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Cari,compagni, in primo luogo devo esprimere compiacimento per il risultato ottenuto con le elezioni politiche del 20 giugno poich

ha dimostrato che il movimento per i diritti civili non potr pi essere considerato una componente politica marginale. Ci premesso, non posso nascondere che tale risultato ha anche evidenziato come questa lotta sia stata inadeguata per il decollo dell'area socialista-libertaria. Un mancato decollo nonostante che leccezionale mobilitazione avvenuta sul referendum abrogativo delle leggi Rocco sul reato daborto -conclusa nel luglio 75 con la consegna in cassazione delle 750.000 firme raccolte- avesse convinto che se fossero stati presentati dei candidati radicali alle elezioni politiche i consensi sarebbero stati sufficienti a determinarlo. Questa interpretazione suffragata dal Congresso di Firenze, novembre 75, nel quale in forza della convinzione che il risultato delle elezioni amministrative del 15 giugno -caratterizzato dalla mortificazione di clericalismo e democrazia cristiana e dal boom dei partiti della sinistra- era dovuto alle lotte per i diritti civili e che esistendo ancora un complesso vasto di aspirazioni e movimenti che potevano essere soddisfatti da queste lotte, si ribadiva -in sintonia con quanto era stato formulato nel precedente congresso di Milano, del 74- che alle prossime elezioni politiche sarebbe stato possibile acquisire -almeno- un 20% di rappresentativit elettorale allarea socialista-libertaria. Questi i corollari logici tanto del ponte, lanciato verso il Psi per farlo assurgere, rinnovato, a condottiero di tale disegno, quanto, fallita la proposta per lindisponibilit socialista, della presentazione in proprio della candidatura alle politiche. Ma il 20 giugno stato una " frustata". Sarebbe "follia" non riconoscerlo, ipocrisia non ammetterlo. Tale elezione indica infatti che: 1) il partito vaticano, la Dc, non si disgregato e che quindi la generalizzata richiesta di una vita diversa capace di rovesciare i rapporti tra Stato e cittadino per linstaurazione di una nuova qualit di vita socialista libertaria era meno urgente e potente di quanto supposto; 2) i voti della sinistra, polarizzati attorno al Pci e non al Psi e al Pr, si spiegano col fatto che le indicazioni e le lotte per i diritti civili non costituivano, in termini immediati, condizioni sufficienti ad aggregare consistenti strati popolari attorno al progetto di alternativa libertaria. Non si venga a dire che tali asserzioni non sono suffragate, poich sono i risultati delle elezioni ad indicare che la Dc ha "retto, il PCI ha fatto un "ulteriore balzo in avanti",mentre il Psi ha registrato un calo di voti rispetto a quelli ottenuti nel 75. Non solo: questi risultati indicano anche che, sommando i voti ottenuti dal Psi con quelli del Pr, si ottengono 2% di voti in meno di quelli conseguiti dal Psi il 15 giugno 75. Quindi con il 20 giugno 76 non si verificato il decollo dellarea socialista-libertaria ma il suo contrario. Su questi fatti non insisto poich vi sono fin troppo noti. E pertanto opportuno affrontare le cause che pi hanno contribuito ad ostacolare lauspicato decollo. Queste vanno individuate nella valutazione errata data dal Pr agli elementi di fondo che caratterizzano il quadro politico ed economico italiano degli anni 60 e nella conseguente inadeguata proposta politica. Infatti di fronte ad una crisi economica, che diventava sempre pi problema sentito e patito dalla collettivit nazionale, e aI movimento di classe" che si sviluppava

con eccezionale ampiezza e profondit, il Pr limitava lintervento ai diritti civili, lasciando costantemente in ombra il problema economico-sociale. Questo atteggiamento finiva inevitabilmente (cio consapevolmente o no) per avallare che la lotta per i diritti civili fosse qualcosa di disgiunto dal problema economico e dalla lotta di classe e che lo stesso progetto di rinnovamento e di unit della sinistra potesse essere costruito senza la "soluzione di questi problemi 1. Beneficiario di questo atteggiamento finiva per essere il Pci, in quanto gli permetteva di uscire indenne dalla contestazione di classe e di presentarsi come paladino del "buon senso" dal momento che considerava prioritario e risolvibile, pur nellambito di un accordo di governo con la Dc , il problema economico senza per questo dimostrarsi insensibile ai diritti civili. Ben diverso sarebbe stato se il Pr fosse stato consapevole che per la prima volta nel dopoguerra, il movimento di classe rappresentava un momento di crisi di vasti strati popolari con legemonia del PCI ed era potenzialmente disponibile, a seguire le indicazioni di altre formazioni democratiche e socialiste appena queste si fossero dimostrate interessate a dare soluzione ai valori di cui era portatore. Parto quindi dal presupposto che il Pr non doveva presentarsi al giudizio della gente come il partito dei diritti civili,ma come il partito dei diritti civili e della questione sociale, poich cosi facendo avrebbe avuto modo di dimostrare che la crisi economica lo riguardava, che i diritti civili erano rivolti a risolvere tale crisi e che la proposta alternativa di sinistra -al pari del compromesso storicoera in grado di prospettare soluzioni su tutti i grandi problemi che affliggevano la vita nazionale. Un tale presupposto porta implicito un altro elemento di non secondaria importanza e cio il fatto che la questione economico-sociale avrebbe permesso, se affrontata dal Pr, di porre un alt al Pci sgretolando in uno o pi punti il suo interclassismo e, per questa via, ottenere una pi ampia polarizzazione di voti attorno alle proprie liste, dando consistenza e peso al decollo dell'area "libertaria". Non mi sfuggono difficolt e possibili obiezioni. Principalissima, nelle nostre file, quella di chi vede nellavvicinamento dei diritti civili alla questione sociale un'operazione tecnicamente possibile ma politicamente sterile in quanto destinata a disaggregare pi che aggregare consensi elettorali. A tali obiezioni si deve rispondere che la questione sociale, non identificandosi con il movimento di classe, dal momento che ne rappresenta una proiezione a Iivello giuridico-statuale, tocca, come i diritti civili, non la classe, ma la gente. Se cos affermo che diritti civili e questione sociale potevano e possono coesistere su uno stesso piano e concorrere a rafforzare il consenso attorno al partito. Ci detto non vorrei annoiarvi oltre con ragionamenti a carattere "teorico", ma scendere ai fatti per vedere in primo luogo se esistano problemi economici che possano interessare la gente e in secondo luogo se esistono lotte economiche che, al pari dei diritti civili, possano essere condotte non sul modello della lotta di classe ma su quello della lotta di gente.
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Negli anni '60 il Pr, lottando per avvicinare la conquista del controllo delle nascite, era l'unico partito che in Italia si proponesse di dare soluzione a un problema economico-sociale di capitale importanza. Purtroppo questa lotta non poteva essere recepita come problema economico, soprattutto perch i dirigenti del Pr lo proponevano in veste di conquista di un diritto civile

