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Il voto alle donne nella Repubblica

Paola Gaiotti De Biase

Un dato amaro che conferma insieme l’arretratezza della nostra storiografia e


l’irrisolto della cittadinanza femminile: la separatezza delle celebrazioni del sessan-
tennio. Le occasioni solenni di celebrazione della Costituente non hanno men-
zionato praticamente la novità del voto alle donne; nelle moltissime occasioni di
riflessione sulla vicenda del voto femminile sviluppatesi in questo semestre, la
tentazione della separatezza, nel parlare solo fra donne e sulle donne, ha prevalso
sulla ricostruzione di una storiografia complessiva.
Vorrei riconfermare qui che la funzione critica della storia delle donne non si
esaurisce in sé stessa, ma nell’arricchire con un’ottica più ampia e realista la visione
complessiva della storia.
La storiografia generale italiana, che tratti della Resistenza o dei processi di
modernizzazione, del variare degli equilibri politici o degli effetti del sistema dei
partiti, non ha ancora fatto che molto limitatamente i conti con gli effetti dell’in-
gresso femminile nella cittadinanza.

Il contesto e le sue contraddizioni

Il diritto di voto delle donne, che si è andato affermando nel Novecento e


sanzionato nel nostro paese col decreto del gennaio 1945 (dopo un precedente
inapplicato voto della Camera del 1919), deve essere letto come un fatto rivolu-
zionario, un rovesciamento dell’intera storia umana, di una tradizione millenaria
che sanzionava la separatezza fra la vita maschile, legata alle relazioni pubbliche,
al potere di decisione, alla costruzione della storia e la vita femminile, concentrata
sul privato familiare, sulla ripetizione, sulla quotidianità dell’esistenza.
Il contesto del decreto del gennaio 1945 è vissuto, però, dalla società italiana sot-
to il segno della continuità, entro l’illusione di una facile conciliazione col ruolo tra-
dizionale, sia pure senza contrasti significativi e registrandone l’ovvia inevitabilità.
Paola Gaiotti De Biase

A] Favoriscono questo approccio: 1) la perdita di memoria femminista legata


al fascismo; 2) il contesto familiarista mondiale degli anni Trenta; 3) il dato di
un’evoluzione di fatto della condizione femminile apparentemente pacificata e
tranquilla, aliena dai conflitti.
B] Per contro sono peraltro latenti nella società italiana fattori innovativi, non
sufficientemente avvertiti dalle dirigenze maschili: 1) i nuovi processi di scola-
rizzazione, socializzazione e mobilità, 2) l’esistenza di organizzazioni di massa in
area cattolica, 3) l’impatto delle responsabilità e dei compiti assunti durante il
dramma della guerra, 4) la partecipazione alla Resistenza. La conquista del voto
sarà così accompagnata almeno in area femminile da una fortissima enfasi sulla
sua novità, da un sentimento di fierezza, dai primi, pur vaghi e minoritari, segnali
di un mutamento di identità.

Il far politica delle donne

L’associazionismo femminile. Rottura dell’unità resistenziale? La politica delle


donne assume in questa fase caratteristiche proprie: in primo luogo, si esprime nel-
la continuità con il solidarismo resistenziale attraverso una rete straordinaria di ini-
ziative di sostegno a reduci, sfollati, bambini che esprime in qualche modo il segno
proprio delle donne dell’assunzione di una nuova responsabilità politica, entro una
logica di partecipazione collettiva che anticipa il moderno volontariato. La stessa
costruzione di movimenti femminili di massa, in particolare UDI e CIF, va vista
come luogo della formazione delle donne alla politica. Giudicati a lungo come
prima forma della rottura dell’unità resistenziale, in realtà essi sono gli strumenti
di una introduzione piena delle donne entro la politica reale ed entro le opzioni
cui si confronterà la società italiana, e la premessa della formazione di proposte
politiche femminili capaci di condizionare le scelte generali, come si vedrà con la
Costituente. È attraverso questa collocazione politica militante non mascherata, in
una fase in cui sono i partiti gli stimolatori della partecipazione democratica, che le
donne potranno essere presenti alle scelte fondamentali del paese.
Scriverà più tardi Stefania Rossi: “la costruzione della libertà richiede artico-
lazione e dialettica di contenuti diversi, senza i quali essa rimane vuota forma”.
Era “utopia pensare a soluzioni del problema femminile avulse dal contesto di
una concezione globale (…) Questo avrebbe escluso le donne dalla vita civica e
politica, segregandole in una notte in cui tutte le cose sono nere”.

