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Istituto di Istruzione Superiore "ORSO MARIO CORBINO"

Partinico

STORIA
Secondo periodo didattico (III – IV – Anno)

Prof.ssa Liliana Geraci


Prof.ssa Vincenza Amorello

III anno (primo quadrimestre)

Unità 1 L’EUROPA DOPO IL MILLE


Il Medioevo

Il Medioevo è un periodo storico che inizia con la caduta dell’Impero romano d’occidente
(476 d.C.) e termina con la scoperta dell’America (1492).
Un’altra distinzione che si è soliti fare è quella tra Alto Medioevo e Basso Medioevo,
considerando come spartiacque tra i due l’anno Mille:
L’alto Medioevo è compreso tra la caduta dell’Impero romano d’occidente e il Mille, il basso
Medioevo tra il Mille e il Trecento.
Il termine Medioevo allude al fatto che si tratta di una “età di mezzo” fra quella antica e
quella moderna, lunga e complessa, caratterizzata da diverse fasi storiche. Qui
prenderemo in considerazione quella che comincia dopo l’anno Mille poiché segnò una
svolta in tutti i campi: economico-sociale, demografico, politico, religioso.
E' un bel periodo di rinascita, di rinnovamento, rispetto all'oscurantismo e alla chiusura
dell'Alto Medioevo. Questo arco di tempo è caratterizzato dalla parabola dell'autorità
imperiale: infatti se all'inizio sembra affermarsi il potere dell'imperatore, sempre più
autonomo rispetto al papa, in seguito si assiste al suo progressivo declino, con la rinascita
comunale ed il risveglio dell'economia e della cultura.

Il Basso Medioevo

La credenza popolare, alimentata da predicatori e visionari, fissava per l’anno Mille la fine
del mondo. In un certo senso, questa data segna effettivamente una fine, che tuttavia
rappresenta anche una svolta nella storia europea: attorno al Mille, infatti, il volto
dell’Europa cambia radicalmente e prende avvio un processo che la porterà verso un
rapido e importante sviluppo. Intorno all’anno 1000 si registrò in Europa una svolta decisiva
nella vita e nei costumi dei popoli. Con lo stanziamento delle varie popolazioni barbariche
nelle diverse regioni d’Europa, si ebbe la cessazione delle terribili invasioni, che
affliggevano da tempo il nostro continente. Cessarono le incursioni di Ungari, Saraceni e
Normanni, i quali avevano impoverito molte regioni determinando nuovi scenari politici.
Così l'Europa riprese fiato e iniziò un lungo periodo di espansione che durò fino i primi
decenni del XIV secolo.

La ripresa dopo il Mille

Dopo il Mille si apre per l’Europa una nuova fase di sviluppo: Il Basso Medioevo

Le invasioni di Normanni, Ungari e Saraceni cessano.


 Tornano la pace e la sicurezza
 Cessano le ansie dell’anno Mille (paura della morte, della punizione divina,
dell’inferno, superstizioni di ogni tipo fanno pensare vicina la fine del mondo.)
 Per circa due secoli non si verificano epidemie di peste.
 Vengono introdotte nuove tecniche agricole (rotazione triennale, aratro di ferro,
dissodamento del terreno)
 Si sfruttano meglio le fonti energetiche disponibili, il vento e l’acqua, con la
costruzione di mulini, dighe e canali.
 Vengono introdotte nuove colture ricche di proteine (fave,lenticchie, piselli)
 Il clima è più mite.
 Tutto ciò ha come conseguenza: lo sviluppo dell’economia – l’aumento della
popolazione – il miglioramento delle condizioni di vita – il ripopolamento delle
antiche città e la nascita di nuove.
Religione e Chiesa nel Medioevo

La Chiesa attraversa una profonda crisi spirituale che ne rendeva necessario il


rinnovamento: vescovi, abati, cardinali, gli stessi pontefici si sentono signori feudali
piuttosto che pastori di anime, spesso vivono nel lusso e nella ricchezza, non rispettano
l’obbligo del celibato, si macchiano di simonia (cariche ecclesiastiche vendute o comprate
per denaro), di nepotismo (assegnare beni e proprietà ad amici e parenti). La nomina del
Papa è spesso in mano alle grandi famiglie aristocratiche romane; alcuni papi vengono
deposti o assassinati, alcuni sono eletti contemporaneamente.
La spinta al movimento riformatore viene dai monasteri e così nuovi ordini monastici
nascono e si diffondono in Europa: i Camaldolesi (in Toscana), i Certosini (Grenoble-
Francia), i Cistercensi (Borgogna), i quali con opere di bonifica e dissodamento delle terre
formano delle vere e proprie aziende agrarie.
La superiorità della Chiesa su ogni altro potere fu riaffermata da Gregorio VII il quale -
istituisce i tribunali ecclesiastici per sottrarre parroci, monaci e vescovi alla giustizia dei
sovrani e dei signori feudali;
- forma il diritto ecclesiastico, un insieme di leggi differenti da quelle civili che i tribunali
ecclesiastici devono applicare,
- rafforza l’obbligo del celibato per gli ecclesiastici, per evitare che le ricchezze della
Chiesa siano utilizzati per scopi personali;
- proclama l’assoluta autorità della Chiesa di Roma e del papa su tutte le chiese locali,
per evitare che si verifichino divisioni da parte delle chiese regionali.
I conflitti che già da secoli opponeva la chiesa di Roma a quella di Bisanzio si concludono
nel 1054 con la separazione definitiva delle due Chiese (Scisma d’Oriente: separazione
tra i cristiani cattolici e ortodossi che non accettano l’autorità del Papa).

Le eresie medievali e il tribunale dell’Inquisizione

Nei contrasti tra il papa di Roma e la Chiesa di Bisanzio ha avuto sempre grande peso
l’accusa reciproca di professare dottrine eretiche, cioè legate a interpretazioni delle
Sacre Scritture diverse da quella ufficiale, considerata l’unica giusta e corretta.
Nel XII secolo in Europa si diffondono diverse eresie. Esse nascono dall’esigenza di
leggere ed interpretare liberamente il Vangelo, ma anche come forma di protesta verso la
corruzione del clero. Gran parte dei seguaci di queste eresie sostiene che il cristiano deve
condurre una vita onesta e pura, distaccata dai beni terreni e alcuni addirittura proclamano
che la fratellanza fra gli uomini e l’uguaglianza di fronte a Dio debbano rispecchiarsi
nell’uguaglianza anche su questa terra, senza più differenze sociali ed economiche fra
ricchi e poveri, fra deboli e potenti
La Chiesa reagisce contro gli eretici, fino a bandire delle vere e proprie “crociate”
(campagne militari) contro di loro, per esempio la più importante di questo periodo fu quella
contro i Catari chiamati anche Albigesi (Albi era la città francese dove essi erano
numerosissimi), che nel 1209 papa Innocenzo III bandisce e dopo una lunga e durissima
lotta, essi vengono sconfitti e massacrati nel (1228).
Un’altra eresia fu quella professata da Pietro Valdo, un mercante di Lione (Francia) che
dopo aver donato tutti i suoi averi ai poveri, inizia la sua predicazione condannando la
corruzione della Chiesa (1176) ed esaltando i valori dell’onestà e della libertà di culto. Ogni
credente, purché virtuoso, può leggere il Vangelo e amministrare i sacramenti senza dover
ricorrere ai sacerdoti. Anche i Valdesi vengono perseguitati e molti di loro furono uccisi,
tuttavia riescono a formare delle comunità ed ottengono il riconoscimento della libertà di
culto. Oggi la Chiesa valdese è presente in Italia e in Francia.
Nel XIII secolo la Chiesa, per combattere le eresie, istituisce il Tribunale
dell’Inquisizione, formato da laici ed ecclesiastici; esso ha il compito di reprimere anche
con mezzi crudeli: torture, condanne al rogo, esecuzioni pubbliche, ogni forma di eresia, di
dissenso all’interno della cristianità. Spesso vittime dell’Inquisizione saranno le donne,
accusate di stregonerie e gli Ebrei, accusati di pratiche magiche e sacrileghe.

Il rinnovamento della Chiesa: san Francesco e San Domenico

Nel XIII secolo all’interno della Chiesa agiscono personalità eccezionali che fondando
nuovi ordini religiosi, cercano di riformarla e rinnovarla. Si tratta degli ordini mendicanti
perché vivono della carità dei fedeli; i due più importanti sono : i Domenicani, fondati nel
1216 da San Domenico di Guzman (Spagna) e i Francescani, fondati nel 1223 da san
Francesco D’Assisi. I Francescani, seguendo l’esempio di San Francesco, predicano la
povertà, l’umiltà, la semplicità, con assoluta carità. Essi si dedicano all’assistenza dei
poveri e dei malati. I Domenicani, famosi per i loro studi, si occupano della lotta alle
eresie e controllano i tribunali dell’Inquisizione, si dedicano all’insegnamento nelle
università. Entrambi gli ordini sono attivi nell’organizzazione di missioni in terre lontane
come Terrasanta (San Francesco), Marocco, Tunisia e perfino India e Cina. Alcuni frati al
ritorno della dalla Persia e dalla Cina introdussero in Italia il baco da seta, dando origine a
una manifattura che è rimasta attiva fino ai giorni nostri.

La cultura ecclesiastica e la nascita dell’università

Nell’alto Medioevo, la civiltà latina aveva attraversato un lungo periodo di decadenza e la


cultura era rimasta confinata all’interno dei monasteri. Infatti le invasioni barbariche
avevano travolto tutte le istituzioni dell’Impero romano; non esistevano più scuole, né
biblioteche e la popolazione era per la maggior parte analfabeta.
I monasteri dunque, furono i luoghi deputati alla conservazione e alla produzione culturale.
I testi antichi e quelli sacri erano conservati e ricopiati a mano su pergamena. I chierici,
che avevano preservato la conoscenza del latino, erano incaricati dell’istruzione, dando
vita a nuove scuole. Nelle città sedi vescovili erano state attivati centri di studi sia a
carattere religioso ma anche laico. Nel I secolo del nuovo millennio con la rinascita dei
centri urbani nascono le università dove si studiano la filosofia, la teologia, la logica, il
diritto e la medicina. La prima università europea è quella nata a Bologna nel 1088, dove
gli studenti chiamano a proprie spese i più grandi maestri delle varie materie (la cultura
scolastica). Sulla traccia di quella bolognese le università si diffondono in molte altre città
italiane ed europee, contribuendo allo sviluppo della cultura e degli studi.

Le crociate: ragioni e conseguenze

- Nel 1071 i Turchi dopo la conversione all’Islam conquistano la Palestina e


Gerusalemme e spesso aggrediscono i pellegrini cristiani.
- Essi minacciano gli interessi commerciali delle repubbliche marinare italiane.
Nel 1095 papa Urbano II bandisce la Prima Crociata per “liberare il santo Sepolcro
di Cristo”.

I primi a partire sono i poveri in cerca di una vita migliore, guidati da predicatori.
Questa crociata “dei Pezzenti” (cioè dei poveracci si mette in marcia ,( priva di esperienza
militare, di validi condottieri e spesso i armi) e strada facendo, compiono in Germania,
massacri di Ebrei, giudicati anch’essi infedeli e uccisori di Cristo e per i disordini provocati
vengono dispersi dai signori feudali. I sopravvissuti che arrivano in Anatolia, vengono
massacrati dai Turchi. Il vero esercito della Prima Crociata è guidato dai grandi signori
feudali, tra cui spicca la figura del francese Goffredo di Buglione che conquista
Gerusalemme (1099) e porta alla creazione di diversi regni cristiani sulle coste asiatiche
del mediterraneo orientale.
 I cristiani non riescono a mantenere le conquiste nei Luoghi Santi
 Vengono bandite altre sette crociate, che non ottengono alcun successo militare,
(i luoghi santi del Cristianesimo rimarranno in mano ai Turchi per circa settecento
anni) ma favoriscono la rinascita dei commerci marittimi nel Mediterraneo. Pisa,
Genova e soprattutto Venezia gode di questo sviluppo e afferma il suo primato nei
traffici con l’Oriente.
 Le Crociate favoriscono lo sviluppo economico: industrie navali e metallurgiche.
Aumenta la produzione di armi (spade, corazze, elmi, scudi).
 Favoriscono l’incontro culturale fra Europei, Arabi e Bizantini.
 Crociati e mercanti, tornando in Europa, portano con loro testi greci e arabi di
filosofia, medicina, chimica, matematica, astronomia.
Con le Crociate, l’Europa esce dai confini e inizia un processo di espansione che
la porterà alla conquista di tutti i continenti e al controllo di tutti i mari.

Unità 2 IL PRIMO NUCLEO DEGLI STATI EUROPEI


Dopo il Mille il territorio europeo è strutturato il grandi feudi, cioè territori. soggetti al potere
imperiale, anche se godono di una certa autonomia politico-amministrativa; i feudatari
infatti amministrano la giustizia, riscuotono le tasse, battono moneta e costruiscono castelli
e fortificazioni. Inoltre, nel 1037, con la Constitutio de feudis, emanata dall’imperatore
Corrado II essi diventano ereditari, iniziando quel processo che nei secoli porterà alla
nascita degli stati nazionali. Accanto ai feudi laici, ci sono anche i feudi ecclesiastici,
concessi dal pontefice, dai vescovi e dagli abati dei grandi monasteri a un vassallo; una
parte dei feudi ecclesiastici sono affidati ai vescovi-conti, che sono a capo di una Chiesa
locale e allo stesso tempo della città o della provincia corrispondenti.
La nomina di questi vescovi-conti ben presto divenne un problema che avrebbe scatenato
un duro conflitto tra l’impero e il papato chiamato: “lotta per le investiture” (lotta per
l’assegnazione del feudo).

