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CANTUS/CANTILENA, SONUM FABRICANTIS, DISCORDIUM/

CONCORDIUM: NOTA SULLA TERMINOLOGIA METRICA DEL


PRIMO TRECENTO *

1.
Dicimus ergo quod cantio, in quantum per superexcellentiam dici-
tur, ut et nos querimus, est equalium stantiarum sine responsorio
ad unam sententiam tragica coniugatio, ut nos ostendimus cum
dicimus
Donne che avete intelletto d’amore.
Quod autem dicimus “tragica coniugatio”, est quia, cum comice fiat
hec coniugatio, cantilenam vocamus per diminutionem: de qua in
.iiij. huius tractare intendimus 1.

Secondo il più recente commento al De vulgari eloquentia, opera


di Enrico Fenzi, in questo brano dell’ottavo capitolo del secondo
libro «cantilena è traduzione del volgare canzonetta»  2, ovvero «la
canzone con prevalenza o esclusività di versi minori dell’endecasil-
labo (e generalmente sette o ottonari) e tonalità eventualmente più
mediocre e cantabile». La definizione è quella data da Pier Vincenzo
Mengaldo nella sua chiosa al medesimo passo, ampiamente citata
anche nel commento di Mirko Tavoni 3; in entrambi il termine latino
viene considerato «evidentemente calco» 4 di quello volgare.
Dato l’accostamento, il brano sopra riprodotto viene ovviamente
richiamato da Francesco Carapezza nel suo studio sulla “canzonetta”
siciliana, assieme ad altri dove pure il termine latino cantilena sem-
bra «specializzato in senso propriamente musicale», accettandone la
coincidenza col volgare canzonetta  5. L’equivalenza cantilena-canzo-
netta viene invece considerata troppo riduttiva da Corrado Bologna, il
quale allegando altre occorrenze del termine latino osserva che

*
Questo lavoro riunisce osservazioni e ipotesi riguardo al De vulgari eloquen-
tia di Dante e alle cosidette “glosse metriche” di Francesco da Barberino, risultato
del mio lavoro di ricerca come Fellow Marco Praloran presso la Fondazione Ezio
Franceschini e l’università di Losanna. Colgo l’occasione per ringraziare entrambe
le istituzioni e inoltre la famiglia Praloran per l’offerta a giovani studiosi di questa
occasione per sviluppare ricerche su temi cari a Marco Praloran. Ringrazio inoltre
uno degli anonimi revisori di questo lavoro per le sue preziose osservazioni.
1
Tavoni 2011, pp. 1478-1480.
2
Fenzi 2012, p. 205.
3
Cfr. Tavoni 2011, pp. 1480-1481.
4
Mengaldo 1979, p. 205.
5
Cfr. Carapezza 1999, pp. 330-331, citazione a p. 330.
6 Maria Clotilde Camboni

nell’attività di studio primo-trecentesco di carattere formale-stilisti-


co intorno alla poetica la categoria cantilena è instabile, e sembra
potersi ricondurre ad un sistema lessicografico dalla normalizza-
zione imprecisa (e comunque per noi non esattamente precisabile),
e in uso presso ambienti assai diversi, anche lontani da quelli per i
quali è ipotizzabile una conoscenza del trattato dantesco 6.

Il termine si trova inoltre a margine di alcuni componimenti


tramandati dai Memoriali bolognesi, tra cui un paio di inequivoca-
bili ballate, e Sandro Orlando osserva al riguardo di non essere «in
grado di intendere le differenze tra una ‘normale’ ballata e questi
testi» 7.
Nel medesimo capitolo in cui si trova la citazione di apertura,
Dante spiega chiaramente che cantio oltre che per il genere metrico
specifico può essere adoperato in riferimento a qualsiasi componi-
mento poetico, incluse ballate e sonetti. Data la varietà di oggetti
definiti cantilena, dalle canzoni di gesta, alle canzoni degli occhi di
Petrarca, a testi latini di argomento vario  8, sembra che come quel
termine anche questo possa attraversare una vasta gamma di signifi-
cati. La ricerca della precisa accezione tecnica di cantilena nel passo
dantesco sembra quindi impresa se non futile certo dispersiva, ma
in un trattato musicale scritto a Parigi non molto tempo prima che
Dante elaborasse la parte a noi pervenuta del De vulgari è possibile
riscontrare l’uso del termine cantilena in opposizione non a cantio,
ma a cantus, opposizione che appare fondata su una distinzione
di livello stilistico equiparabile a quella palese nel passo dantesco
prima citato.
Il titolo del trattato è differente in ognuno dei due testimoni
che ce lo tramandano, De musica o Ars musice, il nome dell’autore
oscilla tra Johannes de Grocheo e de Grocheio, e anche la data
non è del tutto certa  9. Quel che è certo è che l’autore provvede a
descrivere il panorama dei diversi generi musicali in uso nella sua
epoca organizzandoli in tassonomie triadiche e privilegiando la sim-
bologia numerica rispetto all’esatta rappresentazione della realtà.
Unitamente alle lacune della documentazione, ciò fa sì che in più di
un caso l’identificazione degli oggetti di cui parla sia tutt’altro che
facile e univoca.

