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Cap.

I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

CAP. I
LA CITTÀ MERIDIONALE:
RITO, MITO E PROGETTO NELLA MEGALE HELLÀS

Una delle grandi fortune dei Greci è certamente stata


quella di non essere minimamente vocati all'avventura ed
alla vita di mare. Senza essere grandi viaggiatori, essi hanno
fruito al massimo di ciò che il mare e l'ignoto potevano
offrire alla loro fervida immaginazione, creando, al di là del
modello di espansione commerciale creato da altri popoli,
innanzitutto i Fenici, un sistema di approccio al viaggio ed
all'alterità affatto nuovo, basato da una parte sulla creazione
di un apparato rituale e mitologico apposito in tema di luoghi
e popoli lontani, dall'altra razionalizzando fortemente la
propria presenza e creando un modello insediativo greco
all'estero, con caratteri di estrema conservazione e quasi
tentando di duplicare le realtà urbanistiche e politiche di cui
essi erano originari 1.
Tale sistema di approccio risulta del tutto peculiare alla
civiltà greca, proprio perché non contempla l'accettazione
del commercio e della marineria come elemento integrante
della propria vita, ma soltanto come evento eccezionale,
legato a manifestazioni numinose o a prescrizioni divine,
oppure alla povertà ed al bisogno, come appare nella
concezione esiodea del commercio 2: ciò non sempre
corrisponde a realtà, ma i Greci fanno di tutto per non farcelo
sapere, e soltanto tardi (nel V sec. a.C., con le spedizioni
panelleniche organizzate da Pericle) accetteranno di passare
per potenza marittima che esporta se stessa allo scopo di
espandere il proprio dominio in Occidente 3.
Tuttavia, forti di tale concezione, i Greci non hanno mai
cercato la frequentazione, cioè la conoscenza episodica dei
luoghi ove essi giungevano, ma, al contrario, hanno sempre
cercato di ritrovare nei luoghi stessi la patria che

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malvolentieri avevano lasciato: l'arrivo dei Greci quasi mai


lascerà il segno di una presenza sporadica 4, ma spessissimo
significherà cambiamento radicale, nascita o morte di
qualcosa, in ogni caso un evento che lascia tracce profonde
ed incancellabili.
Testimonianza di ciò può essere la difficoltà che si riscontra
(e ormai oggettivamente in più di un ventennio di studi
storici ed archeologici), nel rinvenire le tracce dei più antichi
abitatori dei territori storicamente occupati da insediamenti
e colonie greche, di quelle popolazioni indigene che quasi
sempre la civiltà greca ha cancellato radicalmente come
entità culturali, sia mediante assorbimento ed
acculturazione 5, ovvero con strategie relativamente
pacifiche, sia mediante la distruzione sistematica e violenta
di ogni preesistenza, il che spesso ci impedisce, pur
lasciandocelo sempre intravedere, di comprendere e
valutare il contributo che le popolazioni autoctone hanno
potuto dare alla evoluzione della civiltà coloniale, in
particolar modo della civiltà magnogreca 6.
Il motivo per il quale ci pare opportuno soffermarci sul
fenomeno coloniale greco in Italia Meridionale non è
certamente la speranza di poter effettivamente contribuire al
lungo e fittissimo dibattito sulla nascita della città
meridionale e dei suoi rapporti con i modelli insediativi nella
madrepatria (sarebbe certamente arduo e fuori della nostra
portata aggiungere qualcosa a quanto illustri studiosi hanno
detto in un secolo e più di ricerche), ma di tentare, se
possibile, la ricostruzione di una mentalità, di un
atteggiamento progettuale, forse di un grande sogno
collettivo, che vide i Greci creare in terra straniera un
sistema di occupazione dello spazio assolutamente nuovo,
superando spesso quanto era stato loro vanto creare in
patria. Ciò che ci affascina, è il fatto che un popolo attaccato
al megaron ed ad Hestia (cioè al focolare domestico e
cittadino)7 quale il popolo greco (e di quasi tutte le regioni
della Grecia antica), si sia ritrovato, una volta insediatosi con
le sue colonie sulle coste italiane (che d'ora in poi si
chiameranno Italiote) del Tirreno e dello Ionio, ad essere
orgoglioso del proprio lavoro ed a definire quanto aveva

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

creato Megale Hellàs: come la Grecia, più grande della


Grecia 8. Pertanto cercheremo di analizzare alcuni aspetti
rituali, mitologico-religiosi e politico-progettuali di alcune
fondazioni greche, in particolare di quelle di età arcaica (VIII-
VII sec. a.C.), in Italia Meridionale, allo scopo di rinvenire
elementi per una definizione del modello di occupazione
dello spazio e del rapporto tra spazio della città e di
occupazione del territorio 9.

LA KTISIS: PROCESSO UNITARIO O ACCIDENTALE?

Quando si parla di fondazioni coloniali, in genere si


distinguono tre momenti:
I) l'oracolo di fondazione;
II) la conquista del territorio;
III) la divisione della terra.
Si tratta di tre episodi, perlopiù connessi tra loro da eventi
più o meno eccezionali, che costituiscono il processo di
razionalizzazione tipico dell'esperienza coloniale: l'uomo non
è protagonista dell'impresa, ma soltanto esecutore materiale
di programmi divini o vittima di ingiustizie politiche che il Fa -
to ha voluto procurargli; il suo "tradimento" alla patria che lo
ha nutrito fin dalla nascita non è mai veramente tale poiché
egli non sceglie mai di partire, ma parte perché deve partire:
ogni coinvolgimento emozionale nell'impresa è
accuratamente rimosso. Il dramma della colonizzazione si
svolge perlopiù in questi tre atti, regista in genere una
divinità o l'oracolo di un dio e primo attore una figura ecce -
zionale ed affascinante, il primo vero eroe umano della
grecità: l'oikistès, colui che fonda, che getta le fondamenta
della nuova città10.
Vale la pena di soffermarsi, prima di affrontare l'analisi di
alcuni rituali di fondazione di città greche coloniali, sulla
definizione e sui vari aspetti della figura ecistica.
Il primo elemento che salterà ai nostri occhi sarà la
discontinuità di tale figura: non esiste un modello fisico o di
ecista nell'immaginario collettivo dei Greci e questo fatto è
molto indicativo poiché la tendenza alla eroizzazione delle
figure umane protagoniste di grandi imprese è molto forte

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nella storiografia e nell'epica greca 11.


In realtà, l'ecista è una figura di eroe-antieroe
caratterizzato dal marchio della atipicità: vediamo perché.

1) L'ecista espleta funzioni rituali di grande importanza e


solennità. Egli è ambasciatore sacro presso il dio della
città madrepatria della futura colonia 12, comandante della
spedizione navale che spesso raggruppa contingenti di
uomini che provengono da città e regioni differenti 13,
stratega nella guerra che eventualmente i coloni dovranno
combattere per la conquista del suolo predestinato (da nota-
re che nelle tradizioni i coloni non vanno mai alla ricerca di
un territorio libero, ma vanno a conquistare quel territorio,
che è già loro per predestinazione divina e dunque non è più
àgnostos né xènios) contro le popolazioni indigene 14,
sacerdote della comunità, che custodisce le insegne del dio
durante il viaggio e fonda il santuario poliade della città,
attribuendo alla divinità stessa la sua privilegiata porzione di
territorio15; infine egli è legislatore, colui che fonda lo stato di
diritto e gestisce le regole della proprietà e del vivere comu-
ne16.

2) Nonostante l'importanza dei compiti da lui espletati,


l'ecista non è quasi mai un personaggio "eroico" in senso
stretto; a rigor di logica, egli non è affatto degno di
rappresentare la città da cui proviene, poiché il più delle
volte egli è un deviante: cacciato dalla patria dopo
rivolgimenti politici, Phalantos di Sparta si reca a fondare
Taranto 17, il gobbo deforme Miskellos fonda Crotone per
volere dell'oracolo delfico 18, un nobile decaduto come Ar-
chias, del ghenos corinzio dei Bacchiadi, partecipa alla
fondazione di Sira-cusa 19, un oscuro individuo, Hys di Helike,
mai sentito nominare prima, guida ben tre città dell'Achaia
(Aigion, Boura ed Helike) alla fondazione della più opulenta
colonia magnogreca, Sibari: lo stesso Phalanthos è, alla luce
dei fatti, un traditore del kosmos di Li-curgo 20, che si preferi-
sce allontanare con tutto il suo seguito piuttosto che farne
un eroe sopprimendolo. In qualità di deviante, l'ecista non
porta con sé particolari codici comportamentali: sono noti i

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suoi stratagemmi, più o meno leali, per assicurarsi il


possesso ed il potere sul territorio prescelto: un esempio è il
fondatore acheo di Metaponto, Leukyppos, il quale chiede ai
Tarantini di potersi trattenere nel territorio di Metaponto per
il giorno e la notte e poi rifiuta di andarsene finché vi
saranno giorno e notte21, impadronendosi di fatto della città.

3) Dunque l'ecista non è, per definizione, un eroe: non è


necessariamente bello e forte (vedi Miskellos di Rhypes), non
è necessariamente un campione di lealtà (vedi Leukyppos),
non è considerato un benefattore della madrepatria
(neppure quando la città coloniale sia diventata grande e
famosa) e non necessariamente è un personaggio noto nella
sua stessa città. Il fattore di casualità, unito alla devianza,
può forse essere giustificato con il fondamentale disagio con
cui i Greci guardavano, anche a distanza di molto tempo, alla
stagione delle fondazioni coloniali.

Alla luce di ciò è un po’ difficile pensare all'ecista, capo


della spedizione che fonda la città, come convinto portatore
di valori. L'impressione che invece se ne ha è di disarmante
confusione, come se le colonie fossero state fondate da
individui isolati e soltanto successivamente riconosciute e
riunite in un fenomeno unitario: non è così.
Perché la storiografia e la mitografia greca, generalmente
così attente a fornire carattere di legittimità, pietà ed unità a
personaggi e fenomeni della storia arcaica non si sono date
minimamente pensiero di trasformare questi ecisti in eroi
senza macchia e senza paura, strenui difensori della entità
etnica cui appartenevano e gelosi custodi di valori e nobili
nelle origini? Perché la colonizzazione appare essere sempre
un fenomeno proprio dei diseredati e dell'aristocrazia
decaduta, nonostante l'innegabile importanza che le colonie
avranno proprio nel momento in cui si forma la storiografia
di regime in Grecia? Non dimentichiamoci che Atene stessa
vedrà tramontare la propria egemonia dopo la sfortunata
spedizione in Sicilia del 415 a.C., nata dopo la visita degli
ambasciatori ateniesi nella città di Segesta (città ellenizzata
del ricchissimo ethnos degli Elimi), e che Sparta coglierà

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alfine la sua vittoria proprio grazie alla sconfitta che il


proprio generale Gilippo saprà infliggere agli Ateniesi in
quella spedizione militare: il destino delle grandi potenze
dell'Egeo sarà deciso dalle loro proiezioni oltremare. Se
dunque vi fosse stata (come in effetti è avvenuto spesso
nella storiografia antica) una revisione totale degli eventi
della colonizzazione arcaica in Magna Grecia, noi dovremmo
avere una serie di nomi di ecisti, tutti rigorosamente di
nobile schiatta, nel ruolo di eroici condottieri portatori di
civiltà (ellenica, naturalmente), con la patria nel cuore e lo
sguardo verso lo splendido avvenire che essi soltanto
potranno assicurare al popolo che guidano.
Esistono certamente, come chiunque abbia letto Erodoto e
Tucidide sa, versioni dei fatti che hanno questo tono e questi
scopi essenzialmente propagandistici22, ma gli stessi
commentatori antichi li hanno espunti dai propri commenti
(l'unico a credere ciecamente nella onnipresenza di Atene è
infatti Strabone, geografo di età augustea, affascinato dal
mito del miracolo greco al punto da leggere tutta la storia
greca antica in chiave atticizzante): in realtà, la propaganda
di età classica ed ellenistica non ha potuto modificare
tradizioni che avevano preso corpo in ambiente coloniale,
traducendo ciò che i coloni sentivano di essere e cioè
fuoriusciti, diseredati, avventurieri o ambiziosi commercianti
stufi della dimensione limitante del piccolo quanto tempe -
stoso Egeo 23. A dimostrare il carattere locale che spesso
hanno le tradizioni ecistiche, sta il fatto che esse fanno
spesso seguito ad una serie di culti, miti e monumenti locali,
come il cenotafio di Hys, costruito non solo a Sibari, ma
anche a Poseidonia, sub-colonia fondata dai Sibariti, che
continuò a considerare l'Acheo quale suo fondatore 24.
Sarà dunque opportuno considerare originarie le più
antiche tradizioni ecistiche, soprattutto quelle sugli ecisti
delle colonie achee, ma soprattutto converrà guardare al
fenomeno della colonizzazione greca d'occidente come al
prodotto di una serie di spinte etnico-regionali, dalle diverse
motivazioni contingenti, ma originate da un generalizzato
momento di crisi e cambiamento nel continente ellenico.
Una prima considerazione in tal senso è la sostanziale

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omogeneità dei fenomeni di colonizzazione: essa si muove


per campagne, durante le quali vengono fondate più città
culturalmente affini o contrapposte specularmente alle
contrapposizioni in atto nella madrepatria (Atene-Sparta,
Argo-Micene etc.); è dunque difficile pensare a meccanismi
di casualità cronologica.
Analogamente difficile è il pensare al casuale muoversi di
popoli: le fondazioni achee e corinzie precedono quelle
megaresi e focee etc., quasi che le singole regioni della
Grecia si fossero date dei tempi e delle scadenze per le
proprie proiezioni fuori dalla madrepatria; tali movimenti
etnici tendono a raggruppare gli insediamenti in aree
omogenee, e ciò non può essere senza significato 25.

