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CAP. I
LA CITTÀ MERIDIONALE:
RITO, MITO E PROGETTO NELLA MEGALE HELLÀS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
progetto politico.
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS
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LUISA BOCCIERO
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Note
Per il rapporto dei Greci con il mare ed il commercio fondamentale è il testo di A. Mele, Il commercio greco-arcaico:
prexis ed empoire, “Cahier du Centre Jean Bérard”, n. 4, Naples, 1979; per il dibattito sulla natura del commercio arcaico
Cfr. anche B. Bravo in “Dha”, n. 4, 1974, p. 110 ss. e Idem in “Dha”, n. 3, 1977, p. 1 ss. Sebbene non si possa e non si
debba parlare di thalassofobia dei Greci, l’ascesa degli interessi commerciale nel periodo arcaico è speculare al tramonto
degli ideali eroici che avevano avuto nell'autarchia e nel bottino militare le loro basi economiche.
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Esiodo, Opere, vv. 646, 618-29, 642; il concetto di “emporíe” è qui sinonimo di “nautilìe”, possesso di una
imbarcazione con la quale si insegue il “kerdos”, il guadagno senza il quale non è possibile procurarsi il “bìos”, ciò che
occorre per vivere. Per la discussione approfondita sull’argomento e relativa bibliografia cfr. A. Mele, op. cit., cap. I, p. 12,
ss.
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Con la fondazione di Turi, nel luogo ove era sorta la distrutta Sibari, nel 444 a.C. Alla spedizione partecipò anche lo
storico Erodoto di Alicarnasso, che da allora definì se stesso Erodoto Turio.
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Eccezion fatta per il periodo miceneo, per il quale abbiamo di fatto il segno del passaggio di genti micenee in gran
parte del meridione d’Italia, ma pochi o nessun segno di un loro essersi stabiliti con colonie vere e proprie: la questione
della precolonizzazione micenea di quella che sarà poi la Magna Grecia, sostenuta da G. Pugliese Carratelli e la sua
scuola, suscita tuttora ampio dibattito e molto vasta è la bibliografia al riguardo; testi di base potranno essere gli Atti del I
Congresso Internazionale di Micenologia, Roma, 1967-1968 (spec. Pugliese Carratelli, pp. 1231-1237); gli Atti del XX
Convegno di Studi sulla Magna Grecia, “Magna Grecia e Mondo Miceneo”, Napoli, 1982: G. Maddoli, La civiltà
micenea, Bari, 1977; Atti del Convegno “Momenti Precoloniali nel Mediterraneo Antico”, Istituto di Civiltà Fenicia e
Punica, Roma, 1989 (spec. interventi di D. Musti e conclusioni di L. Godart). Una discussione delle testimonianze
archeologiche più importanti, come quelle di Scoglio del Tonno (TA) e Policoro è in L. Vagnetti, Le relazioni tra il mondo
miceneo e l’Italia alla luce della ricerca archeologica, in “Megale Hellàs”, Milano, 1983, pp. 717-720.
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Anche su questo problema è in corso un lunghissimo dibattito tra gli studiosi; testi fondamentali per un orientamento
generale sono: gli Atti del I Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “Greci ed Italici in Magna Grecia”,
Taranto-Napoli, 1961; il volume Modes de contacts et processus de transformation dans le societes anciennes , “Atti” del
Convegno di Cortona 1981, Pisa-Roma, 1983 (spec. contr. E. Lepore, A. Mele, M. Giangiulio, G. Nenci, J. de la Genière);
altri e più aggiornati riferimenti per una panoramica generale sulle culture pregreche dell’Italia meridionale sono i due
volumi della collana Antica Madre Italia - Omnium Terrarum Allumna, Roma, 1989; ad essi si rimanda per eventuali
approfondimenti bibliografici sulle singole popolazioni indigene dell’Italia.
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Le questioni del rapporto tra greci e indigeni e dei modelli di acculturazione sono discusse da J. de la Genière , La
colonisation en Italie meridionale et e l’acculturation des Non-Grecs, “Ra”, 1977, pp. 157-176; D. Musti, Strabone e la
Magna Grecia. Città e popoli dell’Italia antica, Padova, 1988; E. Lepore, Colonie greche dell’Occidente antico, Roma,
1989; E. Lepore, Origini e strutture della Campania antica, Bologna, 1991; di recente pubblicazione, il volume Italici in
Magna Grecia, “Atti” del Convegno di Acquasparta 1985, Napoli, 1991, con l’aggiornamento dei dati archeologici.
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Al ruolo di Hestia come divinità ed al suo rapporto con l’organiz-zazione spaziale della città in accoppiata con il suo
doppio Hermes è dedicato il saggio di J. P. Vernant, Hestia-Hermes. Sull’espressione religiosa dello spazio e del
movimento presso i Greci, “L’Homme. Revue Française d’An-tropologie”, 1963, 3, pp. 12-50, ora in: Mithe et pensée chez
les Grecs. Etudes de Psycologie Historique, Paris, 1971 (trad. it. Einaudi, Torino, 1978, pp. 147-200).
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Ricordiamo però che l’espressione “Megale Hellàs”, lungi dall’ essere originaria e dunque pertinente alla realtà
arcaica della colonizzazione, è nata in ambienti dotti durante il V se. a.C. e precisamente in ambiente pitagorico:
l’insegnamento di Pitagora, riempiendo di saggi e filosofi l’Italia, l’avrebbe resa famosa nel mondo e le avrebbe meritato il
titolo di “Grande Grecia”; dunque essa deve presupporre una maturazione della coscienza nazionale che non è pensabile
per l’VIII sec. a.C., ma che risulta compiuta soltanto in età classica. Ampia discussione e bibliografia sull’argomento in:
Atti del XIX Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia “Megale Hellàs: nome e immagine”, mentre un recente
contributo viene da D. Musti, L’idea di Megale Hellàs in: Strabone e la Magna Grecia , cit., pp. 61-94.