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Il voto delle donne nella Repubblica

Gli effetti del voto alle donne

Il primo effetto di questa mobilitazione democratica sarà il superamento del


timore astensionista (Mortati) sia in chiave democratica generale, sia sul terreno
che possiamo chiamare femminista, come emerge da un bell’articolo della Fede-
rici, smentendo le previsioni sulle conseguenze dell’allargamento del voto: la loro
spinta a far votare malati, vecchi, analfabeti costituirà quasi una prima pedagogia
democratica sul valore del voto che avrà effetti di lungo periodo.
Abbiamo sostenuto da tempo che si tratta qui di un’autentica leadership anti-
astensionista vissuta e sostenuta dai movimenti delle donne, già nel triplice voto,
amministrativo e politico del 1946, e più ancora nel 1948, sia pure in un contesto
politicamente ed emotivamente non del tutto analogo.
Il voto femminile deciderà, secondo il parere unanime di tutti gli statistici
elettorali, gli equilibri politici della Repubblica, anche se è rimasta a lungo e non
è mai stata formalmente corretta l’idea che si sia trattato di un segno d’arretratezza
(fra l’altro inizialmente motivata in forme scorrette: le donne Dc arretrate perché
non votano le donne, ma ci sono 9 Dc e solo 2 socialiste alla Costituente).
Decide, in realtà, sia degli equilibri generali, sia delle varianti locali di segno
opposto, (Emilia, Toscana, anche attraverso la mobilitazione delle donne delle
campagne) sia il carattere generale della democrazia italiana, con la scelta della
democrazia di massa contro le concezioni elitarie o giacobine della democrazia.
Decide, praticamente, anche dopo il 1948 degli equilibri interni alle forze di
opposizione. È un fatto che i partiti che svolgeranno un ruolo chiave nella storia
repubblicana sono quelli, la DC e il PCI, che a) hanno fatto la scelta della demo-
crazia di massa; b) unici, hanno espresso strategie e attenzione rivolte al voto fem-
minile; c) avendo puntato sul sostegno a un’organizzazione femminile separata e
su un numero, sia pure simbolico, di candidature femminili e avendo stimolato
l’impegno capillare femminile, hanno potuto contare su un protagonismo femmi-
nile, con l’effetto di un radicamento popolare più vasto.
Infatti ne assumono in pieno il significato e la sfida Togliatti, Pio XII, De Ga-
speri, mentre appaiono per lo meno indifferenti e spesso diffidenti le dirigenze so-
cialiste, azioniste, laico-liberali, pur potendo contare su donne di grande valore.
Gli stessi numeri delle donne alla Costituente ne sono una conferma: 9 Dc, 9
Pci, 2 Psi, 1 UQ.

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Paola Gaiotti De Biase

La Costituente

Le straordinarie donne che furono membri della Costituente non si videro


riconoscere allora la qualità del loro apporto (furono spesso ridicolizzate dalla
stampa o come tutte brutte per le comuniste o come bigotte e clericali per le
democristiane) e ancora oggi le loro biografie sono sostanzialmente ignorate. Si
tratta, in realtà, di donne di grande spessore, con esperienze culturali e politiche,
anche internazionali di peso, dalla Bianchini alla Noce, dalla Cingolani alla Mon-
tagnana, dalla Bianchi alla Federici, dalla Conci alla Gallico Spano, alla Merlin, a
figure maturate nell’antifascismo cattolico o comunista come la Jervolino De Un-
terrichter e la Gotelli, la Jotti e la Gallico Spano. Va notato che fu comune ad esse
riconoscersi, forse inconsciamente, come rappresentanti delle donne e di quanto
le donne attendevano dalla democrazia e dalle nuove istituzioni.
Le donne si inserirono pienamente nel clima di convergenza e di collabora-
zione che caratterizzò il lavoro dei Costituenti. Assai più che un compromesso fra
diversi esso espresse il bisogno di una risposta comune alla crisi e ai drammi legati
alla guerra e di una ricostruzione della convivenza comune. Il lavoro della Com-
missione dei 75, già preparato dalle elaborazioni del Ministero per la Costituente
diretto da Nenni, partì da un duplice accordo: quello sulla struttura della Costi-
tuzione (proposta Moro) e quello sui principi fondanti di essa (mozione Dossetti)
da cui derivarono gli articoli 1, 2, 3. Fu questo comune riconoscersi che consentì,
aldilà della diversità degli approcci teorici, una convergenza di fatto assai estesa e
tale, comunque, da condizionare in modo sostanziale le scelte della Costituzione:
esse assunsero senza incertezze e senza nemmeno teorizzazioni astratte di fatto il
compito di rappresentare le donne, le loro attese, di mettere a frutto la novità del
voto come primo anello di una lunga catena.
Fecero parte della Commissione dei 75 la Jotti e la Noce per il Pci, la Federici
e la Gotelli per la Dc, la Merlin per i socialisti. Ciò che risulta evidente da tutte le
testimonianze e da molti interventi è che le donne assunsero di fatto senza incer-
tezze la rappresentanza delle donne, anche senza teorizzazioni esplicite.
La Costituzione è l’anello di congiunzione fra il decreto del 1945 e la legi-
slazione paritaria che maturerà, sia pure con lentezza, nel corso degli anni. Gli
articoli che in essa si riferiscono direttamente alle donne e che riguardano lo status
della famiglia sono il 2, 3, 29, 30, 31, 37. Ma va ricordato che tutte le dichiara-
zioni dei diritti del cittadino al lavoro, alla salute, all’istruzione, anche quando
senza riferimenti al sesso, riguardano entrambi i generi. Quelli che ci interessano

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Il voto delle donne nella Repubblica

di più sono quelli che in qualche modo già pongono la questione del rapporto fra
uguaglianza e differenza, che diverrà capitale solo più tardi, ma che porterà subito
alla legge sulla tutela della lavoratrice madre.
La vulgata storica trasmette un’immagine delle democristiane magari anche
attente ai diritti della donna lavoratrice o all’importanza della scolarizzazione, ma
“meno incisive sulle condizioni di ineguaglianza fra i sessi che avevano origine nella
sfera privata. Una lettura più attenta degli atti della Commissione e dei documenti
del tempo dà un’immagine diversa, pur fra diversità di approcci (a partire dalla
parola “indissolubile”) molto più unitaria di quanto non sia stato detto. In realtà,
ci fu una fortissima convergenza di fatto fra le donne che determinò la lettera e lo
spirito costituzionale su questi temi, di fronte a inequivocabili resistenze e ipocrisie
maschili, producendo un testo assai più avanzato della cultura reale del paese. E
questo spiega anche la lentezza (che, peraltro, riguarda anche istituti di grande
rilevanza come le Regioni e la Corte Costituzionale) della traduzione in legge.

