresi gli Ebrei,
avevano sull'educazione dei fanciulli? Qui particolarmente soggiungesi,
che siccome i genitori di Gesù conoscevano il loro figlio, essi pote
vano fidarsi abbastanza del suo giudizio e del suo carattere, per non
aver nulla a temere riguardo a lui da questa libertà accordatagli •"); ma
le angustie ch'essi provarono in seguito, lasciarono scorgere che essi
non erano poi tanto sicuri su tale riguardo. Il contegno dei genitori
rimane quindi pur sempre inaspettato, senza però essere incredibile
e senza nulla torre alla verosimiglianza del racconto: poiché i geni
tori di Gesù, almeno per noi, non sono santi, ai quali non si possa
rimproverare alcun errore.
Ritornati a Gerusalemme, essi ritrovano, il terzo giorno, il loro figlio
nel tempio , senza dubbio in una delle sale esterne ed in mezzo ad
una riunione di dottori. Egli era intento a conversar seco loro, ed
eccitava 1' ammirazione generale (v. 45 seg.). Da alcuni indizi sem
brerebbe che qui Gesù occupasse, rispetto ai dottori , una posizione
il.
Se, dal tìn qui detto, noi dobbiamo anche in questo racconto, ri
conoscere l'influenza del mito, noi potremmo tuttavia, siccome la base
del racconto è affatto naturale, prendere qui la via di mezzo, e om-
messa la parte mitica, cercar di conservare tuttora un avanzo di sto
ria. Laonde noi potremmo ammettere che i genitori di Gesù abbiano
condotto una volta il proprio figlio , durante la sua prima infanzia ,
alla festa in Gerusalemme, e che essendo questi sfuggito loro dagli
occhi (alquanto prima della partenza) essi lo abbiano nuovamente ri
trovato nel tempio, ov'egli avido di imparare so ne stava seduto appiè
dei rabbini. Alle parole de' genitori egli avrebbe risposto che la casa
di Dio era per lui la più cara dimora 2), risposta che avrebbe alle
gralo i genitori e incontrata 1' approvazione de' circostanti. Tutto il
resto sarebbe stato aggiunto dalla leggenda dopo che Gesù si diede
a riconoscere per il Messia. Con ciò sarebbe tolta di mezzo ogni dif
ficoltà nel racconto: il seder del fanciullo in mezzo ai dottori, il suo
parlare d'Iddio come di suo padre speciale, e in parte anco il viaggio
di ritorno de' genitori in cerca del fanciullo; ma il viaggio del dodi
cenne Gesù , la sua dimostrata avidità d' imparare e la sua predilc-
rione pel tempio , rimarrebbero intatte. Certamente questi dati non
') Giuseppe, Antic, 2, 9, 6: Egli aveva una intelligenza superiore alla sua
età: <juv£(7iì cò xa.ià. tiìv iftixiav {(pino avrò, x. t. X.
*) Filone, De vita Mos., Opp. ed. Mangey, voi. 2, pag. 83 e seg.: Egli si com
piaceva come gli altri fanciulli nei giuochi , nelle risa, negli scherzi : ma,
dando prova di pudore e di posatezza , intendeva ad ascoltare ed a vedere
ciò che doveva essere utile alla sua anima. Maestri di varii luoghi vennero
a lui: ma in poco tempo ei sorpassò il loro sapere, prevenendo l'insegnamento
mercè della sua felice natura: Oby ola xofi«?>; vi'srros #<h-ro vaìaauois xai fi-
Ì/Mt xai jtatàtaic.... Ó.W atàó xai oiuv'oTJjTa Trapaipaivwv , axo'jauaat xa:
yóSev aXko-, 3ta.p'toav.... ini èv où [iaxf,ò %póva ti; &wciuus ìxrtpsficOjv ti-
^jipia df'jOtutì yravev tju ù^ji'a:;;.
CAPITOLO QUINTO 301
anni all' incirca , il giovane consideravasi siccome già uscito dal pe
riodo dell'infanzia Quindi la tradizione ammise, riguardo a Mosè,
che all'età di dodici anni egli avesse lasciato la casa paterna per di
venire nn organo indipendente delle divine rivelazioni 2). Samuele, del
quale il Vecchio Testamento non determina in quale età gli venisse co
municato il dono della profezia, aveva, secondo la tradizione posteriore,
profetizzato fino dal dodicesimo anno 3). La tradizione volle eziandio
che Salomone e Daniele (1 Reg. 3, 23 seg.; Susann., 45 seg.) pronun
ciassero i loro savi giudizi sino dal dodicesimo anno di loro età *).
Potrebbe darsi che nella prima comunità cristiana si fosse fatto il se
guente ragionamento: Se, in questi grandi uomini del vecchio testa
mento, lo spirito che li animava diede prove d'attività fino dal dodi
cesimo anno, esso non può essere rimasto nascosto in Gesù per un tempo
maggiore: e se Samuele, Daniele e Salomone, i due primi, profeti ispi
rati da Dio, e l'ultimo, un re savio, fino da quella età si mostrarono
ciò che furono in appresso, Gesù parimenti dove essersi fino d'allora
mostrato nel suo carattere di figlio di Dio e di istruttore dell' uma
nità: carattere che ebbe di poi. Difatti Luca , come appare visibile,
non omette alcuna fase dei primi tempi della vita di Gesù senza ador
narla di un riflesso divino e di segni caratteristici prenunzi dell'av
venire. Or come egli tratta in questo stile il racconto della nascita, il
breve cenno sulla circoncisione , e sopratutto 1' episodio della pre-
! 42.
In quali condizioni esterne visse Gesù dal tempo della scena testé
menzionata sino al suo primo entrare nella vita publica? Su di ciò
trovasi appena un indizio nei nostri evangeli canonici.
Vediamo dapprima qual fosse la sua residenza. Intorno a ciò, una
sola cosa si ha di positivo, che cioè Gesù risiedette in Nazaret così
'i Cap. S: Anche nel testo greco la lezione più verosimile è : xy.i ttóHu-
<r.a oi gsov:. Vedi Thilo, pag. 287.
304 VITA DI GESÙ
al principio come alla fine di questo oscuro periodo. Secondo Lue»
(2, 51) Gesù in età di dodici anni vi fece ritorno coi suoi genitori, e se
condo Matteo (3, 13), Marco (1,9) Gesù in età di trent'anni (confr. Luca
3, 23) parti per farsi battezzare da Giovanni. Essi sembrano adunque
supporre che Gesù in quell'intervallo di tempo siasi rimasto in Galilea,
e precisamente a Nazaret. Ben inteso, ciò non esclude i viaggi, come
per esempio in occasione delle feste di Gerusalemme.
L'occupazione di Gesù negli anni della sua adolescenza e della sua
giovinezza, secondo le indicazioni dei nostri evangeli, sembra venisse
determinata dal mestiere del di lui padre, eh' essi designano come
■zlxxov (Matteo 13,55). Questa parola greca, adoperata per indicare la
condizione di Giuseppe, è presa comunemente nel significato di faber
lignarius, legnaiuolo '): alcuni soltanto, per motivi mistici, vi scorsero
un fabbro ferraio, faber ferrarius, un lavoratore d'oro, aurarius, ed
anche un muratore, cwmentarius ì). I lavori in legno che narrasi egli
eseguisse , variano di grandezza secondo i vari autori: secondo Giu
stino e l' Evangelo di Tommaso 3) , erano aratri e gioghi , aeorpa *a:
Zoyv, quindi lavori di carradori; secondo il Vangelo arabo dell'infanzia
erano porte, vasi per latte, vagli e cofani *); una volta egli fa anche
un trono per il re; sono quindi opere, ora da falegname, ora da
bottaio. Per lo invece, il Protevangelo di Giacomo lo suppone lavo
ratore negli edifizi, oìxo&oua-s, e ne fa quindi un legnaiuolo s). Ora Gesù,
secondo un' espressione di Marco, sembra partecipasse a questa occu
pazione del padre: poiché quando i Nazareni domandano: chi è questo
Gesù, Marco non pone già in loro bocca, come Matteo nel suo passo
parallelo, la domanda: Non è questi il figlio del legnaiuolo? oby oòtì;
ima> b Toj tìxtovo; vn<-; ma bensì la domanda: Non è questi il legnaiuolo?
oày oWo; la™ b tIxtwv ( 6 , 3 ). Vero è che se Celso asseri per mot
teggio che il dottore dei cristiani era legnaiuolo di mestiere, tìxtcw in
tijv t1/vi?v, Origene rispose aver Celso senza dubbio dimenticalo che in
*) C Cels., 6, 36.
') Fritzsche, in Marc, pag. 200.
*) Vedi Wetstein e Paulus su questo passo: Winer, Realworterbuch, l. p. 665.
Anm.; Neander, L. J. Ch. pag.^46 e seg. Anni.
') L. cil.; Essendo fra glijuomini , egli fece lavori da falegname, aratri e
Wancie, mostrando cosi i simboli della giustizia e della vita attiva: TWca
7*5 ià Tcxrovixà tpya. iipyàZiio tv àvSpasrois rh, dpotpa xai Zvyà, ùix ty'rtov
«ai t* tà« àxaioetirsfó ouupoXa dààaxiM, x-zi évtpy'j (ìiov.
') Cap. 38.
Stiaom —T.tUG. Voi. I. 30
306 vita di r.Esù
conoscenza slorica delle speranze e dei progetti straordinari che i geni
tori di Gesù avessero potuto concepire riguardo al loro figlio , cosi
nulla più naturale dello ammettere che Gesù per tempo si fosse appli
cato al mestiere del padre suo. I cristiani inoltre avevano piuttosto
interesse a respingere che non ad inventare cotesta opinione sulla prima
occupazione del loro Messia , poiché essa non di rado attirò loro i
motteggi degli avversari. Cosi Celso, come sopra vedemmo, non può
astenersi dal fare un'osservazione su di ciò; per lo che Origene pretende
che il nuovo testamento non abhia in nessun luogo qualificato Gesù per
legnaiuolo, xìxmw: e si sa qual fosse la derisoria domanda di Libanio
intorno al figlio del legnaiuolo, domanda a cui il solo avvenimento
diede una risposta tanto forte e ricisa •)• Veramente qui potrebbesi
obiettare, che la supposizione che Gesù facesse lavori da legnaiuolo,
Tsxrawxà spya, non riposa su di altro che su di una semplice induzione
dal mestiere del padre al mestiere del figlio, il quale poteva benissi
mo aver imparato un altro mestiere; e forse anche tutto ciò che si
disse sul mestiere di Gesù e di Giuseppe proviene da quel significato
simbolico che Giustino attribuì al lavoro delle loro mani. Tuttavia la
qualifica di legnaiuolo data a Giuseppe è nei nostri vangeli netta e ricisa:
né in alcun luogo del nuovo testamento essa viene adoperata in modo
allegorico, o più precipuamente determinata. Non si può dunque con
testare che Giuseppe sia stato legnaiuolo; quanto a Gesù, rimarrà in
decisa la questione s'egli esercitasse o no questo mestiere.
In quale stato di fortuna trovavansi Gesù ed i suoi genitori? Molte
dissertazioni furono consacrate a questo oggetto. Alcuni teologi orto
dossi sostennero aver Gesù vissuto in una povertà completa, e lo so
stennero per motivi dogmatici ed estetici: da un lato volevasi avere,
anche su questo punto, lo status exinanitionis, e d'altro lato si voleva
rendere affatto singolare il contrasto tra la forma di Dio, u-ipiti Btyj,
o la forma di schiavo, ppfì &oi>7.oo. Ma questa antitesi espressa dall'apo
stolo Paolo (Fil. 2, 6, seg.) e l'espressione dello stesso apostolo, che
il Cristo fu mendicante, Kti&ytvji (2, Cor. 8, 9), caratterizzano soltanto,
<:ome è oramai constatato, la vita oscura e penosa alla quale egli si
sottopose dopo la sua celeste preesistenza , invece di assumere la
parte di re attribuita al Messia dall'immaginazione dei giudei *). Pro-
§ 42.
') Schcettgen invoca questi passi: Ckristus rabbinorum summus, nelle Hora
3. pag. 890 e seg.
') È quanto dice, per es., Reinhard nel suo libro intitolato Piano di Gesù,
310 VITA DI GESÙ
') Orig., C. Cels. 1, 28: Koù QJyu) St: orw; (b 'bpoos) àt% at-Aa-j ti;
u'.izc/pv'rta.-, xdtx-i dmctustiv tivwv rrr.'pa-S'?, ì^'olU Aìjvjttjoì Oiuyjvovrzt,
a iaii òwjàuin: uiya C'.ovav, unì dì aì~x; 5ùv aùxòv àvnppeuaE.
')Sanhedr. pag. 107, 2: - R.Josua f, Perachjaet vai (Jesus) Alexandriam Mgypli
potetti sunt.... ")tzi (Jesus) ex ilio tempore magiam exercuil, et Israèlitas ad pes
sima qucevis perduxit. (È un considerevole anacronismo: poiché questo Josua
Ben Perachja visse un secolo avanti. Vedi Jost, Gesch. der Jsr. (Storia degli
Israeliti) 2, pag. 80 e seg. e 142 der Anhànge). Schabbath, pag. 104, 2: Tra-
est , R. Elieserem dixisse ad viros doctos : Annoti f. Satdm ( id est Jesu }
*agiam ex JEgypto adduxit per incisionem in carne sua factum? Vedi Schcet-
tg8n, Horce, 2, pag. 697 e seg.; Eisenmenger, Entdeckles Judenthum (Giudaismo*
melato) 1, pag. 149 e seg.
312 VITA DI GESÙ
Fra gli elementi d' istruzione che trovavansi allora nella patria di
Gesù è duopo annoverare le tre sette in cui era divisa la vita spi
rituale de' suoi contemporanei. I farisei, combattuti in appresso con
tanta energia da Gesù, pare si debbano considerare per lui quale un
mezzo di coltura negativo; tuttavia allato al loro attaccamento alle tra
dizioni, al loro pedantismo legale, al loro bigottismo ed alla loro ipocrisia,
che tanto ripugnavano a Gesù, essi avevano la credenza negli angioli e
nell'immortalità : ammettevano uniformemente uno sviluppo continuo
della religione giudaica anche dopo Mosè: ed erano questi per Gesù
altrettanti punti di appoggio. Ma queste opinioni non erano proprie
dei Farisei se non che nella loro opposizione ai Saducei; chè del resto
esse erano comuni a tutti i Giudei ortodossi: quindi converrà limitarsi
a supporre che l'influenza della setta farisaica sullo sviluppo di Gesù
fosse essenzialmente negativa.
Da ciò che ne' suoi discorsi Gesù mostra minor opposizione al sadu-
ceismo, si accorda con esso nel rifiutare la tradizione e l'ipocrisia dei
Farisei, alcuni dotti s'indussero a scorgere in questa setta una scuola per
lui Ma questo accordo nel combattere le aberrazioni de' Farisei è pura
mente negativo, e parte, in Gesù, da ben altro principio che da quello dei
Saducei. D'altronde esso svanisce totalmente innanzi al contrasto che for
mano le opinioni di Gesù e la sua maniera di considerare il mondo, con la
freddezza religiosa de' Saducei e colla loro incredulità riguardo all'immor
talità dell'anima ed all'esistenza degli spiriti. Vero è che una polemica
contro i Saducei non ritrovasi negli Evangeli , ma di ciò è facile il
rendersi ragione; quella setta esercitava poca influenza sui circoli coi
quali Gesù era immediatamente a contatto; ella aveva i suoi seguaci
nelle sfere più elevate della società4).
Una sola delle sette giudaiche in allora esistenti può far sorgere
sul serio la questione se non sia da attribuirsi a lei un'influenza decisiva
sullo sviluppo di Gesù e sulla di lui comparsa: la setta cioè degli Es-
senj s). Nel secolo passato, la derivazione del cristianesimo dall'essenismo
era in voga assai: nè solamente deisti inglesi e fra i tedeschi Bahrdt e
Venturini, ma eziandio dei teologi come Stàudlin, condivisero siffatta
*) Per es. Des Còtes, Schutzschrift fiir Jesus von Nazareth, pag. 128 e seg.
*) Neander, L. J. Ch., pag. 39 e seg.
!) Vedi Giuseppe, B. ;'. 2, 8, 2 13 Antiq. 18, 1, 5. Confr. Filone: Quod onuis
probus liber, ed il suo libro: De vita contemplativa.
I.
Sopra Gesù non agirono per avventura anche elementi non giudaici
o per lo meno estra-palestini ? Dai pagani residenti nella Galilea dei
gentili ralùMlx. tùv Ovó? , era ben difficile che vi fosse cosa alcuna
ad apprendere, tranne la pazienza, quando si avevano frequenti rap
porti con loro. Ma, alle feste di Gerusalemme, si trovavano non solo
dei Giudei stranieri che, come gli Alessandrini ed i Cirenaici, vi ave
vano sinagoghe (A. Ap., 0, 9), ma anche dei pagani molto pii (Giov., li,
20): e che il conversare con questi ultimi abbia contribuito ad ingrandire
l'orizzonte di Gesù ed a spiritualizzare le sue idee, è cosa conforme,
come più sopra notammo, ad ogni storica verosimiglianza ').
Ma perchè, in mancanza di dati positivi , cercare a stento alcune
tracce incerte d'una influenza che gli elementi di cultura esistenti ai
tempi di Gesù hanno potuto sopra di lui esercitare? e, perchè, dall'altra
parte, evitar con tanta cura codeste ricerche? È sempre necessario
che il genio lasci cadere una scintilla per infiammare la materia e
fonderne le diverse parti in un tutto uniforme ed armonico ; e qua
lunque siasi la massa di materiali spirituali preparata già prima,
quella scintilla non sarà né più facile a spiegarsi né di merito meno
grande. Quand'anche Gesù avesse esaurite tutte le sorgenti d'istru
zione del suo tempo , non è perciò men vero che , nei grandi
uomini, la recettività comprensiva altro non è che il rovescio della
loro potente facoltà di azione. Ch'egli debba all' essenismo , all'ales
sandrinismo, a qualunque scuola e tendenza che si voglia, ben più di
quello che noi possiamo indicare (ed ancora con tanta incertezza),
niuno però di questi elementi bastava, nemmeno per ombra, a produrre
una rivoluzione nel mondo; ed il lievito necessario ad una si grande
opera Gesù non lo potè attingere che nel profondo dell'animo suo ')
Ma ancor non si è fatta parola dell' apparizione di un uomo che, se
condo i nostri vangeli, influì nel modo più decisivo sullo sviluppo della
n primo fatto della vita di Gesù; diche trattasi in questo quinto capitolo,
vien rapportato dal Vangelo di Luca nel capo II nel modo seguente:
• E il fanciullo cresceva, e si fortificava in ispirilo , essendo ripieno di
sapienza, e la grazia di Dio era sopra lui.
« Or suo padre e sua madre andavano ogni anno in Gerusalemme , nella
lista della Pasqua.
• E come egli fu d'età di dodici anni, essendo essi saliti in Gerusalemme,
secondo l'usanza della festa;
« Ed avendo compiuti i giorni d'essa quando se ne tornavano, il fanciullo
Gesù rimase in Gerusalemme, senza la saputa di Giuseppe, nè della madre
'l'esso.
« Estimando ch'egli fosse fra la compagnia, camminarono una giornata:
eJ allora si misero a cercarlo fra i lor parenti, e fra i lor conoscenti.
« E non avendolo trovato, tornarono in Gerusalemme, cercandolo.
« Ed avvenne che, tre giorni appresso, lo trovarono nel tempio, sedendo
in mezzo ai dottori, ascollandoli, e facendo loro delle domande.
« E tutti coloro che 1' udivano stupivano del suo senno , e delle sue ri
sposte.
• E quando essi lo videro, sbigottirono. E sua madre gli disse: Figliuolo,
perchè ci hai fatto così? Ecco, tuo padre ed io ti cercavamo, essendo in gran
travaglio.
•Ma egli disse loro: Perchè mi cercavate? non sapevate voi ch'egli mi
conviene attendere alle cose del Padre mio?
• Ed essi non intesero le parole ch'egli aveva lor dette.
Dal quale racconto si deduce che Giuseppe e Maria si accorsero di avere smar
rito Gesù dopo il cammino di una giornata.
316 VITA DI GESÙ
I 44.
Rapporto cronologico
fra. Giovanni Battista e Gesù.
') Tholuck crede aver trovato in Tacito un esempio del lutto corrispon
dente. Questo storico (Ann. 2 , 42) dopoTaver narrata la morte di un Arche
lao re dei Cappadoci, (anno di G. C. 17), parla nuovamente (Ann. 6, 41) di un
Archelao, Cappadocio, sovrano dei Gliti (anno di G. C. 36). Qui adunque biso
gnerebbe, dice Tholuck, fare « la stessa conghiettura istorica » , che cioè: vi siano
stati due Archelai Cappadoci (pag. 203). Ma quando lo stesso storico, dopo aver
narratala morte di un uomo, parla in appresso di un altro che porta lo stesso
nome e gli dà anche una diversa posizione, non è più conghiettura, è un
fatto chiaramente storico che vi ebbero due personaggi dell'egual nome. Ben
diverso e il caso di Lisania. Due diversi scrittori nominano ciascheduno un
Lisania, e lo pongono in due epoche distinte. È dunque una conghiettura
l'ammettere che vi siano stali due Lisania; conghiettura tanto meno storica,
quanto più manifestamente è inverosimile che l'uno dei due scrittori avrebbe
taciuto sul secondo Lisania, se davvero avesse esistito.
*) Michailis, Paulus su questo passo; Schneckenburger in Ullmans tind Un-
breit's Studiai, 1833, 4 fase. pag. 1036, ejseg.; Tholuck. pag. 201 e seg.
J) Perocché il sopprimere, fondandosifsull'autorità di un solo manoscritto,
come fanno Schneckenburger ed altri, il secondo TeTpapxoavrò:, egli è un per
mettersi una troppo evidente violenza contro il testo.
*) Paragonisi con questa spiegazione, l'Altg. Lit. Zig., 1803, n. 34i, pag. 332:
De-Wetle, Exegei. Handb., z. d. St.
capitolo i'rpio 325
') Questa è pur l'opinione di Bengel, Orio temporum, pag. 204 e seg. e I.
») Antiq. 18, S, 2.
») Cosi Cludius, vber die Zeit uni Lebensdauer Johannis uni Jesu, in Henke J
Museum, 2, 3, 502 e seg.
CAPITOLO PB1MO 327
sene togli la missione dei due discepoli, che Giovanni Battista invia dal
fondo della sua prigione; ma da quanto leggesi in Matteo stesso 4, 12
e in Marco 1, 14, sembra che l'arresto di Giovanni Battista abbia avuto
luogo durante o poco dopo il soggiorno di quaranta giorni di Gesù
nel deserto, e che in seguito a quell'arresto Gesù siasi portato in Galilea
per cominciarvi la sua predicazione pubblica. Veramente Luca, (4, 14),
non parla dell'arresto di Giovanni Battista come occasione della pre
dicazione di Gesù in Galilea, e dal modo con cui narra l'invio dei due di
scepoli di Giovanni parrebbe che questa missione si fosse compita mentre
il precursore era ancora libero (7,18 seg.) Il quarto evangelo pronunciasi
in termini ancor più precisi contro la supposizione che Giovanni venisse
incarcerato subito dopo il battesimo di Gesù; poiché esso nota espres
samente (3, 24) che Giovanni esercitava ancora liberamente il suo mi
nistero dopo la prima festa di Pasqua alla quale Gesù intervenne durante
ia sua vita pubblica. Ma, da una parte, la predicazione di Giovanni
Battista non può aver continuato a lungo dopo il principio delle pre
dicazioni di Gesù , poiché sembra eh' egli venisse giustiziato molto
leropo prima di quest'ultimo (Luca 9, 9; Matt., 14, 1, seg.; Marco
'4. 16j; e, d'altra parte, se si crede non potersi spiegare l'influenza
di Giovanni Battista e la durata della sua scuola, altrimenti che colla
prolungazione del suo pubblico ministero, si guadagnerà ben poca cosa
ponendo questa prolungazione dopo l'esordire di Gesù, dal quale Gio
vanni fu totalmente ecclissato (Giov., 3, 26 seg. 4, 1).
Una sola via d'uscita qui si aprirebbe, col fare una distinzione fra
il battesimo di Gesù ed il suo pubblico esordio, e dire: Gesù, fino dai
primi sei mesi del ministero di Giovanni, fu difatti talmente attratto-
dalia di lui fama , che si sottomise ad essere da lui battezzato : ma
da quel momento egli continuò per qualche tempo ancora a far parte
del seguito di Giovanni Battista ovvero si ritrasse nella propria casa:
e solo molto tempo dopo assunse egli stesso una parte indipen
dente. In questo modo, si guadagnerebbe da un lato un intervallo più»
considerevole, durante il quale Giovanni Battista avrebbe esercitato il
dio ministero prima dell'esordire di Gesù e senza essere da lui ecclis
sato, e dall'altro, i nostri evangeli avrebbero ragione di collocare l'uno
si presso l'altro l'esordire di Giovanni Battista ed il battesimo di Gesù.
Ma la supposizione d'un tale intervallo fra il battesimo di Gesù ed it
principio del suo pubblico ministero è assolutamente estranea agli
scrittori del nuovo testamento. Però che, come risulta dalla discesa dello
spirito e della voce celeste, essi considerino il battesimo di Gesù come
VITA DI GESÙ
la sua consacrazione alla vocazione messiaca; il solo intervallo da essi
ammesso dopo il battesimo è il digiuno di sei settimane nel deserto ;
ma dopo questo digiuno, Gesù, cominciò a predicare in Galilea, secondo
Luca (4, 14) immediatamente, secondo Matteo e Marco dopo l'arresto
di Giovanni Battista eseguito del resto probabilmente in quell'intervallo
di tempo. Luca (3, 23) indica, secondo la spiegazione più verosimile,
il battesimo di Gesù come un esordio .óipxioàai, come il suo ingresso
in funzioni: e (Atti degli Ap., I, 22) pone Gesù, dopo il battesimo dato da
Giovanni pàimaiia 'Ioxwou, in costanti relazioni co'suoi discepoli. Eviden
temente adunque egli ha voluto rappresentare il battesimo di Gesù ese
guito da Giovanni ed il principio del suo pubblico ministero quale un
solo ed unico atto, e non ha supposto fra l'uno e l'altro alcun intervallo,
eccetto le sei settimane di digiuno.
La narrazione dei vangeli si opponedunque decisamente all'ipotesi eh e
Gesù sia andato più tardi a farsi battezzare, od abbia ancora ritardato,
per qualche tempo dopo il suo battesimo, il principiare del suo pubblico
ministero; ipotesi entrambe alle quali noi dobbiamo essere proclivi, se pur
vogliamo guadagnar tempo per la predicazione influente di Giovanni
Battista. Ma d'altra parte, si comprende di leggieri come e perchè gli
scrittori del nuovo testamento abbian potuto, anche senza dati storici,
essere indotti a rappresentare le cose in tal guisa. Deciso che si ebbe,
come accadde nella prima comunità cristiana (Atti degli Ap., 19, 4), di con
siderare il ministero di Giovanni Battista, non più quale un ministero
indipendente, ma quale preparazione al Cristo, l'immaginazione non si
arrestò molto tempo alla sola azione del precursore, ma affrettossi a
giungere alla comparsa di colui al quale egli doveva aprire le vie.
L'interesse che doveva avere la primitiva tradizione cristiana, anche
senza un motivo storico, di sopprimere ogni intervallo fra il battesimo di
Gesù ed il principio del suo pubblico ministero, è ancora più manifesto:
poiché lo ammettere che col suo battesimo Gesù si fosse aggregato
a Giovanni ed avesse per qualche tempo vissuto con lui nei rapporti
<li discepolo a maestro, ripugnava all'interesse religioso della nuova co
munità, interesse che esigeva un fondatore istrutto, non dagli uomini
ma da Dio medesimo. Laonde, quand'anche Gesù fosse stato veramente
discepolo di Giovanni, si sarebbero di buon'ora accomodate le cose come
se il battesimo di Gesù per opera di Giovanni avesse segnalato, non
già l'accesso del primo alla scuola che formavasi attorno al secondo,
ma la sua consacrazione ad un ministero indipendente.
La divergenza delle fonti evangeliche non ne impedisce pertanto di
CAPITOLO PHIMO 329
accettare la ipotesi a cui la cosa stessa per forza ne conduce: che cioè
il Battista esercitasse il suo ministero molto tempo prima dello esor
dire di Gesù.
Ciò posto, ammettendo con Luca, ,!, 26 e 3, 23 che Gesù, minore
di Giovanni di soli sei mesi, entrasse nella vita publica al suo tren
tesimo anno, Giovanni dovrebbe avere pubblicamente esordito fino dal
ventesimo anno dell' età sua. Di vero , come sopra fu detto, nessuna
legge ebraica opponevasi ad una cosi precoce azione d' un profeta; né
10 trovo — al pari di Cludius — molto inverosimile che un predi
catore cosi giovane abbia potuto destare impressione ed essere riguar
dato quale un profeta dell'antichità, quale un Elia '): ma qui mi basta
11 richiamare, essere nel corso ordinario delle cose, che, di due uomini,
colui che è entrato per il primo in un pubblico ministero, abbia un
vantaggio d' età corrispondente : tanto più se gli effetti e lo spirito
della sua attività corrispondono cosi pienamente ad una età più matura,
come la predicazione di Giovanni. Vero è che di questa regola si hanno
non poche eccezioni; ma per ammettere un'eccezione nel caso presente,
non ci basta la notizia di Luca che Giovanni fosse di soli sei mesi
maggiore di Gesù, poiché tale notizia è interamente dettata neh' in
teresse della leggenda, e deve quindi essere lasciata da banda dinanzi
alla menoma improbabilità.
Il risultato della nostra critica sui dati cronologici di Luca 3, 1.2.
confr. v. 23, e 4, 26, è quindi il seguente: Se è vero che Gesù, come
sembra sia opinione di Luca, esordi publicamente nel 15° anno del
regno di Tiberio, l'esordire di Giovanni non può aver avuto luogo in
quell'anno soltanto, sibbene in un tempo anteriore: dietro di che, dif
ficilmente si può ammettere che il Battista fosse di soli sei mesi
maggiore in età.
§ 44.
Giovanni, Nasireeno, cioè volato a Dio, come dalle nostre fonti rilevasi,
(Matteo, 3 , 4. 9, 44. 14 , 18; Luca 1, 45) e partecipante eziandio,
secondo le congetture di parecchi teologi ') alla setta degli Essenj, fu,
al dire di Luca (3, 2) chiamato a comparire in pubblico da una voce
di Dio, t>";uct ttyj, che si fece udire a lui nel deserto. Non avendo più
qui sott'occhi la dichiarazione di Giovanni Battista medesimo, noi non
accettiamo per completo il dilemma posto da Paulus, non potersi cioè
sapere se Giovanni abbia interpretato un fatto interno od esterno come
una chiamata di Dio, ovvero se egli abbia intesa la voce di un altro
uomo e bisogna aggiungere, come terza possibilità, che forse furono
i suoi adepti i quali magnificarono la vocazione del loro maestro ,
improntandola con quella espressione che ricorda gli antichi profeti.
Mentre, dal racconto di Luca, parrebbe che Giovanni Battista avesse in
teso la voce divina nel deserto soltanto, év t.; ip'uo, e di là si fosse poi re
cato, per insegnare e battezzare nei dintorni del Giordano, nipl-^oi tei
'lor-ààvcu (v. 3), — Matteo (3, 4 seg.) fa del deserto stesso della Giudea il
teatro della predicazione e del battesimo di Giovanni, come se il Giordano,
nel quale ei battezzava, attraversasse questo deserto. Vero è che, se
condo Giuseppe , questo fiume scorre, prima del suo sbocco nel Mar
Morto, traverso un grande deserto, soffiv ipnuìm s): ma questo non
è, propriamente parlando, il deserto della Giudea, situato assai più al
') Staùdlin, Geschichte der Sittenleere Je$u (Storia della dottrina di Gesù),
i, pag. 580. Paulus, Exeget. Handb. 1, a, pag. 136. Confr. anche Creuzer, Sym-
bolik, 4, pag. 413 e seg.
•) Loc. cit.. pag. 347.
») Bell. jud. 3, 10. 7.
CAPITOLO PB1MO 33!
sod')- E però si volle qui trovare un errore del primo evangelista il
quale, sedotto dall'analogia della profezia, voce di colui che grida nel de
serto,^ fausto; tv t.J ip'ut>, avrebbe posto nel deserto della Giudea,
Kr/a-'H'iao^Btia?, donde proveniva Giovanni, il ministero di predicazione
e di battesimo di cui realmente era stata il teatro la fiorente vallata
del Giordano -). Tuttavia, se si dà un'occhiata più avanti al vangelo
di Luca, l'apparenza la quale induceva a credere, che secondo questo van
gelo, Giovanni avesse lasciato il deserto dopo intesa la chiamata, scom
pare; poiché, quando Giovanni Battista invia i suoi discepoli presso
Gesù, questi, secondo Luca, domanda loro: Che foste a vedere nel deserto?
•lìiùjpiàam e:'» Tijy iprtu.zv $zdw*oòai\ (7, 24). Ora, la vallata del Gior
dano, nelle vicinanze del Mar Morto, in cui bisogna collocare l'esercizio
delle funzioni di Giovanni Battista, era realmente, meno l'angusta zona
che formava i margini del fiume, un'arida pianura 5). Di modo che , non
rimarrebbe forse che un errore proprio di Matteo, in quanto egli indica
questa arida pianura pel deserto della Giudea «p«os t»« 'ìowìuìa ; a meno
che non vogliasi ammettere che Giovanni, passando dalle predicazioni di
penitenza al battesimo, abbia lasciato il deserto della Giudea per le
rivedel Giordano *), ovvero che l'arida piaggia attigua alle rive del
bordano, essendo una continuazione del deserto della Giudea, sia
stata chiamata collo stesso nome 5).
11 battesimo di Giovanni non può essere considerato quale deriva
tone del battesimo giudaico dei proseliti, battesimo il quale, senza dub
bio, è posteriore al principio del cristianesimo B). Esso ha piuttosto
analogia colle lustrazioni religiose quali esistevano fra i Giudei, e prin
cipalmente fra gli Essenj. Pare eh' esso fosse principalmente fondata
sulle espressioni allegoriche di parecchi profeti , le quali in seguito
vennero prese in un significato proprio. Secondo queste espressioni, Dio
p-*ipe dal popolo d'Israele, perchè questo rientri in grazia, dei bagni
') Frammento sullo scopo di Gesù e de' suoi discepoli, pubblicato da Les-
»'ng, pag. 133 e seg.
')Così repula Semler, nella risposta ch'egli fa al citato frammento; cosi
si esprimono la maggior parte dei moderni : Plank , Geschichte des Christen-
tkum in der Periodi seiner Einfiihrung (Storia del cristianesimo nel periodo
della sua introduzione) 1, 7; Winer, Bibl. Realworterbuch, 1, pag. 691.
336 VITA DI GESÙ
') Hess, Geschichte Jesn, l, pag. 117 e seg.; Paulus, 1. cit., pag. ÓUG.
!) Paragonisi la spiegazione dell'autore dei frammenti, I. c.
St«ac?s — r. di G. Voi. 1. 22
VITA DI feESÙ
minori si troveranno gli ostacoli, quanto più chiaro apparirà il come l'ano
o l'altro abbia potuto giungere ad uh' inesatta esposizione. In Matteo
Ja sola cosa che si opponga alla sua concordanza con Giovanni è il
posto che occupa il discorso del precursore, il quale vorrebbe impe
dire a Gesù di farsi battezzare da lui. Questo linguaggio, tenuto prima
che alcun segno sopranaturale si fosse manifestato, sembra supporre
che Giovanni fin da prima conoscesse il carattere messiaco di Gesù.
Ora, nell'evangelo degli Ebrei citato da Epifanio, la domanda che fa Gio
vanni Battista di essere piuttosto battezzato da Gesù, è narrata qual
risultato della celeste apparizione '). In questi ultimi tempi, si consi
derò questo racconto pel racconto primitivo , che l'autore del nostro
primo vangelo avrebbe acconciato , ponendo in pari tempo, per ac
crescere l'effetto della scena, sin da prima giunta un rifiuto in bocca
di Giovanni Battista, colle parole sopracitate 2). Ma nell'evangelo de
sili Ebrei, il racconto non è sotto la sua forma originale: lo si ve
de dalla strascicante ripetizione della voce celeste e da tutto ciò che vi
ha di prolisso nella narrazione; al contrario, esso è un racconto assai
deviato dalla sua fonte , ed il rifiuto di Giovanni non fu già posto
■in seguito all'apparizione ed alla voce celeste per evitare la contrad'
dizione col quarto vangelo, il quale non dovette essere riconosciuto
nel circolodi que' cristiani ebioniti; ma sibbene fu posto in quel luogo
con quella stessa intenzione che a torto si attribuisce a Matteo, quando
si pretende aver egli invertito 1' ordine delle circostanze della scena
per accrescerne l'effetto. Un semplice rifiuto per parte di Giovanni
Battista parve troppo poco; bisognava almeno che vi fosse una genti-
') Huer., 30, 19: E quando egli uscì dall'acqua, i cieli si aprirono, e si vide
lo Spinto Santo di Dio sotto forma di colomba, ecc., ed una voce si fece sen
tire, ecc., e subilo il luogo fu rischiarato da una gran luce, alla vista della
quale Giovanni disse a Gesù: « Chi sei, Signore?» E di nuovo una voce ecc.;
e subito Giovanni cadendo ai suoi piedi gli disse: Io ti prego, Signore, bat
tezzami » .Kaì i>i àvpJtev à.x; to5 udanos, tsì/otyi/aav oi obpavoi , xai ù<h fi
rrvìjUùt tsj Sso'j tì ày.ov èv s.'J1;! STlptartpotZ xf?.., x%\ (pa)v>ì kyiyiito xt?., **
ebbj; ctBpiiXawpe, tòv tsjtov ^a; lùy.x, ov Idàv, MO», b 'Ia)7.wij; Hysi art?-
aj zi; ti, Kup:ì ; xai iiiliv cjwjv, x~X. xaì tìte ^.om, b 'Iwiw?; staoaaMÙ
«ÙTiu D.iyv dioua.'t aou, Kapis, ou tu fìxxv.aov.
*) Bleek 1. cit. Schneckenburger, Xlber den Ursprung des ersten kanoniscke»
Evangeliums (Sull'origine del 1Q evang. canonico), pag. 121; Lùcke, Comm. *.
Ev. Joh. 1, pag. 561. Confi*. Usteri, uber den Tàufer Joannes, ecc. Studkn,ì,
3, pag. 446.
c*riTOLO paino (339
flessione inanzi al Messia, .astia V, ora, questa genuflessione non poteva
essere meglio motivata die dalla celeste apparizione, la quale fu quindi
posta in principio. Non è adunque per questa via che si riuscirà a com
premiere come Matte» siasi posto in contraddizione con Giovanni; ed
il racconto derivato che contiensi nel vangelo degli Ebrei non va
ueppur tant'oltrc da concordare con quanto Luca ha raccontato sulle
relazioni di famiglia fra Giovanni e Gesù. Tutto si spiega senza
difficoltà quando solamente si consideri che la importante relazione
fra Giovanni e Gesù dovette sembrare esistente ognora , 'per quella
proprietà inerente all'immaginazione popolare di rappresentare le cose
essenziali come godenti di una preesistenza indefinita. In quel modo
che l' anima , dal momento che la si riconosce nella sua essenza , è
concepita , chiaramente od oscuramente , siccome preesistente ; cosi
pure una simile preesistenza è accordata nel pensiero popolare ad ogni
rapporto fecondo di importanti conseguenze. Quindi ò che Giovanni,
essendo entrato, pel battesimo che egli diede al Messia Gesù, in una
cosi significativa relazione con lui , dovette fin da prima averlo co
nosciuto nella qualità di Messia; conoscenza che è narrata in modo
breve e poco preciso in Matteo, ma più distesamente in Luca lad
dove ei riferisce che le lor madri si conobbero e che i loro figliuoli
ancora nel materno seno, si avvicinarono l'uno all'altro ').
Tutto ciò manca nel quarto vangelo, secondo il quale Giovanni Bat
tista esprime un' opposta asserzione; non ci arrischieremo a decidere
se per motivi istorici o perchè un altro interesse prevalse al suin
dicato. Di vero, quanto meno Giovanni Battista aveva per lo addietro
conosciuto Gesù, da lui poscia tanto esaltato, tanto più la scena me
ravigliosa che gli rivela Gesù cresceva in gravità ed importanza, e tanto
più le sue relazioni con quest'ultimo perdevano uu carattere naturale,
per assumere il carattere di un miracolo operato immediatamente da
Dio medesimo.
§ 46.
') Peres., Tertull. Adv. Marcion.,i, 18. Confrontinsi i piti estesi dettagli sui
diversi significati di questo passo in Bengel, Osservazioni storiche esegetiche
su Matteo, il, 2-19. Archiv., 1, 5, pag, 7oì e seg.
CAPITOLO PHIMO 341
che gli evangeli ci raccontano. Sotto il punto di vista psicologico,
si trova inconcepibile , ed a ragione , che colui il quale , convinto e
fortificato nella sua credenza dal segno a lui manifestatosi al mo
mento del battesimo di Gesù e da lui riguardato per una manifesta
zione divina, sino d'allora si espresse con tanta precisione sulla vo
cazione messiaca e sull'alta natura di Gesù; costui, diciamo, divenisse
d un tratto vacillante nella sua persuasione. Egli avrebbe assomigliato
in tal caso ad una canna agitata in vari sensi dal soffio del vento, pa
ragone di cui Gesù, in questo stesso luogo (Matt. li , 7) respinge
l'applicazione a Giovanni Battista, mentre tesse l'elogio di questi. In
vano si cerca un motivo di questa incertezza nella condotta di Gesù,
ovvero nella posizione che egli occupava in allora ; poiché la notizia
ielle opere del Cristo, ipya. tou Xpkjtoù, le quali, secondo Luca, erano mira
coli, ancor meno di tutto il resto poteva eccitar dubbi nell'animo di
Giovanni; e fa appunto dietro quella notizia che egli inviò il mes
saggio riferito più sopra. Da ultimo si avrebbe ragione di maravi
gliarsi che in seguito (Joh. 5 , 33 e seg.) Gesù facesse appello con
tanta fiducia alla testimonianza di Giovanni Battista , se si fosse sa
luto che Giovanni aveva finito a dubitare egli stesso del carattere
messiaco di Gesù
Si procurò adunque di presentare la cosa in modo che Giovanni
facesse fare la domanda, non per sé stesso nè per confermare la sua
convinzione divenuta titubante, ma per i suoi discepoli e per toglier
loro dei dubbi a cui egli, personalmente, era rimasto inaccessibile ■).•
Cosi senza dubbio le indicate difficoltà si risolvono : e in ispecie ,
sembra apparir chiaro come Giovanni Battista, precisamente alla no
tizia dei miracoli di Gesù, si decidesse a spedire il messaggio; egli
sperava cioè che i suoi discepoli, i quali non credevano alle sue parole
su Gesù, fossero alla fine per convincersi, vedendo le opere straordinarie
di quest'ultimo, che egli Giovanni aveva ragione di inviarli a Gesù
come al Messia. Ma Giovanni come poteva egli sperare che i suoi in
viati trovassero accidentalmente Gesù occupato nel far miracoli? Ve
ramente, narra Matteo, essi noi trovarono occupato in tal guisa: e
Gesù (.v. 4 e seg.) non fece richiamo che a quanto essi avevano
potuto udir raccontare in tutti i dintorni. Luca, il cui racconto è evi-
') Vedi Paul us, Kuincel, su questo passo; Bengel, 1. cit., pag. 763 e seg.
') Per es. Calvino, Comm. in harm. ex Matt., Mare, et Lue, P. 1, pag. 238,
ed. Tholuk.
342 VITA DI GESÙ
') Cosi noi qualifichiamo, con Schleiermacher (ùber den Lukas, pag. £06
e seg.), il racconto del'terzo vangelo: t. per la oziosa ripetizione delle parole
di Giovanni Battista, v. 20; 2. per l'errore, v. 18 e 21, di cui bentosto si par
lerà e di cui sembra trovarsi ancora l'analogo, v. 29, 30.
*) Paragonisi Calvino su questo passo, e Bengel, 1. cit., pag. 755, e seg.
s) Questa spiegazione è adottata dalla maggior parte degli interpreti attuali:
Paulus e Kuincel su questo passo; Bengel nella citata memoria; Hase, Leben
Jcsu, $ 88; Theile.zur Biograph. Jcsu, $22. Fritzsche stesso, Corom. in Matti..
pag. 397, trova ciò aliquanto vtro$imilius, e qui si arresta.
CAPITOLO PBIMO 343
mandargli 6no a quando egli farassi aspettare, fino a quando egli esi
terà a guadagnare a sé la miglior parte del popolo proclamandosi
per il Messia, ed a lanciare contro i nemici delia sua causa un colpo
decisivo che forse libererebbe lui pure, Giovanni, dalla sua prigione.
Ma se Giovanni Battista, appunto, perchè in Gesù riguardava Gesù il
Messia, attendeva da lui la sua liberazione, forse miracolosa, e a lui
lì chiedeva, egli non poteva avvolgere in un dubbio una preghiera
clie sorgeva dalla sua fede nel carattere messiaco di. Gesù. Ora la do
manda nel nostro testo è tutta dubitativa, e per potervi trovare una
espressione d'incoraggiamento bisognerebbe introdurvela. Quale estrema
contorsione ne verrebbe al senso delle parole, ben rilevasi dal signi
ficato che Schleiermacher impone loro di conformità con questa spie
gazione. La indecisa domanda: Sei tu quegli che deve venire? 2ù ti b
tp/cusvo,-, egli la trasforma in proposizione precisa: Tu sei proprio colui
ck deve venire. La seconda ancor più imbarazzante: Ovvero dobbiamo
attenderne un altro"! ? ittpov icpzoàcxùiuv, egli la rende assolutamente irri
conoscibile trasformandola in questo modo; perchè mai (giacché tu fai si
grandi cose) dobbiamo noi aspettare ancora e non vuoi che per nostro
meno Giovanni imponga senz'altro indugio con tutta la sua autorità a
coloro che si sono fatti battezzare da lui, di obbedirti come al Messia
e di stare attenti a' tuoi segni! Neander volle rendere possibile que
sto mutamento di senso rinunciando ad ammettere che le parole di
Gesù ci siano qui state fedelmente trasmesse: ma anche la semplice inti
mazione indirizzata a Gesù non accordasi con l'idea che Giovanni Bat
tista si era formata di lui , e che egli aveva precedentemente già
espressa; non si accorda nella forma, poiché, se Giovanni non dubitò del
trattóre messiaco e dell'alta natura di Gesù, egli non poteva neppur
dubitare che Gesù dovesse conoscere meglio di ogni altro il momento
e il modo di manifestarsi per il Messia: si accorda ancor meno nella
sostanza , poiché Giovanni Battista non poteva menomamente scanda
lizzarsi di quella che si chiama esitanza di Gesù ad assumere il mini
stero di Messia, né invitarlo ad agire più rapidamente, ov'egli avesse .
conservato la sua prima persuasione sulla destinazione di Gesù. E
questa persuasione era (Joh. i, 29): Gesù essere V agnello di Dio eh»
toglie i peccati del, mondo, o.àuvbs.Toi.StsiJ, b aipuv tiìv xuaptiav "toir,
'iamu, quindi il Messia sofferente: era adunque impossibile che Gio-
vanni pensasse ad un colpo col quale Gesù dovesse abbattere i suoi
oemici , ed in generale a violenze coronate da una vittoria esterna ;
ma la pacifica via che seguiva pesù doveva giustamente sembrargli la
344 VITA DI GESÙ
vera via, la sola conforme alla sua destinazione di agnello. E però
quand' anco la domanda di Giovanni avesse contenuto un semplice
invito, egli avrebbe per ciò solo contraddette le sue anteriori con
vinzioni.
Ridotti al nulla tutti questi espedienti, noi ritorniamo alla primitiva
spiegazione , vale a dire ritorniamo a interpretar domanda come
l'espressione di un dubbio sorto nell' animo stesso di Giovanni Bat
tista sulla dignità messiaca di Gesù : ipotesi ritenuta anche da Nean-
der siccome la più naturale '). Questo teologo cerca spiegare in Gio
vanni Battista il momentaneo oblio delle sue prime attestazioni piene
di fede, dicendo che, nella sua oscura prigione, l'uomo di Dio ebbe
•un' ora crudele di dubbio; e adduce in prova 1' esempio di uomini i
quali, perseguitati per la fede cristiana -o per altre convinzioni, dopo
aver resa per molto tempo, senza timore della morte, testimonianza
del vero, finirono a soccombere nel loro carcere alla debolezza umana
e ad abjurare la loro fede. Più dappresso riguardando tuttavia, non si
trova alcuna somiglianza fra i due casi; alcuni cristiani perseguitati nei
primi secoli, e più tardi un Berengario, un Galileo, vennero bensi meno
alle opinioni per le quali furono imprigionati, ecollaabjura delle quali
speravano essere salvi: ma Giovanni Battista, per essere loro paragonato,
avrebbe dovuto fare ammenda onorevole del biasimo da lui pronun
ciato sulla condotta di Erode e non già vacillare nelle sue attesta
zioni sul Cristo, le quali non avevano alcuno rapporto colla sua pri
gionia.
Ma quand'anco ciò fosse, il modo con cui viene qui esposta la cosa
non lascia supporre che i dubbi fossero stati preceduti da certezza
di sorta. Si è già detto della difficoltà sollevata dal racconto di Mat
teo, ove narra che Giovanni inviasse i due discepoli, per avere udite
le opere del Cristo, ««ioz; t« £pya ?oj XpiTtod, o perchè secondo Luca,
i suoi discepoli gli avevano annunciate tutte quelle cose , à.iziyjttX'iy
sripì iravrwv ro>rwv, mentre immediatamente prima troviamo fatta men
zione della risurrezione di un morto e della guarigione d'un infermo.
Se dunque già per lo addietro, anzi ancor prima che Gesù desse prove
.del suo carattere messiaco, Giovanni era convinto della messianità di
•Gesù, come mai — ora appunto che Gesù cominciò con miracoli, quali
«soltanto si potevano aspettar dal Messia , a legittimarsi per tale —
') Anche Bengcl è colpito da questa difficoltà. Vedi I. cit., pag. 769 e seg.
346 VITA DI GESÙ
• •) Gabler , Meletem. in loc. Joh. i, 29, ne'supi .Opti*, acad., pag. 514 e seg;
Paulus, Leben Jesu, 2, a., la traduzione di questo passò e il commento del-.
l'evangelo di Giovanni, su questo passo medesimo.
*) De-Wetle, De morte Christi expiatoria, ne' suoi Opus, theolog., pag. 77 e
seg.; Lùcke, Comm.zumEv. Joh.,i, pag. 347 e seg.; Winer, Bibl. liealworterb.,
1, pag. 695, Ann}. . : ."." ùi. •'. I ri- ;,■ .: <• ■ , . ■
CAPITOLO PBIMO 347
il Messia come paziente '); poiché almeno secondo la opinione allora
invalsa una tale idea del Messia era cosi strana che i discepoli di
Gesù, per tutto il tempo delle loro relazioni con lui, non poterono fa-
migliarizzarvisi; e dopo la sua morte, realmente avvenuta, dubitarono al
(ulto del suo carattere di Messia (Luca 24 , 20 e seg.). Come mar
adunque Giovanni Battista il quale , secondo la stessa dichiarazione
di Gesù (Matteo ii, li) era di molto inferiore ai cittadini del celeste
regno, nel novero dei quali stavano già gli apostoli; come mai, di
ciamo, Giovanni Battista collocato più al basso di loro, avrebbe egli
compreso, molto tempo prima della passione di Gesù, la necessità di
questa passione pel Messia, mentre il solo avvenimento potè farla com
prendere ai discepoli immediati? Oppure, se Giovanni aveva veramente
concepita cotesta opinione, e se egli l'aveva espressa ai suoi aderenti,
come mai non trovò essa, per mezzo di coloro che dalla scuola di Gio
vanni passarono nella compagnia di Gesù , un adito presso quest'ul
tima? E come , sopratutto mercè I' autorità di che godeva Giovanni
Battista, non avrebbe essa attenuato, anche in un circolo più esteso
di discepoli, i dubbi cagionati dalla morte di Gesù? 2) Scorriamo inoltre
lutti i dati che abbiamo intorno a Giovanni Battista, dal quarto van
gelo in fuori, in nessun luogo noi troviamo che egli abbia espresso
simili opinioni sul destino del Messia. A tacere dello storico Giuseppe,
leggiamo nei sinottici aver Giovanni Battista parlato bensì di un Mes
sia che veniva dietro di lui, ma limitandone tutta l'opera al battesimo
spirituale edalla scelta del popolo. Tuttavia, rimane pur sempre possi
bile che, prima ancora della morte di Gesù, un uomo dallo sguardo-
penetrante come Giovanni Battista si formasse, coi passi e coi tipi ritro
vati nel vecchio testamento, un'idea del Messia sofferente, senza che i
suoi discepoli ed i suoi contemporanei comprendessero le sue oscure
allusioni a questo riguardo.
Poiché, come scorgesi, il risultato di queste prime indagini ci lascerebbe
ancora Dell'incertezza, passiamo alle manifestazioni sulla preesistenza e
sull'origine divina del Messia, procurando rispondere alla domanda, se il
Battista potesse realmente avere avuto di simili idee. Per vero, soltanto un
arbitrio dogmatico può escludere l'idea della preesistenza dalle parole di
Giovanni (i, lo, 27, 30): Colui che vien dietro di me mi è stato anteposto
') Gabler e Paulus, luoghi citati; e De-Wette, 1. cit. pag. 75 e seg., pag. 80>
e seg. • -v • -. • à .- . v i*
•) De Wette, L cit., pag. 76. u .... '• ■• < .*
.i .. . ,* .•.-'«in •■'•"i • . : k-ì •. '• " ■•■ \*
348 VITA DI
perchè egli era prima di me, b bniao) «so épyiuvji; tunp^aòh uou jéyovw, Ir:
r.pr'nb; uou fa: e basta a convincersene gettare un semplice sguardo ad in
terpretazioni come quella di Paulus: Colui che è venuto dietro di me si è
fatto tale innanzi ai miei occhi {ìuxmqòvj um) che (Sti - ahi, motivo - conse
guenza!) per il suo grado e la sua posizione merita di essere chiamato il
primo '). Con ben maggior fondamento, interpreti piùscevri da prevenzioni
spiegarono questo passo dicendo che l'essere Gesù posto avanti (ùiapco-
S«<) al Battista, quantunque venuto dopo di lui, aveva per motivo, agli
occhi dell'evangelista Giovanni, la sua preesistenza riguardo al Battista
medesimo ( srpuTss ^ou fa ) 2). Noi pertanto abbiamo qui chiaramente
il dogma giovannico dell'eterna preesistenza del Ibyo-, quale esso era dì
certo presente alla mente dell'autore del vangelo; ma, e a quella del Bat
tista no? questa è un' altra questione. Il nuovo interprete del quarto
vangelo ammette che il senso in cui l'evangelista prende il «pi/»; «cu
sarebbe stato estraneo al punto di vista del Battista. Ma egli opina
che nella mente del Battista quelle parole non si collegassero già col-
l'idea del l<óyo;, come ci farebbe credere l'evangelista, ma solo si ri
ferissero, giusta l'opinione popolare degli Ebrei, alla preesistenza del
Messia , quale soggetto delle Teofanie dell' antico testamento •"■). Di
questa opinione ebraica si trovano per vero le traccie non^ solo ne
gli scritti del quarto evangelo, ma anche in Paolo (per es. 1. Cor. 10,4.
Col. 1, loeseg.)e nei Rabbini 4);e quand'anco essa fosse originaria
mente alessandrina, come objetta Bretschneider contro il passo in que
stione B) , resta pur sempre a chiedersi se ancor prima del tempo
di Cristo la teologia giudaico-alessandrina non abbia potuto influire sulle
idee della madre patria tì).
Il passo citato non basta quindi ancora a risolvere la questione; però
cominciano a sorgere dei dubbi, quando al Battista, d' altronde non
noto che per aver messo in rilievo la parte pratica dell'idea del re
gno messiaco, al Battista diciamo, veggonsi attribuite dal solo quarto
vangelo due idee che a quell'epoca, fuor di dubbio, non appartenevano
certamente se non alle più profonde speculazioni sul Messia. L'espressione
di queste due idee reca inoltre cosi chiara l'impronta dell'autore del
*) L. cit.
VITA DI GESÙ
') De Welle, De morte Ckristi espiatoria, ne' suoi Opuse. theoì., pag. 81; lo
stesso, Bibl. Dogmatik, p;ig. 209; Winer, Bibl. Itealwórterb., 1, pag. 692-
*) Neander, pag. 7o. A (orto questo autore (pag. CI) pretende trovare una
CAPITOLO PRIMO 3o3
tempo dell'apostolo Paolo (Atti Ap. 18,24 e seg. 19, 1 eseg.);eseè
vero quanto sul proprio conto asseriscono i così detti Zabei ') questa setta
esiste ancora oggidì. Certamente, se si suppone che Giovanni avesse
avolo intorno a Gesù le convinzioni che gli sono attribuite, sarebbe
«iato naturale ch'egli si unisse a lui, o per lo meno si ritirasse: ma
egli non si é nè unito a Gesù nè ritirato ; dunque noi conchiudiamo
ch'egli non ha potuto avere quelle convinzioni 2).
Ma sopratutto vuoisi notare che il carattere e la persona medesima
del Battista rendono impossibile l'ipotesi ch'egli siasi posto con Gesù
in que' rapporti che ci indica il quarto vangelo. Egli, l'uomo del de
serto, il severo asceta che si nutriva di cavallette e di miele selva
tico, e che anco a' suoi discepoli prescriveva rigorosi digiuni; egli, il
cupo e minaccioso predicatore di penitenza , animato dallo spirito di
Elia, come poteva amicarsi con Gesù, ch'era il suo contrapposto in
ogni cosa? Certo egli dovette al pari de' suoi discepoli scandalizzarsi
Satt. 9, 14) dei modi liberali di Gesù, e ciò dovette impedirgli di
riconoscere in Gesù il Messia. Nulla è più rigido dei pregiudizi asce
tici; colui che come il Battista reputa atti di pietà il digiunare e ca
stigare il corpo , non riconoscerà giammai come più altolocato nelle
cose celesti un uomo che trascuri quelle pratiche ascetiche. Un punto
di vista cosi limitato, qual era quello di Giovanni, non avrebbe mai
'> Vedi per tutti, Greiling, Leben Jesu voti Nazareth, pag. 132 e seg.
*) Sani. 5, 1: Davide si andava fortificando e la casa di Saulle si andata i»-
dc1. olendo.
Giov. 5, 50. Convien ch'egli cresca ed io diminuisca.
3) Schulz, dieLehre vom Abendmahl, pag. 143 e seg.; Winer, Realmòrter-
bnclì, 1, pag. 693.
CAPITOLO PRIMO 33o
appare nei sinottici e nello storico Giuseppe ; di un pratico predica
tore di penitenza ch'egli era, un cristologo speculativo, di un'indole
dura ed inflessibile, un carattere molle e rassegnato. Anche la descri
zione delle scene tra Giovanni e Gesù (Giov. i, 29 e seg.; 35 e seg.)
appare dovuta in parte alla libera creazione della fantasia , in parte
alle esagerazioni del racconto sinottico. Per quanto riguarda il primo
punto, vediamo, al v. 33, Gesù aggirarsi in prossimità di Giovanni, e,
al v. 29 venirsene anzi a quest' ultimo ; eppure nè 1' una nè l' altra
volta troviamo fatta menzione di un convegno dei due. Avrebb' egli
Gesti appositamente evitato un convegno col Battista, per togliere, se
condo che opina Lampe, ogni apparenza di un'azione concertata? Ma
tale ipotesi si fonda su riflessioni assai moderne, le quali erano estra
nee all'epoca ed alle circostanze in cui trovavasi Gesù. Oppure avrebbe
il narratore tralasciato, sia per isbaglio, sia a bella posta, di parlare
di questo convegno tra Giovanni e Gesù ? Ma su ciò appunto egli
dovea pur avere qualcosa d'interessante a raccontarci f); sicché il
suo silenzio appare qui enimmatico, come Lùcke medesimo confessa.
Riguardando la cosa dal nostro punto di vista, Penimma si scioglie,
fi Battista aveva, secondo 1' opinione dell' evangelista , indicato Gesù
per il Messia. Preso ciò nel senso materiale, Gesù doveva, per ren
dere possibile la cosa, passare dinnanzi o venirsene a Giovanni ; que
sto particolare venne quindi posto nel racconto, l'altro invece riguar
dante il convégno di Gesù c di Giovanni venne omesso, perchè non
se ne aveva bisogno. Ma che poi , in seguito alla designazione di
Gesù da parte del Battista alcuni discepoli di quest'ultimo passassero
il primo (i, 37 e seg.) lo si può riguardare come un'alterazione del
racconto sinottico dell'invio dei discepoli di Giovanni dal fondo della
sua prigione. Poiché in quella guisa che al dir di Matteo (il, 2) e di
Loca (7, 18.) Giovanni manda due discepoli a Gesù colla domanda du
bitativa se egli sia colui che ha da venire èp-/oua>o;, cosi, secondo il
quarto vangelo , egli manda a Gesù due discepoli , ma colta precisa
indicazione che Gesù è Fagnello di Dio, àuvòs Suoi; e come ai primi,
poich'ebbero adempiuta la loro missione, Gesù risponde: Andate e ri
ferite a Giovanni le cose che avete vedute ed ascoltate « slùi-i xaì ìixzùgx-v,
così ai secondi , che lo interrogano sul luogo di sua dimora , egli
dice: Venite e vedetelo, IpytaSt xai i&s-z: mentre però, nei sinottici, i due
*
356 VITA DI GESÙ
discepoli inviati se ne ritornano a Giovanni, nel quarto vangelo essi
rimanerono definitivamente con Gesù.
Quanto impossibile è lo ammettere — giusta il sin qui detto —
che il Battista abbia ritenuto Gesù per il Messia e pubblicamente ri
conosciutolo per tale, altrettanto facile è il dimostrare in qual modo
siffatta opinione abbia potuto per via non istorica formarsi. Secondo
gli Atti degli Ap. (19, 4) l'apostolo Paolo dichiara, come sembra ba
stantemente confermato dalla storia, aver Giovanni battezzato in nome
di colui che doveva venire, it; t'-.v èpxojuvoy, e questo vegnente Messia, a
cui egli si riferisce, secondo che aggiunge lo stesso Paolo, fu appunto
Gesù : Tot/ri<n<v tk yjivrtbv 'Ityyouv. La era questa una interpretazione
post eventum delle parole del Battista; poiché Gesù erasi annunciato
presso un gran numero de' suoi connazionali quale il Messia preconiz
zato da Giovanni. Ma da questo fatto alla credenza che il Battista me
desimo intendesse già per l'jpxóusvos la persona di Gesù — qual breve
tratto corresse — appare dalla parola toutictt» x. * X (cioi ecc.); e quella
credenza per quanto non istorica fosse , pure dovea tanto più ade
scare gli antichi cristiani quanto più essi bramavano appoggiare il
carattere messiaco di Gesù sull'autorità di Giovanni, tenuta in alto
pregio fra la società giudaica d' allora '). Altro motivo a ciò si ag
giungeva, riposto nell'antico testamento. L'antenato del Messia, Da-
I 47.
') Se anche la scena antecedente dei discepoli che si lamentano con Gio
vanni (Giov. 5, 25 e seg.), non sia che una trasformazione della scena cor
rispondente in Matt. 9, 14 e seg., come cerca dimostrare Bretschneider, Pro-
bah., pag. 66 e seg., la è questione tuttora indecisa.
CAPITOLO PRIMO 365
natura ed il ministero di Giovanni; la sua fermezza, il suo vigore, il
suo carattere elevato, vi si vantano (8, 7-14) quali virtù che lo inal
zano al di sopra dei profeti, perocché egli sia il precursore messiaco
predetto da Malachia, e che deve aprire a viva forza il regno celeste
(V. 7-14). Il secondo punto stabilisce il rapporto di Gesù e dei cit
tadini del regno dei cieli, Pctaiki!* t<5v oòpavuv, con Giovanni Battista,
il quale vien posto in seconda riga; poiché, quantunque superiore a
lutti i membri dell'economia del Vecchio Testamento, ei non è tut
tavia che il più piccolo di tutti coloro che partecipano alla vita della
nuova alleanza (v. 11). Che cosa Gesù intendesse dire con ciò, rile
vasi da quanto segue al v. 18, ove lo si confronti con Matt. 9, 16
e seg. Nel primo passo Gesù designa Giovanni come nè mangiante,
né bevente, ftirre kni'mv, nfe stivw, e la è appunto questa pratica asce
tica introdotta da Giovanni nella sua scuola che viene nel secondo
passo annoverata fra t vestimenti ed i barili vecchi, ìucnioi; ed ówxois
nolani?, a cui non s'addicono il panno rozzo e il vin nuovo, raffigu
ranti la dottrina nuova di Gesù. E a che altro si riferisce quel passo,
giusta il quale Battista va ascritto tra i minimi del regno del Messia
ie con ciò si intende eziandio implicitamente ch'ei non abbia ricono
sciuto in Gesù il Messia, o che abbia per lo meno dubitato del suo
carattere messiaco) — a che altro si riferisce, diciamo, se non a quello
spirito di materialità che faceva ancora tutto consistere in digiuni ed
altre simili opere esterne , in uno colle pratiche ascetiche più rigo
rose? Solo infatti nel sollevarsi al disopra di queste consiste il pas
saggio dalla religione servile alla libera religion dello spirito '). Il
terzo punto risguarda la posizione così di Giovanni che di Gesù, rim-
pelto ai contemporanei; si lamenta (v. 16 e seg.) la indifferenza di
questi (v. 16 e seg.) a riguardo di ambedue, quantunque al v. 12,
si fosse già parlato dello zelo dei violenti, 0iaww.ì — manifestatosi
dopo la comparsa del Battista — per aprirsi la strada al regno del
Messia s).
') Che il motivo per cui Gesù pose Giovanni fra gli ultimi stia (secondo
the opinano certuni) neiraver questi creduto che il nuovo ordine di cose
non si potesse istaurare senza esterna violenza, non risulta da verun passo
'lAgli evangeli.
') Una interpretazione discordante ritrovasi in Schneekenburger, Beitràge,
I*g. 48 e seg.
VITA DI GESÙ
Vuoisi dare da ultimo uno sguardo alla gradazione per la quale nuove
aggiunte tradizionali sonosi mano mano unite ai semplici tratti storici
primitivi del rapporto fra Giovanni Battista e Gesù. Di storico sem
bra esservi questo, che Gesù attratto dalla fama del battesimo prepa ra-
torio di Giovanni Battista, vi si sottomise, e che dopo essere rimasto
per qualche tempo fra i discepoli del Battista, ed essersi per mezzo
suo famigliarizzato coll'idea dell'approssimarsi del regno del Messia ,
egli continuò , con modificazioni , in seguito all' arresto del Battista,
l'opera di lui, pur professando al medesimo , anche dopo averlo su
perato, una sincera e inalterata stima.
La prima cosa che a ciò si aggiunse nella leggenda cristiana, si fu
che Giovanni dovesse aver conosciuto Gesù per il Messia. Sapevasi
infatti che, durante la sua vita publica il Battista, aveva accennato in
modo indeterminato ad uno che veniva dopo di lui; or si volle che
egli avesse anco inteso designare personalmente Gesù come tale, non
foss'altro, a mo' di congettura. A ciò, si disse, poteva averlo indotto
la fama delle opere di Gesù che, potente qual era, dovette pur giun
gere fino al Battista traverso le mura del suo carcere. Così formossi
il racconto di Matteo sulle missione dei due discepoli dal carcere di
Giovanni; primo, ma ancor confuso, abbozzo di una testimonianza
del Battista in favor di Gesù, che fu rivestito delle forme di una do
manda dubitativa, poiché una attestazione categorica del Battista su
questo riguardo parve ed era cosa interamente inudita.
Ma simile testimonianza tardiva ed a metà non bastava. E tardiva
era essa: poiché innanzi ad essa restava pur sempre il battesimo che
Gesù avea ricevuto da Giovanni Battista, e pel quale egli erasi in
certo modo subordinato a lui ; da qui il bisogno di dare al battesimo
di Gesù l'interpretazione opposta, di cui più avanti si tratterà; da
qui eziandio le scene narrate da Luca, e per le quali Giovanni Battista,
prima ancora della sua nascita, è posto, riguardo a Gesù, in un rap
porto di subordinazione e di servizio. Ma quella dei due discepoli di
Giovanni non la era soltanto una testimonianza tardiva , bensi anco,
come sopra fu detto, una testimonianza a metà; perocché la domanda
implicasse ancora una incertezza, e V èpyouam; (colui che deve venire)
una indecisione. Perciò il quarto vangelo non fa più questione del
carattere messiaco di Gesù, ma offre invece la più sacra attestazione
del medesimo; da ciò eziandio le dichiarazioni più precise sulla na
tura eterna e divina di Gesù e sul suo carattere di Messia paziente.
In una narrazione tendente all'unità, qual è quella del quarto evan
CAPITOLO PRIMO 367
gelo, dichiarazioni così precise non potevansi di certo accordare con
quel messaggio dubitativo: e però esso non potè trovarvi luogo che
sotto forma interamente mutata. Del resto, esso non accordasi nep -
pure con quanto narrano i sinottici del battesimo di Gesù e de'rap-
porti anteriori fra quest'ultimo e il Battista: ma nelle loro più libere
composizioni, questi evangelisti lasciarono sussistere la seconda leg
genda modificata a lato della prima , accordando minore importanza
alla domanda di Giovanni Battista che non al discorso di Gesù in
torno al medesimo, — discorso che essi vi collegarono ').
'(Misi permetta qui di parlare, sotto forma di nota, dei mozzi termini che
tanno introdotto, nella considerazione dei rapporti fra Giovanni Ballista e
Gesù, coloro stessi che cominciarono ad intravedere l'impossibilità di soste
nere l'opinione comune. Fra questi teologi non bisogna nemmeno annove
rare Planck, Storia del cristianesimo nelperiodo della sua introduzione, l, cap. 7;
egli ammette come assolutamente storici i racconti su questi rapporti , e
tuttavia non può far a meno di sostenere nel modo più formale essere esi
stito fra questi due uomini un piano concertato.
Ma la memoria di un anonimo, neh'Henke's Neuem Magazin, 6, 3, pag. 373
e seg., intitolala Giovanni e Gesù, parte dalla convinzione che l'opinione orto
dossa la quale considera Giovanni pel semplice precursore di Gesù, e come
avente la sua destinazione ed il suo scopo, non in sè stesso, ma in colui che
viene dopo di lui, sia insostenibile. Questo autore riconosce in pari tempo
ote nessuna ragione milita in favore della spiegazione naturale, la quale fa
spettare un concerto fra questi due uomini. Con una grande indipendenza
«li spirito egli rifiuta l'opinione che ammette aver Giovanni Battista segna
lalo eoa precisione Gesù pel Messia, e da questo lato spingesi persino un po'
troppo innanzi quando senza fondamento conghietlura che forse Giovanni Bat
tola sulle prime siasi credulo chiamato a sostenere egli stesso il ministero
<1i Messia, ed abbia inteso a crearsi un partito mediante il suo battesimo.
Quanto alle ipotesi della spiegazione naturale, egli è ben lungi dal combat
terle validamente: non solo egli ammette la parentela, l'età presso a poco
uguale ed il precoce legame dei due uomini, ma si compiace a descrivere, in
uu modo romanzesco, i piani di riforma universale che i due giovani insieme
progettarono , la nobile gara surta fra di loro, ognuno di essi giudicando
l'altro più degno di rappresentare il Messia, fino a che Giovanni , avendo la
coscienza della sua insufllcienza, ritirossi, e Gesù fu fortificato da un avve
nimento naturale, al momento del suo battesimo, nella convinzione d'esser
egli il Messia.
Winer, all'articolo Giovanni, nel suo Bibl. Realwiirterb.,1, pag. 690 e seg.,
comprende è vero nettamente la differenza inconciliabile fra il racconto dei
sinottici e quello del quarto vangelo riguardante Giovanni Battista; ricono
sce pure che quest' ultimo racconto porta il colore della gnosi di Giovanni
368 VITA DI GESÙ
48.
'la Giuseppe Erode. Era figlio di Marianna, figlia del gran sacerdote, e viveva
come u» semplice privato. Vedi Giuseppe, Antiq., io, 9, 3. 18, 5, 1, 4. B. j. 1,
», 2, 30, 7.
') Antiq. 18, 5, 4.
') Base, Leben Jesu, i 88.
') Frilzsche, Comm. in Mait. su questo passo. Winer, Bibl. lìealworterb, l,
m- 694.
') Così pensano Paulus, Schleiermacher, vber den Lukas, pag. 109.
Smacsi — V. di G: Voi. I. 21
;t:o VITA DI GESÙ
gliato sul suo matrimonio contrario alla legge e sul suo modo di vivere,
potè temere die Giovanni Battista non eccitasse nel popolo una solle
vazione contro di lui.
I racconti evangelici presentano pure una divergenza fra di loro.
Primieramente (questa però non è la divergenza essenziale) Marco narra,
con le particolarità più estese e più colorite , la scena che avviene
durante il convito festivo; Luca , invece, si contenta di un annuncio
brevissimo (3, 18—20. 9, 9), e Matteo tiene il mezzo fra i due. Ma
il racconto di Marco è essenzialmente diverso da quello di Matteo .
quanto ai sentimenti di Erode per Giovanni Battista. Secondo Matteo.
Erode desiderava porre a morte Giovanni Battista ; ma non poteva
riuscirvi, temendo del popolo che Io considerava per un profeta (v. 5).
Secondo Marco, è la sola Erodiade che non vuole in vita Giovanni
Battista, ma che non può giungere al suo scopo, perocché il suo sposo
riguardasse quest'ultimo per un santo personaggio cui all' occasione
prestava volentieri ascolto e di cui seguiva, non di rado, i consigli
(v. 19 e seg.) '). Qui pure la forma individuale e caratteristica del
racconto di Marco indusse gli interpreti a dare alla sua narrazione la
preferenza su quella di Matteo s). Ma gli è appunto in questi orna
menti e mutamenti di Marco che si crederebbe trovare la traccia della
tradizione della leggenda, tanto più che Giuseppe dice soltanto del
popolo: Essi porgevano l'orecchio alla fama dei suoi discorsi, ',a=may -rj
àupoàat: wy lòyw, e rappresenta Erode come un uomo il quale avendo
concepito dei timori, giudica più conveniente di far perire Giovanni,
ìtiii'jG xpsftrsv r,ythai (tòv 'looawip/) àvxtpih. Quanto non era egli facile l'im
maginare qui un contrasto, il quale dovesse far grandeggiare Giovanni
Battista, ed il supporre che il principe stesso contro il quale egli aveva
parlato e che lo aveva fatto arrestare per la libera sua parola, avesse
tenuto per obbligo di coscienza il rispettarlo, e si fosse lasciato strap
pare, a suo gran malincuore, il decreto di morte dagli artifici della
vendicativa sua moglie! D'altronde, nella relazione di Matteo non vi ha
nulla di incompatibile col carattere di Erode Antipa, del quale è detto
riie amava la quiete, àyastav tqv iovyiau z).
è quel che battezza con lo Spirito Santo. Ed io l'ho veduto, e testifico che
costui è il flgliuol di Dio. Il giorno seguente , Giovanni di nuovo si fermò
con due dei suoi discepoli. Ed avendo riguardato in faccia Gesù , che cam
minava disse: Ecco l'agnello di Dio. E i discepoli l'udiron parlare, e segui-
liron Gesù. E Gesù, rivoltosi, e veggendoche lo seguitavano, disse loro: Chi
cercate? ed essi gii dissero: Rabbi, (il che interpretalo, vuol dire: Maestro)
dove dimori? Egli disse loro: Venite e vedetelo. Essi adunque andarono, e
videro ove egli dimorava, e stettero appresso di lui quel giorno. •
A noi pare che questo tratto del vangelo spieghi in modo preciso le rela
zioni vere tra il Battista e Gesù, senza contradire né il passato né il presente.
Infatti, Giovanni e Gesù non si eran veduti; qual meraviglia che non si fos
sero veduti prima? Ma Giovanni doveva saper lutto sia per comunicazione
dei suoi parenti , sia per ispirazione sopranaturale. Il racconto dell' ultimo
vangelo fa chiaramente vedere come il Battista conoscesse chi egli fosse , e
quale il suo ministero, nonché chi fosse il Cristo e di qual battesimo avrebbe
«-gli battezzalo. II volere inviluppare con quanto si narra negli altri vangeli
questo rapporto cosi semplice e naturale ci pare opera di quella smania
«te si ha di voler trovare in tutto l'errore ad ogni costo. Né gli altri evan
geli contradicono, ma si compiono l'un con l'altro.
Né più felice è al paragrafo 46, dove si domanda se Gesù fu riconosciuto
da Giovanni per Messia, ed in quale senso. Ciò che si dice nel quarto van
gelo basta a comprovare che il Battista riconobbe Gesù per Messia, e per tale
lo confermò. Se Io Strauss avesse voluto interpretare la missione dei discepoli
di Giovanni presso Gesù come un fatto voluto dal Battista slesso, perchè i
suoi discepoli si convincessero del carattere messiaco di Gesù, e credessero in-
'oi, non avrebbe avuto bisogno di torturarsi il cervello per rinvenire le
ragioni e l'origine del dubbio, quando questo dubbio non era nel Battista ,
o» doveva essere in alcuni dei suoi discepoli.
E se di più si avesse voluto in tutto ciò ammettere l'elemento divino, non
*>" sarebbe costretti a trovare come il Battista potesse avere idee e parole cri-
* liane. La filosofia è costretta ad attribuire agli evangelisti le parole del Bat
tista, perla sola ragione che non vuoisi ammettere il Battista informato della
missione del Cristo.
CAPITOLO SECONDO.
§s 48.
') Hier. adv. Pelagiali. 3, 2: In evangelio juxla Hebneos.... narrat Insto ria:
Ecce maler Domini et fratres ejus dicebant ei: Joannes Baptisla baptizal in
remissionem peccatorum; eamus et baptizemur ab eo. Dixit autem eis: Qui<l
peccavi ut vadam et baptizer ab eo? Nisi forte hoc ipsum quod disi, ig«"
rantia est.
*) L'autore del Tractatus de non iterando baptismo, nelle opere di Cipriano
od. Rigali., pag. 159 (il passo si trova pure in Fabricio, Cod. Apocr. N. T.
pag. 799 e seg.) dice: Est... liber, qui inscribitur Pauli praxiicatio; in quo libro
contra omnes scripturas et de peccato proprio coiifitentem invenies Christum.
quisolus omnino nihil deliquit, et ad accipiendum Joannis baptisma paenein-
vitumamalre sua Maria essecompulsum. — Questo rifiuto di sottomettersi al
battesimo concorda, non con la confessione dei peccati che Gesù avrebbe fatta,
ma solo con la coscienza di non averne commesso alcuno, come egli si esprimi'
nel vangelo dei Nazareni; quindi, ciò che narrava il libro intitolato Pratico-
tio Pauli può avere avuto dell'analogia col dire di questo vangelo, e forse si
diede alle parole di questo libro un significato più duro non per altro se non
perchè l'avversione inspirata dall'eresia, le aveva fatte fraintendere.
') Kuinòl, Comm. in Matt., pag. 70. Olshausen, Bibl. Comm. 1, pag. 173.
CAPITOLO SECojiUO 381
aggiustata con un semplice: Così conviene, ojtw npimv im'.v, e Gio
vanni Battista, se non vi fosse stata confessione, non avrebbe trovato
che ojm giustizia era stata compita, stXqpaoai srdwow ùùuuooìmp. Quan
d'anche non tutti forse i catecumeni venissero astretti a confessarsi, Gio
vanni, nel compiere l'atto del battesimo, non avrebbe certamente taciuto
del tutto, ma avrebbe indirizzato ai neofiti parole relative alla penitenza,
«tr.xma. Gesù poteva egli lasciar pronunziare tali parole sopra sè stesso
se egli aveva la coscienza di non aver bisogno di alcun mutamento
interno?
Ed anco rinunciando all' ipotesi che Giovanni Battista facesse ai
catecumeni simili allocuzioni, per Io meno i gesti di coloro che si
tuffavano nell'acqua del fiume purificatore e poi ne uscivano dovevano
essere gesti di contrizione, e quando pure Gesù non li avesse imi-
mi che in silenzio, e senza riferirli al suo pròprio stato interno, non
si potrebbe esimerlo dall'accusa di simulazione.
Qui pertanto altro non ci resta se non ammettere che Gesù, come
all'atto del battesimo, non poteva ritenere sè stesso per il Messia,
cosi pure, per quanto riguarda la penitenza, f/eTxvo«z, potesse benis
simo riguardarsi fra i più eccellenti in Israele, senza tuttavia volersi
Rudere per questo da quanto è detto in Giobbe 4, 18. 15, 13.
Contro della quale ipotesi ben poco si potrebbe objettare dal lato
storico: poiché le parole: Chi di voi mi convince di peccato*! ti; èi
j.uév ùàjxì! ni aspi àuf/pilc^; (Giov., 8, 46) potevano riferirsi sia a
peccati palesi, sia al tempo posteriore del maturo sviluppo di Gesù;
del resto, la scena del suo dodicesimo anno non varrebbe per sè
stessa a comprovare uno sviluppo morale scevro da macchie , quan-
d'anco essa fosse storicamente vera.
382 VITI DI GtSÒ
§ 49.
•) Giusi. Martir., Dial. c, Tryph. 88: Gesù essendo disceso nell'acqua un fuoco
fiammeggiò nel (Hordano , ecc. KaTsiróvro; toj 'Utoù òri tb 5Jup , xaì srjp
avifydi? iv T'j 'bptfawi? x. ?. ?. Epif. Havres. 30, 13 (dopo la voce celeste): «
tosto una gran luce rischiarò il luogo , xaì eààù; stsp:D.zuij* tòv tóttov <jói
[tiya.
CAPITOLO SECONDO 383
') Bauer, Hebr. mitologie, 2, pag. 225 e seg. Confrontisi Gratz, Comm. zum
Evang. Mail., 1, pag. 172 e seg.
2i Sono le parole di Teodoro, in Munter, Fragnunta pittr. grwe. Fase. .
vi, pag. 142. Orig. C. Cels. 1, 48. Confr. Basii. M., nel Thesaurus diSuicer. S,
pag. 1W9.
CAPITOLI» SECONDI» 385
rie dal solo Giovanni, ci :r*i;v rsity Tsfs srapoCasv, àXlx xovtà Tiva sr.eu-
uav.tr.) -cupi'av ò<j.-V uova T/y 'Itjiàwr,; a Giovanni, secondo Marco . bisogne
rebbe aggiungere Gesù, che partecipò alla visione. Ma ben diversa è
tt cosa in Luca: le espressioni che egli adopera , avvenne che si apri
rono— e che discese.... e che vna voce si fece sentire, èyivno àvtayP'-nat....
«*.- xiva$h>at.... noi tovn.... yvAaàai, portano un carattere assolutamente
esterno ed obbiettivo , tanto più se vi si aggiungano le parole:
sotto forma corporea, owuomx'j tSht '). Laonde, volendo mantenere la
completa verità di tatti i racconti evangelici, si è obbligati a interpretare
secondo il racconto di Luca, che non lascia alcun dubio, gli altri rac
conti, che sono meno precisi, e a scorgervi una scena, la quale non
avvenne soltanto nell'interno di Giovanni Battista e di Gesù.
A ragione pertanto Olshausen ammette, col racconto di Luca , che
una folla di popolo era presente alla scena, ed udì essa pure e vide
qualche cosa: però qui si arresta, e dice che fu qualche cosa di inde
terminato e di incompreso. Così, per un lato, questo teologo ritorna
dalterreno delle visioni subiettive al terreno delle apparizioni obbiettive;
ma d'altro lato egli assicura che la colomba apparsa fu visibile , non
adocchio fisico, ma all'occhio aperto spiritualmente; che le parole pro-
nanciate furono percettibili non all'orecchio corporeo, ma soltanto allo
spirito. Ora, noi che nulla comprendiamo di questa pnenmatologia di
Olshausen, in cui ritrovansi realtà sensibili poste al di sopra dei sensi,
ci affrettiamo ad uscire da una atmosfera così oscura , e cerchiamo
volentieri la lucidità di coloro i quali ci dicono semplicemente che la
scena fu in vero un fatto esterno, ma puramente naturale.
Costoro invocano l'usanza prevalsa nell'antichità di considerare fatti
naturali per segni divini , e di lasciarsi guidare da questi segni in
momenti decisivi ne' quali si trattava di prendere un'ardita risoluzione.
Cosi, essi dicono, Gesù, il quale, sentendosi internamente maturo
abbastanza per essere il Messia, non aspettava più che una conferma
esterna venuta dalla divinità, e Giovanni Batista, che già collocava sopra
se slesso il suo amico di gioventù, trovavansi entrambi, al momento
del battesimo del primo per opera del secondo, in una disposizione morale
abbastanza solenne per attribuire importanza ad ogni fenomeno naturale
che fosse fortuitamente apparso, e per iscorgervi un segno della volontà
') È quanto riconosce anche Lucke, Comm. suro Erang. Joh.,i, pag. 370, e
Meek, I. cit., pag. 437.
Smus». — V. di G. Voi. I. 28
«
un VITA DI GESÙ
divina '). Ora domandasi, che cosa fosse questo fenomeno naturale? Su
ciò discordano gl'interpreti '2). Gli uni adottano, coi sinottici, qualche
cosa di percettibile all'orecchio ed all'occhio: gli altri, col quarto van
gelo, qualche cosa di visibile soltanto. Quanto alla parte visibile, essi
spiegano lo aprirsi del cielo sia come un subito diradarsi delle nubi ;),
sia come un lampo *); quanto alla colomba poi, essi la considerano
per un vero uccello di questa specie che per caso librossi lentamente
sopra la testa di Gesù 5), ovvero suppongono che questo lampo che
sperdette le nubi ';), o qualsiasi altra meteora 7), fosse paragonata ad
una colomba pel modo col quale discese. Se, oltre quanto fu visibile,
si ammette pure qualche cosa di percettibile all'orecchio, abbiamo, secon
do l'esegesi di questi teologi, il rimbombo del tuono, che, considerato
dagli astanti per una bath-kol (una figlia della voce) vale a dire un
avvenimento celeste , ricevette la spiegazione che noi leggiamo nei
primi evangelisti s). Altri invece non vedono, in quanto è detto delle
parole percettibili all'orecchio, che una interpretazione del segno visi
bile, nel quale si trovò che Gesù era stato dichiarato figlio di Dio,vs;
3esj 9). Quest'ultima opinione pospone al quarto evangelo i sinottici,
i quali parlano incontestabilmente di una voce reale ; essa racchiude
così un dubbio critico sul carattere storico dei racconti , dubbio che .
sviluppato nelle sue conseguenze, conduce a tutt'altro punto di vista
che a quello della spiegazione naturale.
Cosi del paro , se ciò che giunse all' orecchio non fu che un sem
plice rimbombo di tuono, e le parole non furono altro che una inter
pretazione interna e subbiettiva di questo rimbombo, — bisognerebbe
— giacché ne' sinottici le parole sono evidentemente rappresentate
siccome qualcosa d'esterno — ammettere che quei racconti abbiano
posteriormente ricevuta un'aggiunta tradizionale.
