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Érase una vez Don Quijote:

piccoli lettori incontrano Don Chisciotte

Gloria BAZZOCCHI

Università di Bologna

¿Y qué ha dejado Don Quijote?, diréis. Y yo os diré que se


ha dejado a sí mismo, y que un hombre, un hombre vivo y
eterno, vale por todas las teorías y por todas las filosofías.
Otros pueblos nos han dejado sobre todo instituciones, li-
bros; nosotros hemos dejado almas.
Miguel de Unamuno

In un numero speciale de El País Semanal (Amorós, 2004), dedicato


al Quarto Centenario della pubblicazione della prima parte di El
Ingenioso Caballero Don Quijote de la Mancha (1605-2005), è
possibile trovare un questionario con le cinquanta domande
fondamentali per avvicinarsi all’opera di Miguel de Cervantes. Di
queste, la ventiduesima ci introduce all’argomento oggetto del presente
studio. La domanda è la seguente: “¿La pueden leer los niños?”, seguita
da un’interessante risposta: “Es una vieja tradición que los niños espa-
ñoles se vayan familiarizando con el personaje y sus aventuras; natural-
mente, en versiones abreviadas y con lenguaje modernizado, para evitar
su rechazo. En todo caso, sólo entenderán de verdad la novela cuando
sean adultos” (Amoros, 2004: online). L’analisi di questa risposta ci
permette di mettere in luce alcune questioni rilevanti.

I. Es una vieja tradición que los niños españoles se vayan


familiarizando con el personaje y sus aventuras
Le avventure e, più in generale, il mondo di Don Chisciotte sono
fortemente intessuti nella società spagnola. Vi è un livello profondo che
si esprime attraverso manifestazioni culturali che vanno dagli
approfondimenti filosofici di Ortega y Gasset e María Zambrano, alle
riflessioni letterarie di Miguel de Unamuno e Azorín, o ancora alle

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creazioni artistiche di Pablo Picasso e Salvador Dalí. Ma vi è anche un


livello più comune e popolare, che si riflette, ad esempio, nella lingua.
Fin dai tempi di Cervantes, iniziano a circolare espressioni come: “Estás
más loco que don Quijote”, “Tu caballo vale menos que Rocinante”,
“Cállate de una vez, que hablas más que Sancho Panza”. Inoltre, i
dizionari registrano la presenza dei seguenti termini: “quijote”, “referido
a una persona, que antepone sus ideales a su propio provecho y que obra
de forma desinteresada y comprometida en defensa de causas que
considera justas” (CLAVE, 2004); “quijotesco” (e il suo antonimo
“sanchopancesco”), con “características que se consideran propias de
don Quijote” (ibid.); “quijotería”, “forma de proceder propia de un
quijote” (ibid.); “quijotismo”, “conjunto de caracteres y de actitudes
propios de don Quijote” (ibid.); “quijotada”, “hecho o dicho propios de
un quijote” (ibid.).
D’altronde, già nel romanzo stesso, all’inizio della Seconda Parte,
Sansón Carrasco comunica all’amico Don Chisciotte che tutti
conoscono l’opera di Cervantes e stanno leggendo le sue avventure,
pronunciando la famosa frase: “Los niños la manosean, los mozos la
leen, los hombres la entienden y los viejos la celebran”.
Anche Francisco Rico, principale studioso dell’opera di Cervantes e
direttore della più completa edizione critica del Quijote (2004), sostiene
che tutti conoscono i personaggi del romanzo anche se non hanno mai
letto le sue avventure, perché, come già diceva Unamuno, il personaggio
esiste al di là del romanzo:
Sí, todo el mundo conoce sus personajes y algunos episodios sin necesidad
de haberlo leído. Pero eso no le quita lectores. Me parece muy bien que se
hagan versiones para niños y para jóvenes y juegos de ordenador – que es
algo que hay que hacer – y versiones cinematográficas, recreaciones musi-
cales y plásticas. Eso demuestra que don Quijote existe prescindiendo de la
novela. Pero eso pasó ya en España y en Europa desde el mismo año 1605.
Los personajes tienen una fuerza tal que la vida acabó por imitar a la litera-
tura, y, como dice Sancho en la segunda parte, cuando la gente veía un caba-
llo flaco, decía: “¡Rocinante!”. El Quijote es la mayor contribución de la
lengua española a la literatura de todos los tiempos y don Quijote es el único
mito de la literatura universal que uno reconoce inmediatamente en un dibu-
jo. Eso no pasa con Hamlet ni con Ulises. (Rodríguez Marcos, 2004: online)
Di conseguenza, i bambini spagnoli, per una sorta di osmosi con la
società in cui vivono, finiscono per entrare molto presto in contatto con
il cavaliere errante. Lo conferma un articolo di Carmen Morán apparso
su El País, in cui si leggeva: “El caballero andante siempre estuvo en las
escuelas españolas y en las estanterías de casa y ningún alumno podrá
decir que no leyera algún capítulo, alguna aventura, unas líneas” (2005:
online).