La lotta per le investiture

Nel 1075, il Papa Gregorio VII, con il Dictatus Papae, proclamò la superiorità del papa su
qualsiasi autorità politica, incontrando l’opposizione dell’imperatore Enrico IV. Il motivo
dello scontro era legato alla nomina dei vescovi-conti; mentre il papa sosteneva che
toccava al Pontefice l’investitura in quanto si trattava di “vescovi”, ( ogni potere sulla terra
è dovuto alla volontà di Dio, e questa può essere interpretata solo dal papa) l’imperatore
rivendicava che era un suo diritto nominarli in quanto “conti”cioè anche feudatari per cui il
ruolo politico prevaleva su quello religioso; inizia la lotta per le investiture che vedrà
l’imperatore Enrico IV scomunicato dal papa e costretto a chiedere perdono allo stesso .
Ciò avviene a Canossa, presso il castello della contessa Matilde di Toscana che sosteneva
il pontefice. Lo scontro durerà altri 50 anni, coinvolgendo città e villaggi, feudi e signori,
ecclesiastici e popolo e si concluderà nel 1122 con il Concordato di Worms, firmato tra
Enrico V (imperatore) e Callisto II (papa) che stabilì il diritto del pontefice di consacrare i
vescovi che potevano anche ottenere dall’imperatore la concessione dei feudi. Dal
Concordato, la Chiesa ne esce sicuramente rafforzata soprattutto in Italia, ma nello stesso
tempo si individua la necessità di fare una distinzione tra potere temporale e potere
spirituale. Nel 1125 Enrico V, l’ultimo imperatore della casa di Sassonia, muore senza
lasciare eredi, si formano così in Germania due schieramenti: i sostenitori dei duchi di
Baviera, i Welf, (diventati in italiano guelfi) che hanno ottenuto l’appoggio del papa e i
sostenitori dei duchi di Svevia, gli Hohenstaufen, chiamati (dal nome di un loro castello)
Waiblingen, (diventati in italiano ghibellini), che si oppongono all’intromissione del
pontefice. Queste fazioni (partiti) coinvolgeranno anche i Comuni italiani e le lotte avranno
una tregua con l’elezione al trono imperiale nel1155di Federico I, il Barbarossa.

La nascita delle monarchie nazionali

Fra il XIII e il XIV secolo nacque e si sviluppò nell’ Europa occidentale una nuova forma di
Stato: la monarchia nazionale; un tipo di organizzazione dei poteri basato sulla figura
del re che raccoglie sotto di sé un unico popolo e con una sola lingua comune. I nuclei di
abitanti con usi, costumi e lingue diverse rimangono come minoranze e il più delle volte
verranno emarginati o discriminati (i Gallesi in Inghilterra, i Catalani e i Baschi in Spagna, i
bretoni in Francia). Inoltre la monarchia nazionale tende a controllare un territorio compatto
e il sovrano si impone sulla grande nobiltà feudale riuscendo a costituire quello che oggi
chiamiamo uno Stato.
Dal lungo processo di formazione delle monarchie nazionali nasceranno i tre grandi Stati
nazionali dell’Europa medievale: l’Inghilterra, la Francia e, più tardi, la Spagna.

La monarchia in Francia
Esauritasi la discendenza di Carlo Magno, in Francia, alla fine del X secolo prevale il conte
di Parigi Ugo Capeto che dà inizio alla dinastia dei Capetingi.
Essi tramandano il titolo di re per via ereditaria, ma hanno un potere abbastanza piccolo,
intorno a Parigi e Orléans, mentre i feudi più importanti (Normandia, Borgogna, Aquitania)
sono in mano a potenti duchi. Inoltre molti feudi francesi sono proprietà dei re inglesi, di
origine normanna.
Filippo IV il Bello, continuò le conquiste a danno degli inglesi e completò il passaggio dal
regno feudale alla monarchia nazionale.
Egli affidò il governo del territorio a funzionari, cioè, pubblici ufficiali capaci di gestire gli
affari dello Stato dal punto di vista amministrativo, diplomatico, tecnico e finanziario e
capaci di amministrare la giustizia e l’ordine pubblico.
Questa borghesia francese dipendeva direttamente dal re e sosteneva la monarchia
contro la nobiltà feudale e quando occorreva, persino contro la Chiesa.
Il re viene, quindi, sciolto dall’” obbligo di rispettare la legge” in quanto egli è signore nel
suo stato; in questo modo la Francia si sviluppò come una monarchia assoluta a
differenza dell’Inghilterra dove il sovrano si proclamava sottomesso a Dio e alla legge e
che vedrà l’affermarsi della monarchia parlamentare. Per consolidare il proprio dominio il
sovrano si appoggiò a una assemblea, chiamata Stati generali, composta dai
rappresentanti della nobiltà, del clero e della città, che votava e sue richieste soprattutto in
materia di imposte e tasse.

Il conflitto tra le monarchie nazionali e la Chiesa

Nel frattempo la Chiesa di Roma che si era costituita come un vero e proprio Stato
nell’Italia centrale, entrò in conflitto con i sovrani dei nuovi stati nazionali, che intendevano
tassare i beni ecclesiastici, (proprietà vastissime che fruttano notevoli rendite) presenti
nel loro territorio.
In particolare la lotta fu aspra tra il pontefice Bonifacio VIII e il re di Francia Filippo IV il
Bello; questi tassò le rendite della Chiesa in Francia e contro le proteste di Roma, convocò
l’assemblea degli Stati generali, alla quale fece approvare i provvedimenti. Il Papa rispose
scomunicandolo, ma Filippo portò lo scontro a Roma dove si accordò con le potenti
famiglie dei Colonna e degli Orsini, ostili al Papa.
Nel 1303 Bonifacio VIII venne arrestato e secondo alcune fonti storiche addirittura
schiaffeggiato da uomini armati al servizio del re francese (scacco di Anagni). Il piano di
Filippo IV era quello di condurre il Papa in Francia per farlo processare, ma intanto il
Pontefice venne liberato da una rivolta popolare e un mese dopo muore. L’episodio
costituisce una grave sconfitta per la Chiesa e una vittoria per tutti i signori, i feudatari, i
principi che mal sopportavano l’ingerenza politica della Chiesa.

La Reconquista spagnola

Dopo la metà dell’XI secolo, nella penisola iberica le armate dei piccoli regni cristiani
iniziarono la Reconquista dei territori da secoli in mano agli Arabi, espandendosi verso
Sud. Iniziò così il processo che avrebbe portato alla formazione della monarchia in
Spagna. Nel 1062, il regno delle Asturie e quello di Castiglia si unirono sotto il re
Ferdinando I e iniziarono la guerra, di cui fu protagonista Rodrigo Diaz de Vivar, detto il
Cid Campeador (cioè il signore che combatte in campo aperto). Successivamente, nel
1137, si unirono i regni di Catalogna e Aragona. Dopo il 1212 con la vittoria cristiana di
Tolosa, gli Arabi restarono confinati nel regno di Granada.

Il regno Normanno in Sicilia


 Nell’XI secolo gran parte dell’Italia meridionale è controllata dai Bizantini, mentre la
Sicilia era in mano agli Arabi.
 I Normanni arrivati come mercenari conquistano poco a poco il potere.
 Nel 1016 un gruppo di Normanni si insedia in Calabria, il loro capo Roberto
d’Altavilla detto il Guiscardo (l’astuto) si dichiara vassallo del Papa , il quale lo
nomina duca di Puglia e di Calabria.
 Il fratello, Ruggero I d’Altavilla, nel 1061, sbarca a Messina e comincia a
conquistare l’isola sottraendola agli Arabi.
 Nel 1130 il papa incorona Ruggero II re di Puglia e di Sicilia.
 L’Italia meridionale diventa un potente regno normanno: il Regno di Sicilia.
 Questo regno politicamente è organizzato su base feudale, mentre economicamente
si basa sull’agricoltura.
 Il regno di Sicilia raggiunse il suo massimo splendore con Federico II di Svevia,
nipote di Federico I Barbarossa e di Ruggero II. Egli crea una burocrazia efficiente e
rafforza il potere del sovrano sui baroni.

Unità 3 LA NASCITA DELLA BORGHESIA


Con la rinascita avviata nel corso dell’XI secolo e la conseguente espansione
demografica, gli uomini tornano a ripopolare le città. Ciò produsse una serie di
cambiamenti nella struttura urbana e nell’organizzazione sociale e contribuì a determinare
una lunga fase di prosperità in tutta Europa.
Nel basso medioevo l’espansione urbana ebbe caratteri diversi rispetto al passato.
Le mura urbane si allargarono e furono spesso fortificate, gli edifici crebbero di numero e
di dimensioni. I due poli della vita cittadina divennero la cattedrale e il mercato, testimone
di un’economia più vivace; questa si caratterizzò anche per gli scambi di lungo raggio,
come dimostra la diffusione delle grandi fiere periodiche.
Le attività si svilupparono e si diversificarono in reazione al crescere della richiesta di
prodotti. Città come Milano, Lione, Colonia diventarono centri di raccolta e di
smistamento di tutte le merci in circolazione. Gli artigiani più intraprendenti crearono le
prime botteghe e le prime piccole manifatture dove trovavano lavoro gli apprendisti e i
primi salariati. Vengono introdotte nuove tecnologie: il telaio a pedale, la ruota per filare,
e nuove attività come la fabbricazione della carta.
Il vescovo che viveva nella cattedrale dei centri urbani di dimensioni maggiori, diventava
una figura di spicco e a lui si rivolgevano i cittadini per chiedere protezione e consiglio.
Cominciarono ad essere costruite le grandi chiese romaniche, dove maestranze,
architetti, artigiani si adoperavano per renderle sempre più belle e decorate. Spesso gli
affreschi di queste chiese rappresentavano le vicende della Storia sacra e le vite dei santi,
divenendo una sorta di Bibbia dei poveri.
I nuovi abitanti, in modo particolare i mercanti si stabilirono lungo la via principale di questi
centri, spesso al di fuori delle mura o a ridosso della porta d’ingresso della città. Queste
aree presero il nome di borghi e gli abitanti diventarono i borghesi. In città spesso si
trasferivano anche i contadini che stanchi delle fatiche e dello sfruttamento dei signori
nelle campagne, cercano di migliorare le loro condizioni di vita, liberandosi dallo stato di
servi della gleba e instaurando rapporti sociali più liberi con gli abitanti della città. “L’aria di
città rende liberi” è un detto popolare di quel tempo.
La vita cittadina era caratterizzata da una vivace mobilità sociale e lo spirito d’iniziativa
permetteva ad alcuni individui di realizzare grandi guadagni. Nasce un nuovo tipo di
cultura, quella laica e non ecclesiastica, l’insegnamento in lingua volgare, basato sul
calcolo, sulle conoscenze geografiche sulla lettura dei documenti e, si affianca a quello di
tipo filosofico-religioso in lingua latina.

Le repubbliche marinare

Dopo l’anno Mille, l’indebolimento della potenza araba nel Mediterraneo portò alcune città
costiere a sviluppare in modo notevole i commerci marittimi con paesi lontani. Inoltre
alcune innovazioni tecnologiche come la bussola, il portolano (mappa dettagliata dei
porti di un determinato litorale marittimo), il timone fisso migliorano la navigazione. Città
come Venezia, Genova, Pisa, Amalfi offrivano alle regioni prive di sbocco al mare: sale,
pesce e merci varie, in cambio ricevevano prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento. Esse
sono chiamate Repubbliche Marinare, sono città libere, si governano autonomamente,
hanno una flotta per il commercio con l’Oriente e con l’Africa, combattono per mantenere i
propri traffici. Amalfi è la più antica tra le città marinare, dopo essersi liberata dal dominio
bizantino, è governata da un duca e qui viene compilato il primo codice di diritto marittimo,
le Tavole amalfitane. Presto decade e il porto più importante diventa quello di Napoli. Pisa
e Genova combattono i Saraceni nel Tirreno e conquistano la Corsica e la Sardegna.
Venezia, nata nella metà del V secolo, quando alcuni abitanti della regione, per fuggire
dalle incursioni degli Unni di Attila, si rifugiano nelle isole della laguna veneta, qui si
formano i primi nuclei abitati. Dal VII secolo, dopo aver ottenuto l’indipendenza, è
governata da un doge, diventa alleata di Bisanzio e lotta contro i Normanni e gli Arabi.
Grazie a questo grande commercio, alcune città europee (Firenze, Milano, le Fiandre,
Parigi, Londra, Amburgo, Colonia), hanno bisogno di ingenti capitali da investire nella
compravendita delle merci (tessuti, pellicce, armi, utensili, ecc.); nascono così le Banche
che raccolgono il denaro e lo prestano a chi ne ha bisogno, dietro il pagamento di un
interesse. Per difendere i loro interessi, i mercanti e gli artigiani si riuniscono in
organizzazioni di mestiere, che vengono chiamate arti o corporazioni in Italia, Hanse o
Gilde nei paesi del Nord-Europea. I commerci con l’Oriente, nel corso del XIII secolo si
rafforzarono grazie alla formazione in Asia dell’impero dei Mongoli, che rese più sicure le
vie carovaniere. I prodotti orientali (seta, porcellane, pepe e altre spezie) giungevano in
Europa attraverso una via terrestre (via della seta), affiancata da una via marittima (via
delle spezie); in entrambe grande importanza avevano i Veneziani. Con la formazione
dell’impero mongolo, i re europei e il pontefice cominciarono a inviare in Asia ambasciatori
e missionari allo scopo di creare alleanze per contrastare i musulmani. Anche se tale scopo
spesso non venne raggiunto, ciò favorì l’apertura dell’Europa alla conoscenza dell’Asia,
attraverso relazioni di religiosi e viaggiatori (come Marco Polo) che ne descrivevano popoli,
costumi, leggende e religioni come il Buddismo.

Unità 4 IL SORGERE DEI COMUNI: APOGEO E CRISI


La nascita dei Comuni

Con l’affermarsi delle città si ha la nascita del Comune. Esso è dapprima un’istituzione
privata di persone che vogliono costituire un centro indipendente dal controllo feudale; in
seguito diventa un’istituzione pubblica e si identifica con il potere politico della città.

L’Età dei Comuni

La parola Comune indica la forma di autogoverno indipendente che molte città si dettero
dal 1080 circa, la loro giurisdizione si estendeva anche al contado circostante locale e
interessò in età medievale vaste aree dell'Europa occidentale; ebbe origine in Italia
centro-settentrionale attorno all'XI secolo, sviluppandosi, più tardi, anche in alcune
regioni della Germania centro-meridionale e nelle Fiandre. Nell’Italia meridionale l’ascesa
dei comuni fu ostacolata dai Normanni, mentre essi raggiunsero un eccezionale sviluppo al
Nord, espandendosi dalle città alle campagne. Con la rinascita delle città nell'XI secolo e
la ripresa delle attività artigianali, i nuovi ceti urbani si riunirono per liberarsi dai vincoli
feudali e dall'autorità imperiale, creando una nuova realtà politica, il Comune.
Il Comune nacque quindi come emancipazione dalla soggezione feudale e diede luogo a
una profonda trasformazione sociale, caratterizzata dal rifiorire delle attività commerciali
e l'emergere della borghesia.

Organizzazione politica

Nell’evoluzione dei Comuni italiani si possono individuare varie fasi:

- consolare, la più antica;


- podestarile, in cui il Comune è guidato dal podestà;
- popolare o delle corporazioni.

