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Francesco Lamendola

Nel pensiero di Gurdjieff la lotta dell'uomo

per conquistare un centro di gravità permanente


Nel nostro precedente articolo L'uomo, secondo Gurdjieff, è una pluralità, e il suo nome è legione,
ci siamo occupati di un aspetto caratteristico dell'insegnamento esoterico di Georges Ivanovic
Gurdjieff (nato ad Aleksandropol nel 1877 e morto a Parigi nel 1949), ossia della dottrina secondo
la quale l'uomo non possiede un Io, ma deve, per così dire, conquistarselo, dominando le mille voci
contrastanti e le mille pretese egemoniche dei tanti piccoli 'io' che, volta a volta, impongono alla
coscienza le loro emozioni, i loro desideri e i loro pensieri, trascinati a loro volta dagli innumerevoli
stimoli esterni.
Abbiamo anche notato come tale dottrina si possa ricollegare da un lato alla generale crisi dell'Io
determinatasi, negli anni del Decadentismo, nella cultura occidentale (pienamente esemplificata dal
romanzo di Pirandello Uno, nessuno e centomila), dall'altra ad antichissimi insegnamenti delle
filosofie orientali, di cui egli era un notevole conoscitore, e, in modo particolare, al Buddhismo
Theravada e alla controversa nozione del non-Sé (cfr. F. Lamendola, Esiste l'anima dell'uomo nella
filosofia buddhista?, sul sito di Arianna Editrice).
Ora vogliamo fare un passo avanti e prendere in esame un altro importante aspetto
dell'insegnamento del geniale e sconcertante maestro della liberazione dell'uomo, il quale di se
stesso diceva ai suoi discepoli: «Io non sono la risposta, sono soltanto una Guida sulla via che porta
alla vetta». Intendiamo riferirci alla dottrina dei "sette uomini", ossia delle sette categorie (non
livelli, perché le prime tre sono immobili) sui quali può svilupparsi l'evoluzione interiore dell'uomo.
Come per i teosofi, anche per Gurdjieff il numero sette sembra esercitare un fascino irresistibile.
L'Universo, ad esempio, è distribuito in un settemplice "raggio di creazione" che scende
dall'Assoluto e, giù giù, a Tutti i mondi; Tutti i soli; il Sole; Tutti i pianeti; i Pianeti; la Terra; la
Luna. Gli esseri umani, come ogni altra realtà terrestre, sono sottoposti all'influenza irresistibile
della Luna, anzi subiscono dal nostro satellite una vera e propria forma di dominio: la lotta per
affermare la libertà e l'autonomia della coscienza è la lotta per sottrarsi al dominio delle forze
lunari.
Non solo: l'intero Universo è sottoposto alla cosiddetta legge dell'ottava, seconda la quale, così
come le vibrazioni sonore sono organizzate in una scala di sette toni, la stessa cosa avviene per la
luce, il calore, le vibrazioni chimiche e magnetiche. Ecco allora che le sette note do, re, mi, fa, sol,
la, si, sono la misura di una suprema armonia universale che pervade ogni cosa e che tende a
ritornare su se stessa, descrivendo un cerchio completo, così come il do maggiore segna l'inizio di
una nuova serie di sette suoni. Questo aspetto della dottrina di Gurdjieff si ricollega abbastanza
esplicitamente all'antichissima tradizione pitagorica, basata sull'idea di una piena e perfetta
corrispondenza fra l'Universo, la musica e la matematica
Tornando alla dottrina delle sette categorie dell'evoluzione umana (evoluzione che non è un fatto
spontaneo, ma intenzionale), riteniamo utile esporla brevemente mediante la testimonianza del più
insigne allievo di Gurdjieff, il filosofo russo P. D. Ouspensky, il quale - come il giovane Platone nei
confronti di Socrate - raccolse amorevolmente le parole del Maestro, per trasmetterle alla posterità.
Scrive, dunque, Ouspensky nel suo libro Frammenti di un insegnamento sconosciuto (titolo
originale: In Search of the Miraculous. Fragments of an Unknown Teaching; traduzione italiana

1
dall'edizione in lingua francese di Henry Thomasson, Roma, Casa Editrice Astrolabio, 1976, pp. 82-
86):