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II. Naturalmente, en versiones abreviadas y con lenguaje


modernizado, para evitar su rechazo
Molti genitori ed educatori desiderano che la presa di contatto
“naturale”, cui abbiamo accennato, diventi più consapevole attraverso la
lettura del romanzo, ma le difficoltà che essa comporta non sono
trascurabili: si tratta, infatti, di un’opera molto lunga e complessa, scritta
nello spagnolo del 1600, con un vocabolario vastissimo che comprende
circa diecimila parole diverse. Per queste ragioni, un piccolo lettore
potrà accedere al romanzo solo grazie a versioni abbreviate o adattate.
La preoccupazione finale di un possibile rifiuto appare del resto più che
fondata: infatti, intere generazioni di bambini spagnoli hanno
considerato l’opera di Cervantes come la classica lettura scolastica
obbligatoria. Come ci ricorda Badanelli Rubio (2004), le prime edizioni
adattate per la scuola appaiono a metà del XIX secolo, anche se fu solo
all’inizio del Novecento, in occasione del terzo centenario, che Eduardo
Vicenti, dopo aver pubblicato una versione ridotta, dal titolo El Libro de
las Escuelas (1905), chiese il riconoscimento della validità didattica di
tale adattamento. Il 12 ottobre del 1912 una Real Orden dispose che i
maestri, dal primo gennaio dell’anno successivo, dedicassero una parte
di ogni giornata di scuola alla lettura e al commento di alcuni brani
dell’opera di Cervantes. Infine, nel 1920, la lettura del romanzo divenne
obbligatoria in tutte le scuole del territorio nazionale, con l’indicazione
di dedicarvi ogni giorno il primo quarto d’ora di lezione.
Evidentemente, i tempi sono cambiati, come ci conferma il
preoccupante dato emerso da un’inchiesta effettuata a Murcia nel 2004,
dove su ottocento docenti, appena il 7% dei maestri aveva letto l’opera
in edizione completa (mentre il 62% aveva letto Harry Potter) e, tra i
professori delle scuole secondarie, oltre il 70% non aveva letto Don
Quijote (e neppure Harry Potter). Pedro Guerriero, professore di
Didattica della Lingua e della Letteratura all’Università di Murcia,
commentava questi dati con un laconico: “Esto es prácticamente lo que
ocurre en toda España” (Morán, 2005: online).

III. En todo caso, sólo entenderán de verdad la novela


cuando sean adultos
Il destinatario di Cervantes era certamente un lettore adulto, tuttavia
può rivelarsi interessante confrontarsi con l’opinione di alcuni
autorevoli scrittori e studiosi spagnoli al riguardo. Antonio Múñoz
Molina afferma che El Quijote è un libro che non si può esaurire in una
sola lettura perché, in realtà, non lo si finisce mai di leggere, così come
non si può considerare conclusa la visione di un quadro come Las
Meninas, poiché ogni volta che ci troviamo di fronte al capolavoro di

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Velázquez “su visión nos sobrecoge como si nunca antes la hubiéramos