Il Comune dei consoli

All’origine dell’autonomia comunale si trovano spesso le cosiddette carte di franchigia,


documenti con i quali le comunità cittadine, ottenevano l’affrancamento, cioè la liberazione
da tutti o parte degli obblighi feudali nei confronti del re, del signore feudale o del vescovo.
Questo primo passo consente di istituire delle magistrature autonome per il governo del
territorio. I magistrati prendono il nome di consoli¸ variano di numero da due a venti e sono
affiancati da un’assemblea rappresentativa detta arengo o parlamento, eletta dai cittadini
appartenenti alle classi più agiate che hanno diritto di voto.
I consoli prestando giuramento di fedeltà dinanzi alla cittadinanza acquisiscono il diritto di
amministrare il comune: emanano le ordinanze, dispongono la riscossione dei tributi,
controllano il mantenimento dell’ordine pubblico, amministrano la giustizia, tengono i
rapporti con le altre città, sia in guerra sia in pace, e con le altre attività religiose e civili.
L’arengo nominava anche un consiglio di cittadini, che emanava le leggi e i giudici dei
tribunali. Tutte le cariche elettive avevano una durata breve (da sei ad un anno) per
evitare che un singolo politico potesse accumulare troppo potere. Tutti i comuni si
assomigliarono per la presenza di una categoria di individui che godeva di maggiori diritti
rispetto agli altri. Per poter partecipare al potere comune bisognava essere: maggiorenni,
maschi, pagare una tassa di ammissione, possedere una casa. Ne erano invece esclusi le
donne, i poveri, i servi, gli ebrei e i musulmani non convertiti. Le più importanti cariche negli
uffici erano in mano alle famiglie più ricche della città escludendo gli altri ceti sociali che
rivendicano un peso corrispondente al ruolo crescente che ricoprivano nell’economia della
città.

l problemi dei Comuni e il governo del podestà

Queste prime istituzioni non riescono tuttavia a garantire la governabilità del Comune per
gli interessi contrastanti delle fazioni in cui si dividono i cittadini. Nella società cittadina
convivono infatti diversi ceti sociali, spesso in lotta fra loro per ottenere il governo del
Comune:

- i magnati, cioè la nobiltà di antica origine, costituita da proprietari di terre nel


contado, e le più potenti famiglie di origine mercantile;
- il popolo grasso, formato dai ricchi borghesi (i mercanti e gli artigiani più
importanti, i banchieri, i professionisti).
- Il popolo minuto, formato da piccoli artigiani e commercianti.

Ci sono poi operai, salariati, lavoratori a giornata, e nuovi immigrati dalle campagne in
cerca di lavoro, che ha ben pochi diritti ed è esclusa dalla rappresentanza politica. Lo
scontro politico fra i diversi ceti è molto forte perché chi governa la città decide, per
esempio in che modo saranno ripartite le tasse e le imposte. Mente le prime tre classi si
alternano, non senza durissime lotte, al governo della città, gli ultimi rimasero sempre
esclusi dal potere.
Con l’istituzione del podestà si tentò di porre fine a queste lotte.
Alla fase consolare, dunque, seguì una fase detta podestarile: il podestà (un magistrato
proveniente da un alto Comune) era funzionario di mestiere e aveva il compito di
amministrare il territorio comunale e la giustizia in modo imparziale. Talvolta gli veniva
affiancata un’altra figura in rappresentanza del popolo grasso, il capitano del popolo. Tale
carica, contrariamente a quella di console, doveva essere ricoperta da una persona non
appartenente alla città che andava a governare (per questo era detto anche podestà
forestiero), in modo da evitare coinvolgimenti personali nelle controversie cittadine e
garantendo quindi l'imparzialità nell'applicazione delle leggi. Il podestà veniva eletto dalla
maggiore assemblea del Comune (Consiglio generale) e durava in carica, di solito, sei
mesi o un anno. Doveva giurare fedeltà agli statuti comunali, dai quali era vincolato, e alla
fine del mandato il suo operato era soggetto al controllo da parte di un collegio di sindaci.
Con il passare degli anni la carica di podestà divenne un vero e proprio mestiere esercitato
da professionisti che cambiavano spesso sede di lavoro e ricevevano un regolare
stipendio. Non aveva, invece, poteri legislativi né il comando delle milizie comunali che
veniva affidato al popolo. Una specie di governatore che rappresentava il popolo grasso.
Alcuni Comuni furono guelfi (filopapali) altri ghibellini, (filoimperiale) e questo portò a guerre
non solo tra i comuni, ma anche all’interno di essi. Anche all’interno di questi due grandi
partiti si formarono spesso fazioni diverse: per esempio Firenze fu quasi sempre governata
dai guelfi, ma divisi in bianchi (che fanno capo alla famiglia dei Cerchi) e neri (guidati
dalla famiglia dei Donati). Durante l'età comunale nacquero anche le Corporazioni di
mestiere, associazioni di mercanti e artigiani riunite secondo il mestiere che praticavano.

Verso la Signoria cittadina

Ulteriore motivo di crisi dell'antico assetto comunale fu proprio l'ambizione del patriziato
cittadino: la volontà di espandersi nel contado e ai danni dei Comuni limitrofi dando così
vita ai grandi stati territoriali. Molto spesso, ci furono casi di influenti "personalità", che
assunte cariche importanti in ambito comunale come la podestarile, riuscirono a
mantenerle per lungo tempo quando non a vita (talvolta rendendole ereditarie) portando
alla scomparsa dell'istituzione comunale e lasciando il posto alla "signoria cittadina".

Lo scontro fra i Comuni e l’Impero

Questo stato di cose fu contestato apertamente dagli imperatori germanici. In particolare


l'imperatore Federico I di Svevia, detto il Barbarossa, nelle due Diete di Roncaglia
aveva spogliato i Comuni di tutte quelle regalie (diritti) che essi avevano usurpato
all'autorità imperiale: imporre tributi, battere moneta, eleggere magistrati. Nel 1163, in
contrapposizione all'imperatore, i Comuni del nord Italia si unirono in una lega, che viene
costituita nel 1167 presso il monastero di Pontida(Bergamo), la lega lombarda. Vi
aderirono ben 22 città, tra cui Milano, Brescia, Verona, Bologna, Mantova, Padova,
Vicenza. La lega ottenne il sostegno del pontefice Alessandro III e dei re normanni di
Sicilia, alleati del papa. Dopo alterne vicende il Barbarossa venne duramente sconfitto
nella battaglia di Legnano (1176) dai Comuni italiani e nel 1183, con la Pace di
Costanza, l'imperatore riconobbe una larghissima autonomia ai Comuni e l’indipendenza
del potere spirituale del pontefice e della Chiesa cattolica. Con la pace si apre per i Comuni
italiani un periodo di sviluppo e di totale libertà politica.
Malgrado la sconfitta militare, l’imperatore svevo riesce a restaurare l’autorità dell’impero
con un’abile politica matrimoniale facendo sposare suo figlio con la normanna Costanza di
Altavilla erede al trono di Sicilia (1186). Morto il Barbarossa nel 1190 durante la terza
crociata, gli succede il figlio Enrico VI che però muore nel 1197, seguito l’anno dopo dalla
moglie: erede dell’Impero germanico e del Regno di Sicilia è il loro figlio Federico II.
Avendo tre anni ebbe come tutore Papa Innocenzo III, sostenitore della teoria secondo la
quale il potere dei sovrani doveva restare sottoposto all’autorità del pontefice. Federico II
dedicò molta attenzione alle vicende politiche d’Italia, ma per il suo desiderio di restaurare
l’autorità imperiale si mise in conflitto con il papa e con i Comuni italiani.
Conosciuto con gli appellativi stupor mundi ("meraviglia o stupore del mondo") o puer
Apuliae ("fanciullo di Puglia"), Federico II era dotato di una personalità poliedrica e
affascinante che, fin dalla sua epoca, ha polarizzato l'attenzione degli storici e del popolo,
producendo anche una lunga serie di miti e leggende popolari, nel bene e nel male.
Il suo regno fu principalmente caratterizzato da una forte attività legislativa e di innovazione
artistica e culturale, volta a unificare le terre e i popoli, ma fortemente contrastata dalla
Chiesa, di cui il sovrano mise in discussione il potere temporale. Federico stesso fu un
apprezzabile letterato, convinto protettore di artisti e studiosi: la sua corte fu luogo di
incontro fra le culture greca, latina, araba ed ebraica. Uomo straordinariamente colto ed
energico, stabilì in Sicilia e nell'Italia meridionale una struttura politica molto somigliante a
un moderno regno, governato centralmente e con una burocrazia efficiente. Federico II
parlava sei lingue (latino, siciliano, tedesco, francese, greco e arabo) e giocò un ruolo
importante nel promuovere le lettere attraverso la poesia della Scuola Siciliana. La sua
corte reale siciliana a Palermo, dal 1220 circa sino alla sua morte, vide uno dei primi utilizzi
letterari di una lingua romanza (dopo l'esperienza Provenzale), il siciliano. La poesia che
veniva prodotta dalla Scuola siciliana ha avuto una notevole influenza sulla letteratura e su
quella che sarebbe diventata la moderna lingua italiana. La scuola e la sua poesia furono
salutate con entusiasmo da Dante e dai suoi contemporanei, e anticiparono di almeno un
secolo l'uso dell'idioma toscano come lingua d'élite letteraria d’Italia. Morto Federico II nel
1250 il pontefice chiamò gli Angioini a governare Napoli e la Sicilia, Nella guerra che ne
seguì morì il figlio Manfredi (1266) e il nipote Corradino (1268) e così ebbe fine la dinastia
sveva.
La crisi del Trecento

La rinascita che ha caratterizzato l’Europa all’inizio del nuovo millennio conosce una
battuta di arresto nel XIV secolo, per una serie di fatti concomitanti – carestie, epidemie,
guerre e devastazioni – che culminano, nel 1348, con il ritorno in Europa della peste. Fra
il 1315 e il 1317 diminuisce la produzione agricola a causa dei cambiamenti climatici
(inverni rigidi e primavere ed estati piovose). I cattivi raccolti provocano una terribile
carestia, le città non hanno più riserve di derrate alimentari e i poveri sono i primi a morire
per denutrizione, anche se la sottoalimentazione colpisce tutte le fasce sociali. Alla carestia
seguono la diffusione di epidemie che provocano una grave crisi demografica e
l’aumento della mortalità infantile. Nel 1348 arriva la peste che era scomparsa in Europa
nell’VIII secolo. Essa arriva dall’Asia dove sono presenti alcuni focolai, dalle navi
genovesi che provenienti dal Mar Nero e da Costantinopoli attraccano a Messina e
portano il contagio in Italia e in Europa. Inoltre anche le carovane dei mercanti in Asia
sono veicolo di contagio. Per la cosiddetta Morte nera, non ci sono rimedi; l’unica
soluzione sembra essere abbandonare tutto e fuggire dove in contagio non è ancora
arrivato. Si tratta di una vera e propria catastrofe che si abbatte in Europa: le città sono
abbandonate, i raccolti rimangono a marcire nelle campagne, gli animali non custoditi;
dovunque si manifestano disordini e ribellioni che le autorità non riescono a dominare.
A tutto questo si aggiungono le guerre, lunghe, dure e crudeli che portano desolazione e
morte. Firenze che agli inizi del secolo aveva 100.000 abitanti alla fine del Quattrocento ne
ha poco più di 75.000. Anche le attività manifatturiere e commerciali hanno un forte
calo e di conseguenza le banche, che non riescono a recuperare i crediti, falliscono. I
grandi proprietari terrieri abbandonano la coltivazione delle loro terre, coltivate adesso dai
mezzadri che pagano in natura l’affitto dei terreni.

La guerra dei Cento Anni e la nascita degli stati moderni

Nel periodo compreso tra il 1300 e il 1500 nacquero le grandi monarchie nazionali di
Francia, Inghilterra, Spagna e Portogallo, mentre il papato e l’Impero germanico persero
autorità e potere. La Chiesa si scontrò con i sovrani francesi e inglesi, che riuscirono a
liberarsi dal controllo papale: essi decisero di amministrarsi autonomamente imponendo
leggi e tributi, oltre che alla propria popolazione, anche al clero che risiedeva nei loro Stati.
Dal 1305 al 1377 il re francese spostò la sede pontificia ad Avignone (nella Francia
meridionale) ed elesse papi obbedienti al suo volere.
Contemporaneamente in Germania l’imperatore perse potere e l’Impero si divise senza
più influenzare il resto dell’Europa.
La borghesia sovvenzionò con prestiti le guerre dei sovrani contro i feudatari. In seguito a
queste lotte le monarchie estesero il proprio potere e sorsero così grandi Stati nazionali.
La nobiltà feudale decadde e si trasformò in nobiltà di corte alle dipendenze dei sovrani.
Il primo Stato nazionale europeo fu l’Inghilterra, dove nacque un nuovo organismo politico
che affiancò e limitò i privilegi del re: il parlamento, con la Camera dei Lords (nobiltà) e
quella dei Comuni (borghesia). Nobili e borghesi ottennero con la Magna Charta
Libertatum del 1215 (primo esempio di carta costituzionale che limitava i poteri del re) il
diritto a essere consultati quando si dovevano imporre nuove tasse e amministrare la
giustizia.
Il re inglese, che possedeva feudi in terra francese, nel 1328 rivendicò addirittura la corona
di Francia. Scoppiò così la Guerra dei Cento Anni, che si concluse con la cacciata degli
Inglesi dalla Francia, anche grazie all’intervento di Giovanna d’Arco.
Nel 1453 crollò l’Impero Romano d’Oriente, che cadde in mano ai Turchi Ottomani.
Nel 1492 venne unificata la Spagna, con il matrimonio di Ferdinando d’Aragona e Isabella
di Castiglia.
Città e Signorie in Italia

Nel Basso Medioevo entra in crisi la civiltà comunale e spesso il potere passa nelle mani di
un signore che ricco e nobile, trasmette il potere agli eredi. Nasce una nuova forma di
governo: la Signoria. Il Signore è abile nell’esercizio delle armi e della politica e spesso
riceve il potere dagli stessi cittadini con una vera e propria investitura. I Signori ottengono il
titolo nobiliare dal pontefice e dall’imperatore e si circondano di ministri, consiglieri,
funzionari, intellettuali e artisti, creando un apparato burocratico molto complesso Le città
dell’Italia centro-settentrionale rifioriscono, creando un sistema di Stati regionali.
I principali Stati Regionali intrapresero nella seconda metà del ‘300 una politica
espansionistica che portò a una serie di guerre, guerre che venivano combattute
assoldando le Compagnie di ventura (eserciti formati da soldati mercenari). Queste
ostilità si conclusero con la pace di Lodi (1454), che segnò il trionfo della politica
dell’equilibrio voluta da Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze. Il quadro politico dell’Italia,
dopo la formazione delle Signorie, era il seguente:
- il Ducato di Milano, sotto i Visconti e poi (dopo la metà del ‘400) sotto gli Sforza;
- la Repubblica di Venezia, padrona di territori nel Veneto, in Lombardia, nel Friuli e in
Istria;
- la Repubblica di Firenze, passata nel 1434 sotto la signoria dei Medici;
- lo Stato della Chiesa (sotto il Papa), esteso dal Lazio meridionale fino a Ferrara;
- il Regno di Napoli, sotto gli Angioini (francesi) fino al 1442, poi sotto gli Aragonesi,
che lo unificarono alla Sicilia che già possedevano.
Altre Signorie erano quelle dei Savoia in Piemonte, dei Gonzaga a Mantova, degli
Scaligeri a Verona, degli Estensi a Ferrara.

