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Contemplare l’intangibile.
“AlloSphere”, è uno schermo a
forma di globo progettato per
facilitare visualizzazioni
tridimensionali interattive di dati. Si
trova al “California NanoSystems
Institute” della University of
California di Santa Barbara.
Consente a scienziati e ricercatori
di immergersi nei dati in modi
senza precedenti. All’interno della
sfera si possono maneggiare gli
atomi creando la struttura
cristallina di nuovi materiali per
celle solari oppure entrare dentro un cervello per ascoltarne l’attività.
Stando in piedi su un ponte sospeso davanti il centro della sfera si possono contemplare
grazie a speciali occhiali 3d visualizzazioni delle funzioni d’onda quantistiche dell’elettrone di
un atomo di idrogeno.
Per immergere completamente gli spettatori, “AlloSphere” proietta le visualizzazioni dei dati
all’interno di due emisferi con un raggio di cinque metri. «E’ come essere in un sottomarino
che si muove attraverso i dati», Joann Kuchera-Morin, direttore della struttura.
La sfera, fatta di alluminio perforato, si trova all’interno di una stanza foderata con materiale
insonorizzante in modo che i 16 altoparlanti trasmettano un suono perfettamente pulito. I sei
proiettori sotto il ponte coprono con immagini una parte della sfera mentre I 128 altoparlanti
creano le ambientazioni sonore che sembrano emanare da dentro la sfera.
Video: See the Allosphere in action.
Living Data The three-story-high Allosphere creates unique visualizations. Technology Review
agosto 2010
layers (strati), che in questo caso non sono altro che pelle, muscoli, ossa, organi, apparato circolatorio e sistema
nervoso.
Ad esempio, se vogliamo vedere solo l’apparato scheletrico, basterà nascondere tutti gli altri con i comandi a
sinistra del modello. Oppure, possiamo decidere di visualizzare solo gli organi interni assieme ai vasi sanguigni.
Inoltre, si può impostare a piacere la trasparenza di ogni strato rispetto all’altro, sempre utilizzando gli strumenti
sulla sinistra, con i quali si ruota anche la visuale in tutte le direzioni. Ci interessa una struttura anatomica in
particolare? Basta usare la casella di ricerca in altro a destra (la trasparenza dei layers sarà impostata
automaticamente). Inoltre, se nell’esplorazione ci imbattiamo in qualcosa a cui non sappiamo dare un nome,
Per provare “Google Body Browser” è necessario utilizzare un web browser che supporti “WebGL”, come ad
esempio “Chrome 9 Dev Channel”, “Chrome Canary Build” e “Firefox 4 beta”. Su “Chrome 8”, “WebGL” non è
abilitato di default, ma è sufficiente digitare “about:flags“ nella barra degli indirizzi, premere invio e cliccare su
“Abilita” in corrispondenza della voce “WebGL”. Una volta fatto ciò sarà necessario riavviare il browser e visitare
l’indirizzo bodybrowser.googlelabs.com per iniziare lo studio dell’anatomia umana
Esplorare il corpo umano con Google Body Browser motoricerca 16 dicembre 2010
Di sicuro è uno degli hack di “Kinect” più interessanti, e sembra che permetta la distinzione di circa 60mila punti
della mano, a 30 frames al secondo.
Kinect e Minority Report, dal film alla realtà Tom’s Hardware 10 dicembre 2010
In un recente studio, ricercatori della USC hanno mostrato come un confidente virtuale riesce ad ottenere dalle
persone il primo elemento cruciale in ogni terapia: l’auto-rivelazione. I ricercatori stanno incorporando le tecniche
imparate da questa ricerca in un agente virtuale sviluppato per l’Esercito chiamato “SimCoach”. Guidate da un
software di riconoscimento del linguaggio, numerose versioni di “SimCoach”, maschile e femminile, giovane e
vecchio, bianco e nero, appaiono sullo schermo del computer per condurre delle interviste rudimentali sondando
con discrezione eventuali problemi mentali.
