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30/9/2017 Interval training

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Interval training
 

Alzi la mano il corridore che, almeno una volta nella sua carriera agonistica, non abbia
svolto in allenamento una seduta di interval training. La traduzione letterale
dall’inglese, “allenamento frazionato”, non chiarisce certo le modalità di esecuzione di
questo tipo d’allenamento che ha cominciato a svilupparsi nella seconda metà degli
anni trenta sotto l’etichetta di “friburghese”

Con il nome interval training si identi ca una seduta di parecchie prove su distanze
brevi comprese fra i 150 e i 400 metri, che devono essere corse ad un ritmo non massimale per evitare di scon nare siologicamente in
un lavoro lattacido.

Nell’interval training assume un’importanza fondamentale il tempo di recupero, che deve avere una durata pari a quello della prova e che
va eseguito correndo a un ritmo più o meno lento a seconda che l’atleta sia un giovane principiante o un podista evoluto. Il già citato
metodo classico friburghese prevede che non si debba ripartire per la ripetuta successiva se la frequenza cardiaca non è scesa sotto i 120
battiti al minuto. In realtà questo discorso è valido soprattutto a livello giovanile.

La scuola tecnica tedesca di Friburgo trovò comunque la sua massima espressione nella collaborazione fra l’allenatore Woldemar
Gerschler e l’ottocentista Rudolf Harbig che all’Arena di Milano, il 15 luglio 1939, demolì il primato del mondo del doppio giro di pista in

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1’46”6, distruggendo, dopo un memorabile testa a  testa, l'azzurro Mario Lanzi. Fu il primo straordinario successo legato all’utilizzazione
dell’intervalla training, che ottenne poi ulteriore celebrità nei primi anni cinquanta grazie alle imprese del fondista Emi Zatopek,
l’indimenticabile “locomotiva umana”, scomparso nel dicembre 2000. Il campione cecoslovacco esasperò il concetto di quantità che è alla
base dell’interval training arrivando a percorrere in allenamento ben 60 prove di 400 metri con un breve spazio di recupero. La metodica
visse un periodo di massimo fulgore subito dopo, nella seconda metà degli anni cinquanta, con l’allenatore magiaro Mihaly Igloi che portò
alla ribalta mondiale i mezzofondisti veloci Itsvan Rozsavolgyi, Sandor Iharos e Laszlo Tabori.

In seguito ha forse perso un poco le stimmate di allenamento fondamentale per ottenere i grandi risultati, ma ha conservata intatta la
valenza di lavoro utile per la costruzione giovanile e nelle fasi di avvicinamento e mantenimento della forma. Se correttamente eseguito
lo si può catalogare tra gli allenamenti che concorrono a sviluppare la potenza aerobica e quindi a innalzare la soglia anaerobica.

A ognuno il suo. Nell’interval training la quantità e la qualità delle prove, nonché la velocità del recupero variano secondo le età e il valore
tecnico degli atleti. Tali aspetti dell’allenamento, non possono essere esasperati oltre un certo limite, altrimenti la seduta di interval
training nirebbe per trasformarsi in una di resistenza lattacida, coinvolgendo più il meccanismo anaerobico che quello aerobico.
Entrando più analiticamente nell’aspetto siologico, l’interval training dovrebbe far arrivare la concentrazione del lattato del sangue da
4/5 millimoli/litri a un massimo di 7/8 millimoli.

Per il maratoneta di alto livello L’interval training per il maratoneta d’elite su basa su quantità consistenti di lavoro e sull’ottimizzazione
del recupero. I  pratica, si tratta di eseguire un numero di prove abbastanza elevato (per esempio da 20 a 30 ripetizioni di 400 metri su
cadenze di 2’50”-2’55” al km) con un recupero di 200 metri corsi a buon ritmo (fra i 40 e i 45 secondi).

Per il mezzofondista d’elite. Anche in questo caso  sono importanti le quantità di lavoro, ma è necessaria una maggiore attenzione alla
velocità elle prove, a scapito magari del recupero. Prendendo come termine di paragone lo stesso allenamento proposto per il
maratoneta di alto livello, si tratta di eseguire un elevato numero di ripetizioni (per esempio da 20 a 25 volte i 400 metri su cadenze da
2’50”/2’45” al km) con un recupero di 200 metri corsi in scioltezza (fra i 50 e 55 secondi).