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Anche su questo argomento pagine fondamentali sono state scritte da E. Lepore, Per una fenomenologia storica del
rapporto città-territorio in Magna Grecia, in “Atti” del VII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “La
città e il suo territorio”, Taranto-Napoli, 1967, pp. 29-65.
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Ellanico di Lesbo definisce l’ecista “ò tés apoikìas eghemòn” ( = colui che guida , che è capo della colonia, Hellan, fr.
84). Cfr. anche Erodoto, IV, 153 e 155 e I. Makin, Wath’s in Name? The Eponyomus Founders of Greek Colinies,
“Atheneum”, 1985, pp. 114-130; R. van Compernolle, La Sicilia e la Grecia arcaica fino alla fine del VI sec.: l’apporto
delle fonti letterarie, “Kokalos”, 1984/85, pp. 23-62; H. van Effenterre, La citè grecque, Paris, 1985, cap. IX, pp. 200-203.
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Per tali figure si crea in genere la dimensione del semidio, come avviene per Teseo ed Heracles, ma anche per gli eroi
omerici e per tutte le figure di uomini che in qualche modo vengano in contatto con l’ignoto e il divino; così le generazioni
degli uomini diventano parallele a quelle degli dèi e nasce (già prima di Esiodo) una doppia teoria mitopoietica orientata
nello spazio e nel tempo del Cosmo e della Terra: cfr.: P. Philippson, Genealogie als Mithische Form: Studien zur
Theogonie des Hesiod, Oslo, 1936 (trad. it. Origini e forme del mito greco, a cura di D. Sabbatucci, Boringhieri, Torino,
1983, pp. 25-65); J. P. Vernant, Il mito esiodeo delle razze. Tentativo di analisi strutturale ed Il mito esiodeo delle razze.
Su un tentativo di messa a punto in: Mito e pensiero presso i Greci - Studi di psicologia storica (trad. it. Einaudi, terza
edizione, 1984, pp. 15-90 e 93-145).
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È da più parti stata sottolineata l’importanza della consultazione oracolare, da una parte ai fini della legittimazione
dell’ecista e della città che lo manda a fondare la colonia, dall’altra per la felice riuscita della stessa impresa di
colonizzazione, in quanto il santuario della divinità oracolare, con il suo continuo flusso di pellegrini da tutto il mondo
antico (soprattutto di commercianti, avventurieri e pirati) costituiva una preziosa fonte di informazioni su destinazioni e
rotte: è qui che il progetto coloniale esce dall’ignoto e molte colonie manterranno a lungo il ricordo della propria origine
delfica o comunque oracolare. Su questo argomento molto si è discusso in passato; cfr. H. Berve, Das Delphische Orakel,
in: Gestaltende Krafte der Antike, Munchen, 1949, p. 9 ss; W. G. Forrest, Colonization and the Rise of Delphi,
“Historia”, 6, 1957, p. 166 ss.; G. Pugliese Carratelli in: "Parola del passato", 26, 1971, pp. 401 ss.
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Esempio emblematico è Teocles, figura di ecista mitico che conduce sulle coste siciliane un folto gruppo di coloni tra
cui Calcidiesi, Megaresi, altre genti di stirpe ionica e dorica oltre agli onnipresenti ateniesi che più tardi rivendicarono i
natali dell’eroe; per la discussione delle fonti su Teocles vedi J. Bérard, La Magna Grecia, Torino, Einaudi, 1976, pp. 83-
115.
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Sull’annosa questione dell’aggressività dei Greci nei confronti degli indigeni in rapporto alle tecniche dell’astuzia
altrove indicate dalle fonti (come nel caso di Metaponto), il contributo più recente, cui si rimanda per la bibliografia
precedente, è di G. Viapiano, Biai Labein Thn Polin: Greci e indigeni nella tradizione letteraria sulle fondazioni coloniali
in Italia meridionale, “Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia”, vol. XXIV, nuova serie X,
1986, pp. 305-326.
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Nel rituale di fondazione il “ghès anadasmòs” ( = la divisione della terra coltivabile) era sempre preceduto dalla
delimitazione del “témenos” ( = recinto sacro) ove il dio avrebbe preso dimora in attesa di ricevere un luogo di culto
stabile, in pietra: questa cerimonia era officiata dall’ecista, che diventa così anche sacerdote e fondatore del culto cittadino
(cfr. J. Bérard, op. cit., p. 83 ss.; e anche Platone, Le Leggi, VIII, 848d).
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Sebbene l’attività di legislatore vero e proprio sia in genere attribuita a figure semimitiche e di origine propriamente
magnogreca come Caronda di Catania e Zaleuco di Locri: in questo caso l’ecista è piuttosto colui che programma la
gestione dell’insediamento, mentre il “nomothetès” in senso stretto si occupa perlopiù della codificazione del diritto
penale. Un esempio di ecista legislatore è il fondatore di Taranto, Phalantos.
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Cfr. Antioco di Siracusa , cit. in Strabone, Geografia, VI, 278-79=3, 2; Eforo di Cuma, cit. in Strabone, ibid., VI, 279-
80=3, 3; Diodoro Siculo, Storie, fr. VIII Vogel: le fonti sono discusse in J. Bérard, op. cit., p. 161 ss; cfr. anche G. Pugliese
Carratelli, Storia civile, in: Megale Hellàs, cit., spec. p. 53 e ss.
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Cfr. Hyppis di Reggio, cit in Zenobio, Proverbi, 3, 32=Jacobi, F. G. H., fr. 1 e Antioco di Siracusa, cit. in Strabone, VI,
262=555 Jac., fr. 10; cfr. su questo argomento M. Giangiulio, Deformità eroiche e tradizioni di fondazioni, “Annali della
Scuola Normale di Pisa”, Classe di Lettere e Filosofia, 1981, pp. 1-25.