In Cybertherapy, Avatars Assist With Healing New York Times 22novembre 2010
Due ricercatori della Stanford University hanno messo a punto un software che in maniera
molto semplice associa parole e linguaggio del corpo, basandosi sulla prosodia (intesa come
la combinazione del ritmo vocale, intonazione e accenti), e non sul significato delle parole.
Sergey Levine e Vladen Koltun hanno usato uno studio di motion-capture (una tecnica di
animazione cinematografica) per digitalizzare i movimenti di un attore mentre parlava. Il
database di immagini è stato poi utilizzato per insegnare al software ad associare certe
caratteristiche dell’eloquio dell’attore con lo stile dei suoi gesti (dimensione, velocità…)
Il sofware dunque non impara ad associare i singoli gesti ma lo stile gestuale a certi aspetti
della prosodia, e può usare diverse “librerie” per diverse situazioni – per esempio quando una
persona sta seduta, oppure quando ha degli oggetti in mano – o addirittura per personaggi
non umani (una piovra per esempio – in questo caso all’attore viene chiesto di travestirsi e
comportarsi come una piovra -). Il software secondo gli autori renderà la comunicazione via
avatar più efficace (meno passibile di errori interpretativi) e potrebbe essere utilizzata per
esempio nelle teleconferenze.
Secondo uno studio pubblicato da “SAGE” apparso su “Social Psychological and Personality
Science” giocare con videogiochi violenti può aumentare l’aggressività per almeno 24 ore. Lo
studio, condotto da Brad Bushman della Ohio State
University e da Bryan Gibson della Central Michigan
University, mostra che almeno per i maschi ripensare al
gioco può aumentare la tendenza ad aumentare
l’aggressività anche parecchio tempo dopo che si è
smesso di giocare.
Si tratta del primo esperimento di laboratorio per cercare di dimostrare che I videogiochi
violenti possono stimolare l’aggressività per un periodo di tempo più esteso. Gli autori hanno
dichiarato che “è ragionevole ritenere che i risultati ottenuti in laboratorio possano essere
generalizzati anche al mondo reale”.
Violent Video Games Increase Aggression Long After the Game Is Turned Off, Study
Finds ScienceDaily 20 settembre 2010
L’agghiacciante notizia, riportata da “The Florida Times Union”, viene ripresa e commentata
da “AllFacebook”: “pur essendo questa la prima volta che veniamo a conoscenza di un
evento di questa misura, si sente e si legge troppo spesso di persone che sviluppano una
vera e propria dipendenza da FarmVille, arrivando a perdere il proprio lavoro ed a riempirsi di
debiti”.
Ancora una volta viene da chiedersi quanto i social network stimolino la socialità e quanto
invece la inibiscano, a dispetto stesso del loro nome.
Madre uccide il figlio: l'aveva interrotta mentre giocava a Farmville download blog 29
ottobre 2010
Un giovane senza “Facebook”, “Twitter”, l'email, il cellulare e Internet è come un fumatore che sta
cercando di smettere di fumare o qualcuno che ha appena iniziato una dieta. Gli effetti sono ansia,
preoccupazione, senso di isolamento e irrequietezza, ovvero i sintomi dell'astinenza. Una condizione che
oggi ha un nome: “Information Deprivation Disorder”.
A coniare il nome della nuova condizione un gruppo di ricercatori dell'università del Maryland che ha
condotto una sperimentazione in 12 università di tutto il mondo chiedendo ad un gruppo di giovani volontari
di restare per 24 ore senza i dispositivi elettronici, e quindi tagliati fuori dalla Rete. Ai volontari era
consentito di usare solo il telefono fisso, in determinate fasce orarie e leggere libri (di carta). Dai diari che
gli studiosi hanno chiesto ai ragazzi di tenere sono emersi sentimenti di ansia e preoccupazione e a
causare il peggior stato di insofferenza è stata la mancanza della musica.
«Molti di loro hanno detto di trovare il silenzio piuttosto scomodo e imbarazzante - ha affermato Roman
Gerodimos, coordinatore della ricerca - ma alcuni di loro si sono adattati e si sono abituati cominciando a
notare i suoni intorno, come il canto degli uccelli o i rumori dei vicini di casa ». In ognuno dei resoconti,
secondo gli studiosi, è tornata, ricorrente, la parola "dipendenza" e molti ragazzi hanno dichiarato
che i loro erano veri e propri sintomi di astinenza.