Per il maratoneta e mezzofondista amatore. Scendendo di livello, si cercherà soprattutto l’equilibrio tra la quantità delle prove e la
velocità del recupero. Facendo riferimento all’esempio precedente, un lavoro tipico potrebbe consistere in almeno 15/20 ripetizioni di 400
metri al ritmo del proprio personale sui 10.000m, recuperando 200 metri al ritmo del proprio fondo lento. Per quanto riguarda invece i
mezzofondisti, occorre una maggiore attenzione alla velocità delle prove: ne bastano 15 da 400 metri, corse però al ritmo del proprio
personale sui 5.000m recuperando 200 metri al ritmo del proprio fondo lento o leggermente più adagio.

Per il giovane mezzofondista. Per i giovani l’interval training ha anche un’importante funzione educativa di adattamento ai diversi ritmi di
gara,  alla corretta distribuzione delle forze in allenamento, oltre a rappresentare una forma attiva di recupero. Per le categorie giovanili
possono bastare 10 ripetizioni di 400 metri al ritmo del proprio personale teorico sui 3.000m, sempre con un recupero di 200 metri di
corsa lenta (intorno ai 75/90 secondi).

Il lavoro intermittente. Una variazione signi cativa e moderna del classico interval training è senz’altro il “lavoro intermittente”. Di
estrazione calcistica, questo tipo di lavoro è stato usato con successo negli anni novanta anche nella canoa, nello sci di fondo e nel
ciclismo.

Nell’ottobre del 1997 Fabio Scapin, tecnico di Andrea Longo, ottocentista di livello mondiale dalla struttura particolare (1 metro e 92
centimetri x 88 kg), ha studiato un personale protocollo di utilizzo di lavoro intermittente al ne di migliorarne la qualità di potenza

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aerobica, nonché la tecnica di corsa a velocità medio-alte. E questo senza dover ricorrere (soprattutto nel periodo invernale) ad
estenuanti sedute lattacide.

L’obbiettivo siologico del tecnico era soprattutto quello di far raggiungere a Longo velocità comprese fra i 2’40” e i 2’50” al chilometro,
con tempi stretti di recupero, senza che la percentuale di lattato superasse le 8 millimoli/litro. L’allenatore padovano ha ipotizzato e poi
realizzato con il suo allievo questo tipo d’allenamento:

a. 4 serie di 10 ripetute di 150 metri in 23 secondi (ritmo gara sotto i 2’40” al km), con recupero di 30” fra le prove e 10’ fra le serie. La
partenza per ogni prova avviene in forma lanciata.
b. 4 serie di 10 ripetute di 80 metri in 11 secondi circa (ritmo da 1’50” sugli 800m), con 20 secondi di recupero tra le prove e 10 minuti fra
le serie.
Con questo tipo di allenamento che, a seconda del momento agonistico della stagione, subisce variazioni per quanto riguarda l’aspetto
velocità, Scapin ha ottenuto importanti risultati smentendo quanti (non tutti in buona fede) ritenevano che il suo lavoro intermittente non
fosse altro che un lavoro esasperatamente lattacido mascherato in veste aerobica.

La conferma della bontà delle sue intuizioni Scapin l’ha avuta durante uno stage e ettuato in Namibia nel gennaio 1998: Andrea Longo
dopo una seduta intermittente sui 150 metri aveva valori di lattato nel sangue compresi fra le 5 e le 6 millimoli/litro, mentre dopo il
classico corto veloce di 4 km in 11’59” erano oltre le 9 millimoli/litro.

Al di la del corretto uso che ne ha fatto Andrea Longo, il lavoro intermittente è indubbiamente una metodica assai moderna, che
rappresenta una forma di evoluzione del classico “interval training” e che a mio avviso, può essere utilizzata da tutti con successo.
Certamente prima di servirsene vanno studiate con grande attenzione le velocità delle prove e il tempo di recupero in base alle
potenzialità individuali di ogni singolo atleta.

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