Ciò che, in conclusione, se ne deve trarre è che la modernizzazione del paese


comincia anche da qui, da questo protagonismo femminile convergente, dalla
presa di coscienza delle ipocrisie maschili, ma anche da una presa di coscienza
democratica che determinerà anche in area cattolica una nuova spiritualità fem-
minile (come si vedrà con l’operazione Sturzo), la progressiva conquista dell’au-
tonomia nelle aree della sinistra, una convergenza di fatto di tutte, sia nella spinta
alla modernizzazione della legislazione, sia al sostegno alle categorie femminile
più disagiate. Sono questi i vantaggi di una modernizzazione indolore accanto ai
limiti dell’illusione della facile conciliazione.

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Ieri il voto oggi la cittadinanza:
il riconoscimento politico delle donne

Giglia Tedesco

L’anno che si è appena concluso ha coinciso con il sessantesimo del primo


voto delle donne italiane. L’anniversario è divenuto un evento vero e proprio per
l’ampiezza e la varietà delle celebrazioni.
Si è verificato, così, un recupero di riflessione su un momento cruciale non
solo per le conquiste delle donne, ma per la nostra democrazia. Infatti, in parti-
colare in Italia, la vita pubblica si è storicamente costruita come elemento della
“mascolinità” (Rossi Doria) al punto tale che Filippo Turati, interpellato nel 1903
dall’Unione Femminile sul voto alle donne, motivò il suo consenso affermando
che “la donna è … un uomo!” La decisione sul suffragio femminile, che rendeva
finalmente universale il diritto di voto, rappresentò quindi un’autentica svolta.
Eppure, quando dopo ottanta anni di infruttuose iniziative politiche e parlamen-
tari, il Consiglio dei Ministri il 30 gennaio 1945 determinò quell’evento storico,
ciò avvenne in fretta, quasi senza discussione. Anche i commenti furono super-
ficiali e quasi beffardi: “Mentre si muore di fame ci si preoccupa del voto alle
donne”, scrisse il Resto del Carlino.
La decisione risulta scontata? In un certo senso sì. In primo luogo, grazie al
peso femminile nella Resistenza: come testimoniano le protagoniste, nell’Italia
ancora occupata la notizia risuonò come una decisione ovvia. E, certamente, la
scelta decisa dei grandi partiti popolari (Dc, Pci, Psi) valse a troncare la sugge-
stione di un rinvio. Pensiamo quale amputazione sarebbe derivata dall’opzione di
rimettere la scelta alla futura assemblea costituente, come qualcuno aveva propo-
sto: le donne sarebbero state tagliate fuori dalla scelta fra repubblica e monarchia;
e non sarebbero state elette a Montecitorio le ventuno costituenti, al cui impegno
unitario e tenace dobbiamo le norme costituzionali sui diritti delle donne. Norme
scrupolose e avanzate, che hanno costituito la base per tutte le future conquiste
legislative. Onore alla lungimiranza di quelle forze politiche che si dimostrarono
pronte a scommettere sul voto delle donne come componente e volano per la
Giglia Tedesco

costruzione di una prospettiva democratica di ampio respiro (quella che allora


chiamammo la “democrazia progressiva”).
Se la decisione sul voto femminile fu frutto della scelta di una sinistra e di un
mondo cattolico non più dubbiosi come in passato, va colta in tutta la sua portata
l’azione svolta fra l’autunno del 1944 e il gennaio 1945 dal Comitato pro voto,
sorto su iniziativa dell’Unione donne italiane e costituito dalle rinate associazioni
femminili di antica data e da quelle di nuova formazione, assieme alle rappresen-
tanti dei partiti del Comitato di Liberazione Nazionale. Il Comitato per la prima
volta agitò il tema nel paese tra le donne, con riunioni, comizi, petizioni, e si rivol-
se ufficialmente al governo. Ad esempio, l’Archivio di Stato conserva i telegrammi
che giunsero numerosi alla Presidenza del Consiglio per chiedere il decreto sulla
eleggibilità che, nella fretta della decisione del 30 gennaio (dovevano redigersi le
liste elettorali) era stata omessa e fu oggetto di un provvedimento successivo.
Si trattò di un’autonoma iniziativa femminile assai significativa per quei tempi
che riuscì a produrre una vasta eco. Ciò valse anche a controbilanciare l’enfasi
allora prevalente del voto alle donne come dovere, per sottolineare il contenuto
di diritto.
Già nelle amministrative parziali della primavera del 1946, e poi nelle elezioni
del 2 giugno 1946 (referendum istituzionale ed elezione dell’Assemblea Costi-
tuente), il forte afflusso delle elettrici alle urne fugò i timori della vigilia circa un
prevedibile astensionismo: la percentuale dei votanti fu pari, e in certi casi addi-
rittura superiore, a quelle degli elettori maschi. Si rivelò non esatta anche un’altra
previsione: quella secondo cui le donne avrebbero votato come gli uomini della
loro famiglia (il noto editorialista Panfilo Gentile, sostenendo il carattere familiare
che avrebbe assunto il voto, aveva affermato che quindi la partecipazione femmi-
nile alle elezioni non avrebbe cambiato niente). In realtà, fin dall’inizio, il voto
delle donne si è contraddistinto per una notevole autonomia e ha condizionato
l’equilibrio politico generale. Con il tempo, questo protagonismo sarebbe appar-
so sempre più manifesto, fino alla vera e propria esplosione nel referendum del
divorzio (1974).