tenido delante de los ojos, y lo que nos parecía más sabido se nos revela
enigmático, y toda la niebla de las reproducciones y de los recuerdos
inexactos se borra en un instante gracias a la maravilla urgente de ese
quadro” (Múñoz Molina, 1999: online). Nello stesso articolo Múñoz
Molina confessa di aver letto il Quijote la prima volta a dodici anni “fue
para mí un libro de aventuras y de risa” (ibid.), poi a quindici anni “me
fortaleció y me acompañó en las soledades y las rarezas de mi adoles-
cencia, porque a esa edad nada le hace sufrir más a uno que el senti-
miento de no ser igual a nadie, y Don Quijote era el más raro, el menos
semejante, el más ridículo y conmovedor de todos los héroes” (ibid.),
quindi a vent’anni, quando cominciava a interessarsi alla letteratura e ai
suoi meccanismi narrativi e allora “en el Quijote encontré un tratado
inagotable de juegos y de trampas literarias, de audacias, de reflexiones
sobre la propia literatura” (ibid.). Anche Eduardo Mendoza, che agli
albori del 2000 elesse l’opera di Cervantes come miglior romanzo del
millennio che stava per concludersi, ritiene che il Quijote accompagni il
lettore per tutta la vita, adattandosi man mano ai suoi cambiamenti.
Francisco Rico, infine, nell’intervista citata nel paragrafo I, sostiene che
importante per un piccolo lettore non è la lettura integrale dell’opera, per
cui ci sarà tempo, ma l’avvicinarsi graduale al romanzo:
Todas las obras maestras tienen diversos niveles de lectura. Y además la
forma de atraer lectores hacia el Quijote no es hacer que un niño de pocos
años, ni siquiera un chaval de instituto, coja el libro desde la primera frase,
sino mostrarle algunas de las versiones, de los episodios y hacerle el libro
atractivo. Y luego dejarle que en su día llegue al texto completo. (Rodríguez
Marcos, 2004: online)

IV. Alla ricerca di un Don Chisciotte non solo “adattato”


ma “adatto”
L’occasione del Quarto Centenario, grazie alla quale nel 2005 si è
parlato del cavaliere errante più di qualsiasi altro personaggio letterario
o storico (Google registra oltre sette milioni di entrate per la parola
“quijote”), ha spinto quasi tutte le case editrici spagnole a pubblicare
nuove edizioni del romanzo e molti adattamenti per bambini.
Consultando la pagina web dell’ISBN in Spagna, si può facilmente
verificare che tra il 2005 e il 2006 sono stati pubblicati un’ottantina di
Don Quijote de La Mancha. Anche la tecnologia digitale ha contribuito
alla diffusione delle gesta del cavaliere, e sono molti i prodotti
multimediali creati per l’occasione; colpisce, ad esempio, che la
Comunidad de Aragón abbia messo a disposizione della comunità
scolastica i 127 archivi MP3 contenenti i capitoli della prima e seconda

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parte del romanzo. José Manuel Blecua, Commissario del Quarto


Centenario, ha commentato favorevolmente l’iniziativa:
La oralidad es un componente esencial de la estructura narrativa del Quijote;
a fines del año 2005 las tecnologías digitales no podían estar ausentes de la
conmemoración; ya teníamos unas versiones magníficas del texto en varias
ediciones a las que se podía llegar libremente en la Red, nos faltaba acceder
a la palabra hablada con todas sus inflexiones, con sus entonaciones, con la
vida de la voz, en fin. (García, 2005: online)
L’omaggio a Don Chisciotte, nel 2005, si è esteso dalla Spagna al
mondo intero; anche in Italia, per l’occasione, tante sono state le
iniziative culturali che hanno celebrato l’anniversario, perché, come
afferma Alfonso Belardinelli (2005): “Siamo al quarto centenario dalla
pubblicazione del Don Chisciotte e l’ingegnoso hidalgo, il Cavaliere
dalla Triste Figura, non smette di farci visita, di sorprenderci, di
spingerci a capire che cosa è successo alla cultura occidentale in una
precisa fase del suo sviluppo e da allora a oggi”. Così, in molte città
italiane, questo straordinario personaggio è stata rivisitato a teatro come
al cinema o nell’arte, ed è divenuto oggetto di approfondimenti in
convegni e giornate di studio nelle più importanti università1. Pur
trattandosi di un pallido riflesso rispetto a quanto accaduto nel paese
d’origine, anche l’editoria italiana ha contribuito alle celebrazioni con
qualche riedizione del romanzo e la pubblicazione di alcuni saggi. Se
però ci concentriamo sulle novità editoriali per bambini, registriamo la
presenza di soli due testi: Don Chisciotte. Dal romanzo di Cervantes di
Laura Manaresi per Fabbri Editore (2005), e Don Chisciotte raccontato
ai bambini2 di Rosa Navarro Durán per Mondadori (2006).
Al di là del dato numerico editoriale, più o meno consistente – quello
italiano rimane, comunque, sconsolante –, trovare un’edizione che
sappia appassionare i bambini non è facile. Molte pubblicazioni offrono
un compendio dei capitoli più divertenti del romanzo, con note a piè di
pagina esplicative, ma anche questa lettura, se pur parziale, risulta
complicata e, probabilmente, noiosa. Un’alternativa la si può trovare
negli adattamenti, anche se, di nuovo, la scelta non è semplice: adattare
un capolavoro è opera ardua e rischiosa.
Dopo un’attenta analisi dell’offerta editoriale della letteratura
spagnola per l’infanzia, alla ricerca di un testo in grado di conquistare i
piccoli lettori e appassionarli alle avventure del cavaliere errante, ho
1
Anche l’Associazione Ispanisti Italiani ha voluto ricordare l’evento dando il titolo
“L’insula del Don Chisciotte” alla sezione letteraria del suo XXIII Congresso, che si
è svolto a Palermo dal 6 all’8 ottobre del 2005.
2
Si tratta della traduzione del libro El Quijote contado a los niños di Rosa Navarro
Durán (2005).