Quanto alla parte visibile della scena , non è a negarsi che , per
esprimere o lampi o nubi separantisi con rapidità, siasi potuto dire che
i cieli si aprirono: certo però la forma di una colomba non potè essere
attribuita né ad un lampo, né ad una meteora. Ora, non solo la
forma dell'uccello è in Luca precisamente il termine di confronto.
malo é pure senza alcun dubbio negli altri narratori; Fritzsche pre-
teode.gli è vero, che in Matteo le parole come una colomba, òasi Ttipia-to^,
.-I riferiscano soltanto alla rapidità del movimento; ma la colomba non
ha nel suo volo alcun che di abbastanza particolare, perchè, se il para
gone fosse riferito al volo , l' uno o l'altro dei quattro passi paralleli
non avesse ad offrire qualche variazione o sostituzione di un uccello
diverso , od altra designazione qualsiasi. Il fatto sta che nei quattro
racconti la colomba, mpuntpà, ritrovasi come termine costante: bisogna
adunque che il paragone si riferisse ad una particolarità esclusivamente
propria alla colomba; e questa non può essere che la forma. Laonde
fanno al testo la minor violenza coloro i quali suppongono una colomba
reale. Ma qui Paulus imprende un difficile compito quando, coll'ajuto
di una quantità di osservazioni zoologiche ed altre , cerca fare della
eokraba un uccello domestico a segno da sembrar verosimile ch'essa
abbia spiegato il volo verso un uomo, come qui vien detto '); che tuttavia
una colomba abbia librate le ali su taluno per un lasso di tempo che
basti per dire essa si fermò su di lui, «/aiviv éw* oùtòv, gli è ciò che
Paulus non giunse a rendere concepibile: e intanto egli venne ad
artare anche contro il racconto di Giovanni, al quale egli erasi pur
«ferito, come quello che non faceva cenno della voce.
I 51
') De-Wette, Bibl. Dogm., § 208, Anm. (!.; Exey. Ilandbuch., i, I, pag. Si e
seg., i, 3, pag. 29 eseg.; Sdileierniachcr, vber den Lukas , 58 e seg.; Usteri
e Bleek, memorie citate; Hase, L. J. Ch., § Sì; Kern, pag. 67 e seg.; Ncauder,
L. J. Ch., pag. 69 e seg.
CAriTOLO SIXOMJO 389
discesa visibile, non già come una conclusione dedotta dai discorsi di
Gesù. Ustcri, per vero, assicura che Giovanni Battista non si servi della
colomba che come d'una immagine per designare lo spirito dolce e
pacifico che egli notava in Gesù. Se tale fosse stata la sua intenzione,
egli avrebbe qui piuttosto paragonato Gesù ad una colomba , come
altrove lo paragona ad un agnello , à«v?s ; ma non avrebbe colle
pittoresche espressioni: Io vedo lo spirito discendente dall'allo del cielo
tome una colomba: Tdiaua.'- ?*, r.vvhia MzaQa.vzv òasi •Rtp.atif.m è-
B'/nci , fatto credere al lettore che qui si trattasse di uno spet
tacolo reale. Quindi, relativamente a quanto si dice della colomba, non
é vero che soltanto nella tradizione derivata, quale si suppone la diano
i sinottici, venisse preso in senso proprio ciò che originariamente non
aveva che un senso figurato; beasi questa espressione viene già ado-
l>erata nel senso proprio dall'evangelista Giovanni; e siccome si ammette,
nell'ipotesi qui discussa, che questo evangelista abbia trasmesso il rac
conto vero, bisognerebbe pure ammettere che Giovanni Battista stesso
abbia parlato di una apparizione visibile simile ad una colomba: ciò
che a ragione riconoscono Bleek, Neander ed altri.
La pretesa differenza, adunque, intorno alla colomba, fra i tre primi
evangeli ed il quarto non esiste; intorno alla voce però, questa diffe-
reuza è cosi grande che non si comprende il come l'uno dei racconti
Hesse trasformarsi neh' altro. In seguito a quella apparizione Gio
vanni Battista attesta essere Gesù il figlio di Dio o->. ejx'o; im» b wls
-u ( Giov. i , 34 ) : testimonianza che si riferisce alle prece-
demi parole: Colui che mi ha mandalo a battezzare.... mi ha detto :
L'uomo sul quale tu vedrai discendere lo Spirito.... è colui che battezza
nello Spirilo Santo b sréuCx; ni (laaniZtu.... èxsfvós ysai e'srev to' cv «v i<>j;;
" ~« ii'i xanajSaàav.... oùxà; ca-tvb (Jgctt fwv ìv 5TV£U(jlv.t< àyi>,> (v. 3G). Que
ste doe proposizioni riunite divennero, aggiungesi, col progresso della
tradizione, una dichiarazione celeste , immediata , sotto la forma se
guente che vediamo in Matteo: Quest' è il mio diletto figliuolo nel
quale mi compiacqui: oùtój étto b uibs uou b àyastrrcb; tv «5 iòdiA^a. Perchè
una simile trasformazione sia ammissibile, vuoisi indicare una causa che
abbia potuto determinarla. Ora, si trova in Isaia, 42, I un passo in
cui Jehova dice del suo servo T3S: in lui (mio servo io lo sosterrò)
» è compiaciuta l'anima mia, 'wsa nxwi mna (la na») "p.
Di questo passo, le parole che sono fuori della parentesi sono state tra
dotte quasi testualmente colle parole che la voce celeste pronuncia
in Matteo. Questo passo del vecchio testamento fu, come vediamo in
390 VITA DI GESÙ
Matteo, 12, 17 e seg., applicato anche a Gesù quale Messia: ed essendo
Iddio stesso che qui parla, non meno che al momento del battesimo,
si ebbe in questo passo ben più agevolmente che non nelle espres
sioni di Giovanni Battista sopra riferite, occasione di immaginare una
voce celeste. Quindi da una parte non abbiamo bisogno di una falsa
interpretazione del discorso di Giovanni Battista per ispiegare l'origine
del racconto nel quale interviene la voce celeste: d'altra parte non pos
siamo servirci di questo discorso per farne derivare la particolarità
della colomba; e però vuoisi cercare la fonte della nostra narrazione,
non già in uno dei documenti evangelici , ma fuori del nuovo testa
mento, e nelle idee allora in voga, fondate sul testamento antico: idee
che Schleiermacher in ispecie ha completamente trascurate, con gran
danno del valore obbiettivo della sua critica birca il nuovo testamento.
Il considerare le dichiarazioni sul Messia, poste da poeti in bocca
di Jehova, quali voci celesti realmente udite, era intieramente nello spirito
del giudaismo posteriore , il quale non di rado ammise eziandio per
illustri rabbini la communicazione di voci celesti '); opinioni cui la prima
comunità cristiana non solo condivideva, ma a cui cercava altresì soddi
sfare, per riguardo versoi giudei. Ora, il citato passo di Isaia racchiudeva
una dichiarazione divina che designava quasi a dito il Messia presente
e che quindi in ispecial modo prestavasi ad essere concepita come
una proclamazione celeste della sua messianità. Come mai la leggenda
cristiana avrebbe ella potuto tardare a comporre una scena in cui queste
parole fossero pronunciate dall'alto del cielo sul capo del Messia? Un
altro motivo per la tradizione di presentare in tal modo la cosa, noi
Io scopriremo nella seconda persona di cui si vale, in Luca ed in Marco,
la voce celeste per parlare a Gesù: Tu sei mio figlio, 2ù il b uìU «su. Ciò
posto, paragoniamo le parole che pronunciò la voce celeste, secondo al
cuni degli antichi vangeli smarriti, nei frammenti che ce ne furono conser
vati dai padri della Chiesa. Giustino, secondo le sue memorie degli apostoli
'Ajrouvi?«ov«ujMrta tav àxoot'&w, le riporta cosi: Tu sei mio figlio, io li ho
oggi generato, T«« iiov ti oit- iyà c'uepov 3 ey^xàai2); secondo Epifanio.
') Secondo Bava Mezia, pag. 59, 1 (in Wetslein pag. 427) R. Elieser si ap
poggiò sopra un segno celeste per dimostrare ch'egli aveva la tradizione io
suo favore: Tum personuit echo celestis: Quid vobis cum R. Eliesere? .Nani
ubivis secundum illum obtinet traditio.
*) Mal. e. Tryph. 88.
CAPITOLO SECO.\t>0 391
l'rongelo degli ebrei riferiva questa frase vicino a quella che presentano
i nostri evangelisti '); e Clemente di Alessandria j) ed Agostino J)
sembra abbiano letto in alcuni esemplari dei nostri stessi evangeli
queste parole che ancor oggi si trovano in vari manoscritti dell'evan-
gelo di Luca *). Si avevano quindi, nella voce celeste, parole prese,
non dal citato passo di Isaia, ma dal salmo 2 , 7. Ora , quest' ultimo
passo è stato interpretato come relativo al Messia dai commentatori
giodaici *) e nella lettera agli ebrei i, 5, esso è applicato al Cristo;
la forma di allocuzione diretta che vi si trova doveva poi disporre vie-
roaggiormentc gli spiriti a concepirlo come una voce partita dall'alto
del cielo verso il Messia. Sia che in origine le parole del salmo venis
sero attribuite alla voce celeste, sia che venisse soltanto, allato al passo
di Isaia, consultato il passo del salmo in questione (il che in ogni caso
è reso verosimile dalla seconda persona che adoperano Luca e Marco,
in sei, o-j v, e che trovasi nel salmo e non in Isaia) sta pur sempre
che ivi deesi rintracciare la spiegazione del miracolo raccontato dagli
evangelisti. E quali altre più ampie testimonianze ne abbisognano per
trovare, in questi passi da molto tempo interpretati in senso messiaco
e concepiti subito dopo come un discorso celeste indirizzato al Messia
presente sulla terra, la fonte del racconto riguardante la voce divina
chefu intesa al momento del battesimo di Gesù? Riunire il battesimo
> la voce celeste parve cosa naturalissima dal momento che questo
battesimo fu considerato come la consacrazione di Gesù nelle sue fun
zioni.
Veniamo alla discesa dello Spirito, st-^vm/, sotto forma di colomba
xtfm'À. Per questo esame bisogna separare la discesa dello Spirito
e la forma della colomba, e studiarle isolatamente. Che lo Spirito divino
dovesse riposarsi con una speciale abbondanza sul Messia, la è un'opi
nione formatasi senza difficoltà dal momento che il tempo messiaco
fa considerato per quello della effusione dello spirito sopra* ogni carne
•Joel 3, 1 e seg.); ed in Isaia, il, 1, e seg., era espressamente detto
del rampollo di Jesse che su di lui doveva riposare lo spirito di Dio
■n tutta la sua pienezza, come spirito di saggezza e di prudenza, di'
i
') Barn., 30, 15.
«) Padagog., i. 6.
"') De consens. Evang., 2, 14.
') Vedi Wetstein sul passo di Lucae De-Wette, Einleit. in dot N. T., p. 100-
') Vedi Rosenmùller, Schol. in Psalm., psalm. 2.
392 VITA DI GESÙ
§ o±
') Epiph., Hwres. 30, ti: Essi pretendono che Gesù, sia stato realmente uomo,
•"k colui però il quale discese sotto forma di colomba sia divenuto in lui il Cri-
*to, tee. 'Exv.&rj jixp 0ou?.svt<X! xòv (ih 'Ii.osuv óvrws avSpwTTov eìvou, X/oiTtòv
9i tv aàrtù jtyiì/ìiiat tsv tv nàti TtiptmipóU, *a~:a^t^ixó-:a. xt)..
*) Epiph., Hmres, 28, 1.
') Epiph., Hares., 30, 13: Una colomba essendo discesa in lui, :rep«rcsfój tea-
*m3w0v;, «a: tÌGtXòoù(Ji; tìs oÒTÓv.
•) Vedasi più sopra questo passo. i 48.
400 VITA DI GESÙ
leggenda sul battesimo. A misura però che si accrebbe la venerazione
pel Cristo, ed a misura che la comunità cristiana accolse nel suo seno
uomini informati a più elevate idee del Messia, questa dignità mes-
siaca, tardi prodottasi, non bastò più: il rapporto di Gesù collo Spi
rito Santo, mnviia óiytv», fu anticipato di data e riportato al momento
della concezione: e da questo punto di vista ebbe origine la leggenda
sulla concezione sopra naturale di Gesù. E forse fu allora che le pa
role della voce celeste, che in origine suonavano probabilmente conformi
al passo del Salmo 2, 7, vennero modificate in conformità col passo
di Isaia 42, 4. Perocché le parole: Io ti ho oggi generato, vmw
ytjrówflMt m, avevano già, è vero, un significato conveniente quando si
ammetteva che.Gesù non fosse stato fatto figlio di Dio, ulbsSto», e dotato di
forze superiori corrispondenti a questo titolo, che al momento del battesi
mo; ma esse non si attagliarono al battesimo di Gesù quando invalse l'o
pinione che il principio della sua vita derivasse da una concezione divina.
Pur nondimeno la prima idea non fu espulsa dall'idea posteriore : che
siccome la leggenda, e lo scrittore che informasi allo spirito della leg
genda , hanno entrambi la mano larga, così le due narrazioni, l'una
sui miracoli del battesimo, l'altra sulla concezione miracolosa, o sulla
immanenza del Verbo in Gesù fino dal principio della sua vita, rima
sero pacificamente l'una a fianco l'altra, quantunque a vicenda si esclu
dano , ed entrambe furono eziandio registrate dai nostri evangelisti .
senza ecettuarne , questa volta , il quarto. Qui ricorre precisamente il
caso delle genealogie: il racconto della comunicazione dello Spirito ope
ratosi al momento del battesimo, non poteva, è vero, più nascere dacché
si era sviluppata completamente l'idea della generazione di Gesù per
opera dello Spirito, mtivuu] ma potè venire anco in seguito riferita,
perchè la leggenda non ama perdere alcuno dei tesori da lei una volta
acquistati.
CAPITOLO SECONDO
§ 53.
Stuacss — T. di fl.lYol. I. 20
402 VITA DI GESÙ
avessero tralasciato questa designazione più precisa, perchè , nel descr i-
vere la scena del battesimo, essi più non pensarono d'avere preceden
temente rappresentato per un deserto il luogo in cui Giovanni Battista
esercitava il suo ministero.
Ma qui presentasi inoltre una difficoltà cronologica. Mentre, secondo
i sinottici, Gesù, nella pienezza recente della comunicazione dello Spi
rito, nvàua, sulla riva del Giordano, portasi, immediatamente dopo il
battesimo, nel deserto , ove soggiorna per quaranta giorni, e non ri
torna in Galilea che dopo questo lasso di tempo, Giovanni, che nulla
dice della tentazione, sembra, invece, supporre fra il battesimo ed il
viaggio di Gesù in Galilea un intervallo di pochi giorni soltanto, entro
il quale, questo soggiorno di sei settimane nel deserto non può di certo
trovar luogo. Il quarto evangelo, infatti, comincia il suo racconto colla
testimonianza che Giovanni Battista rende inanzi agli inviati del sine
drio (1, 19 e seg.); il giorno appresso t,J «raupov , fa raccontare a
Giovanni Battista, in presenza di Gesù, tutta la scena che. secondo i
sinottici, segnalò il suo battesimo (v. 29 e seg.); {/ giorno appresso
ancora, ~J i3taày.n (v. 44), essendo Gesù sul punto di portarsi in Galilea,
Filippo e Natanaelc vengono a lui, e infine il terzo giorno ?«ìp3
fi; -rpiTi? (2, i) Gesù è alle nozze di Gana in Galilea. L'ipotesi più naturale
che qui ci si presenta, si è che il battesimo avesse luogo precisamente
prima del racconto che ne fa Giovanni Battista: e siccome, giusta i
sinottici, la tentazione segue immediatamente il battesimo, bisognerebbe
porre l'uno e l'altra fra il v. 28 ed il v. 29: come già fu supposto
da Eutimio. Ma fra ciò che è narrato fino al v. 28, c ciò che segue
dopo il v. 29, l'evangelista non pone che l'intervallo di un domani.
èrtm>p:w, e la tentazione esige uno spazio di quaranta giorni ; per lo
che gli interpreti credettero dover dare alla parola domani il significato
più esteso di Snipov, in seguito. Ma questo è inammissibile, poiché dopo
l'espressione isrrtùfAw, viene l'espressione il terzo giorno, ~; ìnipa t? tp«j-,
vicino alla quale Ftpzuptov non può significare altro che ti domani. Dal
che si sarebbe indotti, con Kuinol, a separare il battesimo e la tenta
zione ; a porre bensì il battesimo dopo il v. 28 , ma a considerare
l'incontro di Gesù e di Giovanni Battista, che ebbe luogo la domane
(v. 29), come una visita di addio, fatta dal primo al secondo, ed a
collocare dopo questo incontro il ritiro nel deserto e la tentazione. Ma, se
•la un lato i primi tre evangelisti non lasciano supporre fra il batte
simo di Gesù ed il suo ritiro nel deserto, neppure questo intervallo di un
giorno all'altro, d'altro lato non si scorge ove si possano, in appresso.
CAPITOLO SECONDO 403
luogo al fermine dei quaranta giorni, le altre due non ponno esserle
anteriori : poiché, se le tentazioni speciali non sono riunite, in Luca
come in Matteo, cogli avverbj allora e di nuovo, -i~, staXtv, ma sono
disposte l'ima dopo l'altra colla semplice congiunzione e, *a, non è per
questo lecito il dire che nulla importi conservare l'ordine in cui esse
si trovano, che si possa, senza far violenza all'intenzione del terzo evan
gelista, mettere la seconda e la terza innanzi alla prima. Pertanto, il
racconto di Luca, che suppone Gesù di continuo tentato dal demonio nel
corso dei quaranta giorni, senza riferire alcuna delle tentazioni speciali
di questo lasso di tempo, e che cita soltanto alcune tentazioni, sofferte
■n appresso, — questo racconto, diciamo, ha qualche cosa di goffo;
ìi sarà quindi poco disposti a considerare, con la più recente critica
dell'era ngelo di Matteo, il racconto di Luca pel racconto primitivo, e
quello di Matteo, pel racconto derivato ed alterato '). Vediamo, infatti,
le differenze dei tre evangelisti su questo punto : ora la storia della
tentazione è narrata senza precisi particolari, eia tentazione dura per
quaranta giorni: cosi in Marco; ora se ne riferiscono esempi speciali ,
e la fame, addotta a motivo della prima tentazione, esige che questi
esempi speciali sieno posti dopo il digiuno di quaranta giorni : così
io Matteo. Fra questi due racconti , quello di Luca appare eviden
temente lavoro di seconda mano, poiché esso ha riunito gli altri due in
riodo sopportabile appena; e dopo avere discorso in modo indeterminato
di uaa tentazione prolungata per quaranta giorni, parla, per un di più,
'ìi questi esempi particolari di tentazioni seguite dappoi. Con ciò non
è ponto a dirsi che Luca scrivesse dopo Marco, e si regolasse sopra
di fai; ma, supponendo anche che sia vero il contrario, e che Marco
abbia qui attinto al vangelo di Luca , certo ei non ne tolse che la prima
parte del suo racconto, la parte cioè indeterminata: stante che, in luogo
delle tre tentazioni speciali, egli aveva in pronto una particolarità pro
pria a lui solo, quella cioè che Gesù, durante i quaranti giorni, era stato
attieme alle belve, uni t^v tn^o .
Che cosa intendesse significare Marco con queste belve, è difficile
il dire. La maggior parte degli interpreti reputano ch'egli volesse con
ciò completare il quadro spaventevole del deserto s). Ma si osservò ,
L*t
406 VITA DI GESÙ
non senza ragione, che questa aggiunta avrebbe dovuto esser posta
più dappresso alle parole egli era nel deserto, «v é» ty ìpvu<?, e non già
in seguito alla parola tentato, sit patiutvos '). Usteri chiese, a mo'di
congettura, se mai questo concetto non fosse destinato a rappresentare
il Cristo come 1' antitipo di Adamo, il quale, nel Paradiso, trovavasi
pure in un rapporto particolare con gli animali J), ed Olshausen colse
con ardore questa idea mistica; ma siffatta spiegazione non ha valido
appoggio nel contesto. Quando Schleiermacher chiama stravagante la
particolarità riferita da Marco 3), egli vuol dire senza dubbio che questo
evangelista, qui, come spesso altrove, si avvicina con esagerazioni allo
stile degli evangeli apocrifi , le arbitrarie finzioni dei quali riman
gono di sovente per noi senza motivo e senza scopo : e quindi noi
pure senza difficoltà rinuncieremo a voler penetrare nel significato di
questo passo di Marco.
Circa la divergenza fra Matteo e Luca sull' ordine delle tentazioni
particolari, bisognerà attenersi del paro a quanto disse Schleiermacher
per ispiegarla e giudicarla: che cioè l'ordine seguito da Matteo sembra
l'originale, perchè fondato sulla considerazione precipua della gravità
delle tentazioni; ed essendo difatti l'invito fatto da Satana a Gesù, di
adorarlo, la maggiore delle tre tentazioni, con essa conchiude Matteo.
Invece, l'ordine seguito da Luca somiglia ad una trasposizione poste
riore e poco felice; poiché vi si parte da una considerazione estranea al
senso mitico del racconto , che cioè Gesù doveva essere andato dal
deserto sulla montagna vicina, e dalla montagna a Gerusalemme, piut
tosto che dal deserto a Gerusalemme, e di là, nuovamente sulla mon
tagna *).
Mentre i due primi evangelisti terminano col far apparire angioli al
servigio di Gesù, Luca conclude in un modo che gli è particolare,
dicendo che il diavolo allontanossi da Gesù fino ad altro tempo, Àyjx
xaupo'j (v. 13): con che sembra si voglia anticipatamente designare la
passione di Gesù, come un nuovo assalto del diavolo; indicazione che
del resto più non riappare in Luca, ma che ritrovasi in Giovanni, 1 4, 30.
§ 54.
') Cosi Kuinòl, Comm. in Matt. pag. 84. Confi*. Gratz, Comm. zum Matta- 1.
,pag. 229. In maniera ancor più meschina Hoffmann si attiene al lesto, che,
secondo lui, esclude bensì il mangiare, ma non il bere; ora Hoffmann riferisci;
che un entusiasta si è sostenuto per quarantacinque giorni con acqua « ftè:
vero è che egli è morto, non per fame, dice Hoffmann, ma per la fallita iW
•tuo sentimento (pag. 315).
CAPITOLO SECONDO . 409
') Schmidt, Kxeg. Beitràge, 1, pag. 279; Kuinòl, in Malth., pag. 76.
*) In un frammento di Teodoro di Mopsueste (Mùnter, fragm. Patr. gr<K.
fase. 1, pag. 99 e seg.).
*) Paulus, 1. cit., pag. 376.
*) Hoffmann trovò un espediente col dire che il diavolo scelse a bella posta,
nella seconda tentazione, un esempio stranissimo (il salto dalla sommità del
tempio) mentre non si trattava, in sostanza, che di un falso uso dalla po
tenza miracolosa di Gesù e della convinzioni' ch'egli aveva di essere Dio
CAPITOLO SECOJiDO ìli
Le Ire tentazioni si operano in tre luoghi differenti ed anche lontani:
or domandasi come Gesù sia passato, assieme col demonio, dall'uno al
l'altro luogo. Alcuni fra i medesimi ortodossi spiegarono come questo spo
stamento avvenisse in modo affatto naturale, supponendo che Gesù fosse
in allora in viaggio e che il demonio lo seguisse ')• Ma le espressioni : il
favolo lo prende..., lo pone, xapolauStxvst..., hmow a\nlv b ài%€olb?, in
Matteo; le espressioni: conducendo, condusse, pose, à.\iayayùv , vyayvj ,
OTjsiv, in Luca, indicano incontestabilmente uno spostamento operato
dal diavolo stesso: oltredichè l'espressione di Luca, che il diavolo mostrò
a Gesù tutti i regni del mondo in un istante, iv atiyu^ xpóvou, accenna
a qualche cosa di magico; qui dunque si devono supporre, senza alcun
dubbio, spostamenti magici, tanto più che gli atti degli apostoli, 8,39,
attribuiscono allo Spirito del Signore, st^u* Kupi'ou, una simile facoltà
H trasportare, ctpna.Zi». Ben presto però trovossi incompatibile colla
'dignità di Gesù, che il diavolo avesse esercitato su di lui una tale
violenza magica e l'avesse condotto attraverso l'aere 2); e tal cosa dee
infatti sembrare sovranamente stravagante a quegli stesso agli occhi
del quale l'apparizione personale del diavolo fosse ammissibile ancora.
Cresce l'incredibilità ove si consideri quale sensazione avrebbe dovuto
produrre il vedere Gesù ( quanto al suo compagno ei potè qui ren
dersi invisibile ) comparire sul tetto del tempio , fosse pur stato sol
tanto il tetto della sala di Salomone , e quando pure le aste dorate
poste sul santuario propriamente detto e la proibizione fatta ai laici
di calpestarne il tetto non vi avessero posto ostacolo 3). Riguardo all'ul
tima tentazione, è nota la domanda: dove è la montagna dalla sommità
della quale si possano scoprire tutti i regni della terra? Alcuni interpreti
rispondono che pel mondo, xsauo?, bisogna qui intendere la sola Palestina,
e pei regni , ^aailxlai;, le provincie isolate e le tetrarchie di questa
contrada *): risposta non meno ridicola della spiegazione di coloro i
pa?. 322). Questo spediente lascia la cosa come era, poiché è inabile del pari
lo scegliere esempi cosi strani o così strane tentazioni.
'! Hess, Geschiehte Jetu, 1, pag. 124.
') Vedasi l'autore del discorso De jejunio et tentationibus Christi fra le opere
•!i Cipriano. , ... •
') Paragonisi Giuseppe, B. j. S, 5, 6. 6, S, 1. Fritzsche, in Matt. pag. 164;
De-Wetle, Exeg. Handb. 1,1, pag. 40.
') La spiegazione del mondo è di Kuinòl: in Matth. pag. 90; e quella dei regni
in Fritzsche, pag. 168.
412 'vita di gesù
quali dicono che il diavolo mostrò a Gesù il mondo in ura carta
geografica. Nulla rimane dunque a rispondere, se non che una tato
montagna non esistette che nella mente degli antichi, i quali si figuravano
la terra come una superficie piana, e nella immaginazione popolare,
che senza difficoltà solleva fino a' cieli una montagna e dà allo sguado
la facoltà di penetrare gli spazj infiniti.
Finalmente, dopo che il diavolo ebbe terminato fé sue tentazioni, gli
angeli vennero a Gesù e lo servirono; questo particolare, con cui termina
la narrazione, non è, neppur esso, scevro da difficoltà, astrazione fatta
dai dubbi di cui si discorse più sopra, circa l'esistenza di simili esseri.
L'espressione: lo servirono, àtvxcvan, non può intendersi che della pre
sentazione di alimenti : ciò risulta non solo dal contesto , secondo il
quale Gesù, dopo una sì lunga astinenza, doveva aver bisogno di una
refezione, ma anche dal confronto con un passo del vecchio testamento
(l Re 19, 5), ove un angelo porta cibi ad Elia. Ma da questo non si
potrebbero dedurre che due cose del paro inverosimili, cioè: od esseri
eterei, come gli angeli, portarono a Gesù alimenti materiali: od il corpo
umano di Gesù fu rinvigorito da sostanze celesti, se pur ve ne hann >.
| 55.
') Teodoro , di Mopsueste, 1. cit. pag. 107, sostenne contro Giuliano che U
diavolo aveva fatto l'immagine di una montagna yovtao av opoo; t;v àtà$tì.i*
CAPITOLO SECONDO 413
l'apparizione visibile ed esterna del demonio, trasportarono di pianta
tutta questa scena nell'interno dell'anima di Gesù. In questo caso, o
essi concepirono anche il digiuno di quaranta giorni come una mera
immaginazione interna '): e questa è la maggiore delle violenze
al significato del testo, il quale suona in modo affatto storico: avendo
ìijiuiìato per quaranta giorni, in appresso egli ebbe fame , wnjaas
iépx; naanfdxovxa 5attpov «Ki'vaas; ovvero lo considerarono come un
latto reale, e in allora sussistono tutte le difficoltà sollevato da questo
digiano e che furono enunciate nel paragrafo precedente. La rap
presentazione interna delle scene della tentazione è collocata, dagli
ani, durante il corso di una visione estatica, a cui si conserva una
origine sovranaturale e che si attribuisce sia a Dio, sia all'azione del
regno delle tenebre s); gli altri invece la concepiscono come un sogno,
e ne cercano una causa naturale nei pensieri che avevano occupato
Gesù durante la veglia 3). Ripieno ancora dell'emozione che la scena
del battesimo aveva in lui eccitata, Gesù, dicono costoro, ripensa nella
solitudine al suo piano messiaco e, oltre le vie legittime, se gli para
dinanzi la possibilità dei mezzi opposti, che sono: esagerazione della
fede nei miracoli ed ambizione di dominio, per le quali l'uomo, secondo
l'opinione giudaica, da istrumento di Dio, diveniva istrumento dei disegni
di Satana. Mentre egli si dà in balia di questi pensieri, il suo dilicato
organismo soccombe sotto una cosi forte tentazione: ei cade per qualche
tempo in un completo abbattimento, e quindi in uno stato di sogno,
nel quale la sua mente trasforma, inconscia, i pensieri precedenti in
immagini che parlano e che agiscono.
Per arbitrarsi a trasportare tutta la scena nell'interno di Gesù, i com
mentatori credettero poter citare alcuni passi della stessa narrazione
evangelica. Le parole di Matteo: Fu trasportato nel deserto dallo spirito,
t i tw ifxuov ìot3 Toi srveiuscxos, e più ancora quelle di Luca : Fu
') Frilzscue, in Watt. 155 e seg.; Usteri, saggio sulla spiegazione delta stoni
della tentazione, 1. cit. pag. 774 e seg.
*) J.a prima obiezione è di Ullmann , Sull'impeccabilità di Geni, nei suoi
stutik>i, 1. 1, pag. 56; la seconda è di Usteri, 1. cit., pag. 773.
CAPITOLO SECOiVDO 415
sia un sogno, risultato dei pensieri individuali di Gesù, non devesi,
appunto dagli ortodossi, dimenticare che con ciò si attribuisce a quelle
false idee del regno del Messia una grande potenza sull' anima di
Ceso').
La precedente disamina non lascia pertanto sussistere la storia della
tentazione nè come scena avvenuta interamente nell'anima di Gesù, nè
come scena soprannaturale : e sembra più non resti che considerarla
«me uno avvenimento esterno e reale bensi, ma naturale affatto; facendo
cioè del tentatore un semplice mortale. Dopo che Giovanni Battista
rtbhe chiamata l'attenzione su Gesù come Messia, dice l'autore della
Storia naturale del profeta di Nazareth 2), il partito dominante in Ge
rusalemme mandò un fariseo astuto per mettere Gesù alla prova, nonché
per vedere se egli possedesse virtù meravigliose realmente messiache
t1 se mai lo si potesse attirare negli interessi del sacerdozio ed impiegarlo
m una intrapresa contro i Romani. Certo, questa maniera di concepire
il diavolo, <>:3(co5.o;, sta degnamente a paro di quella che rappresenta
ili angeli apparsi dopo la partenza di Satana per riconfortare Gesù ,
onte una carovana che si approssima con viveri o come venticelli
soavi e rinfrescanti 3). Fatto sta che questa interpretazione, al dire
ili Isten, ha percorso talmente le sue fasi nel mondo teologico, che
ili e inutile il gittar parole per confutarla.
Se dietro quanto fu detto, la storia della tentazione, quale i sinottici
e la raccontano, non può concepirsi nè come scena esterna nè come
*sna interna, nè come avvenimento sopranaturale, nè come avveni
mento naturale, bisogna concludere necessariamente: questa storia non
può essere avvenuta nel modo che gli evangelisti la narrano.
Lo speziente più ovvio sta nello ammettere che vi sia in fondo bensi
un qualche fatto reale della vita di Gesù, raccontato da lui a'suoi discepoli,
ma che il suo racconto non sia stato l'espressione fedele e precisa di
(uanto era avvenuto. Alcuni pensieri di tentazione sorti nell'animo suo,
sia realmente durante il suo soggiorno nel deserto dopo il bat
tesimo, sia in differenti tempi ed in differenti circostanze, ma ben
tosto soggiogati dalla forza e dalla purezza della sua volontà, furono
— così alcuni interpreti — rappresentati da lui, secondo la maniera
orientale di concepire e di esprimersi, quali tentazioni diaboliche : e
questo racconto figurato venne inteso nel senso letterale '). L'obbie
zione principale addotta contro questa spiegazione, sta nel trovarvisi com
promessa l'impeccabilità di Gesù s); ma tale obiezione, come quella
che riposa sopra una idea dogmatica , non esiste punto per noi , al
punto di vista critico a cui ci siamo posti. Nondimeno, noi possiamo
benissimo ammettere jn anticipazione, come risultato della storia evan
gelica, che il senso pratico di Gesù vi si mostra costantemente chiaro
e giusto; ora questo senso sarebbe stato maligno, se Gesù avesse desi
derato alcunché di simile a ciò che presenta la seconda tentazione io
Matteo; e lo sarebbe stato del pari, quand'anche Gesù non avesse avuto
altra intenzione che di offrire sotto quella forma ai suoi discepoli
l'immagine di una tentazione più intelligibili. Inoltre , per comporre
una tale narrazione, Gesù avrebbe dovuto attingere alla storia della
sua vita una mistura di finzione e di verità, mistura torbida che non
è ad attendersi da un maestro leale quale egli sempre si mostra,
principalmente se non si ammette che i pensieri di tentazione sieno
improvvisamente sorti in lui dopo un soggiorno di quaranta giorni nel
deserto e se si colloca questo soggiorno fra gli accessorj dei quali Gesù
contornò il suo racconto; nel caso contrario, ammettendo quell'inter
vallo di tempo come un dato storico , il digiuno di quaranta giorni
sussisterebbe, e, con esso, una delle più considerevoli difficoltà della
narrazione. In ogni caso, se Gesù voleva semplicemente narrare una
scena avvenuta nell'interno della sua anima , ma nello stesso tempo
attribuirla al demonio, come i giudei facevano di ogni cattivo pensiero
con una conclusione dall'effetto alla causa, egli non aveva altro a dire
se non che Satana gli aveva suggerito il tale o tal altro pensiero, ma non
aveva alcun motivo di parlare di un'apparizione personale di Satana e di
una gita con lui, a meno che, allato o in luògo dell'intenzione di fare
un racconto, non si trovasse un'altra intenzione poetica e didattica.
Ora, quest'altra intenzione era difatti in Gesù, dicono coloro che
quello designato col nome di Lazzaro. Per queste due ragioni, un uomo
materialmente presente non può servire di soggetto ad una parabola,
rimanendo egli pur sempre una persona determinata e manifestamente
storica. Non poteva quindi Gesù prendere nò Pietro né alcun altro
dei suoi discepoli, né sé stesso, per soggetto di una parabola, stante
che colui che racconta una parabola è, più immediatamente di ogni
altro, nel novero di coloro che sono attualmente presenti; e per l'eguale
motivo, Gesù non potè riferire come parabola la storia della tentazione
della quale egli è il soggetto. Ma lo, ammettere che la parabola avesse
primitivamente un altro soggetto, in luogo del quale Gesù fu sostituito
nella tradizione orale, non è possibile: poiché il racconto stesso, come
parabola, non ha significato, se il Messia non ne è il soggetto ').
Gesù adunque non potè raccontare tale parabola né riferendola a
sé stesso né ad altri; ma non potrebbesi credere che essa fosse raccontata
sul conto di Gesù per bocca di un terzo? In questa guisa Theile recente
mente spiegò la storia della tentazione come un avvertimento simbolico e
parabolico che un partigiano qualunque di Gesù, inteso a fondare l'idea
spirituale e morale del regno del Messia, avesse diretto contro i principali
moventi della aspettazione di un regno messiaco mondano *). Qui
appare la transizione al punto di vista mitico cui il citato teologo
rifiutasi ad adottare, sia perchè non giudica il racconto abbastanza
pittoresco (e tuttavia lo è ad un alto grado), sia perchè vi trova una
morale troppo pura (ciò che suppone false idèe sulle più antiche
associazioni cristiane), sia infine perchè la formazione di questo mito
sarebbe troppo prossima al tempo di Gesù (ragione che dovrebbe pur
valere contro l'opinione che vi scorgeuna parabola così presto fraintesa).
Se. con un ragionamento inverso, si può dimostrare che il racconto di
cui qui si. tratta, più che dei pensieri istruttivi e della esposizione pro
pria ad una parabola, è composto di passi e di figure tolte dal vecchio
testamento , noi non esiteremo a caratterizzarlo positivamente quale
un mito.
35.
') Cosi reputa Frilzsche, in Matt. pag. 173. Ciò che egli dice nel titolo slesso
pa£. 151 è di una giustezza sorprendente: Quod in vulgari Judaeorum opi
nion erat, fore, ut Satanas salutaribus Messiae consiliis omne modo, sed sine
dfcelu tamen, nocere studerai, id ipsum Jesu Messite accidit. Nam quem is
idexemplum ilJustrium majorum quadraginta dierum in deserto loco egisset
j'-junium, Salanas eum convenit, protervisque atque impiis.... consiliis ad
iiiiquilalem deducere frustra cònatus est.
') Schòttgen, Horce, 2, 538, cita secondo Fini flagellum Judaeorum, 3, 35
uu passo di Pesikla: « Ait Satan : Domine , permute me tentare Messiam et
ejas generationem. Cui inquit Deus: Non haberes ullam adversus eum po-
l&flaleni. Satanas Rerum ait: Sine me, quia potestatem habeo. Respondit Deus:
Si in hoc diutius perseverabis, Satan, potius (le) de mundo perdano quam aliquam
ammani generationis Messiae perdi permillam.» Questo passo prova almeno che
ina tentazione intrapresa dal diavolo contro il Messia non era estranea alla
>fera delle idee giudaiche. L'autore del passo citato, suppone, gli è vero, che
I» domanda di Satana fu respinta : ma , una volta che tal idea fu posta in
«mpo, altri ammisero che il permesso venisse accordato.
l)Nel5 Mos. 8, 2 (LXX) queste parole sono indirizzate al popolo: E ricordali
ài tutto il cammino per lo quale il Signore Dio tuo ti ha condotto questi 40 anni
per lo deserto, per affliggerti, e per tentarti, e per conoscere ciò che è nel cuor
'««: se tu osserverai i suoi comandamenti o no: MvuoSéoy stóaav -sfa bJ'iv , fa
il Kupisj o 3só; ffoo tosto ■ctaaapaxoaxsv sto; tv Ty iprju<? isrui; xaxóaij
«, xx stipataj ai, xaù àtayvwjòy t* iv tij xctp&ia. ao», si ifuhdin ràs «ytb>.àe
natii, x oS. . ■• : •
14, 13; Marco 1, 35; Luca 6, 12; Giov., 6, 15); disposizione questi
che non potè che accrescersi dopo la sua consacrazione al ministero
messiaco. Sarebbe quindi possibile, come ammettono alcuni teologi '),
che un soggiorno di Gesù nel deserto , dopo il suo battesimo , non
però certamente di quaranta giorni , avesse servito di fondamento
storico al nostro racconto. Anche senza questa considerazione tuttavia,
non solo la scelta del luogo si spiegherebbe coll'osservazione fatta più
sopra, ma si potrebbe eziandio rendersi ragione della scelta del tempo,
osservando che nulla di più naturale del far subire una simile prova
al Messia, nel momento in cui, novello Ercole al bivio, egli stava per
entrare nell'età matura e nel suo ministero messiaco.
Ma che cosa doveva fare il Messia nel deserto ? Mose, il primo sal
vatore, quand'era sul monte Sinai (2 Mos., 34, 38; 5 Mos., 9, 9) si
sottomise al santo esercizio del digiuno; ugualmente il Messia, secondo
salvatore, dovette assoggettarsi ad una simile mortificazione. Alla quale
ipotesi si venne tanto più facilmente, in quanto che il digiuno poteva
somministrare l'introduzione più opportuna alla prima tentazione, nella
quale agiva la fame. Il tipo di Mosè, a cui aggiungevasi anche quello
di Elia (1 Reg., 19, 8), determinava eziandio la durata di questo
digiuno nel deserto, poiché entrambi avevano digiunato quaranta
giorni: il numero quaranta rappresenta d'altronde una certa parte,
come numero sacro, nell'antichità ebraica 2). I quaranta giorni della
tentazione di Gesù sembrano anzi, secondo la giusta osservazione di
Olshausen, essere, su di una scala ridotta, la stessa cosa dei quaranta
anni di prova del popolo d'Israello nel deserto, i quali a loro volta
corrispondevano, sotto forma di punizione, ai quaranta giorni che gli
esploratori avevano passati nella terra di Canaan (4 Mos., 14, 34).
Che infatti, nella tentazione di Gesù, siasi tenuto calcolo speciale
delle tentazioni subite dal popolo nel deserto, lo dimostra la circo
stanza che tutti i passi della scrittura allegati da Gesù contro Satana
sono presi dalla descrizione sommaria del viaggio degli Israeliti nei
deserto (5 Mos., 6 e 8). Anche l'apostolo Paolo (1 Cor., 10, 6 e seg.)
') Ziegler., in Gabler's, ». theoì. Journ. S, pag. 201; Theile nella Biograph.
Jesu, i 23.
') Vedi Wetstein pag. 270; De-Wette, Kritikder Mosaischen Geschichtt, p 245.
lo stesso , nei Daub's und Creuxer's Studien , 5 , pag. 245; Bohlen, Gtnrsii.
pag. 33 e seg.
CAPITOLO SECONDO 423
enumera una serie di particolari relativi alla condotta degli Israeliti
nel deserto, con le punizioni che Iddio loro inflisse, e premunisce i
cristiani contro una simile condotta, dicendo (v. 6 e 11) che quelle
pene inflitte agli antichi lo furono per servir di figure, -rimo:, a coloro
eie vivono ai suoi tempi, nella fine dei secoli, t'ù.n tóv alóm», affinchè
colui che è in piedi si guardi dal cadere.
É difficile ammettere che questa sia una opinione privata e pura
mente accidentale dell' apostolo. Ma queste dure prove del popolo
condotto da Mosè, come in generale tutto ciò che a Mosè si riferisce,
sembrano essere state considerate come simboli delle prove, le quali,
nella catastrofe cui doveva produrre il Messia, attendevano i suoi
partigiani, e principalmente lo stesso Messia loro capo. Quest' ultimo
qui ci si mostra quale l'antitipo del popolo , perocché egli dovesse
superare gloriosamente tutte le tentazioni alle quali il popolo aveva
soggiaciuto. , • . .
11 popolo d'Israello era stato particolarmente messo alla prova colla
fame nel deserto: di modo che, la prima tentazione del Messia tro-
vavasi già anticipatamente determinata '). Così pure, fra le differenti
tentazioni alle quali i rabbini raccontano che Abramo venisse assogget
tato, figura generalmente la fame *). Se Satana invita Gesù, nei termini
riferiti dagli evangelisti , a procurarsi arbitrariamente il soddisfaci
mento della fame, in luogo di attenderlo con confidenza da Dio, non
è da stupirsene; poiché, oltre l'idea fornita dalla natura petrosa del
deserto, si ricorderà quanto fosse comune il dire, di un oggetto che
totalmente mancava , che le pietre lo producano (Matt., 3, 9; confron
tisi Loca 19, 40) e come la pietra ed il pane formassero , nel lin
guaggio, una antitesi comunemente usata (Matt., 7, 9). La risposta
data da Gesù risponde a questa suggestione e appartiene allo stesso
contesto dal quale sembra essersi formata tutta la prima tentazione : poi
ché Gesù qui a Satana risponde ciò che (secondo 5 Mos., 8, 3) il popolo
d'Israello aveva dovuto apprendere dalla tentazione della fame , ten
tazione che da esso non sopportata , lo aveva indotto a mormorare :
che cioè l'uomo non vivrà soltanto di pane, Sri oòx èst' apra jtóva SwieTa'
» «Spastoi xt5- .*
') 5 Mos. 8, 3 (continuazione di ciò che è citato a pag. 421 nota 3). Ed egli
ù (tu soffrire e ti affamò , xai sxax&ws <je xaì ihuay/ovyaì ai, -/.iX.
') Vedasi Fabricius, Coi. pseudepigr. V. T. pag. 598 e seg.
424 VITA DI GESÙ
Ma una tentazione non bastava. Per Abramo, i rabbini ne annove
ravano dieci; eran troppe per una esposizione drammatica come quella
che abbiamo nei vangeli, e fra i numeri inferiori, nessuno più presto
offerivasi del sacro numero tre. Tre volte , nell" angoscia dell' anima
sua, Gesù, a Getsemani, si staccò dai suoi discepoli (Matt., 26); tre
volte Pietro rinnegò il suo maestro (ibid.), e tre volte Gesù pose in
dubio l'amore che Pietro gli portava (Giov., 21). Nel passo rabbinico
ove il diavolo tenta personalmente Abramo, il patriarca impegna seco
lui tre lotte, e questa scena è analoga a quella dei vangeli pel modo
con cui le due parti si attaccano e si difendono con passi del vecchio
testamento ').
La seconda tentazione (secondo Matteo) non era determinata, come
la prima, dal legame con ciò che precede : essa apparisce adunque
d'improvviso, e la sua scelta può sembrare fortuita ed arbitraria. Ciò
è forse vero quanto alla forma; ma quanto alla sostanza essa trovasi
in esatto rapporto colla precedente, perchè, al pari di essa , attinta
alla condotta del popolo ebreo nel deserto.
Il popolo (3 Mos., 6, 16) era stato ammonito di non più tentare
Iddio, come lo aveva tentato a Massa; ammonimento che (I Cor., 10,9)
è dato pure ai membri della nuova alleanza, ma con un'allusione più
diretta al 4, Mos., 21, 4 e seg. e con rapporto a Cristo. E però questo
') In Gemara Sani), dopo quanto fu citato, pag. 439, nota 2, si legge' il
colloquio seguente fra Abramo e Satana:
1. Satanas: Annon tentare le (Deum) in tali re ujgre feras? Ecce erudiebas
multos.... labantem erigebant verba tua.... quum nunc advenit ad te (Deus
.taliler te lenlans) nonne Eegre ferres? (Giob. 4, 2 — a).
Cui respondit Abraham: Ego in integritate mea ambulo (Salmo 26, il).
2. Satanas: Annon timor tuus, spes tua (Giob. 4, 6)?
Abraham: Recordare quaeso, quis est insons, qui perierit (v. 7)?
3. Quare cum videret Satanas se nihil proflcere, nec Abraham sibi obedire,
dixit ad illum: Et ad me verbum furtim allalum est (v. 12), audivi... pecus
■fulurum esse prò holocausto (Gem. 22, 71, non autem Isaacum.
Cui respondit Abraham: Htec est poena mendacis, ut etiam cum vera loqui-
tur, fldes ei non habeatur.
Sono ben lontano dal sostenere che questa esposizione rabbinica sia stata
il tipo della nostra storia della tentazione: ma siccome, d'altra parte, non si
può nemmeno provare che tali esposizioni sieno state imitazioni dei racconti
del nuovo testamento , la formazione, supposta indipendente, di narrazioni
*osi analoghe dimostra con sufficiente chiarezza quanto esse potessero facil
mente nascere di per sè dalla premessa, una volta data.
CAPITOLO SECOSDO 428
più sopra citato '), viene attribuita alla suggestione diretta del diavolo,
ma , nelle idee posteriori dei giudei, l' idolatria era divenuta per lo
appunto l'adorazione del diavolo (Baruc 4, 7; 1 Cor., 10, 20). Ora
in qual modo doveva egli il Messìa essere tentato all' adorazione del
diavolo? Comunemente rappresentavasi il Messia come quegli che, re
del popolo giudaico, era destinato in pari tempo a divenire il signore
delle altre nazioni, e Satana come il sovrano dei pagani, che doveva
esser vinto dal Messia *). Il dominio del mondo, cui, secondo l'opi
nione cristianizzata di quel tempo, il Messia doveva conquistare con
lunghi sforzi, in parte dolorosi , venivagli offerto a buon prezzo da
Satana pur ch'ei gli pagasse il tributo dell'adorazione. A questa ten
tazione, Gesù risponde colla massima che bisogna servire Iddio solo,
massima che già era stata inculcata (5 Mos. 6, 13) agli Israeliti in
riguardo alla loro trasgressione; e con questa lo rimanda sconfitto.
Matteo e Marco terminano il racconto della tentazione, dicendo che
gli angeli si approssimarono a Gesù, -e lo ristorarono con cibi dopo
il lungo digiuno e le faticose tentazioni; quest'aggiunta ha il suo tipo
in parte nell'angelo il quale (secondo 1 Reg., 19, 5. 6) aveva portato
cibi ad Elia, innanzi il digiuno di quaranta giorni, come qui al Messia,
dopo il digiuno medesimo; in parte, nella manna che acquetò la fame
del popolo nel deserto e che fu chiamata pane degli angeli, óLf.tos àj-j-Aw
(Salmo 78, 25; LXX; confr. Sap., 16, 20) 3).
sviluppo di Gesù; del resto, la scena del suo dodicesimo anno non varrebbe
per sé stessa a comprovare uno sviluppo morale scevro da macchie, quan-
d'anco essa fosse storicamente vera ».
Ora volendo stare al racconto storico , completato dagli altri evangeli , si
troverebbe che il Battista conosceva la missione del Cristo, che Gesù cono
sceva il suo proprio carattere di Messia , e che il battesimo che Gesù rice-
xeva dalle mani di Giovanni era da una parte una sottomissione al rito, dal
l'altra la circostanza provvidenziale in cui la diviniti di Gesù doveva es
sere testimoniata da un sogno soprannaturale, come realmente avvenne. E
bob vi ha questioni da impiantare né punti da discutere, né difficoltà da
vincere. Le questioni , e le discussioni , e le difficoltà nascono dal pregiu
dizio di volere spiegare naturalmente il racconto di un fatto che includa
caratteri soprannaturali.
Considerato lutto da questo punto di vista, i paragrafi 51 e 52 divengono
sforzi di filosofia e di teologia per ispiegare ciò che non vuoisi accettare ,
quale è, nel racconto evangelico.
Al paragrafo SÌ comincia la critica sul luogo ad epoca della tentazione di
Gesù. Su questo fatto del Vangelo ecco le parole di Matteo al capo IV:
« Allora Gesù fu condotto dallo spirito nel deserto, per essere tentato dal
diavolo. E dopo che ebbe digiunato quaranta giórni e quaranta notti, alla
flne ebbe fame. E il tentatore, accostatoglisi, disse: Se pur tu sei figliuol di
Dio, di che queste pietre divengano pani. Ma egli, rispondendo, disse: L'uomo
non vive di pan solo, ma d'ogni parola che procede dalla bocca di Dio. Al
lora il diavolo lo trasportò nella santa città, e lo pose sopra l'orlo del tetto
del tempio, e gli disse: Se pur sei figliuol di Dio, gittati giù, perciocché egli
è scritto: Egli darà ordine ai suoi angeli intorno a te : ed essi ti torranno
nelle loro mani, che talora tu non t'intoppi dal pie in alcuna pietra. Gesù
gli disse: Egli è altresì scritto: non tentare il Signore Iddio tuo. Di nuovo il
diavolo lo trasportò sopra un monte altissimo , e gli mostrò tutti i regni
del mondo, e la lor gloria. E gli disse: io ti darò tutte queste cose, se gu
fandoti in terra, tu mi adori. Allora Gesù gli disse: Va, Satana, conciossiac-
ebé egli sta scritto: adora il Signore Iddio tuo, e servi a lui solo. Allora il
«avolo lo lasciò; ed ecco degli angeli vennero a lui, e gli ministravano ».
Nel vangelo di Marco, su questo fatto si legge solamente: al capol. « E
tosto appresso lo Spirito lo sospinge nel deserto. E fu quivi nel deserto qua
ranta giorni , tentato da Satana , e stava con le fiere, e gli angeli gli mini
stra va no ».
Finalmente al capo IV del vangelo di Luca leggesi:
430 VITA DI GESÙ
i
Cs? - //• f/ ,■/ /V.y «? f</// s//f
V T
I 56.
-
■
I 58.
') Paragonisi Theilc, Della Biogr. di Gesìt, g 21; Neander, L. J. Ch. p. 386.
*) Schleiermacher, pag. 65.
*) Ordo temporum, pag. 220 e seg.
') Paragonisi Paulus, I. cài., t, b, pag. 407.
CAPITOLO TEBZO 451
al quale pensava Olshausen però ha pienamente ragione , quando
Jice che le espressioni, avendo aperto il libro trovò il passo, «v/zjmS»;
?; t&M ijps tjv tì.tov, indicano d'aver egli trovato il passo, non già
(orandolo a posta, ma colla guida dello Spirito Santo. Ma che Gesù
«imbattesse incidentalmente appunto in quel passo che cosi eminen
temente prestavasi a designare il suo primo esordine nel ministero
messiaco, è caso la cui significante singolarità viene soltanto mala
mente nascosta dal richiamo di Olshausen alio Spirito Santo come a
im ex machina. Bensì poteva benissimo quella frase ricorrere di so
vente in bocca a Gesù , riferita a luì medesimo , ed essere presente
alla mente dell'evangelista come in Gesù "stesso adempitasi: Matteo
l'avrebbe forse introdotta in proprio nome colla formola perchè si
comprese, iva 7rÀ5sw3:", e avrebbe quindi detto che sin d' allora Gesù
aveva cominciata la sua annunciazione, xtpuyua, messiaca, acciò fosse
compinta la profezia di Isaia 61, l e seg.; Luca invece meno amante
ili tale formola, o, per lui, la tradizione a cui egli attinse, pone que
sto passo del profeta in bocca a Gesù stesso, al suo primo esordire
nel ministero messiaco: modificazione questa assai abile invero, ma
pur meno verosimile a motivo dell'incidente fortuito ch'essa implica;
per lo ebe io di preferenza accolgo la notizia indeterminata del fatto
quale ritrovasi in Matteo ed in Marco.
Havvi un altro punto della descrizione, che pone dal lato di Luca
i! vantaggio di un maggiore sviluppo: ed è il quadro drammatico della
scena del tumulto che pose termine all' avventura ; ma questa scena
pose in imbarazzo coloro stessi che danno nel complesso la preferenza
al di lui racconto. Poiché per un Iato era impossibile dissimularsi che
i molivi di cosi violenta via di fatto non risultano punto dalla, nar
razione di Luca *); e d'altro lato non si può negare, come fa Schle-
lermacher s), che qui venisse attentato alla vita di Gesù, senza ritener
I1' parole: sk to xaTaxpuvi'o» oóxbv, per traboccarlo già (v. 29) come
una falsa addizione del narratore: cosa che comprometterebbe la cre
dibilità del medesimo anche per tutto il rimanente del racconto.
In modo più speciale ancora, il passo, àtùSò» àia. itfooj «.'nàv mo^no,
passando per mezzo a loro se ne andò , è tale, almeno nello spirito
■
CAPITOLO TERZO 453
| 39-
') Le varie opinioni sono poste a raffronto in Hase , L. /., J33; Lùckf.
Conm. Evang., Giov. 2, pag. 2 e seg.
*) Vedi Liike e de Wette su questo passo.
') Paragonisi Hase, 1. cit.; Theile, Biogr. /., § 20; Neander, L.J. CA.,p.3»
430 e seg.
CAPITOMI TlillZO
Vieri. Notisi, col calcolo di cui risultano due anni più qualche cosn, noi
non otteniamo che un minimum della durata della vita pubblica di
Gesù, secondo Giovanni, poiché in nessuna parte l'evangelista ci in
dica che egli abbia voluto notare tutte le feste che cadono in questo
intervallo ed in particolare quelle che Gesù mai non visitò; e noi, dal
canto nostro, rifiutandoci fin da principio a supporre che l'evangelista
Giovanni sia l'autore del quarto vangelo, non abbiamo garanzia alcuna
l'h'egli conoscesse tutte le feste visitate da Gesù. Ben di sovente si
dice, in confronto di questo calcolo di Giovanni, che i sinottici hanno
dei motivi per limitare la vita pubblica di Gesù ad un anno '), ma
ciò riposa sulla sola supposizione che il Galileo Gesù abbia dovuto
visitare tutte le feste di Pasqua. Ora, quest'opinione è confutata dalla
narrazione dello stesso Giovanni, secondo il quale Gesù lasciò passare
la festa di Pasqua citata a G, 4, senza assistervi. E qui non è adirsi
che forse il narratore ha taciuto un viaggio realmente fatto da Gesù;
poiché dal 6, 1 , in cui Gesù è sulla via orientale del lago di Tibe-
riade, fino al 6, 17 e 59, ove si porta a Cafarnao, fino al 7, l,ove,
per evitare la Giudea, fa delle escursioni in Galilea, fino al 7, 2 e 10,
in cui si porta a Gerusalemme per la festa dei Tabernacoli, la narra
zione dell'evangelista concatenasi in modo che non rimane posto per
intercalarvi una visita alla festa di Pasqua. I sinottici, presi da soli, non ci
sanno assolutamente dire quanto tempo abbia durata la vita pubblica
di Gesù, non consultando questi' che il suo ministero avrebbe potuto
essere cesi di parecchi anni come di un solo; tranne che dovrebbesi
ammettere, che nell'ultimo anno solamente egli fece il viaggio di Ge
rusalemme per assistere alla festa di Pasqua. Vero è che fino dai primi
tempi, alcuni dei più antichi eretici *) e padri della Chiesa •"), hanno
parlato di un ministero pubblico di Gesù, che non aveva durato che
un anno; ma non è già sul silenzio dei sinottici intorno agli anteriori
viaggi fatti da Gesù per assistere alle feste , eh' essi hanno basato
questa induzione; essa risulta da qualche cosa di puramente acciden
tale, e questi stessi padri della chiesa noi dissimulano quando , per
pastificarla, invocano un passo di Isaia (01,1 e seg.), passo che Gesù
§ CO.
I 61.
Trattando del rapporto nel quale Gesù si era posto rispetto al-
I idea messiaca , noi possiamo distinguere ciò ch'egli diceva relati
vamente alla sua propria persona , da ciò che diceva relativamente
all'opera intrapresa da lui.
L'espressione più ovvia colla quale Gesù, secondo gli evangeli,
indica sé stesso, è quella di figliuolo dell'uomo, b mot tsi av; l'espres
sione corrispondente in ebraico DiN~"p, figlio d'Adamo, è, nel vec
chio testamento, una designazione estremamente generale dell'uomo;
ed anco in bocca di Gesù si potrebbe interpretarla in questo modo.
Ciò converrebbe in alcuni passi ; per esempio nel passo ove .Gesù
(Matt. ìt, 8) dice: poiché il figliuolo dell'uomo i signore del sabbato,
*jp:»,- yxp ia-.i toì) aa&3aTou b ui'ss tsù avSpaiTrou, SÌ potrebbe con Grotius
intendere come se significasse che l' uomo è signore del sabbato; e
') Ciò che si riferisce in ispecie all'idea del Messia paziente, morente e ri
sorto, é escluso da questo capitolo e riservato alla storia della Passione.
4G4 VITA DI GESÙ
tanto più se lo si raffronti con Marco, nel quale (2, 27) si trova
questa proposizione: ti sabbato è stato fatto per l'uomo, e non l'uomo
pel sabbato, th oÓL^atov àtx tsv àv3p(>)not iy'v.vio, ab'-/ ò apporrò; J;i -':
actppanmt Ma la maggior parte degli altri passi si riferiscono ad im
uomo particolare. Cosi quando Gesù (Matt. 8, 20), per fàr compren
dere allo scriba, j pauuemà;, che vuole seguirlo, le varie difficoltà an
nesse ad una tale posizione, gli dice: il figliuolo dell'uomo non haote
posare la testa, o tìsj toj à-vrpójrou oòx iyy., rroG t;;v woat?^ xL'vy, egli do
vette qui alludere ad un uomo particolare, l'uomo che lo scriba ol-
frivasi a seguire, cioè Gesù stesso. Si cercò di spiegare come una tale
espressione potesse avere questo significato, e si disse che Gesù, alla
maniera orientale, designava sè medesimo nella terza persona per evi
tare l'io ')• Ma quando si vuole essere inteso non si parla di sè in
terza persona , se non in quanto la designazione sia precisa e non
applicabile a veruno degli astanti, eccetto colui che parla; per esem
pio, quando il padre , il re parla di sè stesso in questo modo: che
se la designazione è per sè stessa indecisa , bisogna che un pro
nome dimostrativo venga in aiuto per precisarla. Quindi essendo
l'espressione uomo . la più generale di tutte le indicazioni , non po
trebbe servirsene colui che intendesse parlare di sè stesso. Si può
ammettere che una volta o l'altra un gesto indicativo terrà luogo di
una parola dimostrativa, e basterà ; ma che Gesù , il più delle volte
eh' egli usò di questa espressione , abbia sempre avuto bisogno di
ricorrere ad un segno esplicativo, e sopratutto che i narratori, ai quali
mancava la possibilità di ritrarre il segno esplicativo, non abbiano chia
rito la parte incerta dell'espressione mercè una aggiunta dimostrativa,
è cosa che non si riesce a comprendere. Se Gesù ed i narratori tro
varono parimenti inutile la cura di aggiungere questo schiarimento,
l'espressione dovette contenere in sè stessa un significato preciso. Ora
qui, alcuni pensano che Gesù volesse, con queste parole, indicare sé
stesso come l'uomo per eccellenza, l'uomo ideale -); ma non evvi al
cuna traccia che questa espressione abbia avuto un tale signifi
cato-ai tempo di Gesù 3), e vi si troverebbe più facilmente il si
gnificato opposto, quello d'un uomo umile e disprezzato; come infatti
M Sehòttgen, n»nr, 2, pag. 65, 73: Hajvernlck, I. cit., pag. 245 e se*.
*> Vedansi le principali opinioni in Hrevernick, I. cit., pag. 2'ti e se?.
") Selii'ittgen, Hom, 2, pag. 75.
') Si pensi soltanto alla indicazione dell'elegia Davidica (2 Sani., li
e seg.) per nep ed alla denominazione del Messia come n.lOJf. Se Schleier
macher avesse voluto prendere in considerazione questa maniera giudaica ili
denominare , non avrebbe potuto accusare di singolarità l' idea di riferir'
l'espressione Figlinolo MVnomo al passo ili Daniele (Glaultensl., S Mi P-^-
Nolej.
capitolo ot.vhTO 407
'•ontro le imminenti perseetìzioni oolla promessa . riferita più sopra .
i-b'essi non avrinno compiuto il criro per tutte le città d'Israele, prima
rk fosse venuto il figlio dell'uomo, jv,> àv3/Mwroinjj -AX~zr> fa -a: la quale
•'spressione, presa in sé stessa, si potrebbe tanto più facilmente rife
rire ad una terza persona , di cui Gesù annuncerebbe il prossimo
nrriw messiaco, in quanto che egli, che parlava, era di già venuto:
laonde non bene scorgesi corno egli potesse figurarsi come solo al
lora imminente la sua venuta,
Cosi pure, quando Gesù (Matt. 13, 37 e seg.i designa il semina-
ture, vziif.wj, della parabola come il figlio dell'uomo, v-h; wj du£pferov,
il quale alla fine dei giorni raccoglierà la messe e siederà in giudi-
ciò, sembra ch'ei voglia parlare del Messia, come di -una terza per
sona diversa da lui: e quando (Matt. 16, 27 e seg.) per avvalorare
l'asserto che la conquista di tutto il mondo, xsmto: &Xs?, non compensa
la perdita dell'anima, ùyph, egli accenna al prossimo arrivo del figlio
iloll' uomo per la retribuzione , egli parla nel mòdo con cui un pre
cursore messiaco annuncierebbe quegli che dee venire dopo di lui.
Finalmente nei corrispondenti discorsi ( Matt. 24 , 25 parali.) varie
cose sembrerebbero assai più facili a spiegarsi ammettendo che qui
l'oratore, per il figlio dell'uomo la cui apparizione, siapcuoia, egli de
scrive, intenda una persona diversa da sè medesimo.
Non però in tutti i casi nei quali Gesù adopera la frase in discorso,
<■ ammissibile questa interpretazione. Quand'egli rappresenta il figliuolo
•iell'uomo quale un essere non già da aspettarsi, ma già venuto e presente
tome Matt, (18, H ) ove dice: poiché il figliuol dell'uomo venne per salvare
fili che era perduto, ftz* yap b o.-se-ioi òcvSparrou cijt.*<j«ì ■/.■/.■ nàu-t: 'i%
■j.t.vjùLì:): quand'egli a giustificare le opere da lui compiute adduce l'au-
imtà del figliuolo dell'uomo (Matt. 9, 6); quand'egli parla della im
minente passione e morte del figlio dell'uomo, si che Pietro gli dice:
Tolga ciò Iddio, questo non ti avverrà punto, où iti etoi m>. tojts: è
evidente che in questi simili cast Gesù colle parole figlio dell'uomo ,
tsi ènzpàniit , non poteva intendere altro che sè medesimo. Ed
uizi, quei passi che noi , prendendoli isolatamente , abbiamo trovato
applicabili ad un personaggio messiaco diverso da Gesù, non lo sono
pi quando i passi testé citati che oggi vi si collegano, fossero real
mente, anco in origine, in rapporto con essi. Non è tuttavia impro
babile che qui venissero dal narratore poste in rapporto fra loro frasi
<lie dapprima non lo erano, o che l'opinione successivamente forma
rsi intomo a Gesù quale figlio dell'uomo, riferisse immediatamente
468 VITA DI GESÙ
al primo ciò che in origine era detto soltanto del secondo. Oltre al
fatto pertanto , che Gesù in molte occasioni designò sè stesso quale
figlio dell'uomo, ci resta anche la probabilità che egli, in certe altre,
abbia designato con quelle parole una persona diversa da lui; le quali
altre occasioni avrebbero naturalmente, in tal caso, preceduto in tempo
le prime. Probabilità siffatta possiamo noi elevarla a realtà? A questa
domanda premettiamo quest'altra: Ritrovasi nell'epoca della quale ab
biamo espressioni e frasi di Gesù, qualche passo in cui egli mostrasse
di non riguardarsi per anco quale il Messia?
I C2.
') Sotto questo riguardo presentasi un'altra difficoltà nel modo con cui Gesù
«spooe, in Matteo, la sua domanda sull'opinione degli uomini intorno a lui:
Ckt dicono gli uomini ch'io sia , io figliuol dell'uomo? i>mj, uz Izyowjtv o< àv-
:t«ro! i va:, tcv bhv toù àvSpvTrsu; che è quanto dire : Quale idea hanno
sii «omini di me che sono.il Messia? Gli interpreti cercarono in diverse guise
di rimuovere questa anticipata dichiarazione. Gli uni (peres. Beza) concepi
scono quella frase addizionale non già come una dichiarazione di Gesù intorno
alla propria persona, ina come una semplice determinazione della domandar •
Per chi mi crede la gente? forse per il Messia? Ma sarebbe questa -— bene
osserva Fritzsche — una domanda suggestiva dalla quale trapela un'ambi
zione al titolo di Messia, che non era propria a Gesù. Perciò vollero altri
'«me Paulus , Frilzsehe) , dare alfui'o-: toj àv^aTrcu, il significalo generale
'ii: quest'uomo: interpretazione contraddetta da quanto venne esposto più
sopra. Che se non si vogliono ritenere le parole in questione come una seui-
[diee aggiunta, che surta dall'intimo convincimento dell'autoi-3 del 1" vangelo,
In da questi posta fuor di luogo in bocca a Gesù; bisognerà, con De-Welte
tExeget. Handb., i, 1, pag. 86, e se'g.), riguardare la frase: ù.'oj toù àvìpusrcu,
'ome una designazione del Messia, bensì, ma puramente indiretta: dimodoché
•«a per Gesù e per coloro ch'erano già convinti del suo carattere messiaco,
lignificava, cou rapporto a Daniele, il Messia; per gli altri invece, volea dire
«mplieemenle : quest'uomo.
472 VITA Di GESÙ
della vita di Gesù '). Ma qui ancora noi non ci dobbiamo dimenti
care della norma altrove già addotta, che cioè, in narrazioni tendenti
a magnificare le cose, come sono i nostri evangeli, presentandosi punii
in litigio, dovrassi ritenere per meno degna di fede quella fra le di
verse versioni che meglio risponde alla suaccennata tendenza. Ed è
questo appunto il caso della narrazione sinottica, nella quale Gesù, dal
principio alla fine del suo publico ministero, appare invariabilmente
nel suo splendore messiaco, laddove nei sinottici questa luce subisce
fasi di trasformazione. Se però, sotto questo rapporto, la narrazione
dei 3 primi evangelisti ha per sé un criterio di maggiore verosimi
glianza, l'ordine della medesima che fa seguire ad esplicite dichiara
zioni e riconoscimenti della dignità messiaca di Gesù l'ignoranza e
la simulazione di quella dignità stessa, non può essere il vero: e però
dobbiamo accettare l' ipotesi che i sinottici abbiano confuso assieme
due punti diversi della vita di Gesù, nel secondo dei quali soltanto
egli avrebbe emessa la dichiarazione di essere il Messia. E infatti noi
troviamo le parole con cui Gesù mostrasi per la prima volta hi pir-
blico, per nulla diverse da quelle di Giovanni , il quale annunciava»
per semplice precursore: è lo stesso: pentitevi, poiché s'avvicina il Re
gno de' Cieli, utTa.voe.hv nyytxt ?»«p v ^aLaùxia. tav buavwpv (Matteo i: 17)
già predicato dal Battista (3, 2); grido col quale né 1' uno nò l'altro
assumeva peranco la parte del Messia, che, come presente, apre «gli
stesso il Regno de' Cieli, masibbene quella soltanto d'un maestro che ne
annuncia la prossima venuta 2).
A ragione pertanto, la critica più moderna del primo vangelo stabili
per canone, che: ogni qualvolta questo vangelo racconta discorsi ed
atti nei quali Gesù si dà esplicitamente per il Messia, o lascia tutta
la latitudine a credere essere egli il Messia, —allorché questi discorsi ed
atti sono narrati prima della dichiarazione di Gesù stesso (Giovanni 5) o
prima del riconoscimento da parte degli apostoli (Matteo t6),— si ab
biano essi a ritenere come violazioni dell'autore contro la cronologia
o contro la fedeltà letterale "); al che solo si potrebbe objetlare che,
la posizione di questo riconoscimento, poco prima della storia della
passione (appunto a motivo dell'innegabile disordine cronologico dn
sinottici), non ne costringe per nulla alla ipotesi che Gesù venisse sol-
si dovrà accettare anco per tutti gli altri casi in cui quel divieto fu
dato. E la ragione più evidente di esso altro non può essere se noi»
che il desiderio d'impedire che si divulgasse troppo la credenza del
suo carattere messiaco. In Marco (1, 34) é detto, che Gesù proibì ai
demoni da lui scacciati di parla re, poichèessi lo conoscevano, i-i yiwtv a~<;
e quando inculca ai demoni, secondo Marco, (3, 12), agli infermi risanati,
secondo Matteo (1 % 16), di non manifestarlo, h% «>j favtpbv ajriv xotjouos,'
ciò evidentemente vuol dire, che né i demoni dovevano farlo cono
scere per colui ch'essi avevano conosciuto mercè la loro penetrazione
diabolica, né quelli da lui risanati per colui ch'essi avevano conosciuto
dal fatto della guarigione miracolosa, cioè pel Messia. Di siffatto con
legno di Gesù si volle generalmente ricercare il motivo in Giovanni
(6, 13) e si disse che Gesù voleva impedire il suscitarsi dell'idea poli
tica del Messia tra la folla e i tumulti che ne sarebbero derivati ').
Certo sarebbe questa una ragione decisiva; ma invece i sinottici pre
sentano la cosa, da un lato, come se il divieto procedesse da umilia
di Gesù s) al quale Matteo applica l'oracolo di Isaia sul servo del Si
gnore che opera in silenzio (Isaia 42, 1 e seg.); dall'altro lato (e su
ciò maggiormente insistono), come se Gesù avesse avuto a temere per
sé della propria qualificazione di Messia, e come se il Messia, per lo
meno quale era Gesù, fosse stato già anticipatamente posto al bando
dalla gerarchia giudaica.
Da tutto questo si potrebbe pertanto dedurre essersi Gesù, per ri
guardi puramente esterni, astenuto da una aperta dichiarazione, men
tre egli era sin da principio convinto del proprio carattere messiaco;
ma a quest'ultima ipotesi contraddice quanto si è veduto più sopra,
che cioè Gesù esordì nella vita publica colla identica dichiarazione
del Battista, la quale difficilmente poteva avere in sua bocca altro senso
da quello in cui il Battista medesimo l'aveva adoperata, vale a dire
l'annuncio di un Messia venturo. L'ipotesi più naturale che qui ci si
presenta si è che Gesù, il quale, discepolo dapprima del Battista, era
a questi sottentrato, dopo il di lui arresto, nella predicazione della
penitenza, ^s-rocvoia, e dell'approssimarsi del Regno de'Cieli, patina v»
§ 63.
L'espressione figlio di Dio, u;os ni» 6e'.u, noi l'abbiamo trovata nel
significato fisico proprio e più rigoroso, in Luca 4 , 35 , dove Gesù
viene cosi nominato a motivo della sua immediata concezione per
opera dello Spirito Santo. Al contrario questa espressione si trova
nel suo significato più esteso morale e metaforico in Matteo (5, 45),
ove tutti quelli che imitano Iddio' nell'amore verso i proprj nemici
sodo chiamati figli del Padre celeste.
') Se anco si addotta una diversa lezione per il passo parallelo in Matt. (19,
16 seg.\ resta pur sempre a domandarsi quale dolio due lezioni meriti la
preferenza, se la sua o quella degli altri due sinottici.
VITA DI GESÙ
oi<h!s erri} tvóoxit t'i-J uibv , si «>; b grar/p* sàJ'i tìv sra.~ipa t<; iftiyaócxtt . ti
trì o ìi'ib?, xat (} é«v (?3u?.i;t«.' b uió; àsroxQtJ.ji^ai (Matt., di, 27). Presi as
sieme i due passi sinottici, può bensi risultarne il senso die Gesù si
trova, rapporto alla sapienza ed al volere, in intima comunanza eoo
Dio: in maniera però che l'appellativo della bontà assoluta, come pure
della assoluta sapienza, su ciò che riguarda per esempio il giorno e
l'ora vu'ipa xaì àp«(Marc. 13,.32 paralip.), della consumazione dei secoli,
sia riservata esclusivamente a Dio, e resti con ciò ricisamente trac
ciata la linea di confine tra il divino e l'umano. Ma quantunque,
anche nel quarto evangelo, Gesù dichiari: Il padre r maggiore di me.
b storto fica ftùtwj uno imi (14, 28), si ha pur sempre diritto di chie
dere se il rifiuto dell'appellativo ay/J';; nei sinottici si possa cosi facil
mente e interamente conciliare colle numerose espressioni del quari"
evangelo di senso interamente opposto. Oltre di che dee recar mera
viglia, a rapporto del quarto evangelo, che Gesù vi si mostri ignorante
affatto del senso teocratico della frase u/b? toO ©so:j, e sappia soltanto
giustificare il senso metafisico in cui egli l'adopera in questo vangelo,
appoggiandosi al senso metafisico e indetermì-nato. Quando infatti
(Giov. 10,34 e seg.) Gesù giustifica il proprio appellativo di figlio dt
Dia, vh; Toj tisli, riferendosi alla denominazione dii, Sse', la quale nel
l'antico testamento (Ps. 82, G) , veniva data anche ad altri uomini .
come principi e magistrati : domandasi il perchè Gesù si appiglia a
questo argomento cosi precario e remoto, mentre ne aveva dinanzi
imo perentorio: che cioè in quella guisa che nell'antico testamento i
re teocratici o meglio , secondo 1' interpretazione allora in voga dei
passi relativi, il Messia, veniva designato qual figlio di Jehova : cosi
«gli, che al v. 25 erasi già dichiarato per il Messia, avea pienissimo
diritto di appropriarsi quella denominazione.
Venendo ora alle opinioni degli altri intorno a Gesù qual figlio di
Dio, vero è che noi troviamo diverse volte, anche nel quarto evan
gelo, nei discorsi rivolti a Gesù da persone a lui benevole 1' »«; «j
resi, unito a parole e frasi che lo dimostrano un semplice sinonimo
del XpMjTb?: ma nello stesso vangelo, i giudei 'Liv^a'o;, avversi a Gesù
mostrano di ignorare nei loro attacchi , del pari che Gesù nella sua
difesa, questo significato della frase, e di appigliarsi semplicemente
;il senso metafisico della medesima. Anche nei sinottici, è vero, quando
Gesù risponde affermativamente alla domanda, s'egli sia il Cristo, e
accenna alla sua veduta sopra le nubi (Matt. 20, 05 parali.), il gran
sacerdote esclama: Egli ha bestemmiato! ip.aotfityji; ma tale esclama
CAPITOLO QUABTO 47!)
zione riguarda soltanto la pretesa di Gesù, ingiustificata agli occhi dello
slesso sacerdote, di appropriarsi la dignità teocratica del Messia. Per
111 contrario, nel quarto evangelo, quando chiama se medesimo figlio
di Dio (Giov. 5, 17 seg. 10, 30 seg.), i giudei vogliono porlo a morte
per l'espresso motivo ch'egli si era dichiarato eguale a Dio, hov tu
■\ anzi lo slesso Dio, «zur-v rtiv. Mentre, secondo i sinottici, il gran
>acerdote riguarda l'idea di figlio di Dio cosi intimamente connessa
ill'idea di Messia, che nella domanda da lui mossa a Gesù, egli pone assie
me ambedue le frasi; secondo Giovanni, invece, i giudei riguardano la
prima di queste idee di tanto superiore alla seconda, che essi ascoltano
pazientemente la dichiarazione di Gesù di essere il Messia (IO, 25);
ma non appena egli comincia a presentarsi qual figlio di Dio, Io voglio-
no lapidare. Nei vangeli sinottici pare si rimproveri a Gesù che egli,
nomo vulgare, pretenda di essere il Messia: in Giovanni invece, che egli,
N'mplice uomo, pretenda riguardarsi per un essere divino. A ragione
perciò Olsliausen ed altri insistono dicendo, che nei passi citati del
'piarlo evangelo, la espressione figlio di Dio , u 05 tcj rzivj, non suona
punto equivalente a quella di Messia, ma sorpassa di gran lunga la
idea che del Messia generalmente si aveva '); ma non per questo gli
stessi interpreti hanno diritto a conchiudere, che anche nei tre primi
• vangeli l'espressione in discorso significa assai più che non la sem
plice idea di Messia -). Perciocché nella domanda del gran sacerdote
i Mail. 20, 03), l'ui'sj toj €>e5j, mal si potrebbe interpretare altrimenti che
come mi semplice sinonimo amplificativo del Xpwtòf, e cosi nel passo
parallelo in Luca (22, 67), i Giudici primieramente domandano a Gesù
»'egli sia il X/wnie; e avendo egli declinata una risposta diretta, pur
accennando come il figlio dell'uomo sieda alla destra di Dio, astiosa
mente soggiungono; Tu dunque sei il figlio di Dio? nù oùv gì b u&s toù
;-.j(v. 70); ma dopo che essi credono di avere avuto su ciò una rispo
sta affermativa, lo accusano a Pilato come uno che pretende essere
il Cristo re, XpKrrw $ar,<X'\a (23, 2 ). Ora, in tutto questo racconto, nulla
<li più evidente che le frasi figlio dell'uomo, figlio di Dio e Messia,
sono scambiati come semplici idee sinonirne.
Qui dunque è forza ammettere una differenza tra i sinottici e Gio
vanni, e fors'anco una certa quale indecisione in quest'ultimo; poiché
fjdi, in varj discorsi diretti a Gesù, mantenne la solila formola che unisse.
la frase vili tòt fhsu coll'altre X^wto-, ovvero f}aoi>.sìk v*j Iapa,7., senza
però tener caso, come di solito avviene nelle forinole, della differenza
tra il significato che YvìU toj Seoj doveva avere unito a quelle parole,
e il significato in cui egli lo aveva adoperato altrove; e di vero, non
meno difficilmente che nella domanda del gran sacerdote, si potrebbe
nel discorso di Natanaele accordare alla frase uìès toó 5esù un senso
più elevato. *)
Che però Gesù ed i suoi avversarj ignorassero così completamente
il significato teocratico della espressione uih tsu 3es';, come parrebbe
nel quarto evangelo, è cosa della quale, a ragione, dubita l'autore dei
Probabilien 2); perocché cosi a Gesù che ai giudei, coi quali egli
aveva che fare, quel significato dovea riuscire il più ovvio; a meno
che non vi fosse stato tra essi alcuno cresciuto alla cultura alessandrina, al
quale certamente, come anche al quarto evangelista, autore del Pro
logo, presentavasi più immediato il rapporto -metafisico del l'cyo; paoiui,
con Dio.
S 64.
fino dalla creazione del mondo era l'istramento attivo di questa crea
zione (Col. 1, 16): egli esisteva prima ancora del mondo ') e prima
eh' ei si facesse uomo in Gesù egli era in istato di gloria appresso
a Dio (Thil. 2, 6).
Siccome pertanto l'idea d'una preesistenza del Messia esisteva nella
teologia superiore degli ebrei nell'epoca immediatamente successiva a
quella di Gesù: egli è naturale il supporre, ch'ella esistesse anco nel
tempo in cui Gesù si formò; e che in conseguenza, volta ch'ei prese
a riguardarsi per il Messia, egli avesse potuto riferire a sé medesimo
questo tratto particolare della imagine del Messia. Che però Gesù fosse
cosi imbevuto, come più tardi un Paolo, della filosofia scolastica del
suo tempo, da attingere ad essa l'idea della preesistenza, è questione
tuttora indecisa; ed essendo l'autore del quarto vangelo famigliare alla
dottrina alessandrina del verbo, il solo che ponga in bocca a Gesù
l'asserzione di preesistenza siffatta, cosi rimane tuttora in dubio se questa
asserzione derivi da opinione propria di Gesù sopra sé medesimo o
da semplice riflessione del quarto evangelista.
§ 65.
') Nezach Israel, e. 5*)' seg. 48 , 1 (in Schmidt , Bill, fùr Kritik und Eie-
gene, i, pag. 38): ìmn *:E3 rmrn. Sonar. Levit. f. 14, 56 (in Scliòttgen, 3,
pag. 43(5): Septem (lumina condita sunt, anteqnam muntiti* couderetur ), nini-
rum.... et lumen Messia. La preesistenza del Messia rappresentata qui come
reale, non si trova più concepita clic come ideale in Biresohith rubba, sect l,
f. 5, 3 (ScoUgcn, ibid.).
CAPITOLO QUARTO 488
tata tal quale la trovò nel popolo; ovvero vi ha, di suo arbitrio , in
trodotto modificazioni?
L'idea messiaca , nata fra i giudei sopra un terreno politico-reli
gioso , era stata particolarmente favorita nel suo sviluppo dalle sven
ture politiche dei tempi. Ed all'epoca stessa di Gesù, secondo la pro
pria testimonianza degli evangelisti , era aspettazione generale che il
Messia salisse sul trono del suo antenato David , liberasse il popolo
giudaico dall'oppressione dei romani, e fondasse un regno senza fine
(Luca l , 32 e seg., 68 e seg. Atti Ap. 1 , 6). Quindi la prima do
manda a farsi si è: se Gesù abbia accolto nel suo piano messiaco
questo elemento politico.
Che Gesù abbia voluto farsi dominatore temporale, fu in ogni tempo
asserito dagli avversari del cristianesimo, e da nessuno con maggior
vigore, sul terreno dell'esegesi, dell'autore dei frammenti di Wolfen-
liiitlel *), il quale del resto non contesta a Gesù il desiderio di miglio
rare la sua nazione. Ciò che agli occhi di questo autore sembra an
zitutto indicare un piano politico di Gesù , si è che egli si limitava
sempre ad annunciare il regno prossimo del Messia , ed a segnalare
le condizioni necessarie per entrarvi: ma non ispiegava che cosa fosse
questo regno ed in che consistesse s) e quindi ne supponeva l' idea
conosciuta generalmente. Ora , quella che in allora prevaleva aveva
un colore specialmente politico; laonde i giudei, secondo l'autore dei
frammenti , non potevano , quando Gesù parlava del regno messiaco
senza maggiori spiegazioni, pensare ad altro che ad un dominio tem
porale: e poiché Gesù non poteva supporre che le sue parole venis
sero comprese altrimenti, è forza ammettere eh' ci volesse essere in
teso a quel modo. Ma a ciò si obietta che nelle parabole, nelle quali
Gesù mise in chiaro l'idea del regno di Dio, nel discorso del monte,
in cui egli espose i doveri dei cittadini di questo regno, finalmente nel
complesso delle sue azioni e della sua condotta ritrovasi una più che suf
ficiente spiegazione della idea propria di Gesù intorno al regno mes
siaco. Più determinata appare , dal punto di vista in discorso , 1' os
servazione che Gesù incaricò gli apostoli , V opinione dei quali non
poteva essergli ignota , di percorrere il paese per annunciarvi il re-
') Voh dem Zweck Jesu nnd seiner Jilnger (Sullo scopo di Gesù e de' suoi
discepoli).
•) Paragonisi Fritzsche in Matt., pag. 114.
48(5 VITA ni GLSÙ
gno messiaco (Matt. 10). Ora questi apostoli , i quali si disputavano
il primo posto nel regno che Gesù stava per fondare (Matt. 18, I;
Luca 22, 24); questi apostoli, due dei quali pretendevano esplicita
mente di sedere a destra ed a sinistra del re messiaco (Marco IO, 35
e seg.); questi apostoli i quali, anche dopo la morte e la risurrezione
di Gesù , aspettavano una restituzione della sovranità ad Israelh .
àmcxaStaxxvw xiv fioniliiav x<a 'lapxiX (Atti Ap. 1, 6), ebbero evidente-
mente , fino dal principio alla fine della loro convivenza con Gesù .
le opinioni comuni intorno al Messia; e poiché Gesù li ha mandati
come araldi del suo regno, sembra fosse suo disegno che essi aves
sero a propagare per ogni dove le loro idee politiche sul Messia.
Fra gli stessi discorsi di Gesù, se ne segnalò uno in ispecie. Pie
tro domandava, cosa avrebbero in ricompensa coloro che per lui ave
vano lasciato ogni cosa (Matt. 19, 28; paragonisi Luca 22, 30); in ri
sposta, Gesù promette a'suoi discepoli che nella palingenesia, rraJ-n-j
quando il figliuolo dell' uomo si sarà assiso sul suo trono della glo
ria, essi occuperanno dodici seggi, e giudicheranno le dodici tribù di
Israele. Che il senso letterale immediato di questa promessa appar
tenga alla serie delle speranze che i giudei d' allora fondavano sul
Messia, è cosa ammessa da tutti. Si risponde, è vero, che Gesù non
deve averle intese nel senso letterale , ma bensi metaforico , ed ha
voluto soltanto significare con imagi ni famigliari agli Ebrei, che gli
Apostoli sarebbero stati ricompensati nelf altra vita dei sagrilìci so
stentili in questa eolla partecipazione alla gloria del Messia ')• Ma non
<• men vero che i discepoli devono avere inteso questo discorso nel
senso immediato, poiché, anche dopo la risurrezione di Gesù , simili
pensieri occupavan tuttora la loro mente: e siccome Gesù, per prove
avute, conosceva la loro inclinazione a concepire speranze temporali
del Messia; cosi, se non fosse stato suo disegno il confermarli in esse,
ei non si sarebbe fatta lecita una simile promessa. Supporre che. senza
condividere la loro aspettazione, egli tenesse loro un tal linguaggio,
solo per adattarsi alle loro idee ed infiammare il loro coraggio, si e
un farlo agire con islealtà, e, nel nostro caso, con una slealtà inutile;
avvegnacchè, come osserva a ragione Olshausen, alla domanda diPit1-
') Kuinol, Comm. in Mail., pag. òl8 e seg. Anche Olshausen, pag. 744.
concepisce simbolicamente il discorso, quantunque egli ravvisi nel medesimi'
un diverso significato.