Che dire dell’oggi, a sessant’anni dalla conquista del voto? Il problema tuttora
irrisolto del rapporto fra donne e democrazia sta nella loro presenza sostanzial-
mente marginale nelle assemblee elettive. Si verifica quello che Diana Vincenzi ha
chiamato “l’accaparramento maschile” nella rappresentanza. Il problema è cru-
ciale se si tiene conto che nel nostro modello costituzionale la rappresentanza è il

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Ieri il voto oggi la cittadinanza: il riconoscimento politico delle donne

cuore della cittadinanza. Dal 1946 in poi la percentuale di donne nelle istituzioni
risulta pressoché stazionaria: e ciò è ormai in clamoroso contrasto con quella che
chiamerò l’invasione femminile in tutte le professioni. Si aggiunga che in campo
internazionale la leadership femminile va ormai affermandosi come naturale e ciò
rende la situazione italiana un caso vero e proprio.
Responsabilità della politica? Responsabilità delle donne? Sono convinta che
quella della politica è nettamente prevalente, perché non si vuol compiere una
scelta (come a suo tempo fu fatto con il voto). Ma resta il fatto che finora le
donne non sono riuscite a fare della rappresentanza materia di conflitto. E ciò va
oltre le cosiddette “quote rosa” che più esattamente andrebbero chiamate “norme
di garanzia” e che debbono divenire parte organica della riforma della politica, a
partire dalla legge elettorale.
Come ieri nel voto, oggi nella rappresentanza si misurerà la lungimiranza delle
forze politiche e la capacità delle donne di affermarsi come cittadine.

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Cultura politica femminile e comportamento elettorale

Lorella Cedroni

Specificità e funzione della cultura politica femminile

Parlare di cultura politica femminile implica non solo riconoscere la sua spe-
cificità, sia in ambito nazionale, sia europeo, ma anche individuare il tipo di im-
patto che tale cultura può avere sul modo di fare politica e la capacità di indur-
re trasformazioni che interessano il sistema politico in generale e, soprattutto,
quello partitico.
Esiste poi una sottile differenza tra la cultura politica aggettivata al femmi-
nile – analogo discorso vale per la cultura politica giovanile – e quella delle donne:
nel primo caso imprimiamo al fenomeno una specificità legata essenzialmente
alle modalità del comportamento politico; nel secondo identifichiamo un gruppo
sociale a cui viene riconosciuta una soggettività propria, ma nel caso delle donne
– così come in quello delle giovani generazioni - è chiaro che non stiamo parlan-
do di un “gruppo” o di un “soggetto sociale” omogeneo, quanto piuttosto di un
insieme di persone facenti parte della società in toto.
Un’altra distinzione rilevante è tra cultura politica femminile e subcultura
politica. In Italia, come sappiamo, vengono individuate almeno due tipologie di
subcultura politica: quella cattolica, la “bianca”, e quella “rossa” con le quali la
cultura politica femminile ha interagito. Il rapporto tra subcultura e cultura po-
litica femminile è un tema assai rilevante che meriterebbe un approfondimento
a sé e sul quale in questa sede non mi soffermo.
Vorrei concentrare, invece, l’attenzione sul concetto di cultura politica fem-
minile e sul comportamento elettorale delle donne utilizzando gli strumenti meto-
dologici propri della scienza politica, una disciplina che finora ha prestato davvero
scarsa attenzione a questo argomento.
Lorella Cedroni