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Cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 3, 2; Strabone, op. cit., VI, 269-70=2, 4; Stefano Bizantino, Ethnikà, s.
v. “Archìas” e “Miskellos”; su Hys di Helike, cfr. soprattutto Strabone, op. cit., VI, 263.
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Egli ha infatti tentato di sovvertire il diritto costituito degli Spartiati a conservare la propria supremazia sugli schiavi
Iloti, seppure di questi Iloti essi si fossero serviti per evitare l’estinzione della città stessa e dunque per un causa che di
fatto costituiva una deroga alla costituzione stessa; cfr. Tepompio di Chio, cit. in Ateneo, Deipnosofisti, VI, 271.
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Strabone, op. cit., VI, 265=1, 15 e Dionigi d’Alicarnasso, R. A., fr. XIX, 3.
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Soprattutto le tradizioni che tendono ad attribuire ad Atene la prerogativa di grande colonizzatrice e padrona fina dalla
notte dei tempi di tutto il Mediterraneo, frutto della propaganda ateniese del V sec. a.C.
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Non a caso, in ambiente, in ambiente coloniale prendono corpo tradizioni alternative a quelle greche ma
oggettivamente in linea con esse quali quella sulla “yghièia” ( = salute) crotoniate, che produrrà la stagione aurea degli
Olimpionikai magnogreci; cfr. A. Mele, La storia di Crotone in: Atti del XXIII Convegno Internazionali di Studi sulla
Magna Grecia, “Crotone”, Taranto-Napoli, 1983, p. 5 ss.
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Cfr. Lykophron, Alexandra, vv. 724-25; Eustath., schol ad Homer., Od. IX, 392.
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”Pur senza trascurare le innegabili interferenze e persino l’esistenza di colonie miste, ben note alla tradizione, occorre
tenere in conto maggiore che per il passato l’esistenza di mete preferenziali delle diverse imprese coloniali, che tendono
spesso a recuperare condizioni simili a quelle di partenza e a costituire aree di una qualche omogeneità, talora interrotte da
enclaves ora più ora meno tollerate. È innegabile che da Crotone a Sibari si crei un’area achea che ovviamente non sbocca
nella creazione di una unità territoriale e politica: le poleis restano autonome, ma costituiscono, o riscoprono
puntualmente, nel corso del tempo, forme di solidarietà che sono di natura culturale, cultuale, economica e politica in
senso lato" (D. Musti, Storia greca, cit., pp. 188-189).
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Per la bibliografia, ormai abbastanza estesa, sull’Età Oscura cfr. V. R. d’A. Desbourugh, The Last Mycenaeans and
their Successors, Oxford, 1964; A. M. Snodgrass, The Dark Age of Greece, Edimbourgh, 1971; J. N. Coldstream,
Geometric Greece, London, 1977; AA.VV., Bronze Age in the Aegean, Duckworth, 1973.
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Cfr. M. Moggi, I sinecismi interstatali greci, I, Dalle origini al 338 a. C., Roma, 1976.
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Questa ipotesi, sostenuta da chi scrive nella tesi di laurea Ricerche sull’Achaia preistorica ed arcaica, è parzialmente
suffragata da Musti, Storia greca, cit., pp. 201-206.
29
Sul rapporto tra città coloniale e madrepatria esiste una vasta bibliografia, sebbene ancora non sia possibile
individuare l’esatta situazione sociopolitica della Grecia nell’VIII sec. a.C.: per l’impostazione del problema cfr. E. Will,
Sur l’evolution des rapports entre colonies et metropoles en Grece a partir du VI siecle, “La Nouvelle Clio”, 6, 1954, pp.
416-440; fondamentale è il testo di J. Graham, Colony and Mother City in Ancient Greece, Manchester, 1964; cfr. anche
S. C. Humpreyes, Colonie e madrepatria nella Grecia antica, “Rivista storica italiana”, 78, 1966, p. 912, n. 1.
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Di Metaponto, in particolare, si conoscono sia la configurazione urbana che quella del territorio: cfr. Atti del XIII
Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “Metaponto”, Taranto-Napoli, 1973-74 (spec. D. Adamesteaunu
“Problemi topografici ed urbanistici metapontini”, p. 153 ss e D. Mertens, “L’architettura”, p. 187 ss); a Metaponto è
parimenti dedicata la monografia, curata dagli stessi autori, Metaponto, I, supplemento a “Notizie degli scavi”, Roma,
1981; sul territorio metapontino cfr. D. Adamesteanu-C.Vatin, L'arriere-pays de Metaponte, "Crai", 1976, p.110 ss.
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L’istituzione di “ilotìa” e “perioikìa” ha origine nella Grecia propria, in particolar modo in ambiente Peloponnesiaco
(la questione degli Iloti genera la rivolta che porterà alla fondazione di Taranto, cfr. supra, nota n. 17); in ambiente
magnogreco il rapporto con re e popoli indigeni è testimoniato per Metaponto, Temesa e varie città siceliote.
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È il caso dell’insediamento indigeno dell’Incoronata, tra Siris e Metaponto, distrutto radicalmente all’arrivo delle
popolazioni achee, mentre, non lontano, gli insediamenti di Amendolara e Policoro-Serroni mostrano continuità, scambio
culturale e progresso in presenza dell’elemento ellenico; cfr. J. de la Genière, Modes de contacts..., cit. p. 271 ss; C.
Sacchi, Le fonti archeologiche su Siris, “Parola del passato”, 1, 1990, p. 89 ss.; cfr. anche E. Lepore, I Greci in Italia in :
Storia della società italiana, vol. I, p. 217.
33
Cfr. F. Castagnoli, La pianta di Metaponto: ancora sull’urbanistica ippodamea, “Rendiconti dell’Accademia dei
Lincei”, XIV, 1959, p. 49 ss; D. Asheri, Osservazioni sulle origini dell’architettura ippodamea, “Rivi-sta storica italiana",
LXXVII, 1975, p. 5 ss.
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Ciò al di là delle possibili interpretazioni in chiave democratica o comunque isonomica della spartizione delle terre e
degli spazi collettivi che sono effettivamente presenti nelle città.