Il mio terreno di riflessione sar quello delle pensioni 2. Come si sa in Italia non esiste un unico Ente erogatore di pensioni IVS (invalidit, vecchiaia, superstiti), ma una molteplicit di Enti. I principali Enti previdenziali per lavoratori dipendenti sono: l'INPS Regime Generale (che interessa la generalit dei dipendenti privati) con 12.000.000 assicurati e 7.500.000 pensionati IVS; il Tesoro che riguarda i dipendenti dello Stato (Civili, Militari, Aziende autonome, Enti Locali.) con 2.800.000 assicurati e 1.050.000 pensionati IVS. Se ora (escludendo per semplicit di analisi il trattamento riservato agli invalidi e superstiti) si esaminano i criteri con i quali il lavoratore pu accedere alla pensione si nota che presso l'INPS Reg. Gen. la si ottiene quando si raggiunto il 55 o il 60 anno di et, se donna o uomo, in presenza di almeno 15 anni di lavoro, oppure al compimento del 35 anno di lavoro, mentre presso il Tesoro i dipendenti Civili dello Stato conseguono la pensione di vecchiaia al 65 anno, in presenza di almeno 15 anni di servizio, oppure al raggiungimento del 20 anno di servizio, mentre i dipendenti degli Enti locali a 60 anni, in presenza di 15 anni di lavoro, oppure al 25 anno di lavoro. Evidentemente la regola INPS relativa alla pensione di vecchiaia, previa la presenza dei 55 o 60 anni e almeno 15 anni di lavoro, riguarda quei lavoratori che hanno, iniziato a lavorare in et avanzata, al limite dei 40-45 anni, rispettivamente se donne o uomini. Del pari la regola del Tesoro, del raggiungimento della pensione allet di 60 o di 65 anni, se dipendenti degli Enti Locali o impiegati Civili dello Stato, in presenza di almeno 15 anni di servizio, riguarda donne e uomini. che abbiano iniziato a lavorare a 45 o 50 anni di et. Come facile comprendere, queste regole non interessano la generalit dei lavoratori. Questi ultimi si avviano al lavoro in et giovanile, dopo o poco dopo il conseguimento del titolo di studio. In tutti questi casi, per chi assicurato INPS vale la regola del raggiungimento minimo dei 35 anni di lavoro e per chi assicurato Tesoro vale la regola del conseguimento minimo del 20 o dei 25 anni di servizio. Questa diversit di condizioni per il conseguimento della prima pensione di anzianit costituisce un fatto "notevolissimo". Infatti un dipendente privato, uno degli Enti Locali, uno di Stato, che inizino a lavorare all'et di 16 anni, potranno andare in pensione, rispettivamente, allet minima dei 51, 41, 36 anni. A parte il fatto kafkiano di erogare pensioni di anzianit a persone ancora giovani, ci vuole poco a convincersi che la pensione corrisposta ai dipendenti pubblici prima del 51 anno di et viene a gravare sulle, spalle dei dipendenti privati, dal momento che i primi fruiscono di un trattamento economico avulso da ogni prestazione lavorativa ben prima che i secondi, raggiunto il 51 anno, possano raggiungere il riposo. Visto che regola generale per i dipendenti pubblici quella di poter andare prima in pensione, incalza la curiosit di sapere a quanto ammonta il furto perpetrato da questi ai danni dei dipendenti privati. Mi possibile stabilire -servendomi di una vecchia indagine del '53, rielaborata da Onorato Castellino in un suo recente studio sui pensionati dello Stato e sulla loro distribuzione per et al momento della decorrenza della pensione- che nel '75 i dipendenti pubblici in pensione in una et compresa fra i 30 e i 51 anni erano non meno di 263.000 3. Sulla scorta di
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Tutti i dati riportati nel testo si riferiscono agli anni '71-75.

La cifra l'ho fornita utilizzando un procedimento alquanto discutibile, ma non per questo essa resta meno indicativa. I dati di cui dispongo sono: pensionati IVS dello Stato (800.000); pensionati degli Enti Locali (191.000), pensionati V En. Locali (127.000); i risultati di una indagine condotta nel '53 sui pensionati dello Stato (Civili, Militari, Aziende

questo dato e supponendo che essi percepissero una pensione mediamente pari a 65.000 lire mensili 4, con semplici moltiplicazioni, stabilisco che l'ammontare della cifra corrisposta dal Tesoro in pensioni a giovani ex dipendenti pubblici era, nel solo '75, pari a 220 miliardi di lire. Cifra a dir poco astronomica dato che non ha nessuna giustificazione ed semplicemente determinata da un atto di prepotenza esercitato da questa categoria sui pi laboriosi dipendenti privati. Se, visti i criteri a tempo cui sono soggetti i prestatori dopera per poter percepire la pensione, passiamo a considerare i criteri "monetari" ai quali sono soggetti gli stessi nel momento in cui si mettono a riposo, vediamo che dall'INPS la pensione viene calcolata in base alla retribuzione annua mediamente percepita nei tre anni pi favorevoli all'assicurato, scelti fra gli ultimi 5 e liquidata ad un importo pari all1,8% di tale retribuzione fino al limite massimo del 74% al compimento del 40 anno e oltre di lavoro e di contribuzione, mentre dal Tesoro viene calcolata agli appartenenti agli Enti Locali in base all' ultima retribuzione (si intenda la retribuzione dell'ultimo mese) secondo una proporzione variabile dal 37,5% per anzianit di 15 anni, fino al tetto del 100% per anzianit di 40 anni e oltre (laumento non lineare; infatti in corrispondenza con 20, 25, 30, 35 anni di lavoro la quota del 45, 55, 67,5, 82,5%). Per gli impiegati dello Stato la pensione viene commisurata all'ultima retribuzione (come per i dipendenti Enti Locali), secondo una proporzione del 35% per anzianit di 15 anni e con un aumento pari all1,80% per ogni anno successivo fino ad un massimo dell'80% per pensioni di 40 anni e oltre. In base .a questi criteri di computo le pensioni sono pi favorevoli -pur con rimarchevoli diversitai dipendenti pubblici che a quelli privati. Infatti, supponendo che un dipendente assicurato INPS, un dipendente degli En. Locali e uno di Stato assicurati al Tesoro, vadano in pensione al compimento del 35 anno di servizio con una identica "base pensionabile", poniamo 160.000 lire mensili, il primo, ricever una pensione pari a 103.000, mentre il secondo e il terzo andranno rispettivamente in pensione con 132.000
Autonome) in base alla distribuzione per et dei titolari di pensione di anzianit al momento della decorrenza della pensione, elaborati da 0. Castellino, e riportati in tabella: Dipendenti dello Stato: distribuzione delle pensioni di Vecchiaia per et alla decorrenza: -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Et (anni) Frequenza% -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------sino a 30 0,70 da 30 a 35 4,10 da 35 a 40 6,01 da 40 a 45 12,00 da 45 a 50 14,78 da 50 a 51 3,5 Dato che ho a disposizione i dati relativi ai pensionati IVS e V En. Locali, IVS Stato, per determinare i pensionati V statali ricorro alla proporzione: 191.000: 127.000 = 800.000: x= 530.000. Mancandomi i dati percentuali per et di decorrenza della pensione dei pensionati V En. Locali e mancandomi dati pi recenti sull'et dei pensionati statali presumo che le classi di et di pensionamento per tutti i dipendenti pubblici siano quelle fissate nella tabella elaborata da Castellino e che siano rimaste immutate a partire dal '53 fino ai nostri giorni. Ci premesso, per ottenere l'ammontare dei dipendenti pubblici V che si mettono in pensione prima del compimento del 51 anno di et, dopo aver sommato i V di Stato ai V En. Locali (530.000 + 127.000) e cosi ottenuta la totalit dei pensionati V dipendenti pubblici (657.000), ho tradotto in numero le percentuali riguardanti le diverse classi di et di pensionati fino al tetto del 51 anno di et compreso, e poi sommate.
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La cifra fornita in base al presupposto minimalista che impossibile che, in relazione alle esposte diverse normative, nel 75 la differenza tra la pensione diretta minima erogata dal Tesoro ai dipendenti pubblici e la minima erogata dall'INPS ai suoi assistiti sia inferiore alle 10.000 lire mese.