Il concetto di cultura politica è - come ha affermato Gabriel Almond - parte


della strategia esplicativa della scienza politica – atta a spiegare il comportamento
politico risalendo alle credenze, ai valori e alle convinzioni condivise all’interno di
una popolazione nazionale, o di una parte di essa (Almond 1963).
La cultura politica rappresenta la dimensione soggettiva del sistema politico
in quanto consta di componenti cognitive, affettive e valutative; include cono-
scenze e credenze relative alla realtà politica, sentimenti riguardo alla politica e
impegni rispetto a valori politici (Inglehart 1993 e 1998).
Trattasi di variabili relativamente mutevoli che dipendono dal contesto
storico, l’educazione, la socializzazione, l’esposizione ai media e le esperienze
compiute in età adulta, che configurano un certo tipo di atteggiamento rispetto
alle prestazioni del governo, della società e dell’economia. La cultura politica in-
fluisce sulla struttura e sulle prestazioni politiche e governative, nel senso che le
vincola, senza tuttavia determinarle. Se assumiamo gli indicatori più rilevanti
della cultura politica (fiducia, opinioni, credenze, atteggiamenti) e li ordiniamo
secondo una classificazione rispetto al cambiamento che per essi si produce,
troveremo che:
a) la fiducia politica è suscettibile di cambiamento in misura maggiore ri-
spetto alle
b) opinioni e ai valori politici basilari che sono invece più resistenti al cam-
biamento;
c) le credenze politiche hanno una considerevole stabilità; infine
d) quelli che più resistono al cambiamento sono gli atteggiamenti connessi ai
fattori culturali, nazionali e religiosi.
La cultura politica si articola - seguendo ancora le indicazioni di Almond – su
tre livelli: sistema, processo e azione politica, ciascuno dei quali con una propria
specificità:
1) la cultura del sistema è fatta di conoscenze, sentimenti e valutazioni rispet-
to alle autorità politiche, ai detentori del potere, nei confronti del regime, della
struttura istituzionale e verso la nazione;
2) la cultura del processo è fatta di conoscenze, sentimenti e valutazioni che i
membri del sistema politico hanno verso se stessi in quanto attori politici e verso
gli altri attori politici, compresi i partiti, i gruppi di interesse e le élites politiche
e governative; infine
3) la cultura dell’azione politica è composta da quelle conoscenze, sentimenti
e valutazioni che i membri del sistema politico hanno verso gli esiti del sistema,

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Cultura politica femminile e comportamento elettorale

la sua politica interna ed esterna (Almond 1963). Si tratta, dunque, di un’arti-


colazione complessa che tiene conto di molteplici fattori. Nell’analizzare la cul-
tura politica femminile seguiremo questa tripartizione utilizzando tre indicatori
che sono soliti essere indicati in tale ambito:
a) la fiducia politica e nelle istituzioni;
b) l’identificazione partitica (vicinanza ai partiti);
c) l’interesse politico individuale.
Infine, tratteremo quel tipo di comportamento politico che si configura come
comportamento elettorale, sia in prospettiva comparata delle donne rispetto agli
uomini, sia in senso diacronico.
a) Per quanto riguarda la fiducia nei confronti delle istituzioni, essa tende
costantemente a diminuire nelle democrazie europee; alcuni studiosi di cultura
politica hanno messo in relazione questo orientamento con un senso di apparte-
nenza nazionale piuttosto debole, ma ci sono altri fattori, meno generici e più
specifici che tendono ad allontanare le donne dalla politica. Sappiamo bene che
quando si allenta il legame fiduciario, che è il fondamento su cui poggiano le
democrazie rappresentative, può venir meno la legittimità di un assetto politico.
Tuttavia, non mi soffermo ad analizzare questo punto che pure è essenziale per
definire quanto e in che modo la cultura politica femminile incide nella trasfor-
mazione delle forme e della natura stessa della democrazia – basti pensare alla
domanda di maggiore rappresentanza espressa dalle donne in termini di autorap-
presentanza e quanto questa contribuisca alla deriva populista delle democrazie
occidentali (Cedroni 2004).
b) Vorrei invece approfondire un altro aspetto che ritengo fondamentale ai
fini del nostro discorso, ossia quello della frattura apertasi tra le elettrici e il si-
stema dei partiti, della peculiare modalità di identificazione partitica femminile.
c) Ad esso correlato vi è un ulteriore aspetto, ossia il livello di fruizione
della politica in termini di “informazione”. Qui vale la pena osservare come ad
un aumento della cognitività politica (attenzione+informazione) corrisponde un
progressivo decremento della fiducia politica nei confronti soprattutto dei par-
titi che non sono in grado di rappresentare le istanze di genere.
Se dagli atteggiamenti e dagli aspetti cognitivi in relazione alla dimensione
istituzionale, si passa ad osservare la partecipazione politica è utile contestualiz-
zare questo fenomeno all’interno del modello di democrazia che si è istituzio-
nalizzato nel nostro paese.

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Lorella Cedroni

La frattura tra i partiti politici e le donne

Quando si parla di cultura politica, in genere – ed erroneamente - ci si rife-


risce esclusivamente alla cultura politica dei partiti. È chiaro che i partiti, come
ogni altro gruppo sociale, esprimono una propria cultura politica, ma questa
non va identificata con quella del corpo elettorale, o con la cultura politica di un
individuo preso singolarmente.
Nel caso italiano, dal secondo dopoguerra in poi, è prevalsa una cultura
politica di tipo consociativo, un modello caratterizzato da una profonda frattura
ideologico-politica e da una società fortemente divisa sul piano dei valori, dove le
forze partitiche hanno agito da “pilastri della politica” (Fabbrini 1999). Il “prima-
to” della politica non è stato altro che il “primato” (l’egemonia?) dei partiti. Ora,
fino a che tale modello è durato, la storia della partecipazione politica femminile
si è intrecciata con la storia dei due maggiori partiti politici italiani, Dc e Pci,
principali fautori dell’accesso delle donne alle istituzioni politiche (Donà 2006).
Più precisamente, fino alla riforma elettorale del 1993, pur vigendo un sistema
proporzionale che, generalmente, tende a favorire una maggiore rappresentanza
femminile, le donne elette nelle istituzioni rappresentative sono state, però,
sempre molto poche, come mostrano i dati della pagina seguente.
La ragione di questa scarsa presenza sta nel sistema partitico italiano; dei due
partiti massa, Pci e Dc, il PCI è quello che ha avuto una maggiore capacità di
integrazione della domanda sociale delle donne, espressa in termini di issues fem-
ministe, ossia di political issues, emerse negli anni Settanta, più che in termini di
policy issues, come avviene invece a partire dagli anni Novanta. La Dc, invece, la
cui caratteristica – a differenza del Pci la cui struttura era altamente centralizzata
e burocratizzata – era quella di presentare una debole istituzionalizzazione e una
scarsa coerenza di tipo organizzativo ha maggiormente penalizzato le donne, le
quali, prive di una risorsa politica personale e dell’appoggio di influenti gruppi di
interesse, sono state relegate a ruoli subalterni e circoscritti nell’ambito delle sedi
decisionali dei partiti.