35
Strabone, Geografia, VI, 264=1, 14; cfr. J. Bérard, op. cit., pp. 191-198; cfr. D. Musti, Storia greca, cit., p. 181 ss.
36
Erodoto, Storie, I, 164-167; Strabone, Geografia, VI, 252=1, 1; J. Bérard, op. cit., pp. 156-158.
37
J. Graham, op. cit., p. 4 ss; E. Lepore, Strutture della colonizzazione focea in occidente, “Parola del passato”, 88,
1970, p. 35; J. Graham, in “Journal of Hellenic Studies”, 91, 1971, p. 23 ss; D. Asheri, Storia della Sicilia. La Sicilia
antica, a cura di G. Vallet ed E. Gabba, I, 1, 1979, p. 98 ss.
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Il problema del sovrappopolamento causa della colonizzazione è molto sentito dalle fonti arcaiche come Archiloco (fr.
54 Diehl) ed Esiodo (Opere, v. 528 e fr. 130 Merkelbach-West),ed è enfatizzato dalla bibliografia moderna sulla caduta dei
Regni Micenei, poiché a partire dalla fine dell'età del Bronzo (XIII-XII sec. a.C.), ondate di esuli dall'Argolide, Messenia e
Laconia si riversarono nelle regioni interne e settentrionali del Peloponneso (Achaia, Arcadia, Elide), a Cipro, a
Kephallenia (odierna Cefalonia) ed in varie regioni della Grecia nordoccidentale (Acarcania, Etolia etc.); a partire da
questo momento; in quasi tutte le regioni della Grecia, a seguito forse dello stanziarsi nel Peloponneso Orientale dei fa-
migerati Dori, di cui si cercano ancora oggi invano sicure tracce archeologiche, ma la cui realtà storica è ormai accettata
[cfr. D. Musti (a cura di), Le origini dei Greci, Dori e mondo egeo, cit.; v. conclusioni L. Godart, p. 412 ss.], incomincia
un processo di crescita della popolazione che si intensificherà in particolare tra il X ed il VII sec. a.C.; una indagi ne
statistica al riguardo è in A. M. Snodgrass, Archaic Greece, The Age of Experiment, London, 1980, specie p. 23 ss.; altro
testo assai utile in tal senso è P. Courbin, La ceramique geometrique de l'Argolide, Paris, 1966, dove la disamina
tipologica delle forme ceramiche conduce ad una ricostruzione di mutamenti nei costumi, nella dieta e nella cultura
dell'Argolide, protagonista tra la fine della Dark Age e l'inizio dell'età arcaica, di una autentica rivoluzione, con
l'emersione a centro egemone di Argo ed il tramonto definitivo di Micene; ancora la ceramica geometrica è al centro
dell'interesse di J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, Cambridge, 1968, opera monumentale sulla ceramica
geometrica divenuta ormai la base per ogni successivo ragionamento sulla cultura materiale della Grecia dell'Età Oscura;
infine non si può prescindere, riguardo a questi argomenti, dalla fondamentale opera di V.R. D'A. Desborough, The Last
Mycenaeans and their Successors, Oxford, 1964, ancor oggi testo base per il dibattito sulla Grecia post-micenea. Una
rapida ed utile sintesi delle varie posizioni si trova in D. Musti, Storia greca, cit., cap. I, p. 97 ss.+ tav. 9a e 9b. Per
l'Achaia in particolare e l'arrivo dei profughi, cfr. E. T. Vermeule, The Mycenaeans in Achaea, "American Journal of
Archaelogy", n. 64, 1960, pp. 1-41.
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Cfr. sulle presenze micenee in ambiente indigeno L. Vagnetti (a cura di), Magna Grecia e mondo miceneo. Nuovi
documenti, Allegato a: "Atti del XXII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia”, Taranto, 1982 ed anche
Eadem, I Micenei in occidente, in "Modes de contacts...", cit., p. 165-185; interessante anche, a proposito della continuità
tra culti greci ed indigeni in Sicilia, M. Giangiulio, Greci e non-greci in Sicilia alla luce dei culti e delle leggende di
Eracle, ibidem, pp. 785-846. Anche alcune delle colonie di età arcaica, come Pithekussai (odierna isola d'I schia, nel Golfo
di Napoli), si trovano sulla via dei metalli che congiunge la Grecia con il lontano Occidente (Spagna, Francia etc.) e le
fonti parlano, per l'isola, di "Xrysèia"(= miniere d'oro secondo alcuni, ma più probabilmente officine per la lavorazione di
metalli preziosi); sul complesso problema dell 'approvvigionamento di metalli tra l'Età del bronzo e l'Età arcaica, cfr. J. D.
Muhly, Copper and Thin. The Distribution of Mineral Resources and the Nature of The Metal Trade in the Bronze Age, in
"Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences", n. 43, 1973, pp. 155-535 e n. 46, 1976, pp. 77-136.
Relitti di queste frequentazioni e base per il successivo orientarsi della colonizzazione sono individuati nei santuari
extraurbani da G. Pugliese Carratelli, I santuari extraurbani, in "Magna Grecia", vol. I, Milano, 1985, p.135 ss.; sorti in
corrispondenza di empori o mercati di età micenea, tali santuari avrebbero sempre rappresenta to l'incontro tra il mondo
greco e quello indigeno. Mancano tuttavia prove concrete della continuità, mentre emerge, in colonie sicuramente di età
arcaica come Crotone, un ruolo diverso dei santuari extraurbani, più legato alla funzione del territorio ed alla difesa della
città, come è reso evidente da A. Mele, Crotone: la storia, in "Atti del XIII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna
Grecia", Taranto, 1983, p. 4 ss. Resta pertanto indimostrabile il nesso diretto tra colonizzazione e precolonizzazione, ma
resta tuttavia valida l'ipotesi che, grazie a tali frequentazioni, i Greci non affrontassero del tutto all'oscuro la navigazione
del Mediterraneo (cfr. E. Lepore, I Greci in Italia, in: Storia della società italiana, cit., pp. 16-221).
