Iniziazione:
memorie di un’Egizia
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Presso le Edizioni Arista:
nella collana delle opere di Anne e Daniel MEUROIS-GIVAUDAN:
- L’ALTRO VOLTO DI GESÙ’ (Memorie d’un Esseno - voi. I)
- LE STRADE D’UN TEMPO (Memorie d’un Esseno - voi. II)
- VIAGGIO A SHAMBHALLA
- LE VESTI DI LUCE: leggere l’aura e curare per mezzo dell’Amore
- TERRA DI SMERALDO: testimonianze dall’Oltrecorpo
- RACCONTI D’UN VIAGGIATORE ASTRALE
- L’INCONTRO CON LUI
- I NOVE SCALINI: cronaca di una reincarnazione
nella collana dedicata alle FAVOLE INIZIATICHE:
- USA CIO’ CHE SEI, di Fun-Chang
- IL SUONATOR DI FLAUTO, di Paule Riby
nella collana SAGGEZZA:
- INIPI, IL CANTO DELLA TERRA, di A. Pazzogna e A.F. Cervo Zoppo
- SAGGEZZA: come far buon uso delle religioni, di Anagarika Silananda
- MEDITAZIONE: cos’è e come praticarla, di Sogyal Rinpoche
- SUFI: oltre l’ultima barriera, di Reshad T. Feild
nella collana FINDHORN:
- LE PORTE INTERIORI, di Eileen Caddy
nella collana I DEVA:
- FRATELLO ELFO, SORELLA FATA, di Johfra, Lórien, Kaijan
- IL RITORNO DEL POPOLO ALATO (Il libro degli Angeli), di Ken Carey
nella collana I GRANDI PRECURSORI:
- GIORDANO BRUNO, IL VULCANO DI VENEZIA, di Y. Caroutch
- LUCI DELLA GRANDE LOGGIA BIANCA, di Michel Coquet
nella collana ALTRI UNIVERSI:
- DI STELLA IN STELLA, di Serge Reiver
nella collana ENERGIE:
- REIKI: energia e guarigione, di Giancarlo Tarozzi
- CASA TRA TERRA E CIELO, di Jean-Charles Fabre
carte:
- I MESSAGGI DELL’UNIVERSO: un gioco di carte per andare oltre la mente
Riceverete gratuitamente il nostro catalogo ed
i successivi aggiornamenti richiedendolo a:
Edizioni ÀRISTA - Casella Postale - 10094 Giaveno (To)
telefono e fax (Oli) 9349128
Prefazione
Introduzione Cerco...................................................................... 1
Cap. I - Il risveglio.............................................................. 6
Cap. II - Luci e leoni........................................................... 15
Cap. Ili - I miei genitori non sono “i miei” genitori...........18
Cap. IV - Un’alba è un’altra cosa! .......................................24
Cap. V - Voglio andarmene................................................29
Cap. VI - Aspiro all’unità..................................................... 36
Cap. VII - L’uomo rosso........................................................ 38
Cap. VIE - Si delinea il mio futuro......... ............................... 41
Cap. IX - L’amore ed i suoi problemi..................................46
Cap. X - Primo incontro con la morte.................................50
Cap. XI - Prime visioni del futuro........................................54
Cap. XII - Il risveglio del passato..........................................57
Cap. XIII - Secondo incontro con la morte.............................62
Cap. XIV - Tenebre..................................................................66
Cap. XV - Una svolta decisiva............................................... 72
Cap. XVI - Lotta per ritrovare la luce.....................................79
Cap. XVII - Auspici..................................................................93
Cap. XVIII- Bagliori..................................................................96
Cap. XIX- Visioni.................................................................101
Cap. XX - L’aurora — Gli Ayur-Veda................................129
Cap. XXI - E la luce fu.......................................................... 144
Cap. XXII - Nota dell’autrice................................................. 147
Cap. XXHI - Il passato diventa presente..................................150
Cap. XXIV - Lui.......................................................................158
Cap. XXV - I figli di Dio........................................................ 167
Cap. XXVI - Anni di preparazione..........................................176
Cap. XXVII - L’albero della conoscenza del bene e del male . 190
Cap. XXVIII - Le dodici paia di qualità gemelle...................... 197
Cap. XXIX- I leoni.................................................................. 206
Cap. XXX- Esercizi di telepatia............................................210
Cap. XXXI- Il futuro...............................................................215
Cap. XXXII - Bo-Ghar ed il bastone della vita.........................229
Cap. XXXIII - Dall’insegnamento di Ptahhotep
Le sette ottave di vibrazioni
L’Arca dell’Alleanza................................236
Cap. XXXIV - La forma delle piramidi.....................................255
Cap. XXXV - I quattro volti di Dio..........................................273
Cap. XXXVI - Le epoche del mondo........................................296
Cap. XXXVH - Ultime preparazioni...........................................309
Cap. XXXVIII - L’iniziazione......................................................326
Cap. XXXIX - Sacerdotessa......................................................364
Cap. XL - Ci rivedremo......................................................370
Cap. XLI - Il leone...............................................................381
Cap. XLH - Nebbia e risveglio..............................................389
Cap. XLHI - Roo-Kha e le dodici compresse........................ 400
Cap. XLIV - ... e compare il giovane sacerdote.....................407
Cap. XLV - ImaeBo-Ghar...................................................411
Cap. XLVI - Le prove si ripetono...........................................416
Epilogo ........................................................................... 422
PREFAZIONE ALL’EDIZIONE FRANCOFONA
Cerco...
Cerco una spiegazione alla vita terrestre. Mi piacerebbe sapere
perché l’uomo nasce, perché, con tanta difficoltà, il bambino diventa
adulto, si sposa, mette al mondo altri bambini che, con altrettanti
problemi, diventeranno adulti, si sposeranno, avranno ancora più
bambini che, in età avanzata, perderanno le facoltà acquisite a prezzo
di immensi sforzi, per poi morire. Un’interminabile catena, senza
inizio né fine! Bambini che nascono continuamente, che apprendono,
che lavorano come matti per sviluppare appieno il loro corpo e la loro
mente, e che dopo un tempo relativamente breve vengono dati in
pasto ai vermi: tutto è ormai consumato.