e 113.600 lire al mese al netto della 13^mensilit. Come dato a vedere, la differenza tra la pensione percepita dallassicurato INPS e quelle percepite dagli assicurati al Tesoro ammonta rispettivamente a 28.400 e 10.000 lire al mese. Tale differenza costituisce una ingiustificata discriminazione, un tot di furto in pi, che viene ad aggiungersi ai benefici a tempo goduti dai secondi ai danni dei primi. Questi fatti, ripeto, sono deducibili e scontati per chi guardi i criteri "monetari" con i quali si computa la pensione agli assicurati INPS e Tesoro. Ma ci che non deducibile e scontato (per i non addetti ai lavori), che su questi criteri pesa unipoteca nascosta fra le pieghe della carriera retributiva che determina a monte la fisionomia della pensione. Mi riferisco al fatto che la pensione premia quelle carriere che per effetto della semplice anzianit di servizio si discostano verso l'alto dalla media retributiva e che -neanche a dire- sono rappresentate, le prime, dagli assicurati al Tesoro e le seconde, dagli assicurati allINPS. Per rendersi conto della verit di queste asserzioni, basta prendere spunto da uno studio di Ermanno Gorrieri, "La giungla retributiva", condotto allo scopo di far luce sulle retribuzioni delle diverse categorie dipendenti e dal quale si pu dedurre l'ammontare della diversit retributiva cui da luogo lanzianit di servizio presso lavoratori di identica qualifica ma appartenenti a diversi settori. In una tabella elaborata da questo autore sono messe a confronto qualifiche operaie quali, ad esempio, l'operaio comune metalmeccanico ed edile, l'applicato En. Locali e l'usciere di Stato: i primi due, che all'inizio della carriera percepiscono 95.621 e 123.370 lire al mese, dopo 18 anni di permanenza nella stessa qualifica percepiscono, rispettivamente 99.289 e 123.370 lire mensili, mentre i secondi due, che all'inizio della loro carriera percepiscono 133.545 e 90.754 lire al mese, dopo 18 anni di permanenza nella stessa qualifica, percepiscono 194.667,e 125.887 lire al mese 5. Dalle cifre indicate si constata che, rapportate a 100 le paghe iniziali degli operai, il primo e il secondo, appartenenti al settore privato, hanno realizzato una progressione retributiva di circa il 3,5 e 0%, mentre il terzo e il quarto, del settore pubblico, hanno realizzato una progressione del 45 e del 38% circa. Sapendo che gli operai privati e quelli pubblici si collocano nell'abito dell'INPS e del Tesoro e che la pensione si computa sulla base delle ultime retribuzioni, facile dedurre che per lavoratori dipendenti appartenenti alla stessa qualifica le pensioni che si maturano su paghe soggette nel tempo a un pi alto dinamismo sono favorite e ancora che la pensione porta sepolta nel proprio seno la percentuale acquisita per effetto del dinamismo della retribuzione. Per quanto difficile mi sia passare dal raffronto di singoli casi al raffronto generale sul computo dell'incidenza che la progressione retributiva conseguente alla semplice anzianit di servizio determina sulla pensione dei prestatori d'opera facenti capo ai due Enti pensionistici, voglio tentare un paragone che dia un'idea di tali diversit. Prendendo ancora spunto da una tabella elaborata da Gorrieri, dove sono messe a confronto la progressione di carriera compiuta dall'operaio specializzato metalmeccanico e quella di un maestro di scuola elementare, si nota che il primo e il secondo dopo 35 anni di permanenza nelle rispettive qualifiche hanno realizzato sulla paga iniziale una progressione pari a circa il 5 e il 95% 6. Ora, se si tiene conto che presso l'INPS si colloca la generalit dei dipendenti attivi privati per un complesso di 9,5 milioni di operai e 1,8 milioni di impiegati e che le retribuzioni dei primi in 35
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Tutte le retribuzioni sono riferite a paghe tabellari.

Le progressioni monetarie, per effetto della semplice anzianit di servizio delle rispettive carriere, sono riferite a paghe tabellari.