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Cultura politica femminile e comportamento elettorale

Tab. 1: Serie storica delle donne elette alla Camera e al Senato

Anno Camera Totale % Elette Senato


1949 45 574 7,8 4
1953 33 590 5,7 1
1958 25 596 4,1 3
1963 29 630 4,6 6
1968 18 630 2,8 11
1972 25 630 4,1 6
1976 53 630 8,5 11
1979 55 630 8,2 13
1983 49 630 7,9 15
1987 81 630 12,9 21
1992 51 630 8,0 30
1996 69 630 11,0 22
2001 71 630 11,7 24
2006 108 630 17,1 44

Dati della Camera e del Senato (2006).

A fronte di un 33% di donne presenti nella direzione del Pci, si aveva un’esigua
percentuale di donne nella direzione della DC, pari al 2,5% (Guadagnini 1993).
Dopo la riforma elettorale del 1993, è avvenuto un profondo cambiamento e,
insieme ai partiti, altri attori – lobby e gruppi di pressione femminili - sono interve-
nuti nel processo di trasformazione delle modalità di selezione della classe politica.
Questi nuovi attori hanno esercitato una costante pressione sui partiti che ha portato
a qualche risultato – mi riferisco a Emily, per esempio, una lobby che sulla scia della
sua omonima inglese ha svolto il compito di promuovere candidature femminili.
Essendo il reclutamento e la selezione delle candidature appannaggio dell’alta
dirigenza dei partiti, se questi presentano maggiore coesione è più facile accedere
alle candidature. Non solo, ma se nelle organizzazioni di partito le donne occupa-
no cariche dirigenziali, sarà maggiore la loro visibilità e più elevata la possibilità di
essere selezionate. Tuttavia, la presenza femminile negli organi dirigenti è stata e
continua ad essere esigua. Durante la cosiddetta prima Repubblica le donne sono
state considerate dai partiti – e in questo mi sento di condividere le osservazioni di
Alessia Donà contenute nel suo recente volume - “come una risorsa da utilizzare
all’interno del gioco politico, ovvero dello scontro ideologico. I soggetti politici
si sono dovuti adeguare al cambiamento del ruolo della donna all’interno della
società e della famiglia, ma con modalità coerenti con il modello organizzativo

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Lorella Cedroni

del partito. Lo spazio politico è stato dunque aperto alle donne secondo metodi e
convenienze in linea con la strategia elettorale di partito: mentre i partiti di sini-
stra (Pci e Psi) hanno risposto aprendo la propria organizzazione all’entrata delle
donne, la Dc ha mantenuto chiusi i propri ranghi decisionali alle donne a seguito
della già frammentata struttura interna in correnti” (Donà 2006, p. 96).
Dopo il crollo del sistema partitico italiano la presenza delle donne negli orga-
ni costitutivi dei partiti è aumentata soprattutto in quei partiti che hanno deciso
di adottare nei loro statuti, delle norme per il riequilibrio della rappresentanza
(Ds, Pdci, Rc, Verdi, Margherita e Sdi).
Per quanto riguarda tutti gli altri partiti la percentuale delle donne presenti
negli organi decisionali è ancora molto bassa e, ancor più rare sono le donne
elette Presidente o Segretario di partito, come mostra la tabella qui di seguito
riportata (Tab. 2).

Tab. 2: Presenza femminile negli organi dirigenti dei partiti politici

Se-
Presi- Segrete- Organi colle- Organi collegiali
Partito greta- % %
dente ria giali centrali nazionali
rio
Tot D Tot D Tot D
An 1 23 1 99 5 5 458 27 5,8
Ds 1 1 16 4 47 11 23,4 310 96 31
FI 1 4 81 4 4,9
Lega
1 1 14 39 5 12,8
Nord
Lista Di
1 11 35 1 2,8
Pietro
Marghe-
1 20 2 31 9 29 204 24 12
rita
Nuovo
1 7 1 100 13 13 582 72 12
Psi
Partito
3 1 1 17 2 85 14 16,4
Radicale
Pdci 1 1 13 2 53 11 21 204 89 44
Prc 1 5 2 39 13 33 133 46 34
Pri 1 1 35 3 8,5 150 9 6
Sdi 1 30 4 90 11 12,2 392 65 17
Udc 1 1 9 1
Udeur 1 1 31 3 83 9 11
Verdi 1 7 1 92 31 33,6