Che senso può avere tutto questo? L’unico scopo è forse produrre
generazioni future?
E perché coloro che non si preoccupano soltanto di moltiplicare la
loro discendenza e ci lasciano un’opera spirituale, perché si trovano
anch’essi sottoposti alle stesse condizioni? Invecchiano, e la pietra
tombale si chiude su di loro e sul loro talento. Perché mai un Michelan
gelo, un Leonardo da Vinci, un Giordano Bruno, un Goethe e tanti
altri sono venuti al mondo se poi hanno dovuto marcire, divorati dai
vermi che si sono ingrassati sui loro corpi di titani?
No! È impossibile che la vita sulla Terra sia così senza senso!
Dietro a questo ciclo apparentemente interminabile di nascite e morti
ci deve pur essere un senso profondo, per quanto possa apparire in
spiegabile ad una mente confusa; deve pur esserci una ragione piena
mente soddisfacente e sensata, vedendo la cosa dall’altra parte!
Ma dove, e come trovare quest’altra parte, quest’altro lato di ogni
cosa che deve assolutamente esistere? Dove e come trovare la via che
conduce a questa conoscenza?
Chi può indicarmi la direzione, dove trovare una persona che sia
2 Elisabeth Haich
Il risveglio
Simile ad un lampo, un dolore folgorante mi attraversò il corpo;
un attimo dopo, mi ritrovai a terra.
Pericolo! Aiuto! Ma non voglio quest’adulto qui, accanto a me,
quest’uomo spaventato che adesso mi vuole esaminare, non lo voglio!
Non mi piace, la sua presenza mi indispone in questo momento di
pericolo.
Mi precipitai nella camera in cui ci eravamo appena accomiatati
da quella bella estranea, dandole la buonanotte. Sapevo che poteva
aiutarmi e comprendermi; con lei mi sentivo sempre a mio agio: mi
piaceva il profumo che l’avvolgeva e, vicino a lei, mi sentivo sicura.
In quel momento, impaurita, corsi da lei, in cerca di aiuto; gemendo,
le mostrai la mano grassottella che penzolava pietosamente, rifiutan
do di obbedire ai miei comandi. La bella signora mi guardò la mano,
posò precipitosamente l’abito al quale lavorava e gridò:
«Robert! Robert! Presto, vieni!»
Si aprì una porta ed entrò un uomo del quale sapevo vagamente
che apparteneva alla nostra famiglia; lo guardai per la prima volta con
attenzione: era alto, con un volto che sembrava d’avorio, capelli,
barba e baffi neri come l’ebano, e come i suoi occhi. Sprigionava un
tale vigore, una tale forza, che pareva tenesse tutti a debita distanza.
Diede un’occhiata al mio braccio e alla mia mano inutile e disse:
«Un medico, Stefi, chiama subito un medico!»
Zio Stefi corse via, e l’omone chiese come fosse accaduto. Gli rac
contai che, dopo che Greta ed io avevamo dato la buonanotte, zio Stefi
mi aveva preso in spalla e portata fino in camera nostra. Scendendo ero
scivolata e, per impedirmi di cadere, zio Stefi mi aveva afferrata per la
mano: era proprio in quel preciso istante che il dolore mi aveva trapassa
to il polso destro. Poi avevo cercato di muovere la mano, senza riuscirci.
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 7
più. Ma non riuscii a chiarire il mistero degli aghi, perché zio Stefi
entrò con il medico.
Il dottore era alto, impressionante e gentile; mi guardò come se
* N.d.T.: il lettore deve situare questi eventi nell’Ungheria dell’inizio del seco
lo; ne risultano alcune espressioni quali “essere sugli aghi” (cioè: “sulle spine”) che si
prestano nel corso del racconto ad un gioco di parole, e che quindi non sono state
tradotte. Questo vale anche per i termini “Padre” e “Madre”, che abbiamo lasciato
intatti e che traducono meglio di “mia madre” e “mio padre” il senso di estraneità che
anima la protagonista.
8 Elisabeth Haich
Luci e leoni
L’inverno e l’estate si susseguirono e un giorno mi dissero che
avevo quattro anni. Greta andava già a scuola ed io l’ascoltavo con
grande attenzione quando leggeva fiera l’alfabeto. Quando non era a
casa, tormentavo mia nonna, la madre di Padre, che da qualche tempo
era venuta ad abitare con noi, affinché mi leggesse delle storie: ero
curiosa di sapere come sarebbero finite; volevo sempre sapere che
cosa succedeva alla gente, ed ero divorata dalla curiosità per la vita! Era
semplicemente meraviglioso pensare a tutto ciò che poteva succedere!
Naturalmente preferivo le favole, e zia Adi, una sorella di Madre
che veniva spesso a trovarci, era sempre pronta a soddisfare quel mio
desiderio: aveva un volto bellissimo, era adorabile e graziosa come
un gatto. I suoi occhi scuri avevano uno sguardo caldo, e da lei
emanava qualcosa che solo possiedono coloro che sono animati dal
l’amore. Respiravo quel profumo di tenerezza che così poca gente
esalava. Quando arrivava zia Adi, ci precipitavamo gioiosamente su
di lei, tirandole impazienti il cappotto, e gridando: «Zia Adi, raccon
ta!» E lei ci raccontava le più meravigliose storie di fate. Era infatica
bile: sempre favole nuove, le più belle che, in seguito, abbia mai letto
o sentito. Quando ero ammalata, zia Adi veniva, raccontava ed io
dimenticavo la mia malattia: non osava interrompersi, perché allora le
chiedevamo: «... e allora... e poi... e dopo...???» finché non si decide
va a riprendere il corso della favola. Ma quando zia Adi doveva
tornare a casa, da sua madre, quell’altra mia nonna che suonava il
piano così bene, restavo con Greta e la guardavo leggere il suo libro
di fiabe: volevo imparare anch’io. Le fiabe dei giornaletti per bambini
e dei libri non erano certamente belle quanto le fiabe di zia Adi, ma
erano pur sempre delle favole e quindi volevo conoscerle. Cominciai
dunque a studiare più da vicino i libri di Greta: contemplavo a lungo
16 Elisabeth Haich
Padre! A casa mia non era mio Padre, lo era soltanto dove mi trovavo
in quel momento! Infatti, mi era estraneo quanto la bella signora;
semplicemente, mi ero a poco a poco abituata a loro. Erano persone
deliziose che mi volevano bene, per le quali ero importante e che mi
erano molto care; tuttavia, non erano né mio Padre, né mia Madre.
