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Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n.

2159
Edilizia e urbanistica - Pertinenze edilizie - Nozione di pertinenzialità - Differenziazione rispetto
alla nozione civilistica.

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 5990 del 1999, proposto da:
Comune di Parma, rappresentato e difeso dall’avv. Adriano Rossi, con domicilio eletto presso l’avv.
Adriano Rossi in Roma, viale delle Milizie n. 1;
contro
Sacchetti Bruno;
per la riforma
della sentenza del T.A.R. EMILIA-ROMAGNA - SEZ. STACCATA DI PARMA n. 00188/1998,
resa tra le parti, concernente DEMOLIZIONE BOX E RIPRISTINO STATO DEI LUOGHI
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 9 novembre 2010 il Cons. Angelica Dell’Utri e udito per
l’appellante l’avv. Rossi;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

Con atto notificato il 4 giugno 1999 e depositato il 30 seguente il Comune di Parma ha appellato la
sentenza 22 aprile 1998 n. 188 del Tribunale amministrativo regionale per l’Emilia Romagna,
sezione staccata di Parma, non notificata, con la quale sono stati accolti due ricorsi riuniti proposti
dal signor Bruno Sacchetti per l’annullamento di tredici provvedimenti dirigenziali del novembre
1993, recanti ordine di ripristino dello stato dei luoghi e demolizione di box in lamiera adibiti ad
autorimessa realizzati su terreno di proprietà del ricorrente senza il prescritto titolo autorizzativo.
A sostegno dell’appello ha dedotto:
1.- Il ricorso era in larga parte inammissibile per carenza di interesse perché, eccetto che per le
ordinanze nn. 612/65843 e 613/65844 relative a box di cui il ricorrente è risultato proprietario, tutte
le altre ordinanze impugnate si riferiscono a box di proprietà degli inquilini del vicino insediamento
IACP, come peraltro affermato dallo stesso ricorrente.
2.- Il TAR non ha rilevato l’inammissibilità dell’impugnativa di undici delle tredici ordinanze per
mancata evocazione in giudizio dei proprietari effettivi dei manufatti abusivi, i quali assumono
veste di interessati.
3.- Dopo aver giustamente respinto il primo motivo, di omesso avviso di avvio del procedimento
invece inviato al ricorrente ed ai proprietari dei box, il TAR ha accolto i motivi secondo, terzo,
quarto e quinto, in quanto l’art. 4 della legge n. 47 del 1985 sarebbe stato erroneamente applicato a
manufatti realizzati prima dell’entrata in vigore della legge n. 431 del 1985, cioè prima
dell’imposizione del vincolo ambientale che, peraltro, importa inedificabilità assoluta solo in
presenza di determinate condizioni nella specie non ricorrenti; ha quindi ritenuto che in tali casi
l’abuso dovesse essere represso ai sensi dell’art. 10 della citata legge n. 47 del 1985, trattandosi di
semplici pertinenze soggette al regime autorizzatorio e non concessorio. Tuttavia, in tal modo non si
considera che sono assoggettate al regime sanzionatorio di cui all’art. 4 della legge n. 47 del 1985
anche le opere abusive realizzate anteriormente alla c.d. “legge Galasso” per le quali non sia stata
presentata domanda di condono, com’è nella specie, o tale domanda sia stata respinta; sicché, una
volta accertata la violazione, la sanzione andava doverosamente applicata, né occorreva
motivazione specifica sull’interesse pubblico alla demolizione dell’opera, e neppure il previo
accertamento della sua conformità o meno alla vigente disciplina urbanistica, tenuto conto che il
potere repressivo comunale non incontra alcun termine di prescrizione o decadenza. Infine, non
essendo stata presentata domanda di condono, non rileva se siano o meno assolutamente
inedificabili le relative aree, peraltro destinate in P.R.G. a verde pubblico.
4.- Non si comprende come il TAR abbia potuto qualificare le opere in parola come pertinenziali,