Non vi è nulla nel mondo, dal sistema solare fino all'uomo e dall'uomo fino all'atomo, che non
salga o non scenda, che non si evolva o non degeneri, che non si sviluppi o non decada. Mai nulla
si evolve meccanicamente. Solo la degenerazione e la distruzione procedono meccanicamente. Ciò
che non può evolversi coscientemente, degenera. L'aiuto esterno non è possibile che nella misura in
cui è apprezzato e accettato, anche se all'inizio esso lo è solo dal sentimento.
Il linguaggio che permette la comprensione, si basa sulla conoscenza del rapporto dell'oggetto che
si esamina con la sua evoluzione possibile, sulla conoscenza del suo posto nella scala evolutiva.
A questo fine, un gran numero delle nostre idee comuni sono divise in conformità agli stadi di
questa evoluzione.
Una volta ancora, prendiamo l'idea dell'uomo. Nel linguaggio di cui parlo, al posto della parola
'uomo' sono usate sette parole, ossia: uomo n. 1, uomo n. 2, uomo n. 3, uomo n. 4, uomo n. 5, uomo
n. 6 uomo n. 7. Con queste sette idee, noi saremo in grado di comprenderci allorché parleremo
dell'uomo.
L'uomo n. 7 è giunto al più completo sviluppo possibile per l'uomo, e possiede tutto ciò che l'uomo
può possedere, come volontà, coscienza, un 'Io' permanente e immutabile, individualità,
immortalità, e una quantità di altre proprietà che nella nostra cecità e nella nostra ignoranza noi ci
attribuiamo. Solo fino a un certo punto possiamo capire l'uomo n. 7 e le sue proprietà, così come le
tappe graduali per avvicinarci a lui, cioè per capire il processo di sviluppo che ci è possibile.
L'uomo n. 6 segue da vicino l'uomo n. 7 Differisce da lui solo per qualcuna delle sue proprietà che
non sono ancora diventate permanenti.
L'uomo n. 5 è anch'egli un tipo d'uomo a noi inaccessibile, perché ha raggiunto l'unità.
L'uomo n. 4 si trova ad u grado intermedio: ne parlerò in seguito.
Gli uomini n. 1, 2, 3, costituiscono l'umanità meccanica: restano al livello in cui sono nati. L'uomo
n. 1 ha il centro di gravità della sua vita psichica nel suo centro motore. È l'uomo del corpo fisico,
in cui le funzioni dell'istinto e del movimento predominano sempre sulle funzioni del sentimento e
del pensiero.
L'uomo n. 2 è allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita psichica si trova
nel centro emozionale; è dunque l'uomo in cui le funzioni emozionali predominano su tutte le altre,
è l'uomo del sentimento, l'uomo emozionale.
L'uomo n. 3 è anch'esso allo stesso livello di sviluppo, ma il centro di gravità della sua vita
psichica, è nel centro intellettuale; in altri termini, è un uomo in cui le funzioni intellettuali
predominano sulle funzioni emozionali, istintive, motorie: è l'uomo che ragiona, che ha una teoria
per tutto ciò che fa, che parte sempre da considerazioni mentali.
Ogni uomo nasce n. 1, n. 2, n. 3.
L'uomo n. 4 non è nato 4, egli è nato 1, 2, 3 e non diventa 4 che in seguito a sforzi di carattere ben
definito. L'uomo n. 4 è sempre il prodotto di un lavoro di scuola. Non può nascere tale né
svilupparsi accidentalmente: le influenze ordinarie dell'educazione, della cultura, ecc. non possono
produrre un uomo n. 4. Il suo livello è superiore a quello dell'uomo n. 1, 2 e 3; egli ha un centro di
gravità permanente che è fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro, e della sua
relazione con la scuola. Inoltre, i suoi centri psichici hanno già cominciato a equilibrarsi; in lui, un
centro non può più avere una preponderanza sugli altri, come per gli uomini delle rime categorie.
L'uomo n. 5 è già il prodotto di una cristallizzazione; egli non può più cambiare continuamente,
come gli uomini n. 1, 2 e 3. Ma si deve notare che l'uomo n. 5 può essere sia il risultato di un
lavoro giusto come il risultato di un lavoro sbagliato. Egli può essere diventato n. 5 dopo essere
stato n. 4 e può essere diventato n. 5 senza essere stato n. 4. In questo caso, egli non potrà
svilupparsi oltre, non potrà diventare n. 6 e 7 Per diventare n. 6 egli dovrà prima rifondere
completamente la sua essenza, già cristallizzata. Dovrà perdere intenzionalmente il suo essere di