Soltanto l’abitudine aveva fatto sì che li chiamassi in quel modo;
fino a quel momento non ci avevo mai riflettuto sul serio: avevo
preso le cose come venivano giacché stavo bene con loro, mi davano
sicurezza, apprezzavano la mia presenza e trovavano che tutto ciò che
facevo fosse affascinante, delizioso, notevole. Allora, per quale ragio
ne non avrei dovuto sentirmi bene in loro compagnia? Mi succedeva
persino di giocare piacevolmente con Greta, quando lei accettava di
dimenticare di essere più vecchia di me, “più vecchia di tre anni”. Sì,
tutto andava nel migliore dei modi. Zio Stefi veniva spesso, suonava
il piano e mi faceva vedere un sacco di cose affascinanti: faceva per
me delle bolle di sapone, oppure, con il temperino, fabbricava una
raganella con un guscio di noce, o un porcellino con un prugnolo e
degli stuzzicadenti. Una volta, mi portò una scatola di colori e un
pennello: potevo dipingere fiori meravigliosi e multicolori in un qua
derno che era solo miol Finalmente, una cosa che non dovevo divide
re con Greta! Zia Adi con tutte le sue buffe storie, le sue favole, era
adorabile; nonna, la madre di Madre, mi amava molto, era dolce, fine,
e mi sorrideva con molto amore: ogni volta che si sedeva al piano, era
una festa, e la sua musica divina mi incantava; stavo ad ascoltarla
affascinata. In questo campo, Madre ed io eravamo in assoluta armo
nia: entrambe amavamo la musica più di ogni altra cosa.
L’altra mia nonna era una donna molto interessante, che mi rac
contava dei suoi viaggi in paesi lontani, e spesso mi accompagnava al
museo nazionale dove c’erano tante cose affascinanti: grandi farfalle
provenienti da un’altra parte del globo (eppure, io le conoscevo be
nissimo) e certi animali impagliati, immensi, che mi avevano spaven
tata, ma poi Nonna mi aveva rassicurata.
Mi piaceva molto quando tutta la famiglia parlava con stupore e
piacere dei miei “talenti e successi” che, per me, erano del tutto
naturali. A quattro anni, Madre mi mostrò come usare l’uncinetto: in
men che non si dica, avevo confezionato un vestito per la bambola,
quella che restava sempre seduta su una poltrona perché non sapevo
che fame. Era senza vita, mentre io ero attratta solo da ciò che viveva.
Una volta finito il vestitino, si era rivelata una meraviglia per la
famiglia, e questo mi aveva sorpresa molto: se Madre poteva fare
ft Elisabeth Haich
pizzi così fini e così belli, perché mai si stupivano che io sapessi
lavorare con l’uncinetto? I miei dipinti sollevavano un tale entusia
smo che Padre mi aveva regalato un salvadanaio a forma di maialino,
in cui infilava una moneta ogni volta che dipingevo un bel fiore.
Tutto questo, dunque, era così gradevole... Ma un giorno, arrivò quel
la terribile sorpresa: Padre aveva un superiore!
Fu in quel momento che divenni assolutamente cosciente del fatto
di trovarmi qui, in questo ambiente, chiamato “casa”, e che tuttavia
non ero a casa, qui... Casa mia non era qui. Ne ero profondamente
convinta.
Se, in quell’epoca, avessi avuto le conoscenze di fisiologia che ho
oggi, avrei cercato immediatamente di sapere da dove venissero le
idee che mi passavano per la testa; ma, appunto, ero soltanto una
bambina, e sentivo ogni cosa in modo molto diretto, convinta co
m’ero di essere stata strappata con violenza alla mia famiglia. Non
sapevo da dove venissi solo perché nel frattempo avevo dimenticato
ogni cosa: e chi altri, se non coloro che mi chiamavano “la loro
bambina”, avrebbero potuto darmi spiegazioni in proposito? Ma a
quelle domande certamente avrei ricevuto risposte incomprensibili,
che si sarebbero probabilmente concluse con il solito ritornello:
«Aspetta, quando sarai grande!»
Oh, quanto odiavo quelle parole! Aspettare di diventar grande? E
perché perdere ancora tanto tempo, camminando nell’ignoto, nel
buio? Volevo sapere tutto ora, non “un’altra volta”!
Rimuginai tutti questi pensieri fino a sera; quando fu ora di andare
a letto, Madre si sedette al mio capezzale e mi chiese:
«Come mai sei così calma, invece di giocare con la bambola? Sei
andata in giro per tutta la casa riflettendo: cosa ti tormenta? Dimme
lo! Puoi raccontarmi tutto, chiedermi tutto.»
In quel momento l’amavo con tutto il cuore, aveva tutta la mia
fiducia: era dolce, tenera, bella. Mi dicevano spesso che era sempre
pronta a prendere le mie difese quando venivo rimproverata, e che
potevo trovar sempre rifugio in lei; e in quel momento, eravamo così
vicine l’una all’altra che pensai di poterle davvero dire ogni cosa. Le
gettai le braccia al collo e chiesi:
«Madre, da dove mi avete portata, da dove sono venuta fino a
voi?»
Un’espressione di sorpresa le si accese negli occhi, persino un po’
di timore, poi sorrise teneramente e mi disse:
«Esiste un mare grandissimo dove nuotano tutti i bambini piccoli;
Iniziazione: memorie di un 'Egizia 21
sia soddisfatta dei fenomeni della natura e voglia dire al sole come
deve alzarsi! E come fai a sapere che dovrebbe essere diversa, dal
momento che è la prima volta che la vedi? Allora?»