Generazione Facebook, senza rete in
astinenza
Ansa 04 gennaio 2011
ANTI-SOCIAL NETWORK
“Liberate (e liberatevi) con un suicidio di tutti gli amici falsi che il Web
partecipativo vi ha portato, di tutto lo spreco di tempo ed energie che
vi causano i profili creati sui social network, e tornate a incontrare i
vostri cari nel mondo vero, e non in quello virtuale”.
“Web 2.0 Suicide Machine”,
“LeechBlock”, “Freedom”,
“Isolator”, “WriteRoom”,
“Menu Eclipse”, “Ulysses”,
“Scrivner” e “Think and Turn
off the Lights” e altri ancora.
Benvenuti nell'era dell' “anti-
social networking”, quando
aziende e i singoli webnauti
scelgono di autoescludersi -
grazie a questi software -
dalla navigazione da siti
come “Facebook”,
“FourSquare”, “Twitter”,
“Ning”, “LinkedIn”,
“MySpace”, “YouTube” e similari. Siti questi sui quali oramai ogni giorno convergono miliardi
di persone da tutte le latitudini del globo per scambiarsi informazioni, per tenersi al corrente
degli eventi che influenzano la vita delle persone amate e, secondo alcuni ricercatori, anche
per perdere tempo.
Secondo un rapporto del Nielsen Rating, specializzata nella misurazione dell'audience di tv,
radio e giornali, su quattro minuti e mezzo trascorsi sul web gli utenti almeno uno lo
trascorrono sui siti del social networking facendo praticamente niente. Un'abitudine che
secondo molti analisti sta compromettendo la produttività dell'economia americana e la
creatività dei suoi ricercatori, dei suoi studenti e dei suoi scrittori.
«Il
semplice fatto di stare online limita la capacità di concentrazione di
un individuo», afferma Fred Stutzman, PhD in Information Science alla University of North
Carolina at Chapell Hill e creatore oltre che di “Freedom” (il vostro accesso a Internet viene
bloccato completamente, per collegarvi al web dovrete anche in questo caso spegnere e
riaccendere il computer) anche di “Anti-Social”. Forse il più efficace dei software anti
“Facebook” e affini, “Anti-Social” arriva ad escludere fino a 150 siti del social networking con
un semplice colpo di tasto. Il software è stato infatti precaricato con gli indirizzi dei siti da
bloccare. «Uno si sente come se potesse immergersi nella folla in ogni momento», continua
Stutzaman, «usando Anti-social può riuscire a scrivere anche composizioni di 3000 parole in
meno d'una giornata di lavoro».
”Isolator” invece copre semplicemente tutte le icone che hanno a che fare con il social
networking. Così anche a volerlo prima di collegarsi a “Twitter” bisogna ricaricare
l'applicazione. “Darkroom” e “WriteRoom” invece trasformano un PC e un Mac in una
tavoletta per scrivere e basta. Nel caso di “Darkroom” la pagina viene oscurata così da
escludere tutte le distrazioni in arrivo dal desktop. In questa maniera l'autore si concentra
esclusivamente sulla sua scrittura. Verde fosforescente su sfondo nero, questa salta dalla
pagina agli occhi dello scrivente.
Secondo una ricerca di “AOL” e “Salary.com” (uno dei maggiori portali web degli USA e la
maggiore agenzia temp online statunitense), il lavoratore medio americano trascorre due ore
e 10 minuti della sua giornata lavorativa chiacchierando sui siti del social networking con
familiari, amici e colleghi. E queste ore non includono le pause per il pranzo, per il caffè e per
andare in bagno. «Una volta pressati, tutti gli intervistati hanno dichiarato che non avevano
abbastanza da fare», hanno scritto alla fine i ricercatori nel loro rapporto. Nella media sono
anche comprese professioni come il carpentiere e il sommozzatore, lavoratori che un
computer a portata di mano non ce l'hanno così spesso.