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identificato nelle due pubblicazioni curate da Agustín Sánchez Aguilar3,


intitolate Érase una vez Don Quijote (Cervantes Saavedra, 2005a) e
Otra vez Don Quijote (Cervantes Saavedra, 2005b), un efficace esempio
di adattamento dell’opera di Cervantes. Come dichiarato nel prologo
(2005a: s/p), il desiderio di condividere il tesoro della letteratura spinge
molti adulti a raccomandare ai bambini la lettura del Don Chisciotte.
Esiste, però, una difficoltà oggettiva, che nasce dal fatto che il
destinatario di Cervantes fosse un pubblico adulto, in grado di dominare
un ampio vocabolario e in possesso di nozioni culturali che di certo non
appartengono a un lettore in formazione. Per partecipare alla “fiesta del
Quijote” occorrerà, quindi, modellare l’originale, per dotarlo di un
linguaggio e una visione del mondo accessibile all’infanzia:
Tal es el fin que persigue este libro [...] Más que resumir la obra de Cervan-
tes, pretendemos que los primeros lectores paladeen con placer el mundo de
don Quijote. [...] En cuanto al estilo del relato, el título intenta decirlo todo:
Érase una vez don Quijote expresa la voluntad de remendar el lenguaje sen-
cillo pero cautivador de los cuentos folclóricos para que el lector sienta que
el Quijote no es un mamotreto polvoriento escrito en una lengua arcaica,
sino un libro vivo que nos habla de tú a tú. Confiamos en que, de la mano de
ese estilo y de los disparates de don Quijote, los niños le pierdan el miedo a
la novela original para que algún día la abran con ilusión, convencidos de
que les aguarda un libro ameno y divertido, y no una temible maldición aca-
démica que ha de matarles de aburrimiento. (Ibid.)

V. Érase una vez Don Quijote – Otra vez Don Quijote


Érase una vez Don Quijote è suddiviso in sei capitoli (“¡Temblad gi-
gantes del mundo!”, “Dulcinea no tiene ojos de sapo”, “La noche de los
líos”, “La guerra de los rebaños”, “Misión en Micomicón”, “Don Quijo-
te viaja en jaula”), mentre Otra vez Don Quijote ne comprende sette
(“Don Quijote vuelve a los caminos”, “Dulcinea no es lo que parece”,
“Desafío en el bosque”, “¡Leoncitos a mí!”, “El caballo que voló a
Candaya”, “Sancho aprende a reinar”, “El caballero vencido”).
L’adattatore ha quindi operato, per prima cosa, una selezione, riportando
gli episodi che ha ritenuto fondamentali per fama, importanza nello
svolgimento della trama o per una particolare comicità in essi contenuta.
In una conferenza inedita che ha tenuto in diverse parti della Spagna
tra il 2004 e il 2005, Sánchez Aguilar illustra i criteri che lo hanno
guidato nel difficile adattamento di un’opera “magistral”:

3
Nato a Barcellona nel 1971, da dieci anni collabora alle edizioni letterarie della casa
editrice Vicens Vives. Ha partecipato anche all’edizione critica del Quijote, curata
dell’Instituto Cervantes, ed è autore di diversi adattamenti di racconti destinati ai
bambini.