Lo guardai e risposi:
«Non so da dove mi viene questa idea, né dove ho già visto un’al
ba, ma so che è diversa. Il sole deve sorgere in un cielo buio e tutto
deve diventare chiaro istantaneamente, e non in modo noioso, opaco
e grigio, ma meravigliosamente rosso, porpora, luminoso, tutto il
cielo ed ogni cosa sulla Terra deve essere inondata di porpora. De
v’essere molto, molto più bello, più sorprendente, più sublime. So...
me ne ricordo!»
«Ah, ah, te ne ricordi — rispose Padre sorridendo e prendendomi
in giro con dolcezza. — La tua immaginazione è davvero fertile!»
Poi prese la tazza di caffè che Madre gli porgeva ed aggiunse:
«Sono spiacente che l’alba non abbia avuto la fortuna di piacerti;
eppure oggi fa bello, e mi è difficile immaginare uno spettacolo mi
gliore e più colorato. In questo, non posso esserti d’aiuto, sono del
tutto impotente!»
Non risposi, perché stavo tenendo il broncio. Non soltanto a causa
26 Elisabeth Haich
e notai i ciuffi di lunghi capelli neri molto fini che gli pendevano
dalle orecchie, come una scimmietta. Mi ero appena lavata, così fui
autorizzata ad accarezzargli la manina: tutti mi guardavano, tutti era
no così solenni... così gravi...
Ora eravamo in tre bambini, ed ero più sola che mai.
CAPITOLO V
Voglio andarmene
In quel periodo, conobbi la sorella di mio padre: zia Raphaela, che
viveva in un’altra città con suo marito, zio Ferdinando. Vennero a
conoscere il nuovo arrivato, e quella donna così bella, così regale, mi
impressionò. Era alta quanto Padre, simile ad una dea greca, con un
volto di bellezza classica, nobile, imperturbabile, coronato da una
chioma d’ebano. Aveva gli stessi occhi neri e ardenti di Padre, e i
suoi movimenti erano maestosi, pieni di dignità, eppure così affasci
nanti. Era il simbolo della bellezza e della distinzione, e l’amai appe
na la vidi. Ne fui davvero contraccambiata, e spesso mi portava con
sé quando andava a far compere; suo marito era un uomo molto
saggio ed amabile, e ci intendemmo subito. Fu dunque con gran pia
cere che appresi che avremmo trascorso l’estate in un paesino di
montagna, vicino al luogo in cui zio Ferdinando e zia Raphaela vive
vano con i loro bambini.
Fu un’estate magnifica: Padre e zio Ferdinando mi permisero
spesso di accompagnarli nelle loro passeggiate. Com’erano belli, i
boschi ed i prati! Che meraviglia arrivare in cima ad una montagna ed
abbracciare con lo sguardo l’intero paesaggio... Laggiù in fondo, la
città, i villaggi con le loro case minuscole! Sì, qui, ero felice!
Ma di ritorno nell’ambiente familiare, quella gioia svaniva: Greta
era molto diversa da me, i suoi giochi erano molti diversi dai miei e
Madre si dedicava interamente al fratellino nuovo. Non cuciva più
insieme a me, non aveva più il tempo di rispondere alle mie sempiter
ne domande, ed il senso di solitudine si acuì talmente in me che, a
poco a poco, mi staccai da tutti e non partecipai più alle attività
familiari. Per mia Madre ero diventata semplicemente disobbediente.
Una sera, all’ora di andare a letto, Madre mi sgridò: ero rientrata
troppo tardi dal giardino e non volevo andare a dormire. Stetti zitta,
30 Elisabeth Haich
Aspiro all’unità
Un giorno mia madre ricevette l’invito di una cugina che, con i
suoi, aveva traslocato nella nostra città; ci vennero incontro sulla
scala esterna e i due ragazzi ci guardarono dall’alto in basso, mentre
noi li ispezionammo dalla testa ai piedi, senza una parola, fino al
momento in cui ci mandarono nella camera dei bambini.
Ci trovammo d’un tratto immerse in un universo maschile: un
treno che scivolava sulle sue rotaie, una tipografia in miniatura e una
lanterna magica. Ne fui molto impressionata, ma ciò che soprattutto
mi impressionò fu la quantità di libri che vidi: tutti libri di Giulio
Veme! Fu davvero un incontro importante e tornammo a casa a tarda
ora. Le due famiglie simpatizzarono, e ci incontrammo regolarmente
ogni settimana: quei pomeriggi si rivelavano gradevoli e divertenti,
perché i due ragazzi erano allegri e ben educati.
Come avevo letto una volta in un libro, ero alla ricerca “di un’uni
tà eterna nell’amicizia”, ma i miei compagni di scuola si facevano
beffe di me e dicevano di non interessarsi a cose tanto stupide. Feci
dunque la mia proposta di concludere un patto “di eterna amicizia” a
quei due bambini, e loro trovarono che fosse un’ottima idea. Ma il più
giovane, che era anche il più volitivo e sapeva imporsi, rispose:
«Bisogna prima che ognuno di noi mostri la propria firma.»
Dovemmo dunque scrivere tutti il nostro nome su un pezzo di
carta; Greta e i due bambini ce la misero tutta per scrivere molto
grosso, dotando le loro iniziali di stupefacenti decorazioni, e renden
do tutto il resto il più illeggibile possibile, completando l’opera con
una lunga coda ondulata; trovai tutto questo del tutto inutile, e scrissi
semplicemente il mio nome in modo leggibile.