CAPITOLO 'Jl tllIU 4s:
tro, bastava rispondere con qualunque altra lode accordata agli sforzi
dei discepoli. E come da ciò parrebbe giuocoforza il conchiudere, che
Gesù abbia egli stesso condivise le speranze ebraiche, di cui egli era
l'organo, cosi gli interpreti fanno gli sforzi più disperati per sottrarsi
a questo risultato che loro s' impone. Gli uni vi si provano con ar
bitrarie alterazioni del testo *) ; gli altri interpretando le parole di
Gesù come un' ironia sulle smodate pretese dei discepoli in compenso
dei loro servigi ancor sì meschini 2); altri, in altri modi ancora, ma
tatti cosi poco naturali, che si preferisce supporre aver Gesù voluto
con quelle parole, in base alle opinioni ebraiche, promettere agli apo
stoli una partecipazione al giudizio messiaco che snrebbe stato tenuto
esternamente da lui, il che ad ogni modo include un elemento mzio-
nale nelle sue idee sul regno messiaco; anzi, secondo la storia degli
Apostoli (1 , 7) , Gesù alla già citata domanda dei discepoli non ri
sponde già negando ch'egli sia per restituire il regno di Israele, ma
solo respingendo, come ad essi incompetente, la domanda relativa ai
tempi e alle stagioni y/ovon e o« ,' di quella restituzione. Fra le
azioni di Gesù, a dimostrare aver egli avuto un piano politico, si in
voca specialmente il suo ultimo ingresso in Gerusalemme (.Matt. 21 ,
I e seg.). Qui, secondo l'autore dei frammenti, tutto accenna ad uifo
scopo politico: il momento prescelto da Gesù, vale a dire la festa di
Pasqua, ove affluiva numeroso il' concorso della popolazione , eh' egli
avea da lunga mano preparata nelle Provincie; l'animale che egli ca
valca e col quale, giusta l'oracolo di Zaccaria, egli voleva annunciarsi
come il re destinato a Gerusalemme; l'approvazione da lui espressa
quando il popolo Io accoglie con un saluto regale ; la condotta vio
lenta ch'egli tosto si fa lecito nel tempio; e finalmente il discorso in
cisivo da lui pronunciato contro l'Alto Consiglio (Matt. 23) e nella
cai conclusione egli cerca strappare al popolo il riconoscimento del
suo carattere di re messiaco , colla minaccia di non più mostrarsi
a lui.
I 66.
V) Così Reinhard, sul piano concepito dal fondatore della religione cri
stiana per il bene dell'umanità, pag. 57 e seg. ( 4 ediz.).
CAPITOLO OOABTO 489
Venne questa abilmente tentata col distinguere nel piano di Gesù
una forma anteriore ed una posteriore *). Quantunque si disse, il mi
glioramento morale e l' elevazione religiosa del suo popolo fossero
state in ogni tempo il suo scopo principale , tuttavia egli aveva , al
principio del suo ministero pubblico, concepito la speranza di rinno
vare, col mezzo di questo rinascimento interno , la gloria eterna della
teocrazia, volta ch'ei fosse stato riconosciuto dalla nazione pel Messia,
e rivestito, come tale, della suprema autorità; ma quando questa spe
ranza ebbe fallito, egli comprese che Dio rigettava ogni relazione po
litica del piano messiaco e in conseguenza lo innalzò ad un piano
puramente spirituale. Ciò che dimostra, continuasi, una tale modifica
zione nel piano di Gesù, si è che, quanto la serenità regna sull'esor
dio della sua vita pubblica, altrettanto la melanconia si diffonde sulla
line; che i mali e i patimenti si succedono invece dell'anno felice del
Signore dapprima annunciato, e ch'egli stesso affliggendosi della
sorte a cui è destinata la città di Gerusalemme , esclama eh' egli
aveva pensato a salvarla , ma che ora eli' era condannata a perire
anche politicamente.
Siccome però gli evangelisti non distinguono menomamente que
sti due supposti periodi , chè anzi pongono i due dati più essenziali
per il lato politico del piano di Gesù , vale a dire la promessa dei
troni e l' ingresso in Gerusalemme , nell' ultimo tempo della vita di
Gesù stesso, cosi si potrebbe anche qui, come già più sopra nel rap
porto di Gesù coli' idea messiaca, supporre una confusione di tempi
oei racconti evangelici ; ma questa ipotesi sarebbe solo da adottarsi
quando nessun' altra uscita rimanesse , vale a dire quando non fosse
possibile in verun altro modo spiegare il come Gesù potesse ad un
tempo aver dette quelle espressioni di color politico e quell'altre esclu
denti ogni politica idea.
Ma ciò è tutt'altro che impossibile; chè anzi Gesù poteva benissimo
promettere il ^ìitaàai siri ?p:vou; per sè e per i suoi discepoli, senza
punto mirare a impadronirsi di quella dignità mediante una rivolu-
') Paulus, Lebeu Jesu, 1, b, pag. 83, 94, iOG e seg.; Venturini, 2, pag. 310
« seg.; Hase, Leben Jesu, erste Auflage, |J 68, 84. Nella seconda edizione || 49
« 30 (confrontisi i suoi scritti polemici di teologia 1, pag. 61 e seg.); Hase
ritrattò , benché a malincuore, quest' opinione nel senso per lo meno che
Gesù, dice egli, aveva sorpassato la tendenza politica dell'idea messiaca an-
<w prima dell'episodio della sua vita pubblica.
490 mia in i.knù
nozze (Mali. 8, li; 22, 2 e seg. ecc.) in cui egli stesso spera ancora
di bere (Matt. 26, 29) e di celebrare la Pasqua (Lue. 26, 16): ma la
precisa dichiarazione da lui data altrove, che nell'aia* uDJ>am cesseranno
i rapporti organici dei sessi, e gli uomini diverranno simili agli angioli,
«n-?.;.' (Lue. 27, 35 e seg.), sembra ridurre dal più al meno quei
discorsi al valore di semplici imagini.
Dal che si conchiude, che se la speranza messiaca di Gesù non era
politica e neanco semplicemente mondana, in quantochè ciò ch'egli spe
rava doveva avvenire sopranaturalmente ed agire sul terreno ultra-
mondano (della terra rinnovata), quella speranza non era nemmeno
l'uramente spirituale nel senso moderno, in quanto che essa riposava
wra importanti e speciali mutamenti nelle cose esterne; ma la era
un'opinione nazionale e teocratica, spiritualizzata e nobilitata però dal
carniere speciale dell'opinione cosmico-etico-religiosa di Gesù.
§ 67.
ton fatto che la costituzione religiosa di Mosè trovò la sua rovina nella
Chiesa fondata da Gesù. Or si domanda: la distruzione del mosaismo
fa essa pure nell'intenzione del fondatore? Lo affermarono gli apologeti e
Unto più recisamente quanto più Gesù solle vossi al disopra dell' an-
jrasta cerchia del servizio cerimoniale giudaico ').
Né mancano dichiarazioni ed atti di Gesù i quali sembrano indicare
questa intenzione in modo irrecusabile. Dappertutto ov' egli specifica
le condizioni per la partecipazione al regno dei Cieli, ponitela wj c'òparov,
come nel discorso della montagna , è sua cura l' insistere non sul
l'adempimento delle prescrizioni speciali della legge mosaica , ma
sullo spirito interno di religione e di morale: al digiuno, alla preghiera.
') Egli è ancora l'autore dei Frammenti di Wolfenbàttel che ragionò in <il|C-
sto senso col maggior vigore logico. Vedasi il frammento: Voti dcmZwcck, ecc.
*) Specialmente Fritzsche in Matt., pag. 214.
') Vedasi Winer Bibl. Iìcalvorlerb., 2, pag. 406 e seg.
494 VITA 1)1 GESÙ
§ 68.
•) Così Reinhard, 1. e: Planck, storia del Cristianesimo nel periodo della sui
introduzione. 1, pag. 179 e seg.
') Paulus, Leben Jc$u, 1, a, pag. 380 e seg. Hase, L. J., g 102.
') Olshausen, 1, pag. 507.
M Hase, I. c.
t
CAPITOLO QUABTO SOI
Nemmeno lo stesso Marco, il quale cerca attenuare la cosa, può aver pen
sato a dissimulazione siffatta; che allora, invece dell'omissione di quella
frase che a lui sembra più ripugnante , e invece della insufficiente
aggiunta: non voleva essere conosciuto, ob9i\a*$òù.i jvSvaf, avrebb'egli
tolto di mezzo la difficoltà nel modo più efficace , con un' osserva
zione, qual sarebbe per es.: disse questo per metterla alla prova, toù-co
H Dtn TtupiZtM a-np (confr. Giov. 6 , 6). Sembra adunque che qui
Gesù condivida l'avversione de' suoi connazionali verso i gentili; anzi
questa appare in lui più forte che non ne'suoi discepoli, se pure l'in
tercessione di questi ultimi a favore della donna non è una semplice
addizione della leggenda che cerca ovunque i contrasti ed i gruppi.
Vero è, che il valore di questo racconto viene quasi interamente
distrutto da un altro , nel quale Gesù procede in modo affatto op
posto. Perocché il capitano di Capernao, parimenti gentile (come ri
solta dalle parole: Non ho trovato una fede simile in Israele, cbàì vi
••i lijpofl- ixsoijrvrj slam éùpsv), non ha appena mosso a Gesù un la
mento simile a quello della donna , che tosto egli medesimo si offre
a retarsi in casa sua per guarirvi il di lui servo (Matt. 8, 5 e seg.).
Ora, se qui Gesù non esita un istante ad adoperare la sua virtù sa-
natrice in prò d'un gentile, come sta, domanderassi, che in un caso
affatto identico, egli si ricusi così a lungo a fare la stessa cosa?
Teramente , se la collocazione dei due racconti nei vangeli deve si
gnificar qualche cosa, egli doveva essere divenuto col progresso del
topo vieppiù tenace ed esclusivo ne'suoi principii. Tutto sta che que
sto singolo beneficio impartito da Gesù ad un gentile, se da un lato
trovasi in insolubile contradizione col racconto precedente, giusta il quale
«i sarebbesi ricusato ad un identico atto; dall'altro non basta a provare,
contro l'espresso divieto fatto da Gesù a' suoi discepoli, che egli pen
sasse ad ammettere i gentili come tali anche nel suo regno messiaco.
Nemmeno valgono a provarlo le stesse predizioni di Gesù sul pas
saggio del regno de' cieli dai giudei ai gentili. In occasione del succitato
incontro col capitano di Capernao, Gesù assicura che nel regno dei
l flefi, /faoAt&x tu* oòpavó* , molti verranno da oriente e da occidente ,
«xTrb àvaTo^v xaì 3wjuóv, e siederanno a mensa coi patriarchi ,
mentre i figli del regno, vìoì t.Js paoìkùas, ossia, evidentemente i giudei,
ai quali esso era primitivamente destinato, ne saranno espulsi (Matt. 8,
U e seg). Con maggior precisione ancora, Gesù dichiara a' suoi com
patrioti, applicando loro il senso della parabola dei vignaiuoli, che il
Tfjno di Dio verrà tolto loro e dato ad una nazione che ne raccorrà
502 VITA DI GESÙ
i frutti , cTi àfzr,avtai à<f buav n Saotltia toù 'inoli xoh doltfonat tòsti .-r:-
iouvti tcù; xapnsù; aiT« (Matt. 21, 43). Ma il senso più ovvio di tali
dichiarazioni è quello stesso che i profeti attribuirono mai sempre alle
loro promesse sulla estensione del regno messiaco a tutti i popoli
della terra: che cioè i gentili sarebbero ritornati al servizio di Jehora.
avrebbero abbracciato nel suo complesso la religione mosaica, e, solo
in seguito a ciò , sarebbero stati accettati nel regno messiaco. Colla
quale interpretazione può benissimo conciliarsi il divieto, fatto da Gesù
a' suoi discepoli, di volgersi ai gentili prima che fosse avvenuta la
loro conversione.
Tuttavia, nei discorsi sullà propria presenza, Gesù riguarda l'annun
ciazione del vangelo a tutti i popoli, come una delle circostanze che
devono precedere il suo ritorno (Matt. 24, 14; Marc. 13. 10), e dopo
la di lui resurrezione, riferiscono i sinottici aver egli ordinato a' suoi
discepoli: Andate, ammaestrate tutti i popoli, battezzandoli, sropeu^iva:
uaZntùoaxs siamo. t« éz'.y, /fasiTifovrcs «utoù?, x. t. ?.. (Matt. 28, 19;Marc. 16.
15; Lue. 24, 47); il che significa, ch'essi dovessero volgersi ai gentili
colla promessa del regno messiaco, quand'anco questi non si fossero
prima convertiti al giudaismo. Ma trascorsa la prima festa di Pente
coste, i discepoli, lungi dall'accingersi alla esecuzione di quest'ordine,
non si tosto presentasi da sé l'occasione di porlo ad effetto, si com
portano in modo come se nulla sapessero di una simile intimazione
di Gesù (Att. ap. 10 e 11). Il centurione gentile Cornelio, degno per la
sua pia condotta di essere ammesso nella comunità messiaca, viene
da Dio, per mezzo d'un angelo, indirizzato all'apostolo Pietro. Siccome
Dio non ignorava (il che vuoisi aggiungere per completare il racconto
secondo lo spirito stesso del narratore) quanto difficile sarebbe stato
lo indurre l'apostolo a ricevere, senz'altro, un gentile nel regno mes
siaco, egli stimò necessario il preparar Pietro ad un simile passo mediante
una visione simbolica. In seguito a che, Pietro recasi bensi da Cornelio:
ma quando trattasi di battezzare lui e la sua famiglia, egli non visi
determina che dietro un nuovo segno; quando cioè egli scorge scender
sovr'essi lo Spirito Santo, stutùua àpov. Più tardi, i giudei cristiani di
Gerusalemme l'interpellano per aver egli ricevuto dei gentili; e, per
tutta giustificazione, Pietro invoca la visione avuta e lo Spirito Santo
da lui veduto discendere sulla famiglia del Centurione. Pensi ognuno
di questa storia come più gli aggrada; ad ogni modo, essa è un monu
mento delle lunghe esitanze ed interne lotte che gli apostoli ebbero
a sostenere dopo la morte di Gesù, per convincersi della ammissibilità
CAPITOLO QUARTO 503
dei gentili , come tali, nel regno del loro Messia: e in pari tempo un
monumento dei motivi pei quali essi furono definitivamente a ciò
determinati. Ma se nel cosi detto ordine di battesimo avevasi una cosi
evidente e precisa intimazione di Gesù, qual bisogno d' una visione
per indur Pietro all'adempimento della medesima? ovvero, se si vuol
concepire la visione come una veste mitica delle spontanee rifles
sioni dei discepoli, qual bisogno di un circolo vizioso, — della rifles
sione cioè che tutti gli uomini devono essere battezzati, perchè innanzi
a Dio tutti gli uomini, al paro di tutti gli animali, come sue creature,
devono essere puri, — dal momento che si aveva dinanzi ud espresso
romando di Gesù? Da ciò l'alternativa: o Gesù aveva già dato quel-
lordine, e non è vero che i suoi discepoli si convincessero dell'ammis
sibilità dei gentili soltanto dietro ciò che narrasi negli Atti degli ap. 10 ,
11; o questa narrazione è vera, e quel preteso ordine di Gesù non
può essere storico. La norma da noi prefissa ci fa decidere per que
st'ultima opinione. Poiché il supporre che l'accessibilità del cristiane
simo a tutti i popoli, e la sua imparzialità verso la xtpmuv e l'àxpo-
fa-ìa, passate più tardi in pratica, e divenute uno degli attributi
essenziali del cristianesimo stesso, fossero già nell'intenzione del suo
fondatore , è 1' opinione che meglio si presta a nobilitare ed esaltare
quest'ultimo, mentre invece il supporre, che soltanto dopo la morte di
Gesù, col progrediente sviluppo dei rapporti , venisse aperto a tutti
indistintamente i gentili il regno messiaco , riservato dal suo fondatore
a quelli soltanto fra essi che si fossero prima convertiti al giudaismo,
él'opinione più semplice, più naturale e perciò più conforme al probabile
andamento della cosa.
S04 VITA DI GESÙ
S 69-
') Antic, 20, 6, 1. In Lightfoot, pag. 991 e seg., abbiamo principi rabbi
nici che non sono del tutto in accordo con quello che qui si dice.
CAPITOLO QUABTO 505
*) Comm. in Joann. Tom. 13. Sul principio del 2.4 Volume della edizione di
Lommalzsch.
CAPITOLO QUABTO 513
Stucss — V. di G. Voi. I. 33
NOTE CRITICHE AL CAPITOLO TERZO.
Nel paragrafo 57, clic è il primo del Capo IH, la critica dell'autore si versi
sulla divergenza fra i sinottici e Giovanni sul teatro ordinario del ministero
di Gesù. E si finisce col concludere sopra una divergenza reale tra il vangeli
di Giovanni e dei sinottici.
Basta leggere il paragrafo succitato per veder chiaramente come Io Strau»
non dia molto peso né alla questione , né alle sue conclusioni, tanto da dire:
«^ci accontentiamo di aver sottoposto ad ulteriore esame il vero stato delti
questione tra il vangelo di Giovanni e i sinottici, così di sovente discono
sciuto ».
A noi sembra che ammettendo il completarsi dei vangeli l'uno con l'altro.
ciò che per altro quasi tutti ammettono, la questione si sciolga. Sei sinottici
segnano più particolarmente un luogo perchè parlano dei fatti di Gesù
in quel luogo, e Giovanni ne segna più particolarmente un altro perehf
narra i fatti di Gesù avvenuti in esso , riunendo il vangelo di Giovanni '
dei sinottici si ha la storia completa, e si vedono i luoghi dove i fatti ac
caddero.
La divergenza vera da cui si potesse cavare argomento contrario alla veri
dicità dei racconti non potrebbe esser che una, quella cioè che Giovanni et
i sinottici parlassero di un medesimo falto, ed il primo lo dicesse avveuul'
CAPITOLO OUARTO Ì5 I ì>
in un luogo, e gli altri in un altro: e questo non si incontra; chè anzi dove
Giovanni ed i sinottici narrano lo stesso fatto convengono sempre sul luogo
senza mai contraddirsi.
.Nel paragrafo 58 la critica è portata sulla residenza di Gesù a Cafarnao e
sulle ragioni che lo spinsero ad abbandonare la città natia. Neanco in questo
noi troviamo conti-adizioni negli evangeli, comunque il fallo venga narrato
in parte da un vangelo ed in parte da un altro. Ecco ciò che nei vangeli si
trova: Marco al capo I dice:
« Or passeggiando lungo il mar della Galilea egli vide Simone ed Andrea,
fratello d'esso Simone, che gettavano la lor rete in mare, ecc.
< Poi passando un poco più oltre di là, vide Giacomo di Zebedeo e Giovanni
suo fratello, i quali racconciava!! le lor reti nella navicella.
< E subito li chiamò, ed essi lasciato Zebedeo, lor padre, nella navicella ,
con gli operai se ne andarono dietro a lui.
• Ed entrarono in Capernaum ; e subito, in giorno di sabalo, egli entrò
nella sinagoga, e insegnava. »
Matteo al capo IV, dopo aver parlalo della tentazione, dice:
« Or Gesù avendo udito che Giovanni era stato messo in prigione, si ritrasse
m Galilea.
< E lasciato Nazaret, venne ad abitare in Capernaum, città posta in sulla
riva del mare, ai confini di Zàbulon e di Neftali.
« Acciocché si adempiesse quello che fu detto dal profeta Isaia, dicendo:
• Il paese di Zàbulon e di Neftali, traendo verso il mare; la contrada d'oltre
il Giordano, la Galilea dei gentili.
■ Il popolo che giaceva in tenebre, ha veduto una gran luce, ed a coloro
che giacevano nella contrada e nell'ombra della morte, si è levata la luce. »
Luca al capo IV narra il seguente avvenimento:
• E venne in Nazaret, ove era slato allevato; ed entrò, come era usato, in
siorno di sabato, nella, sinagoga; e si levò per leggere. E gli fu dato in mano
4 libro del profeta Isaia; e, spiegato il libro, trovò quel luogo, dove era scritto:
Lo spirito del Signore è sopra di me; perciocché egli mi ha unto; egli mi ha
mandato per evangelizzare a'poveri, per guarire i contriti di cuore, per bandii1
liberazione a' prigioni, e racquisto della vista a'eiechi: per mandarne in libertà
i fiaccati, e per predicar l'anno accettevole del Signore. Poi, ripiegato il libro,
e rondatolo al ministro, si pose a sedere; e gli occhi di tutti coloro ch'erano
nella sinagoga erano affissati in lui; ed egli prese a dir loro: Questa scrittura
oggi adempiuta ne' vostri orecchi. E lutti gli rendevano testimonianza, e
si meravigliavano delle parole di grazia che procedevano dalla sua bocca; e
516 ▼ITA DI GESÙ
dicevano: Non è costui il figliuolo di Giuseppe? Ed egli disse loro: Del tutto
voi mi direte questo proverbio: Medico, cura te stesso, fa eziandio qui, nella
tua patria, tutte le cose che abbiamo udite essere state fatte in Capernaum.
Ma egli disse: Io vi dico in verità, che niun profeta è accetto nella sua patria.
• Io vi dico in verità, che ai di di Elia, quando il cielo fu serrato tre anni, e
sei mesi, talché vi fu gran fame in tutto il paese, vi erano molte vedove in
Israele. E pure a niuna d'esse fu mandato Elia; anzi ad una donna vedova in
Sarepta di Sidon. Ed al tempo del profeta Eliseo vi erano molli lebbrosi in
Israele; e pur niun di loro fu mondato; ma Naaman Siro. E tulli furon ripieni
d'ira nella sinagoga, udendo queste cose. E, levatisi, lo cacciarono dalla città
e lo menarono fino al margine della sommità del monte, sopra al quale la lor
città era edificata, per traboccarlo giù. Ma egli passò per mezzo loroesei»
andò. E scese in Capernaum, città della Galilea; e insegnava la gente ne' sa
bati. Ed essi stupivano della sua dottrina; perciocché la sua parola era eoo
autorità. »
Finalmente nel quarto vangelo, al secondo capo, si legge:
< Dopo questo (il miracolo di Cana di Galilea) discese in Capernaum, egli
e sua madre e i suoi fratelli e i suoi discepoli, e stellerò quivi non molti
giorni. •
Or si vede chiaramente che riunendo insieme ciò che i quattro evangelisti
narrano, si forma una narrazione completa con la spiegazione delle ragioni
edei precedenti che spinsero Gesù a recarsi in Capernaum. È questa narrazione
senza contradizioni di sorta.
Certamente il Cristo compiva le profezie, e quindi Matteo cita nel suo van
gelo la profezia di Isaia: è ragione dogmatica, dice lo Slrauss; e noi com
prendiamo che questa ragione che per noi ha tanta forza, non ne ha nessuni
per chi si pone a volere spiegare tutto senza l'intervento del sopranatumlf
Al paragrafo 59 — divergenza degli evangelisti intorno alla cronologia della
vita di Gesù. Durata del suo ministero publico — si leva una questione che non
ì; questione, e che lo Slrauss poteva lasciar di trattare. Se egli stesso dice che né
i primi tre evangeli né il quarto intendono stabilire la cronologia della vita diGe-
sù, nè la durala del suo ministero pubblico, non vi ha modo di far notare la loro
divergenza, come infalli dalla critica dell'autore la divergenza non sorge. Egli
poi ricorre ai 'primi padri della chiesa, ma come ci entrano le opinioni ek
asserzioni dei padri coi vangeli non sappiamo capire. I padri eran padroni
di fantasticare a loro modo, e di computare come meglio loro piaceva, e a
contradirsi l'un l'altro. Ma non è lecito escire dal campo evangelico, fde
in quel campo solamente che le questioni vogliono essere agitate.
CAPITOLO QUARTO 517
E questo valga eziandio pel paragrafo 60, nel quale ci pare che lo Slruuss
voglia ad ogni costo ammettere che gli evangelisti la pretendevano a fare
un racconto cronologico. Ciò non ci sembra, e non appare, e le transizioni
della seguente forma — al momento in cui egli discese dalla montagna ; —
allontanandosi di là — Mentre egli pronunciava queste parole — in questo giorno
- allora — ed ecco che ecc., non lo troviamo dappertutto; talché gli aned
doti restano chiaramente staccati. Ed è un fatto che agli evangelisti non im
portava far conoscere la cronologia dei fatti, ma i fatti ; non l' ordine della
vita di Cristo, ma la vita di Cristo; non la successione della verità , ma la
veriti
§ 70.
•) Kuinòl Comm. in Mail. pag. 100; Lùcke Comi», in Giovanni i pag. 588;
Olshausen Bibl., Comm. i pag. 197; Hase Leben Jesu | 56, 61; Neander L. J.
Chr., pag. 247 e seg.
CAPITOLO UUISTO 5S:i
risultato è che essi lo seguirono, tfxoXoóSwav ainò: espressioni le quali
vanno intese nel senso che fino d'allora i discepoli seguirono costan
temente Gesù. Nel quarto vangelo un'espressione simile è adoperata,
ugnimi, àxolzùàti uoi, e qui bisogna intenderla in un altro senso: da
ciò la contraddizione. Bisogna adunque lodare Paulus di essere stato
abbastanza conseguente per trovare non solo nella narrazione del quarto
vangelo, ma anche in quella dei due sinottici, un invito che Gesù fece
a queste persone di accompagnarlo per qualche tempo soltanto , in
alcune corse vicine '). Ma questa interpretazione del racconto dei
sinottici è impossibile. Come mai, più tardi, Pietro, a nome degli altri
apostoli, avrebbe potuto dire a Gesù con tanta energia : Noi abbiamo
lutto abbandonato per seguirti: 'àob ine'; à^xafwv 7ràvra xal U^-oubi-
•Muaou, e domandare: Qual ricompensa ne avremo? Ti dpv. foxat iu\;
e come mai Gesù avrebbe egli potuto promettere a coloro che lo
seguirono, e a tutti coloro che per la sua causa lasceranno le loro case, ecc.,
una restituzione del centuplo (Matt. 19, 27 e seg.) se abbandonare,
seguire e tutto quanto è indicato nella stessa guisa significava soltanto
che gli apostoli si erano uniti a Gesù per un dato tempo ed in un
modo interrotto? Appare pertanto verosimile che il seguirmi, àxoloùcc. uot,
di Giovanni esprima pur esso relazioni, fino d'allora costanti, di maestro
a discepolo : jdel che d' altronde si trovano le tracce più manifeste
nel contesto del racconto del quarto vangelo. Se, nei sinottici, Gesù
è solo prima della scena della vocazione, e se da quella in poi, ad ogni
circostanza opportuna, è fatta menzione dei suoi discepoli , «oòrcai ,
ugualmente, nel quarto vangelo, Gesù , non accompagnato prima della
scena della vocazione, sembra dopo d'allora in compagniadei discepoli
(2,2. li, 12. 17; 3, 22; 4, 8. 27, ecc). 11 dire che i discepoli aggre
gati nella Perea si sperdettero dopo il ritorno di Gesù in Galilea 2)
è un far violenza agli evangeli per conciliarli; poiché, ammessa pure
questa dispersione, essi non potevano, nella breve durata che sola si
piò attribuire alla loro lontananza , essere a lui ridivenuti talmente
stranieri, da essere obbligato, come riferisce il racconto dei sinottici,
a far conoscenza con essi, come se per lo inanzi e' non li avesse mai
conosciuti. Più ancora, se in un primo supposto incontro Gesù avea
') Ut.
CAPITOLO QUINTO 531
i 71-
Pesca di Pietro.
ci l'eber den Zweck der et. Gesclt. und der tir. toh., pag. 350.
532 VITA DI GESÙ
tore d'uomini: INI oo/jsu* òsrb tsù vùv «v?càirsi>; £ay £<uy/:óv, quei Ire
uomini lasciano ogni cosa e Io seguono.
Fanno gli interpreti razionalisti di grandi sforzi per provare che quanto
è qui narrato è possibile in via naturale. Secondo loro il risultato meravi
glioso della pesca fu in parte l'opera di una giusta osservazione di Gesù.in
parte un caso fortuito. Gesù, secondo Paulus '), neU'avanzarsi sul lago non
avea dapprima altra intenzione che di congedare il popolo; solo lorchè gli
parve trovare in questa navigazione un sito pescoso, egli invitò Pietro a
gettarvi le reti. La è questa una duplice contraddizione riguardo al rac
conto evangelico. Se Gesù dice immediatamente: Avanzati nel lago,egina
le reti, ecc., 'Er.uvdyayt d; to /5»So?, xo.i yeOjxeazt là àixrva, xtX., egli aveva
evidentemente sino dal momento della partenza l'intenzione di deter
minar Pietro a pescare: e se stando sulla riva esprimevasi cosi, la sua
speranza di una felice pesca non poteva certo derivare dall'aver egli
osservato un sito pescoso lungi dalla riva ch'ei non aveva peranco
lasciata. Si dovrebbe adunque dire coli' autore della Storia naturale
ilei gran profeta di Nazaret aver Gesù congetturato in generale,
che in date circostanze ( forse all'approssimarsi di una tempesta) la
pesca nel mezzo del lago sarebbe riuscita migliore che non nella
notte precedente. Ma, partendo dal punto di vista naturale, come mai
Gesù avrebbe potuto su ciò giudicare meglio di uomini i quali, da pe
scatori ebe erano, avevano passata la metà della loro vita sul lago? Certo
i pescatori nulla vedevano che li autorizzasse ad isperare una pesca felice;
quindi Gesù non potè neppur egli notare alcunché di simile per via
naturale, e la coincidenza del risultato colla sua promessa, se si vuol
conservare jl punto di vista naturale, deve essere attribuita al pure
caso. Ma quale spensierata presunzione il fare a caso una promessa
che, dietro il risultato della pesca della notte precedente, aveva più
probabilità di cattiva che di buona riuscita? Gesù, rispondesi, invita
soltanto Pietro a fare ancora un tentativo, senza nulla promettergli
di positivo. Ma l'invito di Gesù di lanciare le reti è preciso; Gesù non
Io revoca, quantunque Pietro osservi che le circostanze sono sfavore
voli alla pesca. Ora, in un invito sì preciso, sta una promessa, e que
ste parole, lanciate le reti ecc., non potevano, nel nostro passo, avere
altro significato da quello ch'esse hanno in una scena simile raccon
tata da Giovanni , ove è detto: lanciate le reti a destra del battello
e voi troverete: I'ó/stò eì; t« ùzlià. «ip ~vj jtXo/ou tò àixrvav, *ai zj^ìir.-.
nessuno aver finora dubitato che la narrazione di Luca non desse un'imma
gine ben più fedele di tutta l'avventura; poiché con una quantità di tratti
speciali, drammatici e d'una verità intima, essa si distingue, a suo
grandissimo vantaggio, dalla narrazione del primo (e del seconda) evan-
gelo, che, ommettcndo la particolarità principale e veramente deci
siva (la pesca miracolosa), mostra di non esser stata redatta da un testi
monio oculare '). Già altrove *) occupandomi del libro di questo cri
tico, io non esitai ad esprimere il dubbio ch'egli combatte, e non posso
qui che ripetere la domanda da me fatta in allora : Poiché l'uno dei
due racconti dovette nascere per via di tradizione orale, quale delle
due cose è più conforme all'essenza della tradizione: che cioè un fatto
realmente avvenuto, la pesca miracolosa, sia stato semplificato e ri
dotto ad un semplice motto relativo ai pescatori d'uomini, — ovvero
che questa parola figurata, la sola reale, sia stata amplificata per modo
da divenire la storia della pesca miracolosa? La risposta a questa do
manda non potrebbe essere dubbia. Da quando in qua sarebbe egli
nello spirito della leggenda il ridurre una cosa reale, come il racconto
di un miracolo, ad una cosa puramente ideale, come un semplice di
scorso? La natura stessa della gradazione di sviluppo che segue la
leggenda, e la facoltà intellettuale da cui essa principalmente dipende,
impongono ch'ella dia un corpo solido al pensiero fuggitivo, per fis
sare in un avvenimento universalmente intelligibile ed imperituro la
parola, il cui significato si altera cosi facilmente ed il cui suono d'i
eco in eco^si perde con tanta prontezza.
E nulla è più facile che lo spiegare come la parola conservata dai
due primi evangelisti abbia potuto dar origine al racconto meraviglioso
riportato dal terzo. Se Gesù chiamò pescatori di uomini i suoi apo
stoli , perchè alcuni fra loro avevano dapprima esercitato il mestiere
di pescatori; s'egli paragonò il regno del cielo ad una rete lanciata
nel mare, axyivri (fistiai e-s ti)v 'baXnnaaa.v, in cui si pigliano d'ogni ma
niera pesci (Matteo 13, 47 e seg.), ne risultava naturalmente che gli apo
stoli erano coloro i quali, per ordine di Gesù, gettavano questa rete
e facevano questa pesca miracolosamente copiosa 3). Aggiungasi che
') Porphyr, Vita Pylhagone , n.° 2o ed. Kiessling ; lamblich., v. T., n.° 30,
medesima edizione. È qui lecito il confrontare questa storia, poiché essendo
«ssa meno meravigliosa della storia raccontata nell'evangelo, non può esserne
una copia; ed essendosi formata indipendentemente da questa storia, addila
una tendenza comune dell'antica leggenda a crearne di simili.
*) Luca 5, 5; Noi abbiamo lavorato tutta la notte, e non abbiamo preso nulla
eh' "o>.iì; t« vuxrb, xa.-niaaa.vtt; sùeMv ù.ó$onvj. Giov. 21, 3; Ed in quella notte
non presero nulla, xclì vi ixinv -; vuxtì isttàaav obà'tv.
3) Conf. De Welle, Eseg. Handb., I, 3, pag. 213.
5)38 VITA DI GESÙ
Vocazione di Matteo.
Relazioni di Gesù, coi pubblicani.
abbandonò ogni cosa; Matteo dice soltanto che egli segui Gesù e che
preparò un pasto al quale presero parte molti pubblicani e peccatori,
*-on gran scandalo dei farisei.
A motivo della differenza dei nomi, si pensò dapprima che qui si
trattasse di due avventure differenti1); ma questa differenza di nomi
è più che bilanciata dalle altre rassomiglianze. Gli avvenimenti fra i
quali Matteo intercala questa storia sono gli stessi negli altri due evan
gelisti ; d' ambe le parti , il soggetto della storia occupa la stessa
posizione. Gesù gli indirizza la parola negli stessi termini, ed il risultato
è lo stesso *). Si convenne dunque abbastanza generalmente nel rico
noscere che i tre evangelisti non raccontano che un solo ed unico
avvenimento ; soltanto , si dimanda se non sia uno spingersi troppo
oltre l'ammettere in pari tempo che, malgrado la differenza dei nomi,
essi abbiano designata una sola ed unica persona e che questa per
sona sia l'apostolo Matteo. Si cerca d'ordinario di render possibile que
sta spiegazione supponendo che Levi fosse il nome proprio e Matteo
soltanto il soprannome 3); ovvero che unendosi a Gesù, ei cangiasse
il suo nome di Levi in quello di Matteo 4). Per essere autorizzati a
fare questa ipotesi ci occorrerebbe qualche traccia d'onde risultasse che
gli evangelisti, i quali danno il nome di Levi al pubblicano di cui si
tratta , non intendono per esso altri che colui da essi citato sotto
il nome di Matteo, nella lista degli apostoli: ora , non solo essi non
dicono , in questa lista ove si trovano parecchi soprannomi e nomi
duplicati (Marco 3, 18; Luca G, 15; Atti ap. i, 13), che Levi fosse
il nome anteriore od il nome proprio di Matteo: ma nominando il
loro Matteo, omettono persino di aggiungere al suo nome l' indica
zione di pubblicano, b iiVmik, designazione che il primo evangelista
non omette nella sua lista (10, 3); ciò che prova evidentemente che
essi non considerano Matteo come una sola ed identica persona col
Levi che Gesù tolse dal suo banco delle gabelle h).
Se dunque gli evangelisti raccontano la vocazione di due uomini
differenti, ma in un modo affatto analogo, non è probabile che le due
§ 73.
I dodici apostoli.
Gli uomini la vocazione dei quali è stata (in qui considerata: i figli
di Jona, i figli di Zebedeo con Filippo e Matteo, escluso il solo Na-
tanaele, formano la metà di quel cerchio ristretto dei discepoli di
Gesù che , in tutto il nuovo testamento , riceve la designazione
<loi battesimo co' suoi discepoli. E però non sarebbe di questo dato
positivo del quarto evangelo che avrebbesi a dubitare ; piuttosto , la
notizia negativa, che Gesù non battezzò personalmente, 'ìvjojj «ito-- cix
^istillai (4, 2), notizia che d'altronde viene assai tardi dopo
ripetuta, f^ósTTidev e /3ostt£ìi b 'I aous (3,22; 4, 1), potrebbe essere
derivata dalla tendenza del quarto evangelo a porre decisamente Gesù
al di sopra di Giovanni Battista e quindi dal timore di far esercitare
dal Messia medesimo le funzioni del semplice precursore; malgrado di
che, la cosa che appunto suscitò molti scrupoli nella chiesa si fu che
Gesù non avesse per lo meno battezzato gli apostoli.
All'in fuori di questa missione gli evangeli non dicono che i dodici
si sicno separati da Gesù per alcuna assenza prolungata; poiché non
prova nulla l'esser eglino dopo la morte di Gesù ritornati alle loro
occupazioni (Giov. 21, 2 e seg.). L'idea d'introdurre tali interruzioni
nella società di Gesù con i dodici è surta, sia dallo, zelo per l'armo-
nistica, che fece desiderare a certi teologi di guadagnare, dopo la prima
vocazione , spazio per una seconda- e per una terza , sia dagli sforzi
degli interpreti, i quali, volti intieramente ai particolari della vita, vol
lero far comprendere l'esistenza di tanti uomini senza risorse, dimo
strando che ad intervalli essi si separarono da Gesù per darsi ai loro
lavori e quadagnare qualche cosa. Quanto all'esistenza di Gesù e della
sua compagnia, l'ospitalità dell'oriente , che fra i giudei esercitavasi
principalmente a favore dei rabbini: la compagnia di donne ricche, che
provvedevano a' suoi bisogni col loro avere, akui; cS'iijxovsu; ai>TÓ arri
tan uzapyò-Adv </.ly.cti (Luca 8, 2 e seg.) ; da ultimo la borsa, }")m*j':-
xauov, di cui non parlasi, è vero, che nel quarto evangelista (12, G;
13, 20), borsa che, oltre al sopperire ai bisogni della società, poteva
anche fornire soccorsi ai poveri, e nella quale noi dobbiamo supporre
che amici agiati di Gesù versassero contribuzioni: tutto questo bastava,
ci sembra, per assicurare i mezzi di sussistenza. Colui che, o non trova
queste risorse bastevoli senza il lavoro dei discepoli , o non trova
verosimile che i dodici avessero rinunciato completamente alle loro
occupazioni, non deve almeno pretendere di imporre la sua opinione
agli evangeli che stabiliscono manifestamente l'opinione opposta , in
ragione della grande importanza che essi attribuiscono all'espressione
degli apostoli: Noi abbiamo tutto abbandonato, à^V/inv rrivra (Matt.
ì[), 27 e seg).
I dodici apostoli di Gesù, per quanto si può dedurre dai particolari
che ci furono trasmessi sulla loro condizione, appartenevano tutti alla
550 VITA- DI GESÙ
') &• la città di Andrea e di Pietro >/sriX<; Axfyioo x?.i lls-pou in Giov. I 45
significa la stessa cosa che la città propria y iàia srbhs in Matt., 9, 1, cioè il
luogo ove essi erano domiciliati, vi ha una contraddizione fra Giovanni e i
sinottici.
s) Per queste due cose confrontisi Fritzsche in Malt., pag. 558.
CAPITOLO QU1KTO 381
'i Anche questo, riposa senza alcun dubbio, su d'una semplice conclusione
<li Marco. Siccome Gesù allontana la folla non chiamata, e proibisce l'avve
nimento , l'evangelista vide qui uua di quelle scene segrete alle quali Gesù
non ammetteva di solito che quei tre discepoli.
5'oÌ VITA DI GESÙ
') Anche Paulus, L. J. i, a, pag. 167 e seg. osserva come il qnarlo evan
gelista sembri in ciò diretto da uno scopo speciale.
capitolo ouisto 555
'; Ciò non isfuggi allo sguardo acuto del doli. Paulus. In un esame del
I. volume della 2 ediz. di Lùcke, Comm. zum Johannes, nel Lit. Bl. zur allgem.
Kirchenzeitung, feb. 1834, pag. 137 fi seg. egli dice: Il quarto evangelo riferisce
di Pietro (eccezion fatta dell'unico passo 6, 68) soltanto circostanze vantaggiose
ni minor grado (qui sono eitati i passi da noi esaminali più sopra) e che spe
cialmente lo pongono al di sotto di Giovanni. Difficilmente un fautore di Pietro
può aver preso parie alla redazione delPevangelo di Giovanni: esso sembra
piuttosto opera di un antagonista di Pietro: e di questi ve n'erano, come qui
vediamo, non solo seguaci di Paolo, ma anco di Giovanni.
556 VITA DI GESÙ
tutti gli altri discepoli, nelfevangelo che da lui prende il nome, colla
qualificazione costante di discepolo prediletto, b uoù^k Sv vyxsra, ovvero
éollv. 'hmbs (13, 23; lì), 26; 20, 2; 21, 7, 20).
Questa designazione, e l'altra ancor più indecisa, t'aero, b«Uo.-, o
semplicemente un altro discepolo, dllo; uzfore;.(10, 15 e seg.; 20, 3,4,
8) la quale, come scorgesi dal 20, 2 e seg., accenna, insieme colla prima,
ad una sola e medesima persona, si riferiscono esse all'apostolo Gio
vanni? Veramente ciò non risulta dal quarto vangelo esaminato sia
intrinsecamente, sia in confronto cogli altri : poiché da una parte ,
questa designazione, in niun luogo prende il posto del nome dell'apo
stolo, e d'altra parte, nulla di quanto narra il quarto vangelo intorno
al discepolo prediletto viene nei sinottici attribuito a Giovanni; poiché
inline, se i figli di Zebedeo, e: toj Zó'^aiV., sono „ citati (21,2) fra gli
astanti, non ne consegue da ciò che il discepolo prediletto di Gesù, ,««/.-
ihr.k òv rjyùsrx b 'Iiracù-, di cui è menzione più sotto, versetto 7, sia ne
cessariamente Giovanni; potrebbe questi essere Giacomo od uno de
gli altri due discepoli, cOX?: ì% tàv uc/òwfjv fa, menzionati al versetto 2.
Pur nondimeno ci sembra non potersi dar torto alla tradizione della
chiesa, la quale in ogni tempo riconobbe che il discepolo cosi desi
gnato era Giovanni, poiché nella località greca, ove nacque il quarto
vangelo, niun altro degli apostoli che vi sono nominati poteva essere
abbastanza riconoscibile» sotto quella semplice designazione, all' infuori
di Giovanni, il cui soggiorno in Efeso non potrebbe esser cancellato
come vana leggenda.
Più dubia presentasi la questione se l'autore con quelle forinole intenda
designar sé medesimo e quindi darsi a divedere per l'apostolo Gio
vanni. Nella conclusione del ventunesimo capitolo è detto, gli è vero,
(vers. 24) che il discepolo prediletto fu testimonio di queste cose e le
scrisse , (lapi'jpZv Trepì isutmv xai ypdcOas taì>- / ; ma si può considerare
come cosa ornai riconosciuta ') che questa è un 'aggiunta fatta da una
terza mano. Nel contesto autentico dell'e vangelo (19, 35) l'autore, par
lando dell'effetto del colpo di lancia dato a Gesù sulla croce dice: E
chi vide ne ha testimoniato , b iupaxà; inua^jpn*'- ; non può qui
trattarsi d' altri che del discepolo prediletto , poiché , fra gli apostoli,
che erano i solila cui testimonianza potesse essere qui invocata conve
nientemente, si suppone ch'egli solo sia stato presente appiè della croce.
I "5.
') Cosi la maggior parte degli interpreti, ed anche Frilzsche, Matth. p. 359:
Winer Realwòrterbuch, l, p. 163. Tuttavia paragonisi De Wette, Fxeg Handb.
1,1, pag. 98.
CAPITOLO QUINTO OÌ59
accordo, su questo punto, la lista dei due primi evangelisti ')• Altri
tentarono questa conciliazione indicando fra questi due uomi un'iden
tità di significato che non esiste 2). Ma supposto pure che l'una o
l'altra di queste conciliazioni sia buona, resta sempre una divergenza
fra Matteo e Marco col loro Lebbeo-Taddeo da una parte, e Luca con
Giuda figlio di Giacomo dall'altra. A ragione Schleiermacher biasima gli
esperimenti, quasi tutti assai poco naturali, che si fecero per dimostrare
come qui non si tratti che d'una sola e medesima persona. Ma a
spiegare questa divergenza, egli dice che, forse, fin da quando vivea
Gesù, uno di questi uomini mori od uscì dal cerchio degli apostoli,
e l'altro prese il suo posto; per cui fra le liste, alcune riproducono
il personale primitivo dell'apostolo tale, e gli altri il personale susse
guente 3). Anzitutto, non è guari possibile l'ammettere che alcuna
delle nostre liste degli apostoli provenga dal tempo di Gesù; perlochè
non si sarà in esse inscritto un membro divenuto anteriormente estraneo
al collegio degli apostoli, ma si avranno calcolati soltanto coloro i
quali in ultimo erano presenti intorno a Gesù. Il partito più sicuro
si è pertanto di riconoscere fra le liste una divergenza la quale si
comprende di leggieri; poiché si aveva, gli è vero, il numero dodici, e
si conoscevano i più distinti fra gli apostoli; ma rimanevano dei posti
vacanti che si riempirono laddove mancavano i dati, differentemente,
a seconda delle differenti tradizioni.
Fra il cerchio più ristretto dei dodici e la massa dei suoi parti
giani trovavasi, secondo Luca, quale intermediario, un circolo partico
lare di discepoli. Narra Luca (10, 1 e seg.) che Gesù, oltre i dodici,
aveva scelti altri settanta, èzipo»; t$douUw*a, e li aveva mandati inanzi
a due a due, nelle località che egli pensava traversare durante il suo
ultimo viaggio, per annunciare l'approssimarsi del regno dei cieli,
§a/i'-Xila tmv olp/.-.Z>. Siccome gli altri evangelisti tacciono questa cir
costanza, la critica più recente non mancò di muover rimprovero di
questo silenzio al primo in ispecie, in ragione della sua supposta qua
lità di apostolo 4). Ma lo svantaggio che ne risulta per Matteo dee
scemare ove si noti che non si trova cenno dei settanta discepoli né
in verun altro degli evangeli, né negli Atti degli apostoli, nò nelle
Lettere apostoliche; il qual silenzio sarebbe stato impossibile se la loro
missione fosse stata cosi feconda di conseguenze, come d'ordinario la
si suppone. Ma codesta scelta dei 70, si replica, non è tanto impor
tante a motivo delle sue conseguenze quanto a motivo del suo signi
ficato. Se i dodici apostoli, a motivo del loro rapporto con le dodici
tribù d'Israele, indicavano la destinazione di Gesù riguardo il popolo
giudeo, i settanta, o, secondo alcune autoritàri settantadue, erano, dicesi,
i rappresentanti dei settanta o settantadue popoli che trovavansi con
altrettante distinte lingue sulla superficie della terra, secondo 1' opi
nione dei Giudei e dei primi cristiani '), e caratterizzavano per tal modo
la destinazione universale di Gesù e del suo regno -). Il fatto sta
che per la nazione giudea stessa , questo numero , come numero
sacro, aveva certa importanza. Settanta anziani furono scelti da Mosé
per suoi coadiutori (i Mos., II, 16. 25); settanta membri compone
vano il sinedrio 3); il vecchio testamento ebbe settanta traduttori greci .
Ma qui si domanda: Gesù stretto già dalle circostanze, come aveva
egli null'altro a fare di più importante che il ricercare tutti i numeri
significativi e formare, a seconda di questi numeri, diversi circoli di
discepoli intorno a sé, ovvero un attaccamento cosi costante ai numeri
sacri; un tale sviluppo dell'idea già esistente in principio nel numero
dodici degli apostoli , non è assolutamente conforme allo spirito
della leggenda cristiana primitiva, la quale imbevuta delle opinioni
giudaiche, come noi dobbiamo supporre, argomentò in questo modo.
Poiché Gesù raffigurò le dodici tribù col comando dei dodici apostoli,
egli avrà pure raffigurato i settanta anziani con un numero corrispon
dente di discepoli. Ovvero, se si vuole far derivare questa leggenda
da idee preuniversali, e più analoghe a quelle di Paolo, non avrà questa
potuto restarsi dallo ammettere che, avendo Gesù, colla scelta degli
apostoli, caratterizzata la destinazione della sua missione rispetto al
popolo d'Israele, abbia del pari caratterizzatala ulteriore sua destina
zione rispetto a tutti i popoli della terra colla scelta di settanta disce-
') Tufhaarez f. 19. e. ó; Clem. lumi, 18, 4; Recognit, CJement.,ì, 42; Epiphan
Ilwres., 1, S.
*) Schneckenburger 1, e; Giescler, Ucber Eutstehung der schriftl. Evangelien,
pag. 127 e seg.
s) Vedasi Lightfoot, pag. 786.
Stbacss — K di G. Voi. I. 30
562 VITA DI GESÙ
poli. E per quanto comoda fosse in ogni tempo alla Chiesa la cate
goria dei settanta discepoli, specie di deposito ove essa poneva gli
uomini che senza appartenere ai dodici, erano tuttavia per lei di qual
che interesse, come Marco, Luca, Matteo, noi dobbiamo dichiarare che
li decisione della più moderna critica pecca di precipitazione e con
fessa che l'evangclo di Luca , collo ammettere un simile dato privo
di ogni conferma storica, e originato, a quanto sembra, da non altro
che dall'interesse dogmatico, trovasi, per ciò stesso, in una posizione
sfavorevole rispetto all' evangelo di Matteo. Dagli Atti degli apostoli
(1, 21 e seg.) sembra risulti, gli è vero, che Gesù, oltre ai dodici,
aveva altri compagni che non lo lasciavano: ma che questi compagni
abbiano formato un corpo di settanta, o che, fra essi, Gesù ne abbia
scelti settanta, è cosa della quale non ci sembra avere bastevole garan-
tia. •).
«ii adempiere la legge coll'adempimento dei riti, questi intendevan per legge ;
e la loro religione , perduto l'elemento spirituale limitavasi all'elemento ma
teriale. Ora Gesù doveva richiamare l'elemento dello spirito che era l'essen
ziale e quello indicare al popolo come vera religione. Quindi non distrug
geva la legge vera, ma ciò che i giudei intendevan per legge. Da ciò la con
tradizione apparente e non reale nelle parole di Gesù ; da ciò un linguaggio
che a prima vista può sembrare coulraditlorio. Ma dove si voglia giudicare
con le viste di Gesù, non solo non vi ha conti-adizione, ma vi ha il linguag
gio conveniente allo stato dei giudei ed alla rigenerazione della religione.
Quando Gesù dice che è venuto a compire e non a distruggere la legge ed
i profeti, egli parla della vera legge, di quella che si basa sull'elemento spi- ■
rituale, e quando promette una durata eterna alla minima lettera dejla legge,
ed asserisce che colui che ne riguardasse il menomo comando come non
obligatorio è minacciato di perdere il suo posto nel regno celeste, parla
pure della vera legge. Ma quando, nel discorso della montagna, inalza al di
sopra di tulle le pratiche del culto la religiosità spirituale, e parla della con
tinuazione provvisoria dei sagrificii, accenna alla legge come l'intendevano
i giudei, ed alle figure che dovevano sparire ora che era venula la realtà ,
cioè il sagrifizio vero del Redentore.
Per poter poi stabilire una differenza tra il linguaggio di Gesù e quello
dell'apostolo Paolo bisognerebbe prima di lutto dare un preciso significato
al secolo futuro di cui parla Gesù, ciò che non ci pan facile, essendo per sé
stessa un'espressione indeterminata, alla quale però l'apostolo Paolo poteva
dare una giusta interpretazione.
Al paragrafo 68 — Estensione del piano messiaco di Gesù, e rapporto di
questo piano coi gentili — Lo Strauss incontra delle difficoltà gravissime
per conciliare certi passi del Vangelo, certe parole e fatti di Gesù, quali
dagli evangelisti vengo n narrati. Cominciamo dal dire che il piano messiaco
di Gesù comprendeva i gentili; l'autore stesso lo rileva da molli passi del
Vangelo. Circa poi la condotta di Gesù che può apparire contradittoria, ci
sembra che qualunque critica debba prendere in considerazione le vie prov
videnziali per le quatt quel piano dovevasi compiere. È un fatto che questo
piano dovevasi compiere in mezzo agli uomini, e qual fossevi antipatia tra
giudei e gentili la storia chiaramente ci dimostra. Ora non si vorrà negare
che le vie della provvidenza non debban far conio della condizione umana
perchè i disegni di Dio si compiano, che anzi è ciò necessario, e noi ritro
viamo questo fatto in tutta l'economia divina. Certamente i gentili non do
vevano essere esclusi dal regno messiaco, ma questo regno , tutto di pace,
5G4 VITA DI GESÙ
sulla divergenza fra i due primi vangeli, ed il quarto circa la vocazione dei
primi compagni di Gesù.
Premettiamo ciò che altrove abbiamo detto , che gli evange li si comple
tano l'un l'altro; e diciamo che se si componesse un racconto solo comple
tandolo con tutte le particolarità che gli evangeli narrano si avrebbe un
tutto storico particolareggiato nel quale non si rinverrebbe nò contradizione
di parti, né divergenza di opinioni. Abbiam pure detto altrove che gli evan
geli hanno per iscopo di registrare i fatti e le verità, e che l'ordine crono
logico non sarebbe che un elemento accidentale, specialmente in certi rac
conti nei quali esso non ha valore di sorta. È poi un fatto che Gesù nel
chiamare i suoi primi discepoli ha voluto ingenerare nella lor mente il prin
cipio della fede nella sua missione, e che perciò ha rivelato loro cose che
umanamente non poteva conoscere e che riguardavano la vita privala di
loro medesimi.
Da altra parte come si potrebbe spiegare la pronta risoluzione di chi lo
seguiva senza il potere da lui esercitalo sopra il loro spirito? essi dovevan
vedere in lui un essere più che umano, e più tardi lo chiamaron figliuol di
Dio e lo adorarono. Troviamo inoltre anco nella vocazione dei primi disce
poli la provvidenza che opera in mezzo agli uomini ed alle lor passioni a
poco a poco modificandoli, vincendoli, rigenerandoli. Non ci inganniamo
dicendo che niuna critica incontrerebbe delle divergenze nei vangeli se si
volesse ammettere che questi vangeli si completano l'uno con l'altro.
Sulla miracolosa pesca di Pietro è scritto il paragrafo 71. Questo avveni
mento è narrato da Luca al capo V nel seguente modo.
« Or avvene che, essendogli la moltitudine addosso per udir la parola di
Dio, e stando egli (Gesù) in pie presso del Iago di Gennesaret;
t Vide due navicelle ch'erano presso della riva del lago, delle quali erano
smontati i pescatori, e lavavano le lor reti.
« Ed essendo montato in una di quelle, la quale era di Simone, Io pregò
che si allargasse un poco lungi da terra. E postosi a sedere, ammaestrava
le turbe d'in su la navicella.
« E, come fu restalo di parlare, disse a Simone : Allargati in acqua, e ca
late le vostre reti per pescare.
« E Simone, rispondendo, gli disse : Maestro, noi ci siamo affaticati tutta
la notte, e non abbiam preso nulla; ma pure , alla tua parola, io calerò la
rete.
« E fatto questo, rinchiusero gran moltitudine di pesci; e la lor rete si
rompeva.
ÌÌG6 VITA DI GESÙ
/3.
') Ciò che si riferisce alla passione, alla morte ed alla risurrezione è qui
pure omesso.
570 VITA DI GESÙ
Matteo e Luca abbiano ciascuno dei brani ad essi speciali. In Marco, l'ele
mento dei discorsi è scemato assai. Quindi, miglior partito sarà il prendere
per punto di partenza i discorsi di Matteo, ricercare ciò che vi corrisponde
negli altri evangelisti, poscia chiedere qualsia di essi che meglio li collocò e
riprodusse, e infine cercar di sapere fino a qual punto bisogna ammet
tere che essi realmente venissero pronunciati da Gesù.
Il primo grande discorso che trovasi in Matteo è quello che chia
masi del monte, capitoli 5-7. Questo evangelista dopo aver riferito
il ritorno di Gesù in Galilea, in seguito al battesimo, e narrata la voca
zione delle due coppie di pescatori, dice che Gesù percorse tutta la
.Galilea, insegnando e facendo guarigioni, e trasse nel suo seguito molta
gente di ogni parte della Palestina; e che avendo veduta la folla del
popolo, sali su d'un monte e di là tenne il discorso in questione (4,
23 e seg.) Invano cercasi in Marco un passo parallelo a questo discorso;
ma in Luca trovasi (6, 20-49) un discorso che non solo ha il mede
simo principio e la medesima conclusione, ma in cui il contenuto inter
mediario e la progressione dei pensieri hanno l'analogia più sorpren
dente col discorso del monte: aggiungasi che, in Luca del pari che
in Matteo, Gesù, finito il discorso, va a Cafarnaum e guarisce il
servo del centurione. A dir vero, Luca pone il discorso alquanto più
tardi, raccontando dapprima varie escursioni e guarigioni di Gesù, che
Matteo mette dopo. Inoltre, quasi in opposizione a Matteo, egli narra
aver Gesù pronunciato il discorso, non già dopo esser salito sul monte,
ampàLvxa, sis « o;,c;, ma dopo esserne disceso e fermatosi sul piano,
M.ta{là-si3. mi tcstsu jrsìtvou, e non già seduto, come dice Matteo,
aa-s:a, ma in piedi; da ultimo aggiungasi: che il discorso, in Luca, non
é in lunghezza che il quarto di quello riferito da Matteo; una parte
considerevole dell'uno manca nell'altro, e tuttavia il discorso, in Luca, ha
alcuni elementi speciali che non sono in Matteo.
Non volendo accordare che uno dei due evangelisti ispirati abbia
torto quando fanno tenere a Gesù lo stesso discorso, l'uno sul monte
e l'altro sul piano, l'uno seduto e l'altro in piedi, l'uno più presto e
l'altro più tardi; non volendo neppure ammettere che, o l'uno siasi
fatto lecite omissioni essenziali, o l'altro non meno essenziali aggiunte,
l'antica armonistica dichiara ') differenti i due discorsi, e disse, inappog-
') Augustin De consens. Ev. 2, 19; Storr, Ucber den Zeveck des evang. u. d.
Br. Joh., pag. 347 e seg. Vedasi il restante della bibliografia in Tlioluck, A«s-
legung der Bergpredigt, Einl., § 1.
CAPITOLO SESTO 571
gio di ciò, che Gesù aveva dovuto trattare più d'una volta i punti
importanti della sua dottrina, ed aveva potuto ripetere parola per parola
certe sentenze di un interesse maggiore. Se ciò deesi concedere senza
difficoltà, trattandosi di sentenze" isolate, lo si dee negare non meno
ricisamente, trattandosi di lunghe arringhe, e quelle stesse brevi sen
tenze, l'ingegnoso ed inventivo maestro saprà ad ogni volta presen
tarle in una posizione ed in una connessione differenti; giacché solo
una mente assolutamente meschina potrebbe adoperare a varie riprese
un esordio ed una perorazione cosi caratterizzata come le benedizioni
che aprono il discorso della montagna ed il paragone, che lo chiude,
della casa fabbricata sulle rocce o sulla sabbia.
Bisognò dunque riconoscere l'identità dei discorsi; e qui prima cosa
si fu di conciliare o di spiegare le divergenze fra le due relazioni in
modo che restasse intatta la credibilità d'entrambe. Relativamente
alla differente designazione della località, Paulus insistette sull'ibi di
Luca, e disse che questa proposizione esprimeva trovarsi Gesù in piedi
al disopra del piano , quindi su di una collina. Tholuck fu più felice
distinguendo il luogo piano, -j~->ì nutr/os, dalla pianura più propria
mente detta, e facendone una parte della montagna, meno ripida però
del pendio. Tuttavia, siccome l'uno degli evangelisti riferisce che l'ar
ringa fu pronunciata dopo che Gesù fu salito, l'altro dopo che fu disceso,
si dovrà dire con Olshausen che, se Gesù, secondo Luca, ha parlato
nel piano o in un luogo più basso della montagna, Matteo ha omesso
di dire ch'egli discese dopo di essere salilo, e che invece, se Gesù,
secondo Matteo, ha parlato dall'altura, Luca ha dimenticato di riferire
che dopo essere disceso, ei risalì alquanto in alto per arringare la folla.
Senza alcun dubbio, ciascuno di essi nulla ha saputo di quanto non
riferisce; ma nella tradizione, riferendosi questo discorso ad un sog
giorno di Gesù sovra un monte, Matteo pensò che il monte fosse un'altura
conveniente per un'arringa popolare, e Luca, invece, pensò che Gesù
ne fosse disceso per essere più vicino alla folla. A motivo di questa
stessa differenza, parve che colui che parlava dal monte potesse essere
seduto, e colui che parlava nel piano dovesse necessariamente essere
in piedi. Quanto alla divergenza cronologica, bisogna pure confessarla
insieme alla divergenza relativa ai luoghi, ed astenersi da falsi tentativi
di umiliazione ').
') Olslmusen, Bibl. Comm., 1, pag. 201; Kern, Zùb Leitschrift 1834,2, p. 33.
') Schulz, 1. 1, pag. 315; Schneckenburger, Deitriige, pag. 2G; Credner, FÀnl.
i. pag. 69.
Vi Schleiermacher, Ueber den Lttlcas, pag. 89.
') Tholuck, 1. e, pag. 11 e seg. ed il mio Examen degli scritti di Sieffert
c i altri in Iahrbùchcr i. wiss. Kritik nov. 1854, pag. 77o e seg.
!) Confrontisi Tholuck 1. e, p. 25 e seg.; De Wette Man. Excg. 1, 1, p. 94.
374 VITA DI GESÙ
Nel seguito del discorso (v. 20), Gesù mostrasi così poco intenzio
nato d'insegnare il disprezzo della legge mosaica, che anzi ne esige
una osservanza più severa di quella dei dottori e dei farisei, i quali,
rimpetto a lui , son quelli che rovinano la legge ; e bentosto segue
una serie di comandamenti mosaici dai quali risulta che Gesù, in luogo
di attenersi alla lettera, penetra lo spirito dei comandamenti e pone
in chiaro la miserabile meschinità della spiegazione dei rabbini (v. 20-48).
Questo capitolo , disposto e completo come lo leggiamo in Matteo ,
manca nel discorso del monte riferito in Luca. Ciò che prova in modo
decisivo 1' esistenza di lacune in quest' ultimo ; poiché non solo il
detto capitolo racchiude l'idea fondamentale del discorso, quale Mat
teo lo riferisce ; ma anche le diclùarazioni sull'amore dei nemici, sulla
riconciliazione, sulla beneficenza, che trovansi disperse in Luca non
hanno un significato preciso e un punto d' unione fuorché nel con
trasto tra la spiegazione spirituale della scrittura di Gesù, e la spie
gazione carnale dei dottori d'allora. Si notò eziandio giustamente che
le parole colle quali Luca (v. 27) fa proseguire Gesù dopo V ultima
maledizione: ma io vi dico, «xxà <>>»% tixa, come pure le parole, ora
disse loro una parabola, «m «ì itapaBox-iiv auVoìt (v. 59) accennano a la
cune *). Quanto ai passi paralleli isolati, l'esortazione di riconciliarsi
prontamente colla parte avversaria ànismat (Matt. , 5 , 25 e seg.) in
Luca (2 , 58 e seg.) per lo meno , non si connette così facilmente
con quanto precede, come in Matteo s). Peggio dicasi del passo che,
in Luca, é parallelo al 5, 52 di Matteo ; questo passo, relativo al di
vorzio, in Matteo si collega intimamente a tutto il contesto; in Luca
invece (16, 18), è intercalato in uno di quei vani già da noi accen
nati, fra l'assicurazione dell'immutabilità della legge e la parabola del
l' uomo ricco. Olshausen, per istabilire un legame fra questo passo e
ciò che precede, interpretò Vadulterio, hoiXiù«iv, come un'espressione al
legorica significante l'infedeltà alla legge divina; e d'altro canto, per
connetterlo alla parabola successiva, Schleiermacher 3) riferì questo
passo all'adultero Erode. Ma entrambe queste interpretazioni si ponno
dire chimeriche *). Sembra piuttosto che la tradizione abbia recato
fino all'autore del terzo Vangelo la notizia che Gesù, dopo aver certi»
ficata l'inviolabilità della legge mosaica, avesse pure, fra le altre cose
posto il principio religioso della proibizione del divorzio; e lo scrit
tore, nella mente del quale era rimasto solo presente questo principio,
di tutto ciò che Gesù aveva detto su tale riguardo, lo pose in questo
luogo. La stessa dichiarazione trovasi una seconda volta in Matteo (19, 9)
in un concatenamento che fa supporre in quest'ultimo luogo una ri
petizione. In Matteo, i comandamenti relativi alla pazienza ed alla dol
cezza (5, 38-42) stanno in un giusto rapporto di idee colla spiega
zione spirituale della sentenza: occhio per occhio o»»a».|iovavTi ifiax^c.
Ma nel discorso della montagna, in Luca (6, 29) questi comandamenti
sono introdotti in un modo assai meno preciso dal comandamento di
amare i proprii nemici (v. 27 e seg.); il qual ultimo precetto esso
pure sta decisamente assai meglio in Matteo, dove è presentato come
una rettificazione del precetto: Tu amerai il tuo prossimo ed odierai
il tuo nemico, ara?nicrtt« to'v itXfioiov leu, xai (iia-uoii? tov l'xSpóv cou (v. 45 e seg.).
• Così l'osservazione che lo amare soltanto i propri amici è nulla di
più di quanto potrebbero fare anche i cattivi, osservazione che si col
lega così bene in Matteo (v. 46 e seg.) quale risposta contro il per
messo di odiare il nemico, aggiunto, nella tradizione, al precetto mo
saico di amare il prossimo; è invece senza nesso in Luca, venendo
(v. 32) dopo il precetto: E quel che volete che facciano gli uomini
verso di voi, fatelo voi pure con essi , — precetto , che , in Matteo ,
vien soltanto in seguilo (7, 12). Insomma, se si confronta il passo di
Luca dal versetto 27 fino al versetto 36 del capitolo 6, col passo
corrispondente di Matteo, si troverà qui un processo ordinato di pen
sieri, là una notevole confusione *).
Gli avvertimenti di guardarsi dall'ipocrisia dei farisei (6, 1-6) non
hanno alcun passo parallelo in Luca ; ma relativamente al modello di
preghiera trovasi in Luca un passo corrispondente di che la critica
moderna si valse non poco contro Matteo. L' antica armonistica non
esitava punto ad ammettere che questa preghiera fosse stata pronun
ciata due volte da Gesù, una volta nelle circostanze che riferisce Mat
teo, un'altra in quelle riferite da Luca (11 , 1 e seg.) 2). Ma ciò è
difficile ad ammettersi; poiché se Gesù avesse già dato, nel discorso
del monte, un modello di preghiera, i suoi discepoli non gliene avreb
bero chiesto uno in appresso come se nulla fosse avvenuto ; e in ogni
terrestri, consigli che sono tratti dal crescere pacifico di oggetti naturali ;
(Luca 12, 22 e seg.) li colloca convenientemente in una parabola, a lui
speciale, sull'uomo cui la morte chiama mentre egli accumula tesori
mondani *). Viene in appresso l'ammonimento di non esser ciechi sui
propri falli, chiaroveggenti e rigorosi su quelli degli altri (7, 1-5).
Se si elimina la (Ine del capitolo 6, dal versetto 19 in poi, questo
avvertimento si troverà in connessione con quello precedente, relativo
alla finta santità dei farisei (6, 16-18); quindi potrebbe aver appar
tenuto al corpo primitivo del discorso *). Luca eziandio riferisce que
sta sentenza nel suo discorso della montagna (v. 37 e seg., 41 e seg.)
e, per caso , gli è vero , essa vi si trova meglio collocata , poiché si
collega al consiglio precedente di esercitare la misericordia: ma essa
è interrotta in modo men che naturale da cose estranee, nei ver
setti 39, 40 ed in parte anche nel versetto 30.
La frase che qui si riscontra , sulla misura applicata a coloro che
pretendono misurare altrui , viene da Marco introdotta affatto fuor di
proposito (4, 24) in un luogo somigliantissimo a quei vani di cui si è
fatto più volle parola in Luca. Il versetto 7, 6 di Matteo è senza nesso
in questo Evangelista, senza passi paralleli negli altri. Ciò che segue
(v. 7-11) intorno alla utilità della preghiera va in Luca riunito, in modo
naturale assai , colla parabola dell' amico che viene svegliato da chi
batte alla porta, parabola a lui parimenti speciale. In Matteo, la sen
tenza, non fate, agli altri quello che non vorreste che gli altri faces
sero a voi, è senza legame; nel discorso del monte, in Luca (6, 31)
ha una debolissima connessione 3). Ciò che è detto, immediatamente
dopo, della porta stretta orevii ■mU (v. 13 e seg.) deriva in Luca (13, 23)
dalla dimanda rivolta a Gesù: Son essi pochi coloro che son salvati?
ti eXtroi ot" oote'ptwi ; e si potrebbe credere che questa domanda , come
più sopra la richiesta di un modello di preghiera sia opera di chi, pur
sapendo che questo apoflegma proveniva da Gesù, ignorava in quale
occasione ei 1' avesse pronunciato ; anche l' immagine è tracciata in
Luca, in un modo ben più difettoso che non in Matteo, e unita ad
elementi parabolici '). L' apoftegma sull' albero che si riconosce dai
frutti (v. 16-20) trovasi anche in Luca (6, 43 e seg.) ed è più sotto
nuovamente narrato in Matteo (12, 43 e seg.); ma mentre ha in que-
st' ultimo luogo, un' applicazione generale, non ha, nel discorso della
montagna in Matteo , che un' applicazione particolare ai falsi profeti :
ad ogni modo questo apoftegma è collegato peggio in Luca. La di*
chiarazione susseguente di Gesù contro coloro che gli dicono soltanto :
Signore, Signore, KVt, Rupi'i, ma che nel giorno del giudizio saranno
respinti da lui, per le loro malvage azioni (v. 21-23), si connette del
pari col senso dell' apoftegma precedente sull'albero che si riconosce
dai frutti, e col pensiero fondamentale di tutto il discorso del monte,
pensiero che tende a far prevalere lo spirito alla lettera, l'interno al
l' esterno ; ma può anche essere stato pronunciato nel luogo assegna
togli da Luca (13, 25 e seg.). La conclusione del discorso si è, come
fu detto, la stessa in entrambi gli evangelisti.
Dal confronto che precede, noi già vediamo che i discorsi di Gesù,
simili a rocce compatte, non poterono essere disciolti dall'onda della
tradizione orale; ma che più d'una volta furono essi staccati dal loro
nesso naturale, tolti dal loro letto primitivo, e deposti in luoghi a cui
veramente non appartenevano. Su di che riscontrasi fra i tre primi
evangelisti questa differenza : che Matteo, abile collettore ch'egli è, ben
ché non sempre sia riuscito (molto ci manca ancora) a restituire ai
frammenti la loro situazione originaria , ha saputo nondimeno , nella
maggior parte dei casi, ravvicinare con intelligenza i passi analoghi;
negli altri due in vece , vari piccoli frammenti rimasero là dove il
caso li aveva deposti, cioè negli intervalli fra le aringhe molto lun
ghe. Dal suo canto poi, Luca, a differenza di Marco, si è sforzato, in
alcuni casi, di riunirli con legami artificiali che non possono mai sur
rogare il legame naturale.
§ 77.
§ 78.
Le parabole.
è quasi suo malgrado se, nel racconto ch'egli ne fa, esse sono pro
poste ai soli discepoli, ai quali Gesù doveva dare, non già parabole
speciali, ma la spiegazione di queste parabole stesse. Dal canto suo,
Marco (v. 33 e seg.) suppone evidentemente che le parabole ulteriori
da lui riferite dopo la spiegazione della prima siano state di nuovo pro
nunciate innanzi al popolo *).
Marco, il quale, al cap. 4, i, descrive, sulla riva del lago, la stessa
scena di Matteo , non riunisce che tre parabole delle quali la prima
corrisponde alla prima di Matteo: la terza (sul grano di senape), alla
terza di Matteo; la seconda è generalmente ritenuta come una para
bola speciale a Marco 2). Matteo riferisce qui la parabola nella quale
il regno de' cieli è paragonato ad un uomo che sparge buona semente
nel proprio campo; ma mentre i lavoranti dormono, viene il nemico,
e vi semina per entro la zizzania, che tosto nasce insieme col fru»
mento senza che i servi sappiano donde ciò provenga. Essi vogliono
estirparla: ma il padrone comanda loro di lasciar crescere e l'uno e
l'altra fino al momento della messe , in cui sarà tempo di sceverarli.
In Marco, Gesù confronta il regno de' cieli ad un uomo che sparge la
semente per terra: e mentr'egli si leva dal sonno e notte e giorno,
la semente germoglia e cresce di grado in grado, senza ch'ei sappia
il come. Finalmente quando il frutto è maturo , ei vi mette la falce,
perciocché la mietitura è venuta. In questa parabola manca ciò che
forma l' elemento essenziale di quella di Matteo , la zizzania seminata
dal nemico : ma siccome gli altri elementi , la seminagione, il sonno,
il crescere senza che sappiasi il come, la mietitura, sono gli stessi in
entrambe, così domandasi se quella di Marco altro non sia che una
semplice variante della stessa parabola, a lui pervenuta per altra parte
e da lui forse preferita a quella di Matteo, per ciò che essa, cosi tra
sformata, prestavasi meglio ad una transizione dalla prima parabola
del seminatore alla terza del grano di senape.
Anche Luca, delle sette parabole del 1 5 capitolo di Matteo, non ne
ha che tre ; quella del seminatore, quella del grano di senape e quella
del lievito. Cosi le parabole del tesoro nascosto , della perla e della
rete , nonché quella della zizzania nel campo , rimangono proprie di
Matteo. Luca colloca alquanto prima ( 8 , 4 e seg. ) di Matteo la pa-
aggiunge clic il re, dopo clic la casa fu allollata, passò in rivista i suoi
ospiti , e, avendone trovato uno senza veste nuziale, lo lece cacciare
nelle tenebre «'; tò owtoj to' iJJtioov.
Fin da principio il passo in cui Matteo dice aver gl'invitati maltrattati
ed uccisi i messi del re, non si attaglia alla narrazione e sembra uscire
dal quadro tracciato. In l'atti il disprezzo che si la d'un invito si manifesta
abbastanza col rifiuto fondato su vari pretesti come quelli che Luca rife
risce; ma dire che si maltrattarono e si uccisero gl'invitati la è una esa
gerazione, né tanto facile è lo scorgere come Gesù vi giungesse, quanto
lo è il dimostrare come il redattore primo del evangelo vi potesse essere
indotto. Perocché questi aveva riferito immediatamente prima la para
bola dei vignaiuoli ribelli, ed alla sua mente era ancor presente il
modo con cui essi aveano trattato i messi inviati dai loro padroni :
afferrati i suoi servi, batterono V uno , uccisero l' altro , lapidarono
ailCSt Ultì'O, Xifyiviii tou; SouXoù; «uV.'j g'v |»i fStioav, òv Si <x'itì'xt«iv«v , cv Si sXt-
s^;>.i)o*v. Questa descrizione egli la riportò nella parabola presente
colle parole : impadronendosi de' suoi servi , li oltraggiarono e li uc
cisero , xiranfasvris tou; ScjXoù; «Jtsu upptoocv xsi -imxTfivsv , SCllZa SCOrgCl'C
che ciò che stava assai bene contro i servi che venivano quali
esecutori <!' esigenze , non avea qui ragione veruna di essere. Il re,
non contento di escluderli dal suo banchetto, fa uccidere gli assassini
dai suoi eserciti ed incendiare la loro città. Questa particolarità è il
seguito necessario della precedente , ma sembra, al par di quella, tolta
ad un'altra parabola che rappresentava le relazioni tra il padrone e
gli altri non già sotto la forma mitigala d'un invilo respinto, ma sotto
quella più aspra d'una rivolta, come nella parabola dei coltivatori ed
in quella dei cittadini ribelli, che più sopra abbiam fatto derivare dalla
parabola delle mine.
Ma 1' abito nuziale che forma 1' ultima particolarità della parabola
in Matteo ripugna ancor più decisamente al tenore originale della pa
rabola stessa. Poiché se il re avea l'atto chiamare cosi sui due piedi
al convito quanti si fossero incontrati per istrada, malvagi e buoni ,
w>m,wu'; ti x»; iynSov., non v'era di che maravigliarsi se tulli non avevano
1' abito da nozze. Che quelli chiamati dalla strada avessero prima do
vuto andare alle loro case per lavarsi e vestirsi, non è accennato nel
testo '), come non è accennato che il re abbia dato a ciascuno se-
'} Fritzche, rag. 050. Questa osservazione vaio anche contro la rettifi
cazione di questo passo tentata da Wctte nel Manuale Esegetico.
COI VITA DI GESÙ
condo l'uso dei regnanti orientali un caftan, ilei quale anco ai più
poveri, sarebbesi potuto rimproverare di non aver fatto uso *) ; costume
la cui esistenza in quei tempi non è ancora provata 2) , e che d' al
tronde non doveva essere supposto tacitamente, giacché senza questo
particolare la collera del re appare infondata. Ma un particolare simile
è contrario non solo all'immagine, bensi anche all'idea della parabola:
poiché fin qui essa s' è aggirata sull' opposizione nazionale tra sii
ebrei ribelli e i pagani bramosi di salvezza. Ora essa dovrebbe pas
sare subitamente alla riflessione morale sui degni e sugli iudegni. Che
i giudei rifiutino l'invito al regno di Dio, e in loro vece, siano chiamali
i pagani, la è una idea completa in sè, e colla quale anche Luca
termina la parabola; ma il dire che colui il quale non si mostra (le
gno della vocazione con sentimenti corrispondenti a quella sarà escluso
di nuovo dal regno, la è un'altra idea che sembra richiedere uno svol
gimento a parte in una parabola separata. Si può adunque conghiet-
turare anche qui che la fine di questa parabola in Matteo sia un fram
mento d'un' altra parabola la quale, facendo anch'essa parola di un ban
chetto ha potuto confondersi facilmente, nella leggenda o nella me
moria dello scrittore, colla parabola conservata da Luca nella sua pri
mitiva purezza 3). Quest'altra parabola avrebbe detto semplicemente che
un re invitò ad un convito diversi ospiti nella tacita supposizione che
vi venissero convenientemente vestiti, e inflisse ad un individuo che non
avea adempiuto quest' obbligo una pena meritata. Qui pertanto noi
avremmo esempio d' una parabola forse ancora più complicata ili
quella da noi esaminata più sopra e nella quale — 1 ." — la parabola
degli invitali ingrati (Luca 14) formerebbe la base, hi guisa però che
— 2." — un filo della parabola dei vignaiuoli o cittadini ribelli entri
nella tessitura della stessa; mentre la conclusione è verosimilmente
dedotta : — 7>.° — da una parabola non nota per altra parte intorno
ad un abito che non era conveniente per nozze. Questo esempio ri
permette di penetrare più addentro nei processi cou cui la tradizione
evangelica elaborava i proprii soggetti.
§ 79. ,
Discorsi di Gesù
frammisti d' insegnamento e di polemica.
*) L. e, p, 180 e seg.
CAPITOLO SESTO. 617
lemme a dimandare a Gesù il perchè i suoi discepoli non osservino
il costume di lavarsi prima di mettersi a tavola ; cosa che , a quanto
qui sembrerebbe , essi hanno appresa solo per fama. In Marco (7, 1
e seg. ) invece , vedono essi stessi (isiv-res) alcuni discepoli di Gesù
mangiare senza lavarsi le mani c ne muovono loro osservazione.
Finalmente in Luca Gesù medesimo pranza, come si è detto, in
casa di un fariseo e mostra in questa circostanza di omettere l'ablu
zione. Quest' è evidentemente una gradazione : sentir dire , vedere ,
e condividere il pasto. Resta solo a chiedere in qual senso la gra
dazione siasi formata. Discendendo da Luca a Matteo o risalendo da
Matteo a Luca? Coloro che adottano la più recente critica intorno
al primo evangelo non mancheranno di sostenere la prima ipotesi, che
cioè la notizia della scena primitiva che era il convito , andasse perduta
nella tradizione e per conseguenza non si trovi più in Matteo. Ma oltre
che non è credibile che i discorsi in questione sieno stati tenuti a
tavola, non è nello spirito della leggenda il lasciare perdere una
particolarità cosi drammatica qual è un convito , volta eh' ella se ne
sia impadronita ; lungi da ciò essa lo inventerà se n'è il caso. In quella
guisa che è tendenza generale della leggenda il trasformare le astra
zioni in realtà, cosi ella trasforma il mediato in immediato, il semplice
relatore in astante, lo spettatore in attore; e siccome lo scandalo che
i Farisei si facevano di Gesù riferivasi tra 1' altre cose a usanze da
tavola, nulla di più naturale che la leggenda rappresentasse il luogo
e 1' occasione in cui questo scandalo erasi manifestato e a tal uopo
supponesse inviti indirizzati dai Farisei a Gesù, inviti di cui è strano
che il solo Luca faccia menzione , e che gli altri due sinottici non
dicano assolutamente nulla. Ciò dà a sospettare anche sull'altro con
vito farisaico; e noi troviamo qui di nuovo che Luca si compiace a
creare o a raccogliere quadri che meglio gli sembrino convenire ai
discorsi di Gesù trasmessi dalla tradizione ; processo ben più lontano
dalla verità istorica che noi sia quello di Matteo il quale, senza nulla
aggiungere del proprio , cerca soltanto riavvicinare discorsi pronun
ciati in tempi diversi.
La gradazione di cui è qui parola, in ragione del rapporto che i
sinottici hanno ordinariamente tra loro, vuol essere concepita nel modo
che segue: Marco che evidentemente ha avuto in questo racconto
sott' occhio quel di Matteo , vi ha introdotto l' espressione dram
matica .avendo vedtito isòvtss mentre Luca, indipendentemente dall'uno
e dall' altro , ha aggiunto un convito su™* sia eh' ei ne avesse seq
618 VITA DI GESÙ
§ 78.
') 3. 11: Noi attestiamo di ciò che abbiamo veduto e voi non ricevete
la nostra testimonianza. 13: nessuno è salito al cielo, se non colui che
A disceso dal ciclo, cioè, il figliuolo dell'uomo che è nel cielo. 3, 11 : e i«-
pixipfi, ii«c>Tup<;J|icv xaì tt)v |i»pTu«'«v tIjiuv cu ).«|iBjv;t;. 13: xii CuStt's avags'Pr.xtv
ti's tov cupavouv, ci [ni o ex TCti oupav&ù xaT3J2*s, C uio's tgù 'av^poitGu, g uv tv tu cj'pavó.
1, 18: Nessuno vide mai Iddio; il figliuolo unico, che è nel seno del
Padre, lo ha fatto conoscere. 11:... ed i suoi non lo hanno ricevuto, 1,
18: ìio'v o-jSii; idpaxt ituitoTs' o iiovc-fivi-j uio;, o ov lì; tìv xo'J.tov toù r.irpòt, txiìvc;
'tJ-Qv-iJoaTO. 11 :... xxi ai ìStGi a'JTov ci jwni'XaBiv.
') Vedi sopra, § 46.
') Come fa l'autore dei Probabilia, § 46.
G28 VITA W GESÙ
morte violenta, ma eziandio la forma particolare di questa morte sulla
croce, e che, molto tempo prima d'istruire i suoi discepoli su questo
punto, egli ne abbia fatto particolare comunicazione ad un fariseo'
Si può trovar conforme alla saggezza che presiedeva all'insegnamento
di Gesù, l'aver egli scelto precisamente Nicodemo per comunicazione
siffatta? Lùcke medesimo 4), sotto forma d'obbiezione, domandasi il per
chè, mentre Nicodemo non intendeva le cose più facili, Gesù lo tor
mentasse con cose più difficili e precisamente col mistero della morte
del Messia che era ancora sì lontana. E a ciò egli risponde che era
perfettamente conforme alla saggezza di Gesù il manifestare, al più
presto possibile, i patimenti che Dio gl'iniponeva, perchè nulla era
di ciò più adatto ad abbattere le false speranze sensuali. — Ma più
i suoi contemporanei, appunto a motivo delle loro speranze sensuali,
erano lontani dal pensare alla morte del Messia, e più Gesù, se real
mente voleva divulgare questo pensiero, dovea esprimerlo con chiarezza
e precisione, invece di ravvolgerlo in una metafora enigmatica, senza nep
pure esser certo che Nicodemo la comprendesse. Nicodemo, risponde
Lùcke, era una mente aperta all'istruzione, dalla quale si poteva pur
attendere qualche cosa; ma egli, appunto in questo colloquio, col non
comprendere le cose della terra, erasi mostrato meno atto a compren
dere le cose del cielo: e infatti Gesù stesso (v. 12) disperò di fargliele
comprendere. Collo aggiungere, osserva da ultimo Lùcke, a dottrine fa
cili che non erano state comprese, dottrine più difficili e meno intelleir-
gibili, Gesù volle stimolare le menti, ridestarne l'attenzione, e indurle
viemaggiormente a meditare. Ma gli esempi di un simile metodo di Gesù,
che Lùcke adduce, sono tratti esclusivamente dal quarto vangelo, del
quale appunto domandasi se in questo luogo esso riproduca giusta
mente il metodo istruttivo di Gesù: siam quindi in un circolo vizioso.