La complessa situazione del Mezzogiorno d’Italia

L’Italia centro-meridionale presenta due entità territoriali diverse: lo Stato della Chiesa e il
Regno di Napoli. Dopo il ritorno a Roma della sede pontificia, la Chiesa riprende i propri
domini che comprendono Lazio, Marche, Umbria, parte della Romagna e dell’Emilia. Lo
Stato della Chiesa diventa un principato e il comportamento dei pontefici è quello dei
signori feudali che impongono la loro supremazia sulle signorie feudali. Il Meridione,
dopo la fine della dinastia Normanno-Sveva(1268) viene governato dalla dinastia francese
degli Angiò, chiamati dal papa. Nel 1282 dopo la rivolta dei vespri siciliani, la Sicilia si
stacca dal regno di Napoli e passa sotto il dominio della dinastia spagnola degli
Aragonesi. Con la pace di Caltabellotta, il regno di Napoli rimarrà agli Angioini fino al
1442. L’economia del meridione è in mano ai potenti baroni feudali e ai banchieri
fiorentini e genovesi. Questi mirano allo sfruttamento delle risorse agricole e impediscono
lo sviluppo di manifatture locali. Manca una borghesia moderna e attiva, la conseguenza di
ciò è un ristagno delle attività economiche nel Sud.
Unità 5 L’ITALIA DEI REGNI E L’ITALIA DELLE CITTA’

La nascita di un sistema di Stati regionali

L’Italia del XV secolo è ancora caratterizzata da una notevole frammentazione del territorio.
Accanto al ducato di Savoia, allo Stato della Chiesa e al Regno di Napoli, assimilabili
alle monarchie europee, si contano altri Stati regionali che nascono dall’espansione di
una grande città (Firenze, Milano, Venezia e Genova), a spese di città più piccole. Alla
divisione politica corrisponde una marcata differenza linguistica, poiché la lingua italiana
non è ancora utilizzata in modo uniforme nella penisola. In Savoia e in Piemonte si parla il
francese, in Sicilia e a Napoli il Castigliano e il Catalano, mentre il latino è ancora la lingua
ufficiale dei medici, dei giuristi e degli ecclesiastici. In tutta l’Italia si afferma la cultura
umanistica che porta letterati, artisti, architetti a spostarsi di corte in corte contribuendo a
creare una cultura comune legata al Signore.

Firenze e i Medici

Cosimo de’ Medici, grande mercante, banchiere e finanziere comincia a dominare e con il
partito popolare si impone sulle altre famiglie; viene accusato di essere il responsabile
delle sconfitte militari contro Lucca e delle tasse straordinarie imposte alla città per la
costruzione della cupola del Duomo, così viene mandato in esilio(1453), ma l’anno
successivo rientra a Firenze e prende le redini del governo cittadino che manterrà per circa
trenta anni e fondando una Signoria di fatto. Egli mantiene le preesistenti forme di
governo e crea attorno a sé un nucleo di persone fidate da inserire nelle più importanti
magistrature. Con lui la Banca de’ Medici diventa una delle più importanti istituzioni
d’Europa. Alla sua morte, sale al potere il giovane nipote Lorenzo con il quale la Signoria
fiorentina toccherà l’apogeo, tanto che egli sarà detto il Magnifico. Egli stringe un’alleanza
con il re d’Aragona e stabilisce uno stretto rapporto con Papa Innocenzo VIII che nominerà
suo figlio Giovanni, cardinale. Fino alla sua morte(1492) proteggerà l’equilibrio in Italia,
mostrandosi abile mediatore e diplomatico tra gli stati italiani e la Francia; alla sua corte
trovano protezione artisti, letterati, filosofi, architetti che faranno diventare Firenze la
capitale culturale d’Italia.
Unità 6 NUOVA EUROPA E NUOVO MONDO

Dall’Umanesimo al Rinascimento: una “rivoluzione culturale”

Tra la fine del Trecento e l’inizio del Cinquecento l’Italia è protagonista di una rivoluzione
culturale che si estenderà progressivamente a tutta l’Europa: L’Umanesimo. Grazie allo
sviluppo delle città e della borghesia mercantile si è abbandonata la concezione religiosa
del mondo e al centro della nuova cultura non c’è più Dio e la fede cristiana ma l’uomo e
il mondo terreno. Ha inizio l’Età Moderna. L’invenzione della stampa a caratteri mobili
realizzata dall’orafo tedesco Johan Gutenberg dà impulso alla pubblicazione e alla
diffusione delle opere antiche: i classici greci e romani vengono riletti senza il filtro della
dottrina cristiana, dando inizio al rinnovamento culturale e civile. I filosofi si concentrano
sul significato e il valore dell’esistenza dell’uomo (uomo al centro del mondo); gli umanisti
non negano l’importanza e il significato di Dio, ma sostengono che la fede riguarda la sfera
intima e personale di ogni individuo e di conseguenza ogni uomo ha il diritto di affermare
la propria personalità nel mondo. Al termine Umanesimo si affianca in seguito quello di
Rinascimento, sottolineando la “rinascita” dell’umanità e della letteratura che vede in
questo periodo opere come L’Orlando Furioso di Ariosto e Il Principe di Machiavelli. Si
assiste al rinnovamento di nuove tecniche pittoriche e architettoniche e a grandi
progressi nelle scienze e nella medicina. Sovrani, principi, pontefici, sollecitati dalle
nuove idee, trasformarono le loro corti in centri di cultura, ospitando e proteggendo
letterati ed artisti (mecenatismo delle corti).
Unità 7 LE PRIME ESPLORAZIONI GEOGRAFICHE

Fra il XIV e il XV secolo, la necessità di trovare strade diverse rispetto a quelle navali
controllate di Genovesi e dai Veneziani e a quelle terrestri controllate dai mercanti arabi,
spinge alcuni paesi europei a tentare la via dell’Atlantico per raggiungere l’Africa e da lì i
mercati orientali. Ad organizzare queste avventurose esplorazioni non sono soltanto
coraggiosi navigatori ed esplorazioni, né i grandi mercanti, ma gli stessi sovrani della
penisola iberica. I Portoghesi e i Castigliani, dopo aver portato a termine la Reconquista
si lanciano nella conquista dei commerci, in aperta concorrenza con genovesi e veneziani.
All’inizio del secolo il Portogallo con il Principe Enrico il Navigatore comincia a spingersi
nell’Atlantico; a Sud verso le coste dell’Africa e a Nord fino alla Groenlandia. Lo scopo è
principalmente economico (dall’Africa venivano avorio, oro, pelli, legnami, schiavi e dal
Nord il controllo dei ricchi banchi di pesca). Ben presto iniziano i conflitti con il Regno di
Castiglia che si traduce in una vera e propria guerra tra i due paesi per il controllo delle
terre conquistate. La Castiglia dirige le proprie esplorazioni verso occidente, mentre il
Portogallo continua la ricerca di una rotta verso le Indie, che viene aperta nel 1487
dall’ammiraglio Bartolomeo Diaz, che doppia la punta meridionale del continente africano
(capo di Buona speranza) ed entra nell’Oceano Indiano(1497). Vasco de Gama nel 1499,
raggiunge Calicut (costa occidentale dell’India) e rientra a Lisbona portando con sé ricche
merci indiane e cinesi.

La scoperta del Nuovo Mondo

Nel 1492, i sovrani spagnoli Ferdinando di Aragona e Isabella di Castiglia hanno


definitivamente cacciato gli Arabi, conquistando l’ultimo regno musulmano di Spagna, cioè
quello di Granada. In quello stesso anno, il navigatore genovese Cristoforo Colombo,
dopo aver ricevuto il rifiuto del re del Portogallo, chiede ai sovrani di Spagna di finanziargli
un viaggio di esplorazione nell’Atlantico verso Occidente. Basandosi sull’ipotesi del
geografo Toscanelli sulla sfericità della terra, Colombo era convinto di poter raggiungere
le Indie navigando verso Ovest ed evitando di circumnavigare l’Africa, quindi con una rotta
più breve e priva del pericolo di entrare in conflitto con i Portoghesi. Ottenuto l’appoggio
della regina Isabella e il permesso di prendere possesso in nome della Corona, di tutte le
nuove terre che incontrerà, il 3 agosto del 1492 egli salpa dal porto di Palos con due
caravelle, la Nina e la Pinta e una caracca (la Santa Maria, l’ammiraglia al suo comando) e
con 90 uomini di equipaggio. Dopo una prima sosta alle Isole Canarie e 36 giorni di
navigazione in mare aperto, il 12 ottobre la spedizione, approda in un’isola dell’arcipelago
delle Bahamas, cui viene dato nome di San Salvador. Con i tre viaggi successivi,
Colombo esplorerà Cuba, Haiti, Portorico e sbarcherà anche sulla terraferma americana;
a capire che queste terre non erano l’Asia, ma un nuovo continente sarà Amerigo
Vespucci dal cui nome nel 1507 sarà battezzato America. Colombo, nominato dai sovrani”
ammiraglio del mare oceano” e “viceré delle Indie”, si rivelerà un amministratore poco
abile e, deposto e richiamato in Spagna, muore in povertà, anche se poi i suoi meriti e i
suoi privilegi verranno riconosciuti ai figli. Nel 1494, il Trattato di Tordesillas, spartisce il
mondo tra portoghesi e spagnoli, secondo una linea immaginaria che divide in due
l’Oceano (alla Spagna toccano i territori a Ovest e al Portogallo quelli ad Est. Lo scopo
principale di questi viaggi è la ricerca di vie commerciali e di nuove terre dove fondare
colonie per sfruttarne le ricchezze ed evangelizzare le popolazioni attraverso l’opera di
missionari. Nel 1522, Ferdinando Magellano compie la prima circumnavigazione del
globo, dimostrando la sfericità della terra.

Gli imperi Precolombiani e la loro conquista

I Conquistadores spagnoli annientarono le civiltà precolombiane, grazie al terrore


generato negli indigeni dalle armi da fuoco, dai cavalli e dalla furia omicida, e fondarono le
nuove colonie distruggendo le popolazioni autoctone (del luogo). Hernan Cortes conquistò
l’Impero Azteco(1519-1521), ricco di oro, distrusse la capitale e fondò il nucleo dell’impero
coloniale spagnolo in America. L’impero Incas con le sue immense ricchezze, venne
invece conquistato da Francisco Pizzarro (1531-1535). Gli Spagnoli estesero via via gli
insediamenti nel continente, determinando il crollo demografico con un vero e proprio
genocidio, causato anche dalle nuove malattie e dal degrado ambientale che portavano
con sé. Alla diminuzione della manodopera si sopperì con l’importazione di schiavi
dall’Africa. La Francia esplorò le coste occidentali dell’America settentrionale con
Giovanni da Verrazzano e si addentrò nel Canada, ma la colonizzazione avvenne un
secolo più tardi. L’Inghilterra a cui per ora interessava la l’espansione commerciale (quella
territoriale iniziò solo nel Seicento), preferì limitarsi ad accordare privilegi e concessioni
alle compagnie commerciali private, come la Compagnia delle Indie orientali(1600) che
consentirono al regno di divenire la più grande potenza marittima mondiale. Con la
scoperta del Nuovo Mondo, le colonie conobbero piante, prodotti agricoli mai visti prima
e ne fornirono all’Europa altrettanti sconosciuti. Questo scambio modificò territorio,
abitudini alimentari e stili di vita dei due mondi. Ma la conseguenza più importante fu la
nascita di un mercato internazionale. Alle colonie spettò il compito di fornire le materie
prime, le derrate agricole e la manodopera, mentre i paesi europei producevano manufatti
e sviluppavano l’economia.
Unità 8 LA RIFORMA PROTESTANTE E LE NUOVE COSCIENZE NAZIONALI

Nel ‘500 la Chiesa cattolica entrò in una crisi profonda. Già da tempo molti condannavano
la corruzione del clero. Quando il Papa Leone X promosse in Germania una vendita di
indulgenze (Le indulgenze erano documenti con il sigillo papale che contenevano
l’assoluzione di tutti i peccati in cambio di denaro) per finanziare i lavori di costruzione
della basilica di S. Pietro, il monaco agostiniano Martin Lutero protestò vivacemente,
esponendo nella città tedesca di Wittemberg un manifesto contenente 95 tesi (cioè brevi
affermazioni) in cui condannava la vendita delle indulgenze. La stampa in pochi anni
permise una larga diffusione delle tesi luterane. Intanto Lutero continuò la propria opera di
riforma preparando una nuova dottrina cristiana, basata a) sulla giustificazione per fede
(solo la fede può salvare il cristiano, non le opere - es. il “comprare” indulgenze); b) sulla
libera interpretazione delle Sacre Scritture; c) sul sacerdozio universale di tutti i
credenti (ogni uomo di fede può essere considerato un sacerdote).
Nacque così il rito luterano o protestante, che aboliva tutti i Sacramenti tranne il
Battesimo e l’Eucaristia, sopprimeva il Sacerdozio, semplificava la Messa, aboliva i
dogmi (cioè le “verità” che la Chiesa riteneva indiscutibili), tra cui quello dell’esistenza del
Purgatorio, dal quale derivava la vendita delle indulgenze per i defunti.
Leone X scomunicò Lutero e l’imperatore Carlo V lo dichiarò eretico. Ma alcuni Principi
Elettori tedeschi, affascinati dalle idee di Lutero, ma anche interessati a togliere alla Chiesa
cattolica le vaste proprietà che possedeva in Germania, protessero il frate, che si mise a
lavorare alla traduzione della Bibbia dal latino al tedesco.