COSCIENZA REGIONALE E CONCEZIONE DELLO SPAZIO:


IL MODELLO INSEDIATIVO COLONIALE

Noi sappiamo che una coscienza regionale fu raggiunta in


Grecia soltanto alla fine dell'esperienza micenea: all'alba
dell'età arcaica dopo quello straordinario quanto sconosciuto
periodo che fu la “Dark Age” o “Medioevo Greco” 26, tra l'VIII
ed il VII secolo a.C., la Grecia è pervasa da movimenti di
omogeneizzazione territoriale e le fonti parlano per
quest'epoca dei primi fenomeni di sinecismo 27; è proprio in
questa nuova coscienza etnica e regionale che nasce su
omogeneità culturali di fatto e che prende corpo insieme con
il fenomeno della nascita della città-Stato che si innesta la
strategia coloniale dei Greci, i quali cercano coscientemente
di ricreare lo spazio della città (che, come vedremo, non
corrisponde sempre al progetto urbanistico, ma ad un
atteggiamento globale di fronte all'erigendo insediamento
greco) così come essi lo avevano lasciato in patria. Facciamo
esempi concreti: la fondazione di Sibari, avvenuta tra il 721
ed il 709 a.C. ad opera degli Achei di Helike, Boura ed Aigai
guidati dallo sconosciuto Hys di Helike. La nuova città, il cui
nome corrisponde a quello di un corso d'acqua (tuttora
esistente) nei pressi della città antica di Boura, sulla costa
nordorientale dell'Achaia, sorge tra due fiumi, di cui uno

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ripete il nome della città (l'odierno Coscile) e l'altro prende il


nome di Crathis (odierno Crati); quest'ultimo porta a sua
volta il nome di un altro fiume dell'Achaia, nei pressi di Aigai,
il quale nasce dal massiccio montuoso del Chelmos ed ha le
sorgenti più alte di tutti i fiumi d'Achaia (2341mt. s.l.m.);
analogamente, il suo omonimo italiota nasce dalla cima più
alta della Sila (1928 mt. s.l.m.) e domina come il Crathis
acheo, tutta la piana di Sibari, fino a Crotone; ulteriormente
suggestivo può anche risultare il fatto che le città dominate
dal Crathis acheo sono proprio Helike, madrepatria di Sibari
e Ryphes, madrepatria di Crotone 28.
Una tale corrispondenza tra geografia e toponoma stica di
madrepatria e colonia non può essere un fatto casuale: essa
corrisponde ad un disegno preciso, ad una scelta cosciente
di insediarsi nei luoghi ove rivivesse l'entità regionale da cui
i coloni provenivano; lungi dall'essere un fatto nostalgico,
tutto ciò ha un preciso valore politico, poiché da ciò noi
possiamo ricavare ipotesi di lavoro sul modello insediativo
non più greco in generale, ma peculiare di un determinato
gruppo etnico e regionale. Sull'importazione di modelli
politici si è detto e scritto moltissimo, non sempre a
proposito: su molte delle analisi fatte gravano gravi carenze
nella documentazione e nelle possibilità di conoscere real-
mente il funzionamento ed il regime politico vigente nelle
città madrepatria prima e durante la fondazione delle colonie
stesse29.
In attesa che nuovi e mirati studi forniscano dati più precisi
sulla dimensione cittadina della Grecia arcaica, sarà
opportuno non dare nulla per scontato e provare a ragionare
come i nostri sbalorditi predecessori nel Sud d'Italia
potrebbero aver fatto al loro arrivo sulle coste ioniche. Per
coerenza cronologica continuiamo ad esaminare le colonie
achee di età arcaica: purtroppo le vicende storiche di Sibari,
distrutta fin nelle fondamenta intorno al 510 a.C., ci
impediscono di verificare nell'impianto urbanistico
l'apparente corrispondenza riscontrata nel suo territorio
(corrispondenza che in ogni caso non avremmo potuto
controllare, in quanto anche la sua madrepatria, Helike, non
è più ritrovabile, poiché fu inghiottita dal mare nel 373 a.C.!);

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

restano però le sue nemiche, Metaponto e Crotone, di cui si


conoscono sufficientemente struttura territoriale ed urbana;
da esse possiamo ricavare dati confrontabili con le realtà di
origine 30.
La gestione dello spazio, negli insediamenti coloniali
arcaici, ha sempre posto il problema del dialogo tra la città,
vista come luogo della convivenza dei cittadini con pieni
diritti, della politica e delle decisioni, ed il territorio cittadino,
spesso sentito come staccato dalla città, anche se da esso le
deriva il più delle volte il sostentamento; il territorio di una
città è popolato da agricoltori che non sempre sono cittadini
a pieno titolo, ma lavorano per conto dei proprietari dei
fondi, i quali hanno ricevuto, all'atto della fondazione della
colonia, il proprio klèros, il lotto di terra sorteggiato dall'
ecista dopo la definizione del tèmenos (territorio recintato)
della divinità poliade e dello spazio koinòn, destinato cioè
all'uso comune (luoghi pubblici ove si espletano i processi
decisionali e le attività commerciali come il Bouleuterion e
l'Agorà). Questa presenza mista è spesso funzionale ad un
progetto preciso, dove i non cittadini sono perlopiù indigeni
assorbiti nel nuovo programma di sfruttamento del territorio,
ai quali è stato conferito un ruolo che pur raggiungendo lo
scopo dell'integrazione nel sistema economico 31, conserva
all'elemento ellenico la possibilità di mantenere l'egemonia
politica non solo nella dimensione cittadina, dove la struttura
stessa della città parla greco, ma anche nel territorio, dove
probabilmente essi avevano inciso più drammaticamente
nella ridefinizione degli spazi, sia cancellando con la forza gli
insediamenti indigeni, sia assorbendoli gradualmente 32.
È il territorio a condizionare maggiormente il modello
insediativo e a modificare parzialmente la concezione dello
spazio, a costituire cioè la misura della differenza, del
distaccarsi dal modello originale ed ad influenzarlo
addirittura con un effetto boomerang (è infatti indiscutibile
che la forma della città greca di età classica debba molto
all'esperienza urbanistica coloniale, così come soltanto in
ambito coloniale si origina la teoria e la pratica dell'impianto
urbano ortogonale) 33.
A tale proposito sono due gli atteggiamenti che riusciamo

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ad identificare: il primo è quello di Metaponto, che pianifica


l'occupazione del territorio come proiezione esatta del
modulo abitativo della città, creando partizioni territoriali
omogenee a quelle cittadine e reinterpretando il kleros come
unità di sfruttamento terriero composta dal terreno coltiva-
bile, da una fattoria e da unità produttive e di servizio: un
modello pacificatore, ma che presuppone la piena
occupazione territoriale ed una identificazione del cittadino
tanto con l'agricoltore quanto con il soldato che difende la
patria e la terra, pertanto un modello in qualche modo
totalizzante e tipico di una città che ha rimosso con la forza
le preesistenze etniche nel territorio da essa occupato34.
Il secondo modello che appartiene ad una diversa origine
etnica, cioè ad ambito ionico, ed è riscontrabile nella città di
Siris, distrutta ancor prima di Sibari (intorno al 570 a.C.),
fondata da un gruppo di Colofonii provenienti dall'Asia
Minore, rifugiati politici che fuggivano la tirannide 35; qui i dati
delle necropoli di Policoro (odierno nome del luogo ove
sorgeva la città), ci mostrano qualcosa di molto diverso, una
comunità mista ove gli indigeni venivano sepolti con rituale
greco ed i greci raccoglievano nelle loro tombe vasellame di
cultura indigena, dove non esistono separazioni ma individui
di origine diversa venivano sepolti l'uno accanto all'altro; ciò
è indice di un diverso modello di insediamento, dove
l'interesse non è più quello di possedere il luogo e
ricomporre l'unità regionale, ma quello di appoggiarsi alle
preesistenze applicando un modo di occupazione più blanda;
analogo atteggiamento sarà tenuto dai Focei, che
fonderanno città apparentemente prive affatto di territorio
come Elea (odierna Velia)36.
Quest'ultimo tipo di insediamento era indiscutibilmente
causato da una originaria diversità di intenti; il territorio
viene infatti considerato come zona di incontro e di scambio
con le popolazioni indigene e la prosperità della colonia sarà
qui proporzionale alla sua capacità di "piacere" al nuovo
interlocutore economico, mentre il territorio come conquista
fondiaria dalla quale trarre direttamente i mezzi di
sostentamento sarà l'obiettivo perseguito dalle cosiddette
"colonie di popolamento" 37; oggi si tende a sfumare queste

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

due definizioni apparentemente contrapposte in una


interpretazione più elastica, poiché non sempre le colonie
cosiddette "commerciali", figlie dei grandi empori arcaici
(Naucratis ed Al-Mina in Oriente, Tartessos ed Emporion in
Occidente), disdegnano l'espan-sione territoriale (la stessa
Taranto, nata in origine senza territorio, successivamente
lotta per espandersi sia con gli indigeni che con i Greci); né
colonie che hanno tutti i caratteri del popolamento rifuggono
dal commercio su larga scala come mezzo di proiezione nel
mondo indigeno (Metaponto e l'emporio di S. Biagio ne sono
l' esempio più eclatante): ciò è sicuramente utile e corretto
sul piano metodologico, anche se non toglie che sia esistita
una diversità di fondo tra le diverse imprese coloniali.
Sulle possibili cause della colonizzazione sono state
avanzate molte ipotesi; indubbiamente un ruolo importante
deve essere attribuito a fenomeni di incremento demografico
nella Grecia continentale, fenomeni che sono abbastanza
concordemente riconosciu-ti proprio per il periodo che a noi
interessa 38, ma che non vanno certamente enfatizzati oltre
misura.
A questi vanno aggiunte e collegate come altre possibili
motivazioni la fame di terre coltivabili, l'eterna necessità di
approvvigionarsi di materie prime come i metalli, di cui la
Grecia è poverissima, la naturale maturazione di rapporti
"pre-coloniali" che avevano fatto sì che nuclei di Greci già
conoscessero e frequentassero le popolazioni indigene di
molte regioni italiche 39.
Tuttavia i fenomeni economico-sociali non bastano, alla
luce di quanto abbiamo detto finora, a spiegare
completamente il feno-meno della colonizzazione in sé, della
sua disomogeneità ed in particolare non spiegano il rapporto
che intercorre tra l'istituto della città e della città-Stato greca
e la città coloniale: possiamo noi considerare quest'ultima
come la vera ed unica città-Stato (non tanto come entità
autonoma quanto come proiezione di uno Stato che esiste
da qualche parte)?

COLONIZZAZIONE E CITTÀ-STATO: ANATOMIA


DI UN SISTEMA POLITICO "INVISIBILE" O DIMENTICATO

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LUISA BOCCIERO

A questo punto dobbiamo porci due ordini di problemi: il


primo è il tentativo, seppure massimale, di ricostruire il tipo
di Stato, se ce n'è uno, dal quale siano potute partire le
iniziative di colonizzazione; il secondo è quello di individuare
l'apparato mitologico e rituale attraverso cui questo tipo di
Stato, molto più sfuggente di quanto possiamo immagi nare,
si proietta e si riproduce fuori da se stesso (infine
giungeremo al problema della forma della città, che allo
stato non è possibile affrontare).
Uno sforzo immaginativo e poche fonti, unite alle
speculazioni dei moderni sono tutto ciò che abbiamo per
proporre una risposta alla prima domanda: esisteva uno
Stato dietro alle colonie, e, se sì, quale Stato?
A.M. Snodgrass, nel suo fondamentale testo "The Dark Age
of Greece" afferma, senza ombra di dubbio che "il fenomeno
della colonizzazione implica una organizzazione statale" 40; la
sua affermazione si fonda sulla considerazione che i
movimenti coloniali greci sono opera di gruppi organizzati, di
"comunità complete, distaccatesi dalla madrepatria in se-
guito a procedimenti selettivi su cui spesso non sappiamo
nulla, ma che talvolta erano qualcosa di più di una scelta
obbligata" 41.Tali comunità avrebbero portato alle sue estreme
conseguenze, cioè alla fondazione di colonie stabili, il
processo di espansione commerciale di cui i Greci si
sarebbero resi autori già nel periodo miceneo, spinti
soprattutto dal bisogno di metalli ed altre materie prime.
Ciò è in parte certamente verosimile, ma non ci risolve una
serie di evidenti contraddizioni:

1) Le società "statali" greche a noi note per il IX e l'VIII sec.


a.C. sono perlopiù società aristocratiche ed ippobotiche (cioè
cavalleresche), molto conservatrici e con politiche interne
non tanto di espansione, quanto di conservazione del
territorio: esse sono nient'altro che le società rispecchiate
nei poemi omerici, dove l'alimentazione è essenzialmente
carnea, il territorio è considerato importante in quanto area
di pascolo e colture arboricole (soprattutto vite ed olivo) e
non di colture cerealicole; inoltre il cavallo, animale totemico

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

di queste società, costituisce il fulcro dell'organizzazione


economica, sociale e militare: è il cavallo e la possibi lità di
allevarlo che fa il cittadino 42, è il cavallo che caratterizza lo
schieramento dei cittadini in armi durante le imprese
guerresche 43, è il cavallo che è rappresentato nelle
realizzazioni di arte ed artigianato artistico 44, i suoi finimenti
e talvolta il suo cadavere vengono sepolti insieme con il
proprietario e qualificano il suo sepolcro come aristocratico 45.
Le società coloniali viceversa, tranne rare e più tarde
eccezioni, sono caratterizzate da comunità che in epoca
storica sono quasi tutte oligarchiche, basate sulle colture
cerealicole e sul possesso fondiario46, con politiche difensive
legate alla pratica dell'oplitismo, che compare in Grecia
intorno alla metà del VII sec. a.C.47.

2) I poemi omerici e le testimonianze archeologi che per le


città greche dell'VIII sec. a.C. parlano di insediamenti non
grandi, gui-dati da individui di grande carisma e fama, che in
virtù delle proprie nobili origini sanno dare prosperità e buon
governo alla città ed attirare su di essa il favore degli dèi; le
città coloniali più arcaiche a noi note sono città dove
l'impianto urbanistico fa pensare ad una sorta di isonomia
ripartitiva 48, su territori abbastanza estesi e senza che le
tradizioni facciano mai esplicita menzione di re o di famiglie
egemoni: anche le classi aristocratiche di alcune colonie si-
celiote sono perlopiù indicate nelle fonti con il nome
generico di Gamoroi, coloro che possiedono la terra, il che è
ben diverso da quanto avviene in Grecia, dove è il ghènos
(Bacchiadi, Basilidi, Pentelidi etc.), con il suo patrimonio di
imprese militari ed il suo bottino di klèos, di gloria che deriva
dal valore guerriero a fare la differenza tra il dèmos e gli
àristoi e l'individuo che appartiene ad uno di questi ghene
viene identificato non solo in quanto detentore in prima
persona di privilegio e potere, ma in quanto simbolo vivente
dell'aristèia di suo padre e dei suoi antenati.