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Me parece que a la hora de adaptar una novela no existen modelos de apli-


cación automática, pues cada texto y cada público exigen unas estrategias de
adaptación distintas. Lo que sí es común en todos los casos es la exigencia
de que el adaptador trabaje con rigor, paciencia y tiempo, y que se equipe
con dos herramientas que a primera vista parecen contradictorias: un poco
de audacia para no morir de miedo ante una obra tan magistral como el Qui-
jote y mucha humildad, pues el adaptador tiene que asumir que, en el resul-
tado final, todos los errores serán obra suya y todos los méritos serán méri-
tos de Cervantes. En mi opinión, lo primero que ha de hacer un adaptador es
preguntarse: ¿a qué público me dirijo? Porque la respuesta que le dé a esa
pregunta debe guiar su trabajo en todo momento.
Viste queste premesse, ovvero il ruolo di primaria importanza che
per l’adattatore riveste il tipo di pubblico cui scegliere di indirizzarsi,
non può stupire il suo desiderio di stabilire con i lettori un costante
rapporto di confidenza e complicità. Per questo motivo, viene inserita
una voce narrante che si rivolge loro direttamente per farli entrare, da
subito, nella storia. Così, al posto dell’incipit che tutti conosciamo, “En
un lugar de la Mancha de cuyo nombre no quiero acordarme”, troviamo:
“Seguro que habéis oído hablar de don Quijote. Cuentan que vivió hace
muchos siglos en una aldea de La Mancha, entre campos de trigo y
molinos de viento. Lo que quizás no sepáis es que don Quijote no se
llamó así desde niño, pues en verdad lo bautizaron con el nombre de
Alonso Quijano” (Cervantes Saavedra, 2005a: 3).
Ottenere il coinvolgimento del lettore è di fondamentale importanza,
perché, come afferma la studiosa di letteratura per l’infanzia, Rita
Valentino Merletti
le storie agiscono nel profondo e vanno a collocarsi nel luogo dove i sogni e
le fantasie del bambino forgiano la sua visione del mondo, la modificano,
quando è necessario, la arricchiscono con la messa a fuoco di sempre
maggiori dettagli. Identificandosi con il personaggio protagonista il
bambino diventa, letteralmente, quel personaggio, e percepisce con la
medesima intensità le sensazioni fisiche ed emotive che questi sperimenta.
(2006: 108)
Dopo aver fatto entrare il lettore nella storia, occorre, di tanto in
tanto, richiamarne l’attenzione, e questo avviene attraverso l’uso della
seconda persona con funzione fatica: “Pero no creáis que a un buen
caballero le bastaba con tener unas armas y un caballo” (Cervantes
Saavedra, 2005a: 13); “¡Tendríais que haber visto la cara que se le
quedó al mercader cuando se le apareció don Quijote!” (ibid.: 18); “Os
preguntaréis de qué lo conocían” (ibid.: 58).
In Otra vez Don Quijote, come succede anche nell’originale di
Cervantes, si introduce l’idea che le avventure di Don Chisciotte siano

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ormai note a un vastissimo pubblico di lettori: “Hubo un tiempo ya muy


lejano en el que todo el mundo hablaba sin parar de don Quijote”
(Cervantes Saavedra, 2005b: 7). Per rendere ancora più credibile questo
successo annunciato e coinvolgere di nuovo i suoi destinatari, Sánchez
Aguilar decide di inserire tra i personaggi di questa seconda parte della
storia lo stesso Cervantes, immaginando che i bambini dell’epoca lo
cercassero per chiedergli: “Cuándo vais a escribir la segunda parte de
Don Quijote?” (ibid.: 7), oppure “Señor Cervantes, señor Cervantes,
decidnos qué le pasa a Don Quijote en la segunda parte!” (ibid.: 8), o
ancora “¡O nos contáis qué le pasó a don Quijote o no dormiréis en toda
la noche!” (ibid.). La loro curiosità e trepidazione non possono non
contagiare il lettore dei nostri giorni. In effetti tale lettore si
immedesimerà facilmente con uno di quei bambini che l’illustratore
López Gil disegna seduto ai piedi di Cervantes il quale, come un
vecchio nonno circondato da tanti nipotini, ricomincia a narrare le
avventure del cavaliere allampanato e del suo fedele scudiero, mentre
sullo sfondo, in un turbinio di apparizioni, si delineano i volti dei
protagonisti della storia. Anche qui, di tanto in tanto, l’attenzione dei
lettori viene sollecitata attraverso richiami diretti, del tipo “Supongo que
querréis saber lo que había tramado Sansón, pero tendréis que tener
paciencia, pues ya os lo contaré a su debido tempo. Era un plan tan
ingenioso que os maravillará, así que seguid escuchando con atención,
que donde menos se piensa salta la liebre” (ibid.: 17), oppure, nel cele-
bre episodio di Clavileño, “Pero ¿creéis que Clavileño volaba? ¡Por
supuesto que no!” (Ibid.: 90)
Per un bambino dei nostri giorni, entrare nel mondo di Don
Chisciotte non è affatto scontato, basti pensare alla causa scatenante
della pazzia del cavaliere, ovvero la lettura dei libri di cavalleria. Per
permettere di comprendere l’essenza del personaggio, Sánchez Aguilar
inserisce allora alcune parti del tutto estranee all’originale, con
opportuni confronti tra quel passato e il nostro presente:
Pero que le volvía loco de verdad eran los libros de caballería. Hoy nadie ya
los lee, pero en la época de don Alonso la gente los adoraba. Los libros de
caballería contaban las aventuras de unos tipos la mar de valientes que se
hacían llamar “caballeros andantes”. Iban por los caminos a caballo, con una
lanza en la mano, una espada colgada del cinto y un escudo apretado contra
el pecho. Buscaban malvados a los que derrotar y huérfanos y viudas a los
que defender. Dormían en el bosque bajo un manto de estrellas y soñaban
con hermosas princesas a las que habían jurado amor eterno. Y no pasaba un
sólo día sin que lucharan contra un brujo que les tenía manía, contra un ejér-
cito de bribones o contra un dragón que vomitaba fuego. Un buen caballero
andante estaba dispuesto a dar su vida por los demás y no tenía miedo ni a la
mismísima muerte. (Cervantes Saavedra, 2005a: 4)