senza specificare quali siano i fabbricati di civile abitazione ad esse collegati, avendo peraltro il
ricorrente solo affermato che si tratterebbe di garages e ricoveri utilizzati dai conduttori di vicini
alloggi IACP, e senza tener conto che in materia di normative urbanistiche si richiede che il
proprietario della pertinenza sia anche proprietario dell’immobile collegato, mentre sono
qualificabili come pertinenze solo i manufatti privi di rilevanza economica e non autonomamente
utilizzabili se singolarmente considerati.
5.- Il TAR ha accolto anche il terzo motivo, di violazione dell’art. 27 della legge n. 47 del 1985 ma
non ne ha specificato le ragioni. Ad ogni modo, la censura era infondata poiché con le ordinanze
impugnate è stato ordinato il ripristino dei luoghi disponendo che l’incaricato vi provveda con al
procedura prevista appunto dall’art. 27, dunque previa valutazione tecnico economica dei lavori da
eseguire, da sottoporre alla Giunta prima dell’inizio dei lavori stessi.
Pur ritualmente intimato sia presso i difensori (uno dei quali, pur rinunciatario, conserva
legittimazione a ricevere gli atti nell’interesse del mandante sino a sostituzione) nel domicilio eletto,
sia direttamente presso la residenza, l’appellato non si è costituito in giudizio.
A seguito di avviso di segreteria del 21 ottobre 2009, pervenuto il 24 seguente, in data 20 aprile
2010 il Comune ha prodotto nuova istanza di fissazione d’udienza anche sottoscritta personalmente
dal sindaco, legale rappresentante, poi con memoria del 29 ottobre 2010 ha insistito nelle proprie
tesi e richieste.
All’odierna udienza pubblica l’appello è stato introitato in decisione.
Ciò posto, va premesso che il primo giudice, al fine di affermare la rilevanza della realizzazione dei
manufatti di cui si discute in epoca anteriore all’imposizione del vincolo e l’applicabilità all’abuso
delle sanzioni pecuniarie per opere eseguite in assenza di autorizzazione, previste dall’art. 10 della
legge n. 47 del 1985, anziché quelle demolitorie d’ufficio di cui al precedente art. 4, muove dal
presupposto che si tratti di opere pertinenziali soggette appunto ad autorizzazione.
Siffatto presupposto è errato.
Al riguardo, la Sezione osserva che, com’è noto, in materia urbanistica la nozione di pertinenzialità
ha peculiarità sue proprie che la differenziano da quella civilistica, atteso che il manufatto deve
essere non solo preordinato ad una oggettiva esigenza dell’edificio principale e funzionalmente
inserito al suo servizio, ma deve essere, oltre che di volume modesto affinché non comporti il c.d.
carico urbanistico, altresì sfornito di autonoma destinazione ed autonomo valore di mercato in virtù
dell’instaurazione di un legame giuridico-funzionale stabile tra pertinenza e singola unità
immobiliare; legame a causa del quale l’una e l’altra non possano utilizzarsi e disporsi
separatamente (cfr., tra le tante, Cons. Stato, Sez. IV 17 maggio 2010 n. 3127, 15 settembre 2009 n.
5509, 23 luglio 2009 n. 4636 e 7 luglio 2009 n. 3379).
Nella specie, deve escludersi la ricorrenza di tali precise condizioni per le circostanze descritte dallo
stesso ricorrente in primo grado, ossia per il fatto che i box di cui si controverte, che sarebbero
asserviti ad alloggi IACP, non sono legati da alcun vincolo di natura giuridico-funzionale, dal
momento che nulla è di ostacolo al loro utilizzo e diposizione separata dall’alloggio; ciò dal
momento che solo in forza di “un’organizzazione volontaristica” accadrebbe che “allorquando un
affittuario lascia i locali dello IACP, nel godimento e proprietà del box subentra il nuovo
affittuario”.
Peraltro, a ben vedere nel caso in esame manca lo stesso fondamento della pertinenzialità ai sensi