3) I re omerici considerano il commercio ed il lavoro


artigianale quale attività da schiavo o comunque da
sottomesso; essi tengono da conto soltanto l'allevatore ed il

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proprietario terriero, e tra questi soltanto colui che produce


vino ed olio; mai nell'Iliade gli eroi achei sono mostrati
mentre si cibano di cereali o verdure, ma carni arrostite e
frattaglie sono minuziosamente descritte come pasto nei
momenti cruciali delle loro peripezie 49; gli uomini delle
colonie arcaiche sono commercianti ed agricoltori,
Metaponto pone la spiga di grano (o di orzo come taluni
interpretano) a simbolo cittadino sulle sue monete, e la
condizione dell'artigiano è di gran lunga più elevata, poiché
spesso la città stessa è organizzata urbanisticamente per
concentrare e promuovere la produzione e l'esportazione di
prodotti artigianali.

4) La difesa della città arcaica è precipuo dove re del


cittadino, che è tale in quanto soldato che si autoarma e
combatte per la difesa della patria; nella realtà coloniale gli
eserciti cittadini tendono a scomparire subito dopo la prima
fase di insediamento per essere sostituiti da truppe ottenute
mediante reclutamento e/o alleanze con gli indigeni e più
tardi mediante il largo utilizzo di truppe mercenarie: i coloni
sembrano molto più pragmatici e razionali nel programmare
la propria difesa e preferiscono dedicarsi allo sviluppo socio-
economico della loro città piuttosto che ad attività guerriere
evidentemente poco gradite 50.

5) Le città greche arcaiche sono urbanisticamente


caratterizzate da acropoli imprendibili e mura ciclopiche,
mentre è ancora da dimostrare che tali fortificazioni (o
qualcosa di simile che denunciasse una tendenza alla
munizione pesante del luogo) esistessero in Magna Grecia,
dove le città si pongono in pianura o su basse colline
prospicienti il mare o il territorio (anzi, tradizioni di recinzione
del territorio, anche in ambito paganico più che urbano sono
proprie delle comunità indigene) 51.

Dunque, le due società sono, alla luce di ciò, quanto di più


diverso si possa concepire, sia da un punto di vista politico
che da un punto di vista economico, sia in quanto a valori
esistenziali: allora, se è pur giusto affermare che dietro

20
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

l'impresa coloniale deve esserci stata una organizzazione


statale, come possiamo noi riconoscere tale organizzazione
nella città omerica, nel prodotto tipico delle società ari-
stocratico-cavalleresche della Grecia di VIII sec., di cui
conosciamo non soltanto la descrizione omerica, ma anche
le tombe ed il rituale funerario, nonché i luoghi di culto?
Dobbiamo allora riformulare la domanda di quale sia stato
il background politico generatore delle realtà coloniali, delle
comunità complete cui facevamo riferimento con Snodgrass.
In nostro aiuto possono venire ancora i poemi omerici, ma
stavolta l'Odissea più dell'Iliade ed in particolare i canti che
descrivono la situazione di due luoghi: Itaca e l'isola dei
Feaci, analizzati con acume sin-golare da Claude Mossè 52.
Nella felice comparazione e contrapposizione di una realtà
ritenuta immaginaria ed una realtà effettiva, lo studioso
francese rinviene i caratteri della "nascita della città", dei
suoi spazi pubblici e della sua organizzazione politica.
L'Odissea, essendo stata composta più tardi rispetto
all'Iliade, è per noi prezioso ricettacolo di immagini di un
tempo in cui gli eroi troiani non erano più un assoluto
modello di vita ed in cui qualcosa stava lentamente ma
inesorabilmente cambiando negli assetti politico-territoriali
della Grecia micenea: questo periodo è quello definito dagli
studiosi "The Dark Age" o "Medioevo Greco", ovvero due se-
coli (tra la fine del X e l'inizio dell'VII sec. a.C.) di storia greca
che soltanto adesso comincia ad essere recuperata tra le
righe di fonti, tradizioni e cultura materiale, ma che in
passato si riteneva fossero stati come un lungo sonno per la
civiltà ellenica, durante il quale essa aveva smesso di evol-
versi e di stupire così i posteri con la sua storia gloriosa 53.
Durante questo sonno, invece, sono successe molte cose
e soprattutto si sono create le condizioni per lo sviluppo
della società greca arcaica e classica, nonché, a questo
punto, di quella coloniale. La società greca ravvisabile
nell'Odissea (specialmente i canti III, IV, VI e VIII, che narrano
rispettivamente dei viaggi di Telemaco alla ricerca di notizie
del padre a Sparta, Pilo, dell'isola dei Feaci e di Itaca, la pa -
tria di Ulisse, ci forniscono un panorama completo di come
gli insediamenti umani si organizzassero dopo la guerra di

21
LUISA BOCCIERO

Troia), è certamente di tipo protourbano: non è possibile


definire Itaca o Scheria (la città dei Feaci) come autentiche
poleis, eppure esse hanno una serie di elementi che devono
essere definiti urbani: le mura ciclopiche, il porto, luoghi
comuni dove si riunisce l'assemblea del popolo e degli
anziani. Nel complesso, ci troviamo di fronte a

les premières manifestations de l'apparition d'une


communautè qui pour n'étre pas encore à proprement
parler une communautè civique n'en révèle pas moins des
traits déjà annonciateurs de ce que sera la citè grecque
(...) il semble qu'on puisse dire qu'il s'agit d'une
communauté humaine installée sur un territoire et
s'administrant elle-mème...54.

Questa comunità ha un suo rapporto con il territorio, che è


comunque distinto dalla città in quanto al di fuori delle mura,
e ne ha una considerazione decisamente poco "eroica" e più
pragmatica: la terra comincia ad essere "frugifera" ed i
mangiatori di carne dell'Iliade sono vivi perlopiù nei
nostalgici racconti di Ulisse, mentre siamo sempre più vicini
al panorama alimentare arcaico 55, dove gli uomini mangiano
la maza, la focaccia impastata in fretta sul posto, anche
quando sono in guerra. La città fortificata, dotata di ampio
porto di luoghi di assemblea e templi in pietra esiste nella
realtà coloniale come modello di insediamento, ma
particolare della colonizzazione focèa, più tarda di quella
achea (inizia sul Mar Nero intorno alla fine del VII sec. a.C.) e
legata all'utilizzo del territorio come luogo dello scambio e
punto di arrivo delle merci e dei prodotti alimentari forniti
dalle attività marinare (pesca e commercio), dunque, pur
non essendo considerata tra i luoghi reali del racconto, ma
una delle terre fantastiche visitate da Ulisse, l'isola dei Feaci
rappresenta un modello di insediamento probabilmente con-
temporaneo all'epoca della composizione dell'epos omerico.
L' Odissea veniva scritta, quando però le colonie greche della
costa ionica dell'Italia erano già cosa fatta, ed i suoi abitanti
hanno già da tempo superato la fase della concezione
eroica della vita, diventando nausiklutoi (=famosi per le
navi) e philérethmoi (=aman-ti del remo); è sull'abilità in

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

mare che si misura oggi il valore ed i neòi di Scheria


gareggiano tra loro per l'onore di condurre in patria Ulisse
sulle loro navi. Tutto ciò denuncia chiaramente un cambia-
mento negli assetti economici e sociali, ma nella sua fase
iniziale, quando l'uomo greco non aveva ancora rinnegato
del tutto l'ideale eroico ed ancora si beava nell'ascoltare le
imprese degli eroi di Troia 56: dunque Scheria rappresenta il
presente ed è per noi un terminus ante quem per la società
che cerchiamo di individuare.
Dal lato opposto, nel mondo reale dal punto di vista del
racconto, ma, come vedremo, in realtà molto lontane da
esso, stanno le due città visitate da Telemaco: Sparta e Pilo.
La Sparta di Menelao non viene descritta da Omero: essa si
identifica con il palazzo del principe e dunque con il principe
stesso57. L'eroe, incontrando Telemaco 58, rimpiange di non
aver potuto attuare il suo progetto di regalare ad Ulisse una
città nel territorio di Argo, facendo così in modo che egli vi si
trasferisse da Itaca con il suo laòs (=esercito, ma anche
popolo in armi) ed i suoi ktèmata (=beni posseduti, averi);
egli pertanto presuppone la supremazia di Sparta su di un
vasto territorio, e l'esistenza di città soggette al dominio di
questa. In realtà, al di là di quanto possiamo evincere dai
poemi omerici, la situazione descritta è certamente il
risultato di una sorta di collage storico: la città identificata
con il palazzo del principe e la sua figura non è altro che il
ricordo dell'assetto politico-sociale miceneo, sostanzialmente
contemporaneo agli avvenimenti troiani; tale assetto,
fondato sul palazzetto fortificato che guarda al territorio ricco
di pascoli e colture arboricole e su di una società
egemonizzata dal wanax, il signore del palazzo, che ha alle
sue dipendenze un vasto apparato burocratico, formato da
funzionari e scribi addetti allo smistamento ed alla
redistribuzione delle risorse economiche (nello specifico i
proventi della pastorizia e della olivicoltura).
Viceversa, la situazione prospettata da Menelao, quella
cioè che lo vede in grado di attribuire il possesso di una città
all'amico Ulisse, riflette una situazione molto più tarda, e
cioè quella della Sparta arcaica, che governa un territorio
agricolo in cui sono insediati i perieci, cittadini a metà in

23
LUISA BOCCIERO

quanto non partecipano all'assemblea armata e pertanto


non sono spartiati; i perieci saranno protagonisti, insieme
alla classe servile che coltiva le terre degli spartiati, ovvero
gli iloti, delle sanguinose guerre messeniche, combattute tra
l'VIII ed il VII sec. a.C.59. Dunque la Sparta del quarto libro
dell'Odissea è una città ricostruita con elementi
disomogenei, ma oltre i quali si scorge nettamente l'assenza
di ogni dimensione veramente urbana. Analogamente
avviene per Pilo, città della Messenia governata dal vecchio
e saggio Nestore: Telemaco vi giunge nel III libro dell'Odissea
e vi trova una situazione abbastanza simile a quella di
Sparta, anche se la città è descritta meglio di quanto non
succeda per quest'ultima. Essa è cinta da mura, il palazzo
del principe è il suo luogo principale, ma pur essendo sul
mare, non ha un porto né ha spazi pubblici che facciano
pensare ad una assemblea di politai: dunque non è
inquadrabile né nel modello "spartano" né in quello "foceo";
anche qui Nestore è arbitro assoluto dei destini della città,
ma al suo fianco ha una assemblea di gerontes (=anziani),
che lo aiutano nella conduzione degli affari comuni 60. Anche
qui, l'intenzione di fondo è quella di rappresentare il wanax
nel suo palazzo, ma in effetti il risultato è una sorta di ibrido
submiceneo, che già anticipa alcuni importanti cambiamenti
avvenuti dopo il crollo dei palazzi micenei (XII-XI sec. a. C.)61.
Insomma, sia il regno di Alcinoo che quello degli eroi
troiani non possono corrispondere alla realtà storica del IX-
VIII sec. a.C. e pertanto non ci illuminano sul sistema che
stiamo cercando.
Più interessante è invece la descrizione di Itaca (libro VI):
cinta da mura, agglomerato urbano nettamente distinto dal
territorio, un porto, spazi comuni; esiste una classe
dominante, che risiede all' interno della città definita, come
le altre, sia dal sostantivo àsty (=rocca) che da pòlis (=città
vera e propria) ed un dèmos, che popola sia la città che la
campagna e che fruisce di una serie di strutture comuni e di
una serie di diritti politici, chiaramente violati dai Proci che
usurpano il trono di Ulisse. Lo stesso trono di Ulisse non
sembra essere tale, se egli non è mai detto come colui che
domina sul popolo, ma come colui che riceve il potere dal

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

popolo, un popolo costituito naturalmente da aristoi facoltosi


e mediamente ricchi, mentre la classe artigianale e la
manodopera agricola di base non vengono considerate e si
mantengono perlopiù ai margini della città: lo stesso Laerte,
padre di Ulisse, è indicato come colui che, allontanandosi
dalla città, ha fatto una scelta estrema e di profondo rifiuto
dello Stato nascente. Potremmo dunque pensare che
l'allontanarsi di Ulisse, che già governava la sua isola in
maniera nettamente diversa da Menelao e Nestore, abbia si-
gnificato la degenerazione del sistema politico da lui
fondato, cioè una alata aristocrazia su base terriera che però
non disdegnava l'esercizio della marineria e che si era
dotata, per quanto riguardava la gestione delle questioni
comuni, di organismi assembleari di supporto al potere
centrale, ancora appannaggio del re, che però nel contempo
ne limitavano lo strapotere: tale aristocrazia si è dunque
trasformata, nella visione negativa fornitaci dal poeta
dell'Odissea a proposito di Itaca dopo la partenza di Ulisse,
in oligarchia, con l'abolizione di fatto della figura del re (lo
stesso Telemaco non è considerato erede al trono, anzi, il
regno andrà a colui che sposerà la regina, che è soltanto la
nuora di Laerte e dunque non ha relazione diretta con la
dinastia regnante ad Itaca), una più netta emarginazione del
proletariato ed una paralisi effettiva di ogni fermento
economico (infatti i Proci consumano le ricchezze
tesaurizzate da Ulisse senza produrre nulla). Identificare tale
forma di governo con quella pertinente alle pòleis greche di
VIII sec. dalle quali partirono le spedizioni coloniali verso
Occidente può in qualche modo aiutarci a decodificare i com-
portamenti sociali dei coloni stessi, fermo restando l'assunto
che essi non avevano, probabilmente fin dall'inizio,
intenzione di ricreare la forma di governo della madrepatria,
ma semplicemente che essi erano informati di alcuni precisi
criteri di gestione socio-politica di un insediamento, dai quali
emergono in primo luogo il rituale di fondazione e
successivamente la forma della città.

QUANDO NASCE UNA CITTÀ:


DALL'ARATRO AL FOCOLARE UNO SPAZIO PER L'UOMO

25
LUISA BOCCIERO

Allorché parliamo di spazio, a proposito di una città


greca (...) dobbiamo tenere presenti due accezioni dello
spazio, che si condizionano fra loro e condizionano la vita
della polis. Alludo allo spazio, in senso territoriale, che
potremmo definire lo spazio-territorio e allo spazio
metaforico, inteso some possibilità dinamica, come
respiro, come apertura e possibilità di consensi, quello che
ora si suol chiamare spazio politico, spazio religioso e così
via. Queste due diverse concezioni della spazialità,
nascono e sono condizionate dall'esperienza concreta in
cui ogni greco si trova a vivere, rispetto alla quale la sua
ideologia dello spazio individuale e collettivo è ad un
tempo condizione e proiezione (...).Per spazio religioso
intenderei le porzioni del territorio che la polis riserva alle
manifestazioni collettive della sua religiosità (santuari,
necropoli), là dove per spazio catastale intendo il fatto che
ogni porzione del territorio è misurata, registrata a catasto
e appartiene a qualcuno62.

Proprietà e comunità dunque: questi sono i princìpi dai


quali dovremo partire per muoverci nel complesso della polis
coloniale. Proprietà del dio, che ha incaricato ed
accompagnato l'ecista nel viaggio periglioso lungo quelli che
V. Effenterre chiama "Les chemins de la mer" 63, proprietà dei
singoli partecipanti alla spedizione, che dalla nuova terra si
attendono pace e prosperità, proprietà collettiva della
comunità che essi vanno a fondare, proprietà che gestiranno
insieme, basandosi su criteri di solidarietà abbastanza
inconsueti nella madrepatria; tale comunità potrà dirsi
compiuta quando sarà stata assegnata a ciascuno la sua
parte, nel contesto di un rituale che è prima riconoscimento
o meglio investitura territoriale, e poi fondazione vera e
propria di una città. Perché riconoscimento? Perché, ricordia-
molo, alla loro partenza, i coloni non andavano verso
l'ignoto, ma verso una terra loro assegnata, con tutti i
particolari, dall'oracolo della divinità. Essi, come abbiamo più
volte sottolineato, si premurano di partire verso il noto e non
verso l'ignoto, pertanto, la prima fase del rituale di
fondazione è proprio questa liberazione dal dubbio il
riconoscimento senza esitazioni del luogo predestinato,

26
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

l'inizio della ricostruzione di un rapporto iniziato per loro dal


dio in persona 64, il quale, come abbiamo visto per Miskellos
di Rhypes, non tollera improvvisazioni né cambiamenti nei
suoi programmi (Miskellos aveva ipotizzato di colonizzare il
territorio della Sibaritide invece di quello di Crotone) e
riconduce con violenza ai suoi comandi il trasgressore.
Investita la terra del suo ruolo fatale, gli uomini iniziano a
prenderne possesso; la fine del vagabondaggio viene sancita
dall'identificazione dell'area poliade, e cioè dello spazio della
città mediante il tracciato di un solco, che è il simbolo
dell'antropizzazione di una Eremos chora (= terra incolta,
abbandonata) 65, e che sarà in futuro il tracciato della cinta
muraria, il perìbolos dell'insediamento urbano 66; l'altare sulla
spiaggia è già una attribuzione di territorio alla divinità, ma
non basta: il dio vuole che fin dall'inizio gli si riconosca il
ruolo dominante all'interno della città. Ma quale città? E
soprattutto, quale aspetto dare al dio (che chiaramente non
è sempre Apollo)?
Abbiamo a tal proposito tre punti di riferimento esterni,
cioè relativi a realtà parallele od estranee alla colonizzazione
greca:
1) la fondazione della città dei Feaci (OD., VIII, 559-563);
2) la pompè rituale nel tempio di Hera ad Argo ed il mito
di Kleobis e Biton (Erodoto, I, 31);
3) la fondazione di Roma.
Nel primo caso, abbiamo una logica connessione con
quanto si è cercato di comprendere riguardo alla forma di
governo delle città madrepatria delle colonie; la città dei
Feaci, lo abbiamo visto, rispecchia in gran parte ciò che
sembra essere attualità politica per il poeta dell'Odissea 67 e
pertanto essa è direttamente connessa con l'atteggiamento
mentale ed i punti fissi di cui abbiamo parlato a proposito
della mentalità dei coloni. Analizzando il racconto omerico
delle origini di Scheria (OD., VIII, vv. 559-563), è possibile
individuare 4 fasi principali:
I) Tracciato della cinta muraria, da parte del fondatore
mitico Nausitoo, il quale compie l'azione in prima persona;
II) Fondazione dei templi degli dei, tra cui spicca Poseidon;
III) Costruzione delle case, e di conseguenza creazione

27
LUISA BOCCIERO

dell'agglo-merato e del tessuto urbano;


IV) Ripartizione della terra, tra i cittadini; quest'ultima
operazione, che segna di fatto l'inizio del la vita autonoma
della collettività, è di specifica prerogativa dell'ecista, il
quale è arbitro e garante divino dell'equità ripartitiva: tutto
ciò non pregiudica tuttavia che Alcinoo sia arbitro assoluto e
signore della città, pertanto dobbiamo essere sempre
prudenti nell'assegnare ad una temperie democratica ante-
litteram le ripartizioni territoriali che sono tipiche delle
colonie.
L'episodio dell'isola dei Feaci, può essere un prezioso
relitto, all'interno di un epos composto presumibilmente nel
corso del VII sec. a.C., di quanto era avvenuto nel secolo
precedente nel modo greco; se così fosse, noi avremmo la
più antica testimonianza di un rituale di fondazione coloniale
a noi giunta, testimonianza pressoché coeva alla temperie
storica della colonizzazione d'Occidente.
Un utile commento a questo episodio in connessione con
l'atteggiamento del fondatore di città è in un testo francese,
recentemente tradotto in italiano68:

Il fondatore si chiama Nausitoo, un contemporaneo un po’


oscuro della fondazione in Sicilia di Megara Iblea, così
nuova in quel secolo ottavo già tanto vivace.(...)
Diagramma feace per una colonia greca (...): un fondatore
concepisce globalmente il piano d'insieme, lavora come
un geometra, prevede la ripartizione degli spazi che
consentano il funzionamento della vita civica, con la sua
agorà, lo spazio pubblico, ma anche con gli dèi, il
pantheon che i coloni, originari di Megara, hanno portato
con sé. Dèi che sono immagini mentali, prima che statue o
immagini adagiate nella stiva 69. Dèi dentro la testa,
rappre-sentazioni mentali di potenze dell'invisibile che
permettono di organizzare il mondo, di pensarlo in
maniera differenziata, attraverso classificazioni, così come
un modello della città costruisce lo spazio umano, il
centro, il limite, i confini e i percorsi, a partire da una certa
idea dell'essere e dell'agire insieme. Creando città,
impiantando decine di comunità in quella che sarà
chiamata un giorno Magna Grecia, i fondatori in senso
tecnico cominciano dunque a forgiare dèi a misura di un

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Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

progetto politico.

Nulla di più coerente con l'autonomia progettuale


dell'ecista rispetto alla madrepatria: alla nuova città
occorrevano divinità pragmaticamente associate a fornire
supporto e protezione e pertanto, liberandosi dai vincoli
mitologici, si operano suggestive associazioni di divinità in
Grecia nemiche 70, op pure trasformazioni radicali del
carattere di alcune divinità 71; ancora Herakles, eroe
scontroso e 'razzista' per eccellenza, diviene il trait-d'union
tra Greci ed indigeni nel santuario siculo-siceliota di
Poggioreale 72. Un curioso, ma ancora una volta pragmatico
pantheon coloniale, che spiega la regolare assenza di un
apparato cultuale nelle colonie che sia direttamente
collegabile alla madrepatria 73. Gli dèi delle colonie insegnano
ad arare, ad impiantare attività artigianali, a rispettare selve
e boschi, a temere, ma anche a ben utilizzare il mare: presso
di loro sono talvolta venerati come dèi anche i grandi
ingegni, come Epeios, il costruttore del Cavallo di Troia, ed
Ulisse, il grande ingannatore: dunque, essi insegnano a
vivere e a cavarsela più che insegnare saggezza e virtù
guerriera. Questi dèi quotidiani abitano in mezzo agli uomini,
al centro della città e nel territorio da cui essi traggono
sostentamento ed il loro spazio costituisce uno dei poli di un
tracciato che congiunge eternamente il dio e l'uomo, cioè lo
stesso tracciato che troviamo nella cerimonia della pompè
di Hera ad Argo.
Ci racconta Erodoto (I, 31) che ogni anno una processione
rituale, guidata dalla sacerdotessa di Hera, portava di corsa,
su di un carro guidato da buoi, la statua della dèa dalla città
di Argo al tempio a lei dedicato; in una di queste occasioni,
venendo a mancare i buoi, due aitanti fanciulli, Keobis e
Bython, figli della sacerdotessa in carica, si offrirono di
sostituire le bestie per permettere il regolare svolgimento
dell'importantissima cerimonia, che garantiva annualmente
la protezione della dèa sulle attività agricolo-pastorali della
città. Dopo l'espletamento trionfale del compito da parte dei
due giovani, la madre chiese alla dèa di dar loro la ri-
compensa più bella ed importante che un uomo potesse

29
LUISA BOCCIERO

meritare, e la dèa, esaudendo il suo desiderio, precipitò i due


fratelli in un sonno profondo, che ben presto si tramutò in
sonno mortale. Gli abitanti di Argo allora onorarono i due eroi
con statue (di cui abbiamo uno splendido esemplare) e li
ricordarono nelle feste annuali (Heraia). L'episodio, che nel
coinvolgimento dell'essere umano in sostituzione dell'a-
nimale trova la sua definitiva consacrazione simbolica, può
essere letto, con il De Polignac 74, come la consacrazione di
un rito che altro non è che una aratura collettiva, «il cui
percorso processionale sarebbe il solco simbolico tracciato
tra la casa degli uomini, al centro, e la casa del dio (...) ad
Argo il bue lascia il campo cittadino per guidare la
processione sacra degli Heraia fino al tempio».
Il rituale dell'aratura in connessione alla fondazione di una
città ritorna nella saga di Romolo, fondatore di Roma, di cui
abbiamo notizia nella "Vita di Romolo", scritta da Plutarco di
Cheronea nel II sec. d. C.: qui, dopo il tracciato del solco che
individuava l'"urbs quadrata", avviene un fatto nuovo,
l'omicidio, o meglio il fratricidio da parte di Romolo contro il
fratello Remo. Anche nella tradizione argiva avevamo una
morte, anzi due morti, ma esse avevano il sapore del premio
dato ai giusti, nel risparmiare loro le afflizioni ed i dolori della
vita in favore di una vita eterna insieme agli Olimpii. Qui
invece siamo di fronte ad un puro e semplice assassinio,
compiuto per vendetta e per gelosia, se non, come talvolta si
lascia capire, per semplice cupidigia.
L'elemento cruento nel rituale di fondazione non è affatto
sconosciuto: la morte dello stesso ecista è spesso
contemplata all'indomani della fondazione 75 ed è
probabilmente l'aspetto parossistico del sacrificio rituale, nel
quale la spartizione delle carni della vittima, all'interno della
collettività umana e divina, coincide con la fase successiva
della spartizione della terra 76, all'interno della stessa comu-
nità: nella fondazione di Roma, invece, non c'è spartizione,
ma soltanto presa di possesso da parte di un individuo; anzi
c'è il rifiuto alla condivisione, anche con il proprio fratello.
Quest'ultimo particolare identifica l'estraneità della leggenda
di fondazione di Roma alla mentalità coloniale greca,
sebbene formal-mente essa ne riprenda alcuni particolari.

30
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

Possiamo allora, collegando la testimonianza omerica,


quella erodotea, e l'aura rituale lasciata nel racconto della
fondazione di Roma, concludere che l'impianto concettuale
di un nuovo stanziamento, passava, per l'uomo greco,
attraverso le quattro fasi che abbiamo identificate: tali fasi
corrispondono ad altrettanti passi fatti verso la forma
definitiva della città, una città concepita fin dall'inizio (e a
differenza delle poleis greche della madrepatria), come unità
urbana dove gli uomini devono vivere, riprodursi,
confrontarsi e prosperare sia dal punto di vista economico
che dal punto di vista etico. Tale forma (tralasciamo qui il
problema dell'urbanistica a pianta ortogonale, che ci
porterebbe troppo lontano e per la quale si rimanda a
pubblicazioni specifiche)77, deve, come abbiamo visto,
essere coniugata su tre elementi fissi che sono ancora una
volta (escludendo qui le mura, che sono un elemento che
pertiene originariamente alla fondazione come delimitazione
e riconoscimento del sito e più tardi alla difesa del la città
stessa; inoltre esse non sono un elemento fisso nelle città
coloniali) gli spazi templari, gli spazi politici, gli spazi privati.
L'idea di uno spazio per l'uomo ha le sue radici proprio
nella definizione di questo equilibrio, già presente in parte
nelle realtà politiche greche, ma che qui acquista significato
e pregnanza particolari mediante l'aggiunta di un quarto
elemento: lo spazio territoriale. Questo elemento contiene
sia un aspetto pubblico (il concetto cioè di chora di una
città), sia un aspetto privato (la Chora come luogo dei kleroi
dei singoli cittadini); la Chora (=il territorio) è l'elemento
significante della colonizzazione, il quid che determina lo
sconvolgimento di tutti i modelli precostituiti della
madrepatria: per essa, la sua conquista o la sua mancanza,
si verificano gran parte degli avvenimenti che segnano l'esi-
stenza della polis coloniale. Il legame ad essa, il senso di
appartenenza ad un territorio più che ad una nazione, è
senz'altro la caratteristica più forte e duratura, rimasta
pressoché immutata nei secoli a caratterizzare la città
meridionale, dove spesso non esiste unità nazionale né
regionale, ma soltanto uomini e terra. La differenza
concettuale di fondo tra lo status sociale del cittadino colono

31
LUISA BOCCIERO

e del cittadino della madrepatria si ripercuote tangibilmente


sull'organizzazione urbanistica della città: qui la presenza di
unità produttive urbane a carattere artigianale (es. Locri
Epizefiri) e la contemporanea presenza di cellule agricole
indipendenti (es. le fattorie metapontine), connota fin
dall'inizio una variegata compagine sociale, dove il cittadino,
che non è più vincolato ad una professione oppure alla sua
valenza militare, si lega non più all'idea di città o di etnìa,
ma alla sua città, alle strutture, ai templi, alle bellezze che
essa contiene, e prende dunque continuo e reale possesso
degli spazi pubblici. Non è un caso, probabilmente, che
Metaponto possieda uno dei più antichi impianti teatrali di
Magna Grecia, impianto polivalente in quanto utilizzato sia
per gli spettacoli che per le riunioni dell'assemblea dei
cittadini; nella stessa città, il fenomeno degli argoi lithoi,
cippi in pietra del tipo usato per gli òroi (=confini territoriali
e divisioni inter-poderali) rinvenuti, inscritti con il nome di
una divinità e conficcati in circolo in uno spazio pub blico 78, i
cippi che dedicano a Zeus ed altri dèi l'agorà stessa,
mostrano quanto stretto fosse il legame con il territorio e
quanto sottile fosse il confine tra sacro, pubblico e privato
(categorie che in Grecia sono autentici compartimenti stagni,
almeno in età arcaica). Lo spazio pubblico è coniugazione del
presente, vissuto come autorappresentazione dell'e-
sperienza coloniale, e rigidamente articolato in forme, lettere
e contesti ur-banistici greci (anche se talvolta rielaborati e
rifunzionalizzati). In questa temperie, avviene anche il
recupero e la valorizzazione di una coppia divina abbastanza
insolita: Hestìa (=il focolare) ed Hermes. Questa coppia
divina anomala, formata da due divinità che non hanno
apparentemente rapporti di parentela diretta, rappresenta
proprio l'organizzazione spaziale, il dialogo continuo tra
famiglia e società 79: infatti, mentre Hestia, personificazione
simbolica del Megaron miceneo, rappresenta il centro
dell'universo umano, della famiglia, ed in particolare il punto
fermo, l'immobilità, Hermes rappresenta la mobilità, il
dinamismo, anzi l'onnipresenza; non a caso egli è garante in
tutte le transazioni commerciali, è pubblico banditore, è colui
che guida i viandanti, protegge i ladri e conduce le anime dei

32
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

defunti all'Ade. Non vi è sede fissa per Hermes, e


dovendogliene dare una, i Greci scelsero il luogo più
dinamico della città, ovvero l'agorà, sede del commercio,
punto di partenza per i viaggi, luogo ove si ascoltano discorsi
e bandi, dove si svolgono i funerali importanti e, perché no?,
luogo tradizionale per l'attività dei borseggiatori: la città
coloniale ed in particolare la città magnogreca avverte molto
forte il legame tra Hermes e la comunità, ed infatti uno dei
cippi metapontini di cui abbiamo parlato, dedica proprio ad
Hermes l'agorà ove è infisso, mentre molto diffusa è la
rappresentazione del dio nella ceramica dipinta italiota 80. Nel
contesto del nostro discorso, il focolare domestico si
trasforma in altare, posto nel tempio cittadino presso l'agorà
e rappresenta, nel rappresentare simbolicamente la polarità
Hestia-Hermes,

(..) la tensione esistente all'interno della rappresentazione


arcaica dello spazio: lo spazio esige un centro, un punto
fisso, dotato di valore privilegiato, a partire dal quale si
possano orientare e determinare delle direzioni, tutte
diverse qualitativamente, ma lo spazio si presenta
contemporaneamente come luogo del movimento, il che
implica una possibilità di transizione e di passaggio da
qualsiasi punto a qualsiasi altro (...) tuttavia, nel pensiero
religioso, lo spazio e il movimento non sono ancora
individuati come concetti astratti. Rimangono impliciti,
perché fanno corpo con altri aspetti, più concreti e
dinamici, del reale. Se Hestia appare capace di centrare lo
spazio, se Hermes può mobilizzarlo, è che essi presiedono,
come presenze divine, ad una serie di attività che
concernono, certo, la sistemazione del suolo e l'orga-
nizzazione dello spazio, che anzi in quanto praxis hanno
costituito la cornice entro la quale si è elaborata, nella
Grecia arcaica, l'esperienza della spazialità, ma che
oltrepassano tuttavia di gran lunga il campo di ciò che
chiamiamo oggi spazio e movimento 81.

Non abbiamo dunque bisogno di trovare statue e


rappresentazioni di queste due divinità ad ogni angolo della
città, essi sono i numi concettuali di gran parte delle attività
umane nella città e pertanto essi sono astrattamente

33
LUISA BOCCIERO

presenti in ogni casa, che è sorta sotto gli auspici di Hestìa,


nel tempio, ove essa si cela nel fuoco che arde sull'altare
consacrato alla divinità poliade, e poi nei luoghi pubblici, ove
Hermes sorveglia, organizza, ordina il movimento. Questo
stato di cose è tanto più vero nella città coloniale, in quanto,
lontano dalla sacralità dei collegi virginali delle Vestali
romane (che pure custodiscono il fuoco sacro di
Hestia/Vesta) e delle ierài ateniesi, anch'esse votate alla
castità, Hestia torna ad essere ciò che era nel mondo
miceneo, e cioè il simbolo puro e semplice del focolare
domestico, dell'unità della famiglia e della sua fecondità,
mentre Hermes è il simbolo dell'operosa attività del
consesso dei cittadini.
In conclusione possiamo riassumere quelli che sono i
caratteri salienti nell'organizzazione spaziale della città
meridionale antica, così come li abbiamo individuati nel
corso di questo scritto:

I) La dialettica con il territorio. La città, fin dalla sua


nascita, è uno spazio aperto, ove le risorse vitali fornite dal
territorio costituiscono parte integrante dell'impianto
cittadino e del suo rapporto dinamico con il mondo
circostante. Tale rapporto può esistere soltanto a condizione
che l'avvenuta ricomposizione dell'unità territoriale disciolta
nel viaggio dalla madrepatria abbia reintegrato le forze
concettuali dei Greci: riacceso il focolare domestico,
ricollocata la divinità più adatta alle circostanze della
colonizzazione, definiti gli spazi del vivere comune, essi sono
perfettamente in grado di avere rapporti, di forza, ma anche
di scambio pacifico, con mondi e popoli che essi non
conoscono;

II) Il ruolo della proprietà privata (cioè quello “spazio


catastale” che abbiamo trovato nell'analisi del Nenci). Nella
realtà coloniale, a differenza di quella greca, la proprietà è
davvero privata, vale a dire che (nonostante molti abbiano
cercato di dimostrare il contrario) non sembra si siano
applicate alle città italiote, le ferree regole del Kleros
(ereditarietà, inalienabilità, legame del contadino e della

34
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

propria famiglia alla terra etc.), se ciò è avvenuto, lo è


soltanto nella primissima fase di vita della colonia, a scopo
più che altro cautelativo, mentre si provvede subito a
prevedere l'espansione della città e la nascita di nuovi
cittadini che avranno diritto alla terra: per queste future
generazioni si tiene da parte un cospicuo lotto di terra, che
resterà inedificato nell'immediato, per poi essere distribuito
a nuovi coloni giunti dalla Grecia oppure a nuove
generazioni di polites 82; viceversa, dietro l'apparente
isonomia distributiva, si cela una grande capacità
speculativa, che porterà, ad es. nel Metapontino, al
progressivo concentrarsi di proprietà ed al conseguente
nascere di imprese agricole di grandi dimensioni, parallele
alle piccole proprietà. Inoltre non sembra che il cittadino
della colonia sia controllato nei suoi redditi e costretto ad
armarsi in quanto tale, ma fatta salva la difesa della città in
caso di attacco, egli potrà ben presto disporre di una
alternativa fiscale al combattimento personale, e cioè ad un
esercito professionale; ciò, lungi dall'allontanare l'individuo
dalla comunità, lo integra ancora di più in essa, poiché gli
sforzi comuni sono concentrati nella promozione della città
stessa e delle sue forze più vive: le monete "parlanti" e la
particolare abilità, ad es. dei giovani Crotoniati ai Giochi
Olimpici (infatti tra la fine del VII sec. a.C. e l'inizio del V, non
vi è quasi un anno che le liste olimpiche non riportino il
nome di almeno un Olimpionico crotoniate), sono
testimonianza di questo atteggiamento estremamente
pragmatico, che le colonie dimostrano anche nella loro
"proiezione di ritorno" sulla madrepatria (offerte votive nei
grandi santuari oracolari e partecipazione ai Giochi
Panellenici).

III) Lo spazio dell'uomo e lo spazio del cittadino. La


corrispondenza tra la struttura del teatro e quella del
Bouleuterion fa pensare alla normalizzazione del conflitto
pubblico/privato; il cittadino coloniale si sente padrone della
propria città e preferisce gli spazi aperti, porticati,
scenografici, ove incontrare da privato i suoi compagni e
discutere da politico le questioni comuni; su tutto regna la

35
LUISA BOCCIERO

divinità, non a caso posta sia al centro dello spazio cittadino,


dal quale come Hestia genera la direzione del movimento,
che ai limiti di questo, in proiezione sul territorio, dove si
riproduce il movimento nella dialettica con i popoli limitrofi e
con le altre città, vale a dire altri privati, altre collettività.
Analogamente le strutture pub-bliche (ginnasi, palestre,
passeggiate monumentali) sono altrettanti elementi di
tranquillità, evoluzione della prima, importantissima fase
della fondazione, il riconoscimento del sito di cui abbiamo
am-piamente parlato.

IV) La vita all'interno di un territorio regionale. È il dato più


arcaico eppure più persistente nell'organizzazione
insediativa delle colonie Greche in Occidente. La creazione di
un'area achea, di un' area calcidese etc. non significa tanto
segregazionismo rispetto al mondo indigeno o rispetto ad
altre etnie greche, ma è invece la testimonianza della me-
ravigliosa ingenuità del Greco, mai marinaio di professione e
per nulla attirato dall'avventura, di fronte al suo destino di
colonizzatore, il quale si crea l'impressione di muoversi in un
territorio che conosce, e dove trova gente che parla la sua
lingua; a riprova del fatto che non siamo di fronte ad una
programmazione politica (come ormai da troppo tempo si
cerca di dimostrare), ma di fronte ad una singolarissima
reazione antropologica, sta il dato che le città greche
d'occidente non hanno mai costituito unità politiche
grecofone eccezion fatta per occasionali alleanze belliche,
inevitabili per difendersi dall'attacco di genti straniere o per
limitare proprio la tendenza all'egemonia di una di loro. Il ri-
fiuto categorico a ricostituire uno Stato e l'evidente
indipendenza dalle organizzazioni statali della madrepatria si
spiegano pertanto in questo modo, oltre che con
l'inconsistenza dello Stato greco nell'età della
colonizzazione: i nostri coloni lasciavano sì la Grecia delle
città, ma di città che non riuscivano più a sfamare i propri
cittadini, dove al di là delle idealizzazioni esistevano ceti
subalterni che non erano messi in condizione di essere
pienamente partecipi della vita della città stessa, città in
qualche modo isolate, chiuse in una conduzione economica

36
Cap. I LA CITTA’ MERIDIONALE NELLA MEGALE HELLAS

e territoriale che ne impediva di fatto la crescita. Non a caso


saranno proprio le colonie a stimolare le attività artigianali e
commerciali di Corinto ed Atene, a promuovere
l'esportazione e poi la coltivazione sul posto di viti ed olivi, a
mantenere contatti commerciali anche con il mondo
indigeno di Occidente Italico ed Asia Minore. Fu proprio la
coscienza che qualcosa andava rivisto nel modo di vivere
della società urbana a determinare il finto "salto nel vuoto"
di quanti crearono la civiltà magnogreca.

Viaggio, Riconoscimento, Insediamento, Città: tappe di un


grande rito sociale di età arcaica, che siamo ancora lontani
dal conoscere profondamente, ma che forse dobbiamo
sforzarci di ritrovare e capire al di là di storicismi irrigiditi e
luoghi comuni, come quello della Nazione greca e della
Democrazia coloniale, viziati probabilmente dalla
speculazione platonica, che nulla può avere a che fare con le
realtà arcaiche, poiché essa opera in un momento storico (il
IV sec. a.C.), in cui tutto ciò di cui abbiamo parlato è
praticamente scomparso o irriconoscibile, le città sono ormai
tutte uguali ed il sentimento della grecità è soltanto un
relitto fittizio dell'età d’oro, che in fondo lo stesso Platone
rievoca e tenta di rendere attuale. Occorre quindi rimettersi
al lavoro, anche sbagliando, per smantellare se possibile
tutto l'apparato di interpretazioni e superfetazioni che ci
hanno fatto sentire, di volta in volta, lontanissimi o
eccessivamente vicini a questi nostri antenati ed hanno
trasformato in noiosi fumettoni mitologici o dotte utopie
politiche quella che, nonostante tutto, ci sembra ancora una
storia semplice, di gente semplice, che ha trovato il coraggio
di infrangere le proprie paure con l'unico progetto di creare
uno spazio, uno spazio per l'uomo, per tutti gli uomini.

37
LUISA BOCCIERO

38
1
Note
Per il rapporto dei Greci con il mare ed il commercio fondamentale è il testo di A. Mele, Il commercio greco-arcaico:
prexis ed empoire, “Cahier du Centre Jean Bérard”, n. 4, Naples, 1979; per il dibattito sulla natura del commercio arcaico
Cfr. anche B. Bravo in “Dha”, n. 4, 1974, p. 110 ss. e Idem in “Dha”, n. 3, 1977, p. 1 ss. Sebbene non si possa e non si
debba parlare di thalassofobia dei Greci, l’ascesa degli interessi commerciale nel periodo arcaico è speculare al tramonto
degli ideali eroici che avevano avuto nell'autarchia e nel bottino militare le loro basi economiche.
2
Esiodo, Opere, vv. 646, 618-29, 642; il concetto di “emporíe” è qui sinonimo di “nautilìe”, possesso di una
imbarcazione con la quale si insegue il “kerdos”, il guadagno senza il quale non è possibile procurarsi il “bìos”, ciò che
occorre per vivere. Per la discussione approfondita sull’argomento e relativa bibliografia cfr. A. Mele, op. cit., cap. I, p. 12,
ss.
3
Con la fondazione di Turi, nel luogo ove era sorta la distrutta Sibari, nel 444 a.C. Alla spedizione partecipò anche lo
storico Erodoto di Alicarnasso, che da allora definì se stesso Erodoto Turio.
4
Eccezion fatta per il periodo miceneo, per il quale abbiamo di fatto il segno del passaggio di genti micenee in gran
parte del meridione d’Italia, ma pochi o nessun segno di un loro essersi stabiliti con colonie vere e proprie: la questione
della precolonizzazione micenea di quella che sarà poi la Magna Grecia, sostenuta da G. Pugliese Carratelli e la sua
scuola, suscita tuttora ampio dibattito e molto vasta è la bibliografia al riguardo; testi di base potranno essere gli Atti del I
Congresso Internazionale di Micenologia, Roma, 1967-1968 (spec. Pugliese Carratelli, pp. 1231-1237); gli Atti del XX
Convegno di Studi sulla Magna Grecia, “Magna Grecia e Mondo Miceneo”, Napoli, 1982: G. Maddoli, La civiltà
micenea, Bari, 1977; Atti del Convegno “Momenti Precoloniali nel Mediterraneo Antico”, Istituto di Civiltà Fenicia e
Punica, Roma, 1989 (spec. interventi di D. Musti e conclusioni di L. Godart). Una discussione delle testimonianze
archeologiche più importanti, come quelle di Scoglio del Tonno (TA) e Policoro è in L. Vagnetti, Le relazioni tra il mondo
miceneo e l’Italia alla luce della ricerca archeologica, in “Megale Hellàs”, Milano, 1983, pp. 717-720.
5
Anche su questo problema è in corso un lunghissimo dibattito tra gli studiosi; testi fondamentali per un orientamento
generale sono: gli Atti del I Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “Greci ed Italici in Magna Grecia”,
Taranto-Napoli, 1961; il volume Modes de contacts et processus de transformation dans le societes anciennes , “Atti” del
Convegno di Cortona 1981, Pisa-Roma, 1983 (spec. contr. E. Lepore, A. Mele, M. Giangiulio, G. Nenci, J. de la Genière);
altri e più aggiornati riferimenti per una panoramica generale sulle culture pregreche dell’Italia meridionale sono i due
volumi della collana Antica Madre Italia - Omnium Terrarum Allumna, Roma, 1989; ad essi si rimanda per eventuali
approfondimenti bibliografici sulle singole popolazioni indigene dell’Italia.
6
Le questioni del rapporto tra greci e indigeni e dei modelli di acculturazione sono discusse da J. de la Genière , La
colonisation en Italie meridionale et e l’acculturation des Non-Grecs, “Ra”, 1977, pp. 157-176; D. Musti, Strabone e la
Magna Grecia. Città e popoli dell’Italia antica, Padova, 1988; E. Lepore, Colonie greche dell’Occidente antico, Roma,
1989; E. Lepore, Origini e strutture della Campania antica, Bologna, 1991; di recente pubblicazione, il volume Italici in
Magna Grecia, “Atti” del Convegno di Acquasparta 1985, Napoli, 1991, con l’aggiornamento dei dati archeologici.
7
Al ruolo di Hestia come divinità ed al suo rapporto con l’organiz-zazione spaziale della città in accoppiata con il suo
doppio Hermes è dedicato il saggio di J. P. Vernant, Hestia-Hermes. Sull’espressione religiosa dello spazio e del
movimento presso i Greci, “L’Homme. Revue Française d’An-tropologie”, 1963, 3, pp. 12-50, ora in: Mithe et pensée chez
les Grecs. Etudes de Psycologie Historique, Paris, 1971 (trad. it. Einaudi, Torino, 1978, pp. 147-200).
8
Ricordiamo però che l’espressione “Megale Hellàs”, lungi dall’ essere originaria e dunque pertinente alla realtà
arcaica della colonizzazione, è nata in ambienti dotti durante il V se. a.C. e precisamente in ambiente pitagorico:
l’insegnamento di Pitagora, riempiendo di saggi e filosofi l’Italia, l’avrebbe resa famosa nel mondo e le avrebbe meritato il
titolo di “Grande Grecia”; dunque essa deve presupporre una maturazione della coscienza nazionale che non è pensabile
per l’VIII sec. a.C., ma che risulta compiuta soltanto in età classica. Ampia discussione e bibliografia sull’argomento in:
Atti del XIX Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia “Megale Hellàs: nome e immagine”, mentre un recente
contributo viene da D. Musti, L’idea di Megale Hellàs in: Strabone e la Magna Grecia , cit., pp. 61-94.
9
Anche su questo argomento pagine fondamentali sono state scritte da E. Lepore, Per una fenomenologia storica del
rapporto città-territorio in Magna Grecia, in “Atti” del VII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “La
città e il suo territorio”, Taranto-Napoli, 1967, pp. 29-65.
10
Ellanico di Lesbo definisce l’ecista “ò tés apoikìas eghemòn” ( = colui che guida , che è capo della colonia, Hellan, fr.
84). Cfr. anche Erodoto, IV, 153 e 155 e I. Makin, Wath’s in Name? The Eponyomus Founders of Greek Colinies,
“Atheneum”, 1985, pp. 114-130; R. van Compernolle, La Sicilia e la Grecia arcaica fino alla fine del VI sec.: l’apporto
delle fonti letterarie, “Kokalos”, 1984/85, pp. 23-62; H. van Effenterre, La citè grecque, Paris, 1985, cap. IX, pp. 200-203.
11
Per tali figure si crea in genere la dimensione del semidio, come avviene per Teseo ed Heracles, ma anche per gli eroi
omerici e per tutte le figure di uomini che in qualche modo vengano in contatto con l’ignoto e il divino; così le generazioni
degli uomini diventano parallele a quelle degli dèi e nasce (già prima di Esiodo) una doppia teoria mitopoietica orientata
nello spazio e nel tempo del Cosmo e della Terra: cfr.: P. Philippson, Genealogie als Mithische Form: Studien zur
Theogonie des Hesiod, Oslo, 1936 (trad. it. Origini e forme del mito greco, a cura di D. Sabbatucci, Boringhieri, Torino,
1983, pp. 25-65); J. P. Vernant, Il mito esiodeo delle razze. Tentativo di analisi strutturale ed Il mito esiodeo delle razze.
Su un tentativo di messa a punto in: Mito e pensiero presso i Greci - Studi di psicologia storica (trad. it. Einaudi, terza
edizione, 1984, pp. 15-90 e 93-145).
12
È da più parti stata sottolineata l’importanza della consultazione oracolare, da una parte ai fini della legittimazione
dell’ecista e della città che lo manda a fondare la colonia, dall’altra per la felice riuscita della stessa impresa di
colonizzazione, in quanto il santuario della divinità oracolare, con il suo continuo flusso di pellegrini da tutto il mondo
antico (soprattutto di commercianti, avventurieri e pirati) costituiva una preziosa fonte di informazioni su destinazioni e
rotte: è qui che il progetto coloniale esce dall’ignoto e molte colonie manterranno a lungo il ricordo della propria origine
delfica o comunque oracolare. Su questo argomento molto si è discusso in passato; cfr. H. Berve, Das Delphische Orakel,
in: Gestaltende Krafte der Antike, Munchen, 1949, p. 9 ss; W. G. Forrest, Colonization and the Rise of Delphi,
“Historia”, 6, 1957, p. 166 ss.; G. Pugliese Carratelli in: "Parola del passato", 26, 1971, pp. 401 ss.
13
Esempio emblematico è Teocles, figura di ecista mitico che conduce sulle coste siciliane un folto gruppo di coloni tra
cui Calcidiesi, Megaresi, altre genti di stirpe ionica e dorica oltre agli onnipresenti ateniesi che più tardi rivendicarono i
natali dell’eroe; per la discussione delle fonti su Teocles vedi J. Bérard, La Magna Grecia, Torino, Einaudi, 1976, pp. 83-
115.
14
Sull’annosa questione dell’aggressività dei Greci nei confronti degli indigeni in rapporto alle tecniche dell’astuzia
altrove indicate dalle fonti (come nel caso di Metaponto), il contributo più recente, cui si rimanda per la bibliografia
precedente, è di G. Viapiano, Biai Labein Thn Polin: Greci e indigeni nella tradizione letteraria sulle fondazioni coloniali
in Italia meridionale, “Annali della facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Perugia”, vol. XXIV, nuova serie X,
1986, pp. 305-326.
15
Nel rituale di fondazione il “ghès anadasmòs” ( = la divisione della terra coltivabile) era sempre preceduto dalla
delimitazione del “témenos” ( = recinto sacro) ove il dio avrebbe preso dimora in attesa di ricevere un luogo di culto
stabile, in pietra: questa cerimonia era officiata dall’ecista, che diventa così anche sacerdote e fondatore del culto cittadino
(cfr. J. Bérard, op. cit., p. 83 ss.; e anche Platone, Le Leggi, VIII, 848d).
16
Sebbene l’attività di legislatore vero e proprio sia in genere attribuita a figure semimitiche e di origine propriamente
magnogreca come Caronda di Catania e Zaleuco di Locri: in questo caso l’ecista è piuttosto colui che programma la
gestione dell’insediamento, mentre il “nomothetès” in senso stretto si occupa perlopiù della codificazione del diritto
penale. Un esempio di ecista legislatore è il fondatore di Taranto, Phalantos.
17
Cfr. Antioco di Siracusa , cit. in Strabone, Geografia, VI, 278-79=3, 2; Eforo di Cuma, cit. in Strabone, ibid., VI, 279-
80=3, 3; Diodoro Siculo, Storie, fr. VIII Vogel: le fonti sono discusse in J. Bérard, op. cit., p. 161 ss; cfr. anche G. Pugliese
Carratelli, Storia civile, in: Megale Hellàs, cit., spec. p. 53 e ss.
18
Cfr. Hyppis di Reggio, cit in Zenobio, Proverbi, 3, 32=Jacobi, F. G. H., fr. 1 e Antioco di Siracusa, cit. in Strabone, VI,
262=555 Jac., fr. 10; cfr. su questo argomento M. Giangiulio, Deformità eroiche e tradizioni di fondazioni, “Annali della
Scuola Normale di Pisa”, Classe di Lettere e Filosofia, 1981, pp. 1-25.
19
Cfr. Tucidide, La guerra del Peloponneso, VI, 3, 2; Strabone, op. cit., VI, 269-70=2, 4; Stefano Bizantino, Ethnikà, s.
v. “Archìas” e “Miskellos”; su Hys di Helike, cfr. soprattutto Strabone, op. cit., VI, 263.
20
Egli ha infatti tentato di sovvertire il diritto costituito degli Spartiati a conservare la propria supremazia sugli schiavi
Iloti, seppure di questi Iloti essi si fossero serviti per evitare l’estinzione della città stessa e dunque per un causa che di
fatto costituiva una deroga alla costituzione stessa; cfr. Tepompio di Chio, cit. in Ateneo, Deipnosofisti, VI, 271.
21
Strabone, op. cit., VI, 265=1, 15 e Dionigi d’Alicarnasso, R. A., fr. XIX, 3.
22
Soprattutto le tradizioni che tendono ad attribuire ad Atene la prerogativa di grande colonizzatrice e padrona fina dalla
notte dei tempi di tutto il Mediterraneo, frutto della propaganda ateniese del V sec. a.C.
23
Non a caso, in ambiente, in ambiente coloniale prendono corpo tradizioni alternative a quelle greche ma
oggettivamente in linea con esse quali quella sulla “yghièia” ( = salute) crotoniate, che produrrà la stagione aurea degli
Olimpionikai magnogreci; cfr. A. Mele, La storia di Crotone in: Atti del XXIII Convegno Internazionali di Studi sulla
Magna Grecia, “Crotone”, Taranto-Napoli, 1983, p. 5 ss.
24
Cfr. Lykophron, Alexandra, vv. 724-25; Eustath., schol ad Homer., Od. IX, 392.
25
”Pur senza trascurare le innegabili interferenze e persino l’esistenza di colonie miste, ben note alla tradizione, occorre
tenere in conto maggiore che per il passato l’esistenza di mete preferenziali delle diverse imprese coloniali, che tendono
spesso a recuperare condizioni simili a quelle di partenza e a costituire aree di una qualche omogeneità, talora interrotte da
enclaves ora più ora meno tollerate. È innegabile che da Crotone a Sibari si crei un’area achea che ovviamente non sbocca
nella creazione di una unità territoriale e politica: le poleis restano autonome, ma costituiscono, o riscoprono
puntualmente, nel corso del tempo, forme di solidarietà che sono di natura culturale, cultuale, economica e politica in
senso lato" (D. Musti, Storia greca, cit., pp. 188-189).
26
Per la bibliografia, ormai abbastanza estesa, sull’Età Oscura cfr. V. R. d’A. Desbourugh, The Last Mycenaeans and
their Successors, Oxford, 1964; A. M. Snodgrass, The Dark Age of Greece, Edimbourgh, 1971; J. N. Coldstream,
Geometric Greece, London, 1977; AA.VV., Bronze Age in the Aegean, Duckworth, 1973.
27
Cfr. M. Moggi, I sinecismi interstatali greci, I, Dalle origini al 338 a. C., Roma, 1976.
28
Questa ipotesi, sostenuta da chi scrive nella tesi di laurea Ricerche sull’Achaia preistorica ed arcaica, è parzialmente
suffragata da Musti, Storia greca, cit., pp. 201-206.
29
Sul rapporto tra città coloniale e madrepatria esiste una vasta bibliografia, sebbene ancora non sia possibile
individuare l’esatta situazione sociopolitica della Grecia nell’VIII sec. a.C.: per l’impostazione del problema cfr. E. Will,
Sur l’evolution des rapports entre colonies et metropoles en Grece a partir du VI siecle, “La Nouvelle Clio”, 6, 1954, pp.
416-440; fondamentale è il testo di J. Graham, Colony and Mother City in Ancient Greece, Manchester, 1964; cfr. anche
S. C. Humpreyes, Colonie e madrepatria nella Grecia antica, “Rivista storica italiana”, 78, 1966, p. 912, n. 1.
30
Di Metaponto, in particolare, si conoscono sia la configurazione urbana che quella del territorio: cfr. Atti del XIII
Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia, “Metaponto”, Taranto-Napoli, 1973-74 (spec. D. Adamesteaunu
“Problemi topografici ed urbanistici metapontini”, p. 153 ss e D. Mertens, “L’architettura”, p. 187 ss); a Metaponto è
parimenti dedicata la monografia, curata dagli stessi autori, Metaponto, I, supplemento a “Notizie degli scavi”, Roma,
1981; sul territorio metapontino cfr. D. Adamesteanu-C.Vatin, L'arriere-pays de Metaponte, "Crai", 1976, p.110 ss.
31
L’istituzione di “ilotìa” e “perioikìa” ha origine nella Grecia propria, in particolar modo in ambiente Peloponnesiaco
(la questione degli Iloti genera la rivolta che porterà alla fondazione di Taranto, cfr. supra, nota n. 17); in ambiente
magnogreco il rapporto con re e popoli indigeni è testimoniato per Metaponto, Temesa e varie città siceliote.
32
È il caso dell’insediamento indigeno dell’Incoronata, tra Siris e Metaponto, distrutto radicalmente all’arrivo delle
popolazioni achee, mentre, non lontano, gli insediamenti di Amendolara e Policoro-Serroni mostrano continuità, scambio
culturale e progresso in presenza dell’elemento ellenico; cfr. J. de la Genière, Modes de contacts..., cit. p. 271 ss; C.
Sacchi, Le fonti archeologiche su Siris, “Parola del passato”, 1, 1990, p. 89 ss.; cfr. anche E. Lepore, I Greci in Italia in :
Storia della società italiana, vol. I, p. 217.
33
Cfr. F. Castagnoli, La pianta di Metaponto: ancora sull’urbanistica ippodamea, “Rendiconti dell’Accademia dei
Lincei”, XIV, 1959, p. 49 ss; D. Asheri, Osservazioni sulle origini dell’architettura ippodamea, “Rivi-sta storica italiana",
LXXVII, 1975, p. 5 ss.
34
Ciò al di là delle possibili interpretazioni in chiave democratica o comunque isonomica della spartizione delle terre e
degli spazi collettivi che sono effettivamente presenti nelle città.
35
Strabone, Geografia, VI, 264=1, 14; cfr. J. Bérard, op. cit., pp. 191-198; cfr. D. Musti, Storia greca, cit., p. 181 ss.
36
Erodoto, Storie, I, 164-167; Strabone, Geografia, VI, 252=1, 1; J. Bérard, op. cit., pp. 156-158.
37
J. Graham, op. cit., p. 4 ss; E. Lepore, Strutture della colonizzazione focea in occidente, “Parola del passato”, 88,
1970, p. 35; J. Graham, in “Journal of Hellenic Studies”, 91, 1971, p. 23 ss; D. Asheri, Storia della Sicilia. La Sicilia
antica, a cura di G. Vallet ed E. Gabba, I, 1, 1979, p. 98 ss.
38
Il problema del sovrappopolamento causa della colonizzazione è molto sentito dalle fonti arcaiche come Archiloco (fr.
54 Diehl) ed Esiodo (Opere, v. 528 e fr. 130 Merkelbach-West),ed è enfatizzato dalla bibliografia moderna sulla caduta dei
Regni Micenei, poiché a partire dalla fine dell'età del Bronzo (XIII-XII sec. a.C.), ondate di esuli dall'Argolide, Messenia e
Laconia si riversarono nelle regioni interne e settentrionali del Peloponneso (Achaia, Arcadia, Elide), a Cipro, a
Kephallenia (odierna Cefalonia) ed in varie regioni della Grecia nordoccidentale (Acarcania, Etolia etc.); a partire da
questo momento; in quasi tutte le regioni della Grecia, a seguito forse dello stanziarsi nel Peloponneso Orientale dei fa-
migerati Dori, di cui si cercano ancora oggi invano sicure tracce archeologiche, ma la cui realtà storica è ormai accettata
[cfr. D. Musti (a cura di), Le origini dei Greci, Dori e mondo egeo, cit.; v. conclusioni L. Godart, p. 412 ss.], incomincia
un processo di crescita della popolazione che si intensificherà in particolare tra il X ed il VII sec. a.C.; una indagi ne
statistica al riguardo è in A. M. Snodgrass, Archaic Greece, The Age of Experiment, London, 1980, specie p. 23 ss.; altro
testo assai utile in tal senso è P. Courbin, La ceramique geometrique de l'Argolide, Paris, 1966, dove la disamina
tipologica delle forme ceramiche conduce ad una ricostruzione di mutamenti nei costumi, nella dieta e nella cultura
dell'Argolide, protagonista tra la fine della Dark Age e l'inizio dell'età arcaica, di una autentica rivoluzione, con
l'emersione a centro egemone di Argo ed il tramonto definitivo di Micene; ancora la ceramica geometrica è al centro
dell'interesse di J. N. Coldstream, Greek Geometric Pottery, Cambridge, 1968, opera monumentale sulla ceramica
geometrica divenuta ormai la base per ogni successivo ragionamento sulla cultura materiale della Grecia dell'Età Oscura;
infine non si può prescindere, riguardo a questi argomenti, dalla fondamentale opera di V.R. D'A. Desborough, The Last
Mycenaeans and their Successors, Oxford, 1964, ancor oggi testo base per il dibattito sulla Grecia post-micenea. Una
rapida ed utile sintesi delle varie posizioni si trova in D. Musti, Storia greca, cit., cap. I, p. 97 ss.+ tav. 9a e 9b. Per
l'Achaia in particolare e l'arrivo dei profughi, cfr. E. T. Vermeule, The Mycenaeans in Achaea, "American Journal of
Archaelogy", n. 64, 1960, pp. 1-41.
39
Cfr. sulle presenze micenee in ambiente indigeno L. Vagnetti (a cura di), Magna Grecia e mondo miceneo. Nuovi
documenti, Allegato a: "Atti del XXII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna Grecia”, Taranto, 1982 ed anche
Eadem, I Micenei in occidente, in "Modes de contacts...", cit., p. 165-185; interessante anche, a proposito della continuità
tra culti greci ed indigeni in Sicilia, M. Giangiulio, Greci e non-greci in Sicilia alla luce dei culti e delle leggende di
Eracle, ibidem, pp. 785-846. Anche alcune delle colonie di età arcaica, come Pithekussai (odierna isola d'I schia, nel Golfo
di Napoli), si trovano sulla via dei metalli che congiunge la Grecia con il lontano Occidente (Spagna, Francia etc.) e le
fonti parlano, per l'isola, di "Xrysèia"(= miniere d'oro secondo alcuni, ma più probabilmente officine per la lavorazione di
metalli preziosi); sul complesso problema dell 'approvvigionamento di metalli tra l'Età del bronzo e l'Età arcaica, cfr. J. D.
Muhly, Copper and Thin. The Distribution of Mineral Resources and the Nature of The Metal Trade in the Bronze Age, in
"Transactions of the Connecticut Academy of Arts and Sciences", n. 43, 1973, pp. 155-535 e n. 46, 1976, pp. 77-136.
Relitti di queste frequentazioni e base per il successivo orientarsi della colonizzazione sono individuati nei santuari
extraurbani da G. Pugliese Carratelli, I santuari extraurbani, in "Magna Grecia", vol. I, Milano, 1985, p.135 ss.; sorti in
corrispondenza di empori o mercati di età micenea, tali santuari avrebbero sempre rappresenta to l'incontro tra il mondo
greco e quello indigeno. Mancano tuttavia prove concrete della continuità, mentre emerge, in colonie sicuramente di età
arcaica come Crotone, un ruolo diverso dei santuari extraurbani, più legato alla funzione del territorio ed alla difesa della
città, come è reso evidente da A. Mele, Crotone: la storia, in "Atti del XIII Convegno Internazionale di Studi sulla Magna
Grecia", Taranto, 1983, p. 4 ss. Resta pertanto indimostrabile il nesso diretto tra colonizzazione e precolonizzazione, ma
resta tuttavia valida l'ipotesi che, grazie a tali frequentazioni, i Greci non affrontassero del tutto all'oscuro la navigazione
del Mediterraneo (cfr. E. Lepore, I Greci in Italia, in: Storia della società italiana, cit., pp. 16-221).
40
The Dark Age of Greece, Edimbourgh, 1971, p. 415.
41
Ibidem, pp. 416-418.
42
I nobili Achei e Troiani sono infatti, nei poemi omerici, soprattutto “Ippodamoi” ( = domatori di cavalli) ; “Ippobotai”
( = allevatori di cavalli) sono definiti gli aristocratici signori della Tessaglia, dell’Argolide e di altri potenti regni post-
micenei; “Ippèis” ( = cavalieri) sono gli aristocratici della Sparta e dell’Atene arcaiche, coloro che combattono a cavallo e
che, avendo la possibilità economica di allevare, mantenere ed armare un’unità di cavalleria, costituiscono di fatto il nerbo
dell’esercito cittadino e della classe dirigente politica per tutta l’età arcaica. L’arte dell’”Ippoplasia” ( = addestramento dei
cavalli) e dell’”Ippoptrophìa” ( = allevamento dei cavalli, in senso stretto) si affermerà in ambiente magnogreco più tardi,
intorno alla seconda metà del VI a.C. e l’arte della cavalleria sarà abbondantemente praticata dalle popolazioni indigene
del Bruzio e della Campania.
43
L’introduzione della fanteria a piedi e dello schieramento oplitico appartiene alla prima metà del VII sec. a.C., come
testimonia la prima rappresentazione di una falange oplitica a noi nota, sull’oinochoe corinzia nota come Olpe Chigi
(datata 630 a.C. circa); tuttavia, ancora nel V sec. a.C., durante le Guerre Persiane (494-490/480-79) a.C.), la cavalleria
costituiva la risorsa decisiva per l’attacco greco; non a caso, gli Ippeis compaiono ancora nella riforma di Solone e soltanto
tra di loro vengono scelti i Pentakosiomedimi, cioè i più ricchi tra i cittadini, destinati alle cariche più elevate della
conduzione della politica cittadina: dunque, l’egemonia militare dei cavalieri dura in Grecia dal IX al V sec.. a.C.,
sopravvivendo anche all'avvento della democrazia ad Atene.
44
A tal proposito abbiamo una serie sconfinata di reperti archeologici, provenienti da quasi tutte le aree della Grecia, che
testimoniano l’im-portanza del cavallo anche nell’impianto cultuale di età arcaica: morsi e finimenti equini sono stati
ritrovati in tombe di Argolide , Beozia ed Attica (talvolta il cavallo stesso è sepolto con il suo cavaliere ), cavallini in
bronzo e ceramica sono frequenti e tipici delle dediche peloponnesiache (nei due tipi lacone e corinzio) nei principali
santuari del mondo greco. Poseidon Hippios è frequentemente rappresentato con due cavalli al guinzaglio sulla ceramica
argolica e rodia del periodo Geometrico ed Orientalizzazione (IX-VII sec. a.C.); l’epiclesi di Hippios attribuita a Poseidon
si ritrova per Athena, Hippia e “Xalinitis” ( = dea del freno/morso). Cfr. per la situazione archeologica F. Canciani, La
crisi della cultura geometrica in: Storia e civiltà dei Greci, cit., vol. I, pp. 291-325.
45
Anche in Magna Grecia avremo situazioni simili, ma in ambiente indigeno, nelle tombe principesche del melfese,
pertinenti a straordinarie aristocrazie ellenizzate di VII e VI sec. a.C. (cfr. B. D’Agostino, Le genti della Basilicata antica
in: Italia... Parens, cit., p. 193 ss.).
46
Le aristocrazie coloniali, specie quelle siciliote, non si connotano con l’epiteto di Ippobotai, ma con quello di
“Gamoroi” ( = possessori di terre); Metaponto, come abbiamo ricordato, ha come simbolo poliadica sulle sue emissioni
monetali, la spiga d’orzo.
47
Cfr. supra, nota n. 43; cfr. anche A. M. Snodgrass, The Hoplite Reform and History, "Journal of Hellenic Studies",
LXXXV, 1963, pp. 110-122.
48
Sebbene dobbiamo guardarci dal generalizzare la suggestione, forte di fronte a territori parcellizzati omogeneamente
ed alla presenza precoce di luoghi pubblici ed assembleari come il "bouleutèrion" [= luogo di riu nione del Consiglio della
Boulè, l'assemblea legiferante dei cittadini sia in regime democratico che timocratico (vale a dire quello inserito ad Atene
da Solone all'inizio del VI sec. a.C.)], di considerare le società coloniali arcaiche come democrazie ante-litteram. A tal
proposito scrive M. I. Finley in Early Greece: The Bronze and the Archaic Ages, London, 1970 (trad. it. Laterza, Bari,
1972, pp. 123-124):

Il comune vocabolo greco per indicare questi nuovi insediamen ti all'estero, "apoikìa", significa "emigrazione" e non implica
il senso di dipendenza inerente al nostro "colonia". Di regola, ogni "apoikìa" era già in partenza, deliberatamente, una
comunità indipendente, che conservava legami sentimentali e spesso religiosi con la città-madre, ma che non le era soggetta
né da un punto di vista economico né politico. Di fatto, la loro indipendenza aiutava a conservare rapporti amichevoli con la
loro vecchia patria, in quanto consentiva di evitare risentimenti e conflitti che insorgono comunemente nelle condizioni di
dipendenza coloniale. La designazione di città-madre, si dovrebbe aggiungere, era spesso una scelta un po’ arbitraria, dato
che molti tra i nuovi insediamenti erano fondati da coloni provenienti da più di una località del mondo greco.

Dunque non ha senso, come molta letteratura sulla colonizzazione ha fatto, considerare le colonie come superfetazioni o
come copie in carta carbone del sistema politico della madrepatria; se Taranto è colonia di Sparta, ciò non implica
necessariamente che dovesse essere retta da una diarchia e che i suoi cittadini dovessero avere le stesse caratteristiche
politiche degli Spartiati, anzi, molte delle leggende di fondazione (ed in tal senso l'Achaia costituisce un po’ un'eccezione)
sottolineano l'opposizione originaria tra la situazione socio-politica greca ed i componenti delle spedizioni coloniali.
Parimenti non ha probabilmente fondamento la vecchia tesi del Giannel li, in base alla quale la polis nel senso di città-
Stato non nascerebbe in Grecia, ma proprio nelle colonie e che a tale modello si sarebbe adeguata la madrepatria. In realtà
il concetto stesso di città-Stato è una creazione moderna o comunque modernizzante (cfr. F. De Martino, Il modello della
città-Stato in: Storia di Roma, vol. IV, Torino, 1989, pp. 433-457): diremo allora che nell'VIII sec. a. C. esisteva
certamente in Grecia un modello di città, ma esso era diverso da quello della città coloniale; essenzialmente, la differenza
tra i due modelli ed i sistemi politici ad essi pertinenti (lo vedremo meglio in seguito) sta proprio nel rapporto con il
territorio, mentre non ha forse tutto il peso che gli è stato attribuito il carattere di autosufficienza della città coloniale,
carattere che è di norma presente in Grecia fin dall'inizio della civiltà urbana.
49
Gli eroi Greci che assediano Troia mangiano esclusivamente carni arrostite e particolare cura è assegnata,
nell'Odissea, alla descrizione dei banchetti e della preparazione e spartizione delle vivande; l'uomo forte è colui che si ciba
di carne e di vino ed è per questo che anche il vecchio Laerte, padre di Ulisse che ha ormai rinunciato al suo trono, nel la
sua vecchiaia operosa "lontano dai campi vive in miseria, servito da una vecchia, la quale gli serve carne e bevande
quando la stanchezza lo prostra, mentre si trascina lungo i terreni alti della sua vigna" (Od., I, vv. 189-93, trad. it. O.
Nemi); anche il Porcaro Eumeo, prima della riscossa di Ulisse, gli ammanisce dalle sue povere risorse la carne migliore
(Od., XIV, vv. 432 ss.). Il passaggio tra l'economia d'allevamento e quella agricola, con conseguente mutazione di valori, è
ben rappresentata nel mito esiodeo delle razze cfr. J. P. Vernant, Mithe et pensée, chez les Grecs, cit., trad. it, Einaudi,
Torino, 1984, p. 24 ss.), dove si specifica che gli uomini della razza di bronzo (il corrispondente umano ed in qualche
modo ferino degli eroi omerici) "non mangiano pane" (Esiodo, Opere, vv. 146-147) ed "arano con il bronzo" (vv. 150-
151): qui l'aratura assume un significato di rito militare, quasi a voler ancora una volta sottolineare la distanza tra questa
incredibile razza di guerrieri e quella degli "uomini di ferro", quelli cioè della quinta razza della classificazione esiodea,
quelli cui lo stesso poeta appartiene (siamo nel VII sec. a.C.), qui, l'uomo è essenzialmente descritto come un agricoltore,
che con il "pònos", il duro lavoro, si procura il "sìtos" il grano e/o pane quotidiano (altrove "bìos"); egli è soggetto alla
dura legge del lavoro a lui imposta da Zeus a seguito della "Hybris" (= violenza, empia tracotanza) delle razze che lo
hanno preceduto, e soltanto assoggettandosi pienamente a questa "Dìke", il dio si degnerà di compensare il suo lavoro con
l'abbondanza e gli riempirà il granaio di cibo (vv. 306 ss.). Abbiamo dunque un passaggio netto, che configura un
mutamento nelle strutture economiche della Grecia arcaica a partire dal VII sec. a.C., e che non sembra essere adatto alla
temperie storica della colonizzazione.
Lo stesso M. Weber (Agrarverhaltnisse im Alterum, Die Sozialen Grunde des Unterntergangs der Antiken Kultur,
Tubingen, 1909, trad. it., Storia economica e sociale dell'antichità, Editori Riuniti, Roma, 1981, pp. 122-123) scrive:

Solo sotto i tiranni [scil. nel VII sec. a.C., n.d. r.], che favoriscono decisamente i piccoli coltivatori, l'agricoltura comincia a
relegare in seconda linea l'allevamento. Al tempo dei poemi epici l'alimentazione si basa fondamentalmente sul latte e sui
latticini, oltre che sulla carne, il cui uso tuttavia è limitato alle famiglie nobili. (...). Il re e i nobili posseggono metalli
preziosi e suppellettili eseguite in bronzo o metallo pregiato; ma la loro principale ricchezza è il be stiame (...) Il cavallo,
allevato nelle vaste pianure dell'Eubea e della Tessaglia, è utilizzato a scopo militare...

Pertanto il predominio dell'agricoltura sulla pastorizia significa un incremento nell'importanza assegnata all’individuo,
al piccolo proprietario, e dunque alla fine delle aristocrazie in senso stretto: tale passaggio è completamente saltato dalla
società coloniale, che si organizza al di fuori degli schemi, ma con un'idea che è l'unico vero retaggio della ma drepatria:
quella di dominare il nuovo, eliminare l'"agnostos", costruire la propria nuova Hellàs.
50
Anche in questo siamo molto lontani dall'ottica cavalleresca delle società greche arcaiche da cui i nostri coloni
provengono: un dato in più per sostenere l'atteggiamento di completa indipendenza della nuova comu nità rispetto al
sistema politico della patria. L'impressione è che essi portassero con sé un concetto molto più "romantico"
dell'appartenenza alla Grecia, ma anche una sostanziale voglia di nuovo, che li porta, come abbiamo visto, anche a negare
princìpi cardine della loro esistenza prima del viaggio; in questo caso, la necessità di essere sempre e necessariamen te in
armi, che molto doveva averli segnati in patria. Non dimentichiamoci che l'istituto dell'esercito cittadino ha sempre creato,
anche in età classica, notevoli problemi economici, soprattutto in presenza di sviluppo agricolo del territorio della città: il
cittadino-cavaliere-oplita, doveva lasciare i propri campi, spesso nella stagione più importante, la primavera, per recarsi a
combattere, e non di rado al ritorno trovava il suo podere distrutto dal nemico ed era pertanto costretto a venderlo per non
perdere la possibilità di armarsi e restare in possesso dei suoi diritti civili. Questo fenomeno, importantissimo a Sparta fin
dall'VIII sec. (guerre Messeniche, che come abbiamo visto portarono alla fondazione di Taran to), ebbe conseguenze
catastrofiche per Atene che, alla fine del VII sec. a.C., si trovava con un terzo dei suoi cittadini ridotti in miseria o, peg gio,
venduti all'estero come schiavi: di qui i provvedimenti estremi presi da Solone, il quale proibì la rivalsa per debiti sulla
libertà personale ed operò la "Seisàchteia" (= scuotimento dei pesi), una sorta di sanatoria fiscale collegata ad una
svalutazione monetaria atta a ripianare la dram matica situazione dei debiti pubblici e privati ed evitare l'ascesa inar -
restabile del latifondo. Su quest'ultimo argomento bellissime pagine sono state scritte da L. Gernet, Les Grecs sans
miracle, Paris, 1983, (trad. it. Editori Riuniti, Roma, 1986, pp. 106-109); M. Weber, op. cit., p. 154 ss. e da M.
Rostovtzeff, A History of the Ancient World, 2 voll., Oxford, 1928/1930, (trad. it. Sansoni, Firenze, 1975, p. 213 ss.); cfr.
anche D. Musti, Storia greca, cit., pp. 232-235.
51
Cfr. M. Weber, op. cit., p. 138 ss; per l’urbanistica delle città coloniali cfr. E. Greco/M. Torelli, Storia dell’urbanistica
- Il mondo greco, Roma-Bari, 1983, cap. VI, pp. 149-226. Il mondo indigeno, pur non concependo la città come un
contesto chiuso, assorbe ben presto il concetto di “enclave” territoriale, e pertanto specializza abbastanza presto tecniche di
muratura e recinzione ( es. quella ad aggere, che permetteva di avere mura anche possenti senza grande utilizzo di pietra,
attuata ancora nella Pompei Sannitica), che recingono tuttavia uno spazio puro e non uno spazio urbano.
52
C. Mossè, Ithaque ou la naissance de la citè, “Annali dell’Istituto Orientale" di Napoli, Sez. di Archeologia e Storia,
vol. II, 1980, pp. 7-19.
53
Lo stesso Rostovtzeff (op. cit.), che pure è straordinariamente all’ avanguardia per molti versi, scrive a tale proposito:

... Alla fine del II Millennio a.C. la civiltà Egea in Grecia divenne più rozza e prevalsero forme di vita e di arte più
primitive. È evidente che le forze creative della Grecia micenea erano esauste.
54
C. Mossè, op. cit., pp. 7-8.
55
Cfr. supra nota n. 49; anche il poeta arcaico Archiloco fa menzione del nuovo tipo di alimentazione, parlando del suo
essere mercenario per fame e della dura vita dell’uomo di mare, che mangia cibi poveri e cotti in fretta e beve vino pieno
di feccia (fr. 4 Diehl).
56
Come ancora lo stesso Archiloco (fr. 3 Diehl), che addirittura comunica di aver gettato lo scudo per salvare la propria
vita in guerra: quanto siamo lontani dall’orizzonte dei valori delle madri spartane, che consegnando lo scudo al figlio che
partiva per la guerra dicevano: “Figlio, o con questo (= vivo) o sopra di questo (= morto da eroe)!".
57
C. Mossè, op. cit., p. 9.
58
Od., IV, v. 173 ss.
59
Cfr. supra, nota n. 31 (fonti sulle guerre Messeniche e la fondazione di Taranto)
60
Od., III, v. 31 ss.
61
Cfr, M. I. Finley, op. cit., pp. 77, 114.
62
G. Nenci, Spazio civico, spazio religioso e spazio catastale nella polis, “Annali della Scuola Normale di Pisa”, Classe
di Lettere e Filosofia, Serie III, vol. IX, 2, 1979, pp. 459-477.
63
H. van Effenterre, La citè grecque, cit., p. 200 ss.
64
È esemplare, a questo proposito, la tecnica di avvicinamento alla meta finale, che in più casi, come quello di Siracusa,
di Megara Iblea, di Taranto e della stessa Cuma, prevede una prima tappa su quell’isolotto o si di un promontorio sul
mare, dove viene svolta la prima fase del rituale stesso, ovvero la costruzione di un altare sulla spiaggia ed il sacrificio di
ringraziamento; in pratica, con la dovuta prudenza e a distanza di sicurezza, i nostri avventurieri controllano di essere
giunti nel luogo giusto, dopodiché rendono grazie al nume che li ha accompagnati e procedono verso la terraferma.
65
Cfr. E. Lepore, Atti, Taranto, 1967, cit.
66
Cfr. F. De Polignac, La naissance de la citè antique, Paris, 1984, trad it.. Jaca Book, Milano, 1991, p. 53 ss. (in
particolare, p. 53, nota 17).
67
Cfr. supra, pp. 14-15.
68
G. Sisa/M. Detienne, La vie quotidienne des Dieux grecs, Paris, 1989, trad. it. Laterza, Bari-Roma, 1989, pp. 132-
136.
69
Qui gli autori si riferiscono ai vari Palladia, statue di Athena, ma in genere immagine del culto che il fondatore
fuggiasco di una colonia greca porta con sé; nell’economia del nostro ragionamento è perfettamente chiaro che la
straordinaria abbondanza di Palladia e di statue di divinità presenti nelle tradizioni di fondazione greca, in territori non
tradizionalmente ellenizzati come il Lazio e l’Apulia, possa indicare la marginalità del fenomeno di un Enea o di un
Diomede che fuggono verso l’occidente con i Penati o la statua di Athena sotto il braccio, pronti a fondare un nuovo
Partenone, ripristinare il santuario di Athena Ilìas. Nella realtà storica della colonizzazione, gli dèi devono acquistare
funzioni specifiche, adattarsi anch’essi, come gli uomini, alla nuova città.
70
Eclatante è il caso della rappacificazione, in territorio crotoniate, di Hera ed Herakles: nella protezione del territorio di
Crotone, dove sono titolari di santuari limitanei, tra l’urbano e l’extraurbano, la feroce persecutrice di Herakles, la causa
delle famigerate dodici fatiche, accoglie il nemico come alleato e regge insieme con lui le sorti della città. Cfr. A. Mele,
Atti, Taranto, 1983, cit., p. 10 ss.
71
La Demetra di Metaponto è certamente più buona e materna di quella di Eleusi, l’Artemis di Efeso è dea della fertilità
contrariamente alla sua natura di vergine indomita in tutta la Grecia, Athena ha caratteristiche di controllo sulla ferinità
in Apulia e Venetia, contrariamente al suo distacco "ateniese" dal regno della natura.
72
Cfr. M. Giangiulio, op. ult. cit., in Modes de contacts..., pp. 785-846.
73
Non a caso utile, ma talvolta fuorviante può risultare l’unico testo riassuntivo dei culti magnogreci, G. Giannelli, Culti
e miti della Magna Grecia, Firenze, 1963, ove tarde attestazioni possono essere facilmente scambiate per caratteri
originari.
74
F. De Polignac, op. cit., p. 53-54.
75
È il caso del fondatore di Megara Iblea, ad esempio.
76
Cfr. M. Detienne, I limiti della spartizione in Grecia, in C. Grottanelli/N. F. Parise (a cura di), Sacrificio e società nel
mondo antico, Bari-Roma, 1988, p. 177 ss.
77
Cfr. F. Castagnoli, Ippodamo di Mileto e l’urbanistica a pianta ortogonale, Roma, 1956; P. Leveque/P. Vidal-Naquet,
Clistene l’Athenien: essai sur la representation de l’espace et du temp dans la pensée politiche grecque de la fine du VI
siecle a la mort de Platon, Paris, 1964.
78
Una complessa rete mitologica connette questi particolari ritrovamenti con il mondo indigeno da una parte e con la
figura dell'eroe greco Diomede: questi, infatti, fuggendo una congiura tesagli dalla moglie Aighia liea, giunge, con la nave
zavorrata da pietre della rocca troiana, sulle coste della Iapigia (odierna Puglia), dove utilizza questi cippi per deli mitare il
territorio ove fonderà la città di Brindisi e molte altre (Strabone, VI, 283-84=3, 9; V, 215=1, 9); egli porta con sé il
Palladio troiano contesogli da Ulisse, e sarà il fondatore del culto di Athena Iliàs in territorio iapigio (Pseudo-Aristotele,
De Mir. Ausc., 109). Nella cultura indigena dei Iapigi, relitto di questa tradizione, (forse di VI sec. a.C. nella forma in cui
la conosciamo, poiché Mimnermo è la nostra fonte più antica) sono le famose tele daunie, lastre di pietra poste come
segnacolo funerario sulle tombe, rappresentanti il defunto (o la defunta), in veste cerimoniale riccamente decorata, sulla
quale spesso sono incisi o dipinti episodi del mito e della vita quotidiana; questa eccezionale classe di mo numenti è
chiaramente in relazione con l'immagine di Diomede che vede i suoi "Oroi", gettati in mare dall'ostilità del re Dauno (cfr.
Mimnermo, fr. 23 Bergk apud Scholia ad Lykophronis Alexandra, v. 610), ma essi ritornano a galla e si conficcano
nuovamente nel terreno a sancire l'infrangibilità della promessa fatta e l'ineluttabilità dell'avvenuta presa di possesso del
territorio. Su questi temi esiste una vasta bibliografia, di cui citiamo soltanto alcuni esempi: J. Bérard, La Magna Grecia,
cit., p. 355 ss., note 174-203; G. Giannelli, Culti e miti..., cit., pp. 52-61; G. Nenci, Per una definizione della Iapyghia,
"ASNP" (Annali Scuola Normale Pisa), Classe di Lettere e Filosofia, Serie III, VIII, 1978, pp. 43-58.; E. Lepore,
Diomede, in "Epos e Magna Grecia", Atti, Taranto, 1984, cit.; per le Stele Daunie, cfr. la pubblicazione più recente di M.
L. Nava, Stele daunie, I, Firenze, 1980; per i cippi metapontini cfr. bibliografia su Metaponto, cit., e soprattutto
Adamesteanu/D'Andria/Mertens, Metaponto, I, suppl a NSA, 1977.
79
Una trattazione completa di tutti gli aspetti di questa coppia divina ed il suo significato nella organizzazione dello
spazio cittadino è in J. P. Vernant, Mythe et pensée..., cit., cap. III, pp. 147-200.
80
Cfr. P. Orlandini , Le arti figurative, in: Megale Hellàs, cit., pp. 331-554, ove si fornisce un panorama completo,
anche se “a volo d’uccello”, sui vari aspetti e sulla evoluzione dell’arte in Magna Grecia. Nello stesso volume, p. 207 ss,
G. Gullini (“Urbanistica e Architettura”) fornisce gli strumenti per la comprensione dei vari schemi urbanistici
magnogreci.
81
J. P. Vernant, op. ult. cit., p. 152; cfr. anche L. Gernet, Sur le sym-bolisme politique en Grece ancienne: le foyer
commun, “Cahiers Inter-nationaux de Sociologie", II, 1951, p. 29 ss.
82
Megara Iblea e, in Campania, Pompei, ci hanno conservato la parte inedificata, permettendoci di individuare il
progetto urbanistico originale, che includeva all’interno delle mura un’area molto superiore a quella effettivamente
urbanizzata nella prima fase.

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