Un simile procedere dal canto di Gesù fu da noi già riscontralo nel rac
conto del suo colloquio colla Samaritana; ma fin d'allora abbiam dovuto
dire che questo sopracaricare una debole mente di enigmi sopra enig
mi, era contrario alle savie massime pedagogiche, che il medesimo
Evangelo, 16, 12, pone in bocca a Gesù. 11 presentare a un individuo
che non riesce a comprendere la nota metafora della nuova nascita
il confronto inudito del Messia col serpente di bronzo, il farne l'indu
zione della sua morte e il riunire immediatamente queste idee colle
idee guidaiche — tutto questo, diciamo, non chiamasi stimolare la
prodotta dalla venula di Gesù e del risultato della crisi; tutto que
sto discorso , diciamo , è troppo particolareggiato , è troppo obbiet
tivo, vale a dire porta troppo poco l'impronta di Gesù, perchè noi
possiamo credere che siano veramente sue parole. Gesù , non po
teva cosi esprimersi sulla propria sorte ; solo il poteva una terza per
sona. — Vediamo qui dunque ripetersi un caso già da noi esaminato
relativamente al Battista: Gesù non può aver la parola che fino al
verso 16: da questo in avanti, è forza ammettere che l'evangelista
intercali le proprie riflessioni dogmatiche *). Ma tanto qui quanto nel
passo relativo a Giovanni Battista, non si trova, nel testo, alcuna trac
cia di tale cangiamento: che anzi la particella perciocché, T»>, (v. 16)
la quale serve di congiunzione , sembra designare una continuazione
dello stesso discorso; ora, uno scrittore, ed in particolare l'autore
del quarto vangelo (confrontisi 7, 59; 11, 51 e seg.; 12, 16; 53, 57
e seg.), non interpola così le sue proprie osservazioni ; e' sarebbe un
voler cagionare malintesi a bella posta 2). Se dunque resta simultanea
mente certo che l'evangelista attribuisce, cominciando dal ver. 16, la
parola a Gesù, e che tuttavia Gesù non può aver parlato a quel modo, —
noi non potremo neppur qui accontentarci alla mezza misura di Lùcke,
il quale, pure ammettendo che dal verso citato in avanti continui a
parlare Gesù, fa qui intervenire, più forte di prima, la mano dell' E-
S 81-
yetfi auTCj.
~\: Chiunque ascolta la mia pa- 1. Giov. 3, 14: Noi sappiamo che
634 VITA DI GESÙ
ispiegare la prima analogia bisognerebbe ammettere che l'evangelista
abbia completamente modellato il suo modo d'esprimersi su quello
vola... è già passato dalla morte alla siamo passati dalla morte alla vita.
Vita. 0' tov J.o'yov |iou ixcuov... |ìetj(3e{3t,xev fl[lt\i Ol'ócijlEV, OTI |1ET Jf!Ep7,'«|lEV EX T'.-j
ex to"u ìavsTov Et; ttìv £a-c,v. ìjvstgu Et; tt|v Sutìv.
32: io so che la testimonianza Giov. 19, 35 : La sua testimonian
ch'egli mi rende è veritiera. Rai cìs<x za i vera, ed esso sa eh' egli dice h
oti aiJiTjST,'; «oTt» ti (latpTupia, ijv pspTupeì. verità. Ka; ocXt.ìivtì e'otiv kùtou r, osctv
pt'a, xaxéiva; otSev o*Tt ÒXtiìtj Xtysi. CoD-
frontisi 21. 24; 1, Giov. 3, 12.
34 : 7o non prendo testimonianza 1, Giov. 5, 9: Se noi prendiamo
da uomo alcuno. 30: Io ho una te la testimonianza degli uomini, la te
stimonianza maggiore di quella di stimonianza di Dio è più grande,
Giovanni. 37: Ed il padre stesso che poiché è la testimonianza di Dio
mi ha mandato ha fatto testimo che ha parlato pel suo figliuolo. E;
nianza, di me. 34: Eyw sì eni rapi tt;v (laprvpi'av ru» ovìpuituv >.aui{ìjvc|u», i
«vìpuTOu tt|v LLaprupisv ).ap.pavo. 36: lyw |l«pTUpi'» tcù 8eou jui'ìuv ÈaTt'v ì*ti jjrt
Se e^u u-apTupi'av |Ui£o tou Ioavvou. 37 : E'CTTtV TI U.«pTupl*3E TOU ©EOU tIv plp*JlTJ5%K
K«i ti TTj'n^a; |ie irarTÌ outc; lULLasTuDXE Trept tgu ui'cu auTou.
rcipi e'|IC'J.
37: Voi non avete mai intesa la Giov. 1, 18: À'essKno e«fc «a»
sua voce, nò veduto il suo viso, Ours Iddio. e$o'v aJSEt; s'upixE xurr'-ri. Con
TTÌV CJUVTÌv aÙTOl) 3XTiX'.5IT5 TMTCTGE , CUTE TO tisi 1, Giov. 4, 12.
eTSc; OOTCU EUpÌX3TS.
38: neppure avete fatto alcuna 1. Giov. 1, 10: E voi non avete
attenzione alla sua parola. Kai tòv fatto attenzione alla sua parola. Kit
?.orov ajToù cix T^ete LLtvovra ev ùp&v. ò ta'fOS auTcù cu'x eotiv iv utiiv.
40 : Tuttavia voi non volete venire 1. Giov. 5, 12: Colui che non ha
a me per aver la vita . Kai cu SsUte il figliuolo di Dio non ha la vita.
e'XìeÌv irpo; («, IV* ÌOTÌV e"xt,Tc. '0 p.TÌ ?xuv T0V u!'v T0"' 8ioù Suiju o-j'x ìp1,
42 : Non è in voi alcun amore per 1. Giov. 2, 15: L'amore del padre,
Iddio. "Oti ttìv OfaTtTiV tou 8eoj cu'x è^ete non Ò in lui. Oo'x e'otiv ti' à-ti-xr, tov 5»-
ev eauToìj. Tpò; iv ouT';).
44: Come potreste voi credere , voi Giov. 11, 43: Essi amarono me
che amate solo ricevere gloria gli glio la gloria degli uomini che la
uni dagli altri, e non fate alcun con gloria di Dio. 'Hr/iTrr.nv, fip niv to'ssv
to di quella che viene dal solo Iddio ? TOV aìpUTCUV |li).l'.v . T)T!Ep TTj» TC".
nò; Suvooìe u'|iii; tcktteueiv, So'ijav Trapl 0;cu".
-i'?.l.TÌiuv J.»|ipivovTt;, xaì ttìv Su' £av, TTÌv
rapai tou iii'vcu 6tOU, ou &hteite.
CAPITOLO SETTIMO 635
di Gesù: die ciò sia possibile, non si può negare; ma una tale imi
tazione d'ordinario non si osserva che in quelle menti che nulla
hanno di proprio, e certamente il quarto evangelista non è una mente
di questa specie. Inoltre, siccome negli altri evangeli Gesù parla con
un tono ed uno stile assai differente, bisognerebbe ammettere , quan
d'egli avesse «calmante parlato nel modo che riferisce Giovanni, che
il linguaggio attribuitogli dai sinottici sia di loro invenzione.
Ma che, per lo meno, esso non sia fattura degli evangelisti, lo dimo
stra il fatto ch'essi sono assai poco padroni della loro materia. E nep-
pur la leggenda potè entrare nella formazione della massima parte di
questi discorsi, si per il loro carattere affatto originale, e si per l'im
pronta del tempo e dei luoghi che chiara in essi si scorge. Al con
trario, il quarto evangelista, in ragione della facilità colla quale egli
domina questa materia, dà a sospettare non egli entri in gran parte
nella composizione dei discorsi ; e, a tacere delle fatte citazioni, certe
idee e locuzioni favorite, come quella // padre mostra al figlio lutto
ciò ch'egli fa, udita Siìxwv ™ un} 3. au'™? toisi" i), accennano a sorgenti
piuttosto elleniche che palestine. Ma la ragione essenziale si è che
Giovanni Battista, come abbiamo veduto più sopra, s'esprime, in que
sto evangelista, nel medesimo modo dell'autore slesso, e di Gesù. Ora
non si può credere che Giovanni Battista, il quale cominciò il suo
ministero prima di Gesù , e il cui carattere è fortemente accentuato ,
abbia, insieme coli' evangelista, modellato testualmente le sue espres
sioni sopra quelle di Gesù. Non ci resta dunque che l'alternativa: o
Giovanni Battista ha imposto il suo modo di parlare tanto a Gesù
quanto all' evangelista , che si suppone essere stalo anche suo disce
polo; o l'evangelista ha modellato sul proprio stile il linguaggio così
di Giovanni Battista, che di Gesù. La prima ipotesi sarà rifiutata da
gli ortodossi , a motivo della natura superiore del Cristo ; e la rifiu
teremo noi pure per questa ragione almeno, che Gesù, quantunque
suscitalo dal Battista, pur sembra avere, allato a lui, una posizione al
l'atto diversa e originale. Aggiungasi che lo stile di Giovanni 1' evan
gelista è troppo molle e troppo mistico per un uomo rozzo e pra
tico quale abbiamo altrove conosciuto il Battista.
Laonde sola ci resta la seconda ipotesi, che cioè l' evangelista ab
bia prestalo il suo linguaggio tanto a Gesù che a Giovanni Battista:
') Io devo dare il mio pieno assenso alla osservazione che fa su questo
capitolo l'autore dei Probabìlio, (p. 56). Videretur... Jesus ipse studiasse,
ut verbìs illuderei Judeis , noe ab iis intelligeretur sed reprobaretur. Ita
vero nec agit, nec agere potuit, neque si ita docuisset, tanta effècisset,
quanta illum effecisse historia testatur. Confr. anche De Wette, Ex. Handb.,
1, 3, pag. 6.
CAPITOLO SETTIMO. 039
poto verosimile; poiché, la prima volta, sebbene Gesù avesse detto: Io
rado presso colui che m'ha mandato, uWru itpò;, to'v -m^ytvxà i*. essi cre
dono che si tratti d'un viaggio per la dispersione dei Greci; la se
conda volta, pensano perfino ad un suicidio.
Inoltre, quante volte non si trova in questo capitolo ripetuta l'as
serzione di Gesù, cercar egli, non il proprio onore, ma quello del padre
7. 17, e seg,; 8, 50. 54): non conoscere i giudei la di lui origine,
che è il padre di lui (7, 28; 8, 14; 11), 54); dovere colui che in lui
crede vivere eternamente, e non veder la morte: colui invece che
non crede, morir ne' propri peccati , senza partecipare alla vita ^
8, 21. 24. 51; confr., 5, 36: 6, 40)?
Il nono capitolo è per la massima parte consacrato ad una dispula
del sinedrio col cieco-nato guarito da Gesù, e quindi sotto forma di
dialogo. Ma, siccome Gesù stesso rimane troppo in disparte, il contra
sto che l'evangelista ricerca tra il significato materiale ed il senso spi
rituale non ispicca assai, ed il dialogo prende una forma più naturale.
II decimo capitolo comincia col celebre discorso sopra il buon pa
store, discorso cui a torto si suol dare il nome di parabola i). Per
sino le menome parabole, proposte ordinariamente da Gesù, come
ipielle del lievito, del grano di senape, presentano i caratteri essenziali
il' una storia che si svolge, che ha un principio, un progresso, ed una
l'onclusione. Qui, al contrario, non v'ha alcun sviluppo storico: i punti
d'apparenza slorica restano sulle generali, cioè esprimono cose che
cogliono accadere, ma non già che sono accadute una data volta:
d'onde l' immobilità del racconto; e la stessa immagine principale
del pastore mipr.v, è interrotta da altra immagine, quella della polla,.
Wj». E però noi abbiamo qui innanzi non una parabola ; ma una al
legoria. Non sonvi dunque parabole nel quarto evangelo: e questo
passo almeno (ne altro sapremmo trovarne, poiché, come Liicke me
desimo osserva, è a dirsi del paragone della vigna, cap. 1 5 , lo slesso
che di quello del pastore) non forma un argomento contro i critici
moderni, che fondarono i loro dubbi sopra l' autenticità del quarto
vangelo , su questo motivo, tra gli altri, che 1' autore sembra affatto
ignorante dell' insegnamento in parabole, tanto prediletto da Gesù, se
condo gli altri evangelisti. Del resto, l'autore non sembra ignorasse
la predilezione di Gesù per le parabole, giacché egli si sforza di dame
dei saggi così qui che al capitolo 15, e dà puranche al primo di que
sti due saggi, il nome di paragone, napot|»'a (v. 6); ma chiaro si scorge
come questa forma ripugnasse al suo gusto, che aveva ricevuta un' al
tra cultura, e come il sentimento della pittura delle cose esterne fosse
in lui troppo debole per rattenerlo dall' introdurre le proprie riflessioni ;
di modo che, sotto la sua mano la parabola si trasformava in allego
ria. Fino al 10, e 18, i discorsi di Gesù si riferiscono alla festa
dei tabernacoli: dal versetto 25 in poi l'evangelista riporta le dichia
razioni che si suppongono fatte da Gesù tre mesi più tardi, al tempo
della festa della dedicazione. Qui i Giudei lo invitano a dichiarare pre
cisamente s' egli sia il Messia; egli risponde in principio ch'egli lo
ha loro già dello a sufficienza, ed invoca di nuovo le opere, £PXa, che
egli ha fatte in nome del Padre, e che rendono testimonianza per lui
(come nel 5, 56). Dopo di che , tornando (col v. 26) a dire che gli
interrogatori increduli non appartengono alle sue pecore, egli ricade
neh' allegoria del pastore che già prima aveva abbandonala, e con
espressioni, che sono in parte identiche J),
Ma questa allegoria, Gesù non l'aveva abbandonata testé; perchè
da quando questa era stata proposta, erano scorsi Ire mesi, e senza
dubbio in questo frattempo Gesù aveva detto e fatte molte cose , tra
passati molti avvenimenti che avevano dovuto oscurare nella sua me-
S 82.
') Questa idea rispondeva talmente allo spirito dell' antica armonistica
ch'io mi stupisco che Lucke sia stato il primo a imaginarla.
•) V. sopra, § 39.
CAPITOLO SETTIMO. 645
condurrà forse al risultato positivo del come esso venisse cionono
stante qui intercalato.
Il passo 1 5, 20 : Chi riceve colui clic io avrò inviato , riceve me ;
e chi riceve me, riceve colui che m'ha inviato, i lappanuv i»v -riva wV<4,
kj|ig*vei o sì biU ìapfisviuv Xa^fìavei tóv TO'jiiavxo — ha in Matteo (10,
40), un parallelo pressoché testualmente identico. In Giovanni esso è
preceduto dalla predizione, del tradimento , e dalla dichiarazione di
Gesù ai discepoli, aver egli voluto dir questo ad essi anticipatamente
affinchè essi credessero in lui come Messia, quando la profezia si fosse
verificata.
Or come combinasi (mesto col passo citato più sopra? e come com
binasi con quanto segue dove si parla di bel nuovo del traditore ? Si
ilice che Gesù voglia chiamare l'attenzione sopra l'alta dignità d' un
missionario messiaco , dignità che il traditore si faceva un giuoco di
perdere '). Ma per lo appunto questa perdita, pensiero negativo, che
l'orma il perno di una tale spiegazione, non è menomamente indicata
nel testo. Altri ammettono che rappresentando ad essi il loro alto
pregio, volesse Gesù infondere un nuovo coraggio ai suoi discepoli
abbattuti dalla menzione del traditore 2) ; ma allora è poco probabile
eh! egli abbia ricominciato immediatamente dopo a parlare del tradi
tore. Altri sospettano l'ommissione di membri, di frase 3) ; il che poco
più giova del supporre con Kuinocul, essere questa una chiosa presa
da Matteo, 10, 40, e che destinata primitivamente al versetto 16 del
cap. 13 di Giovanni, fu trasportata qui, alla fine del paragrafo. Nul-
ladimeno l'indicazione del versetto 16 non è senza utilità. Questo ver
setto, in fatti, come pure il versetto 20: ha il suo parallelo nel di
scorso d'istruzione in Matteo, 10, 24 : e supposto che alcuni brani di
questo giungessero per via tradizionale all'autore del quarto Vangelo,
polerouo questi brani nella di lui memoria richiamarsi facihnente l'un
l'altro. Nel versetto 16 parlavasi dell'oposfo/o, sVoarc).*;, e di colui che
l'ha inviato; parimente nel versetto 20 si parla di coloro
the Gesù invierà, e di quegli che ha inviato lui; vero è che il ver
setto l(i mira a raccomandare l'umiltà, e il versetto 20 a infonder
coraggio ; quindi essi si collegano l'uno all' altro, non pel senso ; ma
per le parole solamente ; di modo che vediamo V autore del quarto
') Paulus, Liickc, Tholuck, Olsausen su questo passo : Hug. Einl. in das.
N. /., 2, p. 209.
CAPITOLO SETTIMO. 647
dbili senza l'aggiunta di queste circostanze. Da ciò deriva qui pure il
sospetto che sorgesse nel quarto Evangelista una rem'niscenza della tra
dizione evangelica e ch'ei la interpolasse precisamente laddove gli sov
venne, in una connessione che certo non era la migliore; e tale sospetto
iliverrà verosimiglianza non si tosto appaia il come ei potesse in que
sto luogo medesimo risovvenirsi di quella espressione. Nel passo pa
rallelo dei sinottici l'invito : A- va unito coll'annuncio : L'ora
s' è avvicinata , ed il figliuolo dell' uomo è dato nelle numi dei pecca-
lori... , ecco, s' avvicina, s' avvicina colui che mi tradisce , i)TTi»sv T;
un xal a uto; to oivìpo'irev r-j^aV.ScTai t:'; xtìptf a[ia;>Tw3iuv;... t'Soj t^ixiv o iapj.
fckj'i ft, — e quindi coll'annuncio dello appressarsi della forza nemica,
cui Gesù Tnuove incontro senza timore pronunciando quelle parole
che esprimono una ferma risoluzione. Nell'Evangelo di Giovanni, Gesù
parla anche in questo passo dell'avvicinarsi d'una forza nemica, poi
ch'egli dice : // principe di questo mon io viene , e non ha alcun po
tere verso di me, f^ern ò tou «ooiiou ipxu"» Xlt 5'u eV°'' ^* 'x*1 ^vsìv. Che ciò
che s'avvicina sia dello essere, in Giovanni, la potenza agente nel tra
ditore, ed in coloro eh' egli conduce, nei sinottici invece il traditore
stesso spinto da quella potenza, la è differenza di poco o nessun conto.
Ma come il quarto Evangelista sapeva dalla tradizione che Gesù, al
ludendo al pericolo che s' appressava , avea pronuncialo quel risoluto
cosi dovette questa circostanza risovvenirgli in mente,
quand'egli ebbe a far cenno dello appressarsi ostile del Principe di
questo mon to »?XMV xaV-.u: e alla parola partiamo aToi»v« aggiuns'egli
la parola iVr^Jev, da qui, perciò che essendo Gesù co' suoi discepoli
tuttora nella città e nella casa, occorreva un notevole spostamento
per andare incontro alla potenza nemica. Siccome però questa parola
tradizionale era, all'Evangelista solo involontariamente sfuggita fram
mezzo il corso de" pensieri eli' egli intendeva porre in bocca a Gesù,
quale discorso d'addio, ei la perdette ben tosto di vista una seconda
volta e lasciò cosi dopo che prima libero corso alle parole d'addio
non per anco esaurite.
Se ora da qui noi riportiamo nuovamente lo sguardo al passo A ,
'il più sopra esaminato si scorgerà di leggieri qualmente l'evangeli
ca potesse essere indotto a porre in luogo cosi sconveniente la te
stimonianza relativa al dispregio in che è tenuto il profeta nella pro
pria patria. (Juesta testimonianza eragli nota per via tradizionale, e
sembra ch'ei la riferisse in senso generale alla Galilea, nulla sapendo
'li rapporti sfavorevoli di Gesù con Nazareth in particolare. Ma non
648 VITA DI GESÙ
essendo a cognizione dell' Evangelista una scena speciale da cui po
tesse apparire occasionata, ei la riferi più sotto, non appena gli ac
cadde di far cenno della Galilea e certamente in modo che non la
scia supporre in lui una notizia chiara e determinata.
Laonde noi giungiamo a questa conclusione : quanto esatto è il le
game che F autore del quarto Evangelista sa porre nei discorsi di
Gesù, quand'egli ha che fare con pensieri propri ; altrettanto esso rie
sce non di rado scomposto quando gli accade di intercalare al pro
prio luogo espressioni reali di Gesù, conservate nella tradizione. Qui
ov'egli aveva a risolvere lo stesso compito dei sinottici, la cosa andò
per lui, come per quelli, anzi peggio ancora, se vuoisi, in ragione dei
minori punti di contatto che lo spirito affatto diverso della 'sua nar
razione offeriva ai veri frammenti di discorso e della minore altitu
dine di lui, d'altronde assuefatto a creare d'un solo getto, nel lavo
rare a mosaico in questa guisa.
§ 85.
disfano alle esigenze più rigorose della critica psicologica *). Rispon
dono gli avversari essere, per lo contrario, affatto inverosimile, da un
lato, che, Gesù abbia parlalo in modo assolutamente identico a per
sone di coltura intellettuale disparatissima; che siasi espresso più in
telligibilmente coi Galilei nella Sinagoga, a Cafarnaùm, di quello che
col dottore d'Israele; che il contenuto dei suoi discorsi siasi quasi
unicamente aggirato su di una sola dottrina, la dottrina della sua per
sona e della sua elevazione, e che la forma di questa, sia stata, qual
sembra calcolala per isviare le menti, ed allontanarle da lui. D' altro
lato, si contestò non di rado che le parole poste in bocca degli astanti
e degli interlocutori fossero al loro luogo. In ciò, come abbiamo ve
duto, non vi ha alcuna differenza, fra una donna di Samaria ed il
fariseo più colto ; si runa che l'altro intendono carnalmente i discorsi
che Gesù intende spiritualmente e simili malintesi presentano talvolta
contrasti tali da sorpassare ogni credenza. Ad ogni modo, sono essi
cosi uniformi, che rassomigliano ad una abitudine di stile giusta la
quale sembra che l'autore del quarto Vangelo, abbia arbitrariamente
e per solo amore di contrasto, caratterizzato gl'interlocutori di Gesù -).
E qui veramente io non saprei che cosa intendano per verosimiglianza
coloro cui sembra riscontrarne la impronta nei discorsi di Gesù rife
riti da Giovanni.
2." Questi discorsi sono essi suscettibili di essere ritenuti? D'ordi
nario si conviene che discorsi quali riscontransi nell'Evangelo di Gio
vanni, e che, invece di essere, come noi sinottici, sentenze, parabole
isolate o disposte 1' una dopo l'altra, costituiscono dimostrazioni coe
renti o dialoghi prolungati ; discorsi , tali , diciamo , sono fra le cose
più difficili a ritenersi ed a fedelmente riprodursi 3). Se tali discorsi
non sono redalli per processo verbale, bisogna abbandonare ogni
idea di fedele riproduzione.
E però al dolt. Paulus passò davvero per mente l'idea che esistesse,
') Wegschneider. Einleitung in das Evang. Joh. pag. 271; Tholuek ,
Comm., p. 37 e seg.
'] Cosi Erkerinann, Tcol. Buitrege, 5, 2, p. 228; (Vogel). L'evangelista
Giovanni ed i suoi commentatori manzi all'ultimo giudizio, 1, p. 28 e seg.,
in Wegschneider, 1. e, p. 281; Bretschneidor Probabil., pag. 33, 45; Do
Wctte, Exeg. Hanbd., 1, 3, p. 0 e seg.
s) De Wette. Einl. in das N. T., § 103; Exeg. Handb., 1, 3, pag. 0:
Tholuek Comm, e Joh., p. 38 e seg.; GkmbaUrdighcit, p. 344'e seg.: LUcko.
1, p. 198 e Serg.
(350 VITA DI GESÙ
nelle cancellerie del Tempio e delle sinagoghe in Gerusalemme, una
specie di stenografi protocollisti, degli atti dei quali i cristiani tras
sero copia dopo la morte di (ìesù 4). Berthold! parimente opinava che
il nostro Evangelista avesse scritto, dia dai tempi di Gesù, in lingua
aramea la maggior parte dei suoi discorsi, e c'ie le note raccolte da
lui in quell'epoca, avessero servito di fondamento alla redazione d'as
sai posteriore del suo vangelo -). Quanto più di leggieri cade sott'oc-
chio la falsità storica di queste moderne ipotesi sj tanto più artope-
raronsi i fautori del quarto Evangelo a trovar fuori nuove e più va
lide ragioni. Le" espressioni profetiche di Gesù, osserva Bert'ioldt, —
che riguardano la di lui m irle e risurrezione, hanno in Giovanni una
impronta ancor più vaga e indeterminata : segno sicuro eh' esse fu
rono trascino prima ancora dell' avvenimento, che altrimenti esse sa
rebbero riuscite viepiù precisate ex ev:mtu del pari che nei sinottici.
Al quale argomento possiamo aggiungere l'altro aflne di He «Ve il
quale a provare P eminente veracità dei discorsi del quarto Evangeli
sta notò come questi non di rado schiarisca con frasi proprie [seb
bene il più delle volte falsamente) le espressioni oscure di Gesù: se
condo Ileuke ciò dimostra in Giovanni una massima coscienziosità nel
riprodurre i discorsi di Gesù, che altrimenti egli avrebbe innestato
nei discorsi medesimi le proprie spiegazioni *). Ma a ragione fu os
servato dalla parte contraria che V oscurità di quelle predizioni nel
quarto Evangelo risponde completamente allo spirito mistico di tutta
l'opera 5): oltre di che, siccome il nostro Evangelista, in uno alia sua
predilezione per P oscuro e P enim mitico possedeva un tatto innega
bile, ei dovette bene accorgersi essere una profezia tanto più pregiala
e credibile, quanto più oscuramente espressa: per la qnal cosa egli
sebbene solo lunga pezza dopo l'avvenimento ponesse in bocca a Gesù
la predizion del medesimo , potè tuttavia propendere a concepirla in
') Nell'esame della seconda edizione del Commentario di Liicke, nei Li!.
Blatt. cler allgcm, Kirchenseitung, 183-1, nota 18.
s) Nessuno caratterizzò questa particolarità dei discorsi di Giovanni, me
glio di Erasmo nella lettera a Ferdinando, posta in principio della sua
parafrasi : Habet Joannes suum quoddam dicendi genus , ita sermoncni
velut ansulis ex sese coherentibus contexens, nommenquam ex contrariis,
nommenquam ex similibus, nommenquam ex iisdem, sutinde cepetitis... ut
orationis quodque membrum semper excipiat prius, sic ut prioris finis stt
initium sequentis, etc.
CAPITOLO SETTIMO. 657
spondenti di (padre) e uù'; (figlio), ?us (luce) C OXOTC4 (tenebra) ,
{mi (vita) e s*'«»tcì (morte), ivu> (da alto) e «Au (da basso), aà?i (carne)
(spirito), non che alcune designazioni simboliche, come apro;
tk itnìt {pane della vita), jsup 4<."v (acqua viva), ed altre simili; idee
e designazioni costituenti i fattori coi quali la mano abile di Giovanni
seppe costruire , (in grazia appunto di queste semplici idee fondamen
tali) non senza una tal quale uniformità, interi discorsi del suo
Maestro.
CAPO VI.
1 Guardatevi di far la vostra limosina nel cospetto degli uomini, per es
ser da loro riguardati; altrimenti, voi non ne avrete premio appo il Pa
dre vostro, che è ne' cieli.
2 Quando adunque tu farai limosina, non far sonar la tromba dinanzi a
te, come fanno gì' ipocriti nelle sinagoghe, e nello piazze, per essere ono
rati dagli uomini ; io vi dico in verità, che ricevono il premio loro.
3 Ma, quando tu fai limosina, non sappia Ja tua sinistra quello che fa
la tfcstra;
660 VITA DI GESÙ
4 Acciocché la tua limosina si faccia in segreto ; e il Padre tuo , che
riguarda in segreto, te ne renderà la retribuzione in palese.
3 E, quando tu farai orazione, non esser come gl'ipocriti; perciocché essi
amano di fare orazione , stando ritti in pie , nelle sinagoghe , e ne' canti
delle piazze, per esser veduti dagli uomini; io vi dico in verità, che rice
vono il loro premio.
0 Ma tu , quando farai orazione , entra nella tua cameretta , e serra il
tuo uscio, e fa orazione al Padre tuo, elio è in segreto; e il Padre tuo,
clic riguarda in segreto, ti renderà la tua retribuzione in palese.
7 Ora, quando farete orazione, non usate soverchie dicerie, come i pa
gani; perciocché pensano di essere esauditi per la moltitudine delle lor
parole.
8 Non li rassomigliate adunque; perciocché il Padre vostro sa le cose
di che voi avete bisogno, innanzi che gliele chiediate.
y Voi adunque orate in questa maniera : Padre nostro che sei ne' cieli,
sin santificato il tuo nome.
10 II tuo regno venga. La tua volontà sia fatta in terra come in cielo.
11 Dacci oggi il nostro pane cotidiano.
12 E rimettici i nostri debiti, come noi ancora lì rimettiamo a' nostri
debitori.
13 E non indurci- in tentazione, ma liberaci dal maligno; perciocché tuo
é il regno e la potenza, e la gloria in sempiterno. Amen.
14 Perciocché, se voi rimettete agli uomini i lor falli, il vostro Padre
celeste rimetterà ancora i vostri.
15 Ma , se voi non rimettete agli uomini i lor falli, il Padre vostro al
tresì non vi rimetterà i vostri.
16 Or quando digiunerete, non siate mesti di aspetto , come gl'ipocriti ;
perciocché essi si sformano le facce , acciocché apparisca agli uomini che
digiunano; io vi dico in verità che ricevono il loro premio.
17 Ma tu, quando digiuni, ugniti il capo e lavati la faccia;
18 Acciocché non apparisca agli uomini che tu digiuni, ma al Padre tuo,
il quale è in segreto ; e il Padre tuo, che riguarda in segreto, ti renderà
la tua retribuzione in palese.
19 Non vi fate tesori in sulla terra, ove la tignuola e la ruggine gua
stano; e dove i ladri sconficcano e rubano.
20 Anzi, fatevi tesori in cielo, ove nò tignuola, né ruggine guasta; e
dove i ladri non sconficcano, e non rubano.
21 Perciocché, dove ò il vostro tesoro, quivi eziandio sarà il vostro cuore,
22 La lampana del corpo è l'occhio ; se dunque l'occhio tuo è puro, tutto
il tuo corpo sarà illuminato.
23 Ma, se l'occhio tuo è viziato, tutto il tuo corpo sarà tenebroso; so
dunque il lume eh'è in te é tenebre, quante saranno le tenebre stess-e*
CAPITOLO SETTIMO. Gtfl
CAPO VII.
46. Or, perchè mi chiamate Signore, e non fato lo cose eh' io dico?
47 Chiunque viene a me, ed ode le mio parole, e le mette ad effetto,
io mostrerò a cui egli è simile ;
48 Egli è simile ad un' uomo eh' edifica una casa , il quale ha cavato ,
e profondato, ed ha posto il fondamento sopra la pietra: ed essendo ve
nuta una piena , il torrente ha urtata quella casa , e non 1' ha potuta
scrollare: perciocché era fondata in sulla pietra.
49 Ma chi 1' ha udite , o non 1" ha messe a 1 effetto , è simile ad un uomo
che ha edificata una casa sopra la terra, senza fondamento : la quale il tor
rente avendo urtata, ella è di subito caduta, e la sua ruina è stata grande.
glianza di alcuni accidenti delle parabole diciamo , che Gesù parlava coi
suoi discepoli nelle parabole secondo i modi dei tempi. Se poi da quelle
"parabole sorgesse un vero e reale insegnamento religioso si può di leggieri
scorgere dagli scritti dei chiosatori che da quelle parabole e dai loro ac
cidenti hanno cavato sapienza moltissima, rispondente in tutto all'econo
mia del cristianesimo.
Al capo VII — Conversazione di Gesù con Nicodemo — Lo Strauss
non giunge a provare che Nicodemo, sia un' invenzione del quarto Van
gelo. 11 silenzio degli altri evangeli non è ragione sufficiente ; né 1' essere
Nicodemo un ottimate toglie fede alla veridicità del racconto , perocché
starebbe sempre che i primi discepoli di Gesù fossero plebei; 1* eccezione
di uno o di due è nulla.
Né ci pare più felice nel volere attribuire all'Evangelista tutto il discorso
di Gesù a Nicodemo, comunque tenti ciò fare con molto ingegno. Percioc
ché le verità esposte da Gesù sono dallo Strauss sottoposte alle regole e
convenienze umane, non misurate con le regole e convenienze divine.
Si dica lo 6tcsso circa — i discorsi di Gesù nell'evangelo di san Gio
vanni 5-12 — e sulle — sentenze isolato di Gesù, che sono comuni al
quarto Vangelo ed agli altri.
Le osservazioni dello Strauss rivelano un ingegno non comune ad un
uomo di profondi studii, ma a noi pare che non giungano a dar prove
evidenti contra la ispirazione dei Vangeli.
INTRODUZIONE
Jl I.
Necessaria formazione di diversi modi di spiegare le storie sacre . » 21
S 2.
Diverse spiegazioni delle leggende divine presso i Greci . . • 22
8 3.Interpretazione allegorica presso gli Ebrei. Filone » 24
$ 4.Interpretazione allegorica fra i cristiani. Origene » 26
Ì 5.
Passaggio al tempo moderno. I Deisti e i Naturalisti del XVII e XVIII Secolo.
L' autore de' frammenti di Wolfenbllttel 29
S t>. Spiegazione naturale de' razionalisti Eichhorn — l'aulus . . • 3i
3 7. Interpretazione morale di Kant «il
S 8. Origine della interpretazione mitica della Sacra Scrittura, primieramente ap
plicata all'Antico Testamento .43
5 9. L'esplicazione mitica applicata al Nuovo Testamento » CI
5 10. L'idea del mito nella sua applicazione alla Storia Sacra non fu compresa
. . ichiaramcnte dai teologi . . . . » SA
068 INDICE
| il. L'idea del mito non fu abbracciata in modo abbastanza esteso - pag. 60
S 11 Polemica contro la spiegazione mitica della storia evangelica . . » 66
$ 13. Possibilità dei miti nel Nuovo Testamento comprovata da ragioni estrinseche. » 71
% 14. Possibilità dei miti nel Nuovo Testamento provata da ragioni intrinseche. » 82
§ 18. Idea e specie del mito evangelico 101
$ 16. Criterii del non istorico nei racconti evangelici » 103
Note critiche all' Introduzione » 109
.SEZIONE PRIMA
CAPITOLO PRIMO.
Annunciazione e nascita di Giovaìn Battista.
CAPITOLO SECONDO.
CAPITOLO TERZO.
annuncio della concezione di gesù', sua generazione sopranatur vle.
— visita di Maria ad Elisabetta.
CAPITOLO QUARTO.
CAPITOLO QUINTO.
Prima visita al tempio ed educazione di Gesù'.
SEZIONE SECONDA
CAPITOLO PRIMO.
CAPITOLO SECONDO.
CAPITOLO TERZO.
57. Divergenza fra i sinottici e Giovanni sul teatro ordinario del ministero di
Gesù » 433
68. Residenza di Gesù a Cafarnao » 410
59. Divergenza degli evangelisti intorno alla cronologia della vita di Gesù.
Durata del suo ministero pubblico » 453
60. Saggi di un ordine cronologico degli avvenimenti particolari della vita
publica di Gesù » 457
CAPITOLO QUARTO.
CAPITOLO QUINTO.
ì 70. Vocazione dei primi compagni di Gesù. Divergenza fra i due primi vangeli
ed il quarto > 321
! 71. Pesca di Pietro 331
i lì. Vocazione di Matteo. Relazioni di Gesù eoi pubblicani . . . . • 338
5 73. I dodici apostoli • 545
5 74. 1 dodici considerati uno ad uno. I tre o quattro discepoli più intimi di
Gesù . . * '550
S 75. Degli altri apostoli e dei settanta discepoli » 558
Note critiche al capitolo quinto » 562
CAPITOLO SESTO.
CAPITOLO SETTIMO.
VITA DI GESÙ
i!
LA
VITA DI GESÙ
PER IL
DOTT. D. F. STRAUSS
Volume II.
MILANO
PER FRANCESCO SANVITO
1865.
(Proprietà letteraria). •
WW) 1865. — Tip. di F. Gareffi, Via di S. 'Gio. in Guggirolo, w.
CAPITOLO OTTAVO.
§ 84.
') Schulz, Ueber da» Abendmahl, p. 3'3 e sog. ; Sieffort, Ueber den Urs-
prung dei costen Kanon. Evang. p. 58, 75, n. s., Schnekcnburger, Ueber
den Ursprung, p. 73.
G VITA DI GESÙ
borghi (9, 55; 11, 1; confrontisi 4, 23), gtft si condussero tulli gli
ammalati, e tulli li guari (4, 2i e scg.; 14, 55 e seg. ; confrontisi
15, 29 e seg.); e infine, nel rammentare l'asciutta brevità di tanti rac
conti isolali , non si saprebbe dar torto a quei critici che vedono in
tutta la narrazione di .Matteo l' eco di avvenimenti da lungo tempo
accaduti e resi da una lunga tradizione orale sempre più indetermi
nati e vaghi. Tuttavia, presa in sè stessa, questa prova non convince
interamente: poiché nella maggior parte dei casi, si avrà occasione
di verificare, che anche un testimonio oculare può mancar della fa
coltà di riprodurre vivacemente, ciò ch'egli ha veduto 4).
Ma la moderna critica non misura Matteo solamente alla stregua di
quanto sarebbe ad attendersi da un testimonio oculare: essa \o con
fronta altresì agli altri Evangelisti. Fra questi, da un lato , si trova che
Giovanni è decisamente superiore a Matteo pel talento dell' esposi
zione , sia nel piccolo numero dei passi ch'essi hanno comuni, sia in
tutto il suo modo di narrare: d'altro lato si attribuisce generalmente
agli altri due sinottici, e in ispecie a Marco, una esposizione ben più
chiara e completa 2;; e cosi è realmente nè più lo si dovrebbe negare.
Quanto al quarto Vangelo, in esso pure si trovano senza dubbio queste
indicazioni in massa, per esempio che Gesù, durante la festa, operò molti
segni, e per tal motivo, molti credettero in lui (2, 25 e seg.) ; ed altre
simili (5, 22; 7, 1) in esso pure si scorgono non di rado designate
le persone senza precisione ; tuttavia qualche volta, laddove Matteo non
parla che di un uomo o di alcuni uomini, egli ne dà i nomi (12, 3,
4; confrontisi con Matteo, 20, 7, 8; e 18, 10, confrontisi con Matteo
26, 51; ed anche C, 5 e scg.; confrontisi con Matteo 14, 16 e se?. :
e quanto ai luoghi, si sa generalmente con esattezza in quale località
od in quale contrada sia accaduto un avvenimento.
Della cronologia accurata di questo Vangelo, si è già tenuto parola;
e ciò che più importa, le sue narrazioni, per esempio il racconto del
cieco nato e della risurrezione di Lazzaro, hanno alcunché di vivo che
indarno si cercherebbe nel primo Evangelista. Anche nei due Evange
listi intermediari , si trovano delle indicazioni indecise di tempo (per
esempio : Marco 8, 1; Luca 5, 17; 8, 22) di luogo (Marco 5, 13; Luca
6, 12) e di persone (Marco 10, 17; Luca 13, 25): nemmeno vi man-
') Confrontisi Sannier, Ueber die Quelhn des Maskus, pag. 42.
Kern, Ueber dea Ursprung des Ev. Matt., 1. c, p. 70 e seg.
8 VITA DI GESÙ
questa precisione e questo carattere drammatico non derivino dalla
seconda tendenza della leggenda 1Vr
Il sostenere così positivamente come si fa la prima proposizione,
è un gusto posteriore dell' aulica ortodossia, che voleva che tutti i
nostri Vangeli provenissero immediatamente da testimonj oculari od
almeno da un intermediario fedele. La critica recente ha spogliato
questa supposizione della sua generalità, ed ammessa la possibilità
che 1' uno o 1' altro dei nostri vangeli sia stato alterato dalla tradi
zione orale. Giunta a questo punto essa stabilisce , non senza verosi
miglianza, che un Vangelo le cui descrizioni mancano quasi ovunque
di calore e di vita non può provvenire da un testimonio oculare , e
ha dovuto soffrire nella tradizione. Ora ammetlerassi che gli altri
Evangelisti, la narrazione dei quali è più sviluppata e più drammatica,
raccontano ciò ch'essi hanno veduto? Ciò è ammissibile soltanto nella
ipotesi, che fra di loro, alcuni siano stali testimonj oculari; poiché
in generale, quando, fra parecchie narrazioni, si sa anticipatamente
che le une derivano da testimonj oculari e le altre no, si ponno con
tutta verosimiglianza annoverare nella prima categoria quelle in cui
il carattere drammatico è più manifesto. Ma siffatta ipotesi riposa a
sua volta sulla ragione puramente subiettiva che dall' antica opinione
la quale scorge in tutti gli Evangeli racconti mediatamente o imme-
diatamente autottici, è più facile passare all'opinione la quale limita
questo carattere ad alcuni soltanto tra essi, che non all' opinione
della sua assoluta mancanza in tutti.
Il fatto sta che in uno con 1' opinione ortodossa sul canone cade
la supposizione di questa qualità non solo per l' imo o per V altro
degli evangeli; ma per lutti; bisogna supporre per tutti la possibilità
del contrario, o solamente collo studio della natura dei racconti, con
frontato colle testimonianze esterne, si giungerà a riconoscere lo stato
reale della cosa. Ora da questo punto di vista che è il solo permesso
alla critica , si scorge , dietro 1' esame consacrato neh' introduzione alle
testimonianze esterne, essere del pari possibile, che gli altri evange
listi debbano il carattere più drammatico delle loro descrizioni ad una
elaborazione ulteriore della leggenda o che lo debbano invece ad on
rapporto più stretto con le scene che raccontano, colla testimonianza
oculare.
') Examinare se... non riconoscere come deciso che... sono le espressioni
ili cui io mi servo, e che valgono a confutar gli avversari i quali mi ac
cusano di adoperare in prosa del carattere mitico, tanto la brevità che lo
sviluppo dei racconti.
CAPITOLO OTTAVO. 9
Per nulla pregiudicare anticipatamente esaminiamo a tale riguardo
i risultali da noi già ottenuti. Luca specifica, per parecchi discorsi
di Gesù, l'occasione in cui essi furono pronunciati, laddove Matteo
nulla specifica di simile; ma più d' una volta abbiamo dimostrato clic
questa maggiore precisione dovevasi ad un'aggiunta posteriore. Marco
(13, 3; confrontisi 5, 57; Luca 8, 51) designa col loro nome certe
persone; ina questa designazione altro non ci parve clic il risultalo
d'un ragionamento del narratore. Trovandoci oramai al principio del
l'esame delle narrazioni isolale, vogliamo esaminare ancora una volta
dal punto di vista del carattere drammatico della descrizione , le for
mule generali d'esordio, di conclusione, di transizione, quali riscon
trami nei differenti vangeli. Ivi, infatti la differenza tra Matteo e gli
altri sinottici, quanto al carattere più o meno drammatico, reca un
impronta che meglio d'ogni altra cosa può darci l'idea giusta di que
sto carattere medesimo.
Laddove Matteo (8, 16 seg.) accenna sulle generali, che la sera,
dopo la guarigione della suocera di Pietro, furono condotti a Gesù molti
indemoniali, i quali tutti egli guarì insieme con altri infermi, Matteo (1,
32) soggiunge in modo allatto drammatico, e come se egli stesso fosse
stato testimonio oculare , che tutta la città erasi radunata innanzi alla
porta della casa ove era Gesù. Un' altra volta, egli riferisce che il con
corso del popolo fu così grande, che ingombrava tutti i dintorni della
porta (2, -2 ; due altre volte rappresenta la folla talmente grande che Gesù
ed i suoi discepoli non possono nemmeno cibarsi (5, 20; 6, 51); e Luca
riferisce una volta che l'affluenza fu tale che le genti si calpestavano l'un
l'altro, ùSi Miar^iU axvrixcu; (12, 1). Tutti questi passi sono eviden
temente drammatici per eccellenza: ma la mancanza di essi non può
formare in Matteo un punto d' accusa; poiché assomigliano essi ad
abbellimenti del narratore, abbellimenti che secondo 1' osservazione di
Schleiermacher danno non di rado un' apparenza di apocrifo all' E-
vangelo di Marco in ispecie. Nei racconti particolarizzati di cui riscon
treremo in seguito numerosi esempi , laddove Matteo riproduce sem
plicemente ciò che Gesù ha detto in una data occasione, gli altri due
fanno cenno eziandio dello sguardo con cui Gesù accompagnava il suo
discorso (Marco 3, 5; 10, 21; Luca 6, 10). Parlando di un mendi
cante cieco presso Gerico, Marco si dà premura di dirvi il suo nome
ed il nome di suo padre (10, 40). Da questi fatti, noi possiam già
sospettare ciò che 1' esame dei racconti sociali ci mostrerà con mag
gior precisione ; che cioè noi abbiamo qui' sott' occhio i prodotti di
10 VITA DI GESÙ
quella seconda funziono della tradizione, che, per brevità, possiamo
chiamare funzioni di abbellimento. Ora, questi abbellimenti sono essi
sorti da loro medesimi a poco a poco nella leggenda orale, o sono
invece opera dei redattori dei nostri Vangeli? E una dimanda che la
scia a disputare, e tilt L'ai più si potrà giungere ad una certa verosi
miglianza per alcuni passi speciali. Ad ogni modo, non solo un rac
conto abbellito con aggiunte dello scrittore è più lontano dalla verità
primitiva che non un racconto privo di tale aggiunta, ma eziandio la
stessa leggenda sembra nei primi periodi della sua formazione intenta
unicamente a porre in evidenza le cose principali, dette o fatte, e solo
più tardi lavora ad abbellire uniformemente tutte le parli del racconto,
persino le accessorie; dimodoché, anche sotto questo riguardo , il
primo Vangelo sarebbe più degli altri vicino alla verità.
Se la differenza di un carattere più o meno drammatico nelle
formule di conclusione e di transizione ha luogo per lo più fra Matteo
e gli altri sinottici, una differenza d'altra specie relativamente a que
ste stesse formule , esiste fra i tre sinottici e Giovanni. Infatti, mentre
la maggior parte dei racconti sinottici che si riferiscono alla vita pub
blica di Gesù hanno un impronta panegirica, la maggior parte dei
racconti di Giovanni hanno un impronta per cosi dire polemica. Senza
dubbio i tre primi evangelisti riferiscono anch'essi più d'una volta,
nel terminare i loro racconti, avere Gesù, scandolizzate le menti li
mitate, e i suoi nemici ordite trame contro di lui (Matt. 8, 54; 12.
14; 21, 46; 26, 5 e seg.; Luca 4, 28 e seg.; 11, 53 e seg.); e dal suo
canto, il quarto evangelista termina alcune relazioni di discorsi e di
miracoli, notando che per essi molti credettero in lui (2, 23; 4, 39.
53; 7, 51. 40 e seg.; 8, 30; 10 42; li, 45). Ma il fatto sta che, nei
sinottici , pel tempo che precede il soggiorno di Gesù a Gerusalemme,
si trovano in generale delle forinole che esprimono come la fama di
Gesù siasi estesa d'assai (Matt. 4, 24; 9, 20. 51; Marco 1, 28. 45:
5, 20; 7, 56; Luca 4, 57; 5, 15; 7, 17; 8,59); come il popolo am
mirasse la sua dottrina (Matt. 7, 28; Marco 1, 22; il, 18; Luca 19.
48, ecc.); e fosse stupito delle sue opere meravigliose (Matt. 8 , 27 ;
9, 8; 14, 55; 15, 51, ecc.), e perciò accorresse da ogni parte a lui
(Matt. 4 25; 8, 1; 9, 56; 12, 15; 15, 2; 14, 15, ecc.). Nel quarto
Vangelo, invece, si trova più di sovente la osservazione che i Giudei
attentarono alla vita di Gesù (5, 18; 7, 1); che i Farisei cercarono
arrestarlo, o mandarono servi e prenderlo (7, 50; 32, 44; confrontisi
8, 20; 10, 59); che furono scagliate pietre; e perfino quei passi in
CAPITOLO OTTAVO. 11
cui si parla d'una disposizione favorevole del popolo, sono dal quarto
Evangelista per lo più rappresentati in modo , che una porzione sol
tanto del popolo mostrisi animata da buoni sentimenti , e l' altra ap-
paja animata da sentimenti ostili. Egli si compiace sopratutto a porre
in evidenza come, prima dell'ultima catastrofe, ogni astuzia e violenza
dei nemici di Gesù riuscissero inutili, per ciò che la sua ora, -n <Spa oj'toJ,
non era ancor suonala (7, 30; 0, 20;; come gli arcieri ripetutamente
spediti contro di lui, vinti dalla potenza della sua persona, ritornassero
ogni volta senza aver eseguito l'ordine ond' erano incaricati (7, 32. 44
e seg.); come Gesù traversasse , pienamente illeso, le moltitudini irri
tate contro di lui (8, 59; 40, 59; confrontisi intorno a ciò Luca 4,
30). Gli è certo, come si notò più sopra, trattarsi qui , non di una
conservazione naturale, ma di una conservazione in cui la natura su
periore di Gesù e la sua inviolabilità si manifestarono fino a quando
egli stesso volle far getto della sua vita: ma da ciò più chiaro risulta
lo scopo che determina il quarto Evangelista a porre in particolare
evidenza queste circostanze. Esse infatti gli servono a moltiplicare quei
contrasti mercè dei quali egli cerca, in tutto il suo libro , di levare
in alto la persona e la dignità di Gesù. In quella guisa che a fronte
della grossolana intelligenza dei Giudici , la profonda saggezza di Gesù,
rappresentata come quella del Verbo divino, brillava di uno splendore
più vivo, cosi la sua bontà assumeva un aspetto più commovente di
fronte alla malignità ostinata de' suoi nemici. L' importanza della sua
apparizione sulla terra tanto più ingrandivasi quanto più egli era og
getto di discussioni fra il popolo ; e tanto più la sua potenza, come
la potenza di colui che aveva la vita in sé, esigeva il rispetto, e quanto
più numerosi erano i tentativi fatti da' suoi nemici per prenderlo ,
sempre sventati da superiore virtù , e quanto più incomprensibile ap
pariva che egli stesso avesse attraversato illeso le fila dei suoi av
versari congiurati alla perdila di lui. E però per quanto si voglia dar
lode al quarta Evangelista d' aver resa visibile 1' opposizione del par
tito farisaico a Gesù nel suo nascere e nel suo sviluppo progressivo,
gli è qui appunto il luogo di chiedere se questo prammatismo sia
naturale o fittizio. E fittizio esso è in questo almeno , che il quarto
Vangelo cerca, nelle regioni sopranaturali, il motivo onde i nemici
di Gesù furono sì a lungo impotenti contro di lui, laddove i sinottici
con prammatismo vero pongono in luce il motivo naturale, dicendo
che i magistrati giuridici temevano il popolo, il quale si affezionava
a Gesù come ad un profeta (Matt. 21 , 46; Marco 12, 12; Luca 20,
12 VITA DI GESÙ
§ 85.
a diverse riprese essa venisse sollevata contro Gesù quand' egli scac
ciava i demoni, è cosa per sé stessa credibile; la sola difficoltà che
si presenta sì è che l' indemoniato il quale dà occasione a questa di
chiarazione è, ambedue le volte un nudo xcV« (solo la seconda volta
soltanto è inoltre cieco, i^xe*). Gli indemoniati- erano d' ogni sorta ,
malattie d' ogni specie si attribuivano all' influenza degli spiriti mali
gni: penile dunque la detta imputazione si unisce due volte alla
guarigione d'un mulo indemoniato e una alla guarigione d' un os
sesso d' altra specie ? La difficoltà aumenta se , nel nostro esame,
noi comprendiamo il racconto di Luca (11 , 14 e seg). Questo rac
conto, per la descrizione delle circostanze, corrisponde al primo
racconto di Matteo, non al secondo: poiché d' ambe le parti, il de
moniaco è solamente muto ; d' ambe le parti , la guarigione è
seguita da una stessa formula, e 1' ammirazione del popolo è espressa
in un modo analogo, circostanze tutte per le (piali il secondo rac
conto di Matteo allontanasi molto da quello di Luca. Ora, alla guari
gione di questo muto, la quale, secondo Mal tao, non provocò per
parte di Gesù alcuna riflessione, Luca annette per lo appunto lo stesso
discorso che Matteo annette alla guarigione del cieco-muto ; di ma
niera che Gesù avrebbe detto la stessa cosa in queste due circostanze,
che si sarebbero succedute l'una all'altra. Ciò oltrepassa ogni vero
simiglianza; e quando aggiungasi 1' improbabilità che una imputazione
identica sia stata fatta per la seconda volta, precisamente in occasione
d' un muto indemoniato , sarà forza chiedere se un solo e medesimo
fatto non sia stato duplicato dalla leggenda.
Matteo ci dà egli stesso la spiegazione del come ciò abbia po
tuto accadere rappresentando la prima volta l' indemoniato quale sem
plicemente muto, la seconda volta quale muto e cieco. Non la doveva
essere una guarigione sorprendente, dacché vi si univa tanta ammi
razione da parte del popolo , e un attacco cosi disperato da parte dei
nemici di Gesù? Quindi , può darsi che il semplice mutismo non ab
bia bastalo, e che la leggenda, esagerando, abbia per soprapiù pri
vato il demoniaco della vista. Ora, se allato a questa nuova forma
zione della leggenda, l'antica circolava ancora, qual meraviglia che
un compilatore più coscienzioso che critico, come l'autore del primo
Vangelo , le abbia raccolte 1' una dopo l' altra quasi l'ossero storie di
verse, senza altra cura che di omettere una volta il discorso di Gesù
per evitare la ripetizione *).
') Gonfr. Do Wettc. Man, Exey., 1, 1, p. 116; -Neander-,- i- 'J> Chr.f
14 VITA J>I GESil
p. 288 Schleiermacher (p. 175) non trova connessione nel discorso sulla
bestemmia contro lo Spirito Santo miC^a ày.cv, in Matteo (12, 31) quantun
que questa bestemmia si riferisca benissimo a quello che precede: io cac
cio i demoni in nome dello spìrito di Dio, i-pi «v imuVari ©teù ex£»Uo t»
Sai(iovta (v. 28). Si comprende tuttavolta questa difficoltà di Schleiermacher
più facilmente che non si comprenda come egli possa (p. 185 e seg.) tro
vare questa proposizione meglio collocata in Luca (12, 10); dov'essa è pre
ceduta dall' altra proposizione che colui che rinega il figliuolo dell' uomo
inanzi agli uomini sarà rinnegato da lui inansi agli angioli. Fra que
ste due proposizioni connessione alcuna non havvi, tranne che le parole
rinnegare il figliuolo dell'uomo, apvtiaSa.1 tsv um» toJ avSpuTOu , richiama
rono alla mente dello scrittore le parole dire qualche cosa contro il fi
gliuolo dell' uomo , mWv xìyov et's ts'v m'o'v too" avipojrou. Ciò dimostra altresì,
che fra quesf ultima proposizione , e la successiva , in cui Gesù dice
ai suoi discepoli che lo Spirito Santo irveòp.» *fiov, insegnerà loro ciò ch'essi
dovranno dire, il legame è pure del tutto esterno e non si appoggia che
sull'espressione Spirito Santo. Ciò che segue in Matteo (v. 35-37) è già
stato detto in parte nel discorso della montagna, ma trovasi qui pure in
una migliore connessione di quello che Schleiermacher non voglia conve
nirne.
•) Il racconto di Luca che pone immediatamente l'una dopo l'altra, l'im
putazione e la domanda di segni, come anche le due risposte di Gesù, è
sembrato alla critica moderna infinitamente più verosimile del racconto di
Matteo, in cui si legge dapprima l'imputazione e la replica, poscia la do
manda di segni ed il rifiuto di ottemperarvi ; secondo essa , difficilmente
si comprende come, dopo avere Gesù fatto una lunga risposta all' imputa
zione di una lega con Belzebù, le stosse persone che tale accusa gli ave
vano mossa o per lo meno alcune di esse, potessero eziandio chiedergli un
segno (Schleiermacher, pag. 175 ; Schnekenburger, Ueber den Ursprung ,
p. 52 e seg.). Ma d'altra parte, si potrebbe trovare parimente inverosimile
che Gesù, dopo aver lungamente ed energicamente parlato, contro l'og
getto più importante, cioè l'accusa, relativa a Belzebù, e dopo essere stato
anche, condotto da una interruzione ad una proposizione di ben diversa na
tura (Luca, 11, 27 e seg.), Gesù, diciamo, fosso ritornato su d' un oggetto
meno importante, quale la domanda dei segni. Confr. De Wettè, Man.
CAPITOLO OTTAVO. 15
come Luca , una sola domanda di segni ; egli ne riferisce un' altra
16, 1 e seg.) dopo la seconda moltiplicazione miracolosa dei cibi;
questa seconda domanda di segni trovasi pure in Marco (8, 11 e seg.)
il quale non ha la prima. Ivi è detto che i Farisei (accompagnati in
Matteo, dai Saducei, cosa inverosimile ) si avvicinano a Gesù e gli
chiedono qualche miracolo nel cielo, sniufsv ex to» ou'pavoJ, e Gesù dà loro
una risposta che conchiude con queste parole: Questa razza malvagia
ed adultera cliieile un segno, ma niun segno le sarà dato se non il
negno di Giona profeta ,
'A 55i-n'o£T3i a.ÌTÀ, Et [ni to' aT,|iei&v ìuv» tou itpoqn)Tou , conchiusione la quale
coincide parola per parola col principio del rifiuto fatto precedente
mente da Gesù (Matt., 12, 39).
S'egli è già discretamente inverosimile che Gesù abbia per due volte
respinto una tale suggestione colla stessa allusione enigmatica a Giona
e precisamente agli stessi termini, uopo è confessare che le parole
(v. 2 e 3) che precedono nel secondo passo di Matteo la frase suc
citata , riescono completamente inintelligibili. Perocché in seguito alla
domanda d' un miracolo nel cielo , il rispondere agli avversari , che ,
essi ben comprendono i segni naturali del cielo, non tanto però
comprendono i segni spirituali del tempo messiaco, la è cosa si
oscura che ci sembra doversi all' assoluta impossibilità di trovare un
Esceg., 1. 1, p. 119. In Matteo segue (v. 43-45) il discorso sui demonii che
ritornano in forze. Ciò dipende da Luca (11, 24 e seg.) espressioni relative
.il rimprovero d'aver operato l'espulsione de' demoni coll'aiuto di Belzebù ;
il che sembrerebbe collocato meglio qui che in Matteo dopo che i discorsi
contro la domanda dei segni. Tuttavia, esaminando più davvicino la cosa,
troveremo assai inverosimile che Gesù, dopo avere, con un'apologia che
gli era stata violentemente strappata, giustificato innanzi ai nemici le espres
sioni de' demoni, abbia fatta un'espressione così calma e puramente teo
rica, la quale suppone uditori, se non favorevolmente prevenuti, per lo
meno docili: e noi riconosceremo che qui sinora sta in questo fatto, che
ambo i discorsi trattano dell' espulsione dei decani. Il redattore del terzo
Vangelo si lasciò indurre da questa analogia a spezzare il legame fra i
discorsi di Gesù contro 1' imputazione relativa a Belzebù e contro la do
manda dei segni, discorsi i quali, riferendosi alle due più forti prove della
maligna incredulità dei suoi nemici, sembra siano stati ravvicinati dalla
tradizione. Il primo Evangelista si astenne da questa violenza; e però aven
dogli il sospetto mosso contro quelle espulsioni ricordato il discorso sul
ritorno dei demoni , non ritornò a quest' ultimo che dopo aver riferito la
replica alla domanda do' segui.
16 VITA DI GESÙ
nesso per attribuir l'omissione dei versetti 2 e 5 4) omissione che è d'al
tronde priva d'ogni autorità. Luca riferisce aneli' egli (12, 54 e seg.)
il rimprovero che Gesù muove ai suoi contemporanei di intendersi me
glio dei segni dell'atmosfera che di quelli dell'epoca : le parole stesse
non sono diverse che in parte, ina diversa ne è la posizione, e si po
trebbe giudicarla migliore: poiché dopo aver parlato del fuoco ch'e
gli accenderà e della disunione che nascerà per lui. Gesù poteva dire
con tutta naturalezza al suo popolo: Ai segni manifesti d'una rivolu
zione così grande come quella che si prepara per opera mia, voi non
prestate alcuna attenzione, tanto male comprendete i segni dei tempi-.
Ma esaminando più dappresso la cosa, si vede che in Luca il posto di
questo apottegma non è meno incoerente di quello delle due para
bole lo, 18, 3). Se da qui noi riportiamo lo sguardo su Matteo, ve
diamo agevolmente come egli potesse giungere alla sua narrazione. E
di vero potè determinarlo a duplicare la domanda dei segni la va
riante da lui trovata quanto al segno richiesto , ora designalo come
un miracolo in generale, ora in particolare, come un miracolo del
cielo,
Sapendo poi che Gesù aveva rimandalo i Giudei dal distinguere f
parenza del cielo «taxpiViv -zi npo'auTOv tou oJpavou, al distinguere ti segno
del tempo non gli fu diffìcile il conglùel-
turare che forse i Giudei stessi avessero provocata questa diversione
domandando un miracolo nel cielo, ;. Qui adunque
noi troviamo in Matteo , come in Luca cosi di sovente , una introdu
zione fattizia ad un discorso di Gesù; nuova prova della proposizione
stabilita da Sieffert s), ina troppo spesso trascurata, essere cioè nella
natura dei racconti tradizionali, quali li abbiamo nei tre primi van
geli, che una particolarità sia meglio conservata neh' uno che nell'al
tro, e quindi ora questo ora quello trovisi di fronte agli altri in po
sizione svantaggiosa.
§ 80.
'i Fritzsche , Comm. in Marc, p. 97 e seg., dimostra che oi* saó cu'tou
significa i suoi parenti, xpsrneai impadronirsi ed iUir, essere fuòri di sè.
Snutss — V. di G. Voi. II. 2
18 VITA DI GESÙ
§ 8.7.
outcì ei'oiv o" uve;... ctxoj'vavTt; tov J.o'yov xattyvvoi, xai xa<rcof s.wjsiv tv uttc[I6vt', {ili
abbia rammentato l'apoftcgma analogo di Gesù al momento della visita:
Sono coloro che ascoltano la parola di Dio e che la mettono in pratica
OUToY ciaiv oi to'v Xtf'v t&ù Seoù aix&u&vTts xai TtoiovivTts auTo'v.
«) L. a, p. 152.
CAPITOLO OTTAVO 21
niessiaco (Matt. 20, 20 c seg.; Marco 10, 35 e seg. i). Il terzo Van
gelo non dice d' una tale preghiera dei figli di Zebedeo ; ma riferisce
un'altra disputa di preminenza con discorsi analoghi a quelli che i
due primi Evangelisti connettono a questa preghiera. Infatti, in occa
sione dell' ultimo pasto di Gesù coi suoi discepoli prima della di lui
passione. Luca narra essere insorta fra di questi una gara , <ti\om*ia ,
per sapere chi fra di essi era il più grande ; gara che Gesù cercò
losto di sedare colle stesse ragioni ed in parte colle stesse parole che
si leggono in .Matteo ed in Marco intorno all' indignazione àxtxmxtw;,
sollevata fra gli apostoli dalla domanda dei figli di Zebedeo. Nella
stessa occasione troviamo nel terzo Evangelo una sentenza di Gesù
da Luca medesimo e da Marco riferita (piasi con le stesse parole in
imo alla scena del fanciullo, e posta da Matteo non solo al momento
della pregliiera di Sabine , ma eziandio nel gran discorso contro i
Farisei ( confrontisi Luca 22 , 26 ; Marco 9 , 55 ; Luca 9 , 48 ; Matteo
20, 26 e seg.; 25 , il). Per (pianto sia credibile che con le loro spe
ranze temporali sul Messia , i discepoli avessero soventi dispute di
preminenza che Gesù fu costretto a sedare, pur nullameno è niente
all'alto verosimile che, per esempio la sentenza: Colui il quale, fra
roi, vuol essere il più grandi' deve, essere il servitore di tutti, venisse
pronunciata 1.° al momento della scena del fanciullo; 2." al momento
della preghiera dei figli di Zebedeo; 5." nel discorso contro i Farisei,
e 4." in occasione dell' ultima cena. Qui esiste evidentemente una con
fusione tradizionale sia che (come Sieffert ammette di buon grado in
casi simili , parecchi avvenimenti in origine dissimili venissero assi
milati nella leggenda, vale a dire che gli stessi discorsi fossero ripe-
luti per errore in circostanze differenti , sia che d' un solo avveni-
'j Schulz. {Weber d. Abendm., p. 320) parla interamente nel tono della
critica recento su Matteo, quando riguardo alla differenza notata fra i due
primi evangelisti, dice: non dubitar egli nemmeno un istante che un let
tore attento adotterà senza esitare il racconto di Marco, il quale, non fa
conno della madre, e restringe tutta la discussione a Gesù ed ai due apo
stoli. Ma , se trattasi di verosimiglianza storica , vorrei sapere il perchè
una donna che figurava in compagnia di Gesù (Matt., 27, 50) non potesse
avventurare una tale preghiera. Se trattasi della verosimiglianza psicolo
gica, il sentimento della Chiesa, prescegliendo pel giorno di Giacomo il
passo in questione, ha deciso in favore del racconto di Matteo; poiché una
preghiera così solenne fatta di punto in bianco sta interamente nel carat
tere di una donna e di una madre che si adopera pei suoi figli.
22 VITA DI GESÙ
mento la leggenda ne abbia fatto parecchi , vale a dire, ch'essa abbia
immaginato circostanze differenti, per uno stesso discorso. Per decidere
su queste due possibilità, bisogna esaminare se i differenti fatti ai quali
si riferiscono i discorsi analoghi sull' umiltà appaiono per sè stessi privi
di esistenza e come semplici quadri da contornarne il discorso o re
chino P impronta di avvenimenti cbe hanno in sè stessi la loro verità
ed il loro significalo.
Qui anzitutto non si potrà contestare che la preghiera dei figli
di Zebedeo abbia in sè qualcosa di così preciso e notevole cbe non
la farebbe supporre imaginata qual semplice contorno o quadro per
discorsi cbe seguono. Lo stesso si dovrà dire della scena del fanciullo:
di modo che, noi avremmo, prima d'ogni cosa, due casi di disputa
di preminenza sussistenti per sè stessi. Se vogliamo attribuire a cia
scuna di queste due circostanze i discorsi che vi si riferiscono, le
sentenze che Matteo pone al momento della scena del fanciullo: Se
voi non divenite nuovamente come fanciulli, ecc., e colui il quale non
si umilia come questo fanciullo , ecc. , appartengono incontestabilmente
a questa occasione; d'altro canto le sentenze sul dominare e servire
in questo nome e nel regno di Gesù, sembrano convenire perfetta
mente alla domanda dei due discepoli, che pretendevano ai primi
posti nel regno messaico , e quivi infatti le colloca Matteo : mentre
che il cenno sul primo e sull'ultimo, sul più grande ed il più pie-
colo , che troviamo in Marco e in Luca fino dalla scena dell'infanzia,
sembrava venisse giustamente riservato da Jlatteo , per la scena coi
figli di Zebedeo. Ben altrimenti si è della gara raccontata in Luca
(22, 24 e seg.). Questa gara se non si connette ad alcuna occasione
particolare , e non termina con una scena caratterizzata , (a meno che
non vogliasi portar di nuovo in campo l'abluzione dei piedi mento
vala in Giovanni , ove del resto , non è fatto cenno di alcuna disputa
di preminenza, e della quale non può parlarsi che nella storia della
passione). Il fatto è accennalo in Luca colle parole; ora una gara som
fra di loro, i ; parole quasi identiche a quelle
con cui Luca comincia il racconto della prima disputa di preminenza
(9, 46) , e serve d' introduzione ai discorsi di Gesù , i quali , come si
disse, appartengono in Matteo ed in Marco, alle prime dispute di
preminenza: di maniera che questo passo di Luca nulla ha di speciale
tranne l' essere collocato al momento dell' ultima cena. Ma siffatta
collocazione è ben lungi dall' essere sicura ; poiché se da un lato gli
è difficile il credere clic dopo i discorsi sul traditore , così umilianti
CAPITOLO OTTAVO. 23
pei discepoli , si ridestasse in essi così tosto l' orgoglio , dall' altro
assai agevolmente si scorge, confrontando i versetti 25 e 24 da che
cosa potesse il redattore venir indotto a qui collocare, senza motivo
storico, una disputa di preminenza. Evidentemente le parole: ed essi
cominciarono a cercar fra di loro chi fosse colui die doveva far que
sto (il tradimenio),
furono quelle che gU ricordarono la frase
analoga: ora, sorse una gara fra di loro per sapere chi potrà essere
il più grande, s'ymTo Se' xai ftXciXttxt'a iv outgis tó, ti's aurùv Soxeì «vai im'juv \
fu cioè la disputa sul traditore che gli richiama in mente la disputa
sulla preminanza. Vero è, eh' egli aveva già narrato una simile di
sputa; ma, eccetto una sola sentenza, ei non vi aveva unito che i
discorsi di Gesù relativi al fanciullo: gli rimanevano ancora gli altri
discorsi che Matteo e Marco collocano in occasione della domanda
dei figli di Zebedeo ; la quale occasione non essendo a quanto sem
bra, presente al narratore neh' evangelo di Luca, egli riunì quei di
scorsi all' indicazione indecisa di una disputa qualunque di preminenza.
Tuttavia non solo la posizione cronologica di quest' ultima disputa, ma
quella eziandio delle due dispute primieramente citate, risulta, ad un
esame, inverosimile assai: trovandosi entrambe quelle dispute collo
cale dopo un'annuncio della passione, il quale, al pari della spedi
zione del tradimento, sembraci avesse dovuto abbattere i pensieri
terrestri d' orgoglio i). E però giungerà bene accetto un indizio il
•piale, nella narrazione evangelica, ci mostri per qual via i redattori
potessero giungere ad un tale ordinamento cronologico. Nella seconda
disputa , relativa ai figli di Zebedeo , l' esenziale della risposta di Gesù
alla domanda di Solmi consiste neh" annuncio de' patimenti che atten
devano lui e i suoi discepoli: laonde, la più naturale associazione di
idee riunì all' annuncio della passione il racconto dell' ambizione dei
due discepoli, con quell'annuncio medesimo umiliato. Per ciò che
riguarda la prima dispula, successiva alla trasfigurazione, vediamo
P annuncio antecedente della passione conchiudere , secondo i due
Evaugelisti intermediari, coli' osservazione che i discepoli non com
presero il discorso di Gesù, e tuttavia non osarono interrogarlo su
ciò; il che vuol dire senza dubio che essi parlarono e discussero fra
di loro intorno al significato del discorso ; da ciò 1' associazione delle
idee naturalménte condusse alla disputa sulla preminenza, disputa
§ 88.
sulta dal citato v. i 7, concepito a preferenza l' atto di Gesù dal punto
di vista di santo zelo, itMì: tentazione bastante per chi descrivendo
la scena facesse spiccar questo zelo nel maggior vigore possibile.
Pressoché egualmente unanime, rapporto alla differenza cronolo
gica, è il giudizio degli interpreti contro i sinottici ed in favore del
quarto Vangelista; eppure non si saprebbe allegare un sol motivo pel
quale l'avvenimento in questione debba appartenere al tempo della
prima pasqua visitala da Gesù anziché al tempo dell'ultima. Si po
trebbero anzi addurre per varie ragioni in favor dei sinottici. Senza
dubbio , il trovare inverosimile che Gesù abbia fatto allusione alla sua
morte ed alla sua risurrezione cosi per tempo, come apparirebbe dal
l'interpretazione data alla frase di Giovanni sul Tempio da demolire
e da ricostruire *) non é un argomento bastevole; poiché noi vedremo
a suo tempo che il rapporto di quelle parole colla morte di Gesù é
opera soltanto dell' Evangelista. Ma ben più valida obbiezione contro
la posizione cronologica di questo fatto al quarto Evangelo sì è che
Gesù, col suo latto finissimo, ben difficilmente avrebbe osato eserci
tare cosi per tempo nella sua qualità di Messia un atto cosi violento
e per molti esasperante 2). Oltre che Gesù in «meli' epoca non erasi
ancora qualificato per il Messia e la sola autorità messiaca poteva d' al
tronde giustificare un simile atto, noi vediamo di solito Gesù agire sulle
prime co' suoi compatrioti in modo più amichevole assai; ed è lecito
il dubitare eh" egli di primo tratto procedesse ad atti sì ostili , senza
prima tentare le buone maniere. D' ordinario noi lo vediamo nel prin
cipio agire coi suoi compatrioti in un modo ben più cortese ; è per
messo il dubitare che immediatamente abbia cominciate sì vivacemente
le ostilità senza fare un tentativo amichevole. Neil' ultima settimana
della sua vita, invece, una simile scena riesce allatto Hjaturale.
Poiché in allora, dopo il suo ingresso messiaco in Gerusalemme
egli cercava con ogni suo atto , con ogni sua parola darsi a divedere
per il Messia sfidando l' opposizione de' suoi nomici : le cose erano
giunte a tale estremo eh' egli non aveva più nulla a perdere con un
tal passo.
Quanto all' avvenimento in sé stesso, Origene trovò incredibile
che un solo uomo di autorità assai contestata potesse cacciare dinanzi
a sé , senza trovar resistenza , una tal folla d' uomini ; laonde egli
invocò la potenza superiore di Gesù, mercè la quale questi fu in grado
o di domare immediatamente la collera dei suoi avversari, o di ren
derla per lo meno inoffensiva: e pose questa espressione allato ai
grandi miracoli di Gesù 1).
1 moderni interpreti non ammisero il miracolo 2); il solo Paulus
però seppe ponderar giustamente 1' osservazione di Origene che cioè,
giusta l' ordinario andamento di simili fatti la folla avrebbe fatto op
posizione ad una persona isolala. E di vero , si potrà come meglio
aggrada , invocar la sorpresa prodotta dalla subitaneità dell' atto di
Gesù 3) (ma se al dir di Giovanni egli erasi fatta una sferza di cor
dicella , bisognava pur qualche tempo per prepararla) , — o la forza
del diritto che stava dalla sua parte 4) (ma dalla parte degli altri stava
l'usanza), — o infine l'irresistibile prestigio della personalità di
Gesù 5) (sopra usurai e mercanti di bestiami?): — ma certo si è
che tutta quella gente, sicura d'altronde dell'appoggio del sacerdozio,
non sarebbesi cosi sui due piedi lasciata cacciare dal Tempio da un
sol uomo. Quindi Paulus suppose che un gran numero di persone al
paro di Gesù scandalizzate della profanazione del Tempio, avessero
fatto causa comune con lui , e che compratori e venditori fossero
stati costretti a cedere innanzi alle loro forze riunite 6). Ma ciò equi
vale a revocar completamente in dubio il fatto. Poiché in tal caso
Gesù avrebbe suscitato un aperto tumulto e più non si comprende
nò come ciò possa conciliarsi coll'avversione da lui solitamente ma
nifestata contro tutto ciò che fosse rivoluzionario, né come i nemici
di Gesù non abbiano di ciò approfittato per muovergli accusa. Che da
ciò li rattenessc la coscienza di dover dar ragione a Gesù, non è
§ 81).
') Luca, 7, 38: Toj; raiS»; «u-r»j... Tati; ftpi'i ni; x«f*Xrì; lufr"; i£a'|i2a<r(. GÌOV.
12, 3: E5»ì>iJs fat; Ppiìiv svÌT-iii tou; ra/S»? jiv'tou.
Stbauss - V. di 0. Voi. Il i 3
'■ìi VITA DI GESÙ
Qui si cerca cavarsela alia meglio col guarentire le divergerà.1
degli Evangelisti per lo meno dall' apparenza della contraddizione.
Esaminiamo dapprima le differenze fra i due primi Evangelisti e l'ul
timo; anzi tutto, si procurò di conciliare la diversità della data, sup
ponendo che il pranzo di Befania abbia avuto luogo veramente sei
giorni prima di pasqua , come dice Giovanni t ma cbe Matteo, copiai"
da Marco, presenti non già una data contradditoria, ma una man-
iv.nza di data. Se egli non colloca questo pranzo che dopo le parole
di Gesù: fra due giorni giunge la pasqita, o'ti i«t» s«o ^i>>;:<w
Ti»rtst, ciò non prova (aggiungesi) che egli voglia metterlo dopo que
sta dichiarazione di Gesù , ma prova bensi eh' egli vuol qui richia
mare, prima di giungere al tradimento di Giuda, un'avventura nella
quale costui concepì la sua vera risoluzione, cioè, il pranzo in cui
la prodigalità di Maria io scandalizzò , ed in cui Gesù l' invitò biasi
mandolo *). Ma all' incontro, la più recente critica ha dimostrato, da un
lato , che nulla vi era di personalmente irritante per Giuda nel di
scorso dolce ed affatto generale di Gesù ; d' altro lato , che i due
primi Evangelisti attribuiscono il biasimo dell' unzione , non a Giuda
ma ai discepoli od agli astanti in generale ; mentre che , se essi ri
tornassero qui retrospettivamente sulla scena dell' unzione non per
oHro che per indicare il motivo del tradimento di Giuda, essi do-
riebbero designare costui nominativamente 2;. In conseguenza rimane
qui fra i due primi sinottici e Giovanni una contraddizione cronolo
gica, che Olshausen pure riconosce 3;.
Si cercò di allontanare, per modi diversi, la divergenza relativa
alla persona dell' ospite. Siccome Matteo e Marco non parlano che
della casa di Simone il lebbrOSO oixia Ji'auvc; tou Xir.onù , alcuni hanno
distinto Simone, proprietario della casa, dall'ospite, che senza alcun
dubbio fu Lazzaro, ammettendo cosi, che; senza errore da parte alcuna,
il quarto Evangelista abbia nominato il secondo , e questi e gli altri
due il primo *). Ma chi designò mai un pranzo col nome del proprie
tario della casa, quando questo proprietario non è in pari tempo co
lui che lo dà? Del resto, siccome Giovanni nomina Lazzaro, non già
espressamente come l'ospite, ma come uno dei convitati
la sola cosa da cui si conchiude che fosse Lazzaro quegli che dava
il pranzo si è che sua sorella Jlarta serviva siWvet; per il che, altri
hanno considerato Simone come il marito di Marta, sia sequestrato
a motivo della lebbra, sia già morto, o in modo all'alto indeterminato
come un parente di Marta presso la quale Lazzaro dimorava anch' egli
in allora *) ; ipotesi che ancor meglio della precedente accordasi coi
racconti , ma che non s' appoggia su alcunché di sicuro.
Un' altra divergenza riscontrasi circa il modo dell' unzione : se
condo i due primi Evangelisti il profumo fu sparso sul capo, secondo
quarto sui piedi. Una conciliazione antica e triviale ammette che l'una
e 1' altra delle due cose possano essere ad un tempo accadute. Ulti
mamente si cercò ovviare a questa divergenza ammettendo che Maria
avesse avuto realmente l' intenzione di ungere i piedi di Gesù (Gio
vanni) ma che avendo rotto per accidente il vaso (ouvrpi \*oa. , Marco),
essa sparse il profumo sulla testa di Gesù (Matteo) s), Questa conci
liazione cade nel comico, poiché non si può immaginare come una
donna che si preparava ad ungere i piedi, potesse portare il vaso
di sopra la lesta di Gesù; oltreché dovrehbesi ammettere che il pro
fumo zampillasse a guisa di liquido spumante. Sussiste dunque anche
qui la contraddizione, e non solo fra Matteo e Giovanni, ove Schleier-
macher la riconesce , ma eziandio fra Marco e Giovanni.
Più facilmente si credette sbrigarsi delle due divergenze relative
alla persona della donna che unse , e di colui che la biasimò. Gio
vanni attribuisce al solo Giuda ciò che Matteo e Marco attribuiscono
§90.
*) Probab., p. 72 e seg.
1i Euseb., H. E. 3, 39; Pajnas poi espone anche tutta la storia delle
donna a torto accusata di molti peccati dinnanzi al Signore , la quale-
storia è riferita dall' Evangelo degli Ebrei, iWìeitou Si {£ n«:n'*t) x»t «ààt.v
lOtoynv TO'.i yjvaixo; ir.ì toHsis apxpTii'.f StajiXT.ìtisc; tm roù Kvpi'eu , -t,v *c xai
E^ciz'.'tu; eu3TT*^lcv ntpii'x"'
') Lttcke, 2, p. 217. Paulus, Comm. 4, p. 410.
') Essi furono scambiati anche da altri , V. Fabricii , Cod. apocryph. ,
y. T. 1 , pag. 357 not.
CAPITOLO OTTAVO 4'{
MIRACOLI DI GESÙ'.
§ 91.
') Vedi i passi citati nel 1.* Voi. Introduzione. % 14. nota 11 e 12 ,
ai quali si può aggiungere 4 Esdr. 13, 50 (Fabric. Cod. pseudepigr. V. T. 2,
pag. 286) e Sonar Exod. fol. 3, col. 12 (in Schòttgen, horae, 2, pag. 541,
e anche in Berthold!* Christologk, § 33, not. 1).
48 VITA UI GESÙ.
sponde appellandosi di nuovo ai prodigiosi suoi falli (Mail 11 , ì t
seg. parai.). In occasione della festa dei tabernacoli da Gesù celebrala
a Gerusalemme, molti credettero in lui, perciocché opinarono: Quando
il Cristo sarà ventilo farà egli più segni che costui non ha fatti' h
li Xp'OTJ? OIOV t">.VlJ, |1T]TI nJ.ElOVOt C7D|««» TGUTOV 1t&l1)0£l, Ùv (/UTC? l3ClHEtV; (GÙrt.
7, 51).
Né questo solamente credevasi , che dovesse il Messia far mira
coli ; però che le diverse specie di miracoli i quali dovevansi da lui
compire, erano già prima designati dall'aspeltazion popolare per via di
imagini e frasi dell'Antico Testamento. Già per opera di Mose, il po
polo era stato con mezzi sovranaturali , sfamato e dissetalo (2 Mo>.
10, 17) lo stesso attendevasi dal Messia, secondo che i Rabbini espres
samente dichiaravano: — per le preghiere di Eliseo erano slati chiusi
agli uni, aperti agli altri gli occhi (2 Reg. 6); anche il Messia doveva
ridonar la vista ai ciechi ; il medesimo profeta e il suo maestro ave
vano persino risuscitalo i defunti (1 Reg. 17, 2 Reg. 4); nemmeno
al Messia poteva dunque mancare il poter sulla morte *). Fra le di
verse profezie che riferivansi al Messia era principalmente famosa soli"
tale riguardo quella di Isaia, 55, 5 e seg. (Confr. 42, 7). Ivi era dello
dei tempi messiaci : Allora saranno aperti gli occhi dei ciechi e f «•
recchìe de' sordi saran disserrate : allora lo zoppo salterà come eertu.
e la lingua del mutolo canterà
xu3uv cx&'j'oovTSi : to'tc àXtiTxi u; tJia^os o ^toXò? Traviti Si itrzi: ^l\^t p^^ijl"
(LXX): frasi queste che Isaia aveva bensì concepite in senso metafo
rico, ma che bentosto furon prese alla lettera : perciocché Gesù s
vale evidentemente di questo passo profetico per descrivere ai me*
di Giovanni le proprie opere miracolose (Matt.-ll, 5).
Siffatta aspettazione dovette agir come stimolo sopra Gesù me
desimo, quand'egli prese a riguardare e proclamare sé stesso prim
come profeta poi come Messia ; dacché , in vari passi da noi ésann
nati (Matt. 12, 58; 16, 1 parali.) vedemmo i suoi avversari Basai' 1
invitarlo a dare segno nume»; e in Giov. 2, 18, dopo la espdsioni
violenta dei venditori trafficanti nel tempio, i Giudei richiederlo es>i
pure d'un segno a-mm'ov, che legittimasse quell'atto ; finalmente in Giov
6, 50 il popolo — da Gesù invitato nella sinagoga di Cafarnao . ail
aver fede in lui quale inviato di Dio — porse a condizione di que*
lede, ch'ei gli moltiplicasse un segno,
') Vedi i passi rabbinici addotti nel 1." Volume, al luogo citato.
Stfauss -Vita di Gesù -Tav. 19.
CAPITOLO NONO. 49
§ 92.
') Che i lunatici, oi-imo&V**01' aggiuntivi da Matteo altro non siano che
una determinata specie di indemoniati, la cui malattia sembrava assogget
tata alle fasi lunari, lo indica lo stesso Matteo, al Cap. 17, 14 e seg. ove
da un lunatico viene per lo appunto espulso un demone.
52 VITA DI GESÙ
sinagoga di Cafarnao è citata dagli Evangelisti come la prima di s'unii
specie — (Marc. 4, 23 e seg.; Lue. 4, 38 e seg.), noi troviamo an
zitutto una alterazione della coscienza individuale, per effetto della
quale l' ossesso parla nella persona del demonio ; cosa questa che si
ripete anco in altri indemoniati , per esempio nel Gadareno ( Mail. 8.
29 e seg. parali.); poi crampi e convulsioni e gridi selvaggi. Questo
stato spasmodico viene chiaramente descritto come epilessia nel de
moniaco da Matt. (17, 40 e seg. parali.) simultaneamente designalo
quale lunatico; perocché il subito cadere, di soventi in luoghi peri
colosi, il ruggire, il digrignare i denti, c far bava siano sintomi noti
della epilessia 1). L'altro carattere, cioè l'alterazione della coscienza
individuale, appare specialmente nelF ossesso Gadareno, e in ambo i
casi il demone o piuttosto una quantità di demoni , mentre parla in
essi soggettivamente, trascende a un delirio antropofobo con accessi
di rabbia che infuria contro sè e contro altrui -). Ma non solamente
frenetici ed epilettici, bensì anco muti (Matt. 9, 35: Lue. 11, 14.;
in Matt. 12, 22 il demoniaco muto, saiiwvijo'iuvos w^ot è in pari tempo
cieco, tj?Ws) e infermi d' artrisia (Lue. 18, H e seg.) vengono più
o meno chiaramente designati siccome demoniaci. L" idea presupposta
negli Evangeli e condivisa dai loro autori intorno a questo genere ili
inférmi si è che uno spirito malvagio, impuro (s
ovvero più spiriti siansi impadroniti di loro (d" onde le frasi avere il
demonio , essere indemoniati , rJatiuovi&v £X£tv> 5«i[ACvi'^striati) e parlino per
loro bocca (cosi Matt. 8, 51: ì demoni lo pregavano dicendo: oc «r>
(uve; TOpsxaXouv au-ro'v i»'yovt«s) ed agitino a capriccio le loro membra (cosi
Marc. 9 20: lo spirito lo agitò violentemente , Tò rvEuji*
finché, per la guarigione, cacciati a forza, essi abbandonano l'uomo
(«xpa'xxtiv, i£ePX«oìai). Stando alla narrazione evangelica tale sarebbe siala
eziandio 1' opinione di Gesù a questo riguardo. Vero è che quand' e-
gli, all' atto della guarigione dell' ossesso, parla al demonio che in
questi si trova (come in Marc. 9, 25; Matt. 8, 35; Lue. \, 83) si po
trebbe, con Paulus 3) interpretare tale suo contegno siccome' un in
ternarsi nell" idea fìssa di queir intelletto più o meno sconvolto , alla
quale for*za è che il medico psichico si adatti, per poter agire, per
(pianto persuaso egli possa essere della falsità di una simile opinione.