Il costo di queste abitudini secondo “24/7”, un blog al quale collaborano anche giornali come il
“Wall Street Journal”, supererebbe l'astronomica cifra di 800 miliardi di dollari l'anno. Non
sorprende quindi che, come riporta il blog, il 54% delle aziende americane abbiano deciso di
bloccare l'accesso ai siti del social networking. E adesso non sono solo le aziende a bloccarli,
anche svariati dipartimenti di istituzioni accademiche di grande prestigio come Yale, Harvard
e Stanford hanno cominciato a stabilire social networking free-zone, aree nelle quali se non
esplicitamente proibito, l'uso dei social network è attivamente scoraggiato.
Gli allarmi sugli effetti negativi della rete sulle capacità cognitive, oltre che su quelle di
relazione sociale, si moltiplicano da tempo. Secondo tali allarmi, la gente non sa più
concentrarsi su testi lunghi, schiva i paragrafi troppo compatti, assimila in modo superficiale e
frammentato. Lavora saltando da un programma all'altro senza essere davvero presente in
nulla. I giornali pubblicano ricerche e articoli sull'argomento che i lettori, il più delle volte,
sbirciano distrattamente dopo averli trovati sulla bacheca Facebook di un amico.
È stata la manager-scrittrice Linda Stone, dopo aver lavorato per anni ai piani alti di Apple e
quindi di Microsoft, a coniare l'espressione “Continuous Partial Attention”. La CPA
corrisponde a quel febbrile stato mentale con cui l'utente passa da un'opportunità all'altra
della rete, da una notizia all'altra, da un messaggio all'altro, dedicando a ciascuno
un'attenzione momentanea e mai completa, ipnotizzato da un senso di costante ricerca e di
crisi senza soddisfazione. Il flusso infinito di informazioni non serve più ad aumentare la
nostra consapevolezza ma solo alla nostra necessità di sentirci connessi, non isolati dal
network.
Se per «capire meglio il mondo» qualcuno ha bisogno di abbandonare il medium che più di
tutti, oggi, pretende di farcelo conoscere, è chiaro che la situazione si è fatta paradossale. La
progressiva morte dell'attenzione risulta cruciale per capire alcuni fenomeni culturali. Ad
esempio l'estinzione della poesia. Con la sua brevità e la sua immediatezza, ci si sarebbe
potuti aspettare un revival della poesia nell'era della rete. Invece, come ha sottolineato il
poeta statunitense Donald Revell, la poesia non ha tanto a che vedere con la lunghezza
quanto con l'attenzione, e «l'attenzione è un fatto di totalità, di essere pienamente presenti».
Il riferimento a Revell è contenuto in un libro di fresca uscita in Italia: “La tirannia dell'email“
di John Freeman (Codice Edizioni, traduzione di Giovanna Olivero). Freeman è cresciuto in
California dove per dieci anni ha consegnato giornali a domicilio. Quindi ha iniziato a scrivere
per quegli stessi giornali. Oggi, nemmeno quarantenne, è direttore editoriale di una delle più
prestigiose riviste letterarie al mondo, l'inglese “Granta”. Ciò che distingue la sua analisi di
grandezze e miserie della vita digitale, dunque, è un approccio letterario-umanistico che gli
permette di creare immagini e accostamenti efficaci.
La banda larga e la diffusione dei dispositivi mobili come il blackberry ci hanno portato in
dono gli ambigui frutti della connessione totale, della reperibilità senza sosta, della
simultaneità delle risposte. La gente si stupisce e diventa aggressiva, o peggio paranoica, se
non rispondi ai loro messaggi entro un paio d'ore. Siamo qui, siamo ora, ci siamo sempre. Ma
siamo davvero presenti a noi stessi? Gli ambigui vantaggi della connessione totale assumono
l'aspetto di un vero ricatto se inseriti nella cornice del tardocapitalismo, con lavoratori sempre
più precari e disponibili, quindi, a lasciare che il lavoro li segua a casa, a letto, in vacanza. Il
lavoro ha smesso da un pezzo di accontentarsi del nostro corpo e della nostra mente: oggi
chiede la totalità della nostra energia. Ovvero la nostra anima. Ciò che ci dà in cambio è
l'illusione di essere ancora al centro di qualcosa, di essere lo snodo di una rete, punto di
passaggio di messaggi, notizie, decisioni, impulsi operativi, o anche solo futili chiacchiere. La
vera droga del XXI secolo è tutta in questo necessario, adrenalinico senso di connessione, in
questa ultima abissale illusione di esserci.