6
Bologna 2006, p. 212.
7
Orlando 2005, p. LXII.
8
Per alcuni esempi, cfr. Bologna 2006, pp. 211-212.
9
Per tali questioni cfr. Mews 2011, pp. 2-3, 10-12.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 7

I passi che ci interessano si trovano nella trattazione della vulga-


lem musicam, composta da tre gruppi di forme. Uno è quello delle
forme strumentali, gli altri due, indicati appunto con cantus e canti-
lena, sono quelli delle forme vocali.
Che la distinzione tra i termini abbia a che fare col piano stilis-
tico appare già palese quando si considera che nel cantus rientrano
la canzone di gesta e la canzone cortese, mentre a cantilena appar-
tengono il rondeau e lo stantipes 10. Ancor più di rilievo appare però
quanto viene detto riguardo al cantus versualis, la terza tipologia di
cantus dopo il gestualis e il coronatus.

[9.4] Cantus coronatus ab aliquis simplex conductus dictus est.


Qui propter eius bonitatem — In dictamine et cantu a magistris et
studentibus circa sonos coronatur. Sicut gallice. Ausi cum lunicor-
ne. vel Quant li roussignol. Qui etiam a regibus et nobilibus solet
componi. Et etiam coram regibus et principibus terre decantari. ut
eorum animos ad audaciam et fortitudinem magnanimitatem et
liberalitatem commoveat. Que omnia faciunt ad bono regimen. Est
enim cantus iste de delectabili materia et ardua, sicut de amicitia et
karitate. Et ex omnibus longis et perfectis efficitur.
[9.5] Cantus versualis est qui ab aliquibus cantilena dicitur respectu
coronati et ab eius bonitate in dictamine et concordantia deficit.
Sicut gallice. Chanter mestuet quer men puis tenir. vel. Au repairier
que je fis de prouvence. Cantus autem iste debet iuvenibus exiberi.
Ne in otio totaliter sint reperti 11.

10
Per un’analisi più approfondita di questa parte della trattazione dell’Ars
musice e più esaustivi riferimenti bibliografici, rimando a un capitolo (il terzo) del
volume in cui presento i risultati delle ricerche svolte nel quadro della fellowship
Praloran (M. C. Camboni, Fine musica. Percezione e concezione delle forme della poe-
sia, dai Siciliani a Petrarca, Firenze, Edizioni del Galluzzo per la Fondazione Ezio
Franceschini, in c. di s.).
11
Mews 2011, p. 68 (traduzione a fronte, p. 69: «[9.4] Cantus coronatus is cal-
led simple conductus by some, which, because of its excellence in text and cantus, is
crowned by masters and students with sounds, as in the French Ausi com l’unicorne
or Quant li rousignol. Indeed, it is normally composed by kings and nobles, and also
sung before kings and princes of the earth, so that it may move their spirits to bold-
ness and bravery, magnanimity, and liberality, which all make for good government.
For this cantus is about delightful and lofty material, such as friendship and love. And
it is made entirely from longs and perfects. [9.5] Cantus versualis is what is called
cantilena by some in comparison with coronatus, and it lacks the latter’s excellence
in text and concord, as in the French, Chanter m’estuet, quer ne m’en puis tenir or Au
repairier que je fis de prouvence. This cantus ought to be performed for the young lest
they fall completely into idleness». Per una diversa traduzione dell’oscuro circa sonos
cfr. Page 1993, p. 23 e nota 27, a cui si rimanda anche per una rassegna di ulteriori
interpretazioni e relativa bibliografia).
8 Maria Clotilde Camboni

Nel brano sopra riportato l’autore dell’Ars musice di fatto parla


solo della canzone, e i quattro testi citati ad esempio, tutti pervenuti,
sono infatti canzoni  12. Per poter avere tre categorie all’interno del
cantus, Grocheio distingue in effetti più o meno artificialmente due
diverse tipologie di canzone. L’arbitrarietà della distinzione risulta
chiara dalla successiva descrizione formale.