dell’art. 817 cod. civ. costituito, com’è, non solo dall’elemento oggettivo della destinazione di una
cosa al servizio (o ornamento) dell’altra, ma pure dall’elemento soggettivo inteso quale volontà del
proprietario della cosa principale ad imprimere la destinazione in parola, atteso che le unità
immobiliari a cui i box accederebbero non appartengono agli stessi soggetti proprietari dei
medesimi box, bensì allo IACP (o oggi l’organismo ad esso succeduto), di cui detti proprietari sono
affittuari. Pertanto, va esclusa la stessa configurabilità di pertinenza anche nella più ampia nozione
civilistica, dunque a maggior ragione sotto il profilo urbanistico-edilizio.
Ne deriva che manufatti, ricadenti in area vincolata ai sensi del d.l. 27 giugno 1985 n. 312
convertito, con modificazioni, dalla legge 8 agosto 1985 n. 431, devono ritenersi soggetti al regime
non della mera autorizzazione, bensì a quello, ordinario, della concessione edilizia, con conseguente
applicabilità del cit. art. 4. Tanto in assenza di domanda di condono edilizio, il cui mancato inoltro
risulta verificato dal Comune per ciascun box come da singole schede in atti (sicché è smentita la
mera e non documentata affermazione contraria del ricorrente, contenuta nel settimo motivo del
gravame, peraltro non esaminato dal TAR), stante il disposto dell’art. 40 della stessa legge n. 47 del
1985, secondo cui in tal caso “si applicano le sanzioni di cui al capo I” con evidente riferimento alla
situazione vincolistica in atto al momento del riscontro dell’abuso. Di qui l’irrilevanza
dell’imposizione del predetto vincolo in epoca successiva alla realizzazione dei medesimi
manufatti, i quali avrebbero dovuto ugualmente essere oggetto di domanda di condono, come
dimostra il disposto dell’art. 32, co. 4, della ripetuta legge n. 47 del 1985.
Del pari irrilevante, contrariamente a quanto ritenuto dal TAR, è il fatto che il vincolo in parola non
comporti inedificabilità assoluta, poiché ciò non esentava gli interessati dal richiede la concessione
in sanatoria, da rilasciarsi previo parere favorevole dell’amministrazione preposta alla tutela del
medesimo vincolo.
Per le considerazioni sin qui esposte, vanno condivisi i motivi terzo e quarto d’appello, formulati in
relazione all’accoglimento da parte del TAR dei motivi di primo grado secondo, quarto e quinto,
incentrati sugli aspetti trattati.
Infine, è fondato anche il quinto mezzo d’appello, volto a contestare il dichiarato, ma del tutto
immotivato, accoglimento anche del terzo motivo del ricorso di primo grado, di violazione dell’art.
27 della stessa legge n. 47 del 1985 in quanto l’esecuzione d’ufficio della demolizione non sarebbe
stata preceduta dalla valutazione tecnico economica dell’intervento. I provvedimenti impugnati
recano, invero, l’espresso richiamo alla procedura prevista dal detto art. 27, quindi alla
sottoposizione all’approvazione della Giunta della valutazione-tecnico economica demandata
all’ingegnere dirigente dell’Ente ed all’affidamento dei lavori con le prescritte modalità.
In conclusione, l’appello dev’essere accolto sotto il profilo sostanziale, senza che occorra esaminare
i motivi d’appello primo e secondo, incentrati su questioni di rito.
Tuttavia, tenuto conto sia delle finalità che della risalenza nel tempo del commesso abuso di cui si è
discusso, si ravvisano eque ragioni affinché possa essere disposta la compensazione tra le parti delle
spese di entrambi i gradi.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando


sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e per l’effetto, in riforma della sentenza
appellata, respinge i ricorsi di primo grado.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

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