Dati delle segreterie organizzative di partito (2003)

98
Cultura politica femminile e comportamento elettorale

Da elettrici a elette: il comportamento elettorale femminile

La trasformazione prodotta dalla crisi del sistema dei partiti e dall’introduzio-


ne del maggioritario nel 1993 ha segnato una svolta epocale nell’ambito della cul-
tura politica italiana nel fatidico passaggio da elettrici ad elette (Brunelli 2006).
È chiaro che come elette, le donne esprimono una cultura politica atta a defi-
nire una categoria a cui appartiene la titolarità dell’esercizio del potere al pari degli
uomini: ossia il “governo” della cosa pubblica. Questa osservazione introduce un
ulteriore argomento di riflessione relativo alla definizione e all’analisi di una cate-
goria politologica raramente declinata al femminile: la classe politica delle elette.
Se, fino agli anni Novanta i principali partiti italiani si sono adoperati per or-
ganizzare il consenso e l’azione politica delle donne, dalla socializzazione alla mo-
bilitazione delle elettrici, con il crollo del tradizionale sistema dei partiti l’atten-
zione si sposta sulle elette, ovvero sulla possibilità di accesso ai processi di decision
making che le donne hanno e che corrispondono ad un effettivo riconoscimento
dei diritti sociali e politici.
Conseguentemente – data l’evidenza empirica della carenza di donne nelle
cariche politiche e di controllo - l’attenzione si sposta sulle modalità da adottare
per riequilibrare il gap nella rappresentanza tra uomini e donne.
Nelle elezioni del 1994 – tenutesi con un sistema maggioritario misto – si è
avuto il numero più elevato di donne elette in Parlamento quasi il 13% (il 12,8%
sul totale dei parlamentari), per effetto soprattutto dell’introduzione delle quote,
percentuale che poi è tornata sotto la soglia del 10% nel 1996, una volta che que-
ste sono state dichiarate illegittime.
Successivamente alle elezioni del 2001 tale soglia viene superata di un punto,
mentre nelle ultime elezioni dello scorso aprile 2006 si ha la più elevata percen-
tuale di donne elette finora conseguita, pari al 17.1%, tuttavia ancora molto bassa
se confrontata con gli altri paesi europei.
Da cosa dipendono questi scarsi risultati?
Tra i fattori che vorrei segnalare vi è quello, non trascurabile, del rapporto tra
elettrici ed elette, nel mancato rispecchiamento, che in termini tecnici produce
una rappresentanza poco descrittiva dal punto di vista sociologico. Numerica-
mente nel nostro paese le elettrici superano gli elettori e la forbice tra uomini e
donne è aumentata dal 1994 a oggi (Tab. 3).

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Lorella Cedroni

Tab. 3: Elettrici ed elettori. Il corpo elettorale femminile dal 1994 al 2006.

Anno Elettrici Elettori Scarto


1994 25.040.219 23.194.994 1.845.225
1996 (uninom.) 25.347.795 23.498.443 1.849.352
2001 25.601.253 23.757.694 1.943.559
2006 24.534.986 22.565.048 1.969.938

Nonostante la preferenza elettorale espressa dalle donne sia mutata – mentre


infatti, durante la prima Repubblica, le preferenze delle elettrici si orientano dap-
prima verso i partiti conservatori e, successivamente, si spostano gradatamente a
sinistra – il risultato del voto tende a riprodurre, anche nella cosiddetta seconda
Repubblica, questo andamento.
A partire dagli anni Novanta le donne tendono, infatti, a privilegiare i nuovi
partiti. Alle elezioni del 2001 risultano più votati dalle elettrici FI e la Margherita
con uno scarto rispettivamente del 3.4% e del 10.9% rispetto al voto maschile
(Caciagli, 2002). Tale orientamento in parte dipende dalla scomparsa della Dc,
per cui il voto delle donne si è dapprima orientato verso i due partiti centristi del
sistema politico italiano e, successivamente, si è leggermente spostato a sinistra; in
parte risulta essere espressione di una domanda di cambiamento rispetto all’asset-
to partitico di tipo tradizionale.
Tuttavia, anche i se dati delle ultime elezioni del 2006 mettono in evidenza una
minore differenza tra uomini e donne per quanto riguarda il voto espresso, queste
ultime continuano a preferire quei partiti che penalizzano la loro presenza nelle
istituzioni elettive e negli organi decisionali della politica.
Se si guarda, infatti, all’attuale composizione della Camera, la percentuale di
donne elette risulta maggiore per i partiti di sinistra, si va dal 27% di Rifondazione
comunista, al 21% dell’Ulivo, mentre nessun partito di destra arriva al 20%.
Non mi soffermo in questa sede su questo fenomeno che è stato da più parti
considerato e interpretato e sul quale mi sono cimentata altrove (Cedroni, 2001).
Vorrei invece passare ad analizzare una modalità specifica del comportamento
elettorale che si configura come astensionismo.
L’astensionismo (sia esso deliberato o irriflesso) costituisce un fenomeno in
costante aumento nelle democrazie europee; quello femminile risulta poi essere
maggiormente in crescita rispetto all’astensionismo maschile.
Si deve tuttavia ricordare che l’Italia mantiene i più alti tassi di partecipazione
elettorale rispetto agli altri paesi europei. Da noi, infatti, il voto viene inteso come