Ma come Gesù anco ne' privati colloqui! co' suoi discepoli non sola
mente astiensi dal dir loro cosa alcuna die a quella opinione contra
sti, che anzi parte ripetutamente dalla supposizione di un influsso de
moniaco su quegli infermi (così, oltre all' incarico cacciate i demoni,
s»i|Mvt* s'xpixuTE, in Matt. IO, 8; anche in Lue. 10, 18 e seg. , e spe
cialmente in Matt. 17, 21, parali.: questa nenia — di demoni — non
se ne andrà ecc., toùto -m T:'vo; se taipovi'uv, cJx txm^snai x. t. >..): come
lo stesso Gesù, in una dissertazione puramente teoretica tenuta ap
punto , probabilmente , nel circolo intimo de' suoi discepoli , fa una
descrizione in tutto conforme all' opinione popolare d' allora, del di
partirsi dei demoni , del loro errar nel deserto e del loro ritorno con
forze maggiori (Matt. 12, 43 e seg.); così, se critici d' altronde spre
giudicati , come Winer 4) non lasciano che Gesù condivida la popo
lare credenza sulla causa di quelle malattie , ma si solamente vi si
adatti, noi non possiamo in ciò scorgere altro che una studiata con
ciliazione delle idee di Gesù colle nostre. Per allontanare fin l'ombra
della interpretazione di Winer basti esaminare attentamente 1' ultimo
passo citato. Per vero si cercò eludere la forza decisiva di quello ,
prendendolo in senso figurato e designandolo come una semplice pa
ranoia -). Nel qual caso lasciando da banda spiegazioni come quella
che dopo Calmet vien riprodotta da Olshausen 3), il significato essen
ziale della figura in discorso sarebbe che una superficiale conversione
alla causa di Gesù trae seco una caduta peggior della prima *). Ma
io vorrei prima sapere che cosa ci autorizzi a rigettare l' interpreta
zione di questo discorso nel senso proprio ? Nulla di ciò riscontrasi
nelle frasi di essa e neppure nel modo di esporre altrove usalo da
Gesù: il quale non mai nasconde rapporti e concetti morali sotto la
figura di ciscostanze demoniache, che anzi, laddove ritorna a parlare,
come nel passo in questione, dell' uscire o dipartirsi, e'ì.'PX6rtat , degli
spiriti maligni per esempio Matt. 17, 21, egli vuol essere inteso nel
significato proprio della frase. Ma, e nel nesso del racconto? Luca (11 ,
!) L. e. pag. 191.
*) Gratz, Comm. z. Matt. 1, p. .015.
3) B. Comm. 1, pag. 424. Clio cioè qui si alluda al popolo giudaico il
qualo prima dell'esilio era stato in balia del demonio dell'idolatria, e dopo
l'esilio, di quello ancor peggiore del fariseismo.
4) Così Fritzsehe, in Matt. pag. 447.
ZA vita di gesù
24 e seg.) colloca il passo in discorso dopo la difesa fatta da Gesù
conlro 1' accusa farisaica eli' egli scacciasse i demoni per mezzo di
Belzebù; collocazione senza dubio erronea, come abbiam già veduto,
ma per la quale Luca volle appunto provare che Gesù intendeva par
lare in senso proprio, di demoni reali. Anche Matteo pone quel passo
in prossimità dell' accusa e della difesa succitata, ma vi interpola
frammezzo la richiesta di segni in un colla replica contraria di Gesù
e, per conclusione, pone in bocca a Gesù l'avvertimento: così av
verrà anche a questa condizione malvagia, curo; iota: ,.i. ttì t«ve» Wtti
■ri) ■Kompi. Con ciò veramente egli pone il discorso in un rapporto sim
bolico colla condizione morale-religiosa de' suoi contemporanei, ma
fuor di dubio, in questo senso soltanto che colla descrizione prece
dente della capacità e del ritorno del demone , egli allude propria
mente ad ossessi; e qui poi egli se ne vale di nuovo come d' ima-
gine della condizione morale de' suoi contemporanei. Ad ogni modo
Luca , il quale non ha questa aggiunta ci dà ( per valersi d' una
espressione di Paulus) il discorso di Gesù come un' ammonizione per
prevenire la recidiva demoniaca. E però 1' ostinatezza della maggior
parte dei moderni teologi nel volere, senza sicuro e determinato ap
poggio dal lato di Matteo e in aperta contradizione con Luca, conce
pire il passo in discorso in senso puramente figurato, sembra su nul-
1' altro fondarsi che sulla loro ripugnanza ad attribuire a Gesù una
demonologia cosi esplicita come quella che risulta dalle parole prese
nel senso letterale. Ma pure a questa non si sfugge, quand'anco vo
gliasi astrarre dal passo in questione. In Matteo (12, 25 e seg. 20).
Gesù parla del regno e della dimora di Satana in un modo che varca
evidentemente i limiti del parlar puramente figurato; ed anco senza
di ciò, il citato passo di Luca, 10, 18-20, è tale da costringere per
fine un Paulus — d' altronde cosi corrivo neh' attribuire alle persone
sacre della primitiva storia cristiana le idee dell' epoca nostra — a
confessare, il regno di Satana essere stato per Gesù tutt' altro che
un puro simbolo , e aver egli realmente creduto all' esistenza di veri
ossessi. Poiché, egli osserva assai giustamente, siccome quivi Gesù
non parla né agli ammalati né al popolo, ma a persone le quali, da
lui istruite, avevano parimente guarite di simili malattie , cosi non è
a credersi eh' egli intendesse solamente addattarsi alla loro opinione,
lorchè , testificando il loro annuncio : i demonj sono a noi soggetti ,
ti «silvia uV.-raWTai t^Cv, di nuovo il ripete e designa la facoltà lor
concessa di risanare i demoniaci quale potenza sulla potenza del ne
CAPITOLO NONO. fi")
meo, juvoi«s Tw* fxìpoJ *). Quanto alla ripugnanza di molti, la cui col-
tara non si concilia colla credenza degli ossessi, nello ammettere che
Gesù nutrito avesse credenza siffatta, Paulus la previene con pari
acume, osservando che anco lo spirito più elevato può ritenere una
falsa idea del suo tempo , solo che questa non cada precisamente nella
cerchia speciale delle sue speculazioni 2).
Sulle opinioni che dominano nel Nuovo Testamento intorno ai
demoniaci gettan luce le idee che noi troviamo in altri scrittori, più
o meno contemporanei, riguardo a questa materia. Veramente le idee
generali dell1 influenza di spiriti maligni sopra gli uomini , producenle
melanconia, delirio, epilessia eransi già per tempo «divulgate così tra
Greci 3) che tra gli Ebrei *); ma la speciale credenza che gli spiriti
maligni entrassero nel corpo dell' uomo e se ne impadronissero , si è
fuor di dubbio sviluppata solo alquanto più tardi tra Greci ed Ebrei,
per la progressiva diffusione della pneumatologia orientale specialmente
persiana 5). Quindi vediamo in Giuseppe fatto cenno di demonii en
trati O Stabilitisi nei Viventi , «amo'via tgi's ióaiv ito8uo'|i«vrf ix*aitii[i.iYa 7) , e
riprodotte simili idee anche in Luciano 8) e Filoslrato 9).
Sulla natura e provenienza di questi spiriti nuli'' altro è detto
negli Evangeli se non che essi appartengono alla famiglia di Satana
(Matt. 12, 26 e seg. parali.); per cui ciò che l'uno di essi fa, viene
anche direttamente attribuito a Satana stesso (Lue. 13, 16). Ma Gin-
*) Bell. Jtld. 1. C. Tot ystp xaXou'uEv» Sjt|K/'vi» tovt)«5v eVtiv dvipurwv nwj'ti*"*. tm;
Sùaiv Ei^5u->[i£V5t naì xTetvovTot rei? Boi)*ufac ^tì tutx^'vovtoec. Perciocché i suddetti
demonj — sono anime di uomini malvagi, entrate nei viventi c che uc
cidono coloro i quali non oppongono difesa.
s) Apoll. 1, 18.
J) L. c. 3, 38.
') V. Eisenmenger, entdecktes Judenthitm, 2, pag. 427.
*) Paulus, exeg. handb. 2, pag. 59; L. J. 1, a, pag. 217. Su questo
proposito egli si richiama specialmente a Matt. 14, 2, dove Erode all'udir
la fama dei miracoli di Gesù, dice: Costui è Giovanni Battista; egli è ri
suscitato dai morti, gutÓ; s'errtv 'loi'vvr,; C piTt-noTT];, du-rdj tÌyì.oìt, dira TÙv mimi»
Nel che Paulus riscontra l'idea rabbinica, (per cui della vera metempsi
cosi ■— passaggio di anime defunte in corpi di fanciulli allo stato di feto1
l'anima di un trapassato si aggiugne come di rinforzo all' anima di un vi
vente (V. Eisenmerger, 2, pag. 85 e seg.) Ma che il verbo t,*'cAt, implichi
non già tale idea , bensì una reale risurrezione del Battista, lo dimostrò,
fra gli altri, Fritzsche (V. su questo passo); ed anche astraendo da ciò.
qui si tratterebbe pur sempre di tutt' altro rapporto che di quella della
ossessione demoniaca. Imperocché qui sarebbe uno spirito benigno il quale
avrebbe fatto passaggio in un profeta per accrescere la potenza , a quel
modo che , secondo una posteriore credenza giudaica l' anima di Set
erasi accoppiata all' anima di Mose, e le anime di Mosè e d'Aronne a
quella di Samuele (Eisenmerger, 1. e); dal che però, come scorgasi,
non seguirebbe punto la possibilità del passaggio di anime malvagie nei
viventi.
6) Justin. Apoll. 2, 5. Eisenmerger, 1. c. pag. 428 e seg.
') Comil. 8, 18 f. 9, 9 f.
CAPITOLO NONO 57
dalle lor proprie credenze, così l'idea dei demoni quali anime di
trapassati in generale, eh' egli quivi esprime, si potrebbe difficilmente
riguardare come veramente sua, tanto più che il suo discepolo Ta
ziano si dichiara esplicitamente contrario a simile idea *). La testi
monianza di Giuseppe poi, nulla decide quanto alla dottrina che forma
il fondo del Nuovo Testamento ; giacché , avendo egli ricevuto una
educazione greca, si può sempre a ragione domandare s' egli ripro
duca quella dottrina nella forma primitiva ebraica o nella forma gre
cizzata. Ora, s'è d'uopo ammettere che la dottrina dei demoni sia
passata dai Persiani agli Ebrei , è noto che i Dews della religione di
Zendi erano spiriti essenzialmente maligni e nati prima del genere
umano : di questi due caratteri il primo apparteneva al dualismo e
1' ebraismo potè essere indotto a esaminarlo ; non così invece il so-
condo. Di tal guisa , neh' opinione ebraica , i demoni divennero gli
angeli decaduti di Mosè (i, 9), le anime dei loro figli, i giganti, e
dei grandi peccatori prima e immediatamente dopo il diluvio, ai quali
la immaginazione popolare die a poco a poco proporzioni sovrumane.
Ma non eravi nelle idee ebraiche alcun motivo di discendere oltre la
cerchia di quest' anima che potèvasi rappresentare come la corte di
Satana. Questo motivo non sorse che allorquando le credenze greco
romane si incontrarono con quelle degli Ebrei. Le prime non avevano
né Satana, né per conseguenza, una corte di spiriti suoi propri, che
ministrassero a lui ; ma avevano i loro mani , il oro lemuri, ecc. , spi
riti umani che erano separati dai loro corpi e che inquietavano i vi
venti. Dalla conciliazione delle idee ebraiche colle idee greco-romane
pare sia surta l'opinione di Giuseppe, di Giustino ed anco dei Rab
bini posteriori; ma non ne segue che tale opinione trovisi di già nel
Nuovo Testamento. Il fatto è che noi non incontriamo in esso veruna
indicazione positiva di questa opinione grecizzata ; anzi , in alcuni
luoghi, i demoni appajouo riuniti a Satana come formanti il suo cor
teo. Offrendoci pertanto ordinariamente i sinottici (tranne qualche tra
sformazione in senso cristiano) le idee giudaiche nella loro purezza ,
noi dobbiamo in essi supporre, quanto ai demoni, l'opinione che re
gnava primitivamente fra i Giudei.
L'antica teologia come è noto si è appropriata, dietro l'autorità
di Gesù e degli Evangelisti, 1' idea di un vero possesso di uomini
per parto dei demoni. Al contrario , la teologia più moderna, special-
sonali, ciò che li muove, ciò che li determina alle loro diverse fun
zioni si è la legge che regola i rapporti del regno dello tenebre col
regno della luce. In conseguenza, da questo lato più l'uomo sarà mal
vagio e più il legame fra esso ed il regno del male si restringerà;
e il legame più stretto clic si possa imaginare, la introduzione della
potenza tenebrosa nella personalità dell'uomo, ossia la possessione, do
vrebbe sempre operarsi negli uomini più malvagi. Ma nella storia
Evangelica non è cosi; i demoniaci negli Evangeli non appaiono pec
catori se non nel senso che tutti gli infermi hanno bisogno che
vengano loro perdonati i peccati; e i più grandi peccatori, quali
un Giuda, rimangono esenti dalla ossessione. L'opinione ordinaria,
co' suoi demoni personali , sfugge a questa contraddizione. Vero
è che anch' essa sostien fermamente — come troviamo , per esem
pio nei Gemellimi — che per il peccato soltanto 1' uomo dischiude
al demone l'adito a sé ('); ma qui rimane pur sempre una certa
larghezza alla volontà individuale del demone il quale , per motivi
subiettivi impossibili a calcolarsi, può bene spesso lasciar da banda
l'uomo più malvagio, e perseguitare colui che lo è meno (-). Se al
contrario i demoni sono considerati, giusta l'opinione di Olshausen,
come semplici azioni della potenza del male ne' suoi rapporti regolari
e determinati colla potenza del bene, l'arbitrio ed il caso rimangono
affatto esclusi, e i più malvagi dovrebbero essere sempre gli ossessi:
conseguenza questa a sottrarsi alla quale Olshausen dura visibilmente
gran pena. Partendo dalla lotta apparente tra le due potenze nei de
moniaci egli conclude che lo stato di ossessione sopravviene non già
in coloro che si danno completamente al male, ed hanno per tal modo
conservata la unità interna del loro essere , ma solo in coloro nei
quali esiste ancora una resistenza interna contro il peccato (*). Ma
questo stato, divenuto cosi un fenomeno, puramente morale, dovrebbe
manifestarsi ben più di frequente, ogni violenta lotta interna dovrebbe
manifestarsi sotto questa forma, e per lo appunto quelli che più tardi
si danno completamente al male dovrebbero giungervi dopo un periodo
di lotta, vale a dire di ossessione. In ragione di tali difficoltà, Olsau-
*) Homil. 8. 19.
*) Gli è cosi che Asmodeo prescelse Sara ed i suoi mariti per tormen
tarli e farli perire; non perchè ella od essi fossero più perversi di altri
ma perchè lo attrasse la beltà di Sara. Tob. 6, 12, 15.
') Pag. 294.
62 VITA DI GESÙ
§ 93.
') Audio Paulus, pag. 474 ed Olshauscn, pag. 303, trovano ciò singolare.
*) E il racconto del modo con cui Apollonio di Tiana smascherò un de
mone (empusa), Vita Apol. 4, 35; in Baur, pag. 145,
70 VITA DI GESÙ
ancor prima della parola, egli corse ;«p»|M sì che, per istrana guisa,
bisognerebbe che Gesù avesse gridato da lungi al demone. Esci, ìWst.
Laonde, nei due Evangelisti intermediari o la serie coerente delle
proposizioni che precedono e l'ingiunzione che segue è mal collocala:
rimane a domandarsi da qual dei due lati il carattere non istorico
maggiormente appaja. E qui, Schleiermacher medesimo ammise che
se nel racconto originale si fosse parlalo d'un ordine antecedente
di Gesù, quest'ordine sarebbe stato di certo riprodotto al suo vero
luogo, prima della preghiera dei demoni e nei termini stessi di cui
Gesù erasi valso ; mentre la sua collocazione attuale , la sua reda
zione abbreviata in forma di discorso indiretto in Luca (Marco è il
solo che, secondo il suo solito, lo tramuli in discorso diretto) por
gono ogni ragione di credere altro non sia, se non una aggiunta
«splicativa dal redattore intercalata nel racconto per congettura pro
pria. *) E di vero, quest'addizione cade affatto fuor di proposilo, poi
ché dà retroattivamente alla intera scena tutt'altro aspetto da quello
che sulle prime appariva. Questa scena sembrava destinala a mostrare
che il demoniaco avesse antecedentemente riconosciuto e supplicato
Gesù; ma il narratore, abbandonando la sua prima idea, e pensando
dovesse la preghiera del demone essere stata preceduta da un ordine
rigoroso di Gesù, ritorna indietro e narra aver Gesù prevenuto il de
mone col proprio comando.
A tale comando collegasi, in Marco ed in Luca, la domanda di
Gesù al demone. Qual è il Ino nome'', -n'osi òw^; dietro di che, una
moltitudine di demoni si dà a riconoscere e si designa sotto il nome
di legione, u-^Jv. Ora, Matteo non ha alcuno di questi particolari io-
termediarj. Che sarebbe dunque se in quella guisa che 1* addizione
precedente era una spiegazione retroattiva di ciò eh' erasi detto prima
questa domanda e questa risposta fossero una introduzione prepara
toria di ciò che segue, e non avessero del pari altra origine se non
la leggenda o la imaginazione dello scrittore? Dirigiamo il nostro
§ 94.
Guarigioni di lebbrosi.
pibile per modo *) , che chiunque sia scevro di certi pregiudizi (come
sempre dev'esserlo il critico) sentesi involontariamente tratto, nel leggere
questo racconto, sul terreno della favola. E infatti, nella sfera favolosa della
leggenda orientale, e più precisamente della leggenda ebraica, noi tro
viamo apparizioni e disparizioni istantanee della lebbra. Quando Jehova
diede a Mosè, per qualificazione della di lui missione in Egitto il potere di
fare ogni sorta di segni, gli ordinò, fra l'altre cose, di porre la mano nel
seno, e, quando Mosè la ritrasse, eli' era coperta di lebbra. Mosè la
ripose anco una volta nel seno e la ritirò pura di bel nuovo (2 Mos,
v, 6, 7). Più tardi, a cagione di un tentativo di rivolta contro Mosè,
la di lui sorella Miriam fu improvvisamente colpita di lebbra, ma la
intercessione di Mosè le procurò la guarigione (4 Mos. 12, 10 e seg.).
Ma segnatamente tra i miracoli del profeta Eliseo rappresenta una
parte principale la guarigione di un lebbroso , di cui lo stesso Gesù
fa menzione (Lue. 4, 27). Il generale siriaco Naaraan, alletto dalla
lebbra, chiese soccorso al profeta Israelita; questi gli ordinò di ba
gnarsi sette volte nel Giordano. Ciò fece infatti sparire la lebbra cui
del resto il profeta ebbe più tardi occasione di trasportare sopra Go-
hasi suo servo infedele (2 Reg. 5). In non saprei, dopo questi prece
denti dell'Antico Testamento, che cosa ci abbisogni ancora per chia
rire la origine e la formazione degli aneddoti evangelici. Ciò che il
primo Goele aveva potuto fare in nome di Jehova, doveva poter fare,
come già si disse, anche il secondo ; e d'altronde il maggior dei profeti
non poteva rimanersi addietro d'un altro profeta. Se pertanto simili gua
rigioni erano senza dubbio comprese nel tipo ebraico del Messia i Cristiani,
i quali credevano forse il Messia realmente apparso in Gesù, avevano
ragioni ancor più positive per abbellire la sua storia di que' fatti attinti
alla leggenda di Mosè e de' profeti. Solo essi lasciarono da banda, con
formemente allo spirito più dolce della nuova alleanza (Lue. 9, 55 e seg.)
la parte di vendetta e di punizione racchiusa in quegli antichi miracoli.
Alquanto, più speciosa è la spiegazione razionalista quando pre
tende che nel racconto dei 10 lebbrosi, speciale a Luca (17, 12 e
seg.) non è detto espressamente trattarsi di una guarigione miraco
losa della lebbra. Qui infatti i malati non sollecitano positivamente la
guarigione, gridano soltanto: «66» pietà di noi , iu%<n» riV.ii\ Gesù
neppure proferisce una parola onnipossente che si riferisca alla loro
guarigione e si limita a prescriver loro di presentarsi ai sacerdoti. E
§95.
Guarigioni di ciechi.
•) L. e. pag. 237.
CAPITOLO NONO. 07
immediatamente i ciechi, nell' altro racconto essi non se gli accostano
se non quand'è ritornato in casa sua. Inoltre, a Gerico, egli domanda
loro che cosa vogliono ; qui invece domanda se abbiano fiducia che
egli possa guarirli ; infine, qui solamente egli raccomanda loro di non
dir nulla a chicchessia. Fra queste discordanze e somiglianze dei due
racconti, potrebbe darsi siavi stata una assimilazione, per modo che
Matteo avesse trasportato i due ciechi e la imposizione delle mani dal
primo aneddoto nel secondo, e la forma della invocazione dei maiali
dal secondo nel primo.
Queste due storie quali ci son riferite sembrano offrire ben poco
appiglio ad una spiegazione naturale. Tuttavia i razionalisti seppero
edificarne una. Gesù, essi dicono, domandò nel primo caso ai ciechi
s'essi avessero in lui fiducia, perchè voleva convincersi ch'essi si fi
derebbero in lui, quanto all'operazione eseguirebbero puntualmente le
sue prescrizioni ulteriori Aggiungesi che egli esaminò il loro male
solo dopo che fu rientrato in casa, per non essere disturbalo ; e che
avendoli riconosciuti per curabili (secondo Venturini a) (la era una of
talmia cagionata dalla polvere fina di quelle contrade), egli assicurò
loro che l'effetto corrisponderebbe alla misura della loro fiducia. Qui
giunto, Paulus s'accontenta di dir brevemente che Gesù tolse l'ostacolo
che a quelli impediva la vista; non pertanto bisogna pure imaginarsi
alcunché di simile a ciò che si legge in Venturini, al dire del quale,
Gesù stropiccio gli occhi degli infermi con un' acqua da lui anticipa
tamente preparata , li sbarazzo dalla polvere irritante e rese cosi loro
in breve tempo la vista. Ma codesta spiegazion naturale non ha la
menoma radice nel testo; perciocché da un lato, la fede, m'ori?,- ri
chiesta dagli infermi non può significare altro da ciò che significa nei
casi simili , vale a dir la fiducia nella potenza miracolosa di Gesù; e
d' altro lato , la parola , toccò , nV™ , indica non già una operazione
chirurgica , ma sibbene semplicemente quel contatto che riscontrasi
in tante guarigioni miracolose riferite dagli Evangeli, sia come segno,
sia come conduttore della forza risanalrice di Gesù. Quanto poi alle
prescrizioni da seguirsi ulteriormente per il compimento della cura ,
non se ne ha traccia di sorta. Né diversamente è a dirsi della gua
rigione dei ciechi di Gerico, riguardo ai quali, d'altronde, i due Evan
gelisti intermediari non parlano neppure di un contatto.
Quanto alle nostre due guarigioni , gli è già un buon augurio per
gli interpreti razionalisti che Gesù separi i due malati dal resto del
popolo, senz'altro motivo, essi credono, che allo scopo di esaminare
medicamente il loro stato e di vedere se fosse suscettibile di guari
gione. Codesti interpreti ritrovano un indizio di siffatto esame nell'E
vangelista stesso , al dire del quaie Gesù pose le dita nell'orecchio
del sordo, ove, riconosciuto che la sordità era guaribile e prodotta
forse dal cerume indurito, tolse colle dita l'ostacolo che impediva
l'udito. Come le parole: pose le dita nelle orecchie, e>»jiì tgJs sax™*™.-
»'« ta Jt« eransi intese nel senso di una operazione chirurgica , nello
stesso senso s' intesero quell'altre: toccò la lingua, ifta™ t-q; Txo<j<m? :
onde si disse che Gesù aveva rotto il legame della lingua sino al
punto conveniente e resa l' agilità all' organo che aveva perduta la
facoltà di muoversi/Così pure, nel caso del cieco, 1' espressione avendo
poste le mani su lui, imìtii t»« X"*p»4 *j'tu". è spiegata come se Gesn
avesse colla pressione sugli occhi , spostato il cristallino divenuto
opaco.
Un' altra circostanza viene in soccorso di questo modo di spiega
zione ed è che Gesù adoperò la saliva due volte; Funa sulla lingua
del balbuziente, l'altra sugli occhi del cieco. La saliva, in sé (tale
era almeno 1' opinione di antichi medici) 4) ha una virtù favorevole
agli occhi; ma siccome in nesstn caso essa agisce abbastanza rapi
damente per togliere d' un tratto, una cecità ed un vizio degli organi
della parola, cosi si congetturò rVer l'uno e per l'altro caso, che
Gesù avesse adoperato la saliva solo per umettare un medicamento
e verosimilmente una polvere caustica; che il cieco intese bensi lo
sputo, ma non vide la mistione dei medicamenti; che il sordo, giusta
lo spirito del tempo, prestò poca attenzione ai mezzi naturali e che
la leggenda non ne serbò memoria. Mentre nel racconto relativo al
sordo la guarigione è raccontata semplicemente , quella del cieco si
distingue per ciò che la restaurazione della vista viene descritta nei
suoi particolari siccome successiva. Gesù, dopo aver trattato gli occhi
dell' infermo nel modo che si accennò più sopra, gli domandò se ve
desse, HTipxi'mt. Non è questa, osserva Paulus, la condotta d'un fa-
citor di miracoli che è sicuro del risultato, bensì quella di un me
dico, che terminata l'operazione fa sperimentare al paziente se quella
gli sia tornata utile. Il malato risponde che ci vede, ma in modo in-
') Bibl. Comm., 2, pag. 230, dove però egli riferisce lW<jTaXtn'vo« al
torrente spirituale che emana da Dio.
•) Pag. 93.
3) Koster, Immanuel, pag. 79; Bretschneider, Probab. pag. 122.
*) Wetstein, su questo passo.
110 VITA DI GE8Ù
cecità nativa e la guarigione dell' individuo — d' onde i ripetuti in
terrogatori del cieco guarito e degli stessi suoi parenti; per altra
parte quei colloquii si aggirano sulla interpretazione simbolica delle
espressioni cieco e veggente giorno e notte, tu?xo5, eiiicuv,
interpretazione che, senza essere estranea. ai sinottici, appartiene più
specialmente al circolo delle metafore famigliari a Giovanni.
§ 96.
Guarigione di paralitici.
Se Gesù abbia considerato certe malattie come una punizione.
S 97.
Guarigioni involontarie.
') l/ber deh Ztoeck der evang. Geschichte und der Briefe Joh., pag.
551 e seg.
120 VITA DI GESÙ
&nuv- Perciò la critica si è da lungo tempo decisa per l' unità èt\
fatto che serve di base ai nostri due racconti, e in pari tempo ha
data la preferenza a quello di Marco e di Luca, in ragione del ca
rattere più drammatico che essi presentano '). Ma intanto per partir
dal principio, l'aggiunta di Marco: andando anzi di male in peggio,
*ni |iixxov tij <ro x tV.v i'xWs, non fa che rincarir la misura di Luca il
quale dice : nessuno aveva potuto guarirla, cu» rSxu<«» »« ■«!*«•« »t,o»«i*w«i
e Luca, a sua volta, sembra aver completata, con una conclnsiouc a
lui propri 3, la frase da Matteo riprodotta senza addizione verona, nella
quale è detto che l'emorragia durava da dodici anni, stocppouos 9ifcu
Se la donna, si pensò, era malata da tanto tempo, ella avrà con
sultato molti medici, e siccome, a confronto di questi che non le ave
vano recato verun sollievo , la potenza miracolosa di Gesù, di cui fu
istantaneo l'effetto, appariva sotto una luce più brillante, queste addi
zioni andarono formandosi nella propagazione orale del racconto. Or
non potrebbe darsi che delle altre divergenze l'osse lo stesso ? Se la
donna, come narra Matteo, toccò Gesù per di dietro, segno è ch'ella
desiderava , sperava rimanersi nascosta ; e se Gesù la cercò subito
cogli occhi , segno è eh' egli aveva sentito il di lei contatto. Questa
speranza della donna era tanto più concepibile, e questa sensazione di
Gesù tanto più meravigliosa quanto più egli era circondato e stretto
dalla folla ; e però il suo corteggio, che in Matteo è formato solamente
da'suoi discepoli, invi)?», diviene, negli altri due, una folla, r'xx"- che
lo soffocava, ouvrXt'pxtrtat. Avendo detto Matteo che Gesù volse gli oc
chi intorno a sè, dopo il contatto , si potè credere in ciò racchiusa
implicitamente la ipotesi ch'egli avesse sentito quel contatto in modo
particolare ; indi, la descrizione della scena in cui Gesù, sebbene stretto
da ogni lato, pur s'accorse di quel contatto isolato, alla forza che di
sfuggiva: e le semplici espressioni di Matteo, essendosi rivolto ed aven
dola veduta, eViot(w?«is mì ìsùv a-nw. divennero un movimento interro
gatorio di Gesù che cercò tra la folla colei che lo aveva toccato, mo
vimento seguito dalla confessione della donna. Infine , si giudicò dal
confronto con Matt. 14, 36 che la specialità di questa storia, anche
secondo la forma datale dal primo Evangelista, sta in ciò che il solo
contatto dell'abito di Gesù era bastato a guarire. Si cercò adunque
più e più, a misura che la storia divulgavasi, di far seguire il risultato
immediatamente dopo il contatto, e di lasciare Gesù, anche per qual-
§ 98.
Guarigioni m distanza.
o mediala — già si indicò più sopra. Ma tuffi questi sforzi per con
ciliare all'amichevole le conti-adizioni de' tre racconti, son vani : resta
sempre che i sinottici hanno fatto del supplicante un centurione, e il
quarto evangelista, un signore della corte ; che i primi gli hanno at
tribuito una fede vigorosa, il secondo una tede debole ancora; che
secondo Giovanni e Matteo egli sarebbesi diretto immediatamente a
Gesù, e secondo Luca, sarebbesi per modestia valso di intermediari.
Ora , chi è che narra la cosa in modo giusto, chi in modo er
roneo? Se prendiamo a parte i due sinottici, vediamo che, ad ecce
zione di Dewette, i commentatori riconosco». o ad una voce la supe
riorità del racconto di Luca. Già sulle prime si trova inverosimile che
l'infermo sia stato, come dice Matteo, un paralitico; poiché, non es
sendo questa malattia pericolosa, ben difficilmente il modesto capitano
avrebbe acclamata l'assistenza di Gesù al primo entrare di questi in
città ; quasi che una adozione dolorosissima , quale essa è descritta
in Matteo, non rendesse desiderabile un soccorso il piu pronto possi
bile, e quasiché fosse troppa esigenza il pregare Gesù di proferire la
parola risanatrice prima ancor di recarsi alla sua dimora. Per lo con
trario, si sarà tentali a rovesciare il rapporto da quei commentatori
stabilito fra Matteo e Luca, ove si noti che il miracolo, e per conse
guenza anche la malattia della persona mirac dosamente guarita, lungi
dallo scemare nella tradizione , dovette andar sempre crescendo , di
modo che è più probabile che il paralitico tormentato crudelmente
venisse trasformato, per progressione crescerte in un infermo vicino
a morire, m'xjiuv ts>.£Ut*v, che non questo in quello. Nel doppio messag
gio in ispecie, di cui è parola in Luca, scorge Schleiermacher una cir
costanza che nessun narratore avrebbe potuto imaginare. Ma che direni
noi se questa circostanza appunto ci apparisse, per segni evidentissimi,
dovuta alla imaginazione dello scrittore? Mentre in Matteo, offerendosi
Gesù ad andare col capitano, questi cerca fermarlo col aire: Siynore,
io non son degno che tu entri sotto il mio Ulto, Ku'p-.t, oux k>ì ixaw>« Cva
(iou jV; t-riv gtì'piv sWxsxs, egli fa soggiungere , secondo Luca , da' suoi
amici spediti in messaggio , queste, parole : ed è perciò che' io stesso
non ho creduto conveniente di venirne a te, sto <w«t i^utev r;;;™» %£-, «
o.isrv: parole che indicano assai chiaro da quale argomento sia stalo
suggerito quel messaggio. Se quest' uomo — si disse — si è da sé
medesimo dichiarato indigno di accogliere Gesù sotto il suo tetto ,
non si sarà certamente riguardato degno neppure di venirsene a Gesù:
progressione di umiltà che indica essere il racconto di Luca un rac«
CAPITOLO NONO. 131
conto di seconda mano. La prima suggestione di questo messaggio
sembra, d'altronde, sia provenuta da un altro interesse: perocché bi
sognava motival e con una raccomandazione preventiva di quel pagano,
la buona volontà da Gesù dimostrala di entrare in sua casa. E infatti
fili anziani dei Giudei, r-pop-hipa to\ 'IouWov, dopo aver narrato a Gesù
il caso di malattia , soggiungono per prima cosa : egli merita gli si
renda questo servigio, perchè ama il nostro popolo ecc., èri a£io'5 ;<mv <}
zixi-.. toJto- «tait? T*'P -to' s'svos t)|m3v z.t.x. In simil guisa , negli Atti degli
Apostoli (10, 22) i messaggeri di Cornelio per decidere Pietro a recarsi
da lui, gli espongono esser quegli un uomo giusto e temente Iddio e
del quale tutti i Giudei rendono buona testimonianza, ayiP sixaia *v. 90-
^•*'l«V&5 TGV ©EOV, JWlpTUpCu'pSVOS T£ uVÒ G*Xou TOU E^VGUS TUV ì&uSflUOV. Ala CÌÒ Che
più chiaramente dimostra non poter il doppio messaggio appartenere
al fatto primitivo si è ch'esso rende il racconto completamente scucito.
In Matteo, tutto si concatena per bene; il capitano limitasi dapprima
ad indicare a Gesù lo stato dell' infermo ; poi, sia che egli lasci libero
a Gesù di fare quello che vorrà, sia che Gesù lo prevenga coll'offrirst
a venir secolui , egli ricusa , nei termini già noti , l'onore che Gesù
vuol fargli. Al contrario, chi mai può comprendere in Luca la con
dotta del capitano, il quale dopo aver fatto pregare Gesù dagli an
ziani a venire (>UJ») e guarire il suo servo , al giungere di Gesù si
pente e si contenta a domandargli una parola che operi il miracolo?
Si prelese che la prima domanda venisse dagli anziani e non dal ca
pitano 1). Ma questo spedienle contradice ai termini precisi dell' Evan
gelista, il quale col dire: inviò. . . . gli anziani. . . . per domandargli,
0'v, esprime come la domanda prove
nisse dal capitauo medesimo. D' altro lato si disse che colla parola
tenendo *,x5uv, il capitano intendesse semplicemente pregar Gesù a re
carsi in prossimità della sua casa, e che, quando lo vide disposto ad
entrare nella casa stessa, egli ricusasse questo onore. Ma tale idea è
li oppo assurda , perchè la si possa attribuire ad un uomo d'altronde
iiiudizioso ; e ancor meno si può, per la medesima ragione, supporre
'|uest' uomo cosi mobile nelle sue determinazioni come lo rappresenta
il testo di Luca. Tutte le difficoltà sarebbero state evitate se Luca
Hvesse dapprima attribuito alla prima ambasciata — come Matteo al
capitano in persona — soltanto la preghiera diretta ed indiretta della
guarigione, e poi, sempre alla slessa prima ambasciata, il rifiuto mo-
') Così già si disse nelle Omelie Clementine. 9, 21, e così ripete Fritz-
sche , in Matth. , 313.
s) Wetstein, N. T. 1 , pag. 349. Confr. Olshausen, 1, pag. 249.
3) Kiister, Immanuel, pag. 195 Anm.
*) LQcke , 1 . pag. 550.
») Bibk Oamm., 1, pag. 264.
138 vita di arati
in rapporto magnetico col sonnambulo; laonde, l'azione a distanza
ha dovuto sempre essere preceduta da un contatto immedialo — e dai
nostri racconti nulla di questo risulta aver avuto luogo tra Gesù e l'in
fermo; ovvero, una simile facoltà non è posseduta che dai sonnam
buli stessi, o da altre persone, dal sistema nervoso sconvolto, — cosa
questa che non può in verun modo applicarsi a Gesù. Una simile gua
rigione di persone lontane, quale è attribuita a Gesù nei racconti Evan
gelici, oltrepassa adunque d'assai i limiti estremi dell'azione naturale
del magnetismo e d'altri fenomeni analoghi; ond' è che quei rac
conti, in quanto pretendono ad un valore storico , fanno di Gesù un
essere sopranaturale. Ma prima di raffigurarmi un tal essere siccome
reale , ben merita la pena , dal punto di vista critico a cui ci siam
posti, di indagare se il racconto in questione non abbia potulo for
marsi da sé anche senza fondamento storico di sorta: tanto più che
le diverse forme da esso ricevute nei tre Evangeli già indubiainenf*
accennano trovarsi in esso elementi di leggenda. E qui anzi tutto non
si dura fatica a comprendere come la guarigione meravigliosa che
Gesù operava toccando l'infermo, di cui abbiamo esempio nel lebbroso
(Matt. 8, 5) e nei ciechi (Matt. 9, 29) potesse, per una progressione
crescente che presentavasi spontanea, tramutarsi in una guarigione di
persone presenti per effetto della semplice parola, — esempio il
lebbroso ( Lue. 16, 14) ed altri infermi — ; e da questa infine tra
mutarsi in una guarigione, operata sempre per solo mezzo della pa
rola, anche sovra persone lontane. LT antico Testamento presentava
già esempio di questo genere di miracolo. Il generale sirio Naaman
(2 Reg. 5, 9 e seg.) si presenta innanzi la dimora del profeta Eliseo
per essere guarito dalla lebbra ; questi non esce a trovarlo, ma si li
mita a mandargli un messaggiero prescrivendogli di bagnarsi sette
volte nel Giordano. Tale condotta scontenta il sirio per modo , che,
senza por mente alla ingiunzione del Profeta, vuol ritornarsene; e
dichiara aver egli sperato che il profeta se gli accostasse e imponesse,
iuvocando il nome di Dio, la mano sulla parte inferma; ma or, che
il profeta, senza nulla operar su di lui, lo manda al Giordano, si perde
d' animo e ci cruccia ; perocché se non bisognava che acqua , egli
poteva averne, più comodamente che qui, a casa sua. Come si scorge
da questo passo dell' antico Testamento , la guarigione ordinaria che
attendevasi da un profeta era quella da lui personalmente operata
per uu contatto corporeo; mu non egualmente si supponeva ch'egli
potesse guarire a distanza e senza contatto. E pure fu in quest'ulti
CAPITOLO NONO 139
§99.
rebbe pur desistere (quanto alle guarigioni di Gesù) dal voler dare una
spiegazione naturale dei singoli casi, e aver sempre presente che fino a
quando gli Evangeli si riguarderan come storici, non si riuscirà mai ad
espellere ii meraviglioso dalle opere di Gesù.
') Disc. 3.
*) Paulus, Comm. 4, pag. 263 e seg. L. J. a, pag. 208 e seg.
*) V. Lùcke e Tholuck su questo passo.
Strauss V. di G. Voi. II. *«
14G VITA DI GESÙ
sua malattia, dovette rinunciare a difenderla *). L" ipotesi della ma.
laltia simulata renderebbe inintelligibili eziandio le parole che Gesù,
nello incontrare più tardi quell' uomo, gli diresse : ecco che fosti gua
rito ; non peccar più , acciò non ti accada qualche cosa di peggio ,
l'Ss ù^ti)! yivovas' iMQXkTi àn»."Tavt> tv* [ir! xt^'v Tt' <TOt T*',T~a! (V. 44). PaillUS
medesimo scorgesi costretto da queste parole a supporre in quell'uomo
un'infermità reale, ma di poco rilievo, in altri termini a confessare
l' insufficienza della ipolesi da lui formatasi su questo aneddoto. Qui
dunque ci resta un miracolo e certo non uno degli ultimi.
Quanto alla fede storica che merita il racconto si può anzitutto
trovar singolare che uno stabilimento di beneficenza così ragguardevole
come sarebbe Betesda, giusta la descrizione di Giovanni, non sia de
scritto nò da Giuseppe, nè dai rabbini ; tanto più che la opinion po
polare ammetteva a quella piscina una virtù guaritiva miracolosa *). ila
ciò non decide ancor la questione. La descrizione dello Staguf racchiude ,
gli è vero, una popolare credenza ad una favola, e questa credenza sem
bra adottata dal narratore ; poiché quand'anche il verso 4 fosse inter
polato la supposizione di quella credenza trovasi già implicitamente
nella espressione : quando V acqaa è intorbidata , ót
(V. 7). Ma questa credenza favolosa accennata dallo Evangelista non
prova nulla contro la verità del racconto, poiché un testimonio ocu
lare, un apostolo di Gesù, può benissimo averla anch' egli condivisa,
non così quanto al resto : che un uomo paralitico da trentotto anni
— sì che, inetto a camminare, era obbligato a giacersi sur un Ietto,
— ricuperi istantaneamente la sanità per mezzo d' una semplice pa
rola la è cosa cui, nè la ipotesi d'una azione psicologica (l'infermo
non conosceva punto Gesù , V. \ 3) , nè qualsiasi analogia (come il
magnetismo e simili) non bastano punto a render concepibile, neppur
da lontano. Che se essa fosse realmente accaduta, dovremmo riconoscere
oltrepassati tutti i limiti del naturale e dell'umano. Per lo contrario
non vediamo come mai potesse sollevare difficoltà 3) lo avere Gesù
trascelto questo solo tra la moltitudine d'infermi che trovavansi sotto
i portici di Betesda ; perocché la guarigione di colui che era da mag
gior tempo infermo, non solo prestavasi singolarmente a glorificare
la potenza miracolosa di Gesù, ma bastava sola a raggiungere lo
*) Confr. la sua Vita di Gesù, 1, a, pag. 298, col Comm. 4, pag. 290.
•) Bretschneider, Probabil. pag. 69.
') Per es. da parte di Hase, L. J, § 92.
CAPITOLO NONO 147
scopo. D'altro lato però, sorge appunto da questo particolare la con
gettura del carattere mitico del racconto. Sovra un grande teatro ove
sono esposte tutte le miserie umane, si avanza Gesù, medico sublime
che opera per miracoli e trasceglie colui eh' era in preda alla infer
mità più ostinata per dare colla guarigione di esso , la prova più
splendida della sua potenza risanatrice. Noi già sappiamo essere co
stume del quarto Evangelista il dare poche storie miracolose, in con
fronto della quantità che ne hanno i sinottici, ma d' altrettanto mag
gior rilievo ; e anche qui il racconto della guarigione di un individuo
paralitico da trentotto anni compensa di gran lunga tutti i racconti
dei sinottici sopra guarigioni di persone offese negli arti, e fra le
quali quella che da maggior tempo soffriva era una donna avente uno
spirito d'infermità d'anni dieciotto, fuvn ^veupa sicura aioSsvsi'as itti Si'xa xai
-.Vru. Senza dubbio all' evangelista dovette essere pervenuta notizia ,
quantunque piuttosto vaga, come abbiamo scorto anche altrove, di so
miglianti guarigioni di Gesù ed in ispecie di quella del paralitico
(Matt. 9, 20 e seg. e passi parali.); giacché la parola che opera le
guarigioni e 1' effetto di questa sono riferiti da Giovanni quasi negli
stessi termini di cui Marco si vale nell'altra storia *). Oltrecchè nei
sinottici, la guarigione è considerata in pari tempo come atto di re
missione dei peccati , e questa guarigione ha lasciato traccia anche
nel racconto di Giovanni; poiché, in quella guisa che, nei sinottici,
Gesù tranquillizza il malato prima della guarigione, col dirgli: Ti
siano rimessi i tuoi peccati, Mortai se «' oVapù»» cosi in Giovanni ei
10 ammonisce dopo la guarigione dicendogli : Non peccar più ecc.
§ 100.
Risurrezioni di morti.
•) Uber den Zuveck aes Evang. und des Briesac. Zoh., pag. 351 e seg.
*) Cotnm. in Matth., pag. 263. Vedasi quale argomentazione: Verba
(nota-bene: Matthaei) : o$ti tTiXtuTuoiv non possunt latine recidi: Jam mortua
est : nam, auctore (nota-bene) Luca, patri adhuc cum Christo colloquenti
nuntiabat servus filiam jam espirasse; ergo (auctore Matohaet?) nondum
mortua erat, cum pater ad Jesum accederet.
3) Confr. su questi falsi tentativi di conciliazione Schleiermacher, Uber
den Lukas, pag. 132. e Fritzsche, in Matth. pag. 347 e seg.
*) Olshausen, 1, pag. 316.
') Schleiermacher, l. c. pag. 131 e seg. ; Schulz, Uber das Abendm,
pag. 316 e seg.
150 VITA DI GBSÙ
due figli di Zebedeo, dall'assistere all'atto che egli stava per compiere.
Il dire che un maggior numero di spettatori avrebbe posto fisicamente
o psicologicamente ostacolo alla risurrezione, gli è enunciare impli
citamente eh' essa fu un alto naturale. Ammesso il miracolo non si
potrebbe trovare la causa ditale esclusione, se non nella minore ca
pacità degli apostoli esclusi, la quale però avrebbe avuto appunto
bisogno di essere rialzata collo spettacolo di un simile miracolo. Di
più, se si osserva che , contrariamente al finale di Matteo , — ove è
detto essersi la fama di quell'avvenimento sparso per tutto il paese —
i due sinottici fanno raccomandare da Gesù il silenzio più rigoroso a
quelli che ne furono testimonj, si sarà indotti a credere aver Marco
e Luca riguardata quella risurrezione come un mistero, al quale, oltre
i parenti, non erano stati ammessi che gli apostoli più intimi. Schulz
ha fatto osservare che mentre Matteo riferisce semplicemente aver
Gesù presa la fanciulla per mano, Marco e Luca ci hanno conservate
le parole eh' egli proferì in quella occasione, e Marco le ha perfino
citate nella lingua originale. Ma questa particolarità non ha alcun peso,
o, se pur lo ha, lo ha in senso opposto alla opinione di quel teologo.
Che Gesù, nel risuscitare una fanciulla, siasi valso a un dipresso delle
parole: Fanciulla, levati, -n tokS, »>!>«, la è un cosa che anche il nar
ratore più lontano del fatto si sarebbe potuto imaginare; e se si vo
gliono riguardare in Marco quelle parole siriache , roXis* xcU>t come
indizio di una fonte particolarmente originale a cui avrebbe attinto
l'Evangelista, si dimentica esser ben più naturale e più semplice il
supporre che dal testo greco che a lui servì di base , ei le abbia
traslatate nel suo vangelo, come già fece col motto siriaco iWs*, acciò
la misteriosa parola di vita, riprodotta nella lingua originale, colpisse
maggiormente l'imaginazione. Noi ci asterremo adunque volentieri
dal decidere colla sagacia di Schleiermacher se I' autore primitivo
del racconto di Luca , sia stato uno dei tre apostoli ammessi, e se
colui che lo narrò per il primo lo abbia anche consegnato per
iscritto *).
Supponendo che la cosa sia realmente accaduta , la spiegazione
naturale procede qui con una fiducia singolare affatto ; perocché essa
credasi avere in suo favore la stessa dichiarazione di Gesù — che la
fanciulla non era realmente morta, ma bensì trovavasi in uno" stato di
spossamento simile al sonno. E non solo commentatori decisamente
«) L. e. pag. 129.
152 VITA DI GESÙ
razionalisti, come Paulus, o semirazionalisti come Schleiermacher, mi
anche teologi decisamente sovranaturalisti come Olsbausen, opinano,
motivo dell' accennata dichiarazione di Gesù , che qui non sia punto
luogo di una risurrezione *). Il commentatore ultimamente citato am
mette una speciale importanza al contrasto che trovasi nel discorso
di Gesù, e poiché alle parole ; essa non è moria, ai* «*»sav«, sono ag-
giunte le altre: ma dorme, àxu. xaw», egli opina non possano le
prime intendersi semplicemente nel senso: essa non è moria avendo
io intenzione di risuscitarla ; — cosa singolare assai , poiché quel-
l' aggiunta appunto dimostra che se la fanciulla non è morta lo
è solo in quanto Gesù ha potere di ridestarla. Invocasi inoltre il
passo di Giov. H, 14 ove Gesù parlando di Lazzaro dice: 'Lazzaro
è morto, parole che l'ormano esattamente il contrappo
sto di quelle che noi ora esaminiamo : la fanciulla non è morta, -.;«
Ma precedentemente Gesù aveva detto riguardo allo
stesso Lazzaro : questa malattia non è mortale ,
■szpit s*Wov (V. 4) e : Lazzaro il nostro amico dorme , ,1*;*^ ; fa
(V. 11) : anche qui, dunque, egli nega la morte di Laz
zaro ; anche qui sostiene ch'esso era un semplico sonno, e pure egli
parlava, nel caso di Lazzaro, di un vero morto. Laonde Fritzsche si
appone di certo al vero, quando cosi parafrasa le parole di Gesù nel
passo in questione : Puellam ne prò mortua habetote, sed dormire exi-
stimatole, quippe in vitam mox reddituram. D'altra parte Matteo, quando
più avanti (11, 5) fa dire a Gesù: i morti risuscitano,
— sembra accenni precisamente a questa risurrezione — non aven
done egli fin qui accennala alcun'altra 2).
Ma, indipendentemente dallo falsa interpretaztzne delle parole di
Gesù, la spiegazione naturale incontra varie difficoltà. Senza dubbio
non si contesterà che in diverse malattie possano sopravvenire stati
che simulano la morte ; non si contesterà neppure che, per la imper
fezione della medicina fra gli Ebrei d'allora, una sincope potesse la-
') Nella traduzione del testo che accompagna la sua Vita di Gesù,
Paulus sembra supporre, oltre il messaggio menzionato nell'Evangelo, tre
altri messaggi (pag. 46).
!) Confr. C. Ch. Flatt, una parola in difesa del miracolo della ri
surrezione di Lazzaro nel Sùskind's Magazin, 14 Stiick, pag. 93 e seg'
CAPITOLO NONO 157
prima o durante la morie di Lazzaro, acciò che essi credano, fv» m-
ptiuoxTc. In queste parole Paulus pretende scorgere il timore di Gesù ,
che la morte di Lazzaro sopravvenuta in sua presenza avesse potuto
scuotere la fede degli apostoli in lui. Ma a siffatta interpretazione
objettasi primieramente, con Gablèr, che il verbo unn'u non può avere
per sè solo il significato negativo di : non perder la fede : significato
che dovrebbe esprimersi piuttosto con una frase come questa; ac
ciocché la vostra fede non vi abbandoni, (vedi
Lue. 22, 32) *). Secondariamente poi, non appare in nessun luogo che
gli apostoli siansi formati di Gesù come Messia una idea tale che
la morte di un uomo od anco di un amico fosse incompatibile colla
sua presenza.
Cominciando dall'arrivo di Gesù a Betania, il racconto Evangelico
diviene alquanto più favorevole alla interpretazion naturale. Veramente,
le parole di Marta a Gesù (v. 21 e seg.) che s'egli fosse stato pre
sente, suo fratello non sarebbe morto ; ma io so che anche adesso ,
tatto ciò die tu domanderai a Dio, Dio te l'accorderà, dXXd xai vov cito,
CTI SVI (XV OtTTJOT] TCV 0EOV, $(j'a!l CT5t 0 Bt is, sembrano racchiudere in modo
evidente la speranza di vedere il defunto richiamato in vita dalla po
tenza di Gesù. Ma quando Gesù le assicura che suo fratello risusci
terà, òvaoTuVsxai o «siXjcfs aou, ella risponde scoraggiata: Si, air ultimo
giorno (v. 24). Codesta risposta offre risorsa ad una spiegazione , la
quale suppone già retroattivamente alle espressioni anteriori di Marta
(v. 22) un senso mal precisato : che cioè anche adesso , e sebbene ei
non abbia conservato la vita a suo fratello, ella crede in Gesù, come
in colui al quale Dio accorda tutto ciò eh' ei domanda, vale a dire
il favorito della Divinità , il Messia. Ma Marta non dice : io credo ,
sKjTfju, bensi : io so, ort», e il modo di dire : Io so che la tale o tal
cosa si farà, purché tu lo voglia , è una forma ordinaria, benché in
diretta, di preghiera, la quale tanto meno si può disconoscere qui in
quanto l'oggetto della domanda è chiaramente manifestato dal contra
sto che la precede. Gli è dunque evidente che Marta vuol dire : Tu
non hai impedito, è vero, la morte di tuo fratello; ma non è troppo
tardi, e, ad una tua domanda, Dio lo restituirà a fe ed a noi. Senza
dubbio vuoisi ammettere in Marta una mutazione di sentimenti, giac
ché la speranza da lei appena espressa, è già spenta nella di lei ri-
') Disc. 5.
CAPITOLO NONO 105
patia col popolo, Gesù aveva fatta una manifestazione isolala di siinil
genere, bisognerebbe, perchè vi fosse alcunché di vero nella spiega
zione da me esposta leste, che l'anima di Gesù fosse stata intieramente
invasa dalla simpatia, che dello stato del popolo egli avesse fallo lo
stato proprio e che, cosi, in quel momento egli avesse pregato di
proprio impulso e per sé medesimo *). Ma qui , non appena ha co
minciato a pregare, egli riflette che non prega per proprio bisogno.
La sua preghiera gli è dunque dettala non da un sentimento vivo e
sincero, ma da un freddo adattarsi alla situazione altrui: cosa diffide
a concepirsi, anzi ripugnante. Ad ogni modo colui che, di tal guisa,
prega soltanto ad edificazione degli altri, non andrà a dir loro ch'egli
prega non dal suo ma dal loro punto di vista: perocché una pre
ghiera fatta ad alta voce non può fare impressione sugli uditori se
non in quanto essi suppongono che colui che prega infonda nella pre
ghiera tutta l'anima sua. Or come Gesù potè egli rendere inefficace
con una simile addizione la preghiera da lui incominciata? Se gli
premeva di confessare innanzi a Dio il vero stato delle cose , poteva
egli farlo in silenzio ; ma una preghiera proferita ad alta vece e quale
ora qui la leggiamo, non avrebbe potuto essere destinala che ai cri
stiani delle età posteriori, che ai lettori dell'Evangelo. Infatti se si
concepisce la necessità di azioni di grazie per ridestare la fede
nella folla degli astanti, si concepisce eziandio come alla fede svilup
pata — quale la suppone il quarto Evangelo — potesse ripugnare
una simile preghiera, perocché questa sembrasse derivare da un rap
porto troppo subordinato e sopratutto troppo poco costante tra il pa
dre e il figlio. Ond'è che tale preghiera necessaria per gli uditori ,
dovette essere di nuovo annullata pei lettori d' un' epoca posteriore
o per lo meno ridotta al valore di un semplice accomodamento.
Ma non in Gesù, bensì solamente in un cristiano vissuto più tardi,
poteva surgere una simile considerazione. E questa cosa fu già ri
conosciuta da un critico, il quale volle eliminare dal testo il versetto
quarauladuesimo, siccome interpolazione posteriore -). Ma essendo sif
fatto giudizio privo di ogni ragione estrinseca, bisognerebbe, se que-
') Questo argomento vale anche per Da Wette, il quale pur ricono
scendo sconveniente che Gesù siasi espresso in quella guisa, ammette però
ch'egli sia stato animato da sentimenti simili.
*) Dieffenbach, Su alcune interpolazioni verosimili nell'Evangelo di
Giovanni, Bertholdt's Krit. Jouan. 5, pag. 8 e seg.
CAPITOLO NONO 171
ste parole non ponno essere di Gesù, ammettere tuttavia (come Lù-
cke non era gran fatto alieno dal supporre altravolta *) ) che lo Evan
gelista stesso le abbia attribuite a Gesù solo per ispiegar quelle che
precedono nel vers. 41. Il fatto sta che noi abbiamo qui delle parole
che sono solamente attribuite a Gesù dallo Evangelista ; ma se il ver
setto 42 è di tal natura chi ne assicura eh' esso sia il solo ? In un
Evangelo dove abbiam già riconosciuto che tanti discorsi sono sem
plicemente prestati a Gesù, in un capitolo che, da ogni lato presenta
impossibilità storiche, la difficoltà che suscita un solo versetto è indi
zio, non già ch'esso non appartenga al rimanente del contesto , ma
che il tutto assieme non appartenga alla classe delle composizioni
storiche J).
Quanto , poi , alla gradazione fra i tre racconti in riguardo alla
loro credibilità estrinseca, già Woolston si fece giustamente stupore
che tre Evangelisti accennino la risurrezione della figlia di Jairo, dove
il miracolo è meno manifesto, mentre le altre due risurrezioni non
si trovano che ciascuna in un Evangelio solo 3) ; ed essendo, quanto
alla risurrezione di Lazzaro, la sua mancanza negli altri Evangelisti,
ancor meno concepibile che non quanto alla risurrezione del giovane
di Nain , troviamo avere anche qui una scala completa di progres
sione.
Che la risurrezione del giovane di Nain sia narrata soltanto dal
redattore dell'Evangelo di Luca; che Matteo e Marco non la riferi
scano allato od in luogo della risurrezione della fanciulla, — son que
sti, a più di un riguardo , motivi di difficoltà *). Anzitutto, in gene
rale, sarebbe a credersi che, poche essendo, giusta i racconti Evan
gelici, le risurrezioni operate, ed essendo esse prove eminenti di una
missione divina, sarebbe a credersi, dico , che agli Evangelisti non
avria dovuto rincrescere il raccoglierne una seconda allato della prima.
Matteo slimò valesse la pena di narrare tre esempi di guarigioni di
ciechi ; eppure queste guarigioni sono di ben minore importanza ;
egli avria potuto contentarsi d'una sola e, invece delle altre , conse
gnare nel suo Evangelo l'una o l'altra delle due rimanenti risurre
zioni. Supposto anche che i due primi Evangelisti abbiano voluto, per
primi Evangeli, quella storia girava ancora per tutte le bocche e che,
per conseguenza <;ra inutile consegnarla in iscritto J); altri, per una
congettura inversa , dissero essersi voluta prevenire la pubblicazione
di questa avventura per non far incorrere pericolo a Lazzaro ancor
vivente (il quale, secondo Giovanni 12, 10, fu perseguitato dai capi
della Gerarchia Giudaica, a motivo del miracolo operato su di lui) od
alla sua famiglia; timore che non esisteva più tardi, al tempo in cui
Giovanni scrisse il suo Vangelo '). Ora, questi due motivi si annul
lano a vicenda nel modo più completo: sì che ciascuno di essi è per
sé appena degno di una confutazione seria. Tuttavia , facendosi a si
mili spedienti ricorso ancor più di sovente che non si potrebbe cre
dere, non voglionsi risparmiare alcune osservazioni in contrario. L'as
serzione di coloro che pretendono non avere i sinottici consegnata la
risurrezione di Lazzaro nei propri Evangeli, perchè generalmente nota
nel circolo loro, prova troppo ; poiché, se tal ragione fosse valevole,
i sinottici avrebbero per lo appunto dovuto omettere i punti capitali
della vita di Gesù, il suo battesimo nel Giordano , la sua morte e la
risurrezione. Ma uno scritto che, al paro de' nostri Evangeli, formasi
nel seno d'una società religiosa, serve non solo a far conoscere ciò
che è men noto, ma a conservare ciò che è noto di già. Quanto alla
seconda spiegazione, fu già da altri notato che la pubblicità della
storia della risurrezione di Lazzaro, nelle contrade fuori di Palestina,
per le quali Marco e Luca scrivevano, non poteva nuocergli, e che il
redattore del primo Evangelo, ove mai avesse scritto dentro e per la
Palestina, sarebbesi difficilmente deciso a lacere di un'opera in cui
la gloria del Cristo erasi cosi singolarmente manifestata , e a tacerla
per riguardo di Lazzaro, il quale , senza alcun dubbio divenuto Cri
stiano, non poteva, nel caso inverosimile ch'ei fosse vissuto ancora al
tempo in cui fu scritto il primo Evangelo) ricusarsi, del paro che la
sua famiglia, a soffrire per il nome di Gesù. Il tempo più pericoloso
per Lazzaro, fu secondo Giov. 12, IO, quello che seguì immediata-
menta la sua risurrezione, e un racconto pubblicato così tardi non
poteva guari aumentare o rinnovare quel pericolo; infine nella con
trada di Betania e a Gerusalemme d' onde veniva il pericolo che mi-
*
180 VITA PI GESÙ.
§ 101.
e infatti non si può fere altrimenti — come una imitazione del racconto
Evangelico, bisogna avere una opinione preconcetta sul carattere dei li
bri del Nuovo Testamento per isfuggire a questa conclusione: che cioè
le risurrezioni che in esso si trovano, sono esse pure semplici imitazioni,
(fatte solo meno appositamente) dei racconti del Testamento Antico ; i
quali racconti, a loro volta , hanno origine nella credenza degli antichi
che una forza trionfatrice della morte fosse impartita ai favoriti degli Dei
(Ercole, Esculapio), e piti specialmente ancora nelle idee giudaiche in
torno ai profeti.
CAPITOLO NONO 181
le meraviglie nel senso ampio attualmente adottato e cominciano i
miracoli nello stretto significato della parola. Se dunque 1' opinione
puramente spranaturalista è la prima che si presenta, Olshausen giu
stamente si accorse che una simile potenza sulla natura^ esterna non
aveva alcun nesso colla destinazione di Gesù per la umanità e per la
redenzione dell'uomo, onde fu indotto a porre l'avvenimento naturale,
qui sospeso per volere di Gesù , in un certo rapporto col peccato e
in conseguenza colla vocazione di Gesù stesso. Secondo lui le tem
peste sono le convulsioni e i tormenti della natura, e come tali sono
le conseguenze del peccato, il quale nella sua terribile azione, ha
sconvolto eziandio il Iato fisico della esistenza '). Ma solo un osser
vatore della natura il quale sacrifichi il generale al particolare, può
riguardar gli uragani, le- tempeste ed i fenomeni di simil genere, che
hanno nel concatenamento dello assieme il loro posto necessario, e
la loro influenza benefica come mali e come irregolarità; e una opi
nione cosmica, la quale sul serio supponga che prima del peccato
originale non vi fossero, e che senza di questo peccato non vi sareb
bero nè uragani, nè tempeste, né piante velenose, né animali da
preda, tocca, son per dire, la stravaganza mitica colla puerilità. Ma
s'è forza abbandonare una simile idea a che serve in Gesù questa
potenza sulla natura ? Qual mezzo di ridestare la fede , essa era in
sufficiente e superflua , poiché Gesù trovò dei singoli fedeli , anche
senza dar prove di una simile potenza , nè valsero queste prove a
procurargli una fede universale. Essa non può neppure considerarsi
qual tipo del dominio primitivo dell'uomo sulla natura esterna, domi
nio che egli è destinalo a riconquistare poiché il merito di questo
dominio consiste appunto in ciò ch'esso è un'opera mediata, una
conquista strappata alla natura dalla meditazione prolungata e dagli
sforzi riuuiti dei secoli, e non già un'opera immediata, magica, che
altro non costa se non una parola. E però riguardo a quella parte
della natura di cui qui si tratta, la bussola, il battello a vapore sono
una realizzazione senza confronto più vero della potenza dell'uomo che
non sarebbe stata la catena imposta con una sola parola al mare.
Ma evvi ancora un altro lato a riguardare: il dominio dell'uomo
sulla natura non è solo un dominio pratico e capace di modificarla
materialmente , ma è eziandio un dominio immanente e speculativo,
per il quale l'uomo, anco laddove ei soccombe esternamente alla po-
») Hase, L c.
*) Vedi tomo I, § 14 verso la fine, in nota.
1.84 VITA PI UF.SÙ
§ 102.
') Gratz, Comm. z. Matth. 2, pag- 90 seg.; Sieffert, Uber den Ur~
aprung, pag. 97.
*) Thiess, Corrunenter 1, pag. 168 seg. ; Schulz, Uber des Abendmahl,
pag. 311. Confr. Fritgsche, in Matth. pag. 523.
s) Schleirmachcr uber den Lukas, pag. 145, Sieffert, 1. e. pag. 95
seg. hase, § 97. Neauder resta affatto indeciso, L. J. Chr. pag. 372 seg.
Anmerh.
202 VITA DI GKSÙ
') Così dicono Pfeuninger. Olshausen, 1, pag. 480. Confr. hase, § 97.
206 VITA DI GESÙ
d' una moltiplicazione miracolosa , cosi Jehova avverte Mosè eh' egli
nutrirà il popolo colla manna (2 Mos., 16, 4) e colle quaglie (2 Mos.,
i6, 12; 4 Mos., li, 18-20). Ma singolarmente decisiva appare la ras
somiglianza fra i dubbj espressi dall' una parte e dall'ultra. Gli apostoli
riguardano come impossibile il procurar viveri nel deserto a tanto
popolo, e Mosè anch' egli muove dei dubbj sulla promessa di Jehova
di saziare con carne gli Israeliti (4 Mos., 11, 51 e seg.). Al pari degli
apostoli, Mosè trova la moltitudine di popolo troppo grande perchè
sia possibile provvederla di cibi a sufficienza ; al paro degli apostoli,
che chiedono d'onde s'abbia a prendere tanto pane nel deserto, Mosè
domanda ironicamente se gli Israeliti debbano uccidere de' montoni
e de' buoi (essi non ne avevano) ; al paro degli apostoli, infine, i quali
objettano che, neppur facendo i maggiori sacrifici di danaro, essi non
avrebbero che saziare alcuno. Mosè, quantunque in altra guisa, di
chiara che a sfamare il popolo , come Jehova , gli prometteva , biso
gnava avesse luogo l'impossibile (che cioè venissero i pesci dal mare).
Jehova nell'Antico Testamento , del pari che Gesù nel Nuovo , non
tien calcolo di tali objezioni ed ordina al popolo di prepararsi a ri
cevere il nutrimento miracoloso.
Per quanta analogia v'abbia fra questi due nutrimenti miracolosi,
riscontrasi ciononostante nna difficoltà essenziale : che nell'Antico Te
stamento, cioè, si tratta così per la manna come per le quaglie di
procurare in modo miracoloso cibi che non esistevano prima ; e nel
Nuovo, di moltiplicare miracolosamente cibi che esistevano già , ma
«he non bastavano. L'intervallo fra il racconto mosaico e il racconto
evangelico è dunque troppo grande perchè si possa derivare imme
diatamente quesl» da quello. Ci abbisogna un intermedio; e questo
intermedio fra Mosè ed il Messia ci si presenta nei profeti affatto na
turale e spontaneo- Quanto ad Elia , si sa che , per mezzo suo e in
suo favore , la piccola provvigione di farina ed olio da lui trovata
presso la vedova di Sarepta si moltiplicò miracolosamente, o a meglio
dire, si conservò in modo da bastare alla durala d' un' intera carestia
(1 Reg. 17, 8-16). Questa storia del miracolo si sviluppa viemeglio
ed in modo più analogo al racconto evangelico in Eliseo (2 Reg., 4,
42 e seg.). In quella guisa che Gesù, nel deserto, con cinque pani e
due pesci vuol nutrire" cinquemila uomini , così Eliseo , durante una
carestia, vuol nutrire cento uomini con venti pani*(pani d'orzo come
quelli che furono distribuiti da Gesù secondo Giovanni) e con un poco
di frumento macinato (mxdsaì). La sproporzione fra le provvigioni e
CAPITOLO NONO 215
il numero degli uomini è espressa dal servo di Eliseo, come nel Van
gelo degli apostoli, in forma di questa domanda : Che cos'è una così
piccola quantità di viveri per cento uomini ? Eliseo non si lascia più
di Gesù sconcertare da tale objezione ; ma ordina al servo di dar da
mangiare alla gente che lì si trova ; e in quella guisa che il racconto
evangelico nota essersi raccolti gli avanzi del pasto , cosi nell'Antico
Testamento il racconto termina coli' osservazione che , sebbene tanti
nomini avessero mangialo la lor parte di quelle provvigioni , pur ne
rimase ancora d'avanzo '). La sola differenza qui sta, a vero dire, nel
minor numero dei pani, e nel numero maggiore della folla adunata,
da parte del racconto evangelico. Ma chi non sa che in generale la
leggenda non imita senza accrescere e che, in particolare, pienamente
addicevasi alla posizione del Messia il porre la sua potenza miraco
losa, in confronto di quella di Eliseo, nel rapporto di cinque a venti
quanto alla necessità di alimenti naturali preesistenti, e di cinquemila
a cento quanto all'azione sovranaturale? Vero è che Paulus, per isfug-
gire alla conseguenza di dovere insieme coi due racconti del Testa
mento Antico, intendere in senso mistico anche il racconto tanto ras
somigliante degli Evangeli, estende ai primi il saggio d' una spiega
zione naturale svolta già per il secondo ; ond' ei pretende che 1' or-
ciuolo d'olio della vedova venisse tenuto pieno per le contribuzioni
degli allievi del profeto e che venti pani potessero bastare a cento
uomini mercè una lodevole moderazione 2). Tale spiegazione può al
lettarci ancor meno della spiegazione correlativa del racconto evan
gelico ; perocché in ragione della data più remota dell'avvenimento si
hanno minori motivi critici, e in ragione del suo rapporto puramente
mediato col cristianesimo . minori motivi dogmatici di insistere sul
l'autenticità storica di esso.
§ 103.
Ma egli dimentica qui una differenza logica: nella storia della molti
plicazione, la modificazione del stibstratum è puramente quantitativa,
é un aumento di ciò che già esiste colla medesima qualità ; vi è più
quantità di pane, ma sempre pane. Al contrario nelle nozze di Cana,
il stibstratum subisce una modificazione qualitativa ; esso non resta
simile a sé, diviene altra cosa, da acqua tramutasi in vino; evvi dun
que una vera transustanziazione. Veramente vi hanno mutamenti qua
litativi che succedono conformemente alle leggi di natura e la cui
produzione istantanea da parte di Gesù sarebbe più concepibile che
non un aumento del pari istantaneo della quantità; per esempio il subito
tramutarsi del mosto in vino, o del vino in aceto; poiché altro ciò
non sarebbe che il far passare rapidamente lo stesso stibstratum vege
tale, il sugo dell'uva, per i diversi stadj che gli son naturali. Sarebbe
già più miracoloso che Gesù avesse comunicato al sugo d* un altro
fruito, per esempio del pomo, la qualità del sugo dell' uva ; tuttavia
egli sarebbe rimasto ancora nei limiti dello stesso regno della natura.
Ma qui dove l'acqua è tramutata in vino si salta d'un tratto da un
regno della natura nell'altro, dalla sostanza inorganica alla sostanza
vegetale: miracolo di tanto superiore al miracolo della moltiplicazione
quanto il tramutamento delle pietre in pane , che il tentatore suggerì
a Gesù 4).
A questo miracolo, come al precedente, Olshausen, seguendo
Agostino -) applica la spiegazione di un lavoro naturale accelerato,
dimodoché qui non sarebbe accaduto nuli' altro, senochè — in un
tempo più breve — ciò che accade annualmente nella vigna per uno
sviluppo più prolungato. Questo modo di considerare la cosa sarebbe
fondato se il stibstratum sul quale operò Gesù fosse stato il medesimo
di quello d'onde il vino deriva per via naturale. S'egli avesse preso
in mano una vite, se l'avesse fatta subitamente fiorire e produrre
gruppi maturi — potrebbe questo chiamarsi un lavoro naturale acce
lerato. Ma noi non avremmo ancora del vino con ciò; e perchè Gesù
') Neauder opina che, per questo miracolo, si possa, più facilmente
che per quello della moltiplicazione dei pani, trovare una analogia : e que
sta nella sorgente minerale la cui acqua, per mezzo di forze naturali,
acquista tale una potenza da produrre effetti superiori d'assai a quella
dell'acqua naturale e in parte simili a quelli del vino, (pag. 360).
') In Johann traot. 8 Ipse vinum fecit in nuptiis, qui omni anno
hoc facit in vitibus.
218 VITA DI GESÙ
') Paulus, Comm. A, pag. 150 seg. L. J. 1, a, pag. 169 seg. Natiiv-
liche Geschiehte, pag. 61 seg.
Sirauss, V. di ff. Voi. II. t»
226 VITA DI GESÙ
quivi un miraoolo *). L' autore della storia naturale del Profeta d
Nazareth cercò sfuggire a questa difficoltà ammettendo che il narra
tore medesimo, Giovanni, prendesse la cosa per un miracolo e come
tale la narrasse. Ma, indipendentemente dal modo indegno ond'egli
spiega questo errore dell'Evangelista J), non è supponibile che Gesù
mantenesse i suoi discepoli nella illusione degli altri convitali e non
desse loro almeno degli schiarimenti sul vero carattere della cosa.
Bisognerebbe dunque ammettere che colui che narra, nel quarto evan-
gelo questo avvenimento, non fosse uno de' discepoli di Gesù ; ma
con ciò si varca la sfera del modo d'interpretazione di que' teologi.
Andiara più avanti. Ammesso che il narratore medesimo, qualunque
ei si fosse, avesse divisa l' opinione di coloro che credevano ad un
miracolo, noi comprenderemo, gli è vero, il modo con cui egli narra
e le espressioni di cui si vale, ma troveremo altrettanto più incom
prensibili il procedere e la condotta di Gesù, s'egli è vero che qui
traltavasi di un miracolo reale. Perchè mai nel presentare il suo
dono, ebb'egli lauta cura di farlo apparire un dono miracoloso? Per
chè fece egli riempire d'acqua le botti, dove aveva intenzione di
meltere subito del vino — dacché la necessità di toglierne l'acqua
non poteva che impedire il segreto della operazione? A meno che
non pretendasi con Woolston, eh' egli avesse semplicemente comunicato
all'acqua un sapor di vino versandovi de' liquori. Incontrasi adunque
una doppia difficoltà, da un lato, nel concepir la introduzione del
vino nelle bolli già piene d'acqua, dall'altro nel giustificare Gesù dal
sospetto ch'egli avesse voluto destar l'apparenza di una trasformazione
miracolosa dell'acqua. Fu senza dubbio il sentimento di questa diffi
coltà che indusse l' autore della storia naturale del Profeta di Nazareth
a rompere ogni connessione fra l' acqua delle botti e il vino arrecato
più tardi, e a supporre che Gesù avesse fatto cercare dell'acqua
perchè se ne difettava e perchè voleva raccomandar l'uso salutare
di lavarsi prima e dopo il pasto; che poi, più tardi egli avesse fatto
recare il vine da una camera vicina in cui lo aveva deposto. Con
una tale interpretazione sarebbe forza ammettere che la ubriachezza
di tutti i convitati e del narratore in ispecie fosse siala completa a
segno da credere che il vino recato dalla camera vicina venisse tratto
dalle bolli piene di acqua, oppure — che i mezzi a cui Gesù ricorse
per desiar l'illusione fossero assai ingegnosamente disposti: ciò che è
incompatibile colla sua ordinaria sincerità.
In (mesta angustia tra la spiegazione sopranaturale e la spiega
zione naturale, che sono anche qui insufficienti l'una al paro dell'altra,
noi dovremmo, con uno de' più recenti interpreti del quarto evangelo,
aspettare che « piaccia a Dio di condurre, mercè lo sviluppo ulte
riore di una saggia meditazione cristiana, la soluzione di tali enigmi
a soddisfazione generale *). » Ma per ciò stesso che la storia in que
stione ritrovasi solo in Giovanni, noi vediamo aprircisi davanti una
uscita mercè la quale trarci d' impaccio. Unica qual'è nel suo genere,
racchiudente il primo miracolo di Gesù, questa storia avrebbe dovuto
esser nota a tutti gli apostoli, sebbene non tutti i dodici fossero già
a quell'epoca con Gesù; avrebbe dovuto, quand'anco fra gli altri
Evangelisti non vi fosse alcun apostolo, passare nella tradizione gene
rale, e di là venir raccolta dai sinottici. Ora, essendo Giovanni il
solo che la riferisca, sembra più naturale lo ammettere eh' ella si
formasse soltanto in un terreno ignoto ai sinottici, che non lo am
mettere ch'essa fosse scomparsa cosi presto dal terreno medesimo su
cui era nata. Più non ci resta adunque che vedere se e come, anche
senza motivo storico, una simile leggenda potesse prodursi. Kaiser
ricorre allo spirito romanzesco dell'Oriente, amico delle metamorfosi,
ma questo esempio è così vago che Kaiser medesimo è costretto a
supporre siasi stato realmente, da parte di Gesù, qualche piacevole
scherzo 2). Con ciò egli rimatisi nel disgraziato mezzo termine tra
la spiegazione mitica e la spiegazione naturale da cui solo allora si
può uscire che si giunga a raccogliere sur un racconto dei punti
mitici di rapporto e di origine più immediati e più precisi. Ora, nel
caso attuale non si ha bisogno di rimanere sia neh" Oriente , sia nel
campo delle metamorfosi in generale; giacché troviamo precisamente
trasformazioni di acqua nel circolo più ristretto della storia primitiva
degli Ebrei. A tacere di alcuni racconti ove narrasi che Musò fece
scaturire per gli Israeliti, nel deserto, l'acqua da un'arida roccia
(2 Mos. 17, 1 seg.; 4 Mos. 20, 1 seg.), — dono miracoloso che ripe
tulo con poche modificazioni nella storia di Sansone (Jud. 15, 17 seg.),
§ 104.
L'aneddoto del fico, cui Gesù disseccò colla sua parola, a motivo
che, avendo egli fame, non vi trovò verun frutto, è proprio dei due
primi Evangeli (Matt. 21, 18 seg. Marc. 11, 12 seg.); ma è narralo
da essi con divergenze che influiscono sul modo di concepire la cosa.
Una di queste divergenze di Marco, in confronto di Matteo, sembra
favorevole alla spiegazion naturale, per modo che a motivo di essa in
ispecie, si attribuì, or non è molto al primo una tendenza a conce
pire naturalmente i miracoli di Gesù. Per riguardo poi a questa diver
genza loro favoreoole i commentatori presero sotto la loro protezione
un'altra divergenza dello stesso Evangelista, passabilmente incomoda.
Se infatti si stesse al modo con cui il primo Evangelista narra
il risultato della maledizione di Gesù; e nel medesimo istante il fico
disseccassi, *« ij-npa'vs-n napaxp^Va d' ouxn" (v. 19) sarebbe certo difficile
«) L. 9. § 128.
222 VITA DI OESÙ
') Angustili. De verbis Domìni in Eo. sec. Joann. sermo 44: quid
arbor fecerat fructum non offerendo? que culpa arboris infecunditas?
•) Disc. 4.
CAPITOLO NONO 233
') Ullmann, Sulla impeccabilità di Gesù, ne' suoi Studien, 1, pag. 50;
Sieffert, 1. c. pag. 115 seg.; Olshausen, 1, pag. 773; Neandor, L.J. Chr.
pag. 378.
') Paulu», 1. c. pag. 170; haf, L. J., § 128; e anche Sieflfert, 1. c.
238 VITA DI GESÙ
fatto meraviglioso. Ma se Gesù avesse realmente data questa spiega
zione simbolica dell'azione sua, bisognerebbe dire cbe gli Evangelisti
non solo hanno ommessa quella spiegazione, ma ne hanno sostituito
in sua vece, una falsa. Di vero, sécondo esM, Gesù non serba il silen
zio dopo la maledizione dell'albero; ma a lui chiedendo gli apostoli,
pieni di stupore, che sia accaduto all'albero, egli dà loro una spiega
zione, non però quella simbolica riferita più sopra, ma una diversa
ed anzi opposta. Gesù dice loro ch'essi non devono meravigliarsi se
il Geo si è disseccato ad una sua parola, e che con un poco di fede
soltanto essi potranno fare cose ancor più grandi. Quindi egli non
pone l'importanza capitale della sua azione nel simbolismo dello stato
e del patimento dell'albero; se tale fosse stata la sua intenzione, il
linguaggio da lui tenuto agli apostoli sarebbe stalo in contraddizione
con essa o piuttosta tale non potò essere stata la sua intenzione
giacché egli tenue quel linguaggio. Nella stesa guisa cade l'ipotesi
di Sieffert, la quale del resto non si appoggia su di nulla. Questo
autore pretende che Gesù siasi intrattenuto cogli apostoli intorno allo
stato od all'avvenire del popolo israelita, non già dopo la maledizione
del fico, ma prima, e nel mentre avviavasi a quell'albero; che tale
colloquio poi abbia avuto termine colla maledizione simbolica del
fico, la quale, cosi posta, veniva a comprendersi da sé. Ma s'egli è
vero che la introduzione da SieiTert qui disposta, prepari la via all'in
telligenza dell'atto in questione, tutto questo sarebbe stato ridotto a
nulla dalle parole successive di Gesù, le quali additavano solo il lato
miracoloso del fatto, in un tempo propenso ai miracoli, filmanti
stimò dunque a ragione dover fare una concessione alle parole di Gesù,
che formano parte del racconto; e pur riconoscendo come ammissi
bile la spiegazione simbolica ne preferisce un'altra che fu già pro
posta altrove *): aver Gesù con quell'atto miracoloso voluto dare a
suoi una nuova prova della sua onnipotenza, per fortificare la loro
fiducia in lui, negli imminenti pericoli. 0 piuttosto, giacché in nes
sun luogo è fatta speciale allusione alla passione imminente, e le
parole di Gesù nulla racchiudono che non fosse stalo precedentemente
già detto, (Matt. 17, 20; Lue. 17, 6), è a credersi con Fritzsche, che
l' opinione degli Evangelisti fosse in senso allatto generale, la seguente:
Gesù, per il malcontento provalo a motivo della sterilità del fico, oolse
questa occasione per compiere un miracolo, il cui scopo altro non
del suo vigneto, e che vuol farlo sradicare, se non fosse la interces
sione del giardiniere che ottiene all'albero la dilazione di un allr'anno.
Sino da' tempi antichi varj padri della Chiesa scorsero nella maledi
zione del fico nulla più che la riproduzione in atto della parabola
del fico *), nel senso , — gli è vero — della spiegazione da noi ri
ferita più sopra, che cioè Gesù medesimo avesse inteso raffigurare lo
stalo attuale e il prossimo avvenire del popolo giudeo, là cou un di
scorso figurato, qui con un allo simbolico : cosa , come già abbiamo
veduto, impossibile a concepirsi. Tuttavia, noi non sappiamo allontanare
da noi il sospetto che qui ci si presenti dinnanzi un solo e medesimo
tema sotto tre forme diverse: prima, sotto la forma più concentrata
d'un apoflemma ; poi allargato alle proporzioni d' una parabola ; final
mente trasformato in istoria reale. Solo non ammettiamo che Gesù
abbia realmente raffiguralo, la terza volta, con un'azione, ciò che per
due volte egli aveva espresso con parole : crediamo bensì che la tradi
zione abbia finito col tramutare in avvenimento reale ciò che prima
non era se non una storia parabolica. Se nella storia realizzata , la
fine dell' albero è alquanto diversa dalla fine oud' esso è minacciato
nell'apoftemma e nella parabola, se cioè l'albero si dissecca invece di
essere abbattuto , questo non vuol dir nulla ; giacché dal momento
che la parabola era divenuta una storia vera , avente Gesù per sog
getto, tutto il suo valore didattico e simbolico era passato nell'azione
esterna. Questa , per acquistare maggiore importanza ed interesse,
dovette assumere un carattere miracoloso ; e per conseguenza la di
struzione dell' albero invece di essere operala naturalmente mediante
la scure, dovette trasformarsi in un disseccamento immediato prodotto
dalla parola di Gesù. Sempre gli è vero, che in questo modo di con
cepire i racconti , rimanendo la sostanza di esso pur sempre simbo
lica, presentasi la stessa obbiezione accennata più sopra : che cioè il
discorso di Gesù cui trovasi unito si oppone a spiegazione siffatta.
Ma la opinione nostra intorno ai racconti ci autorizza a dire che la
parabola, col trasformarsi in istoria nella tradizione perdette in pari
tempo il suo significato primitivo ; il miracolo comincia ad essere ri
guardato siccome il punto essenziale, e a torto vi si collegò il discorso
relativo alla potenza dei miracoli ed alla efficacia della fede. Non è
nemmeno cosa impossibile lo indicare con verosimiglianza il motivo
§ 105.
Trasfigurazione di Gesù,
considerata come fenomeno miracoloso.
§ 106.
') Schnlz, Uber des Abendmahl, pag. 319; Schleiermacher, Uber «fot
Lukas, pag. 148, seg.; confr. anche KOster, Immanuel, pag. 60, seg.
CAPITOLO DECIMO. 249
rabbellito e di seconda mano <), e una ragione di più per attenerci
ftl racconto dei due primi evangelisti.
,1; .Per tal guisa cade l'appoggio principale di quella interpretazione,
che altro non iscorge nel presente racconto se non un sogno naturale
degli apostoli: ma essa è per di più osteggiata da una moltitudine
di difficoltà. Di vero, essa suppone il sogno soltanto nei tre apostoli
e ammette che Gesù fosse desto: Gesù quindi non è compreso nel
l'illusione. Ora tutto il racconto evangelico è così concepito come se
Gesù avesse avuto l'apparizione al paro dei tre apostoli. Se tutto
questo, infatti, non era che un sogno degli apostoli, egli non poteva
dir loro in appresso: Non parlate a nessuno della visione, pwfcvì tìmrK
•io opajj.a: parole le quali li avrebbero confermati nella opinione che
fosse davvero accaduto alcunché di particolare e miracoloso. Di più,
quand' anco Cfesù non avesse avuto alcuna parte al sogno , è cosa
inaudita che tre persone sognino , per via naturale e nello stesso
tempo, una sola medesima cosa. Bene il compresero i seguaci di
questa interpretazione: e però si disse che il focoso Pietro, come era
stato il solo a parlare, cosi fosse stato il solo ad avere il sogno, e
che gli evangelisti avessero attribuito ai tre apostoli , in virtù della
figura detta sineddoche, ciò che era accaduto ad uno solo di essi.
Ma dallo aver Pietro, qui come altrove, la parola, non segue eh' ei
sia stato il solo ad aver quell'apparizione : che anzi il contrario risulta
dalle parole degli evangelisti, e nessuna figura rettorica vale a nascon
derlo. Del resto, quelli che applicano siffatta interpretazione alla storia
in discorso , ne confessano la insufficienza ancor più chiaramente.
Non solo, come si notò più sopra, essi attribuiscono, nel sogno degli
apostoli, una parte sussidiaria alla invocazione dei nomi di Afose ed
Elia proferiti ad alta voce da Gesù, ma chiamano eziandio in proprio
soccorso una tempesta che introdusse nel sogno, mediante i lampi,
l' idea di uno splendore sopranaturale , mediante il tuono l' idea di
colloquii e di voci celesti, e ehe valse a mantenere ancora gli apostoli
nella loro illusione qualche tempo dopo il loro ridestarsi. Ma Luca
riferisce che gli apostoli nello svegliarsi, *:o,yp<iyopfoci.YiH, videro i due
profeti ancora in piedi a fianco di Gesù; il che non rassomiglia
punto ad una semplice illusione prolungatasi dallo stato di sonno a
0 L. c.
') Paulag, Exeg. haudb. 2, 436, seg.; L.J. 1, 6, pag. 7, seg.; Natùr-
liche Geschichte, 3, pag. 236,. seg; >■' <■ •■ < '• /
252 VITA DI GESÙ
pata: indi lo spediente di Paulus, il quale imagina aver Gesù fran-
teso la proposta di Pietro. Tutte le ipotesi intomo ad alleati segreti
sono, a ragione, cadute in disuso; e, infine, quello fra simili alleati
che avesse dal mezzo della nube rivolte agli apostoli le parole io
questione, si sarebbe permessa una mistificazione indegna.
107.
') Paulus, Exeg. haudb. pag. 446; Gratz, 2, pag. 165, seg.
*) Confr. De Wette, Giul. in das N. T„ § 79.