Enrico VIII e la nascita della Chiesa anglicana

Nel 1534 il Re inglese Enrico VIII (approfittando del fatto che il Papa non gli aveva
concesso il divorzio da Caterina d’Aragona) si staccò dalla Chiesa cattolica, fondando la
Chiesa anglicana, di cui si pose a capo. In questo modo Enrico abolì i privilegi di cui
godeva il clero e si impossessò dei beni della Chiesa di Roma in terra inglese.
Con il regno di Elisabetta I l’anglicanesimo ottenne un’organizzazione dottrinale e
disciplinare: al sovrano fu attribuita la nomina dei vescovi, al Parlamento il controllo della
predicazione e l’amministrazione dei sacramenti. Fu inoltre abolito il celibato ecclesiastico.
Elisabetta rese l’Inghilterra un paese protestante e soprattutto in pace. Favorì le costruzioni
navali, sviluppò la Royal Navy e gettò le basi della potenza dell’Inghilterra, dando inizio
all’età Elisabettiana. Durante il suo lungo regno realizzò: - il consolidamento dello Stato,
attraverso la repressione dei dissidenti e il rafforzamento della Chiesa anglicana,
subordinata al sovrano e autonoma da Roma,- la crescita economica attraverso lo
sfruttamento delle risorse minerarie e marittime, lo sviluppo, del commercio,
dell’agricoltura, dell’allevamento,- lo sviluppo culturale che vide la nascita del
Rinascimento inglese, che raggiunge l’apice con il teatro di William Shakespeare.

La Controriforma

In pochi anni il dilagare della Riforma spaccò l’Europa in due e sottrasse molti stati al
dominio della Chiesa cattolica. Questa, tuttavia, riuscì a reagire subito e a rafforzare la
propria autorità nei paesi che erano rimasti cattolici. La prima mossa fu l’istituzione di
nuovi ordini monastici (come i Gesuiti) per contribuire alla diffusione del Vangelo e per
combattere le eresie e la corruzione.
La seconda fu la convocazione del Concilio di Trento (1545-1563), che procedette alla
Controriforma, cercando di moralizzare i costumi della Chiesa e ribadendo i dogmi che
Lutero aveva contestato. Per combattere le eresie il Concilio di Trento creò l’Indice dei
libri proibiti e ridiede vigore al Tribunale dell’Inquisizione.
La lotta tra protestanti e cattolici coinvolse le popolazioni di stati quali la Germania e la
Francia, dando luogo a stragi sanguinose.
Le conseguenze del Concilio: Chiese nazionali e Santa Sede

Dopo il Concilio di Trento, Francia e Spagna passarono le proprietà del Clero sui loro
territori e riscossero le decime dal pontefice, in questo modo affermarono il principio della
superiorità dello Stato sulle Chiese nazionali. Nacque così una nuova lotta tra Stato e
Chiesa

L’Italia del Seicento verso la modernità

Verso la metà del XVII secolo, l’Italia fu colpita da una crisi di carattere demografico,
economico, sociale che però venne superata, in particolare dopo la Pace dei Pirenei(1659)
tra Francia e Spagna, si ebbe un lungo periodo di tranquillità che vede la supremazia della
Francia in Europa. In Italia si ebbero una serie di trasformazioni nei sistemi e nelle tecniche
produttive, sia nella manifattura, nell’agricoltura cosi come negli strumenti finanziari. La
stabilità politica dei vari stati fece si che si affermassero elementi di modernità anche nella
cultura, nell’arte e nella scienza.

IV ANNO – (secondo quadrimestre)

Unità 1 La Prima Rivoluzione Industriale


Le ricerche scientifiche sul calore come fonte di energia trovarono la prima importante
applicazione tecnica con la macchina a vapore di James Watt. Essa fu usata, all’inizio,
per mettere in moto, con l’energia prodotta dal vapore, le pompe per aspirare acqua dalle
miniere; in seguito venne utilizzata per fornire energia alle macchine tessili e questo
diede l’avvio a quella che gli storici chiamano Rivoluzione industriale (cioè il passaggio
dalla produzione artigianale all’industria).
Le macchine tessili erano in precedenza manovrate a mano o messe in moto dall’energia
dell’acqua. Una volta mosse dal vapore, esse produssero quantità molto maggiori di
tessuto, creando quindi un’offerta di stoffe a basso prezzo. Nello stesso tempo il fatto che
molti contadini si fossero trasferiti dalle campagne nelle fabbriche, aveva creato anche una
forte domanda di prodotti: merce a basso prezzo trovava così un numero sempre maggiore
di compratori e ciò scatenò un meccanismo produttivo in rapida crescita. Iniziò allora il
“capitalismo” (il capitale è formato nell’industria da macchinari, edifici, operai, merci e
infine dal denaro per pagare gli uni e le altre e da quello che si ricava dalla vendita dei
prodotti). Gli imprenditori cominciarono a investire il capitale per migliorare le attrezzature e
costruire nuovi impianti, in modo da produrre sempre meglio e sempre di più. La maggiore
produzione fece aumentare a sua volta il capitale e così via.
Il nuovo tipo di produzione (non più singoli lavoranti ognuno nella propria casa, bensì
decine di macchine riunite in una grande fabbrica) ebbe come conseguenza la divisione
del lavoro: ogni operaio era addetto a una sola fase della produzione e non seguiva più
l’intero ciclo, come l’artigiano, che produceva da sé l’intero oggetto. I salari degli operai
all’inizio erano bassissimi, i bambini e le donne erano sottoposti a turni di lavoro
massacranti ed erano inoltre sottopagati; il lavoro poteva essere perso da un momento
all’altro, perché non c’erano leggi che lo regolamentavano e su tutto valevano sempre gli
interessi dei padroni. All’inizio i lavoratori reagirono in modo disordinato, ma poi
cominciarono a organizzarsi in leghe operaie, dalle quali sarebbero in seguito sorti i
sindacati.
La Rivoluzione industriale decollò realmente quando l’energia del vapore fu applicata
anche ai trasporti. Ciò accadde a partire dal 1829, quando George Stephenson costruì la
prima locomotiva. Nello stesso periodo le macchine a vapore vennero applicate anche
alle navi.
La Rivoluzione industriale ebbe inizio in Inghilterra e diede a questo paese un enorme
vantaggio, rispetto al resto dell’Occidente. I motivi per i quali fu proprio l’Inghilterra a
raggiungere per prima quel traguardo sono molteplici: l’Inghilterra era uno stato nazionale
già da diversi secoli, aveva stabilità politica e un ceto borghese forte e attivo;
possedeva in grandi quantità materie prime come ferro e carbone; aveva facilità di
trasporti e grosse disponibilità di capitali accumulati con l’agricoltura e con il commercio
(v. ciò che era avvenuto durante l’età elisabettiana ). Dalla fine del ‘600, inoltre, aveva visto
crescere fortemente la popolazione (poiché terminarono le epidemie di peste e inoltre la
gente meno ricca poté nutrirsi a sufficienza grazie alle nuove coltivazioni della patata e del
mais introdotte dall’America), e ciò ebbe come conseguenza una sempre maggiore
domanda di prodotti.
La prosperità inglese era espressa anche culturalmente; nello stato in cui regnava la
monarchia costituzionale erano straordinariamente presenti: libertà e tolleranza.
Nel corso del ’700 le strutture produttive dell’agricoltura inglese ebbero cambiamenti tanto
profondi da generare una vera rivoluzione agricola. Per la prima volta si profilò un
imponente incremento demografico e si registrò una diminuzione della mortalità, dovuta
alla scomparsa della peste, alla minore incidenza di carestie e di grossi eventi bellici e ad
un miglioramento delle condizioni igieniche e delle abitudini alimentari. La crescita
demografica fu possibile perché contemporaneamente si sviluppò la produzione agricola
che crebbe con l’introduzione di nuove coltivazioni, (mais, pomodoro, patata), con nuove
tecniche di produzione (la rotazione agraria; metodologia che consiste nel coltivare
ciclicamente un terreno per non impoverirne la fertilità). Le nuove tecniche di coltivazione
migliorarono il prodotto agricolo, le scoperte chimiche consentirono raccolti più abbondanti
ed inoltre l’introduzione di macchine per la trebbiatura ne alleggerirono il lavoro. La
produzione aumentò anche grazie all’ampliamento delle superfici coltivate con opere di
bonifica, terrazzamenti, disboscamenti. I forti investimenti di capitale accrebbero la
produzione agricola e la crescente popolazione si poté sfamare.

Lo Stato e la questione sociale

Man mano che la rivoluzione industriale avanzava, sempre più si faceva sentire la
necessità dell’intervento dello Stato. Lo Stato Investì nell’ambito dell’istruzione creando
scuole a tutti i livelli poiché lo sviluppo industriale richiedeva gente preparata e capace di
unire abilità tecnica alla scienza. Molte famiglie lasciarono le campagne per recarsi nelle
città dove le imprese artigiane furono sostituite con le fabbriche. La rivoluzione industriale
modificò radicalmente l’intera società, dall’economia alla politica, fino alla vita quotidiana e
alla mentalità stessa degli uomini. La nascita della fabbrica moderna comportò un elevato
impiego di persone, soprattutto giovani, e uno spostamento della popolazione verso le città
che diventarono insufficienti. All’entusiasmo degli imprenditori dei tecnici e degli scienziati
si contrappose lo squallore della vita degli operai o, per usare una definizione diventata
allora di moda, dei proletari: cioè di coloro che “vendevano”, in cambio di uno stipendio il
loro lavoro ( Il termine proletari, già in uso nell’antica Roma, indica l’insieme di coloro la cui
vita è dedicata esclusivamente al mantenimento della prole, cioè dei figli).
Le generazioni che conobbero il decollo della rivoluzione industriale non ebbero vita facile.
L’orario di lavoro arrivava anche alle quindici ore giornaliere, i rumori delle macchine erano
assordanti, gli ambienti delle fabbriche di cotone per lo più umido erano malsane, per non
parlare delle miniere, dove la crescente richiesta di carbone faceva aumentare il numero
dei minatori. I lavoratori erano costretti a vivere nelle cantine e nelle soffitte. Alla sera, le
strade erano piene di ubriachi, crebbe la criminalità e la prostituzione ebbe un notevole
incremento. Anche le donne e i bambini vennero impiegati senza alcun riguardo e per la
semplice ragione che erano più facili da comandare e meno costosi degli uomini. L'elevata
concentrazione della popolazione nelle città fece precipitare le condizioni di vita, soprat
tutto per l'igiene, fatto che diede nascita a tensioni sociali e il bisogno per i lavoratori di
organizzarsi per affermare i propri diritti.
Nel contempo ogni nuova invenzione faceva diminuire il numero dei lavoratori impiegati,
per cui alle terribili condizioni di vita causate dall’orario di lavoro si aggiungeva la sciagura
del licenziamento. Tutte queste condizioni spinsero gli operai ad alcune rivolte e proteste.
Un movimento che nacque in quest’epoca fu il luddismo. Questo movimento trae il suo
nome da Nedd Ludd, capo delle proteste che si verificarono in Inghilterra tra il 1811 e il
1817, e realizzò la distruzione di impianti meccanici di produzione (macchinari, fabbriche).
Dopo alcuni decenni le condizioni di vita dei lavoratori migliorarono sensibilmente, vennero
emanate leggi per impedire che lo sfruttamento dei proletari fosse eccessivo, le giornate di
lavoro divennero più corte.
Inizialmente in Inghilterra, non furono necessari grandi capitali da parte degli imprenditori
per aprire le fabbriche, ma in seguito questi divennero indispensabili.
A chi chiedere questi soldi? Alle banche, certamente ma ciò non bastava, per questo
vennero create le cosiddette società per azioni, che permisero alle aziende di aprirsi al
contributo di più persone. In altri termini il valore delle aziende venne diviso in tante quote
chiamate azioni: esse potevano essere vendute o acquistate da chiunque, in qualsiasi
numero. Il luogo di questa contrattazione, venne chiamato “Borsa” nome che già da alcuni
secoli indicava il posto adibito per affari commerciali. La principale borsa del periodo,
ancora oggi tra le più importanti del mondo, fu quella di Londra.

L’ importanza della cultura

Un altro importante elemento che va considerato sul perché la Rivoluzione Industriale


nacque e si sviluppò in Inghilterra è il livello culturale del paese. Quasi 100 anni prima
dell’invenzione di Watt il 70% della borghesia di città e di campagna sapeva leggere e
scrivere e fatto ancora più importante, era alfabetizzato il 40% dei lavoratori.
Paragonate con quelle degli altri paesi europei erano cifre straordinarie.
La forte domanda di notizie e la loro discussione avveniva soprattutto nei club ( circoli
esclusivi degli imprenditori), nei pub ( le osterie degli operai), e nei caffè, dove la costosa
bevanda eccitante di origine americana era l’occasione alla moda per discutere prima di
tutto di affari ma poi anche di politica, di arte, di filosofia, di scienza, di letteratura e di
giornalismo. I lettori di giornali rappresentarono il nucleo di qualcosa di inedito nella storia
europea: l’ ”opinione pubblica”.
L’arma dell’’opinione pubblica nascente era la discussione. Si conversava e si ragionava su
tutto. Gli intellettuali misero in discussione l’autorità delle antiche tradizioni, quella dei re,
della Chiesa e, infine, persino di Dio. Il
ragionamento divenne la malattia del secolo: si ragionava, e quindi si discuteva anche dei
rapporti tra gli uomini e si facevano strada le idee di uguaglianza. Si discuteva di politica e
di liberalizzazione di commerci. Una nuova
“dea” illuminava la realtà e guidava gli uomini verso la verità: la “Ragione”, e poiché come
un faro gettava luce su tutto ciò che i secoli precedenti avevano oscurato, il Settecento fu
chiamato l’età dei lumi e il grande movimento culturale che lo percorse fu chiamato
Illuminismo.