2
uomo n. 5 Ora questo non può essere portato a compimento che attraverso sofferenze terribili. Per
fortuna, tali casi di falso sviluppo sono molto rari.
La divisione dell'uomo in 7 categorie permette di spiegare molte cose che non potrebbero essere
comprese altrimenti. Questa divisione è una prima applicazione all'uomo del concetto della
relatività. Cose apparentemente identiche possono essere del tutto differenti, secondo la categoria
di uomini da cui dipendono o in relazione alla quale si considerano.
Secondo questa concezione, tutte le manifestazioni interiori od esteriori dell'uomo, tutto ciò che gli
è proprio, tutte le sue creazioni, sono ugualmente divise in sette categorie.
Possiamo dunque dire che vi è un sapere n. 1 basato sull'imitazione, gli istinti o imparato a
memoria, meccanicamente, per ripetizione. L'uomo n. 1, se è un uomo n. 1 nel pieno senso di
questo termine, acquisisce tutto il suo sapere come una scimmia o un pappagallo.
Il sapere dell'uomo n. 2 è semplicemente il sapere di ciò che ci piace. L'uomo n. 2 non vuole sapere
nulla di ciò che non gli piace. Sempre e in tutto vuole qualcosa che gli piaccia. Oppure, se è un
uomo malato, è attratto da tutto ciò che gli dispiace, è affascinato dalle proprie ripugnanze, da
tutto ciò che provoca in lui l'orrore, lo spavento o la nausea.
Il sapere dell'uomo n. 3 è un sapere fondato su un pensare soggettivamente logico, su parole, su
una comprensione letterale. È il sapere dei topi di biblioteca, degli scolastici. Per esempio, sono
uomini n. 3 quelli che hanno contato quante volte ritorna ogni lettera dell'alfabeto arabo nel
Corano, e hanno basato su ciò tutto un sistema di interpretazione.
Il sapere dell'uomo n. 4 è un sapere di una specie completamente differente. È un sapere che viene
dall'uomo n. 5 il quale lo ha ricevuto dall'uomo n. 6, il quale l'ha attinto alla sorgente dell'uomo n.
7. Tuttavia è chiaro che l'uomo n. 4 assimila di questa conoscenza solo ciò che è in rapporto con le
sue possibilità. Ma a confronto del sapere degli uomini n. 1, 2 e 3, il sapere dell'uomo n. 4 ha
incominciato a liberarsi dagli elementi soggettivi. L'uomo n. 4 è in cammino verso il sapere
oggettivo.
Il sapere dell'uomo n. 5 è un sapere totale e indivisibile. L'uomo n. 5 possiede un Io indivisibile e
tutta la sua conoscenza appartiene a questo 'Io'. Non può esserci un 'io' che sappia qualche cosa
senza che un altro 'io' ne sia informato. Ciò che egli sa, lo sa con la totalità del suo essere. Il suo
sapere è più vicino al sapere oggettivo d quanto può esserlo quello dell'uomo n. 4.
Il sapere dell'uomo n. 6 rappresenta l'integralità del sapere accessibile all'uomo; ma può ancora
essere perduto.
Il sapere dell'uomo n. 7 è del tutto suo e non può più essergli tolto; questo è il sapere oggettivo e
interamente pratico di Tutto.
Per quanto riguarda l'Essere, succede esattamente la stessa cosa. Vi è l'essere dell'uomo n. 1, vale
a dire di colui che vive con i suoi istinti e le sue sensazioni; vi è l'essere dell'uomo n. 2 che vive dei
suoi sentimenti e delle sue emozioni; l'essere dell'uomo n. 3, l'uomo della ragione, il teorico, e così
di seguito. Si comprende in tal modo perché il sapere non può mai essere molto lontano dall'essere.
Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono in ragione del loro essere possedere il sapere degli uomini 4, 5 e
oltre. Qualsiasi cosa gli sia data, la interpretano a modo loro e non potrebbero fare altrimenti che
ricondurla al livello inferiore, che è il loro.
Lo stesso genere di divisione in sette categorie è applicabile a tutto ciò che è in rapporto con
l'uomo. Vi è un'arte n. 1, che è quella dell'uomo n. 1, un'arte di imitazione, di vana apparenza,
oppure grossolanamente primitiva e sensuale, come la musica e le danze dei popoli primitivi. Vi è
un'arte n. 2, un'arte del sentimento; un'arte n. 3 che è intellettuale, inventata; e vi deve essere
un'arte n. 4, n. 5, ecc.
Esattamente allo stesso modo, vi è una religione dell'uomo n. 1, vale a dire una religione fatta di
riti, di forme esteriori, di sacrifici e di cerimonie brillanti che possono essere talvolta di imponente
splendore o al contrario di carattere lugubre, selvaggio, crudele, ecc. E vi è la religione dell'uomo
n. 2: la religione della fede, dell'amore, degli slanci dell'adorazione e dell'entusiasmo, che non
tardano a trasformarsi in una religione di persecuzione, di oppressione e di sterminio degli 'eretici'
e dei 'pagani'. Vi è una religione dell'uomo n. 3, intellettuale e teorica, una religione di prove e di