A questo proposito, Freeman riporta che gli americani dormono in media un'ora in meno di
vent'anni fa. Facile immaginare che gli europei seguano l'esempio. L'autore continua
riportando i drammatici casi di alcuni blogger morti di superlavoro; quindi, con improvviso
scarto ironico, racconta della superstar Madonna che, un paio di anni fa, confessò che lei e il
marito dormivano con il blackberry sotto il cuscino. «Nell'estate del 2008, cominciarono a
trapelare notizie sull'imminente divorzio della coppia». Tutt'altro che luddista, Freeman non
intende contestare il progresso rappresentato dalla rete. Piuttosto, si interroga sulla velocità
dilaniante a cui ci siamo adeguati e che annulla di fatto ogni vantaggio. Il riferimento, qui, non
può che essere al filosofo Paul Virilio e alla sua classica, citatissima affermazione: «Troppa
velocità è come troppa luce: non vediamo nulla». Con felice istinto pop, Freeman accosta la
citazione di Virilio a una del pilota Michael Schumacher: «Per le cose perfette, la velocità è
una forza unificante; per le cose imperfette, è una forza distruttiva».
Se la velocità è il problema, la soluzione potrebbe essere facile da individuare.
La “Tirannia dell'email” si conclude con un invito a rallentare: una sorta di manifesto slow
communication composto di poche pacate regolette tra cui quella di inviare meno posta,
limitarsi a due sessioni di email al giorno, riservare porzioni della giornata senza computer.
Un esempio di squisito buonsenso anglosassone. Ma forse, anche, una conclusione troppo
conciliante che tradisce la radicalità di alcuni spunti inseriti nel corso del libro. Il decalogo di
Freeman si basa sull'assunto che la rete sia un'appendice della realtà fisica dei corpi e dei
sentimenti, e quindi vada semplicemente dosata in modo da rispettare le nostre esigenze
naturali. C'è da chiedersi se un simile assunto non sia fuori tempo massimo. Non sarà la
nostra realtà reale, invece, a venire già vissuta come una misera appendice della rete?
Attraverso la storia, le tecnologie come le mappe, gli orologi, l’alfabeto hanno formato il modo
in cui pensiamo. Recenti scoperte sulla neuroplasticità hanno mostrato come le tecnologie
letteralmente danno forma al modo in cui pensiamo. L’ambiente basato sul web stressa il
cervello rafforzando la circuitazione cellulare che supporta i processi del “browsing” e del
“multitasking”. Allo stesso tempo, indebolisce I modi del pensiero contemplativo. Uno studio
della University of California di Los Angeles ha mostrato cambiamenti piuttosto estesi nei
patterns di attivazione del cervello dal moderato uso di motori di ricerca.
Soffriamo sempre più di “sovraccarico cognitivo” il ché non significa che ci distraiamo di più
ma che non riusciamo più nemmeno a ricordare a cosa stavamo prestando attenzione. Forse
sarà un nuovo modo di pensiero che diverrà dominante e ci farà perdere la capacità di
sviluppare il modo critico del pensiero. […].
THE ADDICTION
INFORMATION OVERLOAD
THE ADDICTION 2
LA MORTE IN DIRETTA
Abraham K. Biggs, 19 anni, cittadino della Florida, affetto da disturbo bipolare, aveva annunciato da
tempo la propria morte: aveva dato voce alle proprie inquietudini in rete, aveva annunciato su un
forum dedicato al body building la combinazione di farmaci che avrebbe assunto, aveva spiegato le
proprie intenzioni e la propria angoscia. Aveva postato un link al suo canale di diretta streaming su
“Justin.tv”. In diretta streaming si è suicidato.