40
The Dark Age of Greece, Edimbourgh, 1971, p. 415.
41
Ibidem, pp. 416-418.
42
I nobili Achei e Troiani sono infatti, nei poemi omerici, soprattutto “Ippodamoi” ( = domatori di cavalli) ; “Ippobotai”
( = allevatori di cavalli) sono definiti gli aristocratici signori della Tessaglia, dell’Argolide e di altri potenti regni post-
micenei; “Ippèis” ( = cavalieri) sono gli aristocratici della Sparta e dell’Atene arcaiche, coloro che combattono a cavallo e
che, avendo la possibilità economica di allevare, mantenere ed armare un’unità di cavalleria, costituiscono di fatto il nerbo
dell’esercito cittadino e della classe dirigente politica per tutta l’età arcaica. L’arte dell’”Ippoplasia” ( = addestramento dei
cavalli) e dell’”Ippoptrophìa” ( = allevamento dei cavalli, in senso stretto) si affermerà in ambiente magnogreco più tardi,
intorno alla seconda metà del VI a.C. e l’arte della cavalleria sarà abbondantemente praticata dalle popolazioni indigene
del Bruzio e della Campania.
43
L’introduzione della fanteria a piedi e dello schieramento oplitico appartiene alla prima metà del VII sec. a.C., come
testimonia la prima rappresentazione di una falange oplitica a noi nota, sull’oinochoe corinzia nota come Olpe Chigi
(datata 630 a.C. circa); tuttavia, ancora nel V sec. a.C., durante le Guerre Persiane (494-490/480-79) a.C.), la cavalleria
costituiva la risorsa decisiva per l’attacco greco; non a caso, gli Ippeis compaiono ancora nella riforma di Solone e soltanto
tra di loro vengono scelti i Pentakosiomedimi, cioè i più ricchi tra i cittadini, destinati alle cariche più elevate della
conduzione della politica cittadina: dunque, l’egemonia militare dei cavalieri dura in Grecia dal IX al V sec.. a.C.,
sopravvivendo anche all'avvento della democrazia ad Atene.
44
A tal proposito abbiamo una serie sconfinata di reperti archeologici, provenienti da quasi tutte le aree della Grecia, che
testimoniano l’im-portanza del cavallo anche nell’impianto cultuale di età arcaica: morsi e finimenti equini sono stati
ritrovati in tombe di Argolide , Beozia ed Attica (talvolta il cavallo stesso è sepolto con il suo cavaliere ), cavallini in
bronzo e ceramica sono frequenti e tipici delle dediche peloponnesiache (nei due tipi lacone e corinzio) nei principali
santuari del mondo greco. Poseidon Hippios è frequentemente rappresentato con due cavalli al guinzaglio sulla ceramica
argolica e rodia del periodo Geometrico ed Orientalizzazione (IX-VII sec. a.C.); l’epiclesi di Hippios attribuita a Poseidon
si ritrova per Athena, Hippia e “Xalinitis” ( = dea del freno/morso). Cfr. per la situazione archeologica F. Canciani, La
crisi della cultura geometrica in: Storia e civiltà dei Greci, cit., vol. I, pp. 291-325.
45
Anche in Magna Grecia avremo situazioni simili, ma in ambiente indigeno, nelle tombe principesche del melfese,
pertinenti a straordinarie aristocrazie ellenizzate di VII e VI sec. a.C. (cfr. B. D’Agostino, Le genti della Basilicata antica
in: Italia... Parens, cit., p. 193 ss.).
46
Le aristocrazie coloniali, specie quelle siciliote, non si connotano con l’epiteto di Ippobotai, ma con quello di
“Gamoroi” ( = possessori di terre); Metaponto, come abbiamo ricordato, ha come simbolo poliadica sulle sue emissioni
monetali, la spiga d’orzo.
47
Cfr. supra, nota n. 43; cfr. anche A. M. Snodgrass, The Hoplite Reform and History, "Journal of Hellenic Studies",
LXXXV, 1963, pp. 110-122.
48
Sebbene dobbiamo guardarci dal generalizzare la suggestione, forte di fronte a territori parcellizzati omogeneamente
ed alla presenza precoce di luoghi pubblici ed assembleari come il "bouleutèrion" [= luogo di riu nione del Consiglio della
Boulè, l'assemblea legiferante dei cittadini sia in regime democratico che timocratico (vale a dire quello inserito ad Atene
da Solone all'inizio del VI sec. a.C.)], di considerare le società coloniali arcaiche come democrazie ante-litteram. A tal
proposito scrive M. I. Finley in Early Greece: The Bronze and the Archaic Ages, London, 1970 (trad. it. Laterza, Bari,
1972, pp. 123-124):
Il comune vocabolo greco per indicare questi nuovi insediamen ti all'estero, "apoikìa", significa "emigrazione" e non implica
il senso di dipendenza inerente al nostro "colonia". Di regola, ogni "apoikìa" era già in partenza, deliberatamente, una
comunità indipendente, che conservava legami sentimentali e spesso religiosi con la città-madre, ma che non le era soggetta
né da un punto di vista economico né politico. Di fatto, la loro indipendenza aiutava a conservare rapporti amichevoli con la
loro vecchia patria, in quanto consentiva di evitare risentimenti e conflitti che insorgono comunemente nelle condizioni di
dipendenza coloniale. La designazione di città-madre, si dovrebbe aggiungere, era spesso una scelta un po’ arbitraria, dato
che molti tra i nuovi insediamenti erano fondati da coloni provenienti da più di una località del mondo greco.