anni di prestazione lavorativa subiscono un incremento pari a quello segnalato per l'operaio comune metalmeccanico e quelle dei secondi, in uno stesso tempo, un aumento retributivo del 70% 7, si comprende come si possa far assurgere l'aumento che subisce nel tempo la retribuzione dell'operaio specializzato metalmeccanico, appena si aggiunga il 10,5% circa, a simbolo della dinamica retributiva degli assicurati a questo Ente. Allo stesso modo, se si tiene conto che presso il Tesoro si colloca la generalit dei dipendenti pubblici attivi per un complesso di 2,8 milioni di cui 1 su 3,5 insegnante e 1 su 2,8 8 laureato o diplomato con un andamento retributivo nel tempo eguale o lievemente inferiore a quello del maestro e che le carriere operaie sono soggette a un dinamismo simile a quello segnalato per l'usciere, si comprende come possibile far assurgere lo stipendio del maestro elementare, detratto un 35%, a simbolo della dinamica retributiva subita in 35 anni dalla totalit degli assicurati a questo Ente. Per quanto non sia in grado di dare un'idea reale del furto perpetrato dai dipendenti pubblici ai danni di quelli privati, posso tranquillamente affermare
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Che nel settore privato le retribuzioni delle qualifiche impiegatizie siano soggette nel tempo a un incremento superiore a quello delle qualifiche operaie un fatto noto. Per illustrarlo riporto alcuni esempi estrapolati dal citato libro di E. Gorrieri Qualifiche impiegatizie, settore privato: incidenza dellanzianit di servizio sullo stipendio dopo 18 anni di lavoro (paghe tabellari) Qualifiche Retrib.iniz. Retrib.Iniz.=100 Retrib.dopo18anni Prog.%dopo18anni -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Impieg.Concet. 2^Categ.Edili 205.800 100 285.000 +38,7 Capo Ufficio Tecnico Ind.Meccanica 199.000 100 282.000 +41,7 Impie.Dirett. Ind.Ceramica 215.000 100 311.000 +45 Dirigente Az.Industriale 504.000 100 806.000 +59,9 Per quanto disponga di un discreto numero di esempi sullaumento retributivo di categorie impiegatizie, questi dati non mi sono ancora sufficienti per poter determinare la differenza prodotta dal trascorrere del tempo sulle retribuzioni dei dipendenti con qualifica impiegatizia ed operaia. Quindi lindicazione del 70% dopo 35 anni di servizio come divaricazione media tra retribuzioni impiegatizie ed operaie del settore privato fissata arbitrariamente sul presupposto che preferisco incorrere in un errore per eccesso che per difetto. La cifra dei laureati e diplomati statali la ricavo da "Uno studio della Federazione degli statali CGIL" -"Chi quanti sono quanto costano e percepiscono i pubblici, dipendenti- considerando che debbano computarsi come laureati o diplomati oltre agli insegnanti e i magistrati, i quadri dirigenti, direttivi, gli impiegati di concetto,gli ufficiali riportati nelle tabelle dei Ministeriali, Aziende Autonome, Militari. Disponendo degli En.Locali solo il totale degli occupati attivi ma non la suddivisione per ruolo di questi presumo che i laureati, e i diplomati En. Locali sulla totalit dei suoi occupati siano in proporzione a quelli delle Az. Autonome rispetto al totale degli occupati presso le stesse. II computo dei laureati e diplomati, sulla base dei criteri esposti riportato nella seguente tabella: Laureati e diplomati pubblici per settori: Qualifiche Quantit -----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------Insegnanti 786.000 Magistrati 8.500 Dirigen.Direttori ImpiegatiConcetto Ministeriali 66.000 Dirigen.Direttori Impiegati Concetto Aziende Autonome 67.000 Ufficiali Militari 38.000 Dirigen.Direttori Impiegati Concetto Enti Locali 100.000 Sapendo che in totale i dipendenti pubblici in attivit ammontano complessivamente a 2.800.000, mi stato facile indicare i rapporti esistenti tra questi e gli insegnanti, i laureati e i diplomati.
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che, fermi restando gli attuali criteri monetari con i quali si computano le pensioni, esso sar superiore di due volte a quello prodotto dai criteri a tempo sopra esposti 9.Dico sar e non , perch tale furto diventer compiuto quandole pensioni verranno liquidate con il sistema retributivo entrato in vigore con le leggi del 68-'69. A tale data i criteri a tempo a cui sono soggette le retribuzioni saranno quelli che maggiormente avranno contribuito a fissare a favore dei dipendenti pubblici la divaricazione media che si avr nel trattamento pensionistico goduto dagli assicurati ai due diversi Enti. I rilievi fin qui fatti sulla diversit dei criteri a tempo e monetari cui sono soggetti i dipendenti pubblici e privati, nonch le alte pensioni, costituiscano i fenomeni pi intollerabili tra quelli che dato cogliere a chi si affacci a guardare la "giungla pensionistica". So che nei confronti di questa posizione critici "maliziosi" obietteranno che un "corretto rapporto a regime" prevede che i pensionati di invalidit corrispondano al 30% di quelli di vecchiaia, mentre presso l'INPS i pensionati V ammontano a 2.900.000 e quelli I ad una cifra analoga e che quindi esistono ben 1.800.000 pensionati di invalidit di troppo che, supponendo anche solo percepissero tutti nel '75 la pensione minima, hanno frodato l'erario, limitatamente a quellanno, di (56.000 x. 13 x 1.800.000) 1.200 miliardi di lire circa. Cifra di 2 volte superiore a quella fregata dai dipendenti pubblici qualora i fattori a tempo e monetari denunciati si supponessero operanti. Tali obiezioni, per quanto fondate, risulterebbero di certo "esagerate" in quanto non terrebbero conto che nel '73 -riferito all'INPS Reg. Gen- il 29% dei pensionati a favore dei quali stata liquidata una pensione di invalidit aveva l' et necessaria (55 o 60 anni), ma non i requisiti contributivi (15 anni) minimi per ottenere una pensione di vecchiaia; n considererebbero che un rilevamento sulla distribuzione per et dei titolari di pensioni di invalidit indica che di essi il 22,5% aveva meno di 55 anni, il 14,5% tra i 55 e i 60, il 63% oltre i 60 anni. Questi dati, se esaminati senza faziosit, inducono a ritenere che la maggioranza dei fruitori illegittimi di pensioni di invalidit devono essere ricercati fra quella massa composta da 4,6 milioni di individui attivi che Silos Labini, nel suo "Saggio sulle classi sociali" rubrica fra gli occupati nell'industria fino a 100 addetti o tra gli occupati precari dell'industria e dell'agricoltura. Persone cio che, trovandosi pi in basso nella scala sociale, vicine al 55 o 60 anno di et, in mancanza di opportunit migliori offerte dal sistema economico, ricorrono, appoggiandosi alle personalit politiche e mediche del luogo di residenza, ad una pratica di invalidit per ottenere una pensione destinata a soccorrere l'incombente
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Se si fa l'ipotesi che le qualifiche impiegatizie ed operaie di tutti gli attuali pensionati V, sia assicurati al Tesoro che all'INPS Reg. Gen., siano in proporzione con le qualifiche, impiegatizie ed operaie, degli assicurati attivi presso i due Enti, e che i suddetti pensionati siano andati in riposo dopo aver fornito 35 anni di servizio e che le pensioni siano erogate con i criteri retributivi in vigore nel periodo esaminato, si avr che le pensioni dei dipendenti privati, per effetto del computo percentuale, sono inferiori a quelle dei dipendenti pubblici dell'8,7% e per effetto dell'anzianit di servizio del 45%. Ferma restando l'ipotesi formulata e ammesso che solo per le qualifiche operaie pubbliche e private valga la parit nel computo monetario delle pensioni e sia legittima una divaricazione tra qualifiche operaie ed impiegatizie private e pubbliche pari al 30%, si avr che l'ammontare illegittimamente estorto in pensioni dagli ex dipendenti V pubblici a quelli privati, ammonta a circa il 45-50% del monte pensioni complessivamente erogato dal Tesoro a questa categoria di pensionati. Accettando questo criterio e passando dallipotesi astratta alla realt, se si considera che, nel giro di 25-30 anni, a partire dallentrata in vigore delle leggi '68-69 che introducono il computo delle pensioni sulla base delle retribuzioni, si avranno pensionati la cui proporzione tra pubblici e privati e tra qualifiche impiegatizie ed operaie non potr essere molto diversa da quella attualmente esistente fra gli assicurati attivi dellINPS e del Tesoro, si avr che, facendo mediamente pari a 30 e a 35 gli anni di prestazioni lavorative fornite dai dipendenti pubblici e privati, lammontare dellestorsione prodotta dai pensionati pubblici V sui pensionati privati non potr essere molto diversa da quella in precedenza formulata. Altro che i 240 miliardi anno da me indicati nel testo!!!