CAPITOLO DECIMO. 253
nianza dei tre sinottici intorno a questa storia, è — per lo meno
nella comune opinione sul rapporto dei quattro Evangeli fra loro —:
d'assai indebolita per il silenzio del quarto. Non si riesce infatti a
comprendere perchè mai questo evangelista non avrebbe accolto un
avvenimento di tanta importanza, che in pari tempo è cosi conforme
al suo sistema, e che veramente realizzava le sue parole del prologo:
E noi dbbiam veduta la sua gloria, quale dev'essere la gloria del
Figlio unigenito del Padre, xai k5taoó.ut5à t)rv dofav oùroó, àbéav òs
(v. 14). Il vieto argomento, — che Giovanni
avesse potuto supporre la trasfigurazione già nota per mezzo degli
altri evangelisti, — oltre la sua falsità generale, è qui particolarmente
inapplicabile: giacché questa volta nessuno dei sinottici era stato
testimonio oculare, e vi dovevano essere nel loro racconto assai cose
a verificarsi ed a spiegarsi da un uomo che, come Giovanni , aveva
assistito alla scena. Si cercò dunque un motivo di questa e d'altre
analoghe omissioni nel quarto Evangelo, e si credette trovarlo nella
tendenza antignostica, o, più precisamente, antidocetica , che fu tras
portata dalle lettere di Giovanni nello Evangelo di lui. Nella storia
della trasfigurazione, dicono que' commentatori, lo splendore che illu
minava Gesù, la trasfigurazione del suo aspetto in un aspetto sovru
mano , potevano prestar armi all' opinione che riguardava la forma
umana in Gesù come una semplice apparenza dalla quale traluceva a
qnando a quando la sua natura vera e sovrumana; il suo colloquio
cogli spiriti d'antichi profeti avria potuto far credere egli medesimo
non fosse che l'anima di qualche uomo pio dell'antico Testamento; e
per non dare alimento a queste opinioni erronee , che cominciarono
a svolgersi per tempo fra i cristiani propensi alia gnosi , Giovanni
preferi sopprimere questa storia ed altre analoghe Ma , astrazion
fatta da ciò , che disconviensi alla sincerità apostolica , na'pp'voìa, il
dissimulare, a motivo del possibile abuso da parte di pochi individui,
fatti capitali della storia evangelica , Giovanni avria dovuto per lo
meno procedere in questo con una certa conseguenza, ed escludere
dalla cerchia del suo lavoro tutti i racconti suscettibili, non meno del
racconto attuale , di una falsa interpretazione docetica. Ora ciascuno
ricorda la storia del passeggio di Gesù sul mare, storia che, non
meno certo della trasfigurazione, induce tosto il pensiero di una sem
plice apparenza corporea in Gesù, e che pure fu raccolta da Giovanni.
') Neander , dubbia essendo per luj la realtà objettiva della storia
della trasfigurazione, trova anch' egli, questa volta, imbarazzante il rac
conto del quarto Vangelo.
') Olshausen, pag. 533, Aum.
capitolo Dget*o. 205
forza coachiudere ohe Elia non doveva venire, e non già come so
avessero avuto , allora allora , una apparizione di quello stesso Elia.
Perocché, in quest' ultimo caso, essi non dovevano muovere una do
manda che indicasse insoddisfatta la aspettazione loro, bensì dove
vano dire eoo soddisfazione: Gli scribi han dunque ragione di dire, ecc.,
eìxbsrùK oùv <ù ypa.y#a.itti 7Ày.oiwv *n\ '), In conseguenza , i commenta
tori interpretano la domanda degli apostoli, non già come se ad essi
fosse mancata l'apparizione di Elia, ma come se essi vi avessero
cercato indarno un determinato segno: e questo segno era, secondo
l'opinione degli Scribi, che Elia dovesse, al suo apparire, esercitare
una azione potente e riformatrice sul suo popolo, mentre qui invece,
dopo essersi mostrato, egli era scomparso senza far nulla -). Tale
spiegazione sarebbe ammissibile, se le espressioni : Elia dee ristabilire
ogni cosa , òunoxavaaifost jràvra , si trovassero nella domanda degli
apostoli ; ma ne' due evangelisti che riferiscono questo colloquio
(Matt. v. 14, Marc. v. 12), esse si trovano solo nella risposta di Gesù:
dimodoché gli apostoli si sarebbero espressi a controsenso , tacendo
ciò che desideravano, vale a dire il ristabilimento d'ogni cosa, e ac
cennando solo alla venuta ch'essi non potevano più desiderare dopo
l'apparizione avuta testé. Se la domanda degli apostoli, lungi dal
supporre la realtà di una apparizione di Elia , suppone invece che
tale apparizione fosse mancata, non altrimenti è a dirsi della risposta
di Gesù. Egli infatti risponde: Gli scribi hanno ragione di dire che
Elia deve venire prima del Messia; ma questo non è un argomento
contro il mio carattere messiaco, giacché io sono stato già preceduto
da un Elia nella persona di Giovan Battista.
Ora, se a premunir gli apostoli dal dubbio che poteva suscitare
nelle loro anime l' aspettazione degli Scribi , egli accenna all' Elia —
in figura — che lo aveva preceduto , è impossibile che immediata
mente prima gli fosse apparso il vero Elia; che in tal caso , egli
avrebbe anzitutto citata questa apparizione e solo in seguito forse
avrebbe parlato di Giovan Battista '). Dunque il nesso immediato di
questo dialogo con quella apparizione non può essere storico; dunque
') Confr. Jalkut Simeoni P. 2, f. 10, 3 (in WetStein, pag. 456): Facies
justorum futuro tempore similes erunt soli et lunce, coito et ttellis, ful-
gure, eie.
*) Bereschith Rabba, 20, 20 (in Western): Vestes lucis vestes Adami
primi. Pococke, ex Nachrmwide fibid) : Fulgida facta fn.it facies Moses
instar solis, Josuas instar lunce; quod idem affirmarunt veteres de Adamo.
e) In Pieke Eiieser, 2, trovasi , secondo Wetstein, la notizia: Inter
docendum radios ex facie ipsius, ut olim e Mosis facie, produsse, adeo
■ut non dignosceret quis, utrum dies essel aut nox.
*) Nizzachon votus , pag. 40 , ad Exod. 34 , 33 (in Wetstein) : Ecce
Moses magister noster felicis memoria;, qui homo merus erat , quia
Deus de facie ad faciem cum eo locutus est, vultum tam luceniem re
tuli t, ut Judoci vererentur accedere: quanto igitur magis de ipsa divi-
Strauss. V. di G. Voi. II. 17
288 TITA Dt GESÙ
Simili objezioni, che i primi cristiani dovettero, senza dnbbio, o udire
da parte dei Giudei , o muovere a sé medesimi , non potevano che
destare nella Chiesa primitiva una tendenza a riprodurre nella vita
di Gesù questo tratto della vita di Mosè, — ad esagerarlo, anzi, sotto
un certo rapporto e ad attribuire a Gesù, non foss' altro , per brevi
istanti, invece di una faccia luminosa, che si poteva ricoprir con un
drappo, uno splendore irraggiante perfin sulle vesti.
Oltre a questo , una serie di tratti isolati ci comprova che la
trasfigurazione del volto di Mosè servi di tipo alla trasfigurazione
di Gesù. Mosè fu trasfigurato sul monte Sinai: e sovra un monte ha
luogo la trasfigurazione di Gesù. In una ascensione anteriore, che
potè facilmente confondersi colla successiva , in cui il suo volto di
venne luminoso, Mosè avea presi seco , per partecipare alla contem
plazione di Jehova sul monte, tre confidenti, Aaron, Nadab ed Abihu,
oltre i settanta anziani (2 Mos. 24, 1, 9-1 i); cosi Gesù prende seco
i suoi tre discepoli più intimi , perchè siano , in quanto il permette
ranno le loro forze, testimonii di quel grande spettacolo: ed era loro
intenzione immediata (Lue. v. 28) il pregare, zpcn^iia^xt, in quella
guisa che Jehova ordina a Mosè di venire sul monte coi tre e cogli
anziani per adorare da lungi. Salito poscia Mosè con Giosuè sopra
il Sinai, la gloria del Signore , àola ypplou, coperse come una nube ,
viCfiXv, la montagna (v. 15, seg. LXX): e Jehova dal seno della nube
chiamò Mosè, fino a che questi penetrò nella nube e se ne venne a
lui (v. 16-18); — similemente abbiamo, nel racconto nostro, una
nube luminosa, vt?éXv (jwb?, che avvolge Gesù e le apparizioni celesti;
una voce dal seno della nube, cwyij ex Tfc v^s/U?? ; e, in Luca, lo ad
dentrarsi, cfsd&iv , dei tre nella nube. Ciò che la voce dice agli apo
stoli dal seno della nube, è nella prima parte, la stessa dichiarazione
del carattere messiaco, che, composta del vers. 7 del Ps. 2, e del
vers. 1 del capit. 42 di Isaia, era già risuonata dall'alto del cielo al
momento del battesimo di Gesù; la seconda parte è desunta dalle
parole con cui Mosè, nel passo del Deuteronomio prima citato (18, 15),
annuncia al popolo (giusta la interpretazione ordinaria) il Messia
futuro, e lo esorta ad obbedirgli ').
nitate hoc tenere oportet; atqne Jesu faciem ab uno orois cardine ad
alterum diffundere conveniebat. At non preeditns fuit ullo splendore sed
reliquis mortalibus fuit simillimus. Quapropier comtat non esse in eum
credendum.
') Questo confronto coli' ascensione di Mosè sul monte, ci dà forse
CAPITOLO DECIMO. 269
Per fa trasfigurazione sul monte, Gesù era stato posto allato di
Mosè suo tipo; e come era comune aspettazione fra i giudei che,
giusta Isaia, 52, 6, seg., il tempo messiaco dovesse avere non uno
ma più precursori ') , e che , fra gli altri , l' antico legislatore , in
ispecie, apparir dovesse al tempo del Messia ') — cosi nessun mo
mento meglio prestavasi alla sua apparizione, di quello in cui il
Messia fu trasfigurato sur un monte nella medesima guisa onde lo
era già stato egli, Mosè. Allora fu naturale lo aggiungergli colui che,
secondo Mal. 3, 23, possedeva, sopra ogni altro, il carattere di pre
cursore messiaco, ed anzi era atteso, al dir dei Rabbini, nello stesso
tempo che Mosè. Apparsi che fossero questi due personaggi al Messia,
veniva da sé che s'intrattenessero a colloquio con lui; e se saper si
volle qualcosa sul tenore di tale colloquio , il capitolo che veniva
immediatamente prima , suggeriva naturalmente si fosse quel col
loquio aggirato sulla passione e sulla morte prossima di Gesù. Questi
oggetti, che formavano, propriamente parlando, il mistero messiaco
del nuovo Testamento, erano, sovra ogni altro, i più acconci ad un
simile colloquio con esseri d'un altro mondo: per lo che, dee far
meraviglia l'asserto di Olshausen: che il mito non avrebbe potuto
giungere mai a siffatto tenor del colloquio. Noi avremmo qui pertanto
un mito s) di duplice tendenza: inteso , cioè , prima , a riprodurre
§ 108.
, Notizie divergenti
siali' ultimo viaggio di Gesù a Gerusalemme.
') Weisse , poco soddisfatto del significato clic noi abbiamo scorto
nel mito , e sforzandosi di conservare una base storica al racconto , lo
concepisce come una metafora proveniente dai tre testimonii oculari
medesimi. Questi, secondo lui, adombrarono di tal guisa, nel linguaggio
figurato degli Orientali, la luce che in quel momento scese a illuminarli
sulla destinazione di Gesù ed in ispecie sovra i suoi rapporti colla teo
crazia dell'antico Testamento e colla predizione messiaca. Il monte ele
vato, su cui supponesi accaduta la scena, simbolicamente raffigura l'al
tezza della conoscenza che fu in quel momento comunicata agli apostoli;
la metamorfosi di Gesù e lo splendore delle sue vesti sono un simbolo
dell'intuizione ch'essi ebbero della idea messiaca, la quale lucida ap
parve agli occhi del loro spirito; la nube che ricopre l'apparizione
designa la incertezza nebulosa in cui dileguossi per gli apostoli la nuova
scienza ch'essi non erano peranco in grado di conservare; la proposta
di Pietro di costruir dei padiglioni , rappresenta il tentativo di questo
apostolo di fissare tosto dogmaticamente la intuizione superiore avuta
testé. Weisse teme (pag. 543) possa questa sua spiegazione della storia
della trasfigurazione venir presa anch'essa per una spiegazione mitica-
Io noi credo; la sua porta troppo chiara l'impronta di una spiegazione
allegorica.
*) Schleiermacher, Uber der Luka», pag. 160.
982 VITA DI GESÙ
intorno al cammino che di là prese Gesù per recarsi in Giudea. Le
informazioni di due fra essi sono oscure per modo che sembrerebbero
fornire argomenti all'esegesi intesa a dimostrare la concordanza degli
Evangeli. Chi si esprime con maggior chiarezza e precisione è Marco,
il quale dice aver Gesù traversato la Perea; ma ciò ch'egli aggiun
ge: Ex se ne va verso i confini della Giudea per il cammino che è
lungo il Giordano, ipyiiai eìj là. ipta tjj; 'loo&aia? dia. tc3 stipav tou
'lopdàvou, — altro non è certamente se non la spiegazione che
Marco credette dare della espressione appena intelligibile di Matteo,
sulle cui orme, in questo paragrafo, cammina. Quanto poi alla frase
di quest'ultimo: Egli partì di Galilea e andò verso i confini della
Giudea lungo il Giordano , jtmìpsv <xwò t*,- ralùaias tal £Uev e« t*
opta tìjs 'loudaìa; wipav tou 'lo^àvoo, non si saprebbe infatti che
voglia dire. Se la si interpreta nel senso che Gesù siasi recato
nella parte della Giudea, di là dal Giordano '), si pecca egual
mente e contro la geografia e contro la grammatica. Il confronto col
testo di Marco indusse il più degli interpreti a supporre, essersi
Gesù recato in Giudea per la contrada posta di là dal Giordano s);
Ma questa spiegazione , anche colla modificazione introdottavi
da Fritzsche, non è neppur essa scevra da difficoltà, almeno
grammaticale. Comunque sia, sussiste che Matteo al pari di Marco
fa prendere a Gesù, per recarsi in Giudea, il cammino più lungo,
quello della Perea; Luca invece sembra gli faccia prendere il cam
mino più breve : quello della Samaria. Veramente , quand' egli dice
che Gesù, nel recarsi a Gerusalemme, passava per mezzo la Samaria
e la Galilea, dwpyiem t?i» ^iaov Sajioptias xaì VoltXaias, la sua espres
sione non è punto più chiara di quella di Matteo , testé esaminata.
Giusta il significato ordinario delle parole, questa frase vorrebbe dire
che Gesù traversò prima la Samaria, poi la Galilea, per venire a Ge
rusalemme. Ma quest'ordine è il rovescio dell'ordine reale; poiché se
Gesù parti da una località di Galilea, dovette prima traversare il ri
manente della Galilea, poi la Samaria. In conseguenza si interpretarono
le parole, cfdpytoòai àia. Toà //krou xtX, nel senso che Gesù fosse passato
tra la frontiera dì Galilea e quella di Samaria 3), e si conciliò Luca
') Paulus, 2, pag. 293, 554. Confr. Olshausen, 1, pag. 583 seg.
*)' Schleiermacher, 1. e. pag. 159.
!) Paulus, 2, pag. 294 seg.
CAPITOLO DECIMO. 265
del paro e siasi in conseguenza imaginato che Gesù, vicino ad esse,
fosse vicino a Gerusalemme. II comparire di Gesù, poi, — giusta il
racconto di Luca — sulla frontiera tra la Galilea e la Samaria, tanto
tempo dopo la sua partenza (9, 51 — 17, 11), significa solo che qui non
abbiamo dinanzi una narrazione la quale proceda regolarmente. — Ma,
seguono ancora quegli armonisti, in Matteo stesso appare la conoscenza di
questi avvenimenti intermediarii e la indicazione di essi, solo che più
davvicino si guardi; il suo membro di frase: Egli partì di Galilea,
fieznptì amo ife Valila*; allude al viaggio di Gesù per recarsi alla
festa della Dedicazione , e forma un tutto isolato; l' altro membro
di frase: Andò verso i confini della Giudea lungo il Giordano,
■mal %kde»-tU t« 'bpia, ti?; 'lovdaias trépav toó 'Ioop(?àvou, significa ch'egli
lasciò Gerusalemme per andare nella Perea (Joh., 10, 40) ed apre
per conseguenza un nuovo paragrafo. Del resto, ei confessa con can
dore che, senza i dati di Giovanni, non si sarebbe neppur vper ombra
pensato a disgiungere in tal modo le parole di Matteo '). Di fronte
a simili arguzie, colui che suppone la esattezza del racconto di Gio
vanni, non ha altra via a prendere se non quella battuta dalla critica
più recente: di sagrificare cioè, quanto a Matteo, il quale non tratta
che assai brevemente del viaggio, il carattere che gli è attribuito di
testimonio oculare; e quanto a Luca, che si diffonde nei particolari
del viaggio , di ammettere che egli , ovvero uno dei collettori cui
attinse, abbia riuniti due racconti diversi riguardanti V uno la visita
precedente di Gesù alla festa della Dedicazione, l'altro il suo ultimo
viaggio alla festa di Pasqua: e riunitili senza pur sospettare che tra
la partenza di Gesù dalla Galilea e il suo ingresso in Gerusalemme
prima della Pasqua, eravi stato un soggiorno antecedente in Gerusa
lemme insieme con altri viaggi e con altri avvenimenti *).
Da questo punto , nel corso del racconto dell' ultimo viaggio di
Gesù, il rapporto fra gli Evangeli sinottici e il Vangelo di Giovanni
prende un andamento particolare. Come, infatti, sulle prime appariva
dal lato dei sinottici una grande lacuna, omettendo essi una quan
tità di avventure e soggiorni intermediarii; così , verso il finir
del racconto , una lacuna , quantunque piccola , sembra trovarsi
dal lato di Giovanni: egli non riferisce che Gesù sia passato per
§. 109
«) Hase, L. J. § 124.
CAPITOLO DECIMO. 271
seguito il banchetto. Infatti, secondo Giovanni, Gesù giunge a Betania
sei giorni prima di Pasqna e la domane entra in Gerusalemme (12, 1. 12);
secondo i sinottici, invece (Matt. 26, 6 seg. e pass, parali.) il ban
chetto di Betania può essere stato dato, tutt'al più due giorni prima
di Pasqua (v. 2); dimodoché, per sostenere che l'ingresso dei sinot
tici ha avuto luogo prima dell'ingresso e del banchetto riferiti da
Giovanni, bisognerebbe ammettere, dopo tutto questo, un altro ban
chetto a Betania secondo i sinottici. Ma i due banchetti che si do
vrebbero supporre, non meno dei due ingressi, si somiglierebbero perfino
nei più minuti particolari, e il concatenarsi di due doppie avventure
simili è sospetto per modo, da potersi difficilmente far ricorso alla
ipotesi di due ingressi e di due banchetti assai più dissimiglianti in
origine e assimilati dalla tradizione col trasportarne le particolarità
dall' un racconto nell'altro. Dal momento che si sagrifica la autenti
cità dei racconti, si dovrà qui, più che altrove giammai, concepire
essere più facile che la tradizione abbia variato nel racconto di un
solo e medesimo avvenimento di quel ch'ella abbia in sé assimilati
due avvenimenti diversi ')•
§ no.
•) Schulz, Uber das Abeudmahl, pag. 310, seg.; Sieoert, Uber den
Ursprung, pag. 107, seg.
CAPITOLO DECIMO. 275
colla quale avrebbe sturbato il cammino tranquillo del corteo '). Ma
se noi non riusciamo, di tal guisa, a comprendere come Gesù avesse
potuto aversi ad onore lo entrare in Gerusalemme su di un asino
non per anco montato, ben troviam concepibile che d'assai per tempo
la comunità cristiana credesse, ad onore di Gesù, di dover farlo sa
lire sopra un simile animale, in quella guisa che più tardi essa narra
com'ei fu deposto in una tomba non mai fino allora occupata. I re
dattori degli Evangeli intermediarii non esitarono a registrare questa
circostanza fra quelle che essi giudicavano degne di nota, perciocché
senza dubbio nello scrivere , l' animale non montato non dava loro
quel fastidio che avrebbe dato a Gesù.
Se i sinottici hanno ciascuno la loro parte nelle difficoltà esa
minate finora, evvene un'altra a tutti comune: ed è lo avere Gesù,
con tanta sicurezza, spedito due apostoli in cerca d'un asino, ch'essi
dovevano trovare nel più vicino villaggio, nella tale e tale situazione: e
lo avere il risultato corrisposto cosi pienamente alla predizione sua.
Qui sembrerebbe più naturale partito il supporre una convenzione
anteriore, in seguito alla quale sarbbesi tenuta in pronto una caval
catura per Gesù, in ora e luogo convenuto*). Ma in qual modo
avrebb'egli fatta una simile convenzione a Belfage, se giungeva da
Gerico? In conseguenza Paulus crede, anche questa volta, aver tro
vato alcunché di più verosimile: che cioè nei villaggi posti sulla strada
maestra che conduceva a Gerusalemme si tenevano in pronto, verso
il tempo delle feste, molte bestie da soma per noleggiarle ai pelle
grini. Ma vuoisi osservare in contrario che Gesù qui non parla del
primo animale venuto, bensì di un animale determinato. Si ha quindi
ragione di maravigliarsi quando si legge in Olshausen essere cosa
') Paulus anch' egli sentì l'insufficienza ditale motivo per ispiegare
la misura presa da Gesù; giacché solo la disperazione di non aver tro
vato un motivo più reale e più specifico, può spiegare il perchè Paulus,
in questa occasione sola, divenga mistico e si accosti a Giustino mar-
tiro, da lui combattuto sempre come autore delle false interpretazioni
bibliche date dalla Chiesa. Giustino dice che l'asina, detta bestia da
soma, òsTolùy.ov, designava i Giudei; e l'asinelio non ancor montato, i
Gentili (Bial. e. Tryph. 53); a sua imitazione, Paulus cerca dimostrare
come Gesù , entrando in Gerusalemme su di un animale non ancora
montato, volle annunciarsi fondatore e capo di una nuova società reli
giosa. Exeg. haudb. 3, pag. 116, seg.
*) Natùrliche Geschichle , 3, pag. 5GG, seg. Neander, L. J. Chr.,
pag. 550, Amrnerk.
276 T1TA DI GESÙ
probabile appena che sia stata intenzione degli Evangelisti il presen
tare ogni cosa preparato dalla volontà di Dio, secondo che richiede-
vasi per l'ingresso del Messia; e non è minor meraviglia che questo
commentatore per ispiegare la compiacenza dei proprietarj dell'animale
trovi necessario il supporre dei vincoli d'amicizia tra essi e Gesù:
giacché precisamente questo tratto è destinato a rappresentare la
potenza magica risiedente, solo che Gesù lo volesse, nel nome del
Signore, ftp*: bastava pronunciarlo perchè il proprietario dell'asino
ponesse senza esitanza l'asino a sua disposizione, come più tordi il
proprietario della sala, la sala stessa (Matt. 26, 18 parali.). A queste
disposizioni provvidenziali in favor del Messia, e alla potenza irresi
stibile del suo nome, aggiungasi la scienza superiore, la quale addi
tava a Gesù come presente a' suoi occhi, quelle cose lontane ond'ei si
potesse valere pe' suoi bisogni.
' Tale essendo il senso, tale l'intenzione degli Evangelisti in questa
particolarità del racconto loro, ben potrebbesi concepire siffatta pre
visione di una circostanza fortuita quale effetto di una visto magne
tica a distanza ')• Ma da un lato noi conosciam troppo bene la ten
denza della primitiva leggenda cristiana a dar simili prove della na
tura superiore del suo Messia (si pensi alla vocazione delle due coppie
di fratelli; l'analogia è sopratutto esattissima nella storia testé citata
e che esamineremo più avanti, del modo con cui Gesù ordinò la sala
per la sua ultima cena coi dodici); d'altro lato si può dimostrare ad
evidenza il motivo dogmatico, desunto dai profeti, pel quale la facoltà
di Gesù di vedere a distanza addimostrasi punto nello aver notizia
di un asino legato: —per modo che noi non possiamo qui supporre
altra cosa' se non un prodotto di questa tendenza e di quel pramma-
tismo della prima società cristiana. Dinanzi al passo di Zaccaria citato
uei primo e nel quarto Vangelo, si dimentica ordinariamente di tener
calcolo di un altro passo dell'Antico Testamento ove si fa speciale
menzione dall'asino legato del Messia. Egli è il passo (1 Mos. 49, li)
in cui Giacobbe moribondo, volto a Giuda, cosi parla dello schilo
Egli lego, a1 la vigna il suo asinelio e alla vite il figlio della sua asina,
ùmpów sif.fc «fwrsXov xòv *Sbm *bn;o» xrd ti K&nu tòv aSKov <cfc 8vov
«ùto3 (LXX). Giustino Martire interpreto il passo di Mosè, al paro di
quello del profeta, come una predizione dell'ingresso di Gesù, e in
conseguenza sostiene formalmente che l'asinelio mandato a cercare da
') Apol. 1, 32. Le parole: legando alla vigna il suo asinelio, erano
un simbolo di ciò che doveva accadere a Gesù e di ciò eh' egli doveva
operare ;, poiché vi era, in certa parte di un villaggio, un asinelio legato
ad una vigna, che egli ordinò gli si conducesse, ecc. Tè ài, cvjiuùov
Trpòs àiistikov tòv t.uì.tj aòroy... aiitu|3o?<9V ùrfixntx'sv ijv tóv ysvijaoaivwu zó
yjpiotu xa.ì t<uv òsi' ainoi) TCpayjhootiivo)/ nóXo; yós xi; óvou eiarijxtt tv ttvi
ilobito nop.ii; npbc à.uatkov àe&euivo:, 4v èxtkeùaiv àyaytni amò yak.
*) Vedi SchOttgen, hor», 2, pag. 146.
*) Midrasch Rabba, f. 98.
*) In ragione di tale silenzio del quarto Vangelo, Neander (1. e.) è,
278 VITA DI GESÙ
Segue immediatamente dopo l'omaggio che Gesù riceve dal
popolo. Narrano tutti i racconti, tranne quello di Luca, essersi tagliati
rami di alberi ; secondo i due sinottici, furono questi sparsi lungo il cam
mino; secondo Giovanni (che li dice rami di palma) furono portati
incontro a Gesù. La moltitudine inoltre levava un' acclamazione feste
vole', che , tolte alcune insignificanti modificazioni , è riferita da tutti
in questi termini: Benedetto colui che viene nel nome del Signore,
tukoyilihoì o ep^ójuvo; iv bvópaxi Kupfov. Tutti, tranne Luca, riferiscono *il
grido Osanna, àaaawóc, — tutti, infine, il saluto al re o figlio di Da
vide. Veramente le parole del salmo 117, 26: Benedetto colui che
viene in nome del Signore, sono una formola ordinaria di saluto per
quelli che visitavano la festa, nella stessa guisa che la parola Osanna
appartenente al versetto precedente del medesimo salmo era una
acclamazione ordinaria nella festa dei Tabernacoli ed a Pasqua ')•
Ma l'addizione delle parole : Al figlio di Davide ?ó x>\6 ba»ìù e il re
d'Ismaele, b Gaoihùo tov 'Ispaift, , dimostra che qui quelle formole si
applicavano specialmente a Gesù nella qualità di Messia, che si in
tendeva salutarlo in questo senso eminente e far voti pel successa
della sua impresa. Quanto alle persone che rendono omaggio , Luca
rimansi nei limiti più stretti ; infatti , egli riunisce lo stendere delle
vesti lungo la via (v. 36) a ciò che precede, di modo che sembre
rebbe attribuirlo agli apostoli, del pari che l'atto di stendere le vesti
sull'asino ; così pure , egli pone le lodi a Dio solo in bocca di tutta
la folla dei discepoli ólstav tb wlipos t«w px3irr<5v; mentre invece Matteo
e Marco riferiscono che quelle acclamazioni partivano dalle masse di
popolo accompagnanti Gesù. Ciò tuttavia si concilia facilmente: poi
ché Luca quando parla della folla dei discepoli, esprime il circolo più
esteso dei partigiani di Gesù, e, dal suo lato, Matteo, quando parla
delle masse popolari vlitcnoi ly}^, intende il complesso di coloro che,
tra la moltitudine , gli erano favorevoli. Ma , laddove i sinottici non
parlano che della folla la quale recavasi alla festa e viaggiava con
Gesù, Giovanni attribuisce, come si disse più sopra, tutta la solennità
a coloro che da Gerusalemme uscirono incontro a Gesù (v. 13); e
intanto la gente che con Gesù arriva narra a quelli che gli vengono
') Nel modo con cui Matteo cita la profezia evvi 1' accoppiamento
di un passo di Isaia con quello di Zaccaria : Dite alla figlia di Stanne,
distativi Svy.a.tpix Ziòv è d'Isaia, 65, 11; il rimanente è di Zaccaria, 9, 9,
dove la traduzione dei settanta ha , in modo alquanto diverso : Ife,
ofìa.ai)£ÌK aov spettai aot tfixoitos x«i awiwv aùrìos apaùixa: ip.8ì{}qxàz izì ìtn~
&>ytov xaì uraì.ov véov.
*) Leitzig, sul tempo della redazione delle profezie di Zaccaria,
nei: Theol, Studien, 1830, 1, pag. 36 segn. riferisce i versetti precedenti
alle gesta guerriere di questo principe ; in conseguenza riferisce il ver
setto in questione alle sue virtù pacifiche.
3) Paulus, Exeg. haudb., 3, a pag. 121 seg.
*) Rosenmiiller, Schol.in 8. T. 7, 4, pag 274, 529.
. .. *) Nel passo cardinale di Midrasch Koheleth citato al tomo 1, | H»
il passo di Zaccaria: Pauper et insidens asino, viene a prima giunta
riferito al Goél postretnus. Quest' asino dei Messia fu tosto riguardato
come identico a quello di Abramo e di Mosè. Vedi Jalkut Rubeni, f. 79,
3, 4, in Schòttgen, 1, pag. 169. Confr. Eisenmenger, Eutdecktes Jvden-
thum, 2, pag. 697 seg. • .
") Sanhedrin , f. 98, 1 (in Wetstein): Dixit R. Alexander : R. Josua
f. Levi dnobus inttr se collatis locis tanquam contrariis visis objecit:
Scribitur Dan., 7, 13: Et ecce cum nubibus cali veliti filius hominAs
tenti. Et scribitur Zach. 9,9: Pauper et insidens asino. Yerurn hoc
duo loca ita inter se conciliari possunt ; nemne, si justitia [sua mereanr-
tur Israelita:, Messias veniet cum nubibus cali; si autetn non mereantur
veniet pauper et vehetur asino. • ■• • . , ■
CAPITOLO DECIMO. 281
pure al tempo di Gesù questa distinzione non si fosse peranco svolta
e non si fosse fatto in generale che riferire al Messia il passo di Zac
caria (9, 9), ben potè Gesù imaginare che quella profezia dovesse
compiersi di presente nella sua prima venuta in terra, e che all'epoca
della sua seconda venuta fosse riservato il compimento della profezia
di Daniele. Ma vi sarebbe ancora una terza possibilità : e cioè , che
l'essere Gesù salito per caso su di un asino al momento del suo in
gresso, venisse posteriormente dai Cristiani interpretato a quel modo:
oppure, che tutta la solennità dell' ingresso venisse liberamente ima-
ginata e composta dietro quelle due profezie, e la supposizione dogma
tica d'una scienza superiore in Gesù, perchè a questi non mancasse
nessuno degli attributi del Messia.
CAPITOLO PRIMO.
§ IH.
Secondo gli Evangeli, Gesù predisse a' suoi discepoli più d' una
volta e assai prima dell'avvenimento ') , che a lui sovrastavano pati
menti e violenta morte. Anzi, se crediamo ai racconti dei sinottici,
ei non si contentò di predizioni generali , ma determinò anticipata
mente il luogo della sua passione — Gerusalemme; l' epoca — il
tempo del suo viaggio alla festa di Pasqua ; le persone da cui doveva
patire, — i gran sacerdoti , gli scribi , i gentili (*px'eP£''^ ypapproè,
gru?.) ; la forma essenziale della sua passione — la crocifissione io.
seguito ad un giudizio. Aggiunse persino circostanze accessorie , e
predisse che lo avrebbero percosso collo staffile , maledetto e sputa
togli in volto (Matt. 16, 21; 17, 12; 22 seg.; 20, 17 seg.; 26, 12 e
passi parali.; Lue. 13, 33). Fra i sinottici ed il redattore del quarto
Vangelo si trova una triplice differenza. Anzitutto , e principalmente
le predizioni di Gesù, non hanno in quest'ultimo né quella chiarezza,
nò quella precisione, ma sono per lo più presentate in un linguaggio
') Gesenius, Iesaias, 3, pag. 137 seg. Hitzig, Comm. z. Jes., pag. 550.
") Gesenius, 1. e, pag. 158 seg. Hitzig, pag. 577 seg. Vatke, Bibl
Theol. i, pag. 528 seg.
!) De Wette, Comm. zu den Psalmen, pag. 514 seg. 3te Aufl.
*) Lo stesso, ibid. pag. 224 seg.
*) Paulus. Exeg. kaudb., 3, 6, pag. 6G7 seg., e De Wette, su questo
verso.
") Questo punto di vista fu sviluppato in Fritzche. Comm, in ilare,
pag. 381 seg.
CAPITOLO PRIMO. 287
agli sforzi del partito sacerdotale dominante , era cosa facile a pre
vedersi, poiché da un lato questo partito era assai inasprito contro
Gesù, e d'altro lato esso possedeva la potenza necessaria; che Geru
salemme fosse per essere il teatro della sua condanna e della sua
esecuzione egualmente, perchè ivi era il centro della potenza di quel
partito; che condannato dai capi del suo popolo, ei dovesse venir conse
gnato ai Romani per la esecuzione della condanna, era cosa che
risultava dagli angusti limiti lasciati alla giurisdizione giudaica; che
gli fosse destinato il supplizio della croce, era a congetturarsi dal
l'essere quella pena in uso fra i Romani, sopratutto contro i ribelli;
che infine né lo staffile né gli insulti fossero per mancargli, potevasi
facilmente prevedere stante le abitudini romane e la durezza che in
allora presiedeva alla giustizia. Ma , riguardando più da vicino , noi
domanderemo come mai Gesù potè sapere con tanta certezza che Erode,
il quale aveva fissato su di lui una pericolosa attenzione (Lue. 13, 31),
non avrebbe prevenuto il partito sacerdotale e aggiunto all'uccisione
di Giovan Battista quella del suo successore , personaggio più consi
derevole ancora. E quand'anco egli avesse creduto di potersi star
sicuro, ch'e'non avea pericoli a temere se non da parte del sacerdozio
(Lue. 13, 33), chi lo assicurava che l'uno o l'altro de' tentativi tumul
tuosi di uccisione diretti contro di lui (Gonfr. Giov. 8,39; 10, 31)
non sarebbe alia fine riuscito e eh' ei non fosse per incontrare —
come più tardi Stefano — senza alcuna formalità e senza previa
estradizione ai Romani, la morte in tutt'altra guisa che per il sup
plizio romano della croce ? Infine , come poteva egli sostenere con
piena sicurezza che dopo tanti tentativi falliti , quest'ultimo tentativo
appunto fosse per riuscire a' suoi nemici, e che il viaggio eh' egli
stava per intraprendere avesse ad essere l'ultimo? — Non pertanto la
spiegazione naturale può a sua volta invocare qui in suo appoggio i
passi dell'Antico Testamento e dire che Gesù, guidato da un modo
d'interpretazione in uso allora fra' suoi compatrioti, sia da viste parti
colari aveva scoperto ne' passi della Scrittura sopracitati indicazioni
più precise sul corso degli avvenimenti che lo aveano condotto in
qualità di Messia, a violenta e prossima fine <)• Ma, anzitutto, saria
già forse difficile il provare che, vivente ancora Gesù, tutti quei
diversi passi venissero riferiti al Messia, e non meno difficile il conce
pire come Gesù fosse giunto da sé medesimo, innanzi l'avvenimento a
') V. Friteche, 1. e.
288 T1TA DI CES* •
cogliere quel rapporto; secondariamente sarebbe cosa miracolosa affatto
che l'avvenimento avesse realmente corrisposto ad una cosi falsa inter
pretazione. Oltre questo le profezie ed i tipi dell'Antico Testamento non
bastano neppure a spiegare tante particolarità della previsione di Gesù,
ed in ispecie la determinazione precisa di quell'epoca.
Se dunque Gesù non ha potuto avere né sopranaturalmente né
naturalmente una cosi esatta prescienza del modo di sua passione e
di sua morte, tant'è il dire ch'ei non l'ha avuta in verun modo, e che
quanto gli Evangelisti gli pongono in bocca è a considerarsi come
una predizione dopo l'avvenimento ')• E qui non si mancò di porre in
rilievo il racconto di Giovanni a confronto di quello dei sinottici, e
di osservare che appunto quelle particolarità speciali della tradizione
cui Gesù non può avere realmente espresso a quel modo, si trovano
soltanto nei sinottici — laddove Giovanni non attribuisce a Gesù che
allusioni indecise, e distingue da queste la spiegazione che egli Gio
vanni ne diede dopo l'avvenimento ; il che , aggiugnesi , visibilmente
dimostra , essere il quarto Vangelo ri solo che ci abbia conservato i
discorsi di Gesù senza alterazione e nella lor forma primitiva -). Ma
un più attento esame ci addita che non la è cosi ; non è giusto im
putare al redattore del quarto Evangelo la colpa soltanto di avere
interpretate in modo erroneo le parole di Gesù , conservate del resto
senza alterazione ; perocché , in un passo per lo meno , egli abbia
posto in bocca di Gesù parole oscure, gli è vero, ma che pure prean
nunciano, in modo impossibile a disconoscersi, il supplizio della cro
cifissione , e in conseguenza modificate a seconda dell'avvenimento le
espressioni testuali di Gesù. Parliamo della parola innalzare: quando
nel Vangelo di Giovanni, Gesù dice in senso passivo che il figlio
dell' uomo sarà innalzato , bfaàwat , può darsi senza dubbio eh' egli
con ciò intendesse alludere alla sua elevazione alla gloria, sebben que
sto appaja già difficile nel vers. 14 del cap. 13, stante il confronto col
serpente di bronzo che, com'è noto, venne innalzato in cima ad un
legno. Ma non è più così, quand' ei si vale di questo verbo in senso
attivo per raffigurare (8, 28) la elevazione del figlio dell' uomo sic
come opera de' nemici suoi (quando innalzerete il figlio dell'uomo,
') Paulus, Exeg. Eaudb., 2, pag. 415 seg.; Ammon, Bibl. Theol., 2,
pag. 377 seg.; Kaiser, Bibl. Theol., l.pag. 423. Fritzche, 1. e., e Weisse,
1, pag. 423, ne convengono in parte.
*) Bertholdt, Einleitung in das N. Test., pag. 1305 seg.; Wegscheider,
Einleitung in das Evang. Johannis, pag. 271 seg.
CAPITOLO PRIMO: 289
'órav byóam tiv vwv toj àv3p(4j»ov) ; questi non potevano già portarlo
direttamente alla glorificazione, ma bensì soltanto innalzarlo sulla
croce; e se questa nostra conclusione è valevole, bisogna che Gio
vanni abbia immaginato egli stesso questa espressione e tradotte a
rovescio le parole aramce di Gesù ; in sostanza adunque esso ricade
in un co'sinotici in una sola e medesima categoria. Senza dubbio
egli si vale in gran parte d'un linguaggio oscuro per esprimere le idee
precise ch'egli avea su questo oggetto, ma ciò deriva dalla maniera
di questo Evangelista, la cui tendenza per gli enimmi e i misteri s'ac
cordava a pennello col bisogno di presentare in modo inintelligibile
profezie che non erano state comprese.
La primitiva leggenda cristiana aveva motivi sufficienti per attri
buire di tal guisa a Gesù dopo lo avvenimento una predizione della par.
ticolarità della sua passione, e sopratutto del supplizio ignominioso della
croce. Più il Cristo crocifisso era per i Giudei uno scandalo, per i Greci
una follia ('hvàaioti fwv oxxvàalov "EU-ifli St pupia, 1 Cor., 1, 23), e
più urgeva toglier di mezzo ad ogni costo questa pietra d'inciampo; e
in quella guisa che fra gli avvenimenti posteriori, la risurrezione —
siccome riparazione successiva di quella morte — serviva a dissiparne
l'obbrobrio agli occhi dei gentili, cosi era desiderevole si ammorzasse
anco per anticipazione, quanto aveva di pungente quella catastrofe
strana. Nulla meglio serviva a questo scopo di una predizione così
particolareggiata. Perciocché, se la circostanza più insignificante, pro
feticamente predelta , acquista importanza trovando posto cosi nel
complesso di una scienza suprema, — la ignominia più profonda cessa
d' essere vergognosa dal ' momento eh' essa è preannunciata siccome
una fase del piano divino di salvazione; e se colui per lo appunto
che vi è fatalmente condannato possiede la virtù profetica di prevederla
e preannunciarla, egli dimostra, in quanto non solo soffre, ma è la
stessa scienza divina del suo soffrire, di essere egli la potenza ideale
che a quel soffrire medesimo comanda. A questo riguardo , il quarto
Evangelista si è spinto ancora più oltre: perocché a lui sembrasse
richiesto dall' onore di Gesù il raffigurarlo eziandio come la potenza
reale superiore al suo soffrire , come colui a! quale non islrappava
V anima (yjyv) estranea violenza , ma il quale di suo pieno arbitrio
la offeriva in sacrificio (IO, 17 seg.) Al che Matteo presenta d'al
tronde un punto d'appoggio, laddove (26, 53) Gesù afferma la possi
bilità di chiedere al Padre legioni di angioli che lo proteggano con
tro la sovrastante passione.
Strauss. V. di G. Voi. II. 19
890 TITA DI GESÙ
§ 112.
Se per tal guisa noi eliminiamo, dalle espressioni che gli Evangelisti
attribuiscono a Gesù intorno alla sorte che lo attendeva, tutto ciò che ri
guarda i particolari di quella catastrofe, resta pur sempre aver Gesù pre
detto, in generale, i patimenti e la morte violenta che lo attendevano, e
ciò in virtù delle profezie dell'Antico Testamento dichiaranti che tale
sarebbe stato il destino del Messia. Ora, fatto sta che le profezie citate le
quali parlano di passione e di morte sono riferite soltanto per errore al
Messia, e che altri, quali Daniele (9, 26), Zaccaria (12, 10) non hanno
questo significato '). Gli ortodossi adunque dovranno di nuovo guardarsi
sopratutto dall'attribuire una così falsa interpretazione al principio sovra-
naturale residente in Gesù. Lo ammettere, — in vece di questo prin
cipio — che Gesù potesse per una combinazione puramente naturale,
prevedere il finale risultato, attesoché egli erasi attirato l'odio impla
cabile del sacerdozio giudaico, e, risoluto a non deviare dalla sua
vocazione, egli aveva tutto a temere dalla vendetta e dalla potenza
dei sacerdoti (Giov. 10, H); lo ammettere che, dalla sorte di antichi
profeti (Matt. 5, 12; 21,33 seg.; Lue. 13, 33 seg.) e da alcune pro
fezie interpretate in quel senso, egli potesse pronosticare a sé stesso
una egual fine e annunciare, in conseguenza, ai suoi che tosto o tardi
ei perirebbe di morte violenta; lo ammettere, io dico, tutto questo, è
una concessione che far dovrebbesi all'opinione dei razionalisti s) e
sarebbe tempo di non più abusare del punto di vista soprannaturale si
da negare codesta possibilità.
Dopo questa confessione potrà recar meravigliala nostra domanda:
') Daniel ùbersetzt unti erklàrt von Bertholdt2. pag. 541 seg. 060 se&
Rosenmuller, Schol. V. T. 7, 4, pag. 339 seg.
*) De Wette, De morte Christi expiatoria, ne' suol Opusc. theol.
pag. 130; Hase, Leb. Jesu, 106.
CAPITOLO PRIMO. 291
Se dietro il Nuovo Testamento sia verosimile che Gesù abbia real
mente fatto questo annuncio della sua morte? poiché una predizione
generale della morte violenta è il meno che sembrino racchiudere i
racconti evangelici. 11 senso di questa domanda si è di sapere se il
risultato, vale a dire la condotta degli Apostoli sia descritta negli Evan
geli in modo da conciliarsi con una comunicazione antecedente di Gesù
intorno alla morte che Io attendeva. Ora gli Evangelisti nolano espres
samente, per riguardo agli Apostoli, che questi non poterono cogliere il
senso dei discorsi di Gesù sulla morte che gli era riservata, vale a dire
non seppero nò farsene una idea, né conciliarli colle opinioni preconcette
ch'essi avevano intorno al Messia. Quindi è che Pietro, al primo annuncio
della morte, sclamò: Signore, a Dio non piaccia; questo non ti accadrà,
T/.16; aotx Kvp'r oò un tmai odi t:5to (Matt., 16, 22). Più ancora : quando
Luca — svolgendo il passo di Marco: Essi non comprendevano il discorso,
oi àì ty£suv ri p!i[ia, 9, 31. — dice: E questo era loro nascosto per
chè essi noi comprendessero, xaì i'v ctopaxexa)A>up.ivoy/ à~' ctfmav xhx txn
aurzabowit «òrs (9, 45), — 0 quando dice altrove: Ed essi non com
presero nulla di queste cose, e questo ragionamento era loro nascosto
e non intendevano quel che veniva lor detto, xnì abmì oj<?ev to/ow uovjxav,
xolì t.-j Ts p'.u.i Tauro xsxpujjifxH'ov àit' ahnóm, xaù oàx Éyivcoxov t« l^ybprja (18, 34),
— il senso di questi passi accenna che gli apostoli non avevano
punto compreso di che si trattasse. Ond' è che la condanna e la
esecuzione di Gesù li colgono interamente alla sprovvista ed annul
lano tutte le speranze eh' essi avevano in lui quale Messia riposte
(Luca 24, 20 seg.: Essi lo crocifissero, e noi, noi speravamo ch'egli fosse
colui che doveva liberare Israele, iaxaùpocav aìnsv >wsf; Ji v^n'io^uv ,
'in ai-ri; iattv b (uMLav IjnpoCoSat tov 'ìapaijX). Ma SC Gesù avesse
parlato della propria morte ai discepoli cosi apertamente w/.ppna':»
(Marco 8, 22) essi avrebbero anche necessariamente dovuto compren
dere le parole chiare e il suo linguaggio esplicito; e s'egli inoltre
avesse loro dimostrato essere la di lui morte fondata sulle profezie
dell'Antico Testamento e in conseguenza fra gli attributi del Mes
sia (Luca 18, 31; 22, 37) essi non avrebbero potuto — avvenuta
che fu realmente la sua morte, — perdere cosi completamente la
loro fede nel carattere messiaco di lui. A torto, gli è vero, l'autore dei
Frammenti di Volfenbiittel pretese trovare nella condotta di Gesù, quale
gli Evangelisti ce la descrivono, indizj che per lui pure la morte giunse
impreveduta; ma considerando solo la condotta degli Apostoli, sarà
difficile sfuggire alla conclusione che lo stesso autore ne trae — non
292 VITI DI GESÙ
potere Gesù aver fatta loro alcuna comunicazione sulla morte che
lo attendeva, sembrar anzi che gli apostoli abbiano sino all'ultimo
istante condivisa, a tale riguardo, l'opinione comune e che, còlti alla
sprovvista dalla morte di Gesù, abbiano solo in seguito a tale av
venimento aggiunti gli attribuii della passione e della morte al loro
concetto sul Messia ') Comunque sia la cosa, è forza porre questo
dilemma: o il dire degli Evangelisti che narrano non avere gli apo
stoli comprese le parole di Gesù ed essere stati sorpresi della sua
morte, è una esagerazione non istorica, o le dichiarazioni di Gesù
sulla morte che lo attendeva furono fatte dopo lo avvenimento : e in
quest'ultimo caso è a dubitarsi eziandio ch'egli abbia, anche solo in
generale, predetta la propria morte come un attributo del proprio destino
messiaco. D'ambo i lati la leggenda poteva essere determinata ad una
esposizione non istorica. Di vero, essa potè supporre che Gesù avesse
predetto la propria morte, in generale, per le stesse ragioni che la
indussero ad attribuirgli anco la predizione de' particolari della sua
passione e morte; e d'altro lato a suggerirle la definizione d'un difetto
cosi assoluto d'intelligenza negli apostoli bastava sia il desiderio di
far con ciò spiccare la profondità del mistero, rivelato da Gesù, in
torno al Messia paziente — sia la simiglianza che stabilivasi nella
predicazione evangelica fra gli apostoli prima della effusione dello
spirito ed i Giudei e Gentili da convertirsi, i quali tutto comprende
vano a preferenza della morte del Messia.
Per condurre questo dilemma ad una soluzione noi dobbiamo
anzitutto esaminare se le idee che a que' tempi si avevano intorno
al Messia racchiudessero o no, prima della morte di Gesù e indipen
dentemente da essa, gli attributi della passione e della morte. Se,
vivente ancora Gesù, i Giudei si raffiguravano il Messia come destinato
a perire di morte violenta, evvi tutta probabilità per credere che Gesù
anch'egli si fosse penetrato di tale convinzione e l'avesse comunicata
ai suoi apostoli, i qunli allora avrebbero tanto meno potuto restar
sordi alle sue predizioni e lasciarsi completamente abbattere al com
piersi di quelle. Se, per contrario, questa idea non era divulgata prima
della morte di Gesù fra i suoi compatriota, resta, egli è vero, pos
sibile sempre ch'oi vi giungesse pur mezzo delle proprie riflessioni, ma
è del pari possibile elio gli apostoli non accogliessero, se non dopo
lo avvenimento, l'attributo della passione e della morte nella cerchia
delle loro idee sul Messia.
') Vom Zweck Jesu mul seiner Jùnger, pag. 114 seg., 153 seg.
CAPITOLO PRIMO. 293
La questione — se l'idea di un Messia paziente e morente fosse
<ìivulgata sino dal tempo di Gesù fra i Giudei è del novero delle più
difficili e di quelle su cui i teologi sono men che meno vicini ad
intendersi. La difficoltà della questione non istà in uno spirito di par
tito teologico, che, ove esistesse su questo punto, lascerebbe sperare
una soluzione, la mercè di ricerche imparziali. Lungi da ciò, le due
opinioni ortodossa e razionalista come giustamente fu dimostrato da
Staudlin ') possono argomentare ciascuna nel proprio interesse: e però
d'ambo i lati noi troviamo teologi dei due partiti *). Ciò che forma
la difficoltà è la mancanza di notizie e la incertezza di quelle che
esistono. Se l'Antico Testamento racchiudesse la dotirina di un Mes
sia paziente e morente, si potrebbe più che verosimilmente supporre
eh' essa si trovasse anco fra i giudei dell' epoca di Gesù. Ma le più
recenti ricerche dimostrarono che se l'Antico Testamento contiene la
dottrina d'una espiazione del popolo destinata a compiersi al tempo
messiaco (Ezech., 36 23; 37, 23; Znch. 13, d; D,in. 9, 24) non con
tiene però nulla che indichi doversi quella espiazione operare per i
patimenti e per la morte del Messia s).
Non è dunque da questo lato che vuoisi cercare lo scioglimento
della questione. Gli apocrifi dell'Antico Testamento sono più vicini
al tempo di Gesù; ma conservando essi il silenzio intorno al Messia
in generale, non ponno fare alcuna menzione dello attributo partico
lare di cui qui si tratta 4). Dei due scrittori che toccano più dappresso
quell'epoca, Filone e Giuseppe, l'ultimo tace sulle speranze messiache
della sua nazione s) e il primo parla, gli è vero, del tempo messiaco
e di un eroe simile al Messia, ma non già di una passione di questo
eroe c). Non rimane quindi altra fonte che il Nuovo Testamento e gli
scritti ebraici posteriori.
i) Vber der und die Wirkungen des Todes Jesu, nella Gòttingischen
Bibliotheh 1, 4, pag. 252 seg.
*) Se ne vegga l'elenco in De Wette, 1. c. pag. 6 seg. Le voci più
importanti in appoggio della coesistenza dell'idea in questione, vivente
ancora Gesù, furono riportate da Staudlin, Memoria citata. Gòttig. Bibl. 1,
pag. 233 seg. e da Hengstcnberg Christologie des A. T. 1, a, pag. 270
seg. 1, pag. 290 seg. Vedasi per l'opinione contraria, De Wette, Memoria
citata, Opusc. pag. 1, seg.
s) Confr. De Wette, Bibl. Dogm. § 201 seg. Baumgarten-Crusius Bibl .
Theol. § 54.
») Vedasi De Wette, 1. c. § 189 seg.
») Confr. De Wette, § 193.
*) Ofrorer, Philo, 1, pag. 495 seg.
294 VITA DI GESÙ
Nel Testamento Nuovo sembra generalmente che fra i Giudici coetanei
di Gesù nessuno pensasse ad un Messia destinato a patire e morire. Per
la maggioranza dei Giudei, la dottrina del Cristo crocifisso era uno
scandalo, o-*ct.>jJalm; gli apostoli non potevano credere alle sue predi
zioni reiterate e chiare della morte che lo attendeva; tutto ciò è ben
lungi dal suggerire che la dottrina d'un Messia paziente fosse in voga
fra gli Ebrei di quell'epoca; che anzi tali circostanze s'accordano a
pennello coll'asserzione attribuita dal quarto Evangelista alla molti
tudine giudaica, oyl^ (12, 34): sapersi cioè della legge vép»; ') che il
Cristo dee vivere eternamente, '<m b Xptai':g pivi: tk tlv alava. Ma i
teologi di cui io parlo non sostengono neppur essi che la idea del
Messia paziente fosse generalmente prevalsa fra i Giudici d'allora; bensì,
ammettendo che la speranza di un Messia temporale e regnante senza
fine fosse nella opinion dominante, si limitano a sostenere (e in ciò
conviene con essi lo stesso autore dei Frammenti di WolfenbiUtel s))
che un partito meno numeroso, — secondo Stàudlin, gli Essenj —
secoudo Kengstenberg la parte migliore e più illuminata del popolo,
avesse accolto la dottrina di un Messia, il quale sarebbe apparso dap
prima sotto umili apparenze e non sarebbe giunto alla gloria che per
la via dei patimenti e della morte. In appoggio di che si invocano so
pratutto due passi, l'uno del terzo, l'altro del quarto Evangelo. Quando
Gesù ancora fanciullo è presentato al Tempio di Gerusalemme il vec
chio Simeone, fra l'altre predizioni, dice a Maria, riguardo alla resi
stenza, in ispecie, che suo figlio incontrerà: E tu pure, tu avrai
Vanima trapassata da una spada, mi croi eh aìm,; vw tyyfa Azionai
fnpqalu (Luca 2, 35): parole queste le quali sembran descrivere il
suo dolore materno per la morte del figlio e rappresentano in conse
guenza l'opinione di una morte violenta riserbata al Messia come
un' opinione esistente già prima del Cristo. L' idea di un Messia pa
ziente è ancor più chiaramente espressa nelle parole che il quarto
Vangelo pone in bocca a Giovan Battista alla vista di Gesù, esser egli
cioè l'agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, b àpns toj dtol,
b eupu» tb àft-xpTiav toj xia/xjv (1, 29): dichiarazione che riferendosi
a Isaia (53), sembrerebbe egualmente indicare nella bocca del Battista,
§ H3.
') Così opina, fra gli altri, Herder, vomErlóser der Meuschen, pag. 133
seg. Conf. Kuinòl, Comm. in Matth., 444 seg.
*) LXX. Egli ci guarirà indi a due giorni: al terzo giorno noi risu
sciteremo se vivremo davanti a lui.
CAPITOLO PRIMO. 303
dunque Gesù ha adoperato realmente e nello stesso tenore le espres
sioni che gli Evangelisti gli attribuiscono, non fu sua intenzione Io
annunziare semplicemente in senso figurato il prossimo trionfo della
sua causa, ma bensi il predire il suo ritorno in vita tre giorni dopo
la sua morte violenta ').
Tuttavia, siccome la condotta de'suoi discepoli dopo la morte di
lui non ci permette di credere eh' egli avesse annunciata la propria
risurrezione in termini chiari, cosi da altri interpreti si suppose che
gli Evangelisti abbiano dato dopo lo avvenimento al linguaggio di
Gesù una precisione che in bocca di lui non aveva ancora; e che
non solo essi abbiano inteso in senso proprio ciò che Gesù aveva
detto figuratamente intorno al progresso della sua causa dopo la sua
morte, ma che eziandio, conformemente a tale idea, essi abbiano modi
ficato le sue espressioni al punto che oggi, quali noi le leggiamo, non
le si possono intendere che in senso proprio '). Ma , aggiungono
questi interpreti, non tutti i discorsi di Gesù su questo oggetto furono
trasformati in tal guisa, e qua e là rimasero conservate le sue espres
sioni originali.
§ 114.
') Confr. Susktnd, Alcune note sulla questione se Gesù abbia pre
detto la sua risurrezione in modo preciso, in Flatt's Magazin, 7, pag.
203 seg.
') Paulus, 1. e. 2, pag. 415; Hase, Lib. /., § 109.
304 VITA DI GESÙ
che, legittimando la sua missione di inviato di Dio, giusti6casse una
misura cosi violenta, — egli rispose : Rovesciate questo tempio, ed in
tre giorni io lo riedificherò. Siccome il colloquio si teneva nel tem
pio, i Giudei presero quelle parole nel significato immediato, e obiet
tarono a Gesù che ben diffìcilmente ei sarebbe capace di ricostruire
in tre giorni quel tempio , alla cui edificazione erano abbisognati 46
anni. Ma 1' Evangelista ci informa che tale non era l' intenzione di
Gesù ; eh' egli aveva inteso parlare, come d' altronde apparve chiaro
agli Apostoli dopo la risurrezione di lui, del tempio del suo corpo,
vale a dire che colla demolizione c ricostruzione del tempio egli
aveva alluso alla sua morte ed alla sua risurrezione. Quand' anco si
ammetta (secondo che narrasi anche in Matt. 12, 39 seg. , ma che
pur si nega da interpreti moderati) che ai Giudei richiedenti un
segno attuale Gesù avesse potuto indicare la sua risurrezione avve
nire quale il miracolo di tutta la sua storia più grande e più
acconcio a confondere i suoi nemici — bisognerebbe tuttavia che
questa indicazione fosse stata tale da essere compresa , come lo é
nel passo citato di Matteo, dove Gesù si esprime in maniera esplicita.
Ma la dichiarazione di che ora è parola non poteva per verun modo,
quando Gesù la fece, venir intesa in quel senso; perocché se uno,
trovandosi nel tempio, parla della distruzione di questo tempio stesso ,
non vi sarà chi non riferisca le sue parole allo edificio medesimo in
cui l'interlocutore si trova. Gesù quindi nel proferir le parole: Questo
tempio, ecc., avrebbe dovuto mostrare col dito il proprio corpo : e cosi
infatti per la maggior parte suppongono i fautori di questa spiega
zione Ma , primieramente, 1' Evangelista nulla dice di un simile
gesto: eppure era nel suo interesse lo accennarlo in appoggio del
senso che attribuiva a quelle parole. In secondo luogo Gabler fece a
ragione osservare come privo affatto di gusto e di giudizio sarebbe
il cambiar completamente colla semplice addizione d'un gesto mimico
il significato d'un discorso di cui tutta la parte logica, vale a dire le
parole , rifrrivasi allo edifìcio del tempio. Ad ogni modo, se Gesù si
valse di questo accessorio , il suo gesto non poteva sfuggire alla
attenzione; i Giudei dovevano domandargli come mai egli fosse cosi
prosuntuoso da chiamare il suo corpo un tempio; o , supposto anche
§ 115.
') Vom Zyoeck. Jetu tind seiner j unger, pag. 184,201, seg., 207, seg
') Il primo, adv. Hceres, 5, 25; il lecondo, Comm. in Matth. su questo
318 VITA DI GESÙ
fine, cap. 25, alla venuta del Cristo per il giudizio, venuta non
peranco avveratasi. Ma tale spiegazione concede anzitutto che Gesù
abbia adoperato la distruzione di Gerusalemme come tipo di quell'ul
tima catastrofe; e con questo ella si annulla da sé: che cosa signifi
cherebbe infatti questa concessione, se non che il principio di quel
discorso fa credere vi si tenga parola della distruzione di Gerusa
lemme, ossia di un fatto compiuto oramai; laddove una riflessione e
combinazione ulteriore vi addita un rapporto con qualche cosa gia
cente ancora nel futuro?
Il razionalismo moderno il quale, ispirato ne'suoi primordii dalle
idee di naturalismo, aveva abbandonato come chimera la speranza
del ritorno del Cristo sotto una forma qualunque, e permettevasi
ogni sorla di violenze esegetiche per eliminar dalla Scrittura quanto
le dava ostacolo; il razionalismo, dico, gettossi dall'opposto lato e
avventurossi a riferire da un capo all'altro i discorsi di Gesù alla sola
distruzione di Gerusalemme e a quanto precedette e segui immedia
tamente quell'avvenimento •). Secondo tale interpretazione, la fine di
cui qui si tratta altro non è che la caduta della costituzione giudeo-
pagana nel mondo; la venuta di Cristo sulle nubi, una figura della
propagazione e del trionfo della sua dottrina; la convocazione dei
popoli per il giudizio e la distribuzione della felicità agli uni , della
dannazione agli altri; imagine dei beni che saranno retaggio di quanti
abbracceranno la dottrina e la causa di Gesù e dei mali che trarrà
seco la indifferenza o l'ostilità verso quella dottrina e quella causa.
Ma, per ispiegare a questo modo, è forza ammettere tra le figure e
le idee una distanza la quale, inaudita per sé, è inconcepibile in questo
caso particolare in cui Gesù, parlando ad uomini animati da senti
menti giudaici, doveva pur sapere che questi avrebbero inteso asso
lutamente in senso proprio quanto egli diceva della venuta del Messia
sulle nubi, del giudizio e della fine del periodo presente.
Non potendo adunque il discorso di Gesù, in tutta la sua lun
ghezza, venir riferito né alla distruzione dello stato giudaico né alle
scene della fine del mondo , bisognerebbe riferirlo ad alcunché di
jjv*
capitolo paino. 325
in tempi diversi siano state ravvicinate in questo discorso di Gesù,
come in altri che gli Evangelisti ci trasmisero; ma non siam punto
autorizzati a supporre che quanto si riferisce ai due avvenimenti (ro
vina di Gerusalemme e fine del mondo) cosi lontani l'uno dall'altro
nelle nostre idee non l'ormi un solo e medesimo contesto; e lo siam
tanto meno, in quanto gli altri scritti del Nuovo Testamento concor
demente ci additano come la prima società cristiana riguardasse im
minente la venuta del Cristo e la fine del periodo attuale (vedi 1
Cor., 10, li; 15, 51; PhiL, 4, 5 ; 1 Thess., 4, 15 seg., Jac, 5, 8; 1
Petr., 4, 7; 1 Joh., 2, 18; Apoc, 1 , 1, 3; 3, 1 1 ; 22, 7, 10, 12, 20).
Impossibile è dunque sottrarsi alla necessità di convenire che il
discorso di Gesù, a meno che se ne vogliano disgiungere ad arbitrio
le parti , tratta, sul principio, della distruzione di Gerusalemme , più
avanti e sino alla fine, della consumazione delle cose; e che queste
due catastrofi vi si trovano poste in connessione immediata. Più non
rimane adunque, per mantenere la verità della predizione, che una
spiegazione sola : lasciando, cioè, nel futuro la venuta di cui si parla,
trasportarla in pari tempo nel presente : in altri termini, trasformarla
da una venuta semplicemcute futura in una venuta fermamente. Tutta
la storia del mondo, in conseguenza si disse, è dalla prima appari
zione del Cristo in poi un ritorno invisibile, un giudizio spirituale
a cui egli sottopone incessantemente la umanità. La rovina di Geru
salemme (nel nostro passo, fino al vers. 28) non ne è che il primo
atto;' immediatamente dopo (juJc'w; , v. 29 seg.) viene la rivoluzione
operata nella umanità dalla predicazione del Vangelo, rivoluzione che,
per una serie di atti e di epoche, discende sino alla fine delle cose,
dove il giudizio man mano compiutosi nella storia del mondo si'ma-
nifesterà in una rivelazione che comprenderà tutto, che abbraccerà tut
to,1). Ma il motto celebre del poeta -), motto che è l'eco della coscienza
moderna, mal si presta a darci la chiave di un discorso il quale più che
altro mai ha la sua origine nelle credenze del mondo antico. Considerare
il giudizio del mondo, la venuta del Cristo, come alcunché di succes
sivo, è la contradizione più ricisa col modo di vedere del Nuovo Te
stamento. Anzi tutto, le espressioni che vi si adoperano per indicar
') Olshauseu, Bibl. Comm. pag. C85; Kern, 1. e. pag. 138 seg. Confr.
Stendel, Glaubenstehre, pag. 47lJ seg.
*) Schiller: La storia del mondo, die Weltgeschichte ist das Wellge-
richt. (Poesie staccato , nel componimento intitolato : Rassegnazione.)
Nota del trad.
326 VITA DI GESÙ
tale catastrofe, p. es., quel giorno, o l'ultimo giorno, attestano che qui
si tratta di una peripezia istantanea. La consumazione de'secoli, de'se-
gni della quale gli apostoli s' informano (v. 39) e che altrove Gesù
rappresenta (Matt., i3, 39) sotto figura della messe può essere solo la
chiusura finale del cammino del mondo, e non già una cosa che si
verifichi successivamente durante questo cammino. Quando Gesù pa
ragonava la sua apparizione a quella di un lampo (24, 27), l'irrom
pere di essa a quella del ladro nella notte (v. 43), egli vuole con ciò
significare ch'essa sarà un avvenimento improvviso e non una serie
d' avvenimenti *). Che se si aggiungono le metafore inaudite cui si
è costretto ricorrere cosi in questa spiegazione che in quella che ri
ferisce il 24 capitolo alla rovina del giudaismo -), forza sarà rinun
ciare a questo tentativo, del paro che a tutti gli altri.
Fallito di tal guisa 1' ultimo spediente onde si cercò introdurre ,
nel discorso in questione il vasto intervallo frapposto dal nostro
odierno punto di vista fra la rovina di Gerusalemme e la consuma
zione dei secoli, — il fatto stesso ci apprende che quella separazione
altro non è se non un'idea nostra, la quale noi non dobbiam trasportare
nel testo originale. E se riflettiamo essere l' idea di tale intervallo
dovuta solo alla esperienza dei tanti secoli trascorsi dalla distruzione
di Gerusalemme in poi, non durerem fatica a imaginare il come l'au
tore di que'discorsi, il quale non avea peranco questa esperienza dietro
') Confi', in particolare Weizel, II tempo del giudizio finale ec. nei:
Studien der Evang. Geislichkeit Wv.rtembergs , 9, 2, pag. 140 ?eg.
154 seg.
') Secondo Kern, la frase. Il segno del figlio dell' uomo comparirà
nel cielo significa la manifestazione visibile di tutto ciò che, formando
epoca nella storia dell'umanità, ha un carattere spiccante per modo da
mostrare l'azione del Cristo, la quale regge la storia dell'umanità, con
altrettanta chiarezza che se si scorgesse in Cielo il segno del Cristo; la
frase : E allora tutte le tribù della terra si lamenteranno , allude ai
dolori che coglieranno gli uomini al momento della crisi che accom
pagna la propagazione del regno del Cristo, vale a dire quando ciò che
non è divino sarà cacciato dal mondo, e quando il vecchio uomo sarà
ucciso. Weisso si lascia trasportare ancor più lungi dalla vertigine del
l'allegoria: « Il Cristo, egli dice, compiange io donne gravide e i lat
tanti, ossia quelli che vogliono ancora lavoraro e produrre sotto la di
rezione doli' antico ordine di cose ; compiange quelli la cui fuga cadrà
nell'inverno, ossia in un'epoca rozza e inospitata che non porterà frutti
per lo spirito. » (P. 592).
CAPITOLO PRIMO. 327
di sé, potesse credere che tosto dopo la caduta del santuario giudaico,
centro, giusta le idee giudaiche, del mondo d'allora, — dovesse questo
mondo stesso aver fine e il Messia comparire per il giudizio.
116.
') Uber den Ursprung u. s. f., pag. 119. Weisse si esprime in egual
guisa.
*) Confr. anche i miei Scritti polemici, 1,1, conclusione.
5) Vedi per es. Gratz, Comm. Matth., 2, 4-14 e seg.
330 VITA DI GESÙ
remoti, le fami che egli profetizzò, si ritrovano nella storia che segue;
i suoi partigiani , com' è ben noto , furono segno a persecuzioni ; la
predizione di falsi profeti e più precisamente di tali che attirerebbero
il popolo nel deserto colla promessa di segni miracolosi (Matt. 24 ,
11, 24, seg. e parali.) presenta una rassomiglianza assai notevole
colla descrizione dataci da Giuseppe degli ultimi momenti dello stato
giudaico1); la predizione in Luca (21, 20) che Gerusalemme sarà
circondata di eserciti, e altrove (19, 43 e seg.) che una trincea verrà
condotta intorno alla città , può trovar riscontro in una circostanza
narrata da Giuseppe, che cioè Tito cinse Gerusalemme con un muro 3);
cosa notevole infine, le predizioni di Gesù riguardo al tempio, di cui
non saria rimasta pietra sopra pietra, e riguardo alla città, che ver
rebbe rasa al suolo (Luca 19, 44), si compierono letteralmente r>).
Dalla impossibilità di prevedere questo avvenimento per via natu
rale la dottrina ortodossa conchiuse che Gesù li ha preveduti sopra
naturalmente. Ma l'ipotesi di una previsione sopranaturale va soggetta
alle medesime difficoltà delle predizioni della morte e della risurre
zione con una nuova difficoltà per giunta. Riguardo al primo punto,
Gesù, secondo Matteo, 24, 15, e secondo Marco, 13, 14, ha collegato
l'avvenimento della catastrofe al compiersi della profezia di Daniele,
d'una abominazione piena di desolazione; in conseguenza egli ba
riferito il v. 27 del cap. IX di Daniele (Confr. H, 31; 12, H) a un
avvenimento che ebbe luogo all'epoca della distruzione di Gerusalemme
per parte dei Romani. Paulus, gli è vero, sostiene che Gesù qui non
ha fatto che togliere una espressione a Daniele, senza punto riguardar
quella frase profetica come predizione di cosa ancor futura all'epoca
sua ; ma questa osservazione è resa particolarmente inammissibile dalla
frase che segue : Colui che legge vi ponga attenzione. Ora , al punto
attuale della critica e dell'esegesi dell'Antico Testamento, è a riguar
darsi come positivo che i passi indicati in Daniele si riferiscono alla
') Antiq. 30, 8, 6, (Confr. Bell. jud. 2, 13, 4): I magi e gli impostori
persuasero alla moltitudine di seguirli nel deserto; essi promettevano
mostrare segni e prodigi manifesti , operati secondo la provvidenza di
Dio. Molti essendosi lasciati persuadere , portarono la pena della loro
follia. Felice li fece ricondurre e punire.
') Dell. Jud. 5, 12, 1, 2.
!) Più ampii confronti tra gli avvenimenti riferiti da Giuseppe e da
altri si trovano in Credner, Einleit. in das N. Test. 1, pag. 207.
CAPITOLO PRIMO. 331
profanazione del santuario sotto Antioco Epifane falsa dunque è
l'applicazione che gli Evangelisti qui ne attribuiscono a Gesù. Quanto
poi al secondo punto relativo a questa predizione considerata in sè
stessa, essa non si è compiuta che per un lato, in quanto ciò riguarda
Gerusalemme; ma, per l'altro, vale a dire il ritorno di Gesù e la
fine del mondo, essa è rimasta senza compimento. Ora Gesù non può
certo avere attinto alla sua natura superiore una profezia vera soltanto
per metà: in ciò bisognerebbe ch'egli si fosse affidato alle sole forze
amane del suo spirito. Ma appunto inconcepibile sembra che la mercè
di questa prudenza umana egli sia stato in grado di prevedere nei
suoi particolari un avvenimento connesso a tanti accidenti quale fu
la rovina di Gerusalemme; il che induce a congetturare che quei
discorsi, colla precisione che in oggi presentano, non siano già stati
proferiti prima dello avvenimento da Gesù, ma solo a lui attribuiti,
dopo l'avvenimento, sotto forma di predizione. Kaiser, per esempio,
suppone che la minaccia d'un orribile destino inflitto dai Romani alla
città ed al tempio fosse da Gesù condizionata al caso in cui la nazione
non si lasciasse salvare dal Messia ; che Gesù avesse descritte quelle
sventure sotto imagini profetiche , e che solo dopo Io avvenimento
venisse tolto al suo discorso il senso condizionato e introdotto in
quella vece le particolarità precise. Credner anch' egli, partendo dal
fatto che gli avvenimenti sopraggiunti all'epoca della distruzione di
Gerusalemme sono posti sotto forma di profezia in bocca di Gesù,
conclude che i tre primi Evangeli non potino essere stati redatti
prima di quell'epoca -). Ma bisognerebbe allora che la predizione,
quale noi la leggiamo nei due primi Evangeli, fosse stata composta
immediatamente dopo od anche durante la catastrofe; giacché essa
annuncia l'apparizione del Messia per il tempo più prossimo dopo la
caduta di Gerusalemme : aspettazione la quale più non poteva esistere
negli anni successivi. Siccome questa connessione immediata delle
due catastrofi non è espressa cosi formalmente in Luca , si suppose
ch'ei desse la predizione sotto la forma che questa avea dovuto subire
dopo che per esperienza sapevasi non avere la venuta del Cristo e
') De Wette, Einl. in das N. T., § 97, 101. Exeg. haudb. 1, 1, p. SOi;
1, 2, pag. 103.
*) Paulus, Fritzsche, De Wette su questo passo.
*l Bell. jud. 5, 12, 1 : Che non era facile circondare la città coìl'e-
sercito a motivo della grandezza di quella e della difficoltà dei luoghi ,
e che d'altronde ciò sarebbe pericoloso in ragione delle uscite.
•) Bell. jud. 5, 11, 1 e seg. ; 12, 1.
CAPITOLO PRIMO. 333
persecuzione de' fedeli servi di Schovale, riguardavansi come i suoi
immediati forieri del regno del Messia. Si trovano nei profeti descri
zioni cosi analoghe delle calamità che dovevano produrre e accom
pagnare il giorno della venuta di Schovale (Fs. 13, 9 e seg.; Joel. 1,
15; 2, 1 e seg.; 10 c seg.; 3, 3 e seg. ; 4, 15 e seg.; Zeph. 4, 14
e seg.; Agg. 2, 7; Zach. 14, 1 e seg; Mat. 3, 1 e seg.) o precedere
l'inaugurarsi del regno messiaco dei santi (Dan. 7-12); e scritti poste
riori racchiudono espressioni aventi una cosi gran somiglianza con
quelle dei nostri Evangelii ') — che più non rimane dubio essere il
linguaggio qui tenuto dall'una parte e dall'altra sul tempo della venuta
del Messia proveniente da un fondo comune di idee contemporanee.
Altra questione è quella, se si possa provare che il tratto fonda
mentale del quadro che noi esaminiamo, cioè la distruzione del tempio
e la devastazione di Gerusalemme, formasse parte delle idee general
mente invalse all'epoca di Gesù. In vari scritti giudaici troviamo ac
cennata l'opinione che la nascita del Messia coinciderà colla distru
zione del santuario *) ; ma evidentemente questa opinione si è formata
solo dopo la rovina del Tempio per far scaturire dal più profondo
dell'infortunio la fonte della consolazione. Giuseppe trova in Daniele,
allato a ciò che riguarda Antioco Epifane, una profezia sulla distru
zione dello stato giudaico per opera dei Romani 3); ma siccome non
') Vedi i passi in SchOttgen, 2, pag. 509 seg., Bertholdt, § 13, Schmidt,
Biblioth. 1, pag. ?4 seg.
*) Vedi in Sch&ttgen, a, pag. 525 e seg.
*) Antiq. 10, 11, 7. Dopo aver detto che il piccolo corno significa
Antioco, egli aggiunge brevemente: « Daniele adoperò la stessa figura
riguardo all'impero dei Romani e predisse che il nostro popolo sarebbe
da questi desolato. > Senza alcun dubio egli ha riferito ai Romani la
quarta monarchia di ferro (Dan. 2, 40); e come egli riferisce a quella
monarchia le parole essa dominerà sul mondo ùttero. ne risulta special
mente ch'egli considera siccome ancor riserbata all'avvenire la sua di
struzione per opera del sasso. Antiq. 10, 10, 4. < Daniele fece al re una
predizione anche riguardo alla pietra, ma a me non parve doverne far
cenno , poiché io mi occupo di scrivere gli avvenimenti passati e non
gli avvenimenti futuri. » Daniele infatti dico, 2, 44, significare il sasso
il regno celeste , il quale distruggerà il regno di ferro e durerà esso
stesso per tutta l'eternità: indicazione messiaca nella quale Giuseppe
non vuol entrare. Le gambe di ferro della statua significano l' impero
macedone, i piedi misti di ferro o di argilla gli imperi nati dalla monar
chia macedone, e quindi particolarmente l'impero di Siria: tale è la vera
spiegazione di quei simboli. Vedi in proposito De Wette, Einleit. in das
X. T., § 254.
334 VITA DI GESÙ
é questo il significato primitivo di nessuna delle visioni di Daniele ,
cosi Giuseppe non avrebbe potuto darne spiegazione siffatta se non
dopo lo avvenimento ; nel qual caso essa non proverebbe nulla per
l'epoca di Gesù. Pur sarebbe lecito il credere che sino dal tempo di
Gesù i Giudei avessero stabilito un rapporto fra avvenimenti ancora
futuri e le predizioni di Daniele , quantunque in fatto queste riferi-
scansi ad avvenimenti di molto anteriori , nella stessa guisa die i
cristiani dei nostri giorni attendono ancora il completo avverarsi del
verso 25 del cap. XXIV di Matteo. Infatti, dopo la distruzione delle
monarchie miste di argilla e di ferro, e del corno che getta maledi
zioni contro Dio e combatte contro i santi, noi troviamo profetizzato
il giungere del Figlio dell'uomo sulle nubi e lo inaugurarsi del regno
eterno dei santi ; ma questi avvenimenti non si realizzarono dopo la
disfatta di AntiocD. Si ebbero dunque motivi per rilegare nel futuro
e il regno celeste e le calamità che dovevano inaugurarlo; calamità
prodotte dalla monarchia di ferro e di argilla , e nel novero delle
quali comprendevasi in particolare la profanazione del tempio, giusta
l'analogia delle profezie relative alle corna. Ma mentre in Daniele la
predizione si limita alla profanazione del tempio , alla interruzione
del culto ed alla distruzione (parziale) della città J), nei discorsi che
noi esaminiamo si trova invece predetta la distruzione completa del
tempio ed anco di Gerusalemme : e ciò non solo in Luca, dove la
cosa è positiva, ma eziandio, senza dubio , negli altri due , dove la
esortazione ad una pronta fuga fuori di città sembra accennare alla
medesima catastrofe. Tutto questo, non trovandosi in Daniele, sembra
non possa essere stato suggerito che dall'avvenimento stesso. Ma vi
hanno due risposte in contrario: anzitutto la descrizione di Daniele
colle parole dcut e fniwn (9, 26 e seg.; 12, 11) cui i settanta tra
ducono per desolazione, e io distruggo, si può senza difficoltà intendere
di una rovina completa : in secondo luogo i peccati del popolo avevano
già altra volta tratto seco la rovina del tempio e della città, e la cat
tività della nazione giudaica in paesi lontani. Da ciò partendo, ogni
Israelita entusiasta a cui lo stato religioso e morale de' suoi compa
trioti fosse parso riprovevole e irremediabile poteva attendere e pre
dire il ripetersi di quell' antica punizione. In conseguenza neppure i
particolari più precisi che Luca — come già si vide nel § precedente
— ha per di più in confronto dei due primi evangelisti , non sono.
§ 117.
§ 118.
1 ) Probabilia, 1. e.
») Band., 1 Tomo, § 62.
CAPITOLO SECONDO. 347
rivolta nella massa di coloro che fra i visitatori della festa erano a
lui favorevoli (Matt. 26, 5, Marco 14, 2), — tale considerazione fu
posta tuttavia da banda in ragione della facilità con la quale uno dei
suoi discepoli promise di consegnarlo nelle mani de' suoi nemici. In
fatti Giuda chiamato Iscariote, — senza dubio perchè era originario
della città giudaica di Kerioth (Gius. 15, 25) ') — l'avido e infedele
cassiere della società di Gesù (Giov. 12, 6) recossi, giusta i sinottici,
a trovare, pochi giorni prima di Pasqua, i capi dei sacerdoti, e s'of
ferse a consegnar loro Gesù senza strepito. In ricambio essi gli pro
misero del denaro , trenta sicli d' argento (àpyfyta) , secondo Matteo
(Matt. 26, 14 e passi parali.). Il quarto Evangelo non solo non fa
cenno di questo accordo preventivo di Giuda coi nemici di Gesù, ma
sembra presentare la cosa come se Giuda avesse preso solo al mo
mento dell'ultima cena la risoluzione di consegnar Gesù, e l'avesse
tosto messa ad effetto. L'ingresso di Satana in Giuda che Luca (22, 3)
pone avanti il suo primo passo presso il gran sacerdote e avanti i
preparativi della festa di Pasqua, è posto, dal redattore del quarto
Evangelo al momento di quella cena, innanzi che Gesù avesse ab
bandonato la compagnia (19, 27): il che prova, fuor di dubio, che
nella opinione di questo Evangelista, Giuda forse fece solo in quel mo
mento il suo primo passo proditorio. Veramente, il quarto Evange
lista osserva (13, 2) che, già prima della cena, il demonio avesse sugge
rito a Giuda di tradire Gesù; per il che, si paragona la frase: Aven
dogli il diavolo posto in cuore, alla frase di Luca : Satana entrò, e la si
riferisce comunemente alla risoluzione in seguito alla quale Giuda re
cossi dal gran sacerdote. Ma s' egli si fosse fin d'allora inteso con
essi , il tradimento era già compiuto, e più non si sa che cosa pos
sono significare al momento dell'ultima cena le parole : Satana entrò
in lui; perocché il condurre quelli che dovevano impadronirsi di Gesù
non era una nuova risoluzione suggerita dal diavolo, ma solo l'ese
cuzione della risoluzione già presa. La espressione di cui Giovanni
si serve, vers. 27 , non ammette, a confronto col vers. 2 , un senso
') Olshausen, 1. c.
*) Un simile argomento si potrebbe dedurre da quanto dice Olshau
sen, 2, pag. 387, appiè delia pagina, e. 388.
s) Uber den Lukas, pag. 88.
352 VITA DI GESÙ
zione precisa , il permesso e la conferma di Gesù sariano stati
pur sempre necessarii per poter rimanere costantemente accanto a
lui, e umanamente egli non poteva accorciarsi ad un uomo del quale
sapeva che una simile posizione lo avrebbe a poco a poco condotto
al misfatto più nero. Quanto al porsi interamente tutto, come si asse
risce, al punto di vista di Dio, e ammettere Giuda nella propria so
cietà in ragione della possibilità di un emendamento eh' egli sapeva
non doversi realizzare, ben sarebbe questa un' inumanità divina , ma
non sarebbe la condotta di un Dio-uomo.
Quanto difficile è il conservare il carattere storico alla notizia
del quarto Evangelista, che suppone in Gesù fin dal principio la pre
scienza del tradimento di Giuda, altrettanto facilmente si scopre che
cosa potesse indurlo, anche senza ragione storica, a presentar in tal
guisa le cose. Naturalmente il tradimento commesso da uno dei disce
poli di Gesù contro Gesù stesso doveva tornargli svantaggioso agli
occhi de'suoi nemici; noi avremmo potuto congetturarlo, quando pur
non sapessimo che Celso, sotto la maschera di un giudeo , rinfaccia
a Gesù di essere stato tradito da un di coloro eh' et chiamava suoi
discepoli: volendo provare con ciò, eh' egli, meno di un capo qua
lunque di briganti, avea saputo assicurarsi l'attaccamento de'suoi ')•
Come a troncar netto le cattive conseguenze che scaturivano dalla
morte ignominiosa di Gesù, si stimò miglior mezzo lo affermare che
egli avea preveduta la sua morte lungo tempo prima; cosi qui, si
credette prevenire quanto eravi di sfavorevole a Gesù pel tradimento
di Giuda , dicendo eh' egli avea fin da principio penetrate le inten
zioni del traditore, e che egli avrebbe potuto fuggire alla sorte pre
paratagli , se non si fosse esposto a quella perfidia per ispontanea
volontà e per considerazioni superiori 2). Tale spediente offriva ancora
un altro vantaggio, il vantaggio cioè che risulta a colui che predice
da ogni preteso compimento della sua predizione, e che viene inge
nuamente espresso dal quarto Evangelista, quand' egli pone in bocca
a Gesù , dopo la designazione del traditore , quelle parole : Io ve lo
dico fin d'ora prima che la cosa accada, affinchè, quando accadrà, voi
crediate ch'io son desso (13, 19): in vero, la miglior epigrafe per
tutte le predizioni dopo 1' avvenimento. Questi due scopi erano tanto
più completamente raggiunti , quanto più quella prescienza risaliva
§ 119.
Dai tempi più antichi ai più moderni v' ebbero persone che
rifiutaronsi accedere all'opinione degli scrittori del Nuovo Testamento
circa i motivi di Giuda e alla sentenza di riprovazione assoluta da
essi pronunciata su di lui (Act. Ap. i, 16 seg.), e possiam dire fin d'ora
che questa divergenza fu il prodotto o di un sopranaturalismo esage
rato o di una tendenza razionalista.
Un sopranaturalismo esagerato poteva impadronirsi del punto di
vista fornito dallo stesso Nuovo Testamento e, vedendo che la morte di
Gesù decretata ne' consigli divini del governo del moudo, aveva ser
vito alla salvezza della umanità , considerare Giuda, il cui tradimento
avea prodotto la morte di Gesù, quale uno strumento irreprensibile in
mano della Provvidenza , quale un cooperatore alla redenzione del
l' umanità. Per mostrarlo sotto tal luce , bisognava attribuirgli una
conoscenza di quel decreto divino di salvazione, e ammettere ch'egli
tradisse scientemente il suo signore per condurre quel decreto a
compimento. Questo modo di vedere si trova in realtà nel partito
gnostico dei Cainiti; i quali, giusta gli antichi storici delle eresie, scor
gevano in Giuda un uomo ch'erasi elevato, al di sopra delle auguste
idee giudaiche degli altri apostoli, sino alla gnosi, e aveva in conse
guenza tradito Gesù perchè comprendeva che quella morte rovescie-
rebbe il regno degli spiriti inferiori che governavano il mondo ').
') Iren adv. hser. 1. 35: Judam proditorem — solimi prce ccetcris co-
gnosceniem veritatem perfecisse proditionis mysterium, per quem et
terrena et carestia dissoluta dicunt. Epifan. 38. 3 : Alcuni Cainiti dicono
che Giuda ha tradito Gesù perchè lo riguardava come un malvagio, e
mirante a distruggere la buona legge ; altri, fra essi, non dicono così,
ma pretendono che Gesù fosse buono e che Giuda lo tradisse a motivo
della gnosi celeste. Poiché ì capi sapevano che, ove il Cristo venisse dato
alla croce, la loro debole potenza sarebbesi ridotta al nulla. E Giuda
conoscendo questo si affrettò e pose tutto in opera per consegnarlo,
facendo opera buona per la nostra salvazione. Noi dobbiamo lodarlo e
tributargli elogi, giacché per lui fujireparala la sai e azione della croce
e la rivelazione delle cose dall'atto che ne seguì.