[10.3] Versus autem in cantu coronato est qui ex pluribus punctis


et concordantiis ad se invicem armoniam facientibus efficitur.
Numerus vero versuum in cantu coronato ratione .7. concordantia-
rum determinatus est ad .7. Tot enim versus debent totam senten-
tiam materie nec plus nec minus continere.
[10.4] Versus vero in cantu versiculari illi de cantu coronato secun-
dum quod potest assimilatur. Numerus vero versuum in tali cantu
non est determinatus. sed in aliquibus plus in aliquibus minus
secundum copiam materie et voluntatem compositoris ampliatur 13.

Il cantus versicularis è comunque sempre quello prima detto


versualis, e le sue stanze devono essere fatte come quelle del coro-
natus, salvo che queste ultime devono essere sette, cosa che però
non risulta dagli esempi da Grocheio stesso forniti 14. La distinzione
proposta sembra piuttosto basarsi su una diversità di livello stilis-
tico, argomento, e pubblico di elezione. Appare abbastanza artifi-
ciale, ma ciò che importa qui notare è che il “sottotipo” di canzone
opposto a quello considerato come il più elevato, il coronatus, «ab
eius bonitate in dictamine et concordantia deficit» e «ab aliquibus
cantilena dicitur respectu coronati» (corsivo mio). La vicinanza al
passo del De vulgari eloquentia riportato all’inizio appare notevole, e
in entrambi i casi sembra recar traccia di una valenza semantica di

12
Aussi com l’unicorne (R 2075, di Thibaut de Champagne o Pierre de Gand);
Quant li roussignol jolis (R 1559, contesa tra Raoul de Ferrières e il Chastelain de
Couci); Chanter m’estuet, quer ne m’en puis tenir (R 1476, di Thibaut de Champagne);
e l’anonima Au repairier que je fis de prouvence (R 624).
13
Mews 2011, p. 70 (traduzione a fronte, p. 71: «[10.3] But the verse in a cantus
coronatus is that which is constructed of many puncta and concords making har-
mony with each other. But the number of verses in a cantus coronatus, by reason of
the 7 concords, is fixed at 7. For so many verses ought to contain the whole statement
of the material – neither more nor less. [10.4] A verse in a cantus versicularis is as
much like that of a cantus coronatus as it can be. But the number of verses in such
a cantus is not fixed, but in some is extended more, in others less, according to the
abundance of the material and the will of the composer». Per il significato di puncta
in questo contesto cfr. Page 1993, p. 28 e nota 47; approfondisco la questione anche
nel terzo capitolo del volume di cui alla nota 10).
14
Cfr. Mullally 1998, pp. 7-8.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 9

cantilena come etichetta adatta a testi che appartengono a un livello


stilistico inferiore.

2. Un altro passo dell’Ars musice permette una migliore inter-


pretazione delle informazioni date riguardo al genere consonium da
Francesco da Barberino, nel passo dell’autocommento latino ai suoi
Documenti d’Amore noto come la prima delle sue “glosse metriche”
(commento alla parte seconda, documento sesto), intitolato de variis
inveniendi modis e contenente l’elenco delle forme in uso all’epoca,
con note perlopiù scarne su ognuna.

Consonium antiquitus dicebatur omnis inventio verborum que


super aliquo caribo, nota, stampita vel similibus componebantur,
precompositis sonis. Hodie verba talia nomen soni vel sonum fabri-
cantis secuntur 15.