Sui media rimbalzano i numeri degli spettatori: a parere di alcuni sarebbero stati 1500 coloro che
hanno seguito morbosamente quel che avveniva in casa del 19enne, a parere di altri si sarebbe
trattato di quasi 200 utenti. Utenti che, probabilmente increduli, incapaci di decifrare le motivazioni per
le quali un giovane avrebbe dovuto togliersi la vita di fronte a un pubblico, provocavano in chat il
ragazzo. Qualcuno, spiegano gli inquirenti, ha tentato di parlargli, qualcuno, probabilmente il
moderatore del forum su cui il ragazzo aveva linkato la propria morte, ha chiamato la polizia: le forze
dell'ordine non hanno potuto fare altro che constatare la morte del ragazzo. E chiudere la finestra
web spalancata sull'accaduto.
“Justin.tv” ha rimosso il video che ha documentato il suicidio di Biggs: "Il contenuto è stato segnalato
dai nostri utenti, è stato controllato, è stato rimosso perché violava le condizioni del servizio". Anche il
thread sul forum in cui il ragazzo minacciava di uccidersi è stato rimosso.
Il gesto del ragazzo non sembra sorprendere i sociologi, che attribuiscono le motivazioni del suicido
mediatico all'uso che i ragazzi fanno della rete per tenere traccia della propria vita: "Se una cosa non
è registrata o documentata, non sembra degna di nota - ha spiegato un'esperta - sembra che le
generazioni di oggi si chiedano quale sia lo scopo di fare una cosa se nessuno è pronto a vederla". La
famiglia non si interroga sull'uso dei media fatto dal figlio e sulla disinvoltura con cui i media hanno
fatto rimbalzare ciò che della vicenda è rimasto in rete, ma si scaglia contro voyeur di una realtà
impalpabile: corresponsabili della morte del ragazzo sarebbero stati in egual misura i netizen e i
gestori del servizio di live streaming: "Stiamo parlando della vita di una persona - ha dichiarato il padre
del giovane, inconsapevole della sua vita online - come esseri umani non ci si dovrebbe limitare a
guardare una persona in difficoltà dalla propria poltrona".
Legali consultati per avere una chiave di lettura sulla vicenda spiegano che coloro che hanno assistito
al suicidio senza agire non si possano considerare responsabili: l'impalpabilità di un suicidio
trasmesso attraverso la rete, così come è avvenuto in un caso analogo nel Regno Unito, sembra non
poter sollevare alcuna responsabilità nei confronti degli utenti che vi assistevano, in qualche
modo dissociati da una realtà brutalmente rappresentata con la mediazione di uno schermo. Lo
stesso vale per gli operatori di “Justin.tv”: potrebbero essere considerati responsabili solo se si
potesse provare che erano a conoscenza degli avvenimenti e avessero consapevolmente scelto di
non agire.
Se i frequentatori del forum su cui Biggs aveva paventato la propria morte si profondono nelle
condoglianze, sorpresi dal fatto che il suicidio di Biggs non fosse una messinscena, “Justin.tv” si
chiude nel silenzio per rispettare il dolore della famiglia, per tentare di decodificare il gesto di Biggs e
di ragionare sulla propria responsabilità di gestori di un servizio di imprevedibili live streaming.
"Sembra che ci sia una mancanza di controllo su quello che le persone mettono su Internet - ha
deunciato il padre del ragazzo - là fuori c'è un sacco di spazzatura che non dovrebbe esserci, e
sfortunatamente, è stato permesso che ciò accadesse". "Penso che dopo quello che è accaduto e
dopo altri eventi che si sono verificati in passato - ha rivendicato il padre del giovane - siano tutti
concordi che qualche tipo di regolamentazione sia necessaria". Non è dato sapere se il padre invochi
qualche tipo di rimozione o censura o di punizione per coloro che abbiano scosso Biggs con delle
provocazioni. Incredulità e contestazione restano ancora le armi di difesa contro una complessità con
cui ancora non ci si sa confrontare.
FUNNY GAMES 2