100
Cultura politica femminile e comportamento elettorale

un dovere civico fondamentale (Mannheimer, Sani 1987, p. 33), anche se non è


obbligatorio come lo è invece in altri paesi europei – tra cui l’Austria e la Grecia –
il che si evidenzia appunto nell’elevato grado di partecipazione alle diverse tornate
elettorali fin dalla nascita della Repubblica, allorché l’affluenza elevata assumeva
“anche un significato simbolico di conquista e di volontà di conservazione di un
effettivo diritto di cittadinanza, dopo anni di regime autoritario e in concomitan-
za con l’effettiva realizzazione dell’universalità del suffragio” (Agosta 1999).
Va detto che il voto come diritto/dovere civico è espressione della cultura poli-
tica di un paese, non solo di un partito, o un gruppo sociale, come abbiamo detto;
è un indicatore “culturale”, attraverso il quale si manifesta il consenso o il dissenso
nei confronti della politica, di un politico, di un intero sistema.
La partecipazione politica attraverso il voto esprime inoltre il livello e la quali-
tà del cambiamento sociale e in atto, nel caso della partecipazione elettorale delle
donne, tale indicatore può essere utile anche “per comprendere le modalità attra-
verso cui si compiono i processi di modernizzazione che investono l’intera società,
il livello di profondità a cui questi processi si situano” (Fruncillo 2004, p. 134).

Tab. 4: Composizione della Camera: distinzione dei deputati per gruppo e


per sesso

Partiti e gruppi Donne Uomini Totale


AN 12 60 72
UDC (CCD-CDU) 3 36 39
L’Ulivo 46 172 218
FI 24 110 134
Lega Nord Padania 2 21 23
Italia dei Valori 2 18 20
RC 11 30 41
Misto 8 75 83
Misto-com.it 2 14 16
Rosa nel Pugno 2 16 18
Verdi-U 3 13 16
Min.Linguist. 0 5 5
Dc-Psi 0 6 6
Pop.-Udeur 1 13 14
Altri 0 8 8

Servizio Prerogative e Immunità Camera (mag. 2006)

101
Lorella Cedroni

Ora, questi cambiamenti indicano un mutamento della condizione sociale


delle donne ma, al tempo stesso, sono il prodotto dell’incidenza della cultura
politica femminile.
Tornando all’astensionismo, se si osservano i dati, anche solo per quanto ri-
guarda le ultime tornate dopo la riforma elettorale del 1993, si nota un progres-
sivo aumento dell’astensionismo in generale e, in particolare, quello femminile
risulta essere più elevato rispetto all’astensionismo maschile.

Tab. 5: Elettrici/votanti Astensioniste - Elettori/votanti Astensionisti dal 1994


al 2006.

Anno Elettrici Votanti Astenute Elettori Votanti Astenuti


1994 25.040.219 21.417.877 3.892.342 23.194.994 20.391.587 2.803.407
1996 25.347.795 20.537.146 4.810.649 23.498.443 19.959.292 3.540.151
2001 25.601.253 20.527.907 5.073.346 23.757.694 19.667.593 4.090.101
2006 24.534.986 20.050.539 4.487.447 22.565.048 19.324.741 3.240.307

Dati del Ministero dell’Interno – Dir. Centrale Servizi Elettorali (2006).

L’astensionismo femminile oggi non viene più considerato l’esito del modello
di socializzazione improntato al modello maschile, quanto piuttosto l’effetto di
un fenomeno collegato al modello centro-periferia, secondo il quale le donne par-
tecipano meno alle elezioni perché si trovano ad una maggiore distanza dal centro
politico (Cuturi, Sampugnaro, Tommaselli 2001), avendo un limitato accesso sia
alle risorse cognitive (informazione e comunicazione politica), sia finanziarie mes-
se loro a disposizione dai partiti.
Se, infatti, come elettrici, le donne sono state e tuttora sono considerate una
risorsa per il sistema politico, come elette continuano a situarsi ai margini dei
processi decisionali, il che significa che non hanno ancora ottenuto una piena
cittadinanza attiva come esige ogni democrazia degna di questo nome.

Riferimenti bibliografici

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storica”, in Instrumenta, n. 8, maggio-agosto, SSPA, 1999.
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Cultura politica femminile e comportamento elettorale

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poche, Bologna, Il Mulino, 2006.
L. Cedroni, La rappresentanza politica. Teorie e modelli, Milano, FrancoAngeli,
2004.
L. Cedroni, Rappresentare la differenza. Le donne nelle istituzioni elettive, Roma,
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lano, FrancoAngeli, 2000.
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pea, Roma-Bari, Laterza 2006.
S. Fabbrini, Quale democrazia. L’Italia e gli altri, Roma-Bari, Laterza, 1999.
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2004.
M. Guadagnini, G. Fornengo, (a cura di), Un soffitto di cristallo? Le donne nelle
posizioni decisionali in Europa, Roma, Fondazione Olivetti, 1999.
R. Inglehart, Valori e cultura politica nella società industriale avanzata, Vicenza,
Liviana, 1993
R. Inglehart, La società postmoderna, Roma, Editori Riuniti, 1998.
R. Mannheimer, G. Sani, Il mercato elettorale. Identikit dell’elettore italiano, Bolo-
gna, Il Mulino 1987.

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