vecchiaia. Nasce quindi doverosa la necessit,quando si esamina il fenomeno dell'abnorme ricorso al pensionamento di invalidit da parte di milioni di persone, di distinguere quelli che vi ricorrono in una et vicina al 60 anno perch privi di capacit o di mezzi sufficienti a fronteggiare la vecchiaia da quelli che vi ricorrono prima di tale et in assenza di cause invalidanti. Bench manchino nel nostro paese elementi di statistica che soli potrebbero "diradare i veli che nascondono molti misteri", esistono ragioni probanti che mi fanno ritenere che le pensioni I erogate a persone che non hanno nessun titolo per riceverle, non possono essere pi del 15% di quelle attualmente considerate illegittime. Al che -se vero quanto affermato dei 1.200 miliardi erogati nel '75 in pensioni illegittimesolo 200 miliardi verrebbero latrocinati; il rimanente andrebbe a persone bisognose, a vario titolo, di sopperire alle necessit della vecchiaia e quindi il furto perpetrato dai pubblici dipendenti risulterebbe ancora il pi consistente e ingiustificato. Ma ancora e pi, chi contrapponesse ai privilegi goduti dai pubblici dipendenti i percettori illegittimi di pensioni di invalidit, senza aver la volont di rimuovere i privilegi goduti dai primi, finirebbe per fornire alibi e scorciatoie a quanti sono desiderosi di nascondere i vantaggi che l'attuale sistema pensionistico riserva alle classi impiegatizie e piccolo borghesi, senza per questo voler affrontare e risolvere ci che di marcio si annida nel computo e nell'erogazione di ingiustificate e ingiustificabili pensioni di invalidit. Ed per queste ragioni che affermo che chi voglia incominciare a risolvere i misfatti che si annidano nel cuore del sistema pensionistico italiano debba, per una serie di ragioni politiche e tecniche che desidero omettere dall'elencare, affrontare prioritariamente due fatti legati al computo della pensione dei pubblici dipendenti: l'et di pensionamento e gli effetti monetari che si spingono oltre un certo limite 10. La soluzione tecnica di questi problemi si presenta di una facilit inaudita. Basterebbe infatti fissare per legge che nessun cittadino italiano che non sia I o S possa ricevere una pensione di vecchiaia prima del compimento del 51 anno di et e che agli effetti pensionistici non si computano le retribuzioni che superano un tetto 2,5 volte superiore alle retribuzioni medie operaie in vigore nel settore industriale. Quando formulo queste proposte tengo conto di molti fattori. Il principale quello di poter indicare una soluzione che sia in grado di polarizzare attorno a chi la sostiene, come compito da realizzare, il massimo dei consensi sociali e parimenti di mettere in movimento (con e al di l di chi la sostiene) una serie di altre richieste capaci di incidere il pi possibile sul complesso delle storture esistenti in campo pensionistico. In altre parole queste proposte si pongono l'ambizioso obiettivo di dare a una questione tipicamente sociale, quale il problema delle pensioni, una caratterizzazione che sia il pi lontano possibile dalla lotta di classe o di popolo e il pi vicino possibile alla lotta di gente. Prima di vedere se ci fattibile, bene soffermarsi brevemente su ci che si intende per lotta di classe, di popolo, di gente. Anche se in modo grossolano mi pare che, come comunemente intesa, lotta di classe significhi lotta economica o politica (non interessa se di carattere globale o parziale) fatta dalla classe operaia contro la borghesia in presenza della neutralit della piccola borghesia, al fine di strapparle una rivendicazione. Per lotta di popolo si intende la lotta intrapresa da proletariato e piccola borghesia al fine, anche qui,
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Omissis

di strappare alla borghesia una determinata rivendicazione economica o politica; al pi questa lotta prevede la neutralit o il consenso passivo di una parte dell'una o dell'altra delle forze alleate. Infine per lotta di gente si intende la lotta intrapresa da una parte di classe operaia, di piccola borghesia e di borghesia contro le altre parti di queste classi. Queste, in breve e schematicamente, le differenze caratterizzanti i tre tipi di lotte. Chiusa questa parentesi passiamo a vedere da chi pu essere sostenuta la prima richiesta di riforma: l'et di pensionamento. Essa trover favorevoli in primo luogo tutti quelli che, per normativa o altre necessit di fatto, non possono andare in pensione prima dellet di 51 anni. La classe operaia attiva, un complesso di 9.500.000 persone e quella a riposo, ,5.500.000 persone: un blocco di classe che, per quanto qua e l incrinato dalla corruzione, nella sua stragrande maggioranza non vedrebbe di "buon occhio" e non tollererebbe che dei "giovanotti" di 36 anni o dei non vecchi di 46 possano mettersi in pensione usufruendo di un periodo di riposo che a lei non concesso e che viene per di pi goduto a sue spese. La borghesia (proprietari, imprenditori, dirigenti, professionisti) 11 , un assieme di 500.000 persone attive e 150 mila in et di riposo abituate, per quanto sfruttatrici, a lavorare con una solerzia e una durata nel tempo superiori alla media, istintivamente sarebbe nella stragrande maggioranza propensa a vedere gli "sfaticati" pubblici pi solerti ed impegnati. Forse per ragioni di opportunit politica dettate dal dividi et impera la spingerebbe, in grandissimo numero, a non appoggiare la riforma. La piccola borghesia indipendente (coldiretti, fittavoli e coloni, artigiani, commercianti, imprenditori indipendenti o semi-indipendenti del trasporto e dei servizi), un. complesso di 5.700.000 persone attive e 2.900,000 a riposo, nella grande maggioranza molto operose, con turni e tempi di lavoro probabilmente superiori a qualsiasi altra classe, in condizioni economiche che sovente sono eguali quando non inferiori a quelle della classe operaia, con la possibilit legale di mettersi in pensione in et avanzata, 60 o 65 anni, ricevendo nella generalit la pensione minima, sarebbe forse a grande maggioranza la pi solerte nel sostenere che giustizia sia fatta contro gli evasori del lavoro, le talpe odiate degli uffici e dei Ministeri. La piccola borghesia impiegatizia privata, un blocco di 1.800.000 persone attive, e 700.000 in pensione, che a grande maggioranza sosterrebbe la riforma probabilmente in virt del solo fatto che i "cugini" impiegati dello Stato e degli Enti Locali godono di un. trattamento di favore a lei negato. Si opporrebbero alla riforma nella loro stragrande maggioranza e con tutti i mezzi possibili i diretti interessati, gli impiegati pubblici, un blocco di classe eterogeneo composto da 2.900.000 persone attive e da 1.000.000 a riposo. Probabilmente si opporrebbe alla ri= forma anche quella parte di impiegati pubblici che, pur volendo andare in pensione dopo il 51 anno di et, la avverserebbe per solidariet di "corpo", al fine di difendere un privilegio, non utilizzato, ma a cui si pu ricorrere in qualsiasi momento per trovare una soluzione di comodo ai problemi personali. Se cosi avremo schierati a favore della riforma non meno del 70% della classe operaia e altrettanti della piccola borghesia indipendente, un 60% della
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A queste conclusioni giungerei anche se fosse dimostrato che i miliardi estorti illegittimamente dai pensionati dinvalidit invece di essere stati -nel 75-non 200 ma 400 o 600. Questo perch parto dal presupposto che in ultima analisi i responsabili della elargizione di pensioni illegittime devono essere ricercati tra le autorit politiche e mediche che sono preposte a decidere in positivo o in negativo delle pratiche di invalidit e che la corruzione che porta le autorit ad elargire pensioni illegittime si appoggia sui privilegi economici da queste goduti.