CAPITOLO SECONDO. 355
Altri nell'antica Chiesa, pure ammettendo, gli è vero, che Giuda avesse
iradito Gesù per avarizia, aggiungevano non aver egli pensato che
Gesù dovesse esser posto a morte; avere creduto bensi che in questa
come in altre occasioni egli fosse per isfuggire a'suoi nemici mercè la
sua potenza sovranaturale '). Questa opinione forma già una transi
zione alle giustificazioni più recenti del traditore.
Il merito che per ispirito di sopranaturalismo i Cainiti attribui
vano a Giuda, derivava dalla loro opposizione al giudaismo; essi si
erano posto per massima di onorare tutti i personaggi biasimati dai
redattori giudei dell'Antico Testamento o dai redattori giudaizzanti
del Nuovo, e viceversa. Nella stessa guisa il razionalismo, sopratutto
nelle sue prime vie contro la lunga schiavitù nella quale l' autorità
aveva tenuta la ragione , trovò un certo gusto nello spogliare della
loro aureola i personaggi biblici troppo sublimati , secondo esso ,
nella opinione ortodossa, che nel difendere o rialzare i personaggi
dalla stessa opinione condannati o posti in seconda fila. Indi è, per
quanto riguarda l'Antico Testamento, che Esaù fu elevato al di
sopra di Giacobbe , Saul al disopra di Samuele, e nel Nuovo, che
Marta fu esaltata a spese di Maria, che i dubii di Tomaso furono lodati
e che si fece persino l'apologia del traditore Giuda. Secondo gli uni,
egli era un uomo fattosi colpevole per essere stato ferito nell'onore;
il modo con cui Gesù lo riprese, al banchetto di Betania, e sopratutto
la inferiorità in cui fu posto riguardo agli altri apostoli, trasformarono
il suo amore per il maestro in odio e desiderio di vendetta *). Altri
s'appigliarono alla congettura tramandataci da Teofilatto — aver Giuda
sperato che Gesù fosse per isfuggire ancor quella volta a'suoi nemi
ci, — e qui le opinioni si divisero: gli uni intesero tale congettura
in senso sopranaturale , come se Giuda avesse pensato che Gesù si
libererebbe da sè coli' uso della sua potenza miracolosa 3) ; altri, più
conseguenti al loro punto di vista, supposero essersi Giuda probabil
mente imaginato che, preso Gesù, una insurrezione popolare sarebbe
scoppiata in suo favore e lo avrebbe riposto in libertà •'•). Di tal guisa
') Scbmidt, 1. c.
*) Hase.
!) Paulus.
CAPITOLO SECONDO. 337
è il Messia , egli non soffrirà, grazie alla sua potenza sopranaturale,
alcan danno dall'essere consegnato a' suoi nemici: al contrario questo
varrà ad affrettare la sua glorificazione. Se poi non è il Messia, egli
merita la morte. Laonde, al dir di questo teologo, il tradimento altro
non saria stato che una prova alla qualè il discepolo , dubitante an
cora, volle sottomettere la dignità messiaca del suo Maestro ').
Fra queste opinioni una sola propriamente ve n' ha — quella
che attribuisce il tradimento di Giuda all' amor proprio ferito — la
quale possa appoggiarsi sopra un fatto positivo: e questo fatto è il
biasimo che Giuda altiiossi da parte di Gesù al momento del ban
chetto di Betania. Ma la conseguenza che da tal biasimo si pretende
dedurre venne impugnata dalla critica moderna , la quale osserva ,
come in altra occasione abbiam veduto, che la dolcezza di quel rim
provero, posta viemeglio in rilievo dal confronto col rimprovero ben
più vivo diretto a Pietro (Mitt. <6, 23), sarebbe fuori affatto di pro
porzione col risentimento che Giuda ne avria provato 2). Quanto alla
preferenza che Gesù avrebbe accordato agli altri apostoli su di lui,
non se ne ha traccia veruna.
Tutte le altre congetture intorno ai moventi proprii dell' azione
di Giuda non ponno appoggiarsi che sopra ragioni negative, vale a
dire sopra ragioni dalle quali si pretende risulti inverosimile ch'egli
fosse animato da cattive intenzioni ed in ispecie da cupidigia, ma
esse mancano completamente di una prova positiva la quale dimostri
ch'egli avesse voluto affrettare l'opera di Gesù e che sopratutto lo
spingessero a speranze impetuose da lui fondate sul regno politico del
Messia. A dimostrare che Giuda non ebbe alcuna mala intenzione
contro Gesù, principalmente si adduce 1' essersi egli dato a dispera
zione non si tosto apprese la consegna di Gesù in mano dei Romani
e la sua morte infallibile; prova — aggiungesi — ch'egli erasi atteso
un risultato opposto. Ma non solo il risultato infelice, come Paulus
opina, bensì eziandio il risultato felice o la riuscita del delitto mostra,
per valermi delle espressioni di quel teologo , sotto il suo nero e
reale aspetto il misfatto che prima si mascherava sotto mille scuse.
Il delitto compiuto getta la maschora che si poteva attribuirgli finché
esso non aveva esistenza che nel pensiero; e come il pentimento
ond'è colto più d'un assassino nel veder la vittima distesa a' suoi
§ 120.
11 primo giorno degli azimi, in cui alla sera doveva essere ucciso
l'agnello pasquale, quindi la vigilia della festa propriamente detta, che
però da quella sera stessa aveva principio, in breve, il 14 di Nisan,
Gesù, — narrano i due primi Evangeli — interrogato dagli Apostoli
s'ei celebrerebbe la Pasqua, mandò (forse da Betania) un messaggio
a Gerusalemme ad affittarvi un locale per il tempo della cena pa
squale e prendere le ulteriori disposizioni (Matt. 26, 47 seg. e parali.).
Matteo non dice né quali né quanti apostoli fossero inviati; secondo
Marco ne furono inviali due; e secondo Luca furono questi due Pietro
e Giovanni. I tre narratori non s'accordano completamente sulle istru
zioni date da Gesù a quegli apostoli. Al dire di tutti e tre, ei li
manda da un uomo a cui non avranno bisogno che di domandare in
nome del maestro, un locale atto alla celebrazione della festa di Pa
squa, per ottenerne uno immediatamente disponibile. Ma da un lato,
questo locale è nel secondo e terzo Evangelista descritto più minuta
mente che in Matteo: secondo quei due, la era una gran sala alta,
tutta mobiliata e pronta a ricevere ospiti. D'altro lato essi narrano
diversamente da Matteo il modo per cui gli apostoli dovevano sco
prirne il proprietario. Secondo Matteo , Gesù dice solamente eh' essi
dovevano andare da untale; ma gli altri due riferiscono che, entrato
nella città, essi dovevano incontrare un uomo portante una brocca
d'acqua , seguirlo sino nella casa in cui andava, e là trattar l'affare
col padrone della casa.
') Sulle disposizioni dell'ultima cena pasquale di Gesù, nel suo Neuest.
tfaeol. Journ., 2, 5, pag. 441 seg.
*) Bell. jud. 6, 9, 3.
362 VITA DI GESÙ
preventivo (continuano quelli) spiega anche la conoscenza esatta che
Gesù aveva del locale e mostra finalmente, venendo al punto di par
tenza della discussione, com'egli sapesse di certa scienza che gli
apostoli avrebbero incontrato un portatore d' acqua addetto a quella
casa ; ciò era, gli è vero, far uso di un giro vizioso per indicare la
casa , e Gesù V avrebbe evitato dicendo semplicemente il nome del
proprietario; ma egli se ne valse per non far conoscere innanzi tempo
al traditore che forse sarebbe quivi venuto a sorprenderlo ed inter
romperlo, il luogo in cui doveva tenersi la cena
Ma non è questa 1' impressione che risulta dal racconto evange
lico : quivi Gesù non parla nè di convenzione nè di accordo preven
tivo; piuttosto la frase di Marco e di Luca, essi trovarono com'egli
loro aveva detto, sembra indicare che Gesù fosse stato capace di pre
dire ogni cosa quale accadde realmente più tardi; nulla, insomma,
indica una meticolosa previdenza, ma tutto accenna ad una prescienza
miracolosa. Esaminando più dappresso la cosa, vi si trova un doppio
miracolo, come già più sopra, quando si parlò della cavalcatura sulla
quale Gesù fece il suo ingresso in Gerusalemme ; da un lato tutto è
preparato per i suoi bisogni, e nessuno è capace di resistere alla po
tenza del suo nome ; d' altro lato Gesù sa distendere il suo sguardo
fino a circostanze lontane a predire gli accidenti più fortuiti '). Ewi
luogo a meravigliarsi che Olshausen stesso cerchi sfuggire alla mani
festa e irresistibile necessità di intendere tutto questo in senso sopra-
naturale, e per di più cerchi sfuggirvi con motivi che rovescereb
bero la maggior parte delle storie dei miracoli e che di solito non
si trovano che in bocca dei razionalisti. Per lo interprete imparziale5),
egli dice, il racconto non fornisce il menomo argomento che ne giu
stifichi la interpretazione in senso miracoloso. Non si crederebbe di
leggere il commentario di Paulus? Se i narratori, continua Olshausen,
§ 121.
teva essere ella stessa la cena di Pasqua. Più lungi (18, 28) è detto
che la mattina del giorno appresso i Giudei non entrarono nel pre
torio pagano, per tema che, macchiandosi, non fossero poi in grafo di
mangiare la Pasqua: sembra dunque anche qui che il tempo della
cena pasquale non fosse peranco arrivato. Aggiungasi che (19, 14)
precisamente il giorno successivo a quello in cui Gesù fu crocifisso
é designato come la preparazione della Pasqua, vale a dire come il
giorno nella sera del quale doveva mangiarsi l'agnello di Pasqua. In
fine è detto del secondo giorno dopo quella cena, giorno in cui Gesù
stette nel sepolcro: perocché quel sabato fosse un giorno solenne as
sai (19, 31): la qual solennità speciale sembra derivasse dalla coin
cidenza di quel sabato col primo giorno di Pasqua. In conseguenza
l'agnello pasquale fu mangiato non già nella sera dell'arresto di Gesù,
ma' solo nella sera della sua tumulazione.
Queste divergenze sono considerevoli, per modo che molti inter
preti, evitando porre gli Evangelisti in contraddizione l'uno coll'altro,
fecero ricorso al vieto spediente e dissero che gli Evangelisti non
parlavano della stessa cosa ; che la cena di Giovanni era un' altra
cena da quella dei sinottici. Secondo essi , la cena di Giovanni
è una cena serale ordinaria ed ebbe luogo, senza dubio, a Betaniajin
essa, Gesù lavò i piedi, parlò del traditore, e dopo che questi ebbe
abbandonata la compagnia, aggiunse altri discorsi di consolazione ed
incoraggiamento, — sinché, finalmente, la mattina del 14 di Nisan,
egli esortò gli apostoli a lasciare Betania e recarsi a Gerusalemme,
dicendo loro: Levatevi, partiamo di qui (14, 31). Qui, aggiungesi,
trova posto il racconto dei sinottici, i quali riferiscono che Gesù, in
viaggio per Gerusalemme, inviò i due apostoli a predisporre la cena,
e in seguito descrivono la cena pasquale di cui Giovanni non parla ;
e questi, a sua volta, riprende qui il filo della narrazione coi discorsi
che furon tenuti dopo la cena di Pasqua (15, 1 seg.) '). Ma, mentre
si cerca di evitar per tal modo la contraddizione dei racconti rispet
tivi riferendo questi ad avvenimenti affatto diversi , si urta contro la
identità delle due cene, la quale non può essere disconosciuta in molte
particolarità. Astrazion fatta da passi isolati che egualmente si ri
scontrano nelle due narrazioni, è evidente che Giovanni, del paro che
i sinottici, vuol qui descrivere 1' ultima cena che Gesù tenne co' suoi
1) Così Lightfoot, Horcc, pag. 463 seg.; Hess, Gesch. Jesu, 2, pag. 2T3
seg.; e anche Venturini, 3, pag. 634 seg.
CAPITOLO SECONDO. 367
discepoli. Tale intenzione appare fin dalla introduzione del racconto
di Giovanni, ov'è detto che fu quella una prova dell'amore che Gesù
aveva avuto per i suoi fino alla fine : nulla infatti meglio prestavasi
a fornir quella prova del racconto degli ultimi istanti da Gesù pas
sati in intimità con loro. Cosi pure , i discorsi tenuti dopo la cena
indicano la separazione immediatamente prossima; ed anco nell'Evan
gelo di Giovanni, alla cena ed ai discorsi tengon subito dietro la par
tenza di Gesù per Getsemani e l'arresto di lui. Obiettasi, è vero, che
tale partenza e tale arresto non sono in connessione immediata se
non con quei discorsi, i quali furono tenuti (cap. 15, 17) al momento
della cena posteriore passata da Giovanni sotto silenzio. Ma che, tra
il v. 31 del cap. 14 e il v. 1 del cap. 15, il redattore del quarto
Evangelo abbia scientemente omessa tutta la cena pasquale, nessuno
più vorrà affermarlo sul serio, quantunque la frase singolare: Leva
tevi, parliamo di qui, potesse con ciò sembrare non mal spiegata. E
quand'anco si ammettesse questo punto, sta pur sempre che Gesù
(13, 38) predisse come Pietro lo avrebbe rinnegato, determinandone
il momento con quelle parole : Prima che il gallo canti. Or egli po
teva parlare in tal guisa solo nell' ultima cena , e non in una cena
posteriore, eome qui si suppone ').
Forza è dunque, abbandonare questo spediente e convenire che
i quattro Evangeli intendono parlare della medesima cena, dell'ultima
ebe Gesù tenne co' suoi discepoli. E qui la giustizia che devesi ad
ogni autore, e che credevasi doversi particolarmente agli autori biblici,
parve richiedere si esaminasse se ambe le parti non potessero aver
ragione pur riferendo, con estreme divergenze sotto certi riguardi ,
un solo e medesimo avvenimento. Dovrebbesi dunque, quanto al tempo,
poter dimostrare o che i due primi Evangelisti non vogliono, più di
quel che lo voglia il quarto, riferire una cena di pasqua, o che il
quarto vuole, al paro degli altri tre, riferire una simile cena.
Un antico frammento 2) cercò di risolvere la difficoltà nel primo
modo , negando che Matteo ponga 1' ultima cena di Gesù nella sera
del 14 di Nisan , giorno consacrato alla cena pasquale, e la sua pas
sione al 15 di Nisan, primo giorno della festa di Pasqua: ma qui non
si sa come sfuggire alle espressioni che , nei sinottici, designano for
malmente la Pasqua.
') Lightfoot dà una spiegazione insufficiente.
*) Fragm. ex Claudii Apollinaris libro de Paschate , in Chron. Pa-
schal. ed. du Fresnc. Paris, 1688, pag. 0 prsef.
368 VITA DI GESÙ
In conseguenza , ne' tempi moderni cercossi assai più cornane-
mente di condurre Giovanni dalla parte degli altri Evangelisti ').
Formando ostacolo a ciò le parole ond' egli si vale : Prima della
festa di Pasqua (13, 1), si cercò sbarazzarsene col dire, riferirsi quelle
parole non già immediatamente alla cena, ma ad una semplice osser
vazione : che cioè Gesù aveva saputo esser giunta la sua ora e che
egli aveva amato i suoi sino alla fine ; solo invece , nel verso se
guente, essere parola della cena, alla quale perciò quella designazione
di tempo non appartiene. A che dunque apparterrà? Alla conoscenza
ch'ebbe Gesù del giungere della sua ora ? Ma questa non era che aria
osservazione accessoria. Oppure all'amore conservato sino alla fine?
ma a tale amore non può riferirsi una indicazione di tempo cosi spe
ciale se non in quanto si tratti di una testimonianza esterna d'amore;
testimonianza data giustamente in quella cena, la quale rimane pur
sempre il punto in cui quella indicazione di giorno si collega. Ciò
essendo, congetturasi che le parole prima della festa venissero dette
per riguardo ai Greci, ai quali l'Evangelo di Giovanni era destinato;
che, siccome essi non cominciavano il giorno, al paro de'Giudei dalla
sera , cosi la cena tenuta al principio del primo giorno di Pasqua,
sembrava loro avesse avuto luogo la sera della vigilia di Pasqua. Ma
qual è l'autore giudizioso che, supponendo la possibilità di un errore
da parte del lettore , anticiperà questo errore, conformando ad esso
il suo racconto ? — Più grave ancora appare la difficoltà al v. 28
del cap. 18 , ove i Giudei , la dimane dell' arresto di Gesù, non vo
gliono entrare nel pretorio per non macchiarsi e per poter mangiare
la pasqua. Siccome vi hanno dei passi, come in 5 Mos. 16, 12, in
cui tutte le vittime che dovevano sagrificarsi nel tempo pasquale sono
indicate colla espressione di pasque , si credette poter intendere qui
la parola pasqua delle altre vittime che erano offerte durante la set
timana pasquale ed in ispecie della Chagiga che mangiavasi verso la
fine del primo giorno della festa. Ma già Mosheim ha giustamente
osservato che se talvolta l' agnello di Pasqua preso collettivamente
coli' altre vittime offerte nel tempo pasquale è designato colla parola
sràa/« , non segue da questo che si possano nominare cosi le altre
vittime separate dall' agnello pasquale -). E però i partigiani della
■) Vedansi in ispecie Tholuck ed Olshausen su questo passo: Rem,
Fatti principali (Tiib. Geitschr.), 1836, 3, pag. 5 seg.
s) Diss. de vera notione ccena Domini, sopra il Syst. intell. di Cud-
worth, pag. 21, not. 2.
CAPITOLO SECONDO. 369
interpretazione di cui si tratta cercarono ad essa condurre i loro av
versari! per altra via ; essi notarono che la cena, pasquale la quale
facevasf a sera tarda, e quindi al principio del giorno successivo, non
sarebbe stata impedita dallo entrare la mattina in una casa pagana ,
perocché questa macchia valesse solo per il giorno corrente: bensi
sarebbe stato impedito di mangiar la Chagiga , la quale mangiavasi
nel pomeriggio, vale a dire il giorno stesso in cui sarebbesi, alla mat
tina , contratta la macchia ; che perciò qui si tratta della Chagiga e
non della cena pasquale. Ma da un lato noi non sappiamo se lo en
trare in una casa pagana fosse macchia durevole solo per un giorno:
d' altro lato, quando fosse cosi, i Giudei , macchiandosi la mattina ,
erano tuttavia impediti di fare essi stessi i preparativi che cadevano
nel pomeriggio del 14 di Nisan, per esempio di scannare gli agnelli
nel vestibolo del Tempio. Finalmente, per ispiegare nel loro senso il
passo 19, 14, gli armonisti suppongono che le parole preparazione
della pasqua, significhino il giorno in cui si soleva prepararsi al sab
bato nella settimana pasquale. Questa violenza fatta al testo non trova
alcun appoggio, almeno nel v. 31 del capo 19, dove la parola pre
parativo' indica il giorno di preparazione al sabbato: perocché ne
risulti solamente essere opinione dell'Evangelista che il primo giorno
di Pasqua fosse allora caduto in un giorno di sabbato ')•
A queste difficoltà, che impediscono di riferire il racconto di Gio
vanni a una vera cena pasquale, li cercò sfuggire supponendo, col-
l' appoggio di 3, Mos. , 23, 5; 4, Mos., 9, 3, e di un passo di Giu
seppe -). che l'agnello pasquale venisse mangiato non la sera del 14
al 15 di Nisan, ma la sera del 13 al 14, e che quindi vi fosse ancora
un giorno feriale, il 14, tra la cena pasquale e il primo giorno della
festa, che era il 15 di Nisan. Ammessa tale ipotesi, il giorno che segui
la cena pasquale verrebbe a ragione chiamato preparazione della Pa
squa, Job. 19, 14, perocché esso saria stato realmente un giorno in cui
si fecero i preparativi della festa, — e il sabbato seguente verrebbe
chiamato grande 19, 31, perocché esso avrebbe coinciso col primo
giorno della festa T'). Ma la maggiore difficoltà trovasi in Giov. 18, 28,
') Confr. De Wette, Theol. Studi, und Kritik., 1834, 4, pag. 939 seg.
Tholuck, Comm. super Joh. pag. 245 seg.; Winer, 1. e.
s) Calvino, sopra Matteo, 26, 17.
CAPITOLO SECONDO. 371
una Pasqua commemorativa, senza un agnello sagrificato, come face
vano allora i Giudei, a cui un impedimento non permetteva di recarsi
alla festa e come oggidì anche tutti i Giudei Ma primieramente ,
s'egli avesse fatto cosi, Gesù non avrebbe celebrata la Pasqua, come
dice Luca, nel giorno in cui dovevasi immolare la Pasqua; seconda
riamente colui che celebra solo la festa commemorativa rinuncia bensì
alla località fissata per la Pasqua (Gerusalemme), ma ne osserva inva
riabilmente l'epoca (alla sera del 14 al 15 di Nisan). Gesù avrebb
fatto l'opposto, vale a dire avrebbe celebrato la festa nel luogo ordi
nario, ma ad un' epoca straordinaria : cosa senza esempio. Si cercò
pertanto togliere a questo preteso spostamento della festa da parte di
Gesù la traccia di inaudito e di arbitrario, dicendo che insieme eoa
Gesù tutto un partito de' suoi compatrioti celebrava la Pasqua più
presto degli altri. È noto infatti che il partito giudaico dei Carei o
Scritturarj differiva dai Rabbiniti o Tradizionarj , specialmente nella
determinazione della luna nuova, e sosteneva che il modo di questi
ultimi, di fissare la luna nuova, giusta il calcolo astronomico era una
innovazione, mentr'esso, fedele all' antico costume, al costume legale,
la determinava dietro 1' osservazione empirica delle fasi del pianeta.
Assicurasi che sin dai tempi di Gesù i Sadducei , dai quali i Carei
discenderebbero, fissassero la luna nuova, e la festa di Pasqua che
ne dipende, diversamente dai Farisei, e che Gesù, siccome avversario
della tradizione, ed amico della Scrittura, siasi in questo ad essi con
giunto Ma, oltreché la connessione dei Carei cogli antichi Sadducei
è una pura congettura, i Carei stessi sostengono precisamente, e a
ragione , che solo dopo la distruzione del Tempio da parte dei Ro
mani siasi cominciato a fissare la luna nuova col calcolo; dimodoché,
all' epoca di Gesù, una simile divergenza non esisteva ancora. Que
st'epoca d'altronde non ci offre indizio alcuno che la festa pasquale
venisse celebrata da diversi partiti in giorni diversi 3). E quando pure
si ammettesse che sin d'allora la determinazione della luna nuova fosse
oggetto di questa divergenza, la osservazione diretta della luna, se
condo cui Gesù avrebbe determinato la Pasqua, avrebbe fatto piuttosto
ritardare che anticipar questa festa. Laonde taluni supposero il con
trario , che cioè Gesù avesse piuttosto realmente seguito il calcolo
astronomico *).
*) Grotius, sopra Matt., 26, 18.
*) Iken, Diss. philol. theol., voi. 2, pag. 416 seg.
s) Paulus, Exeg. handb., 3, a, pag. 48C seg.
4) Michaelis, Anm. sur Joh. 13.
372 VITA DI GESÙ
Tali sono le obiezioni che si possono fare isolatamente a cia
scuno dei tentativi di conciliazione fra le notizie degli Evangelisti
sull'epoca dell'ultima cena di Gesù: ma una ve n'ha che vale egual
mente contro tutte e che risulta da una circostanza cui la critica mo
derna soltanto ha testé apprezzato al suo giusto valore. Infatti la
contraddizione non è tale che , fra un gran numero di passi concor
danti , si trovi una espressione sola di senso in apparenza opposto,
tale insomma che si possa dire essersi il redattore servito d'una locu
zione inesatta cui tratterebbesi solo di spiegare per mezzo degli altri
passi ; ma tutte le determinazioni di tempo nei sinottici son tali che
ne seguirebbe aver Gesù celebrata la Pasqua, laddove, tutte le deter
minazioni di tempo in Giovanni son tali eh* ei non potrebbe averla
celebrata '). Qui dunque abbiamo due gruppi di passi evangelici affatto
opposti l'uno all'altro e indicanti due modi di vedere radicalmente diversi
nei redattori: ond'è, osserva Sieffert, dar prova non di una esegesi
scientifica, ma di un arbitrio e di un capriccio estranei ad ogni scienza
il persistere a negare la differenza che esiste fra gli Evangelii sinot
tici ed il quarto.
La critica moderna fu pertanto costretta a confessare che vi era
errore o da una parte o dall'altra; ed oltre i pregiudizii invalsilo
favor del Vangelo di Giovanni, una ragione importante sembrava in
durre a porre l'errore a carico dei sinottici. Già quell'antico frammento
attribuito ad Apollinare obietta che la passione di Gesù non poteva
aver avuto luogo nel gran giorno degli azimi , perocché questo saria
stato contrario alla legge; e pur recentemente si osservò di nuovo
essere il giorno successivo all'ultima cena di Gesù riguardato d'ogni
parte come una cena feriale; non essere quindi possibile che fosse
quello il primo giorno di Pasqua , né per conseguenza che la cena
del giorno precedente fosse stata la cena pasquale. Di più, osservasi
che Gesù non lo festeggia, perocché egli s'allontani dalla città, cosa
non permessa nella notte di Pasqua; che i suoi amici non lo festeg
giano, perocché essi comincino in quel giorno stesso a seppellire Gesù
e lascino incompiuta la sua tumulazione pel sopraggiungere del porno
seguente, che era il sabbato; che i membri del Sinedrio lo festeg
giano ancor meno, perocché non solo essi spediscano i loro servi
fuori della città per arrestare Gesù, ma assistano inoltre personalmente
*) Fritscbe, in Matth., pag. 763 seg.; confr. 755, Liicke, 2, pag. 614.
■) Sanhedr. f. 43, 1, in Sch6ttgen, 2, pag. 700.
*) Sul significato primitivo della festa di Pasqua , ecc. in Tubini-
Zeitschrift f. Theol. 1832, 1, pag. 90 seg.
*) L. e. pag. 167 seg.
CAPITOLO SECONDO. 375
Bisognerà dunque, in questa opinione, negare al primo Evangelista la
qualità di testimonio oculare e riconoscere che, al paro dei due Evan
gelisti intcrmediarii, egli ha attinto alla tradizione '). Da ciò risulte
rebbe che tutti i sinottici ,' vale a dir quelli che ci hanno conservata
la tradizione evangelica volgare dei primi tempi , siano caduti nel
medesimo errore *): e questo forma senza dubio difficoltà ; ma forse
si può evitare tale difficoltà osservando che quanto generalmente la
Pasqua continuò a celebrarsi nel seno delle comunità giudeo-cristiane,
ove formossi senza dubio, in origine, la tradizione evangelica, — al
trettanto generalmente i fedeli dovettero procurare di dare a quella
festa un significato cristiano alla morte ed all'ultima cena di Gesù.
Nè più difficil cosa sarebbe, ammessa per contrario la esattezza
della determinazione di tempo dato dai sinottici, lo imaginare in che
modo Giovanni potesse erroneamente fissar la morte di Gesù al po
meriggio del 14 di Nisan e la sua ultima cena alla sera del dì pre
cedente. Infatti non essendosi al Cristo crocifisso infrante le gambe,
il quarto Evangelista trovò in questa circostanza il compimento di
quelle parole di Mosè: Le sue ossa (dell'agnello pasquale) non saranno
infrante (2 Mos. 12, 46); il quale rapporto fra la morte di Gesù e
l'agnello pasquale potè indurlo a credere che Gesù fosse stato croci
fisso e fosse spirato nel tempo stesso in cui venivano immolati gli
agnelli di Pasqua, nel pomeriggio del 14 di Nisan s), e per conseguenza
che la cena della sera precedente non fosse stata la cena pasquale *).
D'ambo i lati pertanto non esiste una causa possibile di errore,
e la difficoltà intrinseca della determinazione di tempo data dai sinot
tici, la violazione ripetuta, cioè, del primo giorno di Pasqua, trova
sia una soluzione — fino a un certo segno — nelle osservazioni citate,
sia un contrappeso nella concordanza dei tre Evangelisti. Bisogna
dunque anzitutto riconoscere solamente la insolubile contraddizione dei
due racconti rispettivi; ma non bisogna avventurarsi a decidere da
qual lato sia la verità.
') Sieffert, 1. c. pag. 144 seg.; Liicke, 628 e seg. ; Theile, zur biogr .
Jesu, § 31; De Wette, Exeg. hanbd., 1, 3, pag. 149 seg., confr. Neander,
L. J. Chr., pag. 580 seg.
') Fritscbe, in Matth. pag. 763; Kern, Uber den Ursprung des Evang.
ISatth. in der Tubing Zeitf. 1834, 2, pag. 98.
*) Confr. Suicer, Thesaur., 2, pag. 613.
*) Un'altra opinione sul motivo dell'errore nel quarto Evangelo è
data dall'autore dei Probabil., pag. 100 e seg., confr. Weisse, die Evang.
Geschichte, 1, pag. 446 seg.
37C VITA DI GESÙ
§ 122.
') Olshausen, 1. c.
*) Sieffert, Uber den Ursprung, pag. 152.
CAPITOLO SECONDO. 379
capitolo, dopo la predizione del rinnegamento di Pietro: che il con
vito abbia avuto fine colla istituzione della cena, e che i discorsi che
seguono, dai 14, 1, venissero pronunciati da Gesù ancor in sala ed in
piedi, dopo ch'ei si fu alzato da tavola Ma Olshausen pare siasi
imagi nato, per trovare un punto di riposo fra il 13, 38 e 14, 1, che
le parole: Levatevi, partiamo di qui, proferite secondo lui, da Gesù
nello alzarsi da tavola, siano poste alla fine del terzo capitolo, mentre
in realtà non lo sono che alla fine del quarto. Nel luogo che noi esa
miniamo non v' è spazio per intercalarvi un atto quale la fondazione
della cena. Gesù aveva parlato della sua partenza per un luogo dove
i suoi non potrebbero seguirlo, e avea respinta l'offerta temeraria che
Pietro avea fatto della propria vita per il suo signore, predicendogli
il suo rinnegamento; ora, 14, 1 seg., egli calma di nuovo gli spiriti
commossi, li richiama alla fede ed agli effetti pieni di benedizione che
dalla sua morte nasceranno. Respinti dalla stretta connessione di quei
discorsi, altri interpreti, come Paulus, risalgono più addietro, e cre
dono trovare dopo la partenza del traditore, 13, 30, il posto più con
veniente alla intercalazione della cena, attesoché la partenza di Giuda,
il quale recavasi a compiere il suo tradimento, potè facilmente ride
stare in Gesù i pensieri di morte che formano il fondo della istituzione
della cena -). Ma la frase: È adesso che il figlio dell'uomo è stato glo
rificato, ecc. (v. 31), e le parole che Gesù dice più avanti (v. 33)
riguardo alla sua prossima cena, si riferiscono nel modo più diretto
alla uscita di Gesù: e questo è evidente, sia che riferiscasi, — come
fanno Lùcke ed altri, — sia che non riferiscasi il membro di frase:
Quando fu uscito, al membro di frase che segue: Gesù dice. Infatti,
significando sempre il verbo glorificare, nel quarto Evangelo, la glo
rificazione di Gesù a cui egli è condotto dalla sua passione, — l'allon
tanarsi dell'apostolo decaduto per andarne a coloro che recarono a
Gesù la passione e la morte, decideva della sua glorificazione e della
sua prossima dipartita. Essendo quindi il v. 31, 32, 33 intimamente
connessi al v. 30, si cerca trasportar la cena alquanto più avanti e
porla là dove questo concatenamento d'idee sembra aver fine. Infatti
Lùcke la pone tra il v. 33 e 34; dimodoché Gesù, dopo avere cal
mato, v. 31, 33, gli spiriti distratti ed atterriti dallo allontanarsi
del traditore ed averli preparati alla cena, rannoderebbe, v. 34 e seg.,
') Sieffert, pag. 153; Paulus ed Olshausen, su questo passo. Confr. per
contrario De Wette, 1,1, pag. 222, 1, 2, pag. 107.
») T. 1. § 83.
•) Ciò che dice l'autore dei Probab. pag. 70 seg., sull'origine di questo
aneddoto, la è una congettura dedotta troppo da lontano.
CAPITOLO SECONDO. 383
stesse che la loro rappresentazione simbolica doveva riferirsi ad un
pasto, e per motivi facili a imaginarsi, potè sembrare a Giovanni che
nessun altro meglio vi si convenisse dell'ultimo convito.
Dopo ciò, secondo la narrazione di Luca, Gesù dirige laparol a
agli apostoli come ad uomini che gli sono rimasti fedeli nella avver
sità, e in ricompensa promette loro ch'essi siederanno a banchetto
con lui nel suo regno e giudicheranno sopra dodici troni le dodici
tribù d'Israele (v. 28-30). Ciò non sembra si attagli al contesto di
una scena ov'egli aveva predetto all'un de'Dodici il tradimento imme
diatamente prima, all'altro il rinnegamento immediamente dopo, — e
neppure sembra appartenga ad un tempo in cui stavano appena per
incominciare le tentazioni propriamente dette, mtpaauai. Colla disposi
zione che un esame precedente ci additi nella scena riferita da Luca,
noi non possiamo quasi attribuire la intercalazione di quel frammento
di discorso ad altro che ad una associazione fortuita d'idee, per la quale,
la disputa di preminenza fra gli apostoli richiamò forse al narratore
il grado che Gesù aveva loro promesso, e il discorso sui servi e sui
convitati seduti a tavola ricordò gli scanni ch'egli aveva loro annun
ciati nel regno messiaco ').
Quanto al colloquio che segue, in cui Gesù dice figuratamente a'
suoi apostoli essere tempo oramai ch'essi si comperassero spade per
il tempo in cui verrebbero d'ogni parte assaliti, e dove quelli, inter
pretando tali parole in senso proprio, gli presentano due spade da essi
possedute, io preferisco a tutte le spiegazioni quella di Schleiermacher,
il quale opina che l'Evangelista abbia qui introdotto questo brano di
discorso per preparare il colpo di spada recato da Pietro nel racconto
che segue
Le altre differenze relative all'ultimo convito saranno esaminate
nel corso delle ricerche successive.
§ 123.
') .Comment. ùber die Geschichte des Leibens und Todes Jesu, su
questo passo.
3SS VITA DI GESÙ
dell'antica leggenda, il lasciare che si smarrisse la designazione più
precisa, ove Gesù l'avesse data realmente, il ridurla a una designa
zione più indeterminata e menomare di tal guisa il miracolo della
prescienza di Gesù ? Ben più conforme a tale spirito è la ipotesi con
traria : onde Matteo avrebbe allato al cenno preciso, non istorico ,
conservato anche il cenno indeterminato primitivo, mentre Giovanni
invt ce avrebbe tralasciato interamente quest' ultimo e conservato sol
tanto il primo.
Messo così da banda , siccome vaticinio posteriore all' evento ,
quanto si narra della indicazione personale che Gesù avrebbe data
del traditore, resta pur sempre ch'egli avrebbe in generale preveduto
e predetto il tradimento di uno fra i suoi discepoli e commensali. Ma
neppure questa semplice notizia va esente da difficoltà. Che Gesù
venisse da altri avvertito del tradimento che maturavasi nel circolo
slesso de' suoi più intimi, non risulta menomamente dai Vangeli:
solo sembrerebbe eh' egli abbia desunto dalle Scritture anche, codesta
peripezia. Gesù infatti ripetutamente dichiara che col tradimento a lai
sovrastante verrebbe ad adempirsi la profezia delle Scritture (Giov. 13,
18, 17, 12, confr. Matt. 26, 24 parali.) e, come tale cita nel quarto
Evangelo (13, 18) le parole del salmo, 41, 10: Colui che mangia con
me il pane, ha alzato il piede contro di me. Questo passo dei Salmi
si riferisce o agli amici infedeli di Davide, Achitofele e Me fi busete ,
o, se il Salmo non è di origine davidica, a persone incognite chetro-
vavansi nella stessa posizione rispetto al poeta i). Di un rapporto
messiaco evvi cosi poca traccia che persino Tholuck ed Oishausen
riconoscono come primitivo il senso testé da noi riferito. Vero è che.
al dir di quest'ultimo, nella sorte di Davide si sarebbe riflessa quella
del Messia ; e che, al dire del primo, Davide stesso avrebbe per diviDo
impulso adoperato sovente parole e frasi, le quali contenevano uno
speciale rapporto col destino di Gesù. Ma quando Tholuck aggiunge
che Davide stesso, nella sua ispirazione, non ha nè sempre né intera
mente compreso quel senso più recondito delle proprie frasi, — che é
questo mai se non il confessare che, riferendo que' passi al Cristo, si
diede loro tutl' altro senso da quello che il redattore vi aveva origi
nariamente attribuito? Che Gesù pertanto da questo passo dei Salmi
desumesse, prima dello evento e mediante una interpretazione natu
rale, sovrastare a lui stesso il tradimento di un amico, ella è cosa
§ 124.
più la ipotesi che in ogni tempo o per Io meno dal principio dell'età
matura, tutto, in Gesù fosse determinato e previsto, tale ipotesi, dico,
sembra annullare la verità della natura umana in lui. Quindi è che i
razionalisti , partendo da un punto opposto , sostengono non avere
Gesù mai concepito, prima della sera in questione, l'idea dell'atto
e del discorso simbolico che costituiscono la cena. Secondo questi
autori Gesù, alla vista del pane infranto e del vino versato, fu còlto
da un presentimento della sua morte prossima e violenta; egli vide
nel pane l'imagine del suo corpo che stava per essere crocifisso, nel
vino una imagine del suo sangue che stava per esser versato ; e in
presenza degli apostoli die sfogo a codesta impressione istantanea ').
Ma una impressione cosi funebre non poteva nascere in Gesù se non
in quanto la sua morte violenta gli fosse parsa imminente affatto. E
sembra eh' ei fosse di questo convinto colla maggior precisione, peroc
ché, al dire dei tre sinottici , egli assicurasse a' suoi apostoli eh' egli
più non avrebbe gustato del frutto del grappolo fino a tanto che non
ne avesse gustato di nuovo nel regno del padre suo. Non vi essendo
ragione alcuna di pensare ad un giuramento d' astinenza , ne segui
rebbe aver Gesù preveduto la propria fine per il più prossimo ter
mine di tempo. Ma in Luca prima di dare questa assicurazione riguardo
al vino , Gesù dichiara eh' egli non mangerà più la pasqua finché
tutto non sia compiuto nel regno di Dio. Si potrà dunque supporre
che, in origine , le parole frutto della vigna significassero non il
vino in generale, bensì in particolare la bevanda della festa di Pasqua;
opinione che trova pure appoggio nella frase di Matteo, il quale dice
non già il frutto della vigna, ma questo frutto della vigna. Gesù, rife
rendosi alle idee del suo tempo, parlò più di una volta di banchetti
nel regno messiaco ; e ben potè essere sua opinione che quivi il ban
chetto di Pasqua, in ispecie, dovesse venir celebrato con particolare
solennità. Ora, l' assicurazione eh' egli, Gesù , non più gusterebbe la
Pasqua in questo secolo, ma solo nel secolo futuro, — tale assicu
razione , dico , primieramente non significa, come nel caso, che qui
si parlasse in genere di mangiare e di bere, eh' egli dovesse perire
fra pochi giorni: ma solo significa che prima del lasso di un anno
il suo soggiorno in questo mondo antemessiaco sarebbe finito per
lui ; in secondo luogo poi , non è detto che tale mutamento dovesse
§ 125.
') Ullmann, siili' impeccabilità di Gesù, ne' suoi Studien, 1, pag. 61.
Hasert, ibid. 3, 1. pag. CO seg.
') Ullmann, 1. e.
s) Hasert, 1. e.
*) Lutero, nella predica sulla passione di Cristo nell' orto.
') Ambros., in Lue, t. 10, 56.
. *) In Matthai N. T., pag. 446.
*) Lightfoot, 1. e.
Sbaoss. V. di G. Voi. II. 26
402 VITI DI GESÙ
gevano con forza vie maggiore. In ragione del sospetto che destarono
in ogni tempo, come si notò più sopra, le pretese angelofanie, si volle
trovare, nell'angelo qui apparso, ora un uomo1), ora un simbolo
della calma che Gesù aveva racquistata 2). Ma il vero lato vulnera
bile della apparizione dell' angelo era indicato alla critica da una cir
costanza particolare, che cioè Luca è il solo che ne parli 3). Se, giu
sta la supposizione ordinaria, il primo ed il quarto Vangelo sono di
origine apostolica , perchè mai Matteo , che pure era anch' egli nel-
1' orto, serba il silenzio sulP angelo ? E perchè ne tace specialmente
Giovanni, egli, uno dei tre che trovavansi più accosto a Gesù? Si
dirà che, oppressi dal sonno, posti, in ogni modo, ad una certa distanza
e, per di più, nel fitto della notte, essi non potevano scorgere l'an
gelo? Ma allora, d'onde ne ebbe notizia Luca 4)? Si dirà che, non
avendo gli apostoli veduto co' propri occhi quella apparizione, Gesù
ne parlò ad essi in quella notte medesima? Li cosa è poco verosimile,
sia a motivo della preoccupazione eh' erasi impadronita degli spiriti
in quelle brevi ore, sia a motivo dello avvicinarsi di Giuda che segui
immediatamente il ritorno di Gesù presso gli Apostoli; parimenti egli
è poco verosimile ch'ei li abbia informati di quella apparizione durante
i giorni della risurrezione o che il fatto della apparizione venisse giu
dicato degno di memoria dal solo terzo Evangelista, al quale, in ogni
caso, non giunse che per intermediarj. Tutto quindi cospira contro il
carattere storico dell'apparizione angelica. E perchè non vi scorgeremmo
noi un mito come in tutte le apparizioni di simil genere, che il corso
della storia di Gesù, e specialmente la storia dell' infanzia , ci ha già
presentate? Già Gabler espresse l'opinione che, nella più antica società
cristiana, quel rapido passaggio dall' emozione più violenta alla rasse
gnazione più calma, notato in Gesù durante quella notte, venisse spie
gato collo intervento di un angelo fortificante, giusta il modo di vedere
degli Ebrei , e che tale spiegazione venisse poi frammista al racconto.
Schleiermacher dal suo canto crede più d' ogni altro accostarsi al vero
quando opina che a raffigurar quegli istanti, difficili per confessione
di Gesù medesimo, venissero composti inni in cui figuravano appari-
') Ube? cJen Lukas, pag. 288. Confr. De Wette, su questo passo e Theile,
Zur Biogr. Jesu, % 32. Neander anch' egli, col suo silenzio, sembra voglia
sacrificare questa particolarità e quella ebe segue.
*) Ancoratus, 31.
*) Vedi in Wetstein, pag. 807.
*) De purt. anim., 3, 15.
*) Vedi in Michaclis l'osservazione su questo passo, o Kuinoi, in
Lue. pag. 091 seg.
40 i VITA DI GESÙ
appajono in egual forma, del come gli apostoli, a distanza e durante
la notte, potessero notare le goccie sanguinose cadenti dal corpo di
Gesù. Per vero, Paulus pretende che il sudore non sia caduto; che
il participio cadenti si riferisca non al sudare, che quindi 1' Evangelo
non altro alibia voluto dire se non che la fronte di Gesù fu coperta
da un sudore denso e greve come goccie di sangue che cadono. Ma,
sia che dicasi . // sudore cadde a terra come goccie di sangue, ovvero:
// sudore era come goccie di sangue cadente a terra, inh'n dei conti
la è la stessa cosa. Ad ogni modo, il confronto di un sudore arre
statosi sulla fronte con del sangue che goccia per terra, saria fuor di
proposito, tanto più se dal confronto si dovesse ancora escludere,
oltre il cader per terra, il colore del sangue, e se fra le parole:
come goccie di sangue cadenti a terra, soltanto le parole come goccie
avessero un senso preciso. Prendiamo dunque, dacché non possiamo
nè comprendere né imagmare d'onde il redattore del terzo Evangelo
avrebbe avuto notizia di tal fatto, prendiamo dunque con Schleierma-
cher questo tratto come un semplice tratto poetico preso dall' Evan
gelista in senso storico, o piuttosto come un tratto mitico la cui origine
è facile a spiegarsi: perocché, essendo I' angoscia Dell' orto il preludio
de' patimenti di Gesù sulla croce, dovesse nascere desiderio di com
pletarne il quadro, raffigurando non solo la fase psicologica di quel
patimento nella afflizione, ma anco la fase fisica nel sudore di sangue.
Di fronte a queste particolarità che si trovano in Luca soltanto,
gli altri due sinottici hanno di proprio, come si disse, un doppio
numero tre, vale a dire: tre apostoli che vanno con Gesù, e le tre
volte eh' egli si allontana per pregare Se il primo tre non suscita
alcuna difficoltà speciale, non cosi è del secondo, che ha qualche cosa
di strano. Per vero, quell'andare e venire cosi inquieto, quell'allon-
tanarsi e quel ritornare così rapidamente alternato , si giudicarono
affatto conformi alla disposizione morale in cui Gesù trovavasi allora J);
cosi pure la ripetizione della preghiera fu giustamente riguardata
come una ripetizione naturale, come una sommissione sempre più
completa alla volontà del padre 2). Ma i due narratori contano le
andate di Gesù; parlano di una seconda volta, di una terza tolta:
ciò prova ch'essi attribuirono a quel numero tre, un interesse affatto
§ 126.
Rapporto dol quarto Evangelo colle scene di
Getsemani, — Discorso d' addio in questo
Evangelo e annuncio dell'arrivo dei Greci.
§ 127.
Arresto di Gesù.
Gesù avea dichiarato a' suoi discepoli aggravati dal sonno che
il traditore s' avvicinava in quel momento stesso : e le sue parole
immediatamente si verificano , poiché , mentr' egli ancor parlava
(Matt. 26, 47 parali.; confr. Giov. \8, 3), ecco arrivar Giuda con una
forza armata. Questa schiera, al dir dei sinottici, era inviata dai gran
sacerdoti e dagli anziani; anzi, secondo Luca, condotta dagli ufficiali
della Guardia del Tempio ; in conseguenza esso era probabilmente un
distaccamento dei soldati del Tempio; e sembra vi si fosse aggiunta
inoltre una folla tumultuosa , come può congetturasi dalla parola
folla, e dai bastoni, di cui era armata una parte. In Giovanni, oltre ai
servi dei grandi sacerdoti e dei farisei, si fa menzione della compa
gnia, e del capitano, senza alcun cenno di una forza armata tumul
tuante ; sembrerebbe, dietro questo racconto, che le autorità giudaiche
avessero chiesto l' appoggio di un distaccamento romano l).
Conf. anche Schiller, Werk, 16 Bd. pag. 382 seg. 384 : Ersch e Gruber,
Encyclopoedie, 7 Bd. pag. 452 seg. Ma simili inesattezze nel campo della
storia moderna non ponno sorprenderci da parte di un uomo che altrove
(Glaubucùrdigkeit, pag. 437) del duca d' Orleans, padre di Luigi Filippo,
fa il fratello di Luigi XVI. Colui che sa, come il Dr. Tholuck, cose di
tante sorta, come potrebbe esser tenuto a saper tutto con esattezza cosi
scrupolosa!
CAPITOLO TERZO. 423
quando dice ad uno de' suoi apostoli: Pensi tu forse ch'io non potrei
ora pregare il padre mio, il quale di presente mi manderebbe più di
dodici legioni di angeli? (26, 53).
Qui il redattore del quarto Evangelo assai poco giudiziosamente
riferisce, alla cura che Gesù si prese perchè con lui non fosse arre
stato alcuno de' suoi discepoli, una frase in cui Gesù dichiara non
aver perduto alcuno di coloro che Dio gli avea confidati; frase dallo
Evangelista stesso precedentemente riferita (17, 12) con più ragione
alla salvezza spirituale de' suoi discepoli. Tranne questa differenza, i
quattro Evangelisti si accordano nel dire che nel momento in cui i
soldati posero le mani sopra Gesù, uno de! suoi aderenti trasse la
spada e tagliò l'orecchia a un servo del gran sacerdote: atto che
fu da Gesù disapprovato. Ma Luca e Giovanni hanno ciascheduno
una circostanza particolare. Astrazion fatta dalla notizia comune ad
ambedue e taciuta da Matteo e da Marco , che cioè 1' orecchia recisa
fu l'orecchia destra, Giovanni non solo designa col suo nome il ser
vitore ferito, ma osserva inoltre che l'autore di quel colpo fu l'apo
stolo Pietro. In diverse guise cercarono gli interpreti spiegare il perchè
non sia ne' sinottici fatto cenno di Pietro, Gli uni opinarono ne aves
sero quegli Evangelisti taciuto il nome, per non compromettere l'apo
stolo che viveva ancora all'epoca della redazione dei loro Vangeli '):
ma la è questa una di quelle finzioni d'una falsa esegesi prammatica,
ornai cadute giustamente in disuso. Altri dissero esser costume di que
gli Evangelisti trascurare per lo più i nomi -): e difatii questa osser
vazione nella sua generalità si verifica più d'una volta in Matteo, il
quale non curasi di nominar persone oscure e insignificanti, come un
Jairo, un Bartimeo: ma che il vero Matteo, od anche solo la tradi
zione evangelica volgare, abbia così precocemente cancellato il nome
di un Pietro da un aneddoto a lui relativo, e che cosi bene afface-
vasi alla parte di questo apostolo, la è cosa difficile a credersi. Anzi
di gran lunga più concepibile mi parrebbe la ipotesi contraria: che
cioè l'aneddoto corresse originariamente in giro senza designazione
di nome (e perchè non avrebbe potuto anche uno fra i men noti
aderenti di Gesù, il cui nome fosse perciò caduto prestamente in
oblio — perocché non è detto nei sinottici ch'ei debba assoluta
mente essere uno dei dodici — perchè non avrebbe potuto, dico,
§ 128.
') L. e
') Matteo, il quale non dice che la testa venisse bendata, sembra
intendere la domanda ironica, rivolta a Gesù, nel senso eh' ei dovesse
designare col loro nome le persone che lo maltrattavano, le quali egli
bene scorgeva, ma non conosceva però. Confr. De Wette su questo passo.
432 VITA DI GESÙ
dello stesso profeta, una profezia relativa al Messia *) ; e però la con
cordanza dell' avvenimento con quei passi profetici sarebbe stata o il
risultato d' un calcolo umano o mera casualità. Né i servi né i soldati
avranno avuto, coi loro maltrattamenti, intenzione di compiere profezie
riguardanti la persona di Gesù, né egli stesso avrà avuto l'ostenta
zione di tacersi per un simile motivo ; ma non per questo si può
con sicurezza attribuire al puro caso una coincidenza, la quale, come
dice Olshausen, discende fino ai particolari. Per quanto verosimile sia,
anche secondo il costume brutale di quell' epoca, che Gesù prigioniero
venisse maltrattato, e maltrattato nel modo che riferiscono i sinottici,
non si può tuttavia negare, essere le loro relazioni modellate sopra
profezie, le quali furono riferite a Gesù dal momento eh' egli apparve
quale Messia paziente e maltrattato. Cosi pure, per quanto s'addica
al carattere di Gesù l' avere pazientemente sofferti que' mali tratta
menti, e opposto un nobile silenzio a sconvenienti domande, certo è che
gli Evangelisti non avrebbero indicato questa circostanza le tante volte,
e con tanto interesse -), se loro non fosse importato di mostrare con
ciò adempite le profezie dell'Antico Testamento.
§ 129.
Rinnegamento di Pietro.
vi 1 Voi., § 74.
Stbaoss. V. di G. Voi. II. 28
434 VITA. DI GESÙ
vanni lo dice in piedi; da questo però non segue, fosse opinione di
Giovanni che un simil fuoco venisse acceso anche nella corte del gran
sacerdote allora regnante; giacché egli non parla di un fuoco simile
che in casa di Anna, secondo la ipotesi da noi accettata finora. Euti
mie opina che le dimore di Anna e di Caifa avessero una corte co
mune e che per tal modo Pietro, dopo che Gesù fu condotto dal
primo al secondo, potesse rimanersi accanto al medesimo fuoco. Quegli,
a cui una simile ipotesi sembri troppo artificiosa, ammetterà piuttosto
che il secondo ed il terzo rinnegamento avessero luogo, secondo Gio
vanni, non già dopo , ma durante il trasferimento di Gesù da Anna
a Caifa ^). Lorchè adunque, si suppone narrato in Giovanni un inter
rogatorio dinanzi ad Anna, la differenza tra gli Evangeli, riguardo al
luogo ove accade il rinnegamento, è totale; dal che partendo, gli uni
si decisero in favor di Giovanni e dissero : che gli apostoli disporsi
avevano avuto soltanto informazioni scucite su quelle scene; che
Pietro non nativo di Gerusalemme, non aveva neppur saputo in qual
palazzo egli fosse entrato per sua disgrazia; che a lui e, dopo di lui,
ai primi Evangelisti, era parso avessero i rinnegamenti avuto luogo
nella corte di Caifa, errore rettificato da Giovanni, il quale conosceva
meglio la città ed il palazzo del gran sacerdote -). Ma quando pure
si ammettesse, per ipotesi, impossibile che Pietro si fosse a torto ima-
ginato d'aver rinnegato Gesù nel palazzo di Caifa, Giovanni il quale
in quei giorni fu sempre a fianco di Pietro, lo avrebbe di certo av
vertito dell'errore, e questo non avrebbe potuto prendere consistenza
in lui. Si potrebbe quindi tentare la ipotesi inversa , cercando dar
ragione ai sinottici a spese del quarto Evangelista, se noi non avessimo
già risolta questa apparente contraddizione nel paragrafo che precede,
ove abbiam veduto che Giovanni, dopo aver solamente menzionato il
trasferimento di Gesù dinanzi ad Anna, parla, dal v. 15 in poi, di ciò
che accadde nel palazzo di Caifa.
Quanto ai diversi rinnegamenti, tutti gli Evangelisti s'accordano
nel dire ch'essi furono tre, giusta la predizione di Gesù; ma variano
tra di loro, nella descrizione che ce ne danno. Esaminiam dapprima
quanto si riferisce ai luoghi e alle persone. Secondo Giovanni, il primo
rinnegamento ha luogo sin dall'ingresso di Pietro nel palazzo, dinanzi
l
CAPITOLO TERZO. 435
a nna portinaia (v. 17); secondo i sinottici, solo nella corte interna;
dinanzi a una fantesca e mentre Pietro stavasi seduto accanto al fuoco
(Matt. v. 69 seg. e parali.). Il secondo rinnegamento ha luogo vicino
al fuoco secondo Giovanni (v. 25) ed anche secondo Luca, il quale,
per lo meno, non accenna ad alcun mutamento di posizione (v. 58),
in Matteo, invece, (v. 71) ed in Marco (v. 68 seg), ha luogo dopo
l' ingresso di Pietro nell' antiporta ; secondo Giovanni dinanzi a
molti individui, secondo Luca dinanzi ad un solo, secondo Matteo
dinanzi ad un' altra fantesca , e secondo Marco dinanzi a quella
stossa che Io aveva indotto a rinnegare la prima volta. Il terzo rin
negamento succede parimente nell'antiporto, secondo Alatteo e Mirco,
i quali non indicano verun mutamento di luogo dal secondo rinnega
mento al terzo; secondo Luca e Giovanni, che neppur essi accennano
a mutamento di luogo, esso accade ancora, senza dubio, nel cortile
interno, vicino al fuoco; in Matteo ed in Marco dinanzi a molti astanti,
in Luca dinanzi ad un solo, in Giovanni dinanzi ad un parente del
servo ferito nell'orto. Quanto alle parole che furono scambiate in queste
occasioni, le une si dirigono ora a Pietro stesso, ora agli astanti per
richiamare l'attenzione su di lui. Le due prime volte, esse significano,
piuttosto uniformente, sembrare anch' egli uno dei seguaci di colui
ch'era stato poco prima arrestato; la terza volta, secondo i sinottici,
gli astanti motivano i loro sospetti contro Pietro dal suo parlar galileo;
secondo Giovanni, il parente di Malco pretende riconoscerlo per averlo
veduto nel giardino. Da questi due modi di argomentare il primo
sembra altrettanto naturale, quanto artificiale il secondo; avendosi
ragione di supporre che l'interlocutore venga appositamente designato
quale parente di Malco, acciò fosse chiaro nel racconto che Pietro era
l'autore del colpo di spada '). Le risposte di Pietro presentano an
ch'esse alcune divergenze: secondo Matteo, egli giura fin dal secondo
rinnegamento; secondo Marco, soltanto al terzo; secondo gli altri due,
ei non ricorre a giuramento alcuno. In Matteo evvi una gradazione:
perocché la terza volta al giuramento Pietro aggiunga le imprecazioni:
il che, a raffronto degli altri Evangelisti, appare esagerazione e
nuJJa più.
Intercalare gli uni negli altri codesti rinnegamenti, narrati in così
diverse maniere, per modo che sopra nessuno degli Evangelisti cadesse
l'accusa d'aver dato un racconto nonché erroneo, semplicemente ine-
§ 130.
') Thesaurus.
*) Grotius.
') Heinsius.
') Perizontus.
•) Cosi recano la Volgata ed Erasmo. Vedi, contro tutte queste spie
gazioni, Kuinol, in Matth., pag. 743 seg.
CAPITOLO TERZO. 4Ì1
giorni di Giuda. Alcuni interpreti già antichi separarono I' un dal
l' altro questi atti per modo da scorgere, neWimpiccamento, un tenta
tivo fallito di suicidio, al quale Giuda sfuggi, sia per l' incubazione del
ramo d'albero a cui voleva appiccarsi, sia per qualunque jrltra causa,
fino a che più tardi la vendetta del cielo lo colse , facendolo caliere
in un precipizio '). Ma siccome Matteo adopera evidentemente il verbo
impiccossi, coli' intenzione di narrare la fine del traditore, cosi, in
questi ultimi tempi, si raccostarono maggiormente i due atti fra cui
supponesi diviso il racconto, in Matteo e nella storia degli Apostoli ; —
e si ammise che Giuda avesse tentato appiccarsi ad un albero sopra
un' altura, ma che, spezzatasi la corda od il ramo, ei venisse travolto
sino al fondo della vallata, sopra roccie acute ed arbusti spinosi, che
lo posero in brani :'). Ma già il redattore d'una memoria sul destino
finale di Giuda nella Biblioteca di Schmidt'2) trovò singolare la fedeltà
con cui i due narratori si sarebbero, secondo questa ipotesi, condiviso
il racconto di tal morte ; però che qui non trattisi di un racconto
forse meno preciso nell'uno, più preciso nell'altro; ambedue si espri
mono con precisione; solo che l'uno racconta la prima parte del
l'avvenimento senza ia seconda, l'altro la seconda senza la prima; ed
Hase afferma a ragione che ciascuno di essi non conobbe se non
quanto raccontò, poiché altrimenti nò l'uno né l'altro lasciato avrebbe
da banda una metà del fatto 4).
Dopo aver veduto per tal guisa fallire contro la prima diver
genza i tentativi di conciliazione, ci resta a chiedere se la seconda ,
riguardante la compera del terreno, sia più facile a levarsi. Essa con
siste in questo: secondo Matteo, sono i membri del sinedrio che
dopo il suicidio di Giuda comperano, col danaro da lui lasciato, un
campo (il campo di un vasajo, indicazione che manca negli Atti degli
') Oecumeniii3, sugli Atti degli Apostoli, 1: Giuda non mori per-
V impiccamento, egli sopravisse staccalo dal capestro prima di essere
soffocato. Conf. Teofllatto, sopra Matteo.
*) Cosi dicono, secondo Casaubonus, Paulus, 3, b. pag. 457; Kuinol,
in ìtlatth. 717 seg.; Winer, Bibl. lì. icórterb. art. Judas ; e con un semi
assenso Olshausen, '2, pag. 455 seg. Fritsclic stesso , stanco senza dubio
della lunga via da lui percorsa fino a questi ultimi capitoli di Matteo,
si dichiara soddisfatto di tale conciliazione e sostiene che, per tal guisa,
i due racconti concordano amicissime.
») 2 Band, 2 Sttlck, 248.
4) L. /., § 132, Confr. Theile, sur Biogr. Jesu, § 38.
442 VITA DI GESÙ
Apostoli); secondo gli Atti degli Apostoli, invece Giuda stesso com
pera il campo e vien quivi colpito da subita morte. Indi il podere
sembra prendesse nome di campo o terra del sangue, secondo gli
Atti degli Apostoli , perchè quivi fu sparso il sangue del traditore;
secondo Matteo perchè il danaro che servi a comperarlo era prezzo
del sangue di Gesù. Qui le espressioni di Matteo sono precise così
da non lasciar luogo a sottilità di sorta in favor dell'altro racconto;
per contrario, il verbo procurossi, negli Atti degli Apostoli, indusse L
teologi a volgerne il senso a favor di Matteo. Il passo degli Alti degli
Apostoli — fu detto — significa che col prezzo del tradimento Giuda
comperò un campo; lo comperò non direttamente ma indirettamente,
poiché la restituzione da lui fatta del danaro fa per il sinedrio, o
per l'utilità comune1). Ma, per quanti passi si possano citare in cui
il verbo miiàai ha il significato di comperar per un altro, bisogna
almeno necessariamente, in simil caso, che l'altra persona, per la quale
si compera , venga indicata sia in modo diretto , sia per allusione:
e se questo non è come nel passo degli Atti degli Apostoli, il verbo
conserva il suo primo significato che è quello di comperar per sé
stesso 9). Ben lo comprese Paulus , e però spiegò la cosa in diverso
modo: essendo stato Giuda (egli disse), colla sua orribile caduta in
una cava d' argilla, causa che quel terreno fosse venduto ai membri
del sinedrio, Pietro ben potè dire ironicamente ch'egli erasi acqui
stato, anche morendo, un bel podere colla caduta del suo corpo 5). Ma,
da un lato, questa spiegazione appare in sé stessa contorta; d'altro
lato la frase dei salmi che il Pietro degli Atti degli Apostoli cita
alquanto più innanzi : Che la sua abitazione divenga deserta, ci mostra
eh' egli immaginavasi il podere siccome vera proprietà di Giuda, cui
la vendetta divina aveva resa deserta dopo la morte di lui.
Né I' una né V altra adunque di queste differenze è suscettibile
di conciliazione : ond' è che Salmasio ha già riconosciuto l'esistenza
di una divergenza reale fra i due racconti, ed Hase, senza compro
mettere l'origine apostolica d' entrambi quei dati, crede poter spiegare
la contraddizione, adducendo la emozione violenta di que' giorni, in
mezzo a cui solo constava generalmente il suicidio di Giuda: quanto
poi al genere di morte, corsero in proposito diverse voci , alle quali
') In Miinter, Fragm. Patr., 1, pag. IT seg. Il passo, del resto, somi
glia assai a quello di Ecumenio, ed anzi in alcuni punti lo esagera. « Ciò
è narrato più esattamente da Papias, discepolo di Giovanni. Egli cosisi
esprime nel quarto libro della sua spiegazione dei discorsi del Signore:
Giuda fu in questo mondo un granile esempio per la empietà ; poiché
egli divenne rigonfio nella sua carne che né il suo corpo, e nemmeno
la sua testa col volume che aveva preso, potevano passare là dove
passava facilmente un carro. Le sue palpebre, dicesi, erano così tumefatte
ch'egli non poteva veder la luce, ei suoi occhi non si potevano neppur
vedere mediante lo strumento del medico, ecc. Dopo aver sofferto tor
menti e punizioni assai, egli morì, dicesi, sul proprio campo, ecc. »
CAPITOLO TERZO. 449
una caduta in un precipizio provenisse da una applicazione del vers. 23
del salmo 68, ov' è detto: Che la loro tavola divenga.... una pietra
a" inciampo.
Egli è pertanto gran che se noi possiam constatare, per tacere
del resto, la verità storica di una morte violenta di Giuda innanzi tempo
accaduta. Se, com'era naturale dopo la sua uscita dalla compagnia di
Gesù, egli rientrò agli occhi di questa in una oscurità dove si perdette
la conoscenza storica del suo destino ulteriore, la leggenda cristiana
potè senza ostacolo porre a carico della sua persona il compimento
delle minacce cui le profezie ed i tipi dell'Antico Testamento facevano
pesare sull'amico infedele di Davide e potè persino collegare la memoria
del suo misfatto ad un luogo impuro , noto nei dintorni di Gerusa
lemme ').
§ 131.
') Confr. De Wette, Exeg. handb. 1, pag. 231 seg. 1, 4, pag. 10 seg.
*) Questo modo di procedere sarebbe stato illegale, secondo Babyl.
Sanhedrin , in Lightfoot , pag. 480 , ovo è detto : J uditici de capilalibus
finiunl eodem die, si sint ad absolv.tionem ; si vero sint ad damnatio-
nem, finiuntur die sequente.
') Oltre la frase di Giovanni: Non è permesso mettere a morte alcuno,
tale stato di cose sembra indicato eziandio da una oscura tradizione ,
sulla spiegazione della quale variarono gli interpreti, Avoda Zara, f. 8, 2
(Lightfoot, pag. 1123 seg.): Rabh Cahna dicit, cum wgrolaret R. Ismael
bar Jose , miserimi ad eum , dicentes : Die nobis , o Domine , duo aut
Strauss. V. di G. Voi. II. 29
430 VITA DI GESÙ
desiderare l' intervento dei Romani, poiché solo l'autorità di questi
poteva porli al sicuro da una insurrezione nel popolo, di cui esso
temeva lo scoppio in occasione della esecuzione di Gesù durante la
festa (Matt. 26, 5 parali.)
Giunti nel pretorio, i Giudei, al dire del quarto Evangelo , per
tema di contrarre una macchia levitica, rimasero di fuori; ma Gesù
fu condotto nell'interno dell'edificio, dimodoché Pilato era costretto
alternativamente ad uscire quando voleva parlar eòi Giudei e a rien
trare quando interrogava Gesù (18, 28 seg). I sinottici, nel corso dei
loro racconti, pongono Gesù con Pilato e coi Giudei in un solo e
medesimo locale, poiché, secondo essi, Gesù ode direttamente le ac
cuse dei Giudei e vi risponde dinanzi a Pilato. Essi riferiscono, al
par di Giovanni, che la condanna ebbe luogo all'aperto; poi aggiun
gono che Gesù fu condotto al pretorio (Matt. 27 , 27); e cosi in
Matteo, v. 19, che in Giovanni, 19, 13, Pilato sale la tribuna, che al
dir di Giuseppe *) era collocata all'aria aperta. Siccome essi non indi
cano, riguardo all'interrogatorio, alcun cambiamento di luogo, cosi è
a presumersi ch'essi immaginino il tutto accaduto su questo piano
anteriore: solo che, a differenza di Giovanni, essi collocano quivi
anche Gesù.
Secondo tutti gli Evangeli , la prima domanda di Pilato a Gesù
fu la seguente: Sei tu il re de" Giudei, vale a dire il Messia?
Nei due primi Evangelisti questa domanda non è preceduta da
alcun reclamo dei Giudei (Matt. v. 11; Marc. v. 2); in Giovanni, in
vece, Pilato, esce dal pretorio e domanda ai Giudei quali siano i loro
gravami contro Gesù (18, 29); al che essi gli rispondono arrogante
mente : Se guest' uomo non fosse colpevole noi non te l'avremmo con-
tria , linea aliquando dixisti nobis nomine patris tui. Dicit iis.... qua-
draginta annis ante excidium templi migravit Synedrium et sedit in
tabernis. Quid sibi vult hecc traditio? Rabh Isaac, bar Abdimi, dicit:
Non judicarunt judicia mulctativa. Dicit R. Nachman bar Isaac: Ne
dicat,qvod non judicarunt judicia mulctativa, sed qitod non judicarunt
judicia capitalia. Confr. la notizia di Giuseppe, Antiq. 20, 9, 1, che non
era permesso ad Anania (il gran sacerdote) di radunare il sinedrio
senza la volontà del procuratore. L'esecuzione di Stefano avvenuta senza
il concorso dei Romani (Act. Ap.l) potrebbe sembrare un. argomento in
contrario; ma fu quella una esecuzione fatta a tumulto di popolo, e
probabilmente nella fiducia dell'assenza di Pilato. Confr. in prop. Lucke, 2,
pag. 631 seg. Tholuck, Glaubwùrdigkcit, pag. 030 seg.
') De bello Jud., 2, 9, 3.
CAPITOLO TERZO. 48
segnato; linguaggio acconcio non già ad ottenere nel modo più pronto
dal governatore romano la conferma della loro sentenza, ma solo ad
inasprirlo J). Ma Pilato, con singolare bonarietà e pensando proba
bilmente che non si trattasse di un delitto punibile a morte, replica
ai Giudei eh' essi stessi lo possono prendere e giudicare secondo le
loro leggi; e obiettatagli da questi la loro incompetenza all'esecuzione
di pene capitali , egli rientra allora nel pretorio e volge a Gesù la
precisa domanda: S'egli sia il re de' Giudei; domanda che qui eziandio
non si accorda gran fatto con quanto precede. Solo in Luca siffatta
domanda appare motivata : perocché egli anzitutto riferisca le accuse
dei membri del sinedrio contro a Gesù , che cioè egli suscitava a
tumulto il popolo e lo eccitava a rifiutare il tributo a Cesare, dicen
dosi egli stesso il Cristo, il re (23, 2).
Se per tal guisa si concepisce, nel Vangelo di Luca, come Pilato
potesse rivolgere tosto a Gesù la domanda: Sei tu il re dei Giudei?
si concepisce però meno, in questo stesso Evangelo, come mai,
dietro la risposta affermativa di Gesù, Pilato potesse dichiarare, sen
z'altro, agli accusatori ch'egli non trovava nell'accusato delitto alcuno.
Egli doveva per lo meno, prima di pronunziare la sua dichiarazione :
Non trovo in quest'uomo alcun delitto, esaminare il fondamento o la
falsità dell'accusa di mene sediziose e intendersi con Gesù intorno al
senso che questi attribuiva alla qualificazione di re dei Giudei. In
Matteo ed in Marco, la risposta affermativa di Gesù, esser egli re dei
Giudei, è seguita dal di lui silenzio — onde Pilato stupisce — din
nanzi le accuse accumulate dai membri del sinedrio ; ivi non trovasi
neppure una precisa dichiarazione di Pilato sull' innocenza di Gesù ,
ma solo è fatto cenno di un tentativo del procuratore per rimettere
in libertà Gesù , ponendolo in lance con Barabba, — senza però che
questi Evangelisti ci additino per qual motivo il governatore si indu
cesse a tal passo. Codesto punto invece appare sufficientemente chiaro
nel quarto Evangelo. Alla domanda di Pilato — S'egli sia veramente il
re dei Giudei — Gesù, risponde con un'altra domanda — Se Pilato, cioè,
gli muova quella interrogazione per proprio impulso o per suggestione
altrui. — Per vero, dee sembrar strano che un accusato si faccia lecita
una simile domanda, per quanto innocente egli sentasi : laonde fu ten
tata ogni via per dare a queste parole un senso più sopportabile. Ma
la domanda di Gesù è troppo precisa perchè scorgere vi si possa un
Fritzche, Paulus su questo passo e Baur nella sua Memoria sul signi
ficato primitivo della festa di Pasqua ecc. in Tùb. Zeitsch. fv.r Theol,
1832, 1, pag. 94.
*) Secondo una particolare lezione, il nome completo di quest'uomo
era 'hooxa B /.paftJa : cosa che noi qui notiamo solo perché Olshausen
l'ha trovata notevole. Siccome Barabba significa propriamente figlio del
padre, Olshausen esclama: Tutto ciò ch'era essenziale nel Redentore,
appare come caricatura nell'assassino. Ed egli trova applicabile qui il
verso latino : Ludit in humanis divina potentia rebus. In questa osser
vazione di Olshausen noi non possiamo vedere che un lusus humatuc
impotentioe.
*) Nel Vangelo di Nicodemo e negli scrittori posteriori di storia
ecclesiastica, essa si chiama Procula. Confr. in proposito Thilo , Coi.
Apocr. N. T., pag. 522; Paulus, Exeg. handb. 3, b., pag. 640 seg.
*) Cap. 2, pag. 520 in Thilo.
CAPITOLO TERZO. 457
Matteo, fu certamente pensiero del narratore che anche questo sogno
fosse accaduto non senza la volontà divina: vuoisi quindi trovare un
motivo ed uno scopo di simile emanazione Se il sogno era realmente
destinato ad impedire la morte di Gesù, si dovrebbe dal punto di
vista ortodosso che riguarda questa morte siccome necessaria alla
felicità del genere umano venirne alla congettura di alcuni antichi cui
parve potesse essere benissimo il diavolo che mandato avesse quel
sogno alla moglie del governatore per impedire la morte espiatoria *).
Se poi il sogno in realtà non mirava ad impedire la morte di Gesù,
lo scopo di esso non potea riferirsi che a Pilato od alla moglie di
lui. Ma un avvertimento giunto così tardi non potea che aggravare
la colpa di Pilato, senza punto giovare a ritrarlo da un passo per
metà compiuto; quanto poi alla conversione della moglie, operata,
secondo che diversi ammisero *), da quel sogno, noi non ne abbiamo
notizia alcuna, e d'altronde siffatto scopo non appare menomamente
espresso nel racconto. Il fatto è, che come la figura di Pilato nella
narrazione evangelica, era già presentata in modo da opporre il giu
dizio imparziale di un pagano all'odio cieco dei compatriotti di Gesù,
così ora anche la moglie di lui vien tratta in scena ed attesta in favor
di Gesù affinchè la voce di una debole donna si unisca a quella dei
fanciulli e dei poppanti (Matt. 21, 46) nel preparargli una lode di
tanto maggior peso in quanto era dettata da un sogno significante. Più
si citano — per render questo verosimile — esempi nella storia pro
fana di sogni inquietanti che preludiarono e precedettero catastrofi
sanguinose s), e più si è indotti a sopportare che qui, come nella
maggior parte di quei casi, il sogno di cui si tratta venisse inven
tato dopo lo avvenimento, per aumentare l'effetto tragico di questo.
Alla interrogazione ripetuta di Pilato i Giudei rispondono recla
mando con veemenza ed insistenza la liberazione di Barabba e la cro
cifissione di Gesù. I due Evangelisti intermediari riferiscono che Pilato
§ 132.
Crocifissione.
') Così dicono Paulus, Kuinol, Tholuck ed Olshausen, nei loro Comm.;
Neander, L. J. Chr., pag. 638.
*) Fritzsche, in Marc.GSi: Significai Johannes Jesum siuim crucem
portavisse donec ad Calvario? locum pervenisset.
!) Giuseppe, Antiq., 14, 7, 2.
*) Grotius, prò; Olshausen, contra, 2, pag. 481.
CAPITOLO TERZO. 46$
') Confr. anche Bleek, Comm. zum hebràerbrief, 2, pag. 312, Anm.;
De Wette, Exeg. handb. 1, 3, pag. 198.
*) KuinOl, in Lue, pag. 710.
") Olshausen, pag. 484 ; Neander, pag. 637.
470 VITI DI GESÙ
presa anche la frase : Egli fu posto nel novero degli scellerati, si legge :
Egli ha pregato per i peccatori ; frase che i LXX a torto traducono :
fu consegnato per i loro peccati, ma che già il Targum di Jonathan
ha interpretato per: prò peccatis (dovrebb' esse peccatoribus) depre-
catus est.
Tutti gli Evangelisti concordano nel dire che, con Gesù, vennero
crocifissi due malfattori — da Matteo e Marco chiamati ladri — e
che la croce di lui trovavasi posta nel mezzo. Marco, se pure il suo
ventottesimo verso non,è interpolato, scorge in ciò l'adempimento
letterale del passo d'Isaia: Egli fu posto nel novero degli scellerati,
passo che fin dalla sera precedente Gesù aveva citato siccome una
profezia che si doveva compiere nella sua persona. Giovanni non ci
racconta nulla della condotta ulteriore di questi individui crocifissi
con Gesù; i due primi sinottici narrano ch'essi proruppero contro
Gesù in insulti (Matt. 27, 44, Marco 15, 32); ma Luca dice che uno
solo si permise queste ingiurie e eh" egli fu rimproverato dall' altro
(23, 39 seg.). Per conciliare questa dissidenza si suppone dagli inter
preti che i due malfattori avessero senza dubio in sulle prime ingiu
riato entrambi Gesù, ma che le tenebre straordinarie sopravvenute
mutarono la disposizione d'animo d'uno di essi '). Commentatori più
moderni indicarono una enallage di numero -). Ma è certo che
quelli soltanto colsero nel vero i quali ammisero una reale diver
genza fra. Luca e i due Evangelisti che lo precedono3). Evidente
mente i due primi Evangelisti non ebbero alcuna notizia dei par
ticolari riferiti da Luca sulla condotta dei due crocifissi riguardo a
Gesù. Luca difatti ci narra che, avendo uno dei due malfattori invitato
per derisione Gesù, sVgli era realmente il Messia, a liberare sé stesso
ìnsiem con loro, l' altro lo rimproverò forte di una simile derisione
contro un uomo innocente, del quale egli, colpevole, condivideva il
destino, e pregò Gesù si ricordasse di lui quando fosse per venir
nel suo regno ; dietro di che, Gesù gli promette che in quel giorno
stesso egli sarebbe seco in paradiso. Questa scena a prima giunta
non presenta altre difficoltà se non l'allocuzione del secondo indivì
duo crocifisso con Gesù; e, di vero, perchè aspettar si potesse che un
») Crisostomo ed altri.
') Beza e Grozio.
•) Paulus, pag. 763; Winer, K. T. Gramm., pag. 149: Fritsche, in
Matth. pag. 817.
CAPITOLO TERZO. 471
uomo appeso alla croce fosse un di per venire a fondar il regno
messiaco, abbisognava tutto il sistema di Messia morente, sistema
che gli apostoli, prima della risurrezione, non compresero e che
quindi un ladro avrebbe compreso prima di loro. La cosa è talmente
inverosimile che non è meraviglia se molti pretesero scorgere un mira
colo nella conversione del ladro crocifisso1): spiegazione la quale
diviene più inverosimile ancora quando i commentatori ricorrono
all'ipotesi che quell' uomo fosse non già un reo comune, ma un reo
di delitto politico e forse uno dei complici in seduzione di Barabba 2).
Giacché, s'egli era un Israelita disposto alla rivolta e che voleva
liberare i suoi compatrioti dal giogo romano, certo egli doveva essere,
per la sua idea del Messia, più che mai lontano dal riconoscere come
tale un uomo politicamente annichilito , come Gesù in quel punto
era. Eccoci dunque alla domanda se sia questa una storia vera o non
piuttosto una creazione della leggenda. Due malfattori erano stati
crocifissi con Gesù — questo, e nulla più, aveva senza dubio fornito
la storia (od anche senza la storia, la profezia d' [saia, 53, 12?). Essi
erano sospesi allato a lui , personaggi muti come li vediamo nel
quarto Evangelo, al quale, nel circolo in cui formossi , era giunta la
semplice notizia della loro crocifissione con Gesù. Ma, a lungo andare,
era impossibile che la leggenda li lasciasse cosi oziosi : essa aperse
loro la bocca, e siccome del resto non aveva a riferire che ingiurie
da parte degli astanti, essa fece entrare anche i due malfattori in quel
concerto di derisioni e di scherni verso Gesù: e ciò sulle prime,
senza dir quali fossero i loro discorsi (Matteo e Marco). Ma i due
crocifissi potevano essere meglio impiegati. Se un Pilato aveva reso
testimonianza per Gesù, se, subito dopo, un centurione romano e per
fino la natura tutta , prodigiosamente sconvolta , attestarono in suo
favore , i suoi due compagni di patimenti, benché malfattori, non
saranno rimasti inaccessibili all' impressione della sua grandezza ; se
l'uno di essi, secondo la forma primitiva della leggenda, proruppe in
ingiurie, l'altro si sarà espresso nel senso opposto ed avrà attestato
la sua fede in Gesù qual Messia (Luca). Da questo punto la sua allocu-
') Vedi Thilo, Cod. apocr. 1, pag. 143. Più ampie informazioni sui
due crocifissi assieme a Gesù si trovano nell' Evangelium infantici: ara~
bicum, e. 23, in Thilo, pag 92 seg.; confr. l'osservazione p. 143, nel Van
gelo di Nicodemo, e. 9, 10; Thilo, pag. 581 seg., e. 26, pag. 760 seg.
*) Paulus e KuinOI, su questo passo.
472 TITA DI GESÙ
zione a Gesù e la risposta di quest' ultimo appajono pienamente con
formi alla maniera eroica di pensare e di parlare, giacche, secondo le
idee di allora, il paradiso era quella parte del mondo sotterraneo che
riceveva le anime pie nell' intervallo fra la morte e la risurrezione.
L'Israelita domanda a Dio, e qui al Messia, un posto nel paradiso e
un ricordo di grazia nel secolo futuro '): e riguardo ad un uomo di
pietà esemplare credevasi ch'ei potesse introdurre seco in paradiso
colui eh' era stato presente all' ora della sua morte ■)
Alla croce di Gesù venne affissa, secondo l'uso romano3) una
iscrizione, (Marco, Luca, Giov.) esponente la causa della sua con
danna (Matteo, Marco) : e, al dire di tutti gli Evangelisti, tal causa
era espressa colle parole: il re de' Giudei. Luca e Giovanni riferiscono
che questa iscrizione era in tre lingue, e l'ultimo aggiunge che le
autorità giudaiche, ben sentendo la derisione contenuta in quello scritto
contro la nazione loro, pregarono, ma invano, Pilato di cambiarla
(v. 21 seg.).
I soldati che avevano crocifisso Gesù, e il cui numero è fissato
a quattro da Giovanni, si divisero a sorte, secondo che narrano tutti
gli Evangelisti, gli abiti di lui. Conformemente alla legge romana dei
bonis damnatorum *), i capi di vestiario dei giustiziati appartenevano
siccome spoglie (spolia) agli esecutori della sentenza, ed in ciò la
notizia degli Evangelisti ha un punto d'appoggio storico, ma, come
la maggior parte dei particolari di quest'ultima scena della vita di
Gesù, essa ha anche un punto d' appoggio profetico. Vero è che la
citazione del passo del salmo 22, 19 in Matteo è senza alcun dubbio
una interpolazione; ma la stessa citazione ci appare incontestabilmente
autentica in Giovanni, 19, 24. Eccola: Affinchè fosse adempiuta la
Scrittura, che dice : Essi si divisero tra di loro i miei abiti e gettarono
la sorte sul mio vestimento. Qui pure i commentatori ortodossi assi
curano che l'autore del salmo, Davide , guidato da una ispirazione
') Per es. Theile, zur Biographie Jesu, § 36. Anm. 13.
*) I commentatori osservano, a tale riguardo, che la veste del gra«
sacerdote giudaico era fatta anch'essa in questo modo. Giuseppe, A.n-
tiq., 3, 7, 4. L' autore dei Probabilia ha già emesso un' opinione analoga
sulla differenza in questione.
CAPITOLO TERZO. 475
interpretò quel preteso passo profetico del salmo, e meno esso sembra
informato ad una sicura nozione storica ; onde non possiamo sapere
se, nella divisione degli abiti di Gesù, venisse impiegata la sorte,
e neppure se una divisione di abiti avesse avuto realmente luogo
a piedi della croce di Gesù, qualunque sia la sicurezza colla quale Giu
stino invoca, per questa particolarità appunto , gli Atti di Pilato,
eh' egli non aveva mai veduti ').
Giovanni nulla ci dice del contegno dei Giudei che assistettero
alla cruci fissione di Gesù. In Luca, il popolo si sta ad osservare tale
spettacolo; soli però i capi e i soldati insultano a Gesù invitandolo
a salvarsi s'egli è davvero il Messia: al che vuoisi aggiungere che i
soldati gli offrono , per derisione , dell' aceto (v. 35 seg.). Matteo e
Marco non fanno cenno del motteggiar dei soldati ; ma, oltre ai grandi
sacerdoti, agli scribi e agli anziani, essi fanno ancor pronunciare ai
passanti ingiurie contro Gesù (v. 39 seg., 29 seg.).
Le espressioni di questa gente si riferiscono sia a discorsi, sia
ad atti anteriori di Gesù; il frizzo: Tu che distruggi il Tempio e che
in tre giorni lo ricostruisci , salva te slesso , si riferisce al discorso
analogo che veniva attribuito a Gesù; e il rimprovero: Egli ha sal
vato gli altri e non può salvare sé stesso , oppure salvi sé stesso
(Matt., Marco, Luca), si riferisce alle sue guarigioni. In parte però il
contegno de' Giudei verso il Crocifisso è modellato sul medesimo salmo,
di cui Tertulliano dice , a ragione , eh' esso racchiude in sé tutta la
passione del Cristo (totam Christi passionem) 4). Infatti la frase di
Matteo e di Marco: E quelli che passavano di là l'ingiuriavano e gli
dicevano scuotendo la testa....; e la frase di Luca: E i capi insiem coi
soldati si beffavano di lui, altro senza dubio non sono che il v. 8
del salmo, dove si legge: Tutti quelli che mi vedevano si beffavano
di me, parlando fra le labbra e scotendo il capo. Le parole che Matteo
attribuisce ai membri del sinedrio: Egli si affida in Dio; se dunque
Dio lo ama, ch'ei lo liberi adesso, sono esattamente le stesse di quelle
del versetto successivo del medesimo salmo: Egli ha sperato nel
Signore; se dunque il Signore lo ama, che lo liberi, che lo salvi. Senza
dubio quei motteggi , quel tentennar di testa dei nemici di Gesù ,
ponno aver avuto realmente luogo , sebbene la descrizione di essi
sia modellata sur un passo dell'Antico Testamento ; ma non è cosi
') Calvino, Comm, in harm. cv. in Matt. 27, 46. Olshausen, su questo
passo.
*) Così Paulus, Gratz, su questo passo; Schleierniacher, 2, pag. 154
Anm.
CAPITOLO TERZO. 479
ferite quelle parole del salmo che accennavano alla più profonda affli
zione ; laddove, invece del primo verso, egli avria piuttosto dovuto
citarne uno dal decimo al dodicesimo, o dal ventesimo sino alla fine.
Se poi con quella esclamazione egli intendeva solo dar sfogo a' pro-
prii sentimenti, certo ei non avrebbe scelto quel verso, a meno che
la impressione sotto la quale ei trovavasi fosse realmente da quel
verso e non dai successivi manifestata. Ma se tale era il suo senti
mento vero , e provocato (astrazion fatta dalle spiegazioni del sovra-
naturalismo) dalla calamità esterna che in quel momento lo colpiva :
certo allora dee parer strano che colui il quale (come gli Evangelisti
riferiscono di Gesù) aveva da lungo tempo accolto la pissione e la
morte qnal parte del suo ideale messiaco, e però dipendenti entrambe
da predisposizione divina , costui , dico , riguardasse lo avverarsi di
quelle siccome segno dello abbandono di Dio: e più naturale assai
ci parrebbe il supporre che Gesù , in quella fase sfortunata del suo
destino scorgesse deluse molte speranze da lui prima nutrite e però
si reputasse da Dio abbandonato nella esecuzione del proprio piano ').