Unità 2 Il SETTECENTO “il secolo dei lumi”

Il Settecento non fu solo il secolo della rivoluzione agricola e industriale; esso viene
ricordato anche come il secolo dell'Illuminismo. Questo importante movimento culturale
nato in Francia grazie ad autori come, Diderot, Voltaire e Montesquieu si diffuse ben presto
in tutti gli altri paesi europei, e produsse un profondo rinnovamento nella vita culturale,
politica e sociale dell'epoca. La parola "illuminismo" deriva dal francese lumiere (luce) e
indica la caratteristica fondamentale di questo movimento: la volontà di rischiarare con la
luce della ragione le tenebre dell'ignoranza, dei dogmi e delle superstizioni; questo significa
anche che bisogna sottoporre ogni aspetto della vita umana all'esame critico della ragione
e dell'esperienza sensibile, cioè l'esperienza diretta, che si acquisisce attraverso i sensi.
Gli aspetti che contraddistinguono l’età dei lumi possono essere sintetizzati nel modo
seguente:
- viene esaltata la ragione come strumento di conoscenza e di progresso sociale; essa ha il
merito di dissipare le nubi dell’ignoranza e della superstizione che sono causa di
arretratezza per le nazioni;
- si afferma una nuova figura di intellettuale non più un semplice cortigiano che scrive versi
per intrattenere i signori, bensì un philosophe, cioè un intellettuale impegnato che grazie
alla sua vasta cultura, non solo umanistica ma anche economico-scientifica, si propone di
organizzare e diffondere il sapere scientifico e di liberare la società e gli stati dal
dispotismo. Per gli illuministi ogni conoscenza è utile e serve a contribuire alle finalità
fondamentali della vita umana, cioè al benessere e alla felicità degli individui e anche al
progresso della società umana.
- si comprende l’importanza di strumenti di divulgazione e diffusione del sapere tra tutte le
persone; all'intellettuale illuminista spetta quindi il compito di educatore nei confronti di tutta
l'umanità. Vengono diffusi giornali, periodici, mentre intellettuali come Diderot e D’Alembert
curano la realizzazione dell’Encyclopèdie, un grande dizionario enciclopedico in 28 volumi,
destinato a diffondere la cultura e i progressi raggiunti fino ad allora, soprattutto nel campo
delle scienze e delle tecniche. Alla stesura delle 60 mila voci dell'Encyclopedie,
pubblicata a Parigi tra il 1751 e il 1772 (nonostante la censura del re che ne fece bruciare
più volte le copie) sotto la direzione di Diderot e D'Alembert, contribuirono anche i principali
esponenti dell'illuminismo francese, quali Montesquieu, Voltaire, Rousseau. Contro ogni
forma di privilegio e d’opposizione l’Enciclopedia diffuse i due grandi messaggi
dell’Illuminismo: libertà e uguaglianza, che tradotte in azione concreta, divennero le parole
d’ordine di due grandi rivoluzioni quella delle colonie americane contro l’Inghilterra e la
rivoluzione francese.
- essendo la ragione, una facoltà presente in tutti gli uomini di tutte le culture ed etnie,
permette ad ogni uomo di sentirsi fratello e cittadino del mondo, e uguale a tutti gli altri
uomini al di là di ogni confine geografico. Cosmopolitismo e filantropismo diedero origine
allo spirito di tolleranza, che consiste nel rispetto degli altri indipendentemente dalle
opinioni e dalle vicende personali.

Le idee religiose e politiche degli illuministi

La ragione fu concepita come l’unico criterio di verità, superiore ad ogni rivelazione e il suo
uso portò anche a smantellare i pregiudizi. In religione si ebbero due atteggiamenti.
L’ateismo e il deismo. I deisti credevano nell’esistenza di un Dio come essere supremo e
ordinatore del mondo. Gli atei misero in dubbio il concetto stesso di religione, considerando
ogni idea di Dio frutto o dell’immaginazione o della paura e dell’interesse umano dando una
spiegazione fisica di tutti gli aspetti della vita, anche quelli spirituali.
Gli intellettuali sottoposero all’esame critico della ragione tutte le manifestazioni del reale. “
Abbi il coraggio di servirti della tua intelligenza! “, questo fu il motto con il quale il filosofo
Kant colse lo spirito dei tempi nuovi in cui la ragione era considerata metro assoluto di
giudizio e si andava affermando una cultura verificata dall’individuo attraverso l’intelligenza,
senza la guida di nessuna autorità politica o religiosa.
L' Illuminismo italiano

Uno dei principali centri dell'Illuminismo italiano fu Milano; qui alcuni giovani esponenti
della nobiltà lombarda, in rottura con le idee e la società dei loro padri, diedero vita a
un'accademia, la "Società dei Pugni" e a un giornale, "Il Caffè"(1764-1766), fondato e
finanziato dal conte Pietro Verri e redatto da un gruppo di giovani intellettuali illuministi (
Cesare Beccarla, Pietro Longo, Alessandro Verri). Il
Caffè divenne un vivace mezzo di diffusione delle idee illuministiche provenienti dalla
vicina Francia e in soli due anni, raggiunse molta fama. Gli argomenti trattati riguardavano
ambiti diversi: l’economia, la politica, gli aspetti della società, la letteratura, la situazione
economica, l’agricoltura e il sistema fiscale. Una speciale attenzione era riservata alla
critica dell’aristocrazia, alla quale il giornale rimproverava il parassitismo, l’incapacità di
svolgere un ruolo attivo e dedicarsi ad attività produttive.
I maggiori contributi al gruppo milanese furono dati dai fratelli Pietro e Alessandro Verri e
da Cesare Beccaria, autore del libro “Dei delitti e delle pene”, che ebbe una notevole
diffusione in tutta l'Europa. In questo scritto Beccaria sosteneva che le pene dovevano
avere una funzione di prevenzione dei delitti e non di repressione.
Sulla base di questo principio egli giungeva alIa condanna della tortura allora usata nei
processi, perché "un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice" e
quindi non può essere sottoposto a una punizione come la tortura.
Cesare Beccaria inoltre argomentava il ripudio della pena di morte.
Napoli fu il secondo importante centro di diffusione delle idee illuministiche in Italia.

I philosophes

Tre grandi philosophes dominarono la scena europea: Charles de Secondat de


Montesquieu (1689-1735) , Voltaire (1694-1778) e Jean-Iacques Rousseau (1712-
1778).

VOLTAIRE (1694-1778)

Uno dei principali rappresentanti dell’Illuminismo francese fu Voltaire.


Egli era Deista e sostenitore del dispotismo Illuminato(governo di un sovrano assoluto
che si lascia aiutare e collaborare dagli intellettuali illuministi)
Il modello che egli propose fu quello di uno Stato retto da un sovrano illuminato, che
adoperasse il potere assoluto per riformare le strutture giuridiche, amministrative ed
economiche dello Stato e per garantire la libertà dei cittadini contro lo strapotere e i privilegi
della nobiltà feudale. Fu consigliere di Federico II di Prussia chiamato “ il Grande” per il suo
ruolo di protettore degli artisti, per la sua amicizia con gli illuministi francesi e per la sua
politica di riforme.

MONTESQUIEU (1689-1755)

In campo politico la critica illuminista della società dell’ancien règime portò il barone a
scrivere un romanzo epistolare “le Lettere persiane”, dove fingeva che due giovani persiani
visitassero l’Europa e scrivessero lettere a casa riportando le loro impressioni. Ne
emergeva il ridicolo delle monarchie assolute, come quella di Luigi XV, e l’ammirazione
per la monarchia parlamentare inglese. In un secondo libro, “ lo spirito delle leggi”,
pubblicato nel 1748, Montesquieu operò una fondamentale distinzione, che ancora oggi è
alla base di ogni Stato democratico. Il potere - egli scrisse - non può risiedere tutto nella
stessa persona, esso deve essere diviso e affidato a tre organismi diversi : il potere
legislativo, esecutivo e giudiziario.

JEAN-JACQUES ROUSSEAU (1712-1778)


Il pensiero politico di Rousseau pose l’accento più sulle disuguaglianze sociali che sulla
libertà, e nella sua opera “Il contratto sociale (1762)“ proponeva una democrazia nella
quale tutto il popolo governasse tramite i propri rappresentanti, revocabili in qualsiasi
momento.
Gli uomini possono associarsi e governare tutti insieme in una forma di democrazia
diretta: riuniti in assemblee, essi voteranno le leggi, cureranno che le ricchezze siano
equamente distribuite, rinunceranno ai propri interessi particolari in nome di quelli generali.
La maggior parte delle riforme del dispotismo illuminato non interessarono l’Inghilterra in
quanto le aveva già fatte nel Seicento. Chi avrebbe invece dovuto fare le riforme e non le
fece fu la Francia. Infatti, il ministro Turgot che aveva tentato di introdurre in Francia delle
riforme, incontrò l’opposizione dei nobili e del clero, per nulla disposti a perdere i loro
privilegi. Proprio nel paese il cui l’Illuminismo aveva conosciuto il suo successo culturale,
crollava per il momento ogni speranza di rinnovamento.

L’Illuminismo e le riforme in Italia

Anche per l’Italia il ‘700 fu il periodo delle riforme. In particolare fu questo il caso della
Lombardia che faceva parte dell’Impero Asburgico. Oltre al catasto Maria Teresa
d’Austria e figlio Giuseppe II, introdussero maggiore libertà religiosa, soppressero il
Tribunale dell’Inquisizione fondarono numerose scuole statali, abolirono la tortura e
limitarono la pena di morte. La monarchia borbonica non riuscì a realizzare riforme efficaci,
la sua azione si dimostrò inadeguata per poter modificare le secolari strutture della società
(baroni, Chiesa). Nel granducato Toscana Leopoldo II fece bonificare molti terreni paludosi
e parte della Maremma: eliminò i dazi che rendevano difficile il libero commercio e abolì
non solo la tortura ma anche la pena di morte.

Unità 3 La Rivoluzione Americana

Le colonie americane erano state, fin dalle prime esplorazioni, luogo d’immigrazione per i
perseguitati in patria per motivi politici, religiosi, o solamente per cercare fortuna, e questo
flusso migratorio fu talmente frequente che verso la metà del ‘700 si erano formate tredici
colonie con quasi due milioni di persone.
Le quattro colonie del nord (Massachusetts, New Hampshire, Rhode Island,
Connecticut) erano chiamate New England perché la popolazione era in larghissima
maggioranza inglese. Qui era forte la tradizione puritana ed i rapporti politici con essa
erano molto democratici, avevano un’economia fondata soprattutto su un’agricoltura
cerealicola, il commercio ittico, di legname e di pelli.
Le colonie del centro (New York, Pennsylvania, New Jersey, Delaware) avevano
un’economia molto simile a quella delle colonie del New England ma avevano le città e i
porti più importanti e una formazione sociale molto variegata che comprendeva irlandesi,
tedeschi, olandesi, svedesi, scozzesi.
Nelle colonie inglesi del Sud (Virginia, Maryland, Carolina del Nord, Carolina del
SudGeorgia) il potere era nelle mani dei grandi proprietari terrieri, ricchissimi grazie alle
loro immense piantagioni di indaco, cotone, riso e tabacco in cui lavoravano schiavi e
negri, presi dalle coste africane.

I rapporti con l’Inghilterra

I rapporti fra gli abitanti delle colonie e la madrepatria (Inghilterra) comportava vantaggi e
svantaggi.
I vantaggi. Le colonie non avevano un esercito organizzato né una flotta di guerra. Ogni
contadino difendeva il suo campo dai pellerossa e dai bisonti a colpi di fucile e ogni porto
aveva la sua flottiglia da pesca, ma quando i Francesi attaccavano, i coloni venivano
protetti dall’armata britannica.
Gli svantaggi erano di natura commerciale. Le tredici colonie americane gravemente
ostacolate nel loro sviluppo economico (potevano commerciare solo con l'Inghilterra), esse
si mantennero fedeli alla madrepatria finché tale svantaggio fu compensato dal vantaggio
di essere sottoposte a tasse molto basse.
L'aumento delle tasse, imposto dal Parlamento di Londra per coprire i costi della Guerra
dei Sette anni e non compensato da altre concessioni, scatenò proteste come quella del
1770, nota col nome di “massacro di Boston'', o come quella del 1773, causata dall'afflusso
di tè indiano sottoposto a tassazione. La protesta sfociò nella Guerra d'indipendenza
(1775-1783), le cui operazioni militari furono affidate al comando di George Washington.
Mentre l'esercito dei volontari americani si organizzava faticosamente e Benjamin
Franklin (l’inventore del parafulmine) si recava in Francia a sostenere la causa americana,
le tredici colonie della costa orientale accettavano come nuova Costituzione della futura
repubblica la Dichiarazione d'indipendenza (4 luglio 1776), redatta in gran parte da
Thomas Jefferson (il documento, ispirato ai principi dell’Illuminismo, sosteneva tra l’altro
che “tutti gli uomini sono creati liberi e uguali”). L’intervento a fianco delle colonie prima
della Francia e poi della Spagna, rivali dell’Inghilterra, portò alla sconfitta inglese e alla
concessione nel 1783 dell’indipendenza alle colonie.
Quando la guerra ebbe fine, gli americani si trovarono a discutere un problema importante:
che tipo di Stato dovevano organizzare? La Costituzione approvata nel 1787 da
un’assemblea composta da rappresentanti di tutte le colonie, stabilì che il nuovo Stato
fosse repubblicano e federale: una repubblica cioè costituita dai vecchi tredici stati. In
pratica, ogni ex colonia restava autonoma, con un proprio governatore ed una propria
assemblea, per affrontare le esigenze locali, i propri problemi interni, ma affidava ad
un’autorità centrale tutte le questioni di interesse comune: la politica estera, la moneta, e la
difesa. Nel 1787 venne così definita la Costituzione che indicava i compiti e le istituzioni del
governo federale. Il potere esecutivo venne affidato ad un Presidente, eletto ogni quattro
anni: il primo presidente fu George Washington, che entrò in carica il 4 febbraio 1789. Il
potere legislativo venne assegnato a due Camere, il Congresso ed il Senato. Il
potere giudiziario venne affidato alla Corte Suprema, costituita da giudici nominati dal
Presidente. Proclamare la libertà politica come diritto di tutti e perseguitare gli indiani o
schiavizzare i negri era certo una contraddizione profonda. Questioni sociali che
tormentarono duramente la nascita degli Stati Uniti e l’avvento della democrazia.
Unità 4 La Rivoluzione Francese