piccola borghesia impiegatizia, altrettanti della borghesia e infine un 10% del blocco eterogeneo degli impiegati pubblici. Per concludere: 1) la stragrande maggioranza della popolazione (seppure i dati sono riferiti alla popolazione attiva ed ex attiva) sarebbe favorevole alla riforma (18.500.000 favorevoli, 11.000.000 sfavorevoli) ; 2) poich la lotta per tale riforma troverebbe sostenitori ed oppositori in tutte le classi sociali essa assumerebbe i caratteri che contraddistinguono la lotta di gente. Vediamo ora i probabili caratteri che assumerebbe la lotta per introdurre la seconda riforma: il tetto pensionistico. Essa troverebbe favorevoli tutti quelli che per normativa o condizioni di fatto non possono percepire, o sperare di percepire, la riscossione di una pensione di 2,5 volte superiore alla paga operaia media in vigore nell'industria. In primo luogo la classe operaia, privata e pubblica, e la piccola borghesia indipendente nella stragrande maggioranza, poi ancora a grande maggioranza la piccola borghesia impiegatizia, privata e pubblica. Per quanto riguarda la borghesia non tutta si trova a poter usufruire di un trattamento pensionistico. Non ne usufruiscono i grandissimi imprenditori e i rentiers. Ne usufruiscono, su basi di contribuzione obbligatoria, i professionisti ma con livelli medi che si aggirano al di sotto delle 2,5 volte la paga operaia media dell'industria: una frazione di borghesia composta da almeno 300.000 persone attive e 23.000 in pensione 12. Contraria alla riforma sarebbe solo la generalit della borghesia dipendente: dirigenti privati e pubblici, politici di professione, ecc. Una porzione di borghesia composta da almeno 200.000 persone attive e 40.000 in pensione. Se cos avremo schierati a favore della riforma almeno il 70% della classe operaia e della piccola borghesia indipendente, il 60% della piccola borghesia privata e pubblica, il 50% della borghesia proprietaria, imprenditoriale e professionista, il 10% di quella impiegatizia privata e pubblica. Per concludere:questa lotta godrebbe dellappoggio della stragrande maggioranza della popolazione e assumerebbe ancora l'aspetto di lotta di gente perch troverebbe sostegno in almeno il 35% della borghesia. Dal momento che come ho ipotizzato le due rivendicazioni devono essere condotte congiuntamente, avremo la possibilit teorica che la parte di classe sfavorevole alla prima rivendicazione faccia blocco con la parte sfavorevole alla seconda e unite si presentino contro la riforma; o viceversa che, per un gioco di compensazione, le due parti si disaggreghino e si uniscano al blocco di classe favorevole alle riforme. Ma poich le esperienze delle passate lotte economiche insegnano che quando sono in gioco interessi "strutturali" -i soldi- la logica che quasi sempre si afferma quella che unisce i vari interessi colpiti, c' da presumere che anche in questa lotta avverr la congiunzione di tutti coloro che, a diverso titolo, verranno toccati nelle tasche. In questo caso troveremo schierati a favore della riforma, con la sola eccezione della borghesia dipendente, un aggregato di classi sostanzialmente identico a quello che si presentava favorevole alla prima riforma. Vero che queste affermazioni possono incorrere nella censura. Ci sar chi potr sostenere che la borghesia dirigente, privata e pubblica, politica e giornalistica, legata con "mille fili" all'altra borghesia con cui si sentirebbe solidale non appena la prima si mettesse a reclamare sul taglio che lattuazione della riforma apporterebbe ai benefici
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Per borghesia attiva intendo quella descritta da Silos Labini nel suo Saggio sulle classi sociali.