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argomenti, fondata su ragionamenti, interpretazioni e deduzioni logiche. Le religioni n. 1, 2 e 3
sono realmente le sole che noi conosciamo, tutte le confessioni a noi note appartengono all'una o
all'altra di queste tre categorie. Per ciò che riguarda le religioni dell'uomo n. 4, 5, 6 e 7, non le
conosciamo e non le possiamo conoscere fino a che resteremo ciò che siamo.
Se invece di prendere la religione in generale, noi consideriamo il Cristianesimo, allora vedremo
che allo stesso modo esiste un Cristianesimo. In altre parole un paganesimo sotto nome cristiano. Il
Cristianesimo n. 2 è una religione di sentimento, talvolta molto pura, ma priva di forza, talvolta
ebbra di sangue ed atroce, che conduce all'inquisizione, alle guerre di religione. Il Cristianesimo n.
3 di cui le differenti forme di protestantesimo offrono esempi, si fonda su teorie, su argomenti, su
tutta una dialettica, ecc. Poi vi è un Cristianesimo n. 4 del quale gli uomini n. 1, 2, 3, non hanno la
minima idea.
Di fato il Cristianesimo n. 1, 2, 3 non è che un'imitazione esteriore. Solo l'uomo n. 4 si sforza di
diventare un Cristiano, e solo l'uomo n. 5 può realmente essere un Cristiano. Perché per essere un
Cristiano bisogna avere l'essere di un Cristiano, vale a dire vivere conformemente ai precetti del
Cristo.
Gli uomini n. 1, 2, 3 non possono vivere conformemente ai precetti del Cristo, perché per essi tutto
'accade'. Oggi è una cosa, domani un'altra. Oggi essi sono pronti a dare la loro ultima camicia,
domani a fare a pezzi un uomo, perché rifiuterà di donare loro la sua. Sono mossi a caso dagli
avvenimenti, vanno alla deriva. Non sono padroni di se stessi e per conseguenza non possono
decidere di essere cristiani e esserlo realmente.
La scienza, la filosofia e tutte le manifestazioni della vita e dell'attività umana possono essere
suddivise esattamente nello stesso modo, in sete categorie; ma queste distinzioni sfuggono in
genere al linguaggio ordinario, proprio per questo è così difficile per gli uomini comprendersi.