La Rivoluzione francese durò dieci anni (1789-1799). Gli storici la considerano l’evento che
pone termine all’età moderna e fa iniziare l’età contemporanea, perché con il 1789
comincia il definitivo declino della nobiltà e l’ascesa politica della borghesia che,
nonostante i successivi tentativi di restaurazione, arriverà gradualmente ad appropriarsi
delle leve del potere.
La popolazione francese alla fine del ‘700 viveva per l’85% nelle campagne ed era formata
in piccolissima parte da rappresentanti della nobiltà e del clero (meno del 10%) e in
grandissima parte dal cosiddetto Terzo stato, che comprendeva la borghesia (medici,
avvocati, banchieri, commercianti, proprietari terrieri non nobili, artigiani, ecc.) e i meno
abbienti.
La crisi economica era grave (anche per le spese sostenute per le guerre in America) e
molti erano i motivi di scontento. I borghesi erano stanchi di un sistema fiscale che faceva
pagare le tasse solo ai rappresentanti del Terzo stato, le masse urbane protestavano per
l’aumento dei prezzi, i contadini desideravano l’abolizione dei privilegi feudali, i nobili erano
contrari all’assolutismo monarchico e volevano una monarchia parlamentare come quella
inglese.
Tutte queste persone, pur se con motivazioni differenti, si trovarono ad avere un comune
interesse: abbattere la monarchia assoluta.
Per risollevare lo stato delle finanze il ministro di Luigi XVI, Necker, propose una riforma
fiscale che abolisse i privilegi che consentivano a clero e nobiltà di non pagare le tasse. Il
re cercò di imporre la riforma avvalendosi dei suoi poteri assoluti, ma nobili e clero chiesero
la convocazione del parlamento, gli Stati generali, perché, avendo la maggioranza,
avrebbero potuto bocciare la riforma.
Il re si oppose, in quanto temeva che convocando l’assemblea si decretasse la fine della
monarchia assoluta e la nascita di una monarchia di tipo parlamentare. Alla fine di un duro
braccio di ferro, il re, sottoposto alla pressione di tutto il paese, convocò gli Stati
generali. Il Terzo stato a questo punto chiese la riforma del sistema di voto: non più un
voto per ogni stato ( per ordine), ma un voto per ogni deputato (per testa). Questo
significava togliere la maggioranza ai rappresentanti della nobiltà e del clero. Di fronte a
questa proposta rivoluzionaria il re fece sospendere i lavori dell’assemblea. I deputati del
Terzo stato si riunirono allora nella stanza della pallacorda e, non riconoscendo più
l’autorità del vecchio parlamento, costituirono un’Assemblea nazionale costituente per
riformare tutta l’organizzazione politica della nazione. Il re cercò di riportare tutto alla
condizione di prima, arrivando persino a licenziare il Necker, sostenitore della riforma
fiscale. A questo punto intervenne il popolo di Parigi, che scese in piazza e il 14 luglio
1789 assaltò la Bastiglia, una delle prigioni della città, e la rase al suolo. Le notizie dei
disordini si diffusero rapidamente nelle campagne, dove migliaia di contadini assaltarono le
residenze dei nobili e del clero. In agosto l’Assemblea nazionale abolì tutti i privilegi del
sistema fiscale e compilò la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, dove si
sosteneva che “gli uomini nascono e vivono liberi e uguali nei diritti”. Nel 1791 fu terminata
la Costituzione che prevedeva un parlamento composto da una sola camera, chiamato
Assemblea legislativa. Il re e la regina decisero di scappare verso il Belgio, ma vennero
catturati.
Intanto Austria e Prussia, temendo che l’esempio francese venisse seguito anche nel resto
dell’Europa, entrarono in guerra contro la Francia. L’esercito francese, disorganizzato,
andò incontro a una serie di sconfitte e, di fronte alla “patria in pericolo”, il parlamento
diede tutto il potere alla sua ala rivoluzionaria, rappresentata dai Giacobini capeggiati da
Danton, Marat e Robespierre. Nel 1792, dopo elezioni a suffragio universale per eleggere
la Convenzione Nazionale, venne proclamata la repubblica.
Robespierre, a cui si opponeva il gruppo moderato dei Girondini, si trovò a fronteggiare
diversi problemi: il processo al re, la guerra e l’insurrezione dei contadini della Vandea.
Robespierre sconfisse i Girondini, condannò a morte il re e la regina e sedò con la forza la
rivolta della Vandea (i contadini di quella regione si erano opposti alla rivoluzione sia
perché quella aveva perseguitato gli uomini di chiesa, sia perché non accettavano la leva
obbligatoria imposta dalla guerra). Dopo la morte del re si schierarono contro la Francia
anche Inghilterra, Spagna, Regno di Napoli e Russia, che diedero vita alla Prima
coalizione.
In questi anni, noti come il periodo del Terrore, furono compiuti diversi abusi: molti
individui vennero mandati alla ghigliottina perché sospettati, a volte ingiustamente, di
essere dei controrivoluzionari. Intanto la guerra proseguiva positivamente per i Francesi,
che ottennero una serie di vittorie, in alcune delle quali si mise in luce un giovane ufficiale,
Napoleone Bonaparte.
L’errore di Robespierre fu quello di non capire che con le vittorie militari occorreva porre
fine alle misure eccezionali (blocco dei prezzi e dei salari, ricorso ai tribunali speciali contro
spie, traditori e controrivoluzionari). Nel 1793 Marat morì, assassinato da una donna
filomonarchica (sostenitrice della monarchia). L’anno successivo Robespierre, nel generale
clima di sospetto, fece condannare a morte l’ex alleato Danton. Invece di proclamare la
fine del Terrore, Robespierre l’aveva inasprito. I deputati della Convenzione decisero
infine di fare arrestare Robespierre e i suoi ormai pochi sostenitori. Il giorno dopo il capo
rivoluzionario venne ghigliottinato.
La rivoluzione continuò, ma il potere passò nelle mani del centro moderato, che affidò il
governo a un Direttorio di cinque membri, abolì sia la “Dichiarazione dei diritti dell’uomo”,
sia il suffragio universale (furono create due assemblee legislative, la cui elezione spettava
però solo a 200.000 cittadini, scelti in base al loro reddito).
Motivazioni ideali (fraternità con i popoli oppressi dalle monarchie assolute) e
motivazioni economiche (necessità di mantenere a spese dei paesi occupati grandi
masse di uomini arruolati nell’esercito che in patria non avrebbero trovato lavoro per la
crisi) costringevano la Francia a continuare la guerra contro il resto dell’Europa.
I due fronti principali erano il Belgio e l’Italia. Questa campagna venne affidata nel 1796 a
Napoleone Bonaparte, ormai promosso generale.

Unità 5 Napoleone Bonaparte

Nato ad Ajaccio nel 1769, apparteneva ad una famiglia nobile corsa. Era stato spinto da
suo padre Carlo Maria, un avvocato, a fare carriera militare. Si guadagnò il grado di
generale nell'assedio di Tolone (ottobre 1793) poi venne inviato a reprimere le rivolte
monarchiche. In entrambi i casi dimostrò grande talento militare. Ovunque si presentava
come liberatore dei popoli oppressi e suscitava grande entusiasmo.
Il matrimonio (marzo 1796) con l'influente Giuseppina di Beauharnais gli consentì di
ottenere il comando dell'armata d'Italia con l’incarico di attaccare l’impero austriaco.
La campagna d’Italia venne affidata nel 1796 a Napoleone Bonaparte, ormai promosso
generale. La campagna d'Italia durò dal 1796 al 1797. Napoleone batté prima i Savoia,
poi gli Austriaci e fondò la Repubblica Cisalpina, sottoposta alla Francia e composta da
Emilia, Romagna, Lombardia. Quindi occupò il Lazio, fece prigioniero il papa e fondò la
Repubblica Romana. Dopo aver occupato il Veneto firmò, nel 1797, il Trattato di
Campoformio con l’Austria. l’Austria perse la Lombardia ma ebbe come compenso
Venezia, da secoli indipendente. Il regno di Sardegna, fu costretto a cedere alla Francia
Nizza e Savoia mentre lo Stato Pontificio fu privato dell’Emilia Romagna.
Nel 1799, sperando nell'aiuto francese, insorsero anche i giacobini napoletani, che
scacciarono i Borboni e fondarono la Repubblica Partenopea. Abbandonati a loro volta
dalla Francia, essi furono attaccati dalla flotta inglese e dalle bande del cardinale Ruffo; i
Borboni riebbero il trono e gli insorti pagarono duramente il loro tentativo.
Fin dal 1798, intanto, Napoleone era impegnato nella campagna d'Egitto, intrapresa per
interrompere i traffici commerciali britannici .Dopo una prima vittoria nella battaglia delle
Piramidi, la flotta francese venne distrutta ad Abukir ad opera dell'ammiraglio inglese
Nelson. L’armata napoleonica si trovò isolata in Egitto, mentre la Gran Bretagna dava vita
alla Seconda coalizione contro la Francia. Napoleone riesce a non farsi catturare e ritorna
in Francia. Rientrato in Francia, dichiarò la “patria in pericolo”, facendo trapelare la falsa
notizia di un complotto realista per rovesciare la repubblica e con l’appoggio dell’esercito,
della borghesia e di una polizia molto efficiente, compì un colpo di stato e impose una
nuova forma di governo, il Consolato (1799 ) ispirandosi alle forme di governo dell'Impero
Romano, coordinato da tre consoli dei quali Napoleone Bonaparte aveva il titolo di Primo
Console. Il consolato di Napoleone divenne «a vita» con il plebiscito del 2 agosto 1802.
Così ebbe fine il decennio della Rivoluzione iniziato nel 1789. Proclamatosi Primo
console, Napoleone promosse riforme e iniziative a favore della borghesia, che mettevano
in pratica alcuni valori della rivoluzione.
Dopo aver battuto gli Austriaci a Marengo (in Italia) firmò la pace prima con l’Austria (1801)
e poi con l'Inghilterra (1802). Ciò confermò la sua conquista di parte della Germania, del
Belgio e dell'Olanda. In quegli stessi anni egli varò il Codice Napoleonico, un nuovo
codice di leggi basato su princìpi illuministici e borghesi.
Nel 1801 la lunga lotta contro il Cattolicesimo si concludeva con un accordo, chiamato
Concordato, ratificato da papa Pio VII, che stabiliva il Cattolicesimo «religione della
maggioranza dei francesi» (benché non religione di Stato), ma non riconsegnava al clero i
beni espropriati durante la rivoluzione.
Il Codice napoleonico legittimò alcune delle idee illuministiche, fu esportato in tutti i paesi
dove giunsero le armate di Napoleone, fu preso a modello da tutti gli Stati dell'Europa
continentale e ancora oggi è la base del diritto italiano.
Il Codice eliminava definitivamente i retaggi dell'ancien régime, del feudalesimo,
dell'assolutismo, e creava una società prevalentemente borghese e liberale, di
ispirazione laica, nella quale venivano consacrati i diritti di eguaglianza, sicurezza e
proprietà. Tra i principi della Rivoluzione, venivano salvaguardati quelli della libertà
personale, dell'uguaglianza davanti alla legge, della laicità dello Stato (già sancita dal
Concordato) e della libertà di coscienza, della libertà del lavoro. Il Codice era stato però
pensato e redatto soprattutto per valorizzare gli ideali della borghesia; perciò andava
soprattutto a regolamentare questioni riguardanti i contratti di proprietà e la stessa
legislazione riguardante la famiglia era di natura contrattualistica. La struttura familiare che
il Codice consacra è di tipo paternalistico: il padre può far imprigionare i figli per sei mesi
senza controllo delle autorità e amministra i beni della moglie. Veniva tuttavia garantito il
divorzio, benché reso più complesso rispetto all'epoca rivoluzionaria.
Per l'Italia il valore del Codice napoleonico fu fondamentale, poiché esso fu portato negli
stati creati da Napoleone e confluì poi nel codice civile italiano del 1865. Di eguale valore e
importanza sono anche gli altri codici: quello di procedura civile, emanato nel 1806, quello
del commercio (1807), quello di procedura penale.
Nel 1804 un plebiscito al quale parteciparono tutti i francesi maschi adulti proclamò la
fondazione dell'Impero e l’elezione di Napoleone a imperatore. Nel 1805 si formò la
Terza coalizione. Dopo la vittoria della flotta inglese, comandata da Nelson, a Trafalgar
(vicino a Gibilterra), seguirono due vittorie napoleoniche sul continente.
Contro l'Inghilterra, Napoleone proclamò il Blocco continentale, che proibiva l'attracco in
Europa di navi inglesi e ne impediva i commerci. Nel 1807 quando era già nata una Quarta
coalizione, Napoleone occupò Spagna e Portogallo e ne affidò la corona a suo fratello,
Giuseppe Bonaparte. Dopo averne cacciato i Borboni, diede il trono di Napoli a
Gioacchino Murat.
Tra il 1809 e il 1812 batté la Quinta e la Sesta coalizione e iniziò la campagna di Russia.
Nel 1810 lo zar di Russia. Alessandro I stanco di vedere l’economia del proprio paese
danneggiata, decise di abolirlo e dichiarò ufficialmente la ripresa del commercio con
l’Inghilterra. La scelta della Russia di uscire dal blocco, costringerà Napoleone a imbarcarsi
in una campagna che per lui sarà catastrofica. Nel giugno 1812, a capo di un esercito
formato da 600.000 mila uomini invase la Russia. I russi, comandati da Kutuzov, decisero
la tattica della ritirata e di lasciare dietro di sé “ terra bruciata”, cioè di incendiare i raccolti e
i villaggi distruggendo ciò che poteva servire come rifornimento al nemico piuttosto che
scontrarsi contro il preponderante esercito napoleonico. Il 7 settembre nei dintorni di Mosca
ebbe luogo la battaglia di Borodino: i russi, sconfitti, ripiegarono e Napoleone entrò a
Mosca una settimana dopo. Stabilitosi nel Cremlino, Napoleone non poteva immaginare
che la città completamente vuota nascondesse in realtà un'insidia: nella notte Mosca
cominciò a bruciare, essendo state appiccate le fiamme da alcuni russi nascosti nelle case.
Napoleone, che aveva tentato a più riprese di venire a un accordo con Alessandro I senza
riuscire neanche a far ricevere i suoi messi, perdendo così tempo prezioso per la ritirata,
vista la prossimità dell'inverno, si rese conto della necessità di ritirarsi. Diede perciò ordine
di iniziare la ritirata, (e di far saltare il Cremlino che solo per una miracolosa pioggia fu
salvato): era rimasto in Mosca non più di trentacinque giorni.
La Grande Armata francese soffrì gravi perdite nel corso della rovinosa ritirata; la fame, il
gelo e i cosacchi ebbero la meglio; più di 400.000 furono i morti e 100.000 i prigionieri.
Nel 1813 gli eserciti della Settima coalizione sconfissero Napoleone a Lipsia (in
Germania). Mentre Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato, tornava a Parigi, l'imperatore
veniva esiliato all'isola d'Elba.
Riuscito a fuggire, nel 1815 Napoleone veniva definitivamente battuto a Waterloo (in
Belgio) dai Prussiani e dagli Inglesi ed esiliato a Sant'Elena (un’isola dell’Atlantico a
occidente dell’Africa), dove morì nel 1821.
Il 19 luglio 1821, poco dopo aver appreso la notizia della morte di Napoleone, Alessandro
Manzoni scrisse la famosa ode Il cinque maggio, che ebbe una forte risonanza in tutta
Europa e che fu tradotta in tedesco da Johann Wolfgang Goethe.