Dunque non ha senso, come molta letteratura sulla colonizzazione ha fatto, considerare le colonie come superfetazioni o
come copie in carta carbone del sistema politico della madrepatria; se Taranto è colonia di Sparta, ciò non implica
necessariamente che dovesse essere retta da una diarchia e che i suoi cittadini dovessero avere le stesse caratteristiche
politiche degli Spartiati, anzi, molte delle leggende di fondazione (ed in tal senso l'Achaia costituisce un po’ un'eccezione)
sottolineano l'opposizione originaria tra la situazione socio-politica greca ed i componenti delle spedizioni coloniali.
Parimenti non ha probabilmente fondamento la vecchia tesi del Giannel li, in base alla quale la polis nel senso di città-
Stato non nascerebbe in Grecia, ma proprio nelle colonie e che a tale modello si sarebbe adeguata la madrepatria. In realtà
il concetto stesso di città-Stato è una creazione moderna o comunque modernizzante (cfr. F. De Martino, Il modello della
città-Stato in: Storia di Roma, vol. IV, Torino, 1989, pp. 433-457): diremo allora che nell'VIII sec. a. C. esisteva
certamente in Grecia un modello di città, ma esso era diverso da quello della città coloniale; essenzialmente, la differenza
tra i due modelli ed i sistemi politici ad essi pertinenti (lo vedremo meglio in seguito) sta proprio nel rapporto con il
territorio, mentre non ha forse tutto il peso che gli è stato attribuito il carattere di autosufficienza della città coloniale,
carattere che è di norma presente in Grecia fin dall'inizio della civiltà urbana.
49
Gli eroi Greci che assediano Troia mangiano esclusivamente carni arrostite e particolare cura è assegnata,
nell'Odissea, alla descrizione dei banchetti e della preparazione e spartizione delle vivande; l'uomo forte è colui che si ciba
di carne e di vino ed è per questo che anche il vecchio Laerte, padre di Ulisse che ha ormai rinunciato al suo trono, nel la
sua vecchiaia operosa "lontano dai campi vive in miseria, servito da una vecchia, la quale gli serve carne e bevande
quando la stanchezza lo prostra, mentre si trascina lungo i terreni alti della sua vigna" (Od., I, vv. 189-93, trad. it. O.
Nemi); anche il Porcaro Eumeo, prima della riscossa di Ulisse, gli ammanisce dalle sue povere risorse la carne migliore
(Od., XIV, vv. 432 ss.). Il passaggio tra l'economia d'allevamento e quella agricola, con conseguente mutazione di valori, è
ben rappresentata nel mito esiodeo delle razze cfr. J. P. Vernant, Mithe et pensée, chez les Grecs, cit., trad. it, Einaudi,
Torino, 1984, p. 24 ss.), dove si specifica che gli uomini della razza di bronzo (il corrispondente umano ed in qualche
modo ferino degli eroi omerici) "non mangiano pane" (Esiodo, Opere, vv. 146-147) ed "arano con il bronzo" (vv. 150-
151): qui l'aratura assume un significato di rito militare, quasi a voler ancora una volta sottolineare la distanza tra questa
incredibile razza di guerrieri e quella degli "uomini di ferro", quelli cioè della quinta razza della classificazione esiodea,
quelli cui lo stesso poeta appartiene (siamo nel VII sec. a.C.), qui, l'uomo è essenzialmente descritto come un agricoltore,
che con il "pònos", il duro lavoro, si procura il "sìtos" il grano e/o pane quotidiano (altrove "bìos"); egli è soggetto alla
dura legge del lavoro a lui imposta da Zeus a seguito della "Hybris" (= violenza, empia tracotanza) delle razze che lo
hanno preceduto, e soltanto assoggettandosi pienamente a questa "Dìke", il dio si degnerà di compensare il suo lavoro con
l'abbondanza e gli riempirà il granaio di cibo (vv. 306 ss.). Abbiamo dunque un passaggio netto, che configura un
mutamento nelle strutture economiche della Grecia arcaica a partire dal VII sec. a.C., e che non sembra essere adatto alla
temperie storica della colonizzazione.
Lo stesso M. Weber (Agrarverhaltnisse im Alterum, Die Sozialen Grunde des Unterntergangs der Antiken Kultur,
Tubingen, 1909, trad. it., Storia economica e sociale dell'antichità, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp. 122-123) scrive:
Solo sotto i tiranni [scil. nel VII sec. a.C., n.d. r.], che favoriscono decisamente i piccoli coltivatori, l'agricoltura comincia a
relegare in seconda linea l'allevamento. Al tempo dei poemi epici l'alimentazione si basa fondamentalmente sul latte e sui
latticini, oltre che sulla carne, il cui uso tuttavia è limitato alle famiglie nobili. (...). Il re e i nobili posseggono metalli
preziosi e suppellettili eseguite in bronzo o metallo pregiato; ma la loro principale ricchezza è il be stiame (...) Il cavallo,
allevato nelle vaste pianure dell'Eubea e della Tessaglia, è utilizzato a scopo militare...
Pertanto il predominio dell'agricoltura sulla pastorizia significa un incremento nell'importanza assegnata all’individuo,
al piccolo proprietario, e dunque alla fine delle aristocrazie in senso stretto: tale passaggio è completamente saltato dalla
società coloniale, che si organizza al di fuori degli schemi, ma con un'idea che è l'unico vero retaggio della ma drepatria:
quella di dominare il nuovo, eliminare l'"agnostos", costruire la propria nuova Hellàs.