Il più giovane dei due bambini guardò le firme e, considerando la
mia con uno sguardo di disprezzo, disse:
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 37
L’uomo rosso
All’età di nove anni vissi un’esperienza sconvolgente. Il mio fra
tellino, che amavo teneramente, aveva allora due anni, e si ammalò
senza che il medico riuscisse a diagnosticarne la causa. Condividevo
la sua stessa camera e Madre era al suo capezzale. Il bambino dormi
va ma, d’un tratto, fu colto dalla paura, guardò in una precisa direzio
ne come se vedesse qualcuno, si alzò a sedere sul letto e urlò, spaven
tato, con gli occhi spalancati per l’angoscia:
«Mamma, mamma, l’uomo rosso... l’uomo rosso mi assale!» e
agitò le mani come a difendersi da qualcuno; ancora una volta urlò:
«Mamma, aiutami, l’uomo rosso!» poi ricadde svenuto.
Madre lo prese subito in braccio, poi lo riadagiò pian piano nel
letto. Fece chiamare un medico, e mentre lo stavamo aspettando chiesi:
«Chi è quell’uomo rosso che ha visto il piccolo?»
Madre rispose: «Niente di reale, piccola mia. E la febbre che lo fa
V
ma mio fratello l’aveva visto, c’era qualcosa che gli aveva permesso
di vedere un uomo rosso: e perché non doveva essere reale? La fac
cenda di sapere che cosa avesse visto mio fratello non era affatto
chiusa per me, e ci pensavo spesso; allora, non sapevo che la risposta
sarebbe stata data un giorno, in India, molti, molti anni dopo.
Passò un anno, e traslocammo in un altro quartiere della città, un
quartiere pieno di verde, dove le case erano circondate da giardini;
dalle finestre, potevamo vedere le montagne.
Ripresi la scuola, e ricominciò la vecchia storia: le altre bambine
si stupivano di me quanto io di loro; giocavano con le bambole, e
trovavo che non fosse affatto divertente. Io invece leggevo libri, e
loro trovavano che fosse una cosa noiosa. Più crescevo, più leggevo
freneticamente: e non solo i libri che solitamente ricevono i bambini,
ma tutti i libri della biblioteca di mio padre. Fu lì che scoprii una serie
di volumi che mi fecero letteralmente venire la febbre: le opere com
plete di Shakespeare! Divorai un libro dopo l’altro, e mi fecero una
tale impressione che per tutto il giorno non riuscivo a pensare ad
altro, né potevo separarmi neppure per un istante dal libro che stavo
leggendo. Vivevo come una sonnambula; a tavola non sentivo neppu
re quando venivo interpellata. Vivevo il destino degli eroi e delle
eroine delle varie tragedie o commedie. In primo luogo cominciai con
leggere tutte le tragedie, sentendone gli effetti profondi nella mia
anima sconvolta; poi lessi le commedie, e risi a crepapelle sul divano.
A parte le opere di Shakespeare, un’altra imponente serie di libri
mi incuriosì e mi impressionò soprattutto il volume intitolato “Ricer
che etnografiche”. In esso, scoprii la descrizione dettagliata delle va
rie pratiche di superstizione e di magia nera. Ah! imparai cose che
fino allora mi erano state ignote, e che non potevo capire davvero... e
che riguardavano incantesimi, filtri d’amore e altre oscure usanze che
avevano a che fare con la vita amorosa. Dopo aver letto cose inimma
ginabili ed aver mischiato tutto nella mia testa, andai da Madre per
chiederle:
«Madre, è proprio vero che quando uno vuol farsi amare da un’al
tra, bisogna forare una carota dal di sopra, sputare tre volte attraverso
il buco e, a mezzanotte, lanciarla sopra la casa in cui dorme la perso
na amata? Oppure bisogna bruciare un pezzettino di una camicia da
notte già usata, introdurne le ceneri in un dolce prima di cuocerlo, e
quando uno mangia quel dolce, si innamora perdutamente della pro
prietaria della camicia da notte e poi fa tutto ciò che lei vuole?»
Madre, sempre più sconvolta, mi aveva comunque lasciata finire;
40 Elisabeth Haich
e tenibile, tra le forze di due anime! Più sentiva che gli stavo sfug
gendo, più tentava di riprendere le redini, e quando ebbi diciassette
anni, volle annunciare ufficialmente il nostro fidanzamento.
Suo padre venne quindi a trovare il mio, che non si mostrò troppo
entusiasta: mi confessò più tardi che la natura aggressiva del mio
fidanzato non gli era mai piaciuta, ma che, in nessun caso, avrebbe
voluto influenzarci.
Egli rispettava il diritto di scelta di tutti, dunque anche dei suoi
figli, e fu così che diede il consenso... un tiepido consenso! Quanto a
me, pensavo che la gelosia del mio fidanzato si sarebbe calmata dopo
il fidanzamento, ma invece crebbe contemporaneamente all’affermar
si della mia femminilità. Le scenate spaventose si moltiplicarono, e
dopo avermi torturata per ore, cadeva nell’estremo opposto, chieden
domi perdono in ginocchio, piangendo come un bambino, mendican
do il mio amore e giurando di non farlo mai più.
Tutto questo era intollerabile: non avevo mai assistito a scene
simili nella mia famiglia; Padre era autoritario, ma il suo potere ema
nava da lui in modo naturale, e non aveva mai cercato di imporre la
sua volontà a nessuno. Lasciava a tutti il diritto di essere quello che
erano e non pretese mai che lo seguissimo o che gli obbedissimo
ciecamente. A quel tempo aveva un’ottima posizione, e potevo esser
ne soddisfatta: non c’era più nessun direttore sopra di lui! Ma non
tiranneggiò mai i suoi dipendenti e, nella vita privata come nella vita
professionale, fu sempre una colonna pronta a sostenere gli altri.
Per tutti era una fonte di buoni consigli: era giusto, generoso,
servizievole... Oh, pensai, se tutti fossero come lui! Non avevo mai
conosciuto la mancanza di riguardo o l’egoismo in seno alla nostra
famiglia, perché l’amore che in essa regnava era sano, autentico,
disinteressato.
Il sadismo ed il masochismo mi erano ignoti, e questo rendeva
ancor più incomprensibili ed insopportabili le scenate del mio fidan
zato. Volevo essere libera, libera!