Secondo Paolo Canettieri, qui l’autore dei Documenti d’Amore


parla di forme di «melodia solo strumentale, cui vengono applicate
successivamente le parole: tale forma di componimento “musika-
lisch primär” sarebbe stata anticamente chiamata consonium, ma ai
tempi di Francesco da Barberino il componimento verbale prende il
nome dal testo musicale su cui è costruito»16. Non c’è però accordo
sul significato di «sonum fabricantis»: è stato infatti interpretato
da Joachim Schulze come l’autore della musica  17, mentre secondo
Elena Abramov-van Rijk si riferisce a una melodia composta per
uno specifico testo, in opposizione al sonus precompositus  18. Al
di là della plausibilità sintattico-semantica di quest’ultima inter-
pretazione (per le annotazioni latine ai Documenti d’Amore non è
purtroppo un criterio di applicazione così immediata), quella di
Schulze riceve una conferma da questi passaggi dell’Ars musice:

[13.3] Numerus vero punctorum in ductia ad numerum .3. conso-


nantiarum perfectarum attendentes ad .3. posuerunt. Sunt tamen
alique note vocate .4. punctorum que ad ductiam vel stantipedem
imperfectam reduci possunt. Sunt etiam alique ductie .4. habentes
puncta puta ductia pierron.
[13.4] Numerum vero punctorum in stantipede quidam ad .6.

15
Testo dall’edizione diplomatica Egidi 1905-1927, vol. II, p. 263.
16
Canettieri 1995, p. 292.
17
Cfr. Schulze 2004, p. 28.
18
Cfr. Abramov-van Rijk 2009, p. 69.
10 Maria Clotilde Camboni

posuerunt ad rationes vocum inspicientes. Alii tamen de novo


inspicientes forte ad numerum .7. concordantiarum vel naturali
inclinatione ducti. puta tassinus, numerum ad .7. augmentant.
Huiusmodi autem stantipedes sunt res cum .7. cordis. vel difficiles
res tassyni 19.

Lo stantipes è con tutta probabilità la medesima forma indicata


da Francesco da Barberino come stampita, nota come tale in ambito
italiano, come estampida in occitanico, e come estampie in oitani-
co  20. Quanto ai riferimenti al «ductia Pierron» e alla «res Tassyni»,
questi due brani non sono pervenuti, ma Pierron e Tassin possono
essere identificati come musicisti citati nel codice di Montpellier
(Bibliothèque Inter-Universitaire, Section Médecine, H196), la cui
compilazione è coeva a quella dell’Ars musice. Il primo è nominato
all’interno di un mottetto anonimo, mentre i tenores di altre tre com-
posizioni dello stesso genere vengono indicati nel manoscritto come
«chose Tassin»  21 (in maniera analoga, altri vengono attribuiti a
musicisti diversi), e il loro autore è stato identificato con un giullare
presente nella corte di Filippo il Bello nel 1288 22.
Sulla base di questi elementi sembra insomma plausibile che
le composizioni musicali originariamente sprovviste di testo venis-
sero indicate o col nome del tipo di musica (come nelle rubriche del
Chansonnier du Roi – Parigi, Bibliothèque nationale, fr. 844, W della
tradizione provenzale –, dove alcune di tali composizioni solo strumen-
tali vengono indicate ad esempio come «estampie royale»), oppure col
nome del compositore  23. All’epoca di Francesco da Barberino i testi

19
Mews 2011, p. 74 (traduzione a fronte p. 75: «[13.3] But the number of puncta
in a ductia they placed at 3, paying attention to the number, 3, of perfect consonan-
ces. There are some called notae, however, with 4 puncta that can be rendered as a
ductia or an imperfect stantipes. There are also some ductia having 4 puncta such as
the ductia Pierron. [13.4] But the number of puncta in a stantipes certain people pla-
ced at 6, looking at the rationale of the syllables. Others, however, perhaps conside-
ring afresh the number of concords, 7, or led by natural inclination, raise the number
to 7, for example Tassinus. Stantipedes of this type are pieces with 7 “strings”, or the
difficult piece of Tassinus»). (Il punctus in questo passo è ciò che in inglese si defi-
nisce “double versicle”: un insieme di frasi musicali che può essere suddiviso in due
parti, in ognuna delle quali si ripete lo stesso materiale melodico nello stesso ordine,
salvo in chiusura dove si danno – o possono darsi – effetti del tipo ouvert/clos).
20
Tra la diversa bibliografia sull’argomento si possono vedere in particolare
Schima 1995, McGee 1989 e McGee 2001.
21
Cfr. Mews 2011, p. 122, note 85 e 86.
22
Cfr. Page 1989, p. 75 (ipotizza anche che il codice di Montpellier conservi
frammenti delle estampies di Tassin).
23
Un ulteriore esempio di componimento che avrebbe assunto il nome
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 11

che venivano in seguito associati a queste composizioni musicali di


fatto ne ereditavano il nome, o per meglio dire ci si riferiva ad essi
nello stesso modo che alle melodie su cui venivano cantati.