ottenuti con "duri sacrifici" e tante "sante e sacrosante lotte, facilitata in questo compito dalla presenza, tra la borghesia favorevole alla riforma, dei 100.000 rentiers, permeabili a tutte le sollecitazioni che abbiano sapore di furto di classe. Di fronte a tali obiezioni mi sento disarmato e devo francamente ammettere che esistono alte se non altissime, possibilit che ci avvenga, anche se confido che molto dipenda da come le forze politiche interessate alle riforme saranno capaci di muoversi nel condurre questa campagna. Nonostante questo doveroso dubbio, posso affermare che raramente una grande riforma economica ha potuto pretendere di presentarsi, come questa, con buone probabilit di configurarsi come lotta di gente e al limite come lotta di popolo, con accentuate venature di lotta di gente, senza mai rischiare di presentarsi come lotta di classe. Passiamo ora a vedere se la riforma fin qui ipotizzata in grado di mettere in movimento altre richieste, oltre a quelle menzionate. Non sfuggir a nessuno, ad esempio, come lintroduzione del tetto massimo della pensione sia un'arma che finir non soltanto per incidere sulle punte pi alte, ma su tutta la gerarchia pensionistica. In altri termini, decapitate le altissime pensioni, c da presumere che i percettori di queste (il fiore dell'attuale classe generale) non accetteranno di trovarsi collocati a fianco degli ex subordinati e allora inizier la lotta delle gomitate per defenestrare da queste posizioni molti che le occupavano i quali, a loro volta, trovandosi nelle condizioni dei primi, si comporteranno allo stesso modo, innescando una reazione a catena. Ancora,questa lotta potr far nascere un senso di panico verso il mistero; la paura che il subordinato possa usufruire di un reddito occulto, la seconda o la terza pensione e per questa via aver la possibilit di avvicinarsi nuovamente ad una posizione che non gli compete. Questo pericolo, inesistente o quasi in una situazione nella quale il ventaglio delle pensioni si presenta amplissimo, diventa reale e tangibile qualora questo si restringa e allora probabilmente vedremo invocata e reclamata una misura che fino a questo momento sempre stata sabotata dalle classi potenti: l'introduzione funzionante del "casellario centrale dei pensionati", in grado di dire chi, quanti sono, quanto percepiscono, se sono titolari di una, di due o di tre pensioni personali o se ne dispongono unitamente al coniuge, od altro. Per altro verso, potremo vedere gli impiegati En. Locali ribellarsi agli impiegati statali ritti a file serrate vociare che non giusto che questi possono andare in pensione al compimento del 20 anno di servizio, mentre loro, per maturare lo stesso diritto, devono faticare 5 anni in pi e che, visto che il limite per la riscossione della pensione deve diventare il 51 anno, sarebbe bene introdurre per tutti gli occupati nel settore del pubblico impiego il minimo dei 25 anni di servizio, prima di maturare il diritto a dimissioni con beneficio di "effetti pensionistici". E ancora, potremo vedere maestre e professoresse non sposate, con o senza amanti, armate di "sacro furore" recarsi a manipoli poco folti ma decisi sotto gli uffici della CISL a vociare che, visto che il principio di eguaglianza fra i sessi deve essere introdotto, conviene incominciare ad abbattere ci che ancora divide le donne e quindi a far cadere i 5 anni di pensione figurata spettanti alle colleghe sposate o con figli. E se dai problemi che interessano i pubblici dipendenti si passa a considerazioni di carattere pi generale, facile prevedere che la definizione del tetto massimo delle pensioni solleciter linteresse verso i minimi. Cio nascer naturale la richiesta di vedere se i minimi corrisposti dall'INPS, pari al 24,5% della retribuzione media dell'operaio dell'industria, siano o no adeguati al minimo vitale necessario a

soddisfare le pi elementari esigenze di vita degli anziani. Qualora la discussione si aprisse su questo punto, "particolarmente delicato", la generalit dei percettori dei minimi direbbe che sono insufficienti e salirebbe dal basso la richiesta di spingere verso l'alto l'entit percentuale sopra indicata. Cos come non impossibile ritenere che, reclamata la definizione che fissi in modo pi equo quella che deve essere ritenuta l'et minima di pensionamento, non si scatenino una serie di altre sollecitazioni che a questa sono connesse. Ad esempio quella principalissima per gli impiegati pubblici di mantenere in vita l'istituto che prevede la possibilit di dimettersi al compimento del 25 anno di servizio se maturato prima del 51 anno di et. E nel caso questa sollecitazione passasse, si porrebbero molti problemi. Quello,ad esempio, di stabilire s l'ex dipendente a riposo, nellimpossibilit di ricevere una pensione, possa impiegarsi con diritto di maturarne una seconda -distinta e diversa dalla prima- o, possa solo maturarne una almeno fino al compimento del 51 anno di et. Problema che se sollevato rimanderebbe ad un quesito pi generale: se cio l'istituto stesso della seconda pensione debba essere mantenuto in vita. E ancora, il problema della et minima di pensionamento rimanderebbe all'et massima, all'esistenza di un ventaglio che andrebbe dal 51 al 65 anno di et e alla domanda se esso non sia troppo ampio (non si dimentichi infatti che al compimento del 51 anno di et potrebbero andare in pensione solo gli impiegati pubblici, e i lavoratori dell'INPS Reg. Gen., ma non ad esempio i lavoratori dell'INPS Gestioni Speciali -lavoratori autonomiche 13 continuerebbero ad andare in pensione all'et minima di 60-65 anni) . Al di l di quest'ordine di problemi, legati soprattutto alla base sociale, ne esistono altri che interesserebbero ai livelli pi alti le organizzazioni politiche e sindacali: la necessit di approntare i mezzi tecnici per determinare l'entit del reddito della piccola borghesia indipendente e semidipendente, onde rendere pi consistente l'azione di riscossione di fondi da capitalizzare nelle casse destinate alla erogazione delle pensioni, o l'opportunit di concentrare in un unico grande Ente nazionale articolato per regioni la molteplicit di Istituti, Casse, cassette attualmente esistenti, o di togliere allo Stato la facolt di avvalersi in via ordinaria del sistema a ripartizione, eccetera, eccetera. C' certamente anche dell'ironia quando scrivo queste cose. Ci non toglie che esse corrispondano a proposte o richieste che realmente si presenteranno, con e al di fuori di quelle forze gi disposte a sostenere e a far sostenere al popolo il requisito minimo dei 51 anni e il tetto fissato ad un limite ragionevolmente stabilito. Sono sicuro che davanti alla prospettiva della prevedibile tempesta che solleverebbe il sostenere queste proposte, molti rimarrebbero terrorizzati. Si metterebbero a balbettare che il problema delle pensioni non maturo, pieno di incognite, con soluzioni tecniche difficili da calcolare e determinare. E pi in generale obietterebbero che bisogna, quando si prospetta di intraprendere una "grande riforma", aver individuato e determinato la fisionomia complessiva di questa. Non nego che tale ordine di considerazioni sia fondato, ma a me pare che la questione di cui sto trattando rivesta un carattere squisitamente politico. Quello che si sa che oggi esistono misfatti gravissimi che si possono cogliere nella loro evidente irrefutabilit. A
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La cifra di 23.000 pensionati si riferisce ai soli appartenenti alla borghesia professionista.