A lungo fui incapace di opporre resistenza alla sua autorità; inol
tre, la mia naturale fedeltà, la mia facoltà di capire le debolezze altrui,
mi trattenevano al suo fianco; ma la mia volontà era andata consoli
dandosi con gli anni, e d’un tratto mi chiesi perché tollerassi ancora
quella situazione.
Un giorno gli annunciai che intendevo riprendermi la mia libertà;
lui non volle saperne e, con la forza della disperazione, ci demmo
battaglia: il suo^potere su di me era come una morsa, e mi teneva
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 49
per bene, mentre io volevo sforzarmi, con ogni goccia del mio san
gue, di realizzare completamente il mio essere nella musica e nell’ar
te! Potevo quindi contare solo su me stessa, e mi ero abituata a
pensare, a riflettere e ad agire con tutta l’indipendenza che la cerchia
familiare mi consentiva. Cercavo di immaginare il mio futuro da sola,
senza chiedere consiglio a nessuno: volevo frequentare l’Accademia
di Musica fino a conseguire un diploma. Padre aveva sempre detto:
«Non lasciatevi ingannare dalla vita agiata che potete permettervi
oggi, perché i beni materiali possono venire distrutti, mentre ciò che
voi saprete resterà sempre vostro, e nessuno potrà mai sottrarvelo.
Imparate il più possibile: dovreste avere almeno un diploma; se vi
andrà per il verso giusto, potrete anche tenerlo in un cassetto, ma se
vi troverete in difficoltà, vi aiuterà a guadagnarvi il pane!»
Ah! Padre, caro Padre, saggio e colmo d’amore! Questo consiglio,
fra tutti i tesori che mi hai trasmesso, è stato il più importante.
Allora non potevamo immaginare che un giorno le cose potessero
mettersi male per noi, e, sul momento, consideravamo le tue parole
dal punto di vista puramente pedagogico; quante volte ci ho invece
pensato più tardi, quando la guerra aveva distrutto tutti i nostri averi,
ed io ero sola, con un marito gravemente ferito ed inabile al lavoro,
senza mezzi! L’unica cosa che ci salvò fu proprio ciò che io avevo in
me, ciò che sapevo ; perché tutti i nostri beni esteriori erano andati
perduti.
Quando, da ragazza, pensavo al mio futuro, lassù sui monti, non
sapevo ancora ciò che il destino mi avrebbe riservato, ma avevo
sentito che quel consiglio andava seguito.
Sicché, quando tomai a casa durante l’estate per cominciare un
nuovo capitolo della mia vita, concentrai tutta la mia energia per
conseguire il diploma di insegnante di pianoforte. E lasciai tutto il
resto fra le mani del destino.
CAPITOLO XI
qui, con gli occhi sbarrati, gemi da far pietà, come se stessi per
morire! Non stai bene? Devo chiamare la mamma?»
Volevo risponderle, ma dalla mia bocca non uscì alcun suono. Il
terrore che avevo appena provato mi paralizzava ancora. Feci cenno a
mia sorella di star tranquilla, ricaddi sul cuscino e cercai di riflettere,
ma non mi riuscì neppure di pensare: rimasi così per un bel po’,
ancora terrorizzata, aspettando che il mio cuore si calmasse ed io con
lui; cercavo di riprender il controllo della situazione, di sapere chi e
dove fossi. Mia sorella mi tenne compagnia, poi, constatando che ora
ero più tranquilla e che respiravo più regolarmente, mi chiese:
«Hai bisogno di qualcosa?»
E finalmente riuscii a rispondere:
«No, grazie.»
Il giorno seguente cercai di far ordine fra le mie idee: che cosa
avevo visto? Che era accaduto durante la notte? Sembrava una delle
mie visioni del futuro, ma non poteva essere stato un sogno premoni
tore: nella visione del futuro, io sono sempre quella che sono allo
stato di veglia, mentre questa volta ero stata qualcuno di compieta-
mente diversoi Mi guardai a lungo nello specchio, cercando di capire
come un unico essere potesse essere contemporaneamente due perso
ne; perché ora mi vedevo nello specchio, ma, avevo anche un’altra
immagine di- me, dentro, un ’immagine che avevo visto in un altro
specchio, un enorme specchio d ’argento quando ero quell’altra per
sonal
Ero dunque colei che ero qui, ma, nel contempo, ero anche quel-
l’altro essere che era stato condotto nella tomba, laggiù, laggiù dove
mi sentivo a casa. Nel giro di pochi minuti, avevo vissuto l’esperien
za di essere qualcuno che sapeva con molta precisione chi fosse, di
cosa facesse parte, dove si sentisse a casa, e che portava in sé tutta la
propria vita come ogni altro essere, anche se non ci aveva mai pensa
to. D’un tratto mi era stato dato di rivivere episodi di una vita, di un
nucleo famigliare, e mi rendevo conto, ora, che quella famiglia era
proprio quella che avevo sempre cercato da bambina, quando la mia
coscienza aveva cominciato a svegliarsi: il posto in cui mi sentivo a
casa, e che il “grand’uomo” era mio padre e anche il mio sposo di
allora, il mio vero “padre”.
Gli anni e l’accettazione progressiva della mia situazione presente
mi avevano aiutata ad assuefarmi all’idea che mio padre e mia madre
fossero anch’essi i miei “veri” genitori, ma mi era rimasta sempre una
strana impressione, ed ora prendeva il sopravvento: era sorprendente
60 Elisabeth Haich
che certe cose che mi erano parse ovvie quando le avevo “rivissute”
mi sembrassero ora strane. In me si opponevano proprio questi due
atteggiamenti, sicché, ad esempio, sapevo quanto fosse perfettamente
normale essere contemporaneamente la figlia e la sposa di mio padre
- il Faraone - anzi, era un onore: ma, nella mia vita presente, era
un’idea ripugnante a causa dei principi morali del tutto diversi che mi
erano stati inculcati. A quel tempo, invece, non era immorale, era
normale: quando la moglie di un Faraone moriva, se questi non aveva
sorelle, sua figlia veniva elevata al rango di sposa. Non avrebbe mai
posto sopra alla propria figlia un’altra donna che non appartenesse
alla famiglia reale, dunque, chi altri, se non lei, avrebbe potuto sedere
al suo fianco, sposa e regina? E che c’era in questo di immorale?