Che cosa possiamo dire di questo sistema di categorie che comprende gli esseri umani, il loro
sapere, e tutte le manifestazioni dell'arte, della scienza, della religione, nonché dello stesso
cristianesimo?
A parte la fissazione per il numero sette, che, del resto, ritroviamo in quasi tutti i teosofi e gli
antroposofi, da Helena Blavatskij a Rudolf Steiner, a Max Heindel (per il quale ultimo cfr. il nostro
articolo Significato della storia d'Israele nella visione teosofica di Max Heindel, sempre sul sito di
Arianna), ma anche, ad es., nella Divina Commedia di Dante Alighieri, ci sembra che la dottrina
delle "categorie" umane - non livelli, ripetiamo, perché i livelli sono solo cinque, essendo le prime
tre categorie corrispondenti a un unico livello - sia una delle più feconde all'interno
dell'insegnamento di Gurdjieff.
Oltre alla felice acutezza di molte sue notazioni psicologiche, ci sembra che la parte più notevole di
tale dottrina consista nell'affermazione che solo una evoluzione cosciente, ossia un preciso sforzo
della volontà, può consentire all'essere umano di divenire pienamente se stesso, ossia di realizzare
le sue autentiche, notevolissime potenzialità. Ma ciò non può avvenire che mediante un "salto", un
vero e proprio balzo evolutivo, che gli consenta di superare la sua naturalità inerte, fatta di istinti,
emozioni, pensieri logici puramente soggettivi, per proiettarsi al di sopra di se stesso; concetto sul
quale Gurdjieff sarebbe tornato più volte e sul quale anche noi ci ripromettiamo di tornare, in una
prossima occasione.
L'inevitabile conseguenza di tali premesse è che la stragrande maggioranza degli esseri umani
vivono ad un livello puramente meccanico, quello inferiore degli istinti, delle emozioni e del
pensiero soggettivo: tutti, ciascuno a suo modo, ugualmente ignoranti; tutti immersi in una nebbia
profonda, della quale non hanno neppure consapevolezza. Ciò che essi sanno, lo sanno in forma
inferiore; l'arte che esprimono, la religione che professano - foss'anche la più nobile e pura -, la
scienza che perseguono, sono sempre e comunque di un genere inferiore, perché essi tendono a
portarle, inevitabilmente, sul livello del proprio essere.
Viene in mentre l'ammonimento evangelico di "non dare le perle ai porci", oppure la diffidenza
platonica verso l'insegnamento scritto, che può venire frainteso da allievi non adeguatamente

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preparati. Non tutto, infatti, può essere insegnato a tutti; o, quanto meno, è inevitabile che coloro i
quali si trovano a un livello inferiore, stravolgano il sapere superiore secondo la loro particolare
prospettiva. È ben questo che abbiamo cercato di mostrare nel nostro precedente saggio (sempre sul
sito di Arianna): La pedagogia di Comenio ci interroga se sia giusto insegnare tutto a tutti.
Del resto, ogni filosofia esoterica è basata su tale convincimento; che non nasce, come potrebbe
sembrare dall'esterno, da un atteggiamento ingiustificatamente aristocratico, bensì dalla legittima
preoccupazione di commisurare l'insegnamento alle possibilità di autentica comprensione degli
alunni (il che potrebbe indurci a molte e malinconiche riflessioni sul concetto stesso di "scuola di
massa", oggi così orgogliosamente strombazzato da tanti malaccorti paladini di un democraticismo
a buon mercato).
Quando, poi, Gurdjieff descrive l'ambiguità fondamentale dell'uomo n. 5, pare che parli di una
esperienza direttamente vissuta o, quanto meno, intensamente meditata. Egli sostiene che l'uomo n.
5 può diventare tale sia attraverso un lavoro giusto, sia attraverso un lavoro sbagliato; e, in questo
secondo caso, egli avrà saltato il "passaggio" dell'uomo n. 4, ma non potrà salire oltre, verso i livelli
superiori. Per poterlo fare, dovrà ridiscendere al livello dell'uomo n. 4, annullando la sua precedente
esperienza e ripartendo daccapo: ma, avverte Gurdjieff, ciò non potrà avvenire senza indicibili
sofferenze.
Ma che cosa può significare l'espressione "lavoro sbagliato"? A noi viene subito in mente,
nell'ambito del tantrismo, il cosiddetto "sentiero della mano sinistra"; e, più ancora, la vicenda
umana d Milarepa, che riuscì a diventare un grande saggio, un vero iniziato e, infine, un Illuminato,
ma solo dopo essersi pentito e spogliato dei suoi precedenti apprendimenti di magia nera, mediante i
quali aveva causato morte e sofferenza ai nemici della sua famiglia (e sia pure per amore della
madre, che a ciò lo aveva istigato).
Da tutto questo si vede come i due principali "salti" evolutivi siano quello dall'uomo n. 1, 2 e 3
all'uomo n. 4; e, poi, dall'uomo n. 4 al n. 5. Accedere alla categoria n. 4, significa uscire dalla palude
e individuare la via da seguire; accadere alla categoria n. 6, significa trasformare il nuovo sapere e
le nuove acquisizioni in una struttura permanente dell'essere, che non potrà mai più andare smarrita.
Perciò, i due momenti veramente critici sono quello in cui l'uomo-macchina si trasforma in un Io
padrone di se stesso, e quello in cui l'uomo evoluto imbocca definitivamente la via della propria
compiuta autorealizzazione.
Ricordiamo la precisa espressione di Gurdjieff: solo l'uomo che giunge al livello n. 4 realizza un
centro di gravità permanente che è fatto delle sue idee, del suo apprezzamento del lavoro, e della
sua relazione con la scuola. La semplice volontà, infatti, non basta per innalzarsi dalle prime tre
categorie alla quarta: solo un "lavoro di scuola", ossia l'insegnamento diretto di una vera Guida, può
aiutare un individuo a realizzare il proprio essere, cioè ad accedere alla categoria n. 4.