questi fatti gravissimi si pu porre rimedio, purch esista una qualche forza capace e desiderosa di dare voce e organizzazione alle latenti forze sociali che reclamano maggiore giustizia, ma sono incapaci di darsela in quanto intimorite e schiacciate dal prestigio e dalla forza mastodontica emanata dalla burocrazia, da quella cattolica a quella laica politica e sindacale. Per di pi si sa che questi fatti, chiarissimi e gravissimi, qualora toccati darebbero adito presso la base sociale ad una volont di lotta, potenzialmente democratica, di eccezionale ampiezza e profondit e che, per altro verso, gli apparati burocratici farebbero blocco e tenterebbero di stroncare sul nascere qualsiasi incisivo disegno innovatore. Al pi le forze di sinistra si spingerebbero con qualche cauta proposta ad amputare rami secchi. Di fronte a questa situazione pare che la condizione migliore per affrontarla non sia quella di sollevare il gran polverone, ma di formulare poche, pochissime proposte che siano comprese da tutte le forze interessate e che subito (fin dal momento della prima formulazione) siano capaci da un lato di mobilitare la gente e dall'altro di gettare gambe all'aria gli apparati burocratici, togliendogli letteralmente dalle mani la possibilit di mettere in atto qualsiasi proposito insabbiatore. Raggiunti tali obiettivi la migliore posizione proprio quella di trovarsi senza un "pacchetto globale" da presentare tanto alle forze di base spontanee e para spontanee, quanto alle forze politiche e sindacali tradizionali. Questo per evidenti motivi. Il primo quello di non trovarsi in una posizione precostituita rispetto alla base, scavalcandone aprioristicamente le indicazioni e le soluzioni che nel corso della lotta essa tender a dare dei vari problemi e che a volte potranno anche essere diverse a seconda se formulate da spezzoni diversi di classe. Il secondo che si potr meglio prestare attenzione alle proposte emergenti da qualsiasi parte e valutare quelle che pi sono in sintonia con la soluzione del problema. Peraltro questi fattori contribuiranno a far s che la forza politica propulsiva della lotta sulle pensioni potr meglio elaborare una sua proposta complessiva sullargomento. Se il Pr quindi decidesse di far propria questa lotta non avrebbe bisogno di aspettare la soluzione ideale di questo problema 14, in primo luogo perch soluzioni di tale natura non esistono nella storia per nessun ordine di problemi; semmai esistono soluzioni parziali che rimandano ad altre soluzioni della stessa natura. Inoltre i problemi parziali toccati sono talmente rilevanti da costituire globalmente un test per il partito. In altre parole voglio dire che, al punto cui siamo giunti, i conti non si possono pi fare con il Psi. Questo per evidenti ragioni: tale partito flette perch ci che di vitale pu essere detto dal Psi viene detto dal Pr. Ora, se cos , ci troviamo di fronte al ricambio di una lite, erede del massimalismo socialista, con unaltra lite, erede del socialismo liberale di Salvemini, Gobetti, Rosselli e che pone a quest'ultima dei gravi problemi: innanzi tutto il dovere di fare i conti con la propria tradizione per affermare se vuole rappresentare l'anima bicorne di questa, cio quella laico-liberale e socialista, o se vuole amputare quella

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E evidente che non avrei niente da obiettare se i pensionati pubblici e privati andassero in pensione allet minima di 55 anni. N tanto meno sarei contrario che i dipendenti pubblici maturino la possibilit di mettersi in pensione dopo aver fornito 30 anni di effettiva prestazione lavorativa o che i pensionati lavoratori autonomi maturino il diritto alla pensione al compimento del 62 anno di et. Per quanto queste soluzioni siano ritenute ottimali la lotta per fissare il limite minimo del 51 anno di et non pregiudica ma favorisce il raggiungimento di tali soluzioni.

socialista. Nel qual caso meglio dirlo chiaramente: il Pr correrebbe il rischio (certo; solo il rischio) di comportarsi come si comportato il vecchio Pr -quello tanto per intenderci della fine '800-, di cui il giovane Salvemini diceva e scriveva cose non del tutto lodevoli. Se invece vuole a pieno titolo portare vanto della propria tradizione, si dovr cingere, come un vecchio sachem indiano, il capo della corona bicorne. E sta per avvicinarsi, forse, il momento oltre il quale questa scelta non pu pi essere elusa. La impongono, come ho pi volte detto, gli enormi squilibri economico-sociali presenti nel nostro paese, la richiede la gente che da sempre impotente attende e reclama una migliore giustizia da una classe dirigente "ancora e sempre" clericale e stalinista, la invoca la logica del confrontoscontro con il Pci rimasto solo a contendere al Pr l'egemonia sull'area di sinistra. Ebbene, se tanto grande la posta in gioco, affermo che il prossimo congresso si presenta fra tutti il pi decisivo, per le sorti del partito. Da questo Congresso potr forse consolidarsi un partito attestato onorevolmente a difendere la migliore tradizione laico-liberale, volenteroso nel volersi misurare, confrontare, scontrare con il Pci, ma riottoso a prendere in mano la questione sociale, a far suo il tema socialista, magari ripetendo che questo problema si deve toccare, e si pu solo toccare, a tavolino con le altre forze della sinistra, in un programma comune, al momento della raggiunta unit, in vista dell'alternativa di sinistra. Niente di pi artificioso di questo disegno perch la questione economica -come i diritti civili- non si presenta come soluzione generale di problemi generali, ma come soluzione parziale di problemi particolari; obiettivi che articolandosi e aggregandosi verranno a comporre -come per i diritti civiliuna carta che, a sua volta, potr e dovr trovare integrazione nel comune programma della sinistra. Poi, prospettare il problema economico-sociale come programma da raggiungersi a tavolino fra le forze di sinistra, vuol anche dire esporre il Pr al rischio di dipendenza dal Pci, il che gli toglierebbe la funzione di guida nella determinazione dei contenuti, delle modalit e del momento in cui tale svolta deve avvenire. Ed per questi motivi che vi prego di considerare attentamente se al Congresso di Napoli non convenga subito -cogliendo l'occasione per dare attuazione al punto 4 della mozione finale del 16 Congresso- incominciare ad operare per affiancare ai diritti civili la questione sociale. Ho gi fatto vedere come esista anche in questo campo la possibilit di trovare -come per i diritti civili- situazioni che si configurano come lotta di gente: questo potrebbe enormemente facilitare il Pr nell'incamminarsi su tale strada in quanto, pur trovandosi alle prese con problemi in parte diversi da quelli tradizionali, li affronterebbe con un metodo congeniale e sperimentato. Ancora ho fatto notare come esistano problemi sociali che dispongono del consenso potenziale della stragrande maggioranza della gente e sono di facile soluzione. Ebbene questi problemi porterebbero ad una subitanea mobilitazione di massa appena si ricorresse all'incentivo di distribuire pi equamente fra i pi bisognosi ci che viene tolto a chi dispone illecitamente di troppo. Questo fatto peraltro contribuirebbe a far progredire, anche solo di un millimetro, il problema dei minimi verso una soluzione pi consona ai bisogni di vita degli anziani. Osare su questi problemi vuol anche dire soccorrere il Psi, aiutarlo a ritrovare il volto migliore della sua tradizione umanitaria e riformista -in tale

senso mi pare vada collocato l'intervento di Guiducci all'ultimo Congresso-, vuol anche dire dare pi consistenza alle lotte per i diritti civili, sperare di aggregare pi voti alle prossime politiche attorno alle liste radicali e socialiste, al fine di realizzare e guidare l'unit laica socialista libertaria nel disegno d'alternativa al potere clericale e Dc.

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