Unità 6 Il Congresso di Vienna e la Restaurazione

Dopo la sconfitta di Napoleone ebbe inizio il Congresso di Vienna (1814-1815). Vi


parteciparono tutti gli Stati d'Europa. Ma fu voluto dalle grandi potenze che avevano
sconfitto la Francia di Napoleone: l’Inghilterra, l’Austria, la Russia e la Prussia. Lo
scopo del congresso era semplice: doveva ristabilire l'ordine e la pace in Europa.
Quell'ordine e quella pace messe così profondamente in crisi dalla Rivoluzione francese e
da Napoleone.
Quando il congresso ebbe inizio, Napoleone si trovava in esilio nell‘isola d'Elba. Nel marzo
del 1815 riuscì a fuggire e a sbarcare nuovamente in Francia. Ma venne definitivamente
sconfitto il 18 giugno 1815 a Waterloo. Questa vicenda non turbò affatto il Congresso di
Vienna, che proseguì i suoi lavori e li concluse qualche giorno prima di Waterloo, il 9
giugno 1815. Da tempo, ormai, Napoleone era uno sconfitto e non aveva più futuro
politico. Con il Congresso d i Vienna iniziava l'epoca della Restaurazione. Con questa
parola i vincitori intendevano il completo ritorno al passato.
Tutti i princìpi della rivoluzione dovevano essere negati. Anzi, si vollero cancellare tutte le
idee moderne che si erano affermate nel corso del XVIII secolo:
- al posto della libertà, doveva tornare l'obbedienza all'autorità;
- al posto dell’idea di progresso, si proponeva il rispetto della tradizione;
- al posto della sovranità popolare , si voleva il ritorno dei vecchi sovrani.
Ma un puro e semplice ritorno al passato era impossibile. Troppe cose erano cambiate in
Europa dall'inizio della Rivoluzione francese: alcuni Stati erano scomparsi, o avevano
modificato i loro confini, altri ancora erano sorti. Il Congresso allora decise di seguire due
princìpi: il principio di legittimità e il principio di equilibrio.
In molti casi fu applicato il principio di legittimità: erano legittimi (cioè secondo la legge e
quindi validi) quei governi che erano stati al potere da lungo tempo e avevano per così dire
messo le radici nella società.
Il principio di legittimità venne difeso dai reazionari, coloro che volevano “reagire” a tutte le
novità per tornare alla situazione precedente l'età rivoluzionaria e napoleonica.
In tutta Europa, i sovrani e i vecchi aristocratici tornarono dall'esilio per riprendere i loro
antichi possedimenti e privilegi. In Francia salì al trono Luigi XVIII: era il fratello minore e il
legittimo erede di Luigi XVI, decapitato ventidue anni prima. Ma non sempre il principio di
legittimità era conveniente: poteva essere causa di nuove guerre. In questi casi fu
applicato il principio di equilibrio.
L’Impero di Napoleone fu spartito tra le potenze vincitrici; si evitò tuttavia che uno stato
diventasse troppo forte e minacciasse quelli vicini e venne creata una serie di stati-
cuscinetto a dividere le grandi potenze.
In Italia la maggior parte degli antichi stati fu ricostituita, ma scomparvero la Repubblica di
Genova, annessa al Regno di Sardegna, e la Repubblica di Venezia, annessa al
Lombardo-Veneto sotto il dominio austriaco. Fu ricostituito lo Stato della Chiesa e il
Papato, per paura dell’ateismo, condannò tutte le idee moderne.
Le aspirazioni alla libertà dei popoli furono ignorate, ma questa situazione era destinata a
non durare.
Le conclusioni del Congresso di Vienna infatti lasciarono molti scontenti. I liberali
(moderati) chiedevano una costituzione e un parlamento eletto con un suffragio censitario
(da coloro cioè che possedevano un certo reddito).
I democratici si battevano invece per la repubblica e per il suffragio universale.
I socialisti, oltre a ciò, sostenevano la necessità di abbattere la disuguaglianza sociale.
Dal canto loro i patrioti degli stati assoggettati a sovrani stranieri chiedevano
l’indipendenza nazionale.

UNITA’ 7 Restaurazione e Rivoluzione

Nell’età della Restaurazione le forze di opposizione non potevano esprimersi liberamente.


Per questo si organizzarono in società segrete .
Queste società, che sorsero numerose in tutta Europa, imitavano il modo di agire della
Massoneria (un’associazione nata nel Settecento in Inghilterra, che operava per la
diffusione delle idee di libertà e tolleranza). La più importante società segreta italiana fu la
Carboneria.
I moti del 1820-’21 e l’indipendenza della Grecia
I primi moti rivoluzionari scoppiarono nel 1820-21, per iniziativa delle società segrete. In
Spagna, in Campania e in Sicilia i moti ebbero come obiettivo la richiesta di una
costituzione e di un parlamento (due diritti negati dalle monarchie assolute); in Piemonte e
in Lombardia, oltre alla costituzione, i rivoluzionari chiedevano che i Savoia muovessero
guerra all'Austria e liberassero la Lombardia.
Il principe Carlo Alberto, in qualità di reggente (al posto di Carlo Felice, lontano dal regno),
concesse la costituzione ai piemontesi e sembrò favorevole all'idea della guerra. Il
successo degli insorti tuttavia fu di breve durata: gli insorti spagnoli furono sconfitti (anche
per l'intervento della Francia) e la costituzione venne ritirata; l'Austria arrestò i rivoltosi
lombardi (tra cui anche il Pellico e il Maroncelli) e disperse i napoletani; il re di Sardegna
Carlo Felice sconfessò Carlo Alberto e ritirò la costituzione.
Nel 1821 la Grecia iniziò a lottare per ottenere l'indipendenza dall'Impero Ottomano.
Aiutata da Inghilterra, Russia e Francia (interessate a indebolire il colosso turco), la Grecia
nel 1829 riuscì a liberarsi dai Turchi.

I moti del 1830-31

Nel 1830 iniziarono nuovi moti rivoluzionari. La Francia, stanca del governo reazionario di
Carlo X, offrì il regno al liberale Luigi Filippo d'Orléans; la Spagna ottenne la
costituzione; il Belgio ottenne l'indipendenza dall'Olanda, rompendo il primo degli stati-
cuscinetto creati da Vienna.
Fallirono invece i moti in Germania, Polonia e Italia, dove Ciro Menotti tentò inutilmente di
far insorgere l'Emilia Romagna.

Democratici e moderati in Italia

Il fallimento dei moti carbonari in Italia indusse molti italiani a una riflessione per elaborare
nuovi sistemi di lotta. Questa riflessione si svolse tra il 1830 e il 1848 e fece emergere due
schieramenti: democratici e liberali (distinti in liberali cattolici e liberali laici).

Il Risorgimento

I democratici facevano capo a Giuseppe Mazzini, che fondò la Giovine Italia,


un'associazione che puntava sulla propaganda e sul reclutamento di una gran massa di
persone. Mazzini credeva alla necessità dell'alleanza di tutto il popolo (borghesi e operai)
per liberare l'Italia dagli stranieri e farne una repubblica in cui ci fosse il suffragio
universale. Sul piano militare sosteneva la guerra per bande, cioè l'insurrezione popolare
delle città, seguita da guerriglia sulle montagne. Nella pratica però questi tentativi fallirono
ripetutamente.
I liberali cattolici, detti anche neoguelfi, erano guidati da Vincenzo Gioberti, il quale
proponeva che l'Italia divenisse una Confederazione di stati con a capo il Papa.
Piegandosi a tale autorità, secondo il Gioberti, gli Austriaci avrebbero rinunciato al
Lombardo-Veneto e ottenuto in cambio le regioni dell'Europa orientale ancora sottoposte ai
Turchi.
Tra i liberali laici si distinse ben presto Cavour, uomo politico piemontese. Questi
sosteneva la necessità di una guerra regia, condotta dai Savoia e appoggiata dalla
Francia per liberare l'Italia dagli Austriaci. Cavour voleva inoltre la trasformazione della
monarchia assoluta sabauda in una monarchia costituzionale di tipo inglese. Egli
reputava molto importanti le riforme di tipo economico: sosteneva infatti la necessità di
abolire i dazi doganali e di sviluppare le ferrovie per dare impulso all'industria. Tra il '46 e il
'47 sembrò che le teorie moderate trovassero finalmente uno sbocco: il nuovo papa Pio IX
concesse alcune riforme, imitato da altri sovrani italiani, tra i quali Carlo Alberto di Savoia.
A Milano si verificarono incidenti antiaustriaci e lo stesso Mazzini, in esilio all'estero, si
disse pronto a rientrare in Italia e ad aiutare Carlo Alberto contro gli Austriaci,
accantonando le proprie idee repubblicane.
Le tensioni che si accumulavano non solo in Italia, ma nell'intera Europa, aggravate da
una pesante crisi agricola, esplosero nel 1848 con una serie di rivoluzioni a catena.
In Francia il cuore della rivoluzione fu Parigi. Borghesi e operai, alleati tra loro, cacciarono
il re Luigi Filippo e proclamarono la repubblica, dando vita a un governo composto da
moderati e socialisti. Per risolvere il problema della disoccupazione, i socialisti crearono
gli "atéliers nationaux" (fabbriche nazionali), finanziati dallo stato; ma il loro fallimento e la
paura dei borghesi nei confronti delle nuove organizzazioni dei lavoratori (in quello stesso
anno era stato pubblicato il Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels) causarono
l'espulsione dei socialisti dal governo. Le forze moderate affidarono allora la presidenza
della repubblica a Luigi Bonaparte, nipote di Napoleone.
A Vienna, a Berlino, a Praga, in Baviera e in Ungheria, altri moti che miravano a
ottenere la costituzione, o l'indipendenza e l'unità, diedero vita a governi provvisori liberali.
In Italia insorsero Palermo, che cacciò i Borboni, Venezia, che cacciò gli Austriaci e
proclamò la repubblica, la Toscana, che divenne repubblica, e Milano, che durante le
famose Cinque giornate, cacciò gli Austriaci e invitò i Savoia a occupare la Lombardia.
Carlo Alberto si mosse, anche se con ritardo, e scoppiò così la Prima guerra
d'indipendenza. L'esercito sabaudo, aiutato da volontari di tutti gli stati italiani, fu però
guidato dal re con grande incertezza e fu sconfitto dagli Austriaci del generale Radetzky
nel 1848 a Custoza e nel 1849 a Novara. Dopo la sconfitta Carlo Alberto abdicò in favore
del figlio Vittorio Emanuele II.
A Roma i mazziniani insorsero e proclamarono la Repubblica, ma l'intervento francese,
alcuni mesi dopo, ridiede il potere al Papa.
Verso la metà del '49 tutti i moti erano stati soffocati. Ad aver ottenuto un cambiamento
restavano solo la Francia, che era diventata una repubblica con governo moderato, e il
Regno di Sardegna, al quale Carlo Alberto nel 1848 aveva concesso lo Statuto albertino
(costituzione) e il parlamento.
L'ascesa politica ed economica della borghesia era comunque iniziata in tutta Europa e la
sistemazione che il Congresso di Vienna aveva voluto dare al continente era ormai entrata
definitivamente in crisi.

UNITA’ 8 L'Unità d'Italia

Dopo il 1848 una durissima repressione si abbatté su tutti gli stati, ma in particolare sul
Regno delle Due Sicilie, nel quale i Borboni bloccarono ogni possibilità di sviluppo. Nel
Regno di Sardegna invece iniziò un periodo di grande sviluppo economico e politico. A
guidare queste trasformazioni fu Cavour, che divenne presidente del Consiglio nel 1852.
Dal 1855 tutti gli sforzi di Cavour furono concentrati sulla costruzione dell'unità d'Italia.
Per realizzarla occorreva innanzitutto cacciare gli Austriaci dal Lombardo Veneto, obiettivo
raggiungibile solo attraverso l'aiuto di una potenza straniera: bisognava quindi indurre la
Francia a intervenire a fianco dei Savoia.
Tra le moltissime mosse compiute da Cavour per raggiungere tale obiettivo, la più
importante fu, nel 1855, l'intervento piemontese nella Guerra di Crimea, scoppiata tra
Russia da una parte e Turchia, Francia e Inghilterra dall'altra. La guerra, scatenata dalla
Russia, che voleva impadronirsi di territori turchi che garantivano sbocchi verso il
Mediterraneo, non interessava allo stato sabaudo. Cavour però decise di mandare 15.000
soldati piemontesi, in modo che, finita la guerra, anche il Piemonte fosse ammesso al
congresso di pace. Così avvenne.
Dopo la sconfitta dei Russi, Cavour poté partecipare al Congresso di Parigi, sottoporre
all'attenzione internazionale il caso dell'Italia, soggetta a potenze straniere, e ottenere
l'appoggio della Francia (dove Luigi Bonaparte si era fatto eleggere imperatore con il nome
di Napoleone III).
Con i patti di Plombières Cavour e Napoleone III si accordarono. La Francia sarebbe
intervenuta a tre condizioni: lo Stato pontificio non doveva essere toccato, il Piemonte
avrebbe dovuto limitarsi a occupare il Veneto e la Lombardia, in cambio la Francia
avrebbe avuto Nizza e la Savoia.
Gli Austriaci, irritati per i preparativi militari del Piemonte, attaccarono lo stato sabaudo e
scoppiò così la Seconda guerra d'indipendenza.
Le truppe franco-piemontesi ottennero rapide vittorie a San Martino e Solferino. Ma
improvvisamente Napoleone III decise di porre fine alla guerra, perché allarmato dalle
insurrezioni scoppiate in alcune città dello Stato pontificio e preoccupato per le perdite
subite dal proprio esercito.
Con l'armistizio di Villafranca l'Austria cedette la Lombardia (ma non il Veneto) allo
Stato Sabaudo. Nizza e la Savoia passarono ai francesi.
Nel 1860, grazie a una serie di plebisciti (consultazioni in cui furono ammessi al voto tutti i
cittadini adulti di sesso maschile), la Toscana e la Romagna passarono ai Savoia.
In seguito fu compiuto un altro passo verso l'unità d'Italia: Garibaldi, ex mazziniano, guidò
la spedizione dei Mille per liberare il Sud della penisola. Partiti da Quarto, nei pressi di
Genova, i Mille sbarcarono a Marsala, in Sicilia. A Calatafimi vinsero l'esercito borbonico
e proseguirono liberando tutto il Regno delle Due Sicilie.
In questa occasione rivolte di contadini siciliani, che, dopo aver spalleggiato i garibaldini,
rivendicavano la riforma agraria, furono duramente represse da Nino Bixio. Temendo
che Garibaldi attaccasse anche Roma, sede del papa, protetto dalla Francia, Cavour
bloccò la sua marcia da sud a nord, inducendo Vittorio Emanuele II a liberare
personalmente tutti i territori dello Stato pontificio ad esclusione del Lazio.
Nel 1861 venne fondato il Regno d'Italia, con capitale Torino. Nello stesso anno Cavour
moriva.
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