Ma a congetturo siffatte uopo sarebbe il ricorrere solo allora che
quella esclamazione di Gesù apparisse storicamente fondata. A tale
riguardo, per vero, il silenzio di Luca e di Giovanni non ci farebbe
imbarazzo cosi da dover ricorrere a spiegazioni come questa: che
Giovanni tacque la esclamazione, per non dare appiglio alla opinione
gnostica, secondo la quale l'Eon non soggetto a patire aveva già in
quel momento abbandonato Gesù -). Ma ben ci sembra tale da pro
vocar dubii sul valore storico di questa particolarità, il rapporto delle
parole di Gesù col salmo 22. Dal momento, infatti, che il Messia
venne concepito quale paziente e che in quel salmo si scòrse un tipo
della sua passione (e non era bisogno per questo che Gesù sulla
croce ne avesse realmente citato qualche passo), le prime parole del
salmo esprimenti il sentimento del più profondo patire, dovettero sem
brare singolarmente acconcie ad essere poste in bocca di Gesù cro
cifisso. Ciò ne suggerirebbe eziandio una spiegazione delle parole
derisorie degli astanti che seguono l' esclamazione di Gesù ■"): Egli
di veder fra i tuoni comparire Elia. Ma noi vediamo che uno degli
astanti, il quale voleva dar da bere a Gesù, ne è impedito sotto il pre
testo di vedere se Elia verrà a liberarlo, — e questo pretesto manife
stamente non è che una derisione; per conseguenza il fremito e il
tremito non appartengono che alla disposizione estrascientitìca dei com
mentatore biblico, la quale gli fa scorgere nella storia della passione
un mistero tremendo, mysterium tremendum, come gli ha già fatto sco
prire in Pilato una profondità di cui gli Evangelisti non attribuiscono
neppur l'ombra a quel Romano.
') Confr. Credner, Einleit. in das N. T., 1, pag. 198.
CAPITOLO TERZO. 481
ch'ei gli attribuisce, facendogli così annunciare col motto; Tutto è
compiuto, il compimento dell'opera sua, ovvero il compimento di tutte
le profezie, a parte ben inteso ciò che rimaneva a compiersi dopo la
risurrezione.
Non soltanto però quest'ultime parole, ma le precedenti eziandio
da Gesù proferite in sulla croce, sono tali che riesce impossibile inter
calarle le une nell'altre, come generalmente si suol fare. Si contano
d'ordinario sette parole di Gesù sulla croce : ma nessuno dei singoli
Evangelisti, tante ne riferisce. I due primi ne hanno una sola: il grido,
mio Dio, mio Dio, perchè mi hai abbandonato? Luca ne ha tre: la
preghiera per i nemici, la promessa al ladro crocifisso e la consegna
dello spirito nelle mani del Padre. Giovanni parimente ne ha tre, ma
diverse: il discorso alla madre ed all'apostolo; la parola, ho sete; e
la parola. Tutto è compiuto. Vero è che la preghiera pei nemici, la
promessa al ladro e la raccomandazione di sua madre a Giovanni si
potrebbero concepire in quest'ordine di successione , ma già la escla
mazione: ho sete, e l'altra: Mio Dio, mio Dio, ecc., si fanno impaccio
a vicenda , essendo ambedue seguite da un medesimo atto , l'offerta
cioè dell'aceto mediante una spugna posta in cima ad un bastone.
Aggiungasi a questa la complicazione del grido, tutto è compiuto, colla
preghiera finale : Padre, nelle tue mani, ecc. ecc., e si dovrà pur com
prendere e confessare che nessun Evangelista nelle parole che egli
attribuisce a Gesù sulla croce ha tenuto conto delle parole attribuitegli
dall'altro né tampoco ne ha avuto notizia; lungi da ciò, ciascuno de
scrive questa scena a suo modo secondo la idea ch'egli stesso, oppur
la leggenda cui attinse se n'erano fatta, in base a questa od a quella
profezia o ad altra considerazione qualunque.
Anche il calcolo delle ore suscitò qui una difficoltà particolare.
Secondo tutti i sinottici, le tenebre regnarono dall'ora sesta sino al-
fora nona (giusta il nostro modo di contare da mezzogiorno sino
alle tre). Secondo Matteo e Marco, fu verso l'ora nona (tre ore pome
ridiane) che Gesù lamentossi di essere abbandonato da Dio e rese
subito dopo Io spirito. Marco pone la crocifissione di Gesù all'ora
terza (nove ore del mattino) (v. 25). Secondo Giovanni invece (19, 14)
fu verso la sesta ora — quando cioè, secondo Marco, Gesù trovavasi
da tre ore sospeso alla croce — che Pilato cominciò a giudicarlo.
A meno che il quadrante non abbia indietreggiato come al tempo di
Ezechia, la è questa una contradizione cui non vale a togliere né il
mutar violentemente la lezione né lo invocare la congiunzione come
Strauss. V. di G. Voi. II. 51
482 VITA DI GKSÒ
adoperata in Giovanni nè lo addurre la incapacità degli Apostoli ad
osservare esattamente l'ora in mezzo ad espressioni cosi dolorose.
Tutt'al più la si potrebbe risolvere ove si riuscisse a dimostrare che
il quarto Evangelo conta le ore diversamente dagli altri ')•
"-«fc
CAPITOLO QUARTO.
.§ 133.
») Echa R. 3, 28.
*) R. Bechai Cod. Hakkema: Cum insignis Rabbinus fato concederei,
dixit quidam: Iste dies gravis est Israèli, ut cum sol occidit ipse me
ridie.
*) Succa, f. 29, 1: DLverunt doclores: quatuor de causis sol deficit:
prima, ob patrem domus judicii mortuum cui cxsequicc non fiunt ut
decet, eie.
*) Vedi Frit8che su questo passo; confr. anche De Wette, Exeg. handb.,
1,1, pag. 238; Theile, zur Biographie Jesu, § 36.
*) Hieron. ad Hedibd. ep. 149, 8 (confr. Comm. su questo passo): In
evangelio autem , quod hebraicis literis scriptum est , legimus non
velum templi scissum, sed superliminare templi mirar magnitudini*
r.orruisse.
486 VITA DI GESÙ
colta rimarrebbe la stessa, a meno che non si volesse fare, con Kuinòl,
una seconda tesi , vale a dire che la tenda era vecchia , e che usa
lieve scossa bastò quindi a lacerarla. Comunque sia, gli Evangelisti
non pensarono per ombra ad un simile ordine di cause; prova ne è
che il secondo ed il terzo non parlano di terremoto, e che il primo
ne parla solo dopo la rottura della cortina. Dunque, se vuoisi che
quest'avvenimento abbia avuto veramente luogo, è d'uopo conservarne
il carattere miracoloso; la divinità, producendolo, non avrebbe potuto
avere altro scopo fuorché quello di scolpire fortemente nello spirito
degli Ebrei contemporanei l'impressione dell'importanza della morte
di Gesù e di fornire ai primi predicatori del Vangelo qualche arma
di cui servirsi nelle loro argumentazioni. Ma , come fece osservare
Schleiermacher, nessun cenno di tale avvenimento riscontrasi nel resto
del Nuovo Testamento, sia nelle epistole apostoliche, sia negli Atti
degli Apostoli, sia nell'epistola degli Ebrei, il cui autore dovea pure
necessariamente trovarlo sul suo cammino; salvo l'arida notizia dei
sinottici, ogni traccia di quell'avvenimento è smarrita: il che non
avrebbe potuto essere , ove realmente gli Apostoli vi avessero avuto
un punto d'appoggio per le loro argumentazioni. Bisognerebbe, dunque
ammettere che la Divinità non avesse conseguito lo scopo ch'essa ri-
promettevasi nel produrre quel miracolo. Ora, ciò è contraditorio;
epperò essa non può aver fatto il miracolo per questo scopo: ma
dacché non può imaginarsi né un diverso scopo al miracolo né una
naturale produzione dell'evento, è forza conchiudere che l'evento stesso
non ebbe luogo. È bensi vero che nell'epistola agli Ebrei, trovasi,
per altra guisa , un rapporto particolare tra Gesù e la cortina del
Tempio. Mentre, prima del Cristo, è detto in questa lettera, i sacer
doti soltanto entravano nel santuario, mentre il solo gran sacerdote
aveva accesso, una volta all'anno, nel Santo dei santi col sangue del
l'espiazione, il Cristo, in qualità di gran sacerdote eterno, è entrato,
per mezzo del suo proprio sangue, dentro della cortina, nel Santo dei
santi del cielo; con ciò egli è divenuto il precursore dei cristiani, ne
ha aperto anche a loro ingresso ed ha fondato una redenzione eterna,
(6, 19, seg.; 9, 6 12; 10, 19, seg.). Queste metafore son indicate da
Paulus stesso talmente affini al nostro racconto ch'egli trova possibile
annoverarle fra quelle favole le quali, giusta il programma di Henkc,
vogliono considerarsi come aventi loro origine dallo stile figurato ');
') La stessa possibilità è ammessa da Neander, ma sotto la suppo
sizione di una qualunque base di fatto (pag. 640 seg.)
CAPITOLO QUARTO. 487
ed egli aggiunge che per lo meno il laceramento della cortina, sup
posto ch'esso sia realmente avvenuto, ebbe un' importanza particolare
agli occhi dei cristiani in causa del significato simbolico che vi si
intravedeva e che aveva analogia con le metafore dell'epistola agli
Ebrei: vale a dire che, con la morte di Cristo, il velo del culto giu
daico era stato squarciato, e che a ciascuno era stato aperto, senza
sacerdote, l'accesso a Dio per l'adorazione in ispirito. Ma se , come
fu dimostrato, la verosimiglianza istorica dell'avvenimento in discorso
è siffattamente debole; se, per contrario, le condizioni che poterono
determinare la formazione del racconto senza fondamento storico sono
così potenti, egli è più conseguente l'abbandonare, con Schleiermacher,
il carattere storico della narrazione; riflettendo, come dice questo teo
logo, che al primo presentarsi dei meriti di Cristo sotto le imagini
che dominano nell'epistola agli Ebrei, ai primi passi verso questa dot
trina, alla prima ammessione dei pagani non obbligati al culto giu
daico e per conseguenza non partecipi delle espiazioni giudaiche, sif
fatte idee dovettero necessariamente entrare negli inni cristiani (e nei
racconti evangelici
La seguente frase : la terra tremò , le rupi si spaccarono , non
può essere giudicata che nella sua connessione con quanto precede.
Un terremoto che fende le roccie non è un fenomeno naturale inau
dito ; non di rado anch'esso fu adoperato come ornamento poetico o
mitico della morte di qualche personaggio illustre: gli è così che
Virgilio racconta che, alla morte di Cesare, non solamente il sole si
oscurò , ma le alpi eziandio furono agitate da movimenti insoliti
Ora, siccome noi non abbiam potuto concepire che da quest'ultimo
punto di vista i prodigi antecedenti, e siccome l'essere inoltre Matteo
il solo che parli del terremoto e dello scoscendimento delle rupi, è
indizio sfavorevole alla realtà storica di questi fenomeni , cosi, anche
di questi noi non possiamo formarci altra idea tranne quella espressa
da Fritzsche: Messìa? obilum atrocibus oxtentis quibus quantus vir
futura maxime expirasset, orbi terrarum indicaretur , illustrem esse
oportebat 8)
') Uber den Lukas , pag. 293: confr. De Wette, Exeg. handb. 1,1,
pag. 240.
*) Georg. 1, 463 seg.
s) Quando Hase, § 433 scrive : La terra tremò nel suo dolore per
maggior de' suoi figli , ben si scorge come lo storico, volendo conser
vare a questa particolarità il carattere di storia, divenga involonta-
■
488 VITI DI GESÙ
L' ultimo dei prodigi operati alla morte di Gesù , e che esso
pure trovasi soltanto nel primo Vangelo, è 1' apertura dei sepolcri ,
1' uscita di molti defunti e la loro comparsa in Gerusalemme. Gli è
particolarmente difficile il formarsi un'idea di tali cose. Già conside
rando questo prodigio in sé stesso , non si vede chiaro né che cosa
fosse di questi santi ') dell' antica storia degli Ebrei dopo tale risur
rezione 2), né quale potesse essere lo scopo di un miracolo cosi straor
dinario •"). Questo scopo, certo, non risiedeva negli stessi risuscitati,
percchè non si saprebbe imaginare per qual motivo essi siano
risorti tutti precisamente al momento della morte di Gesù, e non già
ciascuno nel momento determinato dal processo del proprio sviluppo
morale. Se, al contrario, tale risurrezione avea per iscopo di convin
cere altrui , tale risultato sarebbe stato ancor meno raggiunto con
questo miracolo che coll'altro della cortina lacerata ; imperocché non
solamente le epistole ed i discorsi degli Apostoli non contengono alcuna
allusione a codesta apparizione di santi, ma tra gli Evangelisti mede
simi , Matteo è il solo che ne faccia menzione. Una difficoltà affatto
speciale è creata dal collocamento singolare del membro di frase,
Dopo la risurrezione di Gesù, frammezzo a circostanze di fatto che
sembrano collegarsi I' una coll'altra. Giacché, o questo membro di
frase si riferisce a ciò che precede, e allora i pii personaggi defunti
furono solo richiamati a vita al momento della morte di Gesù e
non uscirono dai sepolcri che dopo la sua risurrezione ; ma questo
sarebbe stato un tormento per dannati, anziché un premio per dei
§ 134.
Il colpo di lancia, nel costato di Gesù.
!) Winer, l. c.
4) Confr. 1 dati analoghi di un anatomista in De Wette su questo
passo. Tholuck, 1. c.
CAPITOLO QUANTO. 497
§ 135.
Seppellimento di Gesù.
§ 136.
') MichaSIis, I. c.
*) Olshausen perde di vista questa particolarità quando dice (1. e.
che la guardia non avea ricevuto ordine di porre ostacolo alla imbal
samazione del corpo di Gesù.
CAPITOLO QUARTO. 501)
ammettiamo pure che Matteo non abbia fatto che passare sotto silen
zio cotesta particolarità nella sua narrazione sommaria. Più strano
è che i guardiani siansi prestati così facilmente ad una menzogna
assai pericolosa col rigore della disciplina romana, cioè che il sonno
avea fatto loro trascurare il loro servizio, tanto più che stante il mal
animo del procuratore verso al sinedrio , essi non potevano sapere
sino a qual punto avrebbe loro giovato l'intercessione che prometteva
loro quel corpo. Ma ciò che riesce sopratutto inconcepibile è il con
tegno che si attribuisce ai membri del sinedrio. A dir vero, allorché
l'autore dei Frammenti dice che in giorno di sabbato essi non pote
vano nè andar a trovare il governatore pagano nè macchiarsi presso
un sepolcro nè collocare una guardia, egli pone la difficoltà sulla punta
di un ago; ma nel fatto è impossibile ch'essi siansi comportati nel
modo che di essi si narra, allorquando la guardia che veniva dal se
polcro annunziò loro la risurrezione di Gesù. Eglino prestan fede al
dire dei soldati, i quali dichiarano essere Gesù miracolosamente uscito
dal suo sepolcro. Come mai il gran consiglio , eh' era in gran parte
composto di Saducei , avrebbe creduto ad un simile racconto? I Fa
risei stessi, che in tesi ammettevano la possibilità della risurrezione ,
non potevano, stante la poco buona opinione che avevano di Gesù, es-.
sere disposti a credere ch'egli fosse risuscitato, tanto più che quella
dichiarazione in bocca dei guardiani ch'erano fuggiti, rassomigliava
ad una menzogna inventata pQr giustificare una mancanza al servizio.
I veri membri del sinedrio ad una simile dichiarazione dei soldati
avrian dovuto rispondere con collera: Yoi mentite, voi avete dormito,
voi avete lasciato involare il corpo, ma voi pagherete cara la vostra
negligenza tosto che il procuratore avrà ordinata una inchiesta. In
luogo di ciò sono essi che pregano i soldati di mentire e di dir che
hanno dormito e lasciato involare il corpo; e d;mno loro inoltre una
grossa somma di danaro in premio della loro menzogna, promettendo
di scusarli presso il procuratore. Si vede che questo linguaggio ò
dettato onninamente dalla supposizione cristiana della realtà della ri
surrezione; supposizione che intieramente a torto si attribuisce ai
membri del sinedrio. Evvi ancora in questa una difficoltà rilevata non
solo dall'autore dei Frammenti, ma riconosciuta persino dai commen
tatori ortodossi e sta nel supporre che il sinedrio abbia risoluto,
in un' assemblea regolare , dietro una formale deliberazione , di cor-
i) Hase, L. J, § 145.
J512 VITA DI GESÙ
vano vedalo nulla in causa del sonno in cui erano immersi, essi non
orano più testimoni: solo per induzione si potè giungere a pensare
che il corpo fosse stato involato ; ma a questo si poteva giungere
egualmente senza la finzione di questa guardia. Per conseguenza la
particolarità della guardia non può aver appartenuto al fondo ebraico
della leggenda che noi qui esaminiamo; la voce sparsa fra i Giudei
consisteva, come dice anche il nostro testo , unicamente in ciò, che
i discepoli avevano involato il corpo. Desiderando i cristiani respin
gere questa calunnia, si compose fra essi la leggenda d'una guardia
al sepolcro di Gesù, e da indi in poi poterono essi rispondere ardi
tamente a tale calunnia colla domanda : Come mai il corpo sarebb'egli
stato involato dappoiché voi avevate posta una guardia al sepolcro e
suggellatone la pietra? E siccome una leggenda , come abbiamo noi
stessi provato nel corso delle nostre indagini, non è dimostrata com
pletamente finta sino a che non si riesca a far vedere in che modo
essa abbia potuto formarsi, ancorché senza motivo storico, cosi da
parte dei cristiani si cercò pure, stabilendo il preteso stato di cose,
d'indicare in pari tempo la formazione della falsa leggenda, collo attri
buire la menzogna sparsa da' Giudei ad una suggestione del sinedrio
ed alla corruzione da esso praticata sopra le guardie. Laonde la verità
sta appunto nel contrario di quanto afferma Hase, che cioè la leggenda
sia nata senza dubbio fra gli amici di Gesù e venisse modificata dai
suoi nemici. Gli amici non ebbero motivo d'imaginare una guardia,
se non in quanto i nemici avevano prima parlato di un furto *).
§ 137.
Prima notizia della risurrezione.
') Confr. Tlieile , zur Biographie Jesu , Jj 87; Weisse , die Evang.
Gt'schichte, 2, pag. 343 scg.
CAPITOLO QUARTO. 513
ai conciliatori ed agli apologisti senza che finora sia intervenuto alcun
accordo soddisfacente fra le due parti contendenti ').
Nelle divergenze relative alla storia della sepoltura, facciamo astra
zione della differenza intorno allo scopo che avevano le donne an
dando al sepolcro, il quale scopo, secondo i due Evangelisti interme-
diarii, si era d'imbalsamare il corpo di Gesù, e, secondo gli altri due,
di fare una semplice visita al sepolcro. Noi troviamo anzitutto le dis
crepanze più svariate riguardo al numero delle donne che fecero
quella visita. Secondo Luca, esse sono in gran numero indetcrminato.
Egli non solo vi a nnovera quelle ch'ei designa come venute dalla Ga
lilea con Gesù (23, 25), e delle quali nomina (24, 10) Maria Madda
lena, Giovanna e Maria di Giacomo, ma aggiunge che alcune altre
erari con esse, (24, i). In Marco vi hanno solamente tre donne: fra
esse, due di quelle nominate da Luca, ma la terza è Salome, in luogo
di Giovanna (16, I). Matteo non ha questa terza donna, su cui diffe
riscono i due Evangelisti intermediarii, ma ha soltanto le due Marie,
intorno alle quali Marco e Luca concordano (28, 1). Finalmente Gio
vanni non ha che una sola di queste due, Maria Maddalena (20, 1).
Il tempo in cui le donne si recano al sepolcro non è nemmen
esso determinato in guisa completamente-uniformc. In fatti, se la frase
di Matteo: Essendo finito il giorno di sabbato, e cominciando appena
a rispondere il primo dell'altra settimana, non costituisce una diffe
renza -), non è mcn vero che la frase di Marco: Essendo sorto il sole,
è in contradizione colla frase di Giovanni: Durando ancora l'oscurità,
e con quella di Luca : Di buon mattino.
Lo stato in cui le donne scòrsero a prima giunta il sepolcro, può
sembrare oggetto d'una divergenza fra Matteo e gli altri tre. Secondo
questi ultimi, appressandosi e gettando gli occhi sul sepolcro, le donne
videro la pietra già levata da una mano sconosciuta: al contrario, il
racconto del primo Evangelista, parve a molti significare che le donne
erano state esse stesse testimoni del rimovimento della pietra per
mezzo di un angelo.
Più svariale sono le divergenze relative a quel che videro le
donne in appresso ed ai sentimenti eh' esse provarono sul luogo del
sepolcro. Secondo Luca, esse discendono nella tomba, non vi trovano
') È ciò che dice r autore di una memoria nella Biblioteca univer
sale di Eichhorn , 8, pag. 629 seg. , e nella Biblioteca di Schmidt,2,
pag. 545 seg. Anche Bauer, Mitologia ebraica, 2, pag. 259.
') Paulus, Manuale d'Eseg. 3, 6, pag. 529, 55, 60, 62.
TV.». 25
CAPITOLO QUA&TO. 527
ignoti perfino agli Apostoli : gli uomini veduti presso il sepolcro sa
ranno stati gli stessi di quelli eh' ebbero con lui un colloquio nella
cosi detta storia della risurrezione, forse Esseni che areano l'abitu
dine di vestirsi di bianco, e così via — con tutte l'altre supposizioni
di simil genere che ripetono la loro origine dal sistema di realtà
istoriche d'un Bahrdt e di un Venturini, e che sono oggimai passate
di moda. Ovvero si amerà meglio supporre un evento puramente
fortuito ? o si lascerà infine con Paulus la cosa in un'oscurità d'onde,
non appena vi si voglia recar qualche luce, escono sempre di nuovo
le figure dei compagni segreti? Poniamo da un canto tutte queste
ipotesi ; un retto giudizio riconoscerà, anche stavolta, una produzione
di idee giudaiche in questi angeli mercè cui la primitiva tradizione
cristiana credette dover adornare la risurrezione del suo Messia.
Siffatta spiegazione risolve in pari tempo nel modo meno arti
ficiale tutte le difficoltà suscitate dalle discrepanze relative al numero
ed al modo di apparizione di questi esseri sopranaturali *). Oa essa
risulta inoltre che il metodo, di elezione è insufficiente al paro del
metodo d'intercalazione: ond' è forza riconoscere che i quattro rac
conti evangelici di questo primo annunzio della risurrezione altro
non sono che racconti tradizionali -).
§ 138.
che Gesù ebbe eli mira per le sue apparizioni dopo la risurrezione.
I due primi Vangeli riferiscono che Gesti, prima ancora della sua
morte, disse agli Apostoli mentre nvviavasi al monte degli ulivi:
Quand'io sarò risorto, vi precederò in Galilea (\\a\t. 26, 32; Marc. 14,
28). La stessa assicurazione è fatta alle donne nel mattino della risur
rezione dall'angolo, il quale soggiunge: Voi lo vedrete colà (Matt. 28,
7 ; Marc. 16, 7). In Matteo, oltre tutto ciò, Gesù medesimo incarica
le donne di dire agli Apostoli: Che essi vadano in Galilea, ch'essi lo
vedranno colà, (28, 10). Infatti Matteo narra tosto la partenza degli
Apostoli per la Galilea e l'apparizione ch'ivi ebbero di Gesù (l'unica,
per riguardo agli Apostoli, di cui sia cenno in questo Vangelo). Marco-,
dopo di aver descritta la confusione in cui l'apparizione degli angeli
avea gettate le donne, si interrompe in un modo enigmatico, già
indicato più sopra, ed aggiunge, a mo' d'appendice, alcune appari
zioni di Gesù che devono considerarsi come avvenute in Gerusalemme
e nei dintorni ; imperocché nessun cambiamento di luogo è indicato
fra la prima, la quale, seguendo immediatamente la risurrezione, de
v'essere supposta necessariamente in Gerusalemme, e la seconda; e
oltre ciò , manca ogni connessione fra esse e il precedente invito a
recarsi in Galilea. Su tale invito tace afflitto Giovanni; egli riferisce
che Gesù apparve apli Apostoli , a Gerusalemme, la sera del giorno
della risurrezione ed otto giorni dopo ; ma nell'Appendice che forma
P ultimo capitolo trovasi la descrizione d' una apparizione sulla riva
del lago di Galilea. In Luca, al contrario, non solo non troviamo
alcun cenno d' una apparizione in Galilea , non solo Gerusalemme e
i suoi dintorni formano il teatro esclusivo delle cristofanie riferite da
questo Vangelo; che anzi Gesù, essendo apparso in Gerusalemme
agli Apostoli radunati la sera dopo la risurrezione, così ad essi pre
scrive: Fermatevi in Gerusalemme , finché siate rivestiti della virtù
dall'alto (24, 29), (lo che negli Atti degli Apostoli è espresso in modo
vieppiù formale colla costruzione negativa: Di non partire da Geru
salemme, 1, 4). Qui ci si presentano due diverse domande: 1.° Come
può egli Gesù ordinare agli Apostoli di portarsi in Galilea, e in pari
tempo ingiunger loro di soffermarsi in Gerusalemme sino alla Pente
coste? 2.° Come può egli prometter loro di mostrarsi ad essi in Ga
lilea , se era sua intenzione di comparir loro lo stesso giorno a Ge
rusalemme e ne' dintorni?
La prima di queste contradizioni, la quale a prima giunta ri
scontrasi fra Matteo e Luca , non è stata dimostrata da nessuno in
CAPITOLO 01 ARTO. ."29
modo così incisivo come dall' autore dei Frammenti di Wolfenbiit-
tei. Se è vero , egli dice , ciò che racconta Luca , vale a dire , che
sino dal primo giorno della risurrezione Gesù mostrossi agli Apo
stoli in Gerusalemme, e ordinò loro di rimanervi e di non abbandonare
questa città sino a Pentecoste, gli è falso ch'egli abbia loro coman
dato di recarsi nel medesimo tempo alle estremità della Galilea, per
quivi apparir loro, e viceversa '). I conciliatori hanno mostrato di con
siderare questa obiezione come di poco rilievo ed hanno brevemente
osservato che l' ingiunzione di rimanere in una città non significa
già che vi si debba rimanere inchiodati, e non esclude le escursioni
ed i viaggi limitrofi; che Gesù avea voluto solamente vietare, sino a
quel termine , agli Apostoli di trasferir fuori di Gerusalemme il loro
domicilio e di andare a predicare il Vangelo in tutte le parti del
mondo -). Ma il viaggio da Gerusalemme in Galilea non era già una
escursione; era, al contrario, il tragitto più lungo che un ebreo po
tesse fare nell'interno del paese; nemmeno esso era per gli Apostoli
un viaggio finitimo; era, all'incontro, un viaggio di ritorno nella
patria loro. Con quella ingiunzione Gesù non può avere inteso di
proibire agli Apostoli che si recassero a predicare il Vangelo in tutte
le parti del mondo, imperocché prima dell'effusione dello spirito,
eglino non sentirono alcun impulso a ciò; e nemmeno può aver in
teso di vietare il trasferimento della loro residenza fuori di Gerusa
lemme , imperocché essi non si trovavano quivi che di passaggio
come viaggiatori visitanti la festa: ma l'intenzione di Gesù dev'essere
stata quella, di vietar loro un viaggio eh' era per essi la cosa più
naturale, vale a dire il ritorno nella Galilea , loro patria, terminati i
giorni di solennità. Inoltre (ed è un punto questo intorno a cui lo
stesso Michaèlis confessa il proprio stupore), se Luca non intende di
escludere , colla ingiunzione di Gesù , il viaggio in Galilea , perche
non fa egli alcun motto di cotesto viaggio? E così pure se Matteo
sapeva che l'invito a recarsi in Galilea (ond'è cenno nel suo Vangelo,
era compatibile con l'ordine di restare nella capitale, perchè ha egli
passalo sotto silenzio questo comando in una a tutte le apparizioni av
venute in Gerusalemme? È questa del certo una prova evidente che
ciascuno dei due Evangelisti ha seguito, in sostanza, una nozione
differente intorno al teatro delle apparizioni di Gesù risuscitato.
') Come fanno Schultz, itber das Abendmahl, pag. .'<21 ; Schnecken-
burger, 1. e.
*) MichaSlis, pag. 118 seg., considera V tot tv come la lezione primi
tiva nello stesso Matteo. Paragonisi Weisse, Storia evangelica, 2, pa
gina 347 seg.
{$34 VITA DI GESÙ
della Galilea leghisi più strettamente al contesto. Gli è evidente da
sè che, nell'annunzio della risurrezione, l'importante era di sapere
se ed ove il risorto sarebbe stato visibile; importava assai meno, nel
caso che si fosse voluto accennare ad una predizione antecedente, il
conoscere ove questa fosse stata fatta. Partendo quindi da tale confronto,
parrebbe più verosimile che in origine si fosse detto aver l'angelo
designata la Galilea agli Apostoli come il luogo ov'essi avrebbero
veduto Gesù risuscitalo (Matteo); ma che in appresso, avendo i rac
conti delle apparizioni di Gesù in Giudea eclissata quella di Galilea,
siasi fatto di questa, nell'allocuzione dell'angelo, non più il luogo
delle apparizioni , bensì il luogo ove Gesù avea predetta la risurre
zione sua (Luca). Fra queste due maniere, Marco tiene una via di
mezzo, stante che egli muta, con Luca, la parola ho detto, nell'altra
egli ha detto, e I' attribuisce a Gesù, pur conservando, con Matteo,
la Galilea , come il teatro non già della predicazione antecedente ,
ma' dell' apparizione futura di Gesù.
Consideriamo ora l'indole generale dei due racconti e la natura
della cosa. L' ipotesi che Gesù , dopo la sua risurrezione , sia real
mente apparso agli Apostoli più fiate in Gerusalemme e ne' suoi din
torni, ma che la nozione di tal fatto andasse smarrita di poi nella
tradizione che costituisce il fondo del primo Vangelo, — tale ipotesi
va soggetta alla stessa difficoltà da noi incontrata in un precedente
esame per riguardo alla pluralità delle visite pasquali di Gesù e dei
suoi soggiorni in Gerusalemme '); e tanto più che là l'opinione
contraria, ha tutte le apparenze in suo favore. Le apparizioni di Ge
rusalemme sarebbero cadute spontaneamente (vale a dire per l'estin
zione completa della cognizione che se ne aveva) in oblio nella Gali
lea, dove, secondo tale ipotesi, si formò la tradizione di Matteo? La
cosa non è supponibile, stante l'importanza di queste apparizioni le
quali, al paro di quelle innanzi agli undici radunati ed innanzi a To
maso, racchiudevano le più sicure testimonianze sulla realtà della
risurrezione, e stante la influenza che la chiesa di Gerusalemme eser
citò sull'organizzazione delle altre. 0 si dirà che nella Galilea, vera
mente, fossero note le apparizioni di Gerusalemme, ma che il redat
tore del primo Vangelo le avesse passate sotto silenzio a bella post»
per conservarne tutto l'onore alla sua sola provincia ? Gli è un sup
porre un particolarismo galileo, una opposizione dei cristiani di questa
1) T. I, § 57.
CAPITOLO QUARTO. 53ì>
contrada contro la società cristiana di Gerusalemme , di cui non ab
biamo alcuna traccia storica L'altra possibilità è, che alle apparizioni
della Galilea, le quali, in origine, eran le sole conosciute, la tradizione
abbia aggiunto a poco a poco un numero sempre maggiore di appa
rizioni nella Giudea e in Gerusalemme, e che quest'ultime abbiano
finito ad eclissare compiutamente le prime. Tale possibilità assume
verosimiglianza per ragioni d'ogni maniera. Nel novero di queste può
annoverarsi anzi tutto il tempo dell'apparizione; la nozione della risur
rezione di Gesù colpiva tanto maggiormente quanto più quelle appa
rizioni avessero seguito da vicino la sua sepoltura e il suo ritorno a
vita; laddove questa connessione immediata più non esisteva qualora
Gesù fosse apparso per la prima volta in Galilea. Era inolire naturale
l'imaginarsi che la risurrezione di Gesù avea dovuto essere manife
stata autenticamente con apparizioni nel lungo stesso della sua morte.
Finalmente l'obiezione che Gesù, dopo la sua risurrezione, fosse ap
parso solamente ai suoi ed anzi in un angolo della Galilea, era sino
a un certo punto ovviata, dacché potevasi rispondere eh' egli, risorto,
erasi mostrato nella capitale stessa in mezzo a'suoi nemici indignati,
senza ch'ei potessero, per vero dire, né vederlo né prenderlo. Ma
dal momento ch'eransi trasportate parecchie apparizioni di Gesù in
Giudea ed a Gerusalemme, quelle della Galilea perdevano la loro im
portanza e potevano o essere riferite in modo sussidiario e subor
dinato, come nel quarto Vangelo, od essere affatto omesse, come
nel terzo. A questo risultato, che noi otteniamo considerando la pos
sibilità dello svolgimento delle leggende, non può opporsi, come più
sopra nella discussione sul teatro della predicazione di Gesù vivente,
un risultato contrario, preso dal punto di vista delle relazioni e delle
intenzioni di Gesù. Ci è quindi lecito il pronunciarci, contrariamente
alla critica attuale, in favore, del primo Vangelo, la cui narrazione
intorno all' apparizione di Gesù risorto si raccomanderà d' altronde
per maggiore semplicità e difficoltà minore ').
Esaminiamo ora in particolare le apparizioni di Gesù risorto: il
primo Vangelo ne ha due, una il mattino della risurrezione davanti
le donne (28, 9), ed una senza indicazione di tempo. Davanti gli
§ 13!).
') Nulla accenna nel resto che Gesù fosse stato riconosciuto per
avere, nell'atto di rompere il pane, discoperti i buchi dei chiodi nelle
»ue mani. (Paulns, Manuale di Esegesi, 3, 6, pag. 882; Kuinòl, in Luca,
pag. 734).
CAPÌTOLO 01 ARTO. 545
parizione , credettero vedere uno spirito. Per dissipare in loro que
st'idea che li turbava, Gesù mostrò loro le sue mani e i suoi piedi,
e li invitò a toccarlo, affinchè, palpando il suo corpo, che conteneva
carne ed ossa , si convincessero eh' ei non era uno spettro ; ei si fe'
dare altresì un pezzo di pesce arrostito ed una focaccia di miele, e
mangiò l'uno e l'altra sotto i loro occhi. L'apparizione ch'ebbe Simone
è descritta da Luca coli' espressione egli fu veduto; Paolo si serve
pure di questa nella prima Epistola ai Corinti, per tutte le cristofanie
ch'egli vi enumera; e Luca negli Atti degli Apostoli riassume tutte
le apparizioni durante i quaranta giorni, coll'espressione apparso (1,3),
e coll'espressione farsi vedere (10, 40). Non altrimenti Marco esprime
l'apparizione dinanzi a Maddalena colla parola apparso, e l'appari
zione dinanzi ai viaggiatori, d' Emmans c dinanzi agli undici, coll'al-
tra : manifestossi. In Giovanni l' apparizione sulla sponda del lago di
Tibenade è espressa col si mostrò, e tutte le cristofanie ch'egli rac
conta, ei le comprende nell'espressione fu manifestato. In Marco e
Luca è detto, come conclusione della vita terrena del risuscitato,
eh' egli fu rapito sotto gli occhi degli Apostoli, e portato in cielo Cda
una nube, secondo gli Atti degli Apostoli, 1, 9).
N'-l quarto Vangelo, Gesù dapprima è in piedi dietro Maria Mad
dalena nel momento in cui questa volge le spalle al sepolcro; essa
non lo riconosce, sebbene egli le diriga la parola, ma lo prende pel
giardiniere, sino a che egli la chiama col suo nome (coll'accento che
era a lei cosi ben noto). Essa vuole testimoniargli la sua adorazione,
ma Gesù ne la impedisce dicendole: Non mi toccare, e la incarica di
un'ambasciata presso gli Apostoli. La seconda apparizione di Gesù,
riferita da Giovanni , avvenne in circostanze singolarmente notevoli.
Gli Apostoli, per timore delle intenzioni ostili degli Ebrei, erano riu
niti, a porte chiuse; tutto ad un tratto Gesù sopraggiunse, si pose
in mezzo ad essi, li salutò, e mostrò loro le sue mani ed il suo fianco,
probabilmente senza lasciarsi toccare, acciocché riconoscessero in lui
il crocifisso.
Siccome Tomaso, il quale allora non era presente, non si lasciò
convincere dal racconto de' suoi compagni della realtà di quella ap
parizione , e desiderò a tal uopo di vedere e toccare egli stesso i
segni delle ferite, Gesù acconsenti al suo desiderio al tempo d'una
apparizione ch'ebbe luogo otto giorni appresso nelle medesime circo
stanze, facendogli toccare i segni dei chiodi alle mani e la ferita nel
fianco. Finalmente, nell'apparizione- del lago di Galilea, Gesù era in
Stracss. V. di G. Voi. II. 35
a 4(3 VITA DI GESÙ
piedi sul lido all'alba del giorno, senz'essere riconosciuto dai disce
poli che trovavansi nella barca; egli chiese loro del pesce, e fu rico
nosciuto da Giovanni per la pesca abbondante ch'egli loro concesse;
in guisa però che essendo i discepoli discesi a terra , non osavano
chiedergli s' egli era veramente Gesù. Poscia Gesù distribuì loro del
pane e del pesce, di cui mangiò egli pure senza alcun dubio, ed ebbe
indi un colloquio con Giovanni e con Pietro '). Per tal modo , pos
sono formarsi due idee principali intorno alla vita di Gesù dopo
la sua risurrezione: o la si concepirà come una vita naturale, com-
plelamente umana, durante la quale il suo corpo avrà quindi conti
nuato ad essere soggetto alle leggi fìsiche ed organiche; o si rap
presenterà la sua vita come una vita di già superiore, soprannaturale,
ed il suo corpo come un corpo soprannaturale e trasfigurato. I rac-
i) Panlus, Eecey. handb., 3, 6, pag, 834 spg. L.iJ. 1, 0, pag. 265 seg.
Ammon, I. e; Hase , L. J. § 149; Michaelis, 1. e, pag. 251 seg.; confr.
Neander, L. J. chr., pag. 650.
S48 VITA DI GESÙ
Gesù co' suoi discepoli , dopo la sua risurrezione , attestano , al dire
degli stessi interpreti , eh' egli aveva riportato dal sepolcro il suo
corpo naturale ed umano ; imperocché questo stesso corpo doveva
sentirsi troppo debole in causa delle ferite e de' patimenti sulla croce,
per non abbisognare , dopo brevi istanti di attività , di più lunghi
intervalli di riposo e di solitudine.
Ciononpertanto noi abbiam veduto che le narrazioni del Nuovo
Testamento contengono eziandio alcuni tratti favorevoli all'opinione
contraria intorno alla corporalità di Gesù dopo la risurrezione. Con-
vien dunque che i sostenitori dell'opinione fin qui esaminata si inca
richino, nell' interpretar que' particolari che sembrano opposti al loro
modo di vedere , di far cessare la contraddizione. E primieramente ,
le espressioni colle quali sono ordinariamente designate le appari
zioni di Gesù sembrano già indicare alcun che di sovrumano: tali
sono il verbo fu veduto , usato in questo caso come per il roveto
ardente (2. Mos. 3, 2, LXX); il participio veduto, significante l'appa
rizione di Gesù, come quello dell'angelo, in Tobia, 42. 19; il verbo
apparve tolto a designare I' apparizione di Gesù come quella degli
angeli, in Matteo, i e 2. Ma ciò che più positivamente, contraddice
gli andirivieni naturali, che possono essere supposti in certe scene,
sono le apparizioni é sparizioni subitanee in altre; ciò che impedisce
di ammettere un corpo umano ordinario, gli è che spesso Gesù non
è riconosciuto e che trovasi fatta persino menzione espressa di un'altra
forma; infine, ciò che sembra sopratutto opporsi alla tangibilità del
corpo di Gesù, è la proprietà che Giovanni — giusta il senso appa
rente delle parole — gli attribuisce d' entrare per le porte chiuse.
Ma se Maria Maddalena prese a bella prima Gesù pel giardiniere ,
alcuni commentatori , perfino di quelli che di solito non rifuggono
punto dal meraviglioso, credono di poter spiegare questo fatto, affer
mando che Gesù erasi fatto dare un vestito dal giardiniere , il quale
senza dubio aveva sua dimora in vicinanza del sepolcro ; oltredichè
essi aggiungono, tanto qui, che sulla strada d' Emmaus, l' alterazione
dei lineamenti di Gesù causala dai patimenti della crocifissione pos
sono aver contribuito a questo abbaglio — né altra cosa, infuori da
queste due, ha inteso Marco esprimere valendosi delle parole: Un'altra
forma ').
i) Tboluck, su questo passo; confr. Paulus , Eo$eg. handb. 3, 6.
pag. 866 , 881. Una simile spiegazione naturale fu tolta ultimamente .
Hug da Liicke.
CAPITOLO (JUÀKTO. 549
Parimenti pretendono gli stessi autori che Gesù nel modo più
naturale potè involarsi , senz' essere osservato , agli sguardi dei due
discepoli di Emmaus in mezzo alla giuliva sorpresa in cui li avea get
tati il subito riconoscimento di colui ch'erasi creduto morto; ed ossi,
cui parve miracolo tutto ciò ch'era avvenuto nel risorgimento di Gesù,
presero anche per una disparizione soprannaturale '). Ancora secondo
i citati autori, il membro di frase: Ei comparve in mezzo a loro»
nulla indica di soprannaturale, massime in Giovanni, ov'esso è collo
cato dopo la parola naturale egli venne, egli viene; ma esso indica
solamente l'arrivo impreveduto di qualcuno di cui appunto parlavasi
senza aspettarlo ; e se i discepoli riuniti I' hanno preso per uno spi
rito, non è ch'egli fosse entrato in guisa miracolosa, ma bensi ch'essi
non potevano credere alla realtà del ritorno in vita del defunto *).
Evvi finalmente un tratto il quale dovrebbesi riguardare come asso
lutamente incompatibile coll'opinione che. della vita di Gesù risorto,
fa una vita naturale ed umana: vogham dire la circostanza riferita
in Giovanni dell'essere Gesù entrato a porte chiuse; eppure, da lungo
tempo, teologi, persino ortodossi, hanno interpretata anche questa
.frase in modo da togliere ogni contraddizione coll'opinione di cui si
tratta. Non parleremo delle spiegazioni come quelle di Heumann , il
quale pretende che le porte non siano g;à quelle della casa ov'erano
radunati gli Apostoli , ma in generale le porte tutte nella città di
Gerusalemme, e che, dicendo ch'esse erano chiuse, gli Evangelisti
abbiano solamente inteso indicare queir ora della notte in cui so-
glionsi chiuder le porte; che infine il timore degli Ebrei fu causa,
non del chiuder le porte, ma del radunarsi degli Apostoli in un solo
luogo. Ma noi citeremo lo stesso Calvino, il quale chiama arguzia
puerile, pueriles argutiw , il sostenere che il corpo di Gesù pene
trasse attraverso al ferro ed alle assi , per medium ferrum et asseres,
poiché il testo non fa motto di ciò , e solo vi si dice ,' non che
Gesù entrasse attraverso le porte chiuse , per januas clausas , ma
eh' egli apparve improvviso in mezzo a' suoi discepoli , mentre le
porte eran chiuse, quum clausa essent januw 3). Ciò non toglie che
l'ingresso di Gesù, di cui qui parla Giovanni, non sia riguardato da
rocche, s'essa non avesse che il significato cui si pretende, non sarebbe
valsa la pena di ripeterla '). Laonde in questo secondo caso noi pos
siamo addirittura lasciar da banda tale motivo allegato per ispiegare
il chiudimento delle porte, e se d'altra parte si osserva che nella frase
il verbo egli viene , è immediatamente unito alle parole porte chiuse,
apparirà più che probabile che questa circostanza sia destinala a deter
minare il modo della venuta di Gesù. Proseguiamo l'esame del testo. *)
Dopo aver detto una seconda volta che Gesù entrò a porte chiuse,
l'Evangelista dice una seconda volta ancora: Egli comparve in mezzo
a loro. La qual frase , essendo unita al verbo egli venne e servendo
a determinare il senso con maggior precisione., esprime in tutti i casi
l'apparizione improvvisa di Gesù senza che si fosse potuto vederlo a
venire. Da queste particolarità prese insieme, per lo meno risulta in
contestabilmente questo: che trattasi d'una venuta fuori delle condi-
2Ìoni ordinarie , per conseguenza d' una venula miracolosa. Che poi
questo miracolo abbia consistito in una penetrazione del corpo tra
verso l'assito delle porte lo negano con grandissima asseveranza, tra
i commentatori , i partigiani del miracoloso , 1 quali osservano non
essere cenno alcuno che Gesù sia giunto a traverso le porte chiuse 3)-
Ma, nel fatto, l'Evangelista neppur egli intende memomamente
stabilire che Gesù , come si esprime Michaélis , sia positivamente
entrato nella camera traverso ai pori del legno ; sua opinione é sol
tanto che le porte fossero e- rimanessero chiuse e che Gesù tut
tavia fosse comparso improvvisamente nella camera , per modo che
i muri, le porte, e, per dir breve, tutti gli ostacoli frapposti non
avessergli impedito di entrare. Anziché domandarci , a torto, di mo
strar loro nel testo di Giovanni una indicazione che questi non
intende dare, essi dovrebbero spiegarci il perchè l'Evangelista, se ha
veramente supposto il miracoloso aprimento delle porte, non abbia
messo cotesto miracolo in rilievo. A questo riguardo Calvino assai
infelicemente si appoggia agli Atti degli Apostoli (12, 6 seg.) , ov' è
detto che Pietro evase dalla prigione chiusa Nessuno , egli dice
pensa a sostenere che in questo caso le porte siano rimaste chiuse
e che Pietro sia passato traverso le serrature e le assi. No , certo
nessuno vi pensa; perocché è detto espressamente in quel passo che
S
552 VITA DI GJSSÙ
la porta di ferro della prigione, la quale metteva alla città , s' aperse
loro da sé stessa (v. 10). Questa osservazione, bella ed animata pit
tura che presenta il miracolo agi occhi del lettore, non sarebbe certo
stata pretermessa le due volte dal nostro Evangelista, ov'egli avesse
pensato all'aprimento miracoloso delle porte.
Ma se da un lato torna impossibile eliminare o diminuire il ma-
ravigiioso nel racconto di Giovanni, d'altro lato non ci soddisfa la spie
gazione naturale delle espressioni con le quali Luca indica gli arrivi e
le partenze di Gesù. Questo evangelista, infatti, accenna al venire di
Gesù, colla espressione, comparire in mezzo ai discepoli, e accenna al
suo andarsene, coll'altra espressione scomparire dalla loro presmza. Ora
la coincidenza di queste espressioni, quando vi si aggiunga il terrore
dei discepoli e lo sbaglio che li indusse a riguardare Gesù come uno
spirito, non permette di pensare ad altra cosa fuorché ad una appa
rizione miracolosa. Inoltre, quand'anco si riuscisse a figurarsi il come
Gesù potesse entrare per via naturale, senz'essere veduto, in una
stanza affollata di gente, resta pur sempre impossibile l' immaginare
com'egli avesse potuto involarsi, non visto e non seguito, ai due di
scepoli di Emmaus, coi quali, a quanto sembra, egli trovavasi solo a
tavola i).
Che Marco coli' espressione un' altra forma intenda una forma
miracolosamente trasformata, è cosa su cuii non avrebbe dovuto mai
cader dubio -). Ma questa frase è di minore importanza , altro non
essendo se non una spiegazione che lo scrittore ci dà della circo
stanza a lui fornita da Luca , ma diversamente spiegata : che cioè i
due viaggiatori non avevano riconosciuto Gesù. Se Maria Maddalena
prese Gesù per il giardiniere, quest'errore, secondo l'opinione del
l'evangelista, non è già dovuta ad un travestimento; bensì il non
avere la donna riconosciuto Gesù, può spiegarsi, giusta lo spirito della
narrazione, ammettendo, sia che i suoi occhi fossero ritenuti, sia che
Gesù avesse preso un' altra forma ; se poi essa lo prese pel giardi
niere, gli è semplicemente per avere incontrato nel giardino que
st'uomo a lei sconosciuto. I racconti evangelici non ci autorizzano
nemmeno a supporre che 1' aspetto di Gesù fosse stato alterato dai
patimenti della crocifissione, e che le sue ferite si venissero rimargi
nando a poco a poco. La frase di Giovanni Non mi toccare, se espri-
') Quel che havvi di inderminato e di vago nella idea che forma il
fondo di tutto ciò è bene espresso da Origene , laddove di Gesù dice
(c. Cels.,2, 62): E dopo la risurrezione egli era come sopra un limite, tra
il corpo qual era prima della passione e l'anima che sembrava spogliata
di questo corpo.
') Per questo anche Kern confessa di non saper come conciliare
questa particolarità di Luca coll'altre, e di considerarla come un'addi
zione tradizionale (Fatti principali, 1. c. , pag. 50). Ma a che gli giova
ciò? Rimane pur sempre la tangibilità di cui parla Giovanni ; ed essa
appartiene , pari che 1' azione del mangiare, alle condizioni della vita
terrestre, ai rapporti del mondo materiale, cui, giusta la supposizione
stessa di Kern, il corpo di Gesù non doveva più essere soggetto.
556 VITA DI GESÙ
ossa, segno è ch'esso era dotato della proprietà di resistere cui pos
siede la materia, e la possedeva nell'egual modo in qualità di corpo
solido ; se per contrario , esso era in grado di entrare nelle case e
stanze chiuse senz' esserne impedito per l'interposizione dei muri e
delle porte , segno è che appunto una tale resistenza della materia
solida non era uno de'suoi attributi. Laonde, secondo i racconti evan
gelici, siffatta proprietà gli sarebbe appartenuta e non appartenuta
insieme; resta dunque provato che il modo con cui gli Evangelisti
rappresentano la corporalità di Gesù dopo la risurrezione è in sé con-
tradittorio. E la contradizione non è già tale ch'essa si divida fra i
differenti narratori ; no , la relazione di un solo e medesimo evange
lista racchiude in sé questi tratti cmtradittorii. Per vero dire, il breve
racconlo di Matteo, ove è detto : Essi gli abbracciarono i piedi (v. 9) ,
non contiene che il fatto della tangibilità , senza fare in pari tempo
emergere un fatto che sia con esso in contradizione ; e. inversamente,
in Marco, l'espressione: Sotto un'altra forma (v. 12), mostra alcun
che di sopranaturale, senza che d'altra parte il contrario sia supposto
in modo preciso. Ma non è cosi in Luca : esser sensibile al tatto e
mangiare sono indizii precisi d' una materia organica, a quel modo
che le apparizioni e disparizioni improvvise sono indizii precisi de!
contrario. Egli è sopratutto nel quarto vangelo che si urtano i mem
bri di questa contradizione; poiché Gesù, immediatamente dopo essere
penetrato nella stanza chiusa traverso i muri e le porte •) , si lascia
toccare dall'incredulo Tomaso.
§ HO.
') Bali rei t , Ausfùbrung des Plans und Zevechs Jesu. Confr. Pauhis ,
Exeg. handb., 3, 6, 703 seg.
') Xenodoxieu, nella memoria: Joseph und Xikodemns. Confr. Klaiber's
Studiai der Wurtemberg Gaistlichheit, 2, 2, pag. 84 seg.
!) Paulus, Exeg. hand. 3, 0, pag. 785 seg. L. 1, G, pag. 281 seg.
*) Schuster, in Eichliorn'e alleg. Bibl. 9, pag. 1053.
CAPITOLO «L'ARTO. 5f)l
') In Orig. c. Cels. 2, 55: Chi ha veduto questo? (le mani perforate
di Gesù ed in ispecie le sue apparizioni dopo la risurrezione). Una donna
mezzo pazza , eome dite voi stessi , e qualchedun altro attaccato alla
stessa superstizione , che aveva sognato per effetto di una disposizione
qualunque, ovvero aveva l'immaginazione eccitata da una opinione er
ronea conforme alla propria volontà, come accadde a migliaia di per
sone, ovvero ancora — il che è più verosimile — voleva colpire l'altrui
imaginazione con questo prodigio e preparare, per mezzo di queste men
zogne, la via ad altri impostori.
') Il quinto framm. in Lessing's quarto Deitrag; Woolston, Disc. 8.
») L. c. 56.
') Ulmann, Che cosa suppone la fondazione dell» chiesa cristiana
per opera di un crocifisso? Ne'suoi Studien, 1832, 3, pag. 589 seg. (Rohi )
Briefe, Vber den Rationalismus, pag. 28, 236; Paulus, Exeg. handb, 3,6,
pag. 826; Ha.«e, pag. 146. •
564 VITA DI GESÙ
una simile risurrezione a quelli che seguito avessero il suo esempio').
Weisse pone per lo meno un piede sullo stesso terreno quando am
mette che lo spirito defunto di Gesù abbia realmente agito sopra gli
Apostoli sopravissuti a lui: e quando rammenta le apparizioni di spi
riti la cui impossibilità logica, sarebbe, a suo dire, non peranco dimo
strata4). Per uscire dal Circolo Magico del sovranaturale, altri si po
sero in cerca di occasioni esterne naturali, acconcie a far nascere, la
opinione che Gesù fosse risuscitato e fosse stato veduto come tale. La
prima spinta — congetturarono questi — venne data da ciò, che la
seconda mattina dopo la deposizione nella tomba, questa fu trovata
vuota, e il suo lenzuolo funerario fu preso dapprima per una apparizione
angelica, poi per una apparizione del risorto stesso3); ma se il corpo
di Gesù non è uscito dalla tomba animato da una nuova vita , come
dunque ne sarà uscito? Bisognerebbe allora pensar nuovamente ad un
furto, a meno che, profittando di quanto dice Giovanni, che cioè Gesù
venne, per la fretta, deposto in una tomba straniera, non si volesse
supporre che forse il proprietario della fossa avesse fatto portar via
il cadavere: ma i discepoli avriano dovuto esserne in seguito infor
mati; e, ad ogni modo, la notizia isolata del quarto Evangelo è troppo
debole appoggio perchè si abbia ad insistere sopra tale congettura.
Con assai maggior frutto ricorrono altri al passo dell'apostolo
Paolo (Cor. 45, 5 seg.) per cercarvi la soluzione di queste difficoltà
e il mezzo d' intendersi sopra le apparizioni di Gesù dopo la risurre
zione 4). Quando Paolo, infatti, pone la Cristofania da lui avuta in un
') I tre giorni che Giona rimase nel seno della balena, ai quali per
vero uno solo degli Evangeli attribuisce un rapporto con questa deter
minazione di tempo, ebbero essi influenza sopra la stessa? 0 ne ebbe
forse anche il passo d'Osea citato più sopra, § 111 in nota, — passo che
d'altronde non trovasi utilizzato in nessuna *parte del Nnovo Testa
mento ?
CAPITOLO QUARTO. 571
trasportate nel luogo stesso in cui la risurrezione erasi operata, vale
a dire a Gerusalemme, città che a questo singolarmente prestavasi,
come quella che offriva un più brillante teatro ed era stata la sede
della prima comunità cristiana ').
') Confr. con questa spiegazione quella di Weisse, nel VII Capitolo
del suo libro citato. La spiegazione data da lui concorda con quella più
sopra esposta in quanto che egli pure considera la morte di Gesù come
reale, e i racconti intorno alla tomba trovata deserta come finzioni suc
cessive ; e ne differisce in un punto da me già accennato, in quanto egli
considera le apparizioni di Gesù risorto non come fenomeni puramente
subjettivi e psicologici, ma come fatti magici ed obiettivi.
CAPITOLO QUINTO.
ASCENSIONE.
§ MI.
§ H2.
La cosidetta ascensione,
considerata qual fenomeno sopranaturale
e morale.
') Gabler, nel neuesten. theol. Journal. 3, pag. 417, e nella prefazione
agli opusc. acad. di Griesbach , pag. XGVI. Confr. Kuinol , in Marc,
pag. 222.
') Seiler, in KuinOl, I. e, pag. 223.
882 VITA DI GESÙ
zioni limitate che l'infanzia dei popoli aveva intorno agli spazii intra-
cosmici. Colui il quale volesse giungere a Dio ed alla sfera dei beati,
noi sappiamo che farebbe un giro superfluo ove a tal uopo credesse
doversi lanciare nelle regioni superiori dell'aria; e^uanto più Gesù
era famigliare con Dio e colle cose divine, tanto meno saranno stati
disposti , egli Gesù a far questo giro , e Dio a farglielo fare j). Bi
sognerebbe quindi ammettere che Dio si fosse adattato all' idea che
gli uomini si facevano allora del mondo e dire: Per convincere i di
scepoli del ritorno di Gesù nel mondo superiore , sebbene questo
mondo in realtà non esista punto nelle alte regioni dell'atmosfera,
Dio dispose tuttavia lo spettacolo di una simile elevazione -). Ma ei
sarebbe far di Dio un commediante che giuoca sulle illusioni.
Siccome tentativo per sottrarci a tali difficoltà e a tali assurdi, la
spiegazion naturale dee giungere ben accetta per noi 3). Nelle relazioni
evangeliche dell' ascensione essa distingue ciò che fu veduto da ciò
che fu conchiuso per via di raziocinio. Quando, per verità, negli Atti
degli Apostoli leggiamo: Egli fu inalzato al cielo sotto i loro occhi,
parci che la elevazione sia presentata come cosa veduta dagli spet
tatori. Ma secondo il Commentato razionalista , il verbo fu inalzato,
non indica punto che Gesù si levasse di sopra il suolo , ma si sola
mente che Gesù, per benedire i discepoli , si drizzò in tutta la sua
persona onde parve a quelli più elevato. Subito dopo gli stessi in
terpreti tolgono a prestito dalla conclusione del Vangelo di Luca il
' verbo si separò, e lo spiegano nel senso che Gesù, prendendo com
miato da' suoi discepoli, si fosse posto a certa distanza da loro. Poi
aggiungono che una nube, come già sul monte della trasfigurazione,
venne ad interporsi tra Gesù ed i discepoli, e, unita ai numerosi olivi
della montagna!, lo involò totalmente ai loro sguardi; e che, dietro
l'assicurazione di due uomini sconosciuti, i discepoli presero codesto
fatto per un rapimento di Gesù nel cielo. Ma al verbo fu inalzato,
§ H3.
') Seiler in Kuinol , 1. c. pag. 221; Olshausen , pag. 591 seg. Confr.
Griesbach, Locorum N. T. ad asccnsionem Christi in ccelum spectantium
sylloge, ne'suoi opusc. acad. ed. Gabler, voi. 2, pag. 484 seg.
') Schneckenburger, Uber den Ursprvg, n. s. f. pag. 19.
') Olshausen, pag. 573.
*) Fritzsche medesimo, stanco allu tino del suo lavoro, scrive in
Matth., pag. 835 : Matthwus Jcsu in ccelum habitum non commemoravit,
quippe nemini ignotum.
586 VITA Di GESÙ
Giovanni in particolare lo supponga già esistente in Marco ed in Luca '),
e che l'ascensione, come quella che più non apparteneva alla vita
terrestre di Gesù, venisse naturalmente omessa in iscritti consacrati
solo alla descrizione di questa vita *). Ma la vita di Gesù e sopra
tutto la vita enigmatica ch'ei condusse dopo essere uscito dalla tomba,
esigeva di necessità una conclusione definitiva quale l'ascensione. Nota
generalmente o no, importante o poco importante, bastava l'interesse
estetico per cui anche lo scrittore non istrutto cerca dare una con
clusione al proprio racconto, perchè ogni redattore d'Evangelo il quale
ne avesse notizia, la riferisse alla fine del suo libro, non foss' altro,
sommariamente e per evitare la strana impressione che desta il primo
Evangelo ed il quarto più ancora coli' incertezza in cui lascia il let
tore la loro narrazione mal compiuta. Altri autori pretendono in con
seguenza che al primo e al quarto Evangelista fosse sembrata cosa
impossibile il riferire l'ascensione di Gesù al cielo, per ciò che i testi-
monii oculari, per quanto a lungo i loro occhi si fossero fissati su
di lui, poterono soltanto vederlo librato nell'aria in seno alla nube,
senza vederlo entrare nel cielo a sedersi alla destra di Dio 3). Ma
nell'ordine d'idee degli antichi, pei quali il cielo era più vicino che
per noi, l'ascensione stessa fra le nubi passava per una vera ascen
sione al cielo, come ben scorgiamo dai racconti intorno a Romolo ed
Elia.
È dunque impossibile il negare l'ignoranza dei citati Evangeli
per rapporto all'ascensione. Ma il far di ciò un rimprovero al primo
Vangelo e trovarvi, colla critica recente, una prova ch'esso non è di
origine apostolica 4), la è cosa tanto meno opportuna quanto più
l'avvenimento in questione ci appare sospetto, sia per il silenzio dei
due Evangelisti, sia per la discordanza fra quelli che lo riferiscono.
Marco non va d'accordo con Luca; più ancora: quest'ultimo non va
d'accordo con sé medesimo. Secondo la relazione di Marco, parrebbe
che Gesù dal luogo stesso ov'egli apparve agli undici seduti a mensa,
e in conseguenza da una casa di Gerusalemme, si levasse al cielo;
poiché le frasi: Egli apparve agli undici mentre erano a tavola.... e
■
590 VITA DI GESÙ
gazione di una circostanza che troviam nel racconto degli Atti degli
Apostoli. Quando infatti, Elia, prima di essere rapito al cielo, fu sup
plicato dal suo servo Eliseo a lasciargli il suo spirito, in doppia misura,
il profeta vincolò l'esaudimento di tale preghiera a questa condizione:
Se tu mi vedi, mentre io sarò tolto d'appresso a te, ti sarà fatto così ;
se poi non mi vedi non ti sarà fatto (v. 9 seg., LXX). Ciò potrebbe
farci comprendere il perchè Luca (Act Ap. 1 , 9) dia peso alla cir
costanza che Gesù fu rapito sotto gli occhi dei discepoli, perocché,
giusta il precedente di Elia, a tale condizione potevano i discepoli
ricevere in se lo spirito del loro maestro.
DISSERTAZIONE FINALE.
§ H4.
§ 145.
') Iren., adv. hcer. 1, 10; Tertull. De prcescr. hcer. 13. adv. Prax. 2,
de veland. virg. 1; Orig., Dt principp. procem. 4.
DISSERTAZIONE FINALF. 897
num nostrum qui conceptus est de Spiritu Sancto, natus ex Maria
Virgine, passus sub Pontio Pilato, crucifixus , mortuus et sepultus ,
descendit ad inferos ; tenia die resurrexit a mortuis, ascendit ad coe-
los , sedet ad dexteram Dei patris omnipotentis ; inde venturus est
judicare vivos et mortuos.
Allato a questa forma popolare della confessione di fede relativa
al Cristo, se ne formò in pari tempo una elaborazione teologica più
precisa, provocata dalle divergenze e dai litigi che per tempo si
manifestarono intorno a punti isolati. Il tema fondamentale della fede
cristiana, che cioè i7 verbo si è fatto carne, ossia che Dio si è mani
festato nella carne, questo tema, diciamo, fu compromesso da ogni
lato, contestando gli uni la divinità, gli altri l'umanità, altri infine
V unione delle due nature.
Per vero, coloro che sopprimevano, come gli Ebioniti , la divi
nità, o, come i Gnostici, l'umanità, si separano troppo ricisamente
dalla comunità cristiana, la quale, dal canto suo, stabili il principio:1
esser uopo che il mediatore di Dio e dell'uomo li riunisse entrambi
in amicizia e in armonia con una affinità propria per l'uno e per l'altro,
e che nel rappresentare l'uomo a Dio, egli rivelasse Dio all'uomo ').
Ma quando si negò semplicemente la pienezza dell' una e dell' altra
natura; quando Ario sostenne che ciò ch'era divenuto uomo nel Cri
sto era un essere divino, ma creato e subordinato al Dio supremo;
quando il medesimo, pure attribuendo al Cristo un corpo umano sup
pose che in lui quell'essere superiore avesse tenuto luogo dell'anima;
quando Apollinare fece veramente umani, non solo il corpo, ma anche
l'anima di Gesù, e si limitò a far intervenire l'essere divino in luogo
della intelligenza, terzo principio ammesso nell' uomo dai filosofi, —
potevasi più facilmente dare a tali opinioni una apparenza cristiana.
Tuttavia, la coscienza della Chiesa respinse l'idea ariana di un Dio
inferiore divenuto uomo in Gesù, adducendo per ragione, fra l'altra
di minor rilievo, che per tal guisa non si sarebbe più potuto contem
plare nel Cristo l'imagine della divinità a); respinse l'opinione d'Ario
e di Apollinare sopra una natura umana del Cristo, mancante sia del
l' anima umana, sia dell' umana intelligenza , per questo motivo , fra
gli altri, che mercè la riunione con una natura umana intera e com-
') Gregor. Kaz. Or. 51, pag. 740. B.: Ciò che non può essere preso,
non può essere gìiarito, ma ciò eh' è stato unito a Dio trova salcezsa.
') Noi dichiariamo tutti unanimemente di confessare un solo e me
desimo figlio, il Signor nostro Gesù Cristo, perfetto in divinità , per
fetto in umanità: Dio veràmente e veramente uomo con un' anima ra
gionevole ed un corpo; consustanziale al padre per la divinità e con
sustanziale a noi per l'umanità; simile a noi in tutto, fuorché nel
peccato; generato dal Padre innanzi i secoli secondo la divinità, gene
rato negli ultimi giorni per noi e per la nostra salvezza da Maria
Vergine, madre di Dio secondo l'umanità; il solo e medesimo Cristo,
figlio, signore, unigenito, manifestato in due nature senza confusione,
sema mutazione , senza divisione, senza separazione ; non essendo la
DISSERTAZIONE FINALE. 599
quella manifestatasi intomo alla natura del Cristo, manifestossi intorno
alla sua volontà, venne parimenti deciso che nel Cristo, in quanto
Uomo-Dio, dovevansi ammettere due volontà distinte, non contrarie,
ma subordinate, l'umana alla divinità ')•
Di fronte alle liti circa l'essere e la natura del Cristo, il secondo
lato, vale a dire la dottrina della sua opera, si svolse con una calma
e tranquillità relativa. L'idea più comprensiva di tale opera era quella
che il figlio di Dio, vestendo la natura umana, l'aveva santificata e
divinizzata 2) , e a questo riguardo venne particolarmente accennato
il dono dell' immortalità 3). Dal lato morale , ciò fu interpretato nel
senso che Dio avesse invitati gli uomini , nel modo più efficace allo
amore scambievole, prevenendoli egli stesso con una prova d'amore
qual è la missione del figliuol suo *). Ma in quel solo grande effetto
della apparizione del Cristo, si fecero spiccare punti isolati : si richiamò
l'attenzione sulla sua dottrina salutare, sul suo esempio elevato5) e
sopratutto si diede importanza alla morte violenta sofferta da lui.
L'idea della sostituzione, già posta nel Nuovo Testamento, venne
maggiormente svolta: ora la morte di Gesù .fu considerata quale
un prezzo di riscatto da lui pagato al demonio per la umanità ,
cui il peccato avea posto in balia dello spirito maligno; ora si pre
tese che il Cristo, addossandosi il debito della umanità, lo avesse,
colla propria morte, pagato a Dio, il quale avea per tal modo potuto
condonare, senza far torto alla sua veracità, le pene da lui minacciate
contro il peccato11). Anselmo, nel suo libro intitolato Cur Deus homo,
differenza di natura menomamente distrutta dall'unione, ansi essendo
la qualità di ciascuna natura conservata e concorrente in una sola
persona e in una sola ipostasi ; non separato o diviso in due persone ,
ma un solo e medesimo figlio , unigenito, Dio verbo , nostro Signore
Gesù tristo.
') Il sesto sinodo ecumenico di Costantinopoli stabilì : Due volontà
umane non contrarie.... ma la sua volontà umana obbediente.... e subor
dinata alla sua volontà divina ed assoluta.
*) Athanas., De incarnat, 54: Egli si è umanizzato affinchè noi fos
simo divinizzati. Hilar. Pictav., De trin. 2 , 24 : humani generis causa
Dei filius natus ex virgine est.... ut homo factus ex virgine naturam in
se carnis acciperet, perque hujus admixtionis societatem sanctificatum
in eo universi generis humani corpus existeret.
') V. in Miinster, § 96, not. 5, pag. 423 seg.
*) Augustin. de catechiz. rudib. 7.
') Vedi Miinster, § 96.
*) Lo stesso, § 97.
600 VITA DI GESÙ
elaborò quest'ultima idea e ne trasse fuori la nota teoria della soddi
sfazione , per la quale la dottrina dell' opera redentrice del Cristo fu
messa in pari tempo nel più stretto rapporto colla dottrina della
sua persona. L'uomo deve a Dio una completa obbedienza; ma il
peccatore (e tutti gli uomini lo sono) manca verso Dio , al dovere
ed all'onore che gli si spettano. Ora Dio, in ragione della sua giu
stizia, non può sopportare l'offesa fatta al suo onore; dunque, o
P uomo deve rendere volontariamente a Dio cioè che è Dio ed anzi
dargli qual soddisfazione più di quello che gli ha tolto; oppure Dio
deve togliere violentemente all'uomo ciò che è dell'uomo, vale adire
privarlo, in punizione , della felicità per cui fu creato. L'uomo non è
in grado di adempiere alla prima alternativa; giacché se per non
cader nel peccato egli deve a Dio tutto quanto può far di bene, nulla
di bene gli rimane per coprire con questo eccedente il peccato com
messo. D' altro lato , ciò che impedisce Iddio di procurarsi soddisfa
zione con pene eterne è la immutabile bontà sua, in virtù della quale
egli vuol realmente condurre alla felicità P uomo che vi è destinato ;
ma vi si oppone la giustizia divina, a meno che soddisfazione non le
sia resa dall' uomo , e che in proporzione di quanto fu tolto a Dio
non siale data cosa maggior di ogni cosa , tranne di Dio. Or ciò è
Dio medesimo ; e siccome d' altro lato P uomo solo può soddisfare
per P uomo , bisogna che la soddisfazione sia data da un Uomo-Dio-
Questa soddisfazione, a sua volta, non può consistere in una obbedienza
attiva , in una vita senza peccato , cosa che ogni essere ragionevole
deve per sé stesso a Dio; ma di accettare la morte, riscatto dei pec
cati: l'essere che è senza peccato non ha obbligo alcuno; quindi è che
la sodddisfazione per il peecato degli uomini consiste nella morte
dell'Uomo-Dio, la cui ricompensa riesce a bene dell'umanità, perocché
egli, formando una sola cosa con Dio, non possa essere personalmente
ricompensato.
Questo sistema dottrinale della antica Chiesa intorno alla per
sona ed alle opere del Cristo , passò eziandio nelle confessioni della
Chiesa luterana, e venne dai teologi di queste sviluppato con artifizio
viemaggiore ').
') Confr. Form. Concord. Epit. et Sol. deci. Vili, pag. 605 seg. e 761
seg. et Hase. Chetimi tz, de duabus naturis in Christo libellus , et loci
theol., loc. 2, de /ìlio; Gerhardt, II, th. 1, pag. 640 seg. (ed. 1615); Quen-
stodt , theol. didac. polem. Pag. 3, e. 3. Oonfr. De Wette , bibl. Dogm.
§ 64 seg.
.DISSERTAZIONE FINALE. 601
Quanto alla persona del Cristo , essi mantennero 1' unione delle
nature divina ed umana in una sola persona nell'atto di questa unione,
unio personalis, il quale coincise colla concezione; fu la natura divina
del figlio di Dio che ricevette la natura umana nella unità della per
sonalità sua : lo stato di unione , unio personalis , non fu , secondo
gli stessi teologi nè essenziale nè anco semplicemente accidentale ,
nè fu mistico o morale; tanto meno poi verbale soltanto; ma una
unione reale e sopranaturale, eterna nella sua durata. In virtù di
questa riunione colla natura divina, privilegi particolari appartengono
alla dottrina umana nel Cristo; quello che a prima giunta sembra
una. imperfezione , di essere impersonale in sè e di non avere una
personalità che nella riunione colla natura divina: inoltre la impecca
bilità e la possibilità di non morire. Oltre questi privilegi speciali, la
natura umana nella sua riunione colla divina ne ha alcuni altri che
le sono forniti da quest'ultima. Infatti il rapporto delle due nature non
è inanimato ed esterno, ma è una penetrazione reciproca; non è la
unione di due tavole incollate assieme, ma è simile all'unione del fuoco
e del metallo nel ferro fuso o all'unione del corpo e dell'anima nell'uomo.
Questa comunione delle nature, communio naturarum, si manifesta come
una comunicazione delle proprietà (communicatio idiomatum), in* virtù,
della quale la natura umana partecipa al privilegio della divina e la
natura divina all'azione dell'umana in ciò che riguarda la redenzione.
Tale rapporto è espresso nelle proposizioni relative alla persona ed alle
proprietà , propositionibus personalibus et idiomaticis. Le prime sono
proposizioni nelle quali il concreto dell' una delle due nature vale a
dire una natura in quanto è concepita nella persona del Cristo , è
affermato dal concreto dell'altra: per esempio; il secondo Adamo è
figlio dell'Altissimo (I. Cor., {ti, 47). Le seconde sono proposizioni nelle
quali o si trasportano su tutta la persona determinazioni proprie del
l' una o dell' altra natura (genus idiomaticum) o viceversa si attribui
scono all'una od all'altra natura in particolare opere di tutta la persona
(genus apotelesmaticum); o infine, gli attributi di una natura si trasfe
riscono all' altra , ciò che è possibile solo dalla natura divina alla
umana, e non già reciprocamente da questa a quella (genus anche-
maticum).
Percorrendo colla sua persona fornita di due nature le diverse
fasi dell'opera di redenzione, il Cristo, giusta repressione de' dogma
tici, appoggiata sopra, Phil. 2, 6 sez., ha traversato un doppio stato,
lo stato di abbassamento e lo stato di umiliazione, status exinanitionis
602 VITI SI GESÙ
et exaltationis. La natura umana di lui, nella sua unione colla divina,
era entrata, fin dal momento della concezione, nel compossesso delle
proprietà divine; ma come durante la sua vita sulla terra essa non
fece di tali proprietà alcun uso continuo, così questa vita terrestre
di Gesù , sino alla morte ed alla sepoltura , è considerata quale uno
stato di abbassamento con differenti sladii : laddove, dal momento
della risurrezione, anzi prima della discesa all'inferno, cominciò lo
stato d'esaltazione, che raggiunse la pienezza collo assidersi di Gesù
alla destra del Padre, sessio ad dexteram Patris.
Quanto all'opera del Cristo, la dogmatica della nostra Chiesa gli
attribuisce una triplice funzione. Come profeta egli ha rivelato agli
uomini, colla sanzione di miracoli, la verità suprema, il decreto divino
di redenzione, e continua ad annunciarlo senza posa. Come gran sa
cerdote, egli ha , da un lato , adempito la legge in vece nostra colla
sua condotta irreprensibile (obedientia adiva); dall'altro , ha soddisfatto
colla sua passione e morte la pena che era imposta a noi (obedientia
passiva), e continua ad intercedere in favor nostro presso il Padre.
Come infine egli governa il mondo e particolarmente la Chiesa, cui egli
condurrà dalle lotte della terra alla gloria del cielo e completerà colla
risurrezione e col giudizio finale.
• § 146.
') (Rohr) Briefe ùber den Rationalismus, pag. 578 seg. Wegscheider,
Inst. theol. § 128; Bretschneider, handb. der Dogm. 2, § 137 seg.; Kant
anch'egli, Relig. innerhalb der Granzen der blossen Vernunft, 2 Stiicke,
2 Abschn. b.
*) Glaubenslehre , 2 §§ 96-98. Riconoscendo questa critica di Schle
iermacher come perfettamente giusta, io mi 'pongo in opposizione di
retta col giudizio di Rosenkranz , il quale (Zahrb. f'ùr teiss Krit. 1831 ,
Mec. , pag. 935-41). Non può rattenere il malumore cagionatogli dal
modo teologicamente povero e filosoficamente meschino con cui Schleier
macher cerca in questo brano demolire il dogma fondamentale della
fede cristiana, quello dell' incarnazione di Dio. La confusione da cui
dipendo questo giudizio apparirà più avanti da sè stessa.
I
') Spinoza, iract. theol. polit. c. 6, pag. 133, ed. GrSrer. et ep. 23 ad
Oldenburg, pag. 558 seg. Briefe ùber den Rat., 4, 5,6, 12. Wegscheider,
§ 11 e 12. Schleiermacher, § 14, 47.
€06 VITA DI GESÙ
le offese che gli uomini gli fanno coi loro peccati '). A tale obiezione
Grotins rispose che non era già in conseguenza d'un'offesa personale,
ma si solamente per serbare intatto l'ordine del mondo morale o in
virtù della sua giustizia direttrice, justitia rectoria, che Dio non po
teva perdonare i peccati senza soddisfazione »). Tuttavia, pur concessa
la necessità di una soddisfazione, non ne segue per questo che tale
sia la morte di Gesù. Mentre in fatto Anselmo, e più decisamente
ancora Tomaso d'Aquino 3), parlavano di una soddisfazione soprabbon
dante, satisfactio super abundans , Socino negò che il Cristo avesse
sopportato un castigo anco semplicemente eguale a quello che gli
uomini si sarebbero meritato; però che gli uomini si sarebbero me
ritata, ciascuno in particolare, la morte eterna, e in conseguenza la
morte eterna avrebbe dovuto essere subita da tanti redentori quanti
peccatori ; nel nostro caso invece, il solo Cristo avea sofferto sempli
cemente la morte temporale, e anche- questa come introduzione alla
gloria suprema : più cotesta morte aveva colpito non già la sua na
tura divina, da potersi dire essere stato il suo pentimento di un valore
infinito, ma la natura umana soltanto.
Per isfuggire a siffatta obiezione già mossa in antico, Duns Scoto4)
sostenne contro Tomaso una opinione, la quale ne' tempi moderni valse
a Grozio ed agli Armeni di mezzo termine fra gli ertodossi e i socci-
niani: egli ammise, cioè essere stato il merito del Cristo, per sé me
desimo , finito al pari della natura umana , subietto di questo merito
e in conseguenza non essere bastato alla soddisfazione dovuta per i
peccati del mondo: ma averlo Iddio, per pura grazia, accettato come
sufficiente. Da tale concessione seguiva che Dio poteva contentarsi
d' una soddisfazione incompleta , ossia lasciare una parte del debito
senza soddisfazione: ne seguiva dunque eziandio, di necessità, che Dio
era in grado di condonarla per intero. Ma, indipendentemente da tutte
queste determinazioni accessorie, l'idea fondamentale venne attaccata
in sé stessa: e si sostenne che nessuno poteva addossare la pena da
altri meritata per i proprii peccati , il che valeva quanto trasportare
rozzamente le condizioni di un ordine inferiore in un ordine più.
§ H7.
In luogo del dogma della Chiesa intorno al Cristo, alla sua per
sona ed all' opera sua, dogma rifiutato come contradditorio in sé, inu
tile, ed anzi dannoso al vero sentimento della religione, in luogo di
questo dogma, dico, i razionalisti stabilirono una dottrina la quale ,
evitando siffatte contraddizioni, dovea nondimeno ancora far di Gesù
un'apparizione divina, ad un certo riguardo, porlo anzi, ben conside
rata ogni cosa, in luogo più elevato assai, e racchiudere inoltre gli
stimoli più efficaci della pietà operosa ').
Secondo essi, Gesù rimane pur sempre un inviato divino, un pre-
.§ M8.
i) Schmid, 1. e.
*) Confr. Rosenkranz, 1. e. pag. 935 seg.
616 VITA DI GESÙ
Ma il disaccordo colla fede si sente vivo più che mai là dove Sch'.e-
iertnacher afferma che gli avvenimenti delia risurrezione e dell'ascen
sione non appartengono essenzialmente alla credenza cristiana. Però
che da un lato la fede nella risurrezione del Cristo è la pietra fon
damentale senza cui la comunità cristiana non avrebbe potuto sor
gere; e dall'altro lato, oggi ancora, il ciclo delle feste cristiane, che
è la rappresentazione esterna del sentimento cristiano, non potrebbe
subire mutilazione più mortale della soppressione della festa di Pa
squa. E sopralutto, poi, il Cristo morto non potrebb'essere nella fede
della comunità cristiana, ciò ch'egli è, s'egli non fosse in pari tempo
il Cristo risuscitato?
Per tal guisa la dottrina di Schleiermacher sulla persona e sulla
condizione del Cristo, appare doppiamente insufficiente e riguardo
alla fede della Chiesa e riguardo alla scienza; quella poi sull'opera
del Cristo, ci mostrerà che, non volendo soddisfar maggiormente alle
esigenze della fede della Chiesa, non era necessario il contradire di
tanto ai principii della scienza e che potevasi seguire più agevole via.
Schleiermacher infatti, nello edificare la sua Cristologia, conclude uni
camente dall'esperienza interna del cristiano come effetto alla persona
del Cristo come causa: ma questa non è solida base; giacché chi ci
prova che. questa esperienza interna non possa altrimenti spiegarsi
se non in quanto un simile Cristo sia realmente vissuto? Taie dif
ficoltà fu ben sentita da Schleiermacher; ond' egli medesimo previde
che taluno avrebbe potuto objcttargli essere stata la eccellenza rela
tiva di Gesù non altro che una occasione, per la comunità cristiana,
di tracciare un ideale di perfezione assoluta, ideale che trasportalo sul
Cristo storico , infondeva perennemente forza e vita nuova alla co
scienza di Dio che questa comunità possedeva. Per vero- Schleier
macher stimò trionfare di tale objezione dicendo che la umanità pec
catrice non aveva, stante la connessione della volontà e dell' intelli
genza , facoltà di produrre un tipo senza macchia. Ma , come venne
assai giustamente notato, se Schleiermacher fa la supposizione di un
miracolo sulla nascita del suo Cristo vero, noi potremmo ad egual
diritto fare una supposizione simile, per la nascita dell' ideale di un
Cristo in seno all'anima umana '). Però, non è nemmen vero che la
natura umana peccatrice sia incapace di produrre un tipo senza pec
cato. Se per questo ideale non si intende che la idea generale della
§ H9.
• § 150.
La Cristologia, speculativo..
§ 151-
Ultimo dilemma.
I) Dogmatik, § 326.
*) Encycloplidie, pag. 160.
') Gelbstbeicusstsein und Offenbarung , pag. 295 seg. Confr. Bauer,
nella Recens. des L. J. Jahrbùcher f\ir tcisssenschaftlichen Kritik, 1856,
maggio, pag. 61)0 seg.
628 VITA DI GESÙ
sono manifestate nella dottrina della Chiesa intorno alla persona ed
all'opera del Cristo? Non si ha che a paragonare il biasimo da Rosen-
kranz espresso nel suo esame della critica di Schleiermacker sulla cri
stologia della Chiesa con ciò che lo stesso autore vi ha surrogato
nella sua Enciclopedia: e si troverà che le proposizioni generali del
l'unità delle nature divina ed umana non rendono per ombra più con-
cessibile lo apparire di una persona in cui questa unità avesse indivi
dualmente esistito, in modo esclusivo. Se io posso figurarmi che lo
spirito divino, alienandosi ed abbassandosi, diviene lo spirito umano,
e che lo spirito umano rientrando in sè ed inalzandosi al di sopra
di sè divien lo spirito divino, non per questo io riesco a imaginare
come mai la natura divina e la umana avrebbero formato le parti
integranti, distinte e pur riunite, di una persona storica. Se io veggo
che lo spirito della umanità, in virtù dell'unità sua collo spirito divino,
prende sempre più nel corso della storia il carattere di potenza
dominante la natura, questa è ben altra cosa dal concepire un singolo
individuo fornito di simile potenza per effettuare singoli atti indivi
duali e arbitrarii. Infine, s'egli è vero che la soppressione del carat
tere naturale sia la risurrezione dello spirito, non se ne trarrà giam
mai la conseguenza che un individuo sia materialmente risorto.
Così noi saremmo^di nuovo ricaduti nel punto di vista di Kant,
da noi stessi trovato insufficiente; poiché se la idea non ha realtà,
essa è una possibilità vuota e un vano ideale. Ma sopprimiamo noi
dunque ogni realtà dell'idea? Niente affatto: noi sopprimiamo solo
quella realtà che non deriva dalle premesse '). Se si attribuisce realtà
all'idea dell' unità^delle nature divina ed umana, egli è per questo a
dirsi ch'essa debba'essersi realizzata una volta in un individuo, come
mai non lo fossefstata già prima e come mai non avesse ad esserlo
in avvenire? Non^è questo il processo per il quale la idea si realizza;
essa non prodiga^tutta la sua ricchezza in un esemplare, per esserne
avara verso tutti gli altri 3); essa non s'imprime completamente in
quell'unico esemplare per non mai lasciarne in tutti gli altri fuorché
una impronta incompleta: ma essa ama spiegare i suoi tesori in una
varietà di esemplari che si completino reciprocamente in una alter-
§ 152.
CAPITOLO OTTAVO.
AVVENIMENTI DELLA VITA PUBBLICA DI GESÙ,
ESCLUSE LE STORIE DEI MIRACOLI.
§ 84. Confronto generale dtsl modo di narrare dei veri evangelisti. Pag. 5
§ 85. Gruppi isolati di aneddoti. — Imputazione di una lega con Bel
zebù e domanda de' segni > 12
§ 86. Visita della madre e dei fratelli di Gesù e della donna che
esalta la felicità di Maria > 17
§ 87. Racconti delle dispute di preminenza fra gli apostoli e dell'a
more di Gesù pei fanciulli » 20
§ 88. Purificazione del Tempio » 25
§ 89. I racconti dell'unzione di Gesù per una donna . . . » 30
§ 90. I. racconti della donna adultera e di Maria e Marta. . » 41
CAPITOLO NONO.
MIRACOLI DI GESÙ.
CAPITOLO DECIMO.
TRASFIGURAZIONE DI GESÙ; SUO ULTIMO VIAGGIO A GERUSALEMME.
SEZIONE TERZA.
CAPITOLO PRIMO.
RAPPORTO FRA GESÙ E L' IDEA D' UN MESSIA PAZIENTE E MORENTE;
SUOI DISCORSI SOPRA LA MORTE, LA RISURREZIONE ED IL RITORNO.
§ 111. Gesù ha egli predetto con precisione la sua passione e morte? > 283
.§ 112. Predilezione di Gesù sulla sua morte in generale. — Rapporto
di questa predizione colle idee ebraiche intorno al Messia. —
Dichiarazioni di Gesù sullo scopo e sugli effetti della sua
morte > 290
§ 113. Dichiarazioni precise di Gesù sulla sua risurrezione futura » 300
§ 114. Discorsi figurati nei quali Gesù avrebbe predetto la sua risur
rezione "... . > 303
§ 115. Discorsi di Gesù sulla sua venuta. — Critica delle diverse
spiegazioni . . . » 314
§ 116. Origine dei discorsi sulla venuta » 327
CAPITOLO SECONDO.
•MACCHINAZIONI DEI NEMICI DI GESÙ; TRADIMENTO DI GIUDA;
ULTIMA CENA COGLI APOSTOLI.
CAPITOLO TERZO.
GITA AL MONTE DEGLI OLIVI; ARRESTO, INTERROGATORIO,
CONDANNA E CROCIFISSIONE DI GESÙ.
CAPITOLO QUARTO.
MORTE E RISURREZIONE DI GESÙ.
CAPITOLO QUINTO.
ASCENSIONE.
DISSERTAZIONE FINALE.