3. Il passo riguardo al consonium del commento latino ai


Documenti d’Amore è stato preso in considerazione dal già ricor-
dato Canettieri per via della citazione del caribo, termine presente
in Donna, per vostro amore di Giacomino Pugliese in riferimento
alla forma musicale o più probabilmente al testo stesso 24. Secondo
Canettieri l’unico componimento italoromanzo che può apparte-
nere al genere descort è Dal core mi vene di Giacomo da Lentini,
il solo così definito dalle rubriche dei canzonieri e l’unico che
«risponde al modello transalpino del disordine mentale»  25. Per
tutti gli altri testi duecenteschi dalla struttura più o meno simile,
riconducibili appunto al barberiniano consonium, «si può parlare
con buon margine di ragionevolezza di componimenti eteromodu-
lari per ballo, con musica non originaria, ma tratta da altri testi
strumentali e non»  26.
Canettieri osserva inoltre che «anche per Francesco da Barberino
[…] discordo e caribo sono due tipi da trattare differentemente. Il
discordium viene infatti definito con buona approssimazione in un
paragrafetto a parte» 27 della stessa glossa de variis inveniendi modis.
Il passo relativo al discordium citato da Canettieri (il primo paragra-
fetto sotto riportato) sembra però rientrare in quello più generale
dedicato ai ‘generi dialogici’ 28 e alla loro trattazione:

Discordium est contentio inter duos, similibus vel diversis concursi-


bus rimarum, tamen serie trattis ex utraque parte per unum.
Concordium est contrarius intentione modus loquendi, et rimis
idem.

dell’autore della sua melodia potrebbe essere la cosiddetta «Note Martinet», «docu-
mentato negli anni intorno al 1275 in qualità di «menestrello», ossia musicista, del
Conte di Boulogne, Guy de Dampierre» (Asperti 1995, p. 85), su cui cfr. van den
Boogaard 1974.
24
Per quanto comunque con «un termine connesso inequivocabilmente alla
musica» (PSS II, p. 591).
25
Di Girolamo 2005, p. 699.
26
Canettieri 1995, p. 314; sull’argomento ritorno estensivamente nel terzo capi-
tolo del già ricordato libro.
27
Canettieri 1995, p. 293.
28
Su cui cfr. Giunta 2002, pp. 7-9; che con discordium Francesco da Barberino
«parrebbe designare la tenzone» è anche l’opinione di Asperti 1995, p. 84.
12 Maria Clotilde Camboni

Contentio est super similibus inter duos . de quibuscumque similis


ordo . et ista tria versiculorum numero non ligantur 29.

Questi tre generi sono messi in relazione dallo stesso Francesco


da Barberino perché hanno in comune l’assenza di alcuni vincoli
metrici. Al di là di questa “caratteristica” non così esplicativa, si può
notare che nel passo dedicato al primo genere ricorre il nome del
terzo, entrambi sembrano essere davvero generi dialogici, forme di
corrispondenza o tenzone «inter duos», e uno dei due pare essere un
sottotipo dell’altro 30.
La definizione del secondo potrebbe però effettivamente corris-
pondere a quella del discordo: «contrarius intentione modus loquen-
di et rimis idem». Un modus loquendi, cioè una forma di discorso,
un genere, in cui sono presenti dei contrasti, delle discordanze (con-
trarius), in ciò che concerne l’intenzione, il sentimento del locutore,
e quindi l’argomento del discorso (intentione  31) e anche in ciò che
concerne la versificazione (et rimis idem).
Vi sono alcuni elementi che suscitano perplessità. Il primo è che