50
Anche in questo siamo molto lontani dall'ottica cavalleresca delle società greche arcaiche da cui i nostri coloni
provengono: un dato in più per sostenere l'atteggiamento di completa indipendenza della nuova comu nità rispetto al
sistema politico della patria. L'impressione è che essi portassero con sé un concetto molto più "romantico"
dell'appartenenza alla Grecia, ma anche una sostanziale voglia di nuovo, che li porta, come abbiamo visto, anche a negare
princìpi cardine della loro esistenza prima del viaggio; in questo caso, la necessità di essere sempre e necessariamen te in
armi, che molto doveva averli segnati in patria. Non dimentichiamoci che l'istituto dell'esercito cittadino ha sempre creato,
anche in età classica, notevoli problemi economici, soprattutto in presenza di sviluppo agricolo del territorio della città: il
cittadino-cavaliere-oplita, doveva lasciare i propri campi, spesso nella stagione più importante, la primavera, per recarsi a
combattere, e non di rado al ritorno trovava il suo podere distrutto dal nemico ed era pertanto costretto a venderlo per non
perdere la possibilità di armarsi e restare in possesso dei suoi diritti civili. Questo fenomeno, importantissimo a Sparta fin
dall'VIII sec. (guerre Messeniche, che come abbiamo visto portarono alla fondazione di Taran to), ebbe conseguenze
catastrofiche per Atene che, alla fine del VII sec. a.C., si trovava con un terzo dei suoi cittadini ridotti in miseria o, peg gio,
venduti all'estero come schiavi: di qui i provvedimenti estremi presi da Solone, il quale proibì la rivalsa per debiti sulla
libertà personale ed operò la "Seisàchteia" (= scuotimento dei pesi), una sorta di sanatoria fiscale collegata ad una
svalutazione monetaria atta a ripianare la dram matica situazione dei debiti pubblici e privati ed evitare l'ascesa inar -
restabile del latifondo. Su quest'ultimo argomento bellissime pagine sono state scritte da L. Gernet, Les Grecs sans
miracle, Paris, 1983, (trad. it. Editori Riuniti, Roma, 1986, pp. 106-109); M. Weber, op. cit., p. 154 ss. e da M.
Rostovtzeff, A History of the Ancient World, 2 voll., Oxford, 1928/1930, (trad. it. Sansoni, Firenze, 1975, p. 213 ss.); cfr.
anche D. Musti, Storia greca, cit., pp. 232-235.
51
Cfr. M. Weber, op. cit., p. 138 ss; per l’urbanistica delle città coloniali cfr. E. Greco/M. Torelli, Storia dell’urbanistica
- Il mondo greco, Roma-Bari, 1983, cap. VI, pp. 149-226. Il mondo indigeno, pur non concependo la città come un
contesto chiuso, assorbe ben presto il concetto di “enclave” territoriale, e pertanto specializza abbastanza presto tecniche di
muratura e recinzione ( es. quella ad aggere, che permetteva di avere mura anche possenti senza grande utilizzo di pietra,
attuata ancora nella Pompei Sannitica), che recingono tuttavia uno spazio puro e non uno spazio urbano.
52
C. Mossè, Ithaque ou la naissance de la citè, “Annali dell’Istituto Orientale" di Napoli, Sez. di Archeologia e Storia,
vol. II, 1980, pp. 7-19.
53
Lo stesso Rostovtzeff (op. cit.), che pure è straordinariamente all’ avanguardia per molti versi, scrive a tale proposito:
... Alla fine del II Millennio a.C. la civiltà Egea in Grecia divenne più rozza e prevalsero forme di vita e di arte più
primitive. È evidente che le forze creative della Grecia micenea erano esauste.
54
C. Mossè, op. cit., pp. 7-8.
55
Cfr. supra nota n. 49; anche il poeta arcaico Archiloco fa menzione del nuovo tipo di alimentazione, parlando del suo
essere mercenario per fame e della dura vita dell’uomo di mare, che mangia cibi poveri e cotti in fretta e beve vino pieno
di feccia (fr. 4 Diehl).
56
Come ancora lo stesso Archiloco (fr. 3 Diehl), che addirittura comunica di aver gettato lo scudo per salvare la propria
vita in guerra: quanto siamo lontani dall’orizzonte dei valori delle madri spartane, che consegnando lo scudo al figlio che
partiva per la guerra dicevano: “Figlio, o con questo (= vivo) o sopra di questo (= morto da eroe)!".
57
C. Mossè, op. cit., p. 9.
58
Od., IV, v. 173 ss.
59
Cfr. supra, nota n. 31 (fonti sulle guerre Messeniche e la fondazione di Taranto)
60
Od., III, v. 31 ss.
61
Cfr, M. I. Finley, op. cit., pp. 77, 114.
62
G. Nenci, Spazio civico, spazio religioso e spazio catastale nella polis, “Annali della Scuola Normale di Pisa”, Classe
di Lettere e Filosofia, Serie III, vol. IX, 2, 1979, pp. 459-477.
63
H. van Effenterre, La citè grecque, cit., p. 200 ss.
64
È esemplare, a questo proposito, la tecnica di avvicinamento alla meta finale, che in più casi, come quello di Siracusa,
di Megara Iblea, di Taranto e della stessa Cuma, prevede una prima tappa su quell’isolotto o si di un promontorio sul
mare, dove viene svolta la prima fase del rituale stesso, ovvero la costruzione di un altare sulla spiaggia ed il sacrificio di
ringraziamento; in pratica, con la dovuta prudenza e a distanza di sicurezza, i nostri avventurieri controllano di essere
giunti nel luogo giusto, dopodiché rendono grazie al nume che li ha accompagnati e procedono verso la terraferma.
65
Cfr. E. Lepore, Atti, Taranto, 1967, cit.
66
Cfr. F. De Polignac, La naissance de la citè antique, Paris, 1984, trad it.. Jaca Book, Milano, 1991, p. 53 ss. (in
particolare, p. 53, nota 17).
67
Cfr. supra, pp. 14-15.
68
G. Sisa/M. Detienne, La vie quotidienne des Dieux grecs, Paris, 1989, trad. it. Laterza, Bari-Roma, 1989, pp. 132-
136.
69
Qui gli autori si riferiscono ai vari Palladia, statue di Athena, ma in genere immagine del culto che il fondatore
fuggiasco di una colonia greca porta con sé; nell’economia del nostro ragionamento è perfettamente chiaro che la
straordinaria abbondanza di Palladia e di statue di divinità presenti nelle tradizioni di fondazione greca, in territori non
tradizionalmente ellenizzati come il Lazio e l’Apulia, possa indicare la marginalità del fenomeno di un Enea o di un
Diomede che fuggono verso l’occidente con i Penati o la statua di Athena sotto il braccio, pronti a fondare un nuovo
Partenone, ripristinare il santuario di Athena Ilìas. Nella realtà storica della colonizzazione, gli dèi devono acquistare
funzioni specifiche, adattarsi anch’essi, come gli uomini, alla nuova città.