Sarebbe stato immorale, invece, introdurre un’estranea in famiglia.
Mi ricordavo di molte cose, in particolare del Tempio in cui così
spesso mi ero recata, ma rimanevano oscuri molti altri punti: non
sapevo perché mi fossi trovata in quella bara, stretta dalle bende, né
perché mi avessero portata alla tomba. E di chi era quella voce fami
liare? Di chi? Sembrava che una barriera si ergesse lungo il percorso
della memoria ogni volta che mi sforzavo di ricordare: c’era qualcosa
di simile ad una scossa elettrica che mi tratteneva, impedendomi di
farmi strada fino a raggiungere il mio passato!
Il giorno seguente, a colazione, dissi a Padre:
«A scuola ho imparato che le piramidi erano tombe dei re, ma non
è vero! Non tutte: a volte erano qualcosa di molto diverso. I morti
venivano sepolti fuori le mura, nella Città dei Morti, e le salme veni
vano portate fuori dal palazzo reale su una sorta di bara-slitta, fino ad
un luogo in cui venivano murate. La tomba veniva poi richiusa con
una porta di pietra.»
Stupito, Padre mi guardò e disse:
«Come puoi pretendere di saperne più degli egittologi su queste
cose, quando loro sostengono che le piramidi sono le tombe dei re?
Non abbiamo mai sentito parlare della Città dei Morti!»
«Eppure, Padre, so che era così» risposi cosciente della veridicità
delle mie affermazioni.
«E come l’hai scoperto?» mi chiese. Tutti gli sguardi si puntarono
su di me.
«Mi è difficile dirlo con esattezza, non so spiegarlo» risposi, e
raccontai la mia visione di quella notte.
Padre mi ascoltò con molta attenzione e constatò che tremavo
ancora a quel ricordo, e che quindi avevo dovuto vivere proprio qual
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 61
Tenebre
Assomigliavo molto a mio padre per corporatura e costituzione:
ero alta, con i capelli molto scuri, sebbene non neri come i suoi; la
mia carnagione non era rosea come quella di Madre, ma pallida come
quella di Padre: soltanto i miei occhi erano di un colore azzurro cupo,
mentre i suoi erano davvero neri.
Dopo il matrimonio, diventai ancora più pallida e più magra; non
riuscivo a liberarmi dall’idea della transitorietà e della precarietà di
ogni cosa, e non mi sentivo né libera né felice. Questa preoccupazio
ne psichica costante non tardò ad avere ripercussioni fisiche molto
sgradevoli.
Una sera andai a dormire in buona salute e l’indomani aprii gli
occhi guardando per caso il soffitto: con mia grande sorpresa vi sco
prii uno spesso segmento nero. Stupita, mi sedetti per vedere con
precisione che cosa poteva essere quella macchia nera che, nel mo
mento stesso in cui mi ero mossa, mi era parsa saltare e poi ridiscen
dere lentamente.
Con il cuore in preda all’angoscia mi resi conto che il segmento
non si trovava sul soffitto, ma nel mio occhio. Aprii e chiusi gli occhi
più volte, prima uno e poi l’altro, e constatai che il segmento nero era
solo nell’occhio destro.
Una volta avevo sentito parlare di un disturbo visivo chiamato
“mosche volanti”: davanti agli occhi si vedevano danzare dei puntoli
ni neri simili ad un disordinato sciame di mosche e, per quel che ne
sapevo, era un disturbo di origine nervosa, e non era una faccenda
seria.
Cercai dunque di vedere queste “mosche volanti”: guardando in
alto e in basso, il segmento si muoveva seguendo le leggi gravitazio
nali, come se si trattasse di uno spesso filo nero con un'estremità fissa
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 67
no? Il presente non è poi tanto male per te: goditi la vita e aumenterai
le probabilità di guarire. La tua depressione non fa che accelerare il
processo di deterioramento della vista. Goditi il presente, e pensa che
quando cesserà la tua cecità spirituale, i tuoi occhi fisici ritroveran
no la vista.»
Come aveva ragione, quella voce benedetta! Nei momenti di mag
gior sconforto mi rendevo conto che le macchie nere riflettevano la
mia oscurità interiore, la mia cecità spirituale; ma come fare, per
guarire? Era precisamente ciò che mi tormentava l’animo: non capivo
- ero cieca - il mistero della vita e della morte, ero immersa nell’oscu
rità, giacché ovunque vedevo la morte e non potevo cogliere il senso
della vita. Il mio massimo desiderio era diventare “veggente”, ma come?
La voce rispose:
«Cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.»
Ancora non riuscivo a cogliere il senso di quelle parole, ma volli
obbedire, sicché mi misi a respirare con calma e profondamente, con
centrandomi soltanto sul presente ! Com’era difficile! Le macchie
nere mi danzavano davanti agli occhi, ricordandomi la mia afflizione,
ma perseverai ancora e ancora, fintantoché accadde che mi sentii
nuovamente piena di gioia. Sì, dovevo essere allegra, perché mi face
va bene agli occhi. Bisognava che aiutassi me stessa, e mi misi a
pensare: quale occupazione potrebbe darmi una gioia costante? Mio
marito, ingegnere, era molto occupato dal suo lavoro, la costruzione
di ponti, e ci vedevamo soltanto per i pasti, sicché rimanevo da sola
per tutto il giorno. Un pensiero folgorante mi attraversò la mente: un
bambino! Desideravo così ardentemente un bambino, e da così tanto
tempo! Che magnifica gioia! E così non sarei mai più stata sola!
Dischiusi l’anima a quell’essere sconosciuto che, in qualche po
sto, aspettava di diventare il mio bambino. E lo sconosciuto udì il mio
richiamo...
Durante la gravidanza, l’essudato non si produsse più e, quando
giunse il momento di partorire, avevo completamente dimenticato di
aver sofferto di disturbi alla vista.
