Per avere un‟idea di ciò che poteva essere il meccanismo
dell‟improvvisazione dei comici dell‟arte su un tema predefinito, si può osservare la tecnica adoperata da Dario Fo. Come è noto, Dario Fo è un artista polivalente, attore, disegnatore, drammaturgo e regista che ha rivolto molta attenzione al mondo della commedia dell‟arte soprattutto per quanto riguarda la capacità dell‟interprete di creare e disegnare la scena attraverso un linguaggio corporeo multiplo fatto di gesti, parole, suoni e quant‟altro può scaturire dalla fisicità dell‟attore. Il pezzo che si sottopone all‟attenzione è il monologo dello zanni affamato (tipico del repertorio dei comici dell‟arte) che pensa di mangiare tutto a partire dal suo stesso corpo per finire alle montagne e addirittura a Dio. Poi sogna di preparare un pranzo pantagruelico, in più pentoloni, e di ingurgitarlo tutto di un fiato compresa la “cannella” che gli era occorsa per girare il tutto, fino a capire che è stata tutta immaginazione. L‟azione si conclude con un altro lazzo esemplare della tradizione della CdA (inserito anche da Streheler nell‟Arlecchino) che vede un incauto moscone svolazzargli intorno e finire tragicamente a soddisfare il suo appetito. Il linguaggio utilizzato è quello del “grammelot”, ossia una serie di suoni onomatopeici che costituiscono un linguaggio inventato che ha comunque il potere di illustrare l‟azione scenica. Nel caso specifico il grammelot dello zanni è costituito dalle componenti linguistiche dei dialetti dell‟area padana (territorio di origine della maschera) che insieme costituiscono un linguaggio inventato fatto di suoni e ritmi che rimandano immediatamente a quell‟idioma. L‟effetto è ottenuto anche 1 grazie ad una gestualità amplificata e iperbolica che crea una nuova grammatica scenica che risulta immediatamente socializzabile e comunicativa. Dario Fo fa risalire l‟origine del termine grammelot ai comici dell‟arte prima del „500, quando nelle loro peregrinazioni avevano l‟esigenza di essere capiti nei posti dove recitavano specie se fuori d‟Italia. Fo sostiene che, una volta impossessatisi di pochi vocaboli esatti, gli attori erano in grado di costruire un linguaggio inventato che utilizzava i suoni dominanti di quella lingua ma che in effetti non aveva senso compiuto dal punto di vista grammaticale. Ciò sarebbe stato anche un espediente per operare un certo tipo di satira che potesse sopravvivere ai controlli e che si poneva, dunque, come opposizione alla lingua di potere. In realtà ciò non è documentato da alcuna fonte scientifica, pur essendo un‟ipotesi affascinante, pertanto la tesi di Fo non può essere ritenuta attendibile. Quello che, invece, può essere preso come esempio che a quella tradizione si riferisce, è la simbiosi tra l‟attore e l‟autore stesso dell‟azione improvvisata su uno schema che è già previsto. Se si esaminano registrazioni successive del medesimo monologo si può notare che il margine di improvvisazione che Dario Fo si concede è relativo in quanto la struttura è il risultato di uno studio attento e pertanto codificato. Di notevole importanza è anche la capacità di recitare su una scena sgombra disegnata volta per volta dal corpo dell‟attore capace di creare e visualizzare al contempo tutto ciò che è necessario per l‟espressione teatrale, che non deriva dal testo ma dall‟attore.