Una delle conseguenze più significative, a nostro parere, della concezione evolutiva e gerarchica
dell'uomo, sostenuta da Gurdjieff, è che quando uomini appartenenti alle diverse categorie parlano
delle stesse cose, intendono in realtà oggetti completamente diversi, il che può causare gravissimi
fraintendimenti.
Si noti che tali fraintendimenti possono verificarsi anche fra uomini appartenenti alle prime tre
categorie: perché l'istintivo, l'emozionale e il razionale giudicano le cose da diversi punti di vista e,
se pure adoprano le medesime parole per indicare determinati concetti, è inevitabile che si
riferiscano a cose del tutto differenti. E questo non può fare a meno di avere, prima o dopo,
spiacevoli conseguenze: sia nella vita privata, e particolarmente affettiva, sia nella vita sociale, si
pensi a quel che dice Gurdjieff sulla facilità con cui la religione, ad es., degenera in violenza e
oppressione, se viene vissuta al livello più basso.
Quando, poi, sono gli insegnamenti dell'uomo n. 5, 6 o 7 ad essere recepiti dalle tre categorie
inferiori, o essi vengono fraintesi e ritorti a danno dei Maestri (si pensi alla crocifissione del Cristo),
oppure vengono fraintesi e ritorti a danno delle masse (si pensi a certe componenti esoteriche del
nazismo, che nascevano da concetti giusti, propri delle filosofie orientali, ma che vennero

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orribilmente deformati dalla brutale semplificazione politica e razziale che ne era stata fatta).
Insomma, ogni essere umano può comprendere le cose solo in relazione al proprio livello evolutivo:
e, se egli vuole accedere a un sapere che non appartiene al suo livello, non può che fraintenderlo.
Quante sofferenze, quante lacrime, quanto sangue si sarebbero potuti evitare nella stria umana, e si
potrebbero evitare tuttora nella vita dei singoli individui, se si tenesse presente questa semplice
verità!
Che altro significano, del resto, le parole di Cristo mentre veniva crocifisso: «Padre, perdona loro,
perché non sanno quello che fanno»?
La cosa allarmante è che, oggi come sempre, ma forse oggi più che in passato, i destini dell'umanità
sembrano concentrati nelle mani di una classe dirigente - scienziati, finanzieri, politici - formata
esclusivamente da uomini delle categorie 1, 2 e 3: che è quanto dire che dei ciechi fanno da guide a
tutti gli altri, trascinandoli a grandi passi verso pericoli mortali.
Anche la scorciatoia rivoluzionaria è illusoria (e lo si è visto ripetutamente): se uomini delle
categorie inferiori guidano la rivolta contro le guide cieche, e sia pure in nome di nobilissimi ideali,
essi fatalmente riprodurranno, una volta giunti al potere, le stesse storture, perché ogni categoria
"vive" pensieri e ideali secondo il proprio livello evolutivo.
Ed ecco in Cambogia farsi avanti un Pol Pot, in Iran un Khomeini, in Italia… forse è meglio che
lasciamo perdere, per carità di Patria.

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