Come in sogno, mi rivedo in sala travaglio, in clinica, ancora sotto
l’effetto dell’anestesia, spossata: ma un suono fa trasalire il mio cuo
re, e mi sveglia del tutto: un grido che però non sembra il grido di un
neonato, no, è piuttosto il ruggito di un leoncino! «Il bambino è vivo»
dico a me stessa, piena di riconoscenza, e apro gli occhi.
Su di me, un volto:
«È un bel maschietto, uno splendido maschietto in ottima salute!» e
74 Elisabeth Haich
a cui non avevo mai voluto credere e che avevo sempre considerato
come un’invenzione delle religioni necessaria per forzare i popoli
primitivi a vivere secondo un codice morale ben definito, grazie alla
promessa di un “paradiso” e alla minaccia di un “inferno”? Era dun
que possibile che soltanto questo mio corpo vivesse in questo mondo
materiale, mentre il mio “Io”, il quale conosceva quell’unità impossi
bile da realizzare nel corpo e che desiderava ristabilirla , sarebbe dun
que appartenuto ad un altro mondo, ad un mondo dell’“aldilà”? Era
dunque possibile che tutti gli esseri umani provenissero da un’altra
sfera, quella dell’unità realizzata, e da lì fossero “cadutF , usciti da
quel mondo per entrare nella materia, nel corpo, nel mondo materia
le... portando poi quel nostro ardente desiderio di felicità perduta nel
nostro “Io”, nella nostra anima che non era di qui, e che tuffava le sue
radici in un “altro mondo”?
E commettevamo un errore che ripetevamo continuamente: voler
raggiungere e vivere quella felicità, quell’unione nel corpo e per mez
zo del corpo attraverso la sessualità. In quel corpo che, giustappunto,
ce lo impediva. Ora, comprendevo ciò che significasse “la cacciata
dal paradiso”!
Quella gioia tanto auspicata era dunque solo possibile nell’aldilà,
in paradiso! E giacché non potevo attirare a me quella felicità, forzar
la ad entrare nel mondo materiale, bisognava che imparassi a cono
scere quell’aldilà in cui risiedeva la mia vera gioia! Ma come riuscir
ci? Le parole senza senso non mi bastavano: volevo la veritàì Volevo
qualcosa di concreto.
Quella notte segnò una svolta decisiva nella mia vita; divenni
conscia del fatto che la sessualità era la più grande impostura che
fosse mai esistita: la natura ci promette qualcosa di magnifico, di
straordinario, ci promette la gioia, il supremo compimento, ma poi ci
priva della facoltà di realizzarlo; e nel momento in cui crediamo di
raggiungere il culmine, ci ritroviamo d’un tratto ancora più giù di
prima. Perdiamo molta energia e ci sentiamo poi come poveri mendi
canti; un proverbio latino dice che uomini ed animali sono tristi dopo
l’unione fisica...
Volevo una gioia costante, eterna e non quella offerta dalla ses
sualità; quella no! All’alba, che resta del piacere sessuale più grande?
Nulla, al massimo un po’ di stanchezza! E si deve quindi continuare
sempre così? Sempre invano, giacché è soltanto uno sforzo disperato
per raggiungere l’unità! L’essere umano non può mai realizzare il suo
desiderio, né fondersi in un’unità eterna... Prima dell’atto, se non
78 Elisabeth Haich
altro c’è la forza di attrazione, c’è il desiderio che unisce i due ricer
catori... Ma una volta soddisfatto il desiderio, resta solo più il vuoto,
entrambi rimangono soli di per sé, disperatamente soli, eternamente
soli...
Non era questo che volevo.
Volevo qualcos’altro. E se la sessualità mi aveva ingannata fino a
quel momento, da allora in poi mi sarei rifiutata di prolungarne il
gioco: non mi sarei più lasciata prendere in giro! La sessualità poteva
soddisfare il corpo, ma mai l’anima, l’“Io”! Il piacere sessuale non
avrebbe mai potuto aiutarmi a trovare l’unità che avevo vissuta nel-
l’“Io”!
E allora? Volevo, dovevo trovare la felicità! Dovevo trovare una
soluzione a questi problemi così importanti: non potevo fermarmi,
dovevo andare avanti, ma in quale direzione?
Se dunque la gioia si trovava nell’aldilà, sarei andata a cercarla lì:
fu così che mi misi in cerca della felicità e della perfezione laddove
avevo il presentimento di trovarle, nell’aldilà...
CAPITOLO XVI
colpo, allora vuol dire “sì”; quando ne batte due, allora vuol dire
“no”. Wolfgang, prendi un foglio di carta ed una matita e scrivi le
lettere: c’è uno spirito, qui!»
Wolfgang, con la matita in mano, rimase in attesa. La tavola ripre
se a muoversi, diede un colpo, poi un altro, poi un terzo. Recitavamo
l’alfabeto e Wolfgang scriveva la lettera su cui si fermava la tavola.
Non so spiegare perché tutto questo ci sembrasse tanto comico.
Era buffo recitare l’alfabeto e, naturalmente, vedere con quanto serie
tà la signora dirigesse il nostro lavoro; non credetti neppure per un
attimo che quel tavolo si muovesse da solo: era certamente opera di
Nicolas, l’altro nipotino della signora. Quei colpi ripetuti ci divertiro
no moltissimo, ma non fu niente in confronto a quanto seguì, che ci
fece proprio scoppiare a ridere. Quanto alla signora, scosse il capo
con uno sguardo carico di rimprovero.
Ma non c’era nulla da fare, non potevamo smettere di ridere: la
tavola si inclinò più volte bruscamente, così tanto da toccare quasi
terra con l’orlo del piano, e credetti davvero che sarebbe scivolata a
terra... e invece no, si rialzò ogni volta con una forza irresistibile e poi
si mise a girare intorno alla camera. Per seguirla, ci toccò correre.
Infine si calmò e si fermò in un angolino del salotto. La signora
chiese:
«Non c’è più nessuno?»
La tavola non si mosse più.
«Era uno spirito burlone, dal momento che vi siete tanto divertiti.
Adesso tutti gli spiriti se ne sono