70
Eclatante è il caso della rappacificazione, in territorio crotoniate, di Hera ed Herakles: nella protezione del territorio di
Crotone, dove sono titolari di santuari limitanei, tra l’urbano e l’extraurbano, la feroce persecutrice di Herakles, la causa
delle famigerate dodici fatiche, accoglie il nemico come alleato e regge insieme con lui le sorti della città. Cfr. A. Mele,
Atti, Taranto, 1983, cit., p. 10 ss.
71
La Demetra di Metaponto è certamente più buona e materna di quella di Eleusi, l’Artemis di Efeso è dea della fertilità
contrariamente alla sua natura di vergine indomita in tutta la Grecia, Athena ha caratteristiche di controllo sulla ferinità
in Apulia e Venetia, contrariamente al suo distacco "ateniese" dal regno della natura.
72
Cfr. M. Giangiulio, op. ult. cit., in Modes de contacts..., pp. 785-846.
73
Non a caso utile, ma talvolta fuorviante può risultare l’unico testo riassuntivo dei culti magnogreci, G. Giannelli, Culti
e miti della Magna Grecia, Firenze, 1963, ove tarde attestazioni possono essere facilmente scambiate per caratteri
originari.
74
F. De Polignac, op. cit., p. 53-54.
75
È il caso del fondatore di Megara Iblea, ad esempio.
76
Cfr. M. Detienne, I limiti della spartizione in Grecia, in C. Grottanelli/N. F. Parise (a cura di), Sacrificio e società nel
mondo antico, Bari-Roma, 1988, p. 177 ss.
77
Cfr. F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l’urbanistica a pianta ortogonale, Roma, 1956; P. Leveque/P. Vidal-Naquet,
Clistene l’Athenien: essai sur la representation de l’espace et du temp dans la pensée politiche grecque de la fine du VI
siecle a la mort de Platon, Paris, 1964.
78
Una complessa rete mitologica connette questi particolari ritrovamenti con il mondo indigeno da una parte e con la
figura dell'eroe greco Diomede: questi, infatti, fuggendo una congiura tesagli dalla moglie Aighia liea, giunge, con la nave
zavorrata da pietre della rocca troiana, sulle coste della Iapigia (odierna Puglia), dove utilizza questi cippi per deli mitare il
territorio ove fonderà la città di Brindisi e molte altre (Strabone, VI, 283-84=3, 9; V, 215=1, 9); egli porta con sé il
Palladio troiano contesogli da Ulisse, e sarà il fondatore del culto di Athena Iliàs in territorio iapigio (Pseudo-Aristotele,
De Mir. Ausc., 109). Nella cultura indigena dei Iapigi, relitto di questa tradizione, (forse di VI sec. a.C. nella forma in cui
la conosciamo, poiché Mimnermo è la nostra fonte più antica) sono le famose tele daunie, lastre di pietra poste come
segnacolo funerario sulle tombe, rappresentanti il defunto (o la defunta), in veste cerimoniale riccamente decorata, sulla
quale spesso sono incisi o dipinti episodi del mito e della vita quotidiana; questa eccezionale classe di mo numenti è
chiaramente in relazione con l'immagine di Diomede che vede i suoi "Oroi", gettati in mare dall'ostilità del re Dauno (cfr.
Mimnermo, fr. 23 Bergk apud Scholia ad Lykophronis Alexandra, v. 610), ma essi ritornano a galla e si conficcano
nuovamente nel terreno a sancire l'infrangibilità della promessa fatta e l'ineluttabilità dell'avvenuta presa di possesso del
territorio. Su questi temi esiste una vasta bibliografia, di cui citiamo soltanto alcuni esempi: J. Bérard, La Magna Grecia,
cit., p. 355 ss., note 174-203; G. Giannelli, Culti e miti..., cit., pp. 52-61; G. Nenci, Per una definizione della Iapyghia,
"ASNP" (Annali Scuola Normale Pisa), Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, VIII, 1978, pp. 43-58.; E. Lepore,
Diomede, in "Epos e Magna Grecia", Atti, Taranto, 1984, cit.; per le Stele Daunie, cfr. la pubblicazione più recente di M.
L. Nava, Stele daunie, I, Firenze, 1980; per i cippi metapontini cfr. bibliografia su Metaponto, cit., e soprattutto
Adamesteanu/D'Andria/Mertens, Metaponto, I, suppl a NSA, 1977.
79
Una trattazione completa di tutti gli aspetti di questa coppia divina ed il suo significato nella organizzazione dello
spazio cittadino è in J. P. Vernant, Mythe et pensée..., cit., cap. III, pp. 147-200.
80
Cfr. P. Orlandini , Le arti figurative, in: Megale Hellàs, cit., pp. 331-554, ove si fornisce un panorama completo,
anche se “a volo d’uccello”, sui vari aspetti e sulla evoluzione dell’arte in Magna Grecia. Nello stesso volume, p. 207 ss,
G. Gullini (“Urbanistica e Architettura”) fornisce gli strumenti per la comprensione dei vari schemi urbanistici
magnogreci.
81
J. P. Vernant, op. ult. cit., p. 152; cfr. anche L. Gernet, Sur le sym-bolisme politique en Grece ancienne: le foyer
commun, “Cahiers Inter-nationaux de Sociologie", II, 1951, p. 29 ss.
82
Megara Iblea e, in Campania, Pompei, ci hanno conservato la parte inedificata, permettendoci di individuare il
progetto urbanistico originale, che includeva all’interno delle mura un’area molto superiore a quella effettivamente
urbanizzata nella prima fase.