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Un altro aspetto che può risultare strano a un bambino sono le


manifestazioni della pazzia di Don Chisciotte. Per quanto ne venga data
una spiegazione plausibile, di fronte ai proclami del cavaliere “¡Voy a
ser caballero andante! Me llamaré don Quijote de la Mancha e iré por
los caminos buscando aventuras. En dos días mataré más gigantes que el
emperador Carlomagno en toda su vida. ¡Y los huérfanos y las viudas
me besarán los pies de tanto como les voy a ayudar!” (ibid.: 8),
l’adattatore avverte la necessità di contrapporre la normalità: “No había
duda: ¡don Alonso estaba loco de remate! A su edad, lo que le convenía
era dar paseítos por el campo, salir a charlar con el cura y el barbero de
su aldea, comer sopa caliente y dormir muchas horas” (ibid.). Così, nel
prosieguo della storia, nonostante la pazzia sempre più evidente del
padrone, non viene dato per scontato il fatto che Sancho decida
comunque di seguirlo, mettendo in luce le qualità umane di Don
Chisciotte: “‘Yo me vuelvo a mi casa’, se decía, ‘porque este don
Quijote está loco de atar’. Pero al final sempre seguía adelante. Y es
que, aventura tras aventura, le había tomado mucho cariño a su amo,
porque don Quijote era un hombre muy generoso y lo trataba a las mil
maravillas” (ibid.: 49).
Un’altra strategia impiegata per attirare l’attenzione del lettore
consiste nel fare uso di risorse linguistiche e letterarie cui i bambini
sono particolarmente sensibili, come ad esempio similitudini e antitesi.
Le descrizioni di Aldonza Lorenzo e di Dulcinea, una di seguito
all’altra, risultano molto efficaci affinché il lettore riesca a visualizzare
l’immagine reale della donna e l’idealizzazione della stessa da parte di
Don Chisciotte:
Aldonza Lorenzo no era lo que se dice una mujer hermosa. Tenía un bigoti-
llo por encima del labio, unos brazos gruesos de marinero, un pelo recio
como pajas de escoba y unas manos grandes como rastrillos. Pero, como
Don Quijote estaba loco perdido, se imaginó que Aldonza Lorenzo era una
princesa: la princesa Dulcinea del Toboso. ¡Y qué hermosa era Dulcinea en
la imaginación de don Quijote! Tenía una piel blanca como la nieve, unas
mejillas rosadas como claveles, unos cabellos dorados como el sol y unas
manos delicadas como alitas de ángel. Y, en vez de sembrar trigo y recoger
patatas, cosía con hilo de oro y cantaba canciones al son de un arpa. (Ibid.:
14-15)
In virtù di queste attenzioni e strategie, il piccolo lettore viene
contagiato dallo stesso entusiasmo di chi narra; preso per mano,
avventura dopo avventura, finisce con l’appassionarsi a Don Chisciotte
e alla sua storia, mai raccontata con fredda obiettività, ma sempre con
grande entusiasmo. Ne è un buon esempio il seguente passaggio, che
descrive la partenza di don Chisciotte e Sancho per i campi della
Mancia, in cerca di fama e grandi imprese:

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Ni el caballero ni su criado se imaginaban el sinfín de alegrías y tristezas


que pasarían juntos. Los caminos de la Mancha les estaban esperando, con
sus viajeros y sus mercaderes, sus molinos de viento y sus campos de trigo.
Y las aventuras que iban a vivir fueron tan divertidas que os van a doler las
mandíbulas de tanto reíros. (Ibid.: 26)
La fiducia guadagnata e l’entusiasmo trasmesso fanno sì che l’ultimo
invito rivolto ai lettori alla fine di Érase una vez don Quijote venga
accolto come una promessa carica di certezza: “Seguro que algún día
leeréis todas esas aventuras, que están narradas con todo detalle en el
libro más divertido y hermoso que se haya escrito nunca” (ibid.: 90).
Anche la fine di Otra vez Don Quijote rivela una particolare
sensibilità da parte di Sánchez Aguilar: in effetti, dopo aver seguito con
trepidazione le incredibili avventure di Don Chisciotte e Sancho, dopo
aver riso e pianto assieme a loro, dopo aver lottato contro giganti, leoni,
incantatori, è difficile uscire dall’“Avventura” e accettare che il
cavaliere debba lasciare per sempre questo mondo. Solo se ci si
immedesima con la profonda emozione che tutta questa storia ha
suscitato nel piccolo lettore, si capisce l’importanza di un finale che non
sia una fine. Proviamo a immaginare la reazione di un bambino quando
chiude il libro, precedentemente citato, di Laura Manaresi:
Il Curato lo confessò, mentre Sancio, il baccelliere, la nipote e la governante
accorrevano in lacrime.
“Lascio a Sancio tutto il denaro che custodiva per mio conto, alla
governante il giusto salario più venti scudi per un vestito, a mia nipote ogni
mio avere” disse il cavaliere. “Sono stato Don Chisciotte della Mancia e ora
sono Alonso Quijano il Buono. Perdonami, Sancio, di averti trascinato nella
mia pazzia”.
Dette queste parole svenne, e nel giro di tre giorni morì. (2005: s/p)
A prescindere dalla freddezza appena attenuata dalle lacrime dei
presenti, e dall’estrema concisione nella descrizione dei fatti, in linea del
resto con lo stile con cui sono state raccontate fino a quel momento le
avventure del cavaliere, notiamo come sia stata del tutto omessa, rispetto
al romanzo di Cervantes, la reazione di Sancho alla richiesta di perdono
da parte del suo padrone:
¡Ay! – respondió Sancho llorando –. No se muera vuestra merced, señor
mío, sino tome mi consejo, y viva muchos años; porque la mayor locura que
puede hacer un hombre en esta vida es dejarse morir, sin más ni más, sin
que nadie lo mate, ni otras manos le acaben que las de la melancolía. Mire
no sea perezoso, sino levántese de la cama, y vámonos al campo vestidos de
pastores, como tenemos concertado: quizá tras de alguna mata hallaremos a
la señora doña Dulcinea desencantada, que no haya más que ver. (Cervantes
Saavedra, 1983b: 575)

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La supplica di Sancho è la supplica dell’amico che, dopo tante


