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Losanna III (Cape Town 2010).

Un’analisi introduttiva
Giuseppe Rizza

A Cape Town 2010 – Losanna III - più di 4000 leader cristiani provenienti da ogni angolo
della terra si sono incontrati per discutere sulle opportunità e sulle sfide che stanno di
fronte alla chiesa globale (e universale) nelle sue dinamiche missionarie, in vista
dell’evangelizzazione del mondo. Si tratta di un congresso organizzato in collaborazione
all’Alleanza Evangelica Mondiale (WEA) che ha fornito un contributo centrale al disegno e
all’attuazione del congresso.

I promotori (da Doug Birsdall, che non è solo … ma ha alle spalle l’eredità pesante di
J.Stott e di B. Graham) hanno così voluto far convergere pastori, teologi e intellettuali,
missionari e agenzie para-ecclesiali, istituzioni e movimenti evangelici a Cape Town, nella
speranza che dalle conversazioni e dalle molteplici interazioni rese possibili da
un’eccellente organizzazione, ognuno sviluppasse una consapevolezza dei problemi e
delle opportunità presenti in ogni parte del mondo. L’obiettivo è quindi quello di
estendere una piattaforma condivisa sulla quale pensare e agire una strategia
missionaria per il XXI secolo.

Nulla, però, si improvvisa. Si parte, infatti, da Losanna I (1974), passando da Losanna II


(Manila, 1989). Il patto di Losanna (1974) rimane ancora uno tra i documenti più
importanti e influenti dell’evangelicalismo. Una specie di “punto di raccolta”, un
epicentro teologico, etico e missionario da cui continuare a trarre guida e beneficio.

Losanna III è - tutto sommato - il tentativo di rinnovare questa visione.

L’evangelizzazione autentica costringe “tutta la chiesa” a portare “tutto il vangelo, a tutto


il mondo”. E “tutto il vangelo” significa, nelle parole di Chris Wright (coordinatore del
Lausanne Theology Working Group), “portare il messaggio di condanna del peccato e della
redenzione e di Dio” e - allo stesso tempo - operare con passione contro “la tirannia
politica, lo sfruttamento economico, la corruzione, la sofferenza dei poveri e degli
oppressi, la brutalità e ogni forma di violenza”.

Nessuno di noi è sufficiente a un obiettivo del genere. Per questo motivo Dio si è creato
un popolo, con una molteplicità di doni e di vocazioni. Solo in questo modo è, infatti,
possibile impegnarsi affinché tutta la chiesa testimoni tutto il vangelo a tutto il mondo.

La scatola nera della rappresentatività: chi, come e perché?

Losanna III è un evento costruito per rappresentare il movimento evangelico nella sua
globalità. Ma quali sono stati i criteri che hanno guidato la selezione dei 4000 e più
delegati? Chi li ha scelti? Chi ha individuato (e perché) la distribuzione dei delegati?

Da quello che ho capito, il processo di selezione è stato lungo e complesso. Tutto inizia
con un “selection commitee”, scelto dal network di Losanna. Questo comitato ha poi
selezionato un “direttore/coordinatore” per ognuno dei quasi 200 paesi; si dovrebbe
trattare di una figura di alto profilo, riconosciuta da tutta la nazione (un “christian
statesmen” secondo Lindsay Brown, direttore internazionale di Cape Town 2010) e in
grado di attivare l’intera testimonianza evangelica del Paese, non solo i propri amici e la

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propria denominazione. Questo direttore/coordinatore mette quindi in piedi, nella sua
nazione, un comitato di selezione che ha il compito di individuare i delegati. I criteri di
massima sono chiari: il 60% dei delegati deve essere sotto i 50 anni, il 10% sotto i 30, il
35% donne (Giappone e Corea però non riescono a portare donne e giovani, non conta
poi se- ad esempio - il rapporto tra donne e uomini nelle chiese giapponesi sia di 7:1) e il
10% deve provenire dal mondo del lavoro e degli affari.

Nel caso italiano il direttore/coordinatore nazionale è stato individuato in Rinaldo


Diprose (IBEI Roma) e il comitato di selezione è formato, oltre dallo stesso Diprose, anche
da Roberto Mazzeschi (AEI) e GC Di Gaetano (GBU) a cui pare essersi aggiunto in un
secondo tempo il contributo di Daniele Salini (Expo 2015). I delegati italiani che hanno
partecipato sono stati 10 (più del doppio e più vario era però il numero dei delegati
invitati). La composizione della delegazione italiana – per quanto capisco – ha
un’interessante distribuzione: AEI (1 delegato); GBU (5 delegati); Expo 2015 (1 delegato);
UCBC (1 delegato); Teen Challenge (1 delegato), IBEI (1 delegato). Di riflesso, pur
riconoscendo la complessità del profilo denominazionale italiano, anche la ripartizione
delle affiliazioni confessionali è espressiva: chiesa dei fratelli e affini (6 delegati), chiesa di
Cristo (1 delegato), riformati (1 delegato), pentecostali (1 delegato), chiese bibliche -
UCBC (1 delegato). In tutto 3 donne e 7 uomini.

Le statistiche di Operation World pare siano state determinanti negli altri paesi. Il
numero dei delegati è proporzionale alla popolazione, anche se un certo numero di
delegati è stato aggiunto per il profilo teologico e missionario di alcuni. Ad esempio, la
delegazione USA conta circa 500 delegati, Canada 60, 230 i cinesi invitati (ma assenti
perché non autorizzati dal loro governo). La Spagna è presente con 25 persone, l’Etiopia
con 60, l’Algeria con 7, la Corea con 120. L’Italia con 10.

Una nota di contrasto. A Edimburgo nel 1910 erano presenti 1200 delegati: 500 nord
americani, 500 britannici, 4 asiatici, 0 africani. Il mondo è cambiato, davvero.

Cape Town 2010 non è quindi una mappa fedele, riprodotta in scala, dell’evangelicalismo
mondiale; Rimane per certo uno degli eventi più globalmente significativi nella storia del
popolo di Dio.

Big Five

Nella cultura del safari africano, big five indica ancora i cinque animali (elefante,
rinoceronte, leone, leopardo e bufalo) più interessanti da cacciare, e di conseguenza i
cinque trofei più ambiti dai cacciatori. I big five coniugano ancora oggi, nei numerosi
turisti che seguono il loro itinerario, eccitazione e romanticismo, curiosità e
sentimentalismo.

Quali sono i big five che rappresentano il potenziale innovativo e/o involutivo
dell’evangelicalimo secondo-Losanna III?

1. I contenuti e il programma

La leadership di Losanna III ha cercato di identificare le sfide più grandi con le quali la
chiesa globale deve valutare e confrontarsi nei prossimi anni: la verità, la riconciliazione,
le religioni del mondo, le priorità, l’integrità e la partnership. L’esposizione di Efesini
offriva i necessari orientamenti biblici, cui seguivano approfondimenti, testimonianze,
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documenti iconografici e multimediali. Le sessioni pomeridiane (multiplex) sono di
rinforzo e di consolidamento. Gli incontri plenari serali servono poi a illustrare l’impegno
dei cristiani evangelici nei diversi continenti e nei molteplici contesti. Molti i temi toccati
con competenza e slancio: dalla persecuzione dei cristiani, alle dinamiche urbane; dalla
giustizia alla riconciliazione.

Losanna III è un rilevante esempio – non sempre lineare, ma comunque esemplare –


dell’unità concettuale di fondo, della dinamica organica e della natura
transdenominazionale dell’intero movimento evangelico.

2. I metodi

Losanna III ha provato a ridurre e riposizionare l’esposizione dei grandi nomi


dell’evangelicalismo e della leadership delle megacomunità nordamericane, fatta
l’eccezione di J. Piper e T. Keller che hanno avuto spazio nelle plenarie. Che l’epoca del
divismo evangelico stia volgendo al termine? Ovviamente tutti gli oratori sono persone
molto note, preparate e di indubbia qualità e integrità ministeriale. Una delle eredità più
forti di Cape Town 2010 rimane (e tale sarà anche nel futuro) comunque l’appello alla
partecipazione e alla condivisione piuttosto che l’ambizione e l’influenza del palco.

Un paio di cose che ne derivano. In primo luogo gli apprendimenti e le elaborazioni più
rappresentative avvengono nei piccoli tavoli, nelle interazioni informali, nei corridoi
piuttosto che nel salone centrale, davanti a un (appena discreto) caffè piuttosto che nelle
aule. È la rivoluzione del network, il potere delle connessioni intense e dirette, la teologia
delle relazioni come sinapsi, il project-building dell’intesa immediata e dello scambio tra
pari. Le dinamiche centraliste e reverenziali, l’attenzione ai vertici e la preoccupazione
gerarchica rimangono elementi che si diradono senza molti rimpianti. Insomma,
benvenuti a Evangelical 2.0. In secondo luogo se la globalizzazione (e un certo suo
assorbimento) ha proposto Losanna I e II come momenti necessari, ha reso Losanna III
possibile (con tutti i suoi movimenti e gli intrecci concettuali), potrà rendere inutile
Losanna IV. Nelle maglie larghe della rete e della virtualità si può, infatti, davvero perdere
una postura evangelica.

3. Una nuova riforma per il XXI secolo?

In un intervento particolarmente autentico e penetrante, Chris Wright ha fatto un


confronto dettagliato dello stato della chiesa, oggi e ai tempi di Lutero. In entrambi i casi,
ha detto, la gente comune è deprivata della parola di Dio; al suo posto si offre una
religione basata su un patto idolatrico, affidando ad un presunto “clero” o mediatori di
vario tipo, benefici e status non giustificabili.

"Qual è il più grande ostacolo alla missione di Dio nel mondo?" ha chiesto Wright. "Non
sono le altre religioni, non è la resistenza o l’opposizione di una cultura. L’idolatria nostra
è il vero grande ostacolo alla missione nel mondo. Noi siamo uno scandalo, una vera
indecenza per la missione di Dio. Una nuova Riforma è il bisogno disperato dei nostri
giorni, e deve iniziare con noi, da noi. Se vogliamo cambiare il mondo, dobbiamo
innanzitutto cambiare il nostro mondo ".

4. L’impegno totale

La crescita impressionante dell’evangelicalismo nel mondo può essere spiegata solo come
una vitalità sostenuta dall’opera dello Spirito. Non si tratta di un gruppo religioso tra gli
altri e confrontabile agli altri. Il movimento attraversa, infatti, tutte le linee confessionali
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senza necessariamente sovrapporsi o identificarsi appiattendosi. Gli evangelici del XXI
secolo stanno quindi provando ad articolare una nuova identità, e Losanna III ne è
testimone. Ne sta emergendo un profilo nuovo, pur se ancorato positivamente al passato.
Dopotutto la teologia e l’esperienza evangelica non è mai stata mera iterazione delle cose
vecchie o rinnovato fondamentalismo privo di contesto.

Losanna III ha prodotto in tal senso una sintesi molto interessante e utile, il The Cape
Town Commitment (presto in traduzione italiana). Si tratta di una dichiarazione
evangelica, senza dubbio frutto di un faticoso lavoro di mediazione, in due parti (la
seconda “a call of action” sarà divulgata tra qualche mese) che prova a consolidare –
secondo l’eredità di Losanna I e II – i risultati raggiunti. Lo scopo è molteplice, infatti, il
Commitment vuole: a) riaffermare, nel XXI secolo, l’unicità di Cristo e la verità del vangelo
biblico; b) incoraggiare la missione globale, in ogni parte del mondo (nella sua accezione
socio-culturale oltre che geografica); c) sostenere la collaborazione e la partnership invece
che la competizione e il sospetto nel servizio cristiano; d) favorire una creatività
cristocentrica nel campo della missione, a 360°.

5. La centralità della missione

Losanna III consolida lo shift da una prospettiva cristomonista della missione a un


approccio consapevolmente trinitario e biblico. La Missio Dei che emerge pone, infatti,
l’enfasi necessaria sulla priorità di Dio quale soggetto mandante e missionario per
eccellenza, attraverso l’opera del Figlio e dello Spirito. Le comunità cristiane, quindi, non
possono che partecipare alla fondamentale (e costitutiva) missione di Dio nel mondo.
L’ampiezza di quest’orizzonte è notevole e inclusiva. L’evangelizzazione non è più
contrapposta all’impegno sociale, l’attenzione per le prassi comunitarie non è sganciata
dall’integrità individuale, la contestualizzazione non è invito al relativismo, ma
all’incarnazione autentica del vangelo nelle molteplici culture, la testimonianza e la
proclamazione non sono indipendenti dalla necessaria unità spirituale tra cristiani.

L’appello che è arrivato da Losanna III invita quindi a non separare il popolo di Dio dalla
missione. Si tratterebbe di un’operazione illegittima dal punto di vista storico e
funzionale. Non solo la chiesa, il popolo di Dio, è il risultato dell’azione salvifica di Dio,
ma il progetto redentivo di Dio è la raison d’étre della comunità cristiana. La chiesa,
insomma, esiste per la missione, come il fuoco esiste per bruciare.

Le conseguenze ecclesiologiche di questa prospettiva sono però solo accennate nel


Commitment. Il corollario inevitabile è però abbastanza semplice da dimostrare: occorre
analizzare con attenzione la dimensione contestuale della vita del popolo di Dio. Le
comunità locali, infatti, esistono in specifiche e diverse configurazioni sociali, culturali ed
economiche. Non è forse vero che la missione delle chiese deve tener conto di fattori quali
la presenza nel tempo, la prossimità al potere politico, la dimensione istituzionale (si
tratta di una chiesa istituzionale o di una chiesa/famiglia), ecc. La conclusione da fare è
forse che la legittima molteplicità dei modelli di essere popolo-di-Dio-in-missione non deve
mai inficiare l’autenticità e la radicalità del messaggio della croce.

Il rilancio necessario

Due ambiti sono particolarmente sensibili e determinanti per il post-Losanna (ne faceva
cenno anche Birsdall nell’ultima conferenza stampa): i)la solidità (e l’ortodossia) teologica
dell’intero movimento di Losanna; ii)la formazione di una nuova generazione di leader per
la chiesa globale. Si tratta senza dubbio di due tra le fibre più importanti che se non

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lavorate, intrecciate e intessute come si dovrebbe, possono rovinare la qualità e il valore
del tessuto evangelico nel suo complesso. Su queste aree ogni Nazione dovrebbe
probabilmente attivarsi con le sue risorse migliori e le energie più vive per onorare il
disegno di Dio nel nostro tempo, evitando sia il trionfalismo ingenuo, sia lo scetticismo
più crudo.

Alcuni rischi da evitare

Losanna III presenta quindi diversi tratti, alcuni non necessariamente nuovi, altri
apparentamenti amichevoli e naturalmente affini a molti atteggiamenti contemporanei,
ma che nascondono però un elevato potenziale distruttivo. Alcuni oggetti risultano
secondo me, in tal senso, particolarmente ingombranti.

i) Neo-misticismo, è quel fenomeno nella sua ricerca e azione di andare oltre (o più in
profondità) al vangelo. Il centro è una qualche forma esperienziale che rende opaca la
verità biblica e la sua potenza.

ii) Manageralismo. La preoccupazione del management è sempre stata l’applicazione


pratica di quelle idee che garantiscano l’uso più efficiente delle risorse e delle energie a
disposizione. L’importanza di questi due elementi – la conservazione delle risorse
esistenti e il loro uso sistematico con il minimo spreco – ha fatto si che si formasse la
figura del manager, persona opportunamente equipaggiata da garantire un futuro il più
felice possibile all’umanità o al contesto in cui opera. L’affidamento crescente a questo
tipo di tecniche, nella pratica e nella vita delle chiese e delle agenzie di servizio, deve però
indurci a considerare seriamente l’opportunità (etica e teologica) di far trasformare intere
aree dell’impegno cristiano da ideologie e tecniche naturalmente assorbite da
organizzazioni e istituzioni di un certo tipo, quali le imprese e le multinazionali.

iii) Moralismo. Qui la salvezza è subordinata a un assenso formale su un ristretto


ventaglio di interpretazioni teologiche o sul mantenimento di alcune pratiche considerate
come marchio ineludibile della fede. I cristiani devono però evitare, nelle loro accattivanti
forme contemporanee, sia la giustificazione per opere tipizzata dal fariseismo, sia
l’antinomianismo dello spiritualismo. Infatti, entrambi sono in ultima analisi ego-
assertivi.

Probabilmente, una delle istanze più forti di Losanna III è quella che riconosce e recupera
il bisogno di una nuova riforma della chiesa centrata sul vangelo e movimentata dalla
potenza dello Spirito. Sia la cattolicizzazione (nel senso romano) del movimento, sia la
sua politicizzazione liberale (nel senso teologico) evitano la certezza, la responsabilità e la
radicalità della grazia. L’obiettivo rimane sempre quello di evangelizzare, contribuendo a
creare nuove persone e un’umanità rinnovata la cui vita testimonia l'autenticità della
propria fede. Per questo la profonda unità del popolo di Dio e la fedeltà biblica sono
presupposti inalienabili alla missione di Dio.

Umilmente e senza trionfalismi di sorta, come insegna Losanna III.

Trento, 27 ottobre 2010

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