29
Testo dall’edizione diplomatica Egidi 1905-1927, vol. II, p. 263 (con l’aggiunta
degli accapo per maggior chiarezza).
30
Malgrado il fatto che il termine che ricorre è contentio, a giudicare da quel
che si può attingere del significato il sottotipo di un genere più ampio parrebbe essere
l’ultimo qui presentato. La contentio inter duos del primo di cui si dà la definizione si
svolge infatti tramite gruppi di versi (concursibus rimarum) metricamente equivalenti o
meno (similibus vel diversibus), che tuttavia (tamen) per quel che riguarda la loro suc-
cessione (serie) provengono alternativamente dall’uno e dall’altro interlocutore («serie
trattis ex utraque parte per unum» sarebbe insomma un modo abbastanza contorto per
spiegare che i due coinvolti nella discussione parlano a turno). Invece la discussione
inter duos riguardo argomenti comunque tra loro in relazione («super similibus»: vale a
dire, i due interlocutori non fanno discorsi completamente scollegati) che possono però
essere i più vari (de quibuscumque) si svolge usando strutture (cioè schemi metrici) tra
loro equivalenti, o meglio lo stesso schema (similis ordo). I due generi dialogici citati
da Francesco da Barberino sarebbero insomma la tenzone o generica corrispondenza
in versi, che può svolgersi anche tra testi dallo schema metrico o addirittura di genere
differente (cfr. Giunta 2002, pp. 178-181), e un suo sottogenere che invece prevede il
riuso delle stesse strutture metriche – se non sta parlando della tenzone “alla provenza-
le”, «testo scritto in collaborazione da due autori, una strofa per uno, non scambio di
testi uno in risposta all’altro» (Beltrami 2011, § 182 nota 12, p. 243).
Quanto ai termini con cui Francesco da Barberino indica questi due generi, data
l’ipotesi di errori di trascrizione dovuti a certe particolarità dell’antigrafo in questa
sezione del commento (per cui cfr. infra), forse è meglio non associarli con nettezza
a un genere o sottogenere piuttosto che ad un altro.
31
Nel latino sia classico che medievale, intentio può essere anche l’esposizione
delle rimostranze dell’accusatore o parte lesa in un giudizio, significato che sembre-
rebbe calzante per il contenuto del genere lirico per eccellenza disforico.
Nota sulla terminologia metrica del primo Trecento 13

questa definizione è associata a un genere che non viene chiamato


discordium, ma concordium, termine che non ricorda per nulla il
descort. Il secondo è che accettando l’interpretazione sopra proposta
i due generi effettivamente dialogici sono tra loro separati e allonta-
nati da un genere che dialogico non è.
L’esposizione della glossa de variis inveniendi modis appare non
perfettamente organizzata: dopo aver dichiarato che i modi sono
undici attualmente in uso, due oramai desueti, eccetera, si passa alla
trattazione dei vitia; poi ad propositum redeuntes si elencano tutti i
modi, suddivisi in base all’essere più o meno di uso corrente; infine i
modi stessi vengono nuovamente elencati, ognuno accompagnato da
una breve spiegazione come quelle sopra citate. È possibile pensare
che nel processo di copiatura dell’unico testimone alcuni termini che
indicano i diversi generi siano stati invertiti, o meglio ancora che siano
state invertite le loro definizioni. L’errore potrebbe essere spiegato
ipotizzando che l’antigrafo da cui è stata tratta la copia fosse organiz-
zato in maniera ancor più caotica, per esempio con i generi elencati in
una lista e le loro definizioni in forma di glosse marginali alla stessa.
Il trascrittore avrebbe quindi copiato per errore la definizione di
discordium accanto a concordium. Una svista del genere spiegherebbe
tutte le incongruenze sopra riscontrate – per quanto la trattazione di
Francesco da Barberino continui ad essere abbastanza oscura.
L’ipotesi appena esposta entrerebbe in contraddizione col fatto
che secondo Paola Supino Martini l’impaginazione del testo di tutta
l’opera (versi volgari, traduzione in prosa latina, commento) doveva
essere già presente e ben stabilita nell’antigrafo (per quanto vi sia
sempre l’eventualità che «il Vat. Barb. 4076 possa rappresentare
un primo tentativo di nuova impaginazione dei Documenti»  32).
Tuttavia la stessa studiosa informa di come il commento sia stato
copiato da due mani, e la secondaria tra queste, attiva in totale in
una decina di carte sul centinaio occupato dall’opera, trascrive tra
l’altro il commento delle cc. 53rb-v 33. Vale a dire, tutto il testo della
prima glossa, e quindi anche il brano appena citato. Se l’antigrafo
fosse stato del tutto completo oltre che perfettamente impaginato
davvero non riesco a immaginare una ragione per una simile alter-
nanza di mani, soprattutto quando una delle due è attiva in una
sezione così piccola e particolare del commento.

Maria Clotilde Cambroni

32
Supino Martini 1996, p. 953.
33
Cfr. ibid., p. 950, in particolare nota 23.
14 Maria Clotilde Camboni

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