avventure e disavventure, ha trasformato la propria ingenuità
materialistica e lo scetticismo realista di chi vede in Don Chisciotte solo
pazzia senza rimedio, in entusiasmo partecipe di quella stessa pazzia.
Privare i bambini della “chisciottizzazione” dello scudiero significa
privarli di un significato importante, se non fondamentale, dell’opera di
Cervantes.
Tornando, invece, all’adattamento di Sánchez Aguilar, vorremmo
una volta di più sottolineare la compartecipazione, questa volta
commossa, di chi narra i fatti avendo ben presente il destinatario cui si
rivolge:
– ¿Qué os pasa, señor? – preguntó Sancho.
– Que ya no estoy loco, amigo mío, y que quiero pedirte perdón por las mu-
chas locuras que has hecho por mi culpa. Abrázame, Sancho, pues siento
que la muerte viene a buscarme...
Al oír aquello, Sancho se echó a llovar sin consuelo.
– ¡Ay, señor, no se muera – dijo –, que no le va a servir de nada! Levántese
y vámonos a buscar aventuras porque seguro que el mago Frestón sigue ha-
ciendo de las suyas por esos mundos de Dios. Y acuérdese de que tenemos
que ir a ver a Dulcinea, que debe de estar en su palacio más hermosa que
nunca.
– No insistas, Sancho, porque ya no estoy loco. Y dame la mano, que la
muerte no espera...
Fue lo último que dijo, porque entonces cerró los ojos poco a poco y se mar-
chó para no volver nunca Sancho trató de despertarlo y, al ver que su amo
no respondía, comenzó a llorar con tanta fuerza que no pudo parar en más
de una semana. Y en los días que siguieron, parece que toda la Mancha
guardó luto, porque no hubo un solo pájaro que cantara en las ramas, y los
molinos dejaron de mover sus aspas de gigante. (Cervantes Saavedra,
2005b: 132-33)
Infine, mentre l’illustrazione riproduce, sullo sfondo dei campi della
Mancia disseminati di mulini a vento, la classica silhouette di Don
Chisciotte a cavallo con la lancia in mano, si ripropone l’idea
dell’immortalità di Don Chisciotte, che non muore del tutto perché è il
suo “spirito” che continua a vivere. Così, si racconta che ci sono giorni
in cui, al tramonto, in lontananza, per i campi della Mancia è possibile
vedere il cavaliere sul suo vecchio Ronzinante e a volte sentirlo gridare:
“Temblad, gigantes del mundo, que aquí está don Quijote de la
Mancha!” E il suo grido è così nobile e forte che risveglia le colline
addormentate, muove le campane delle chiese, e solleva nuvole di fumo
“en la tierra de todos los caminos” (ibid.: 134).

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Écrire et traduire pour les enfants / Writing and Translating for Children

VI. Conclusioni
Per concludere queste riflessioni, ricorrerò a due citazioni tratte da
Leggimi forte, un recente saggio in cui gli autori cercano di dimostrare
la funzione del libro come affascinante strumento di profonda unione tra
adulto e bambino. La prima è di Bruno Tognolini, cui è affidata, per
ogni capitolo, la parte intitolata “Racconti”. Riportando la propria
esperienza di padre-lettore, Tognolini spiega i motivi che l’hanno spinto
a leggere per sua figlia per ben dieci anni: “A me piace leggere, o
scrivere: m’incanta. Ho voluto portare mia figlia in questo incanto,
perché è un bel posto del mondo, per me. Del mondo in cui l’ho messa
perché ci son posti così” (Merletti e Tognolini, 2006: 68).
Rita Valentino Merletti, coautrice dello stesso saggio, nei capitoli
intitolati “Riflessioni”, approfondisce gli aspetti dell’esperienza che
emergono dai racconti di Tognolini, nell’ottica scientifica di studiosa
della letteratura infantile. Così, l’esperienza dell’incanto che ha
accomunato un padre e una figlia nella lettura corale, viene allargata e
proposta a tutti, coinvolgendo anche il mondo della scuola:
Sarebbe bello poter immaginare una scuola che, accanto alle i di inglese,
impresa e informatica lasciasse un po’ di spazio alla i di “incanto”. Una
scuola in cui non prevalga l’idea che “ciò che non si può contare non conta”
e che proprio nell’indefinito, nella meraviglia e nell’incontro con la bellezza
trovasse lo spunto per invitare a un viaggio senza fine dentro la conoscenza,
dentro la gioia dell’apprendere. Scriveva E. Wiesel che “c’è una bellezza
divina nell’apprendere”. E nulla come l’incontro con la bellezza può far
intravedere la verità di questa affermazione. Le vite di tutti noi, e quelle dei
bambini soprattutto, sono troppo povere di bellezza e troppo ricche di cose
che si possono contare. Ci si dimentica facilmente, forse, che non c’è
apprendimento se non c’è emozione e che, pur nell’accumulazione
incessante che caratterizza gli anni dell’infanzia, l’apprendimento trova
slancio e linfa vitale all’interno di particolari momenti. Virginia Woolf li
avrebbe chiamati “momenti dell’essere”, momenti legati a un’esperienza
affettiva intensa, a una spinta creativa o a un incanto. (Ibid.: 70)
Attraverso sapienti adattamenti come quello di Sánchez Aguilar, che
non hanno altra finalità se non quella di tendere un ponte tra il lettore e
un originale cui non possono o cui temono di accedere, l’incontro con
Don Chisciotte e il suo mondo, pieno di avventure e disavventure, può
divenire un luogo privilegiato e “un momento dell’essere” in cui
sperimentare questo incanto.

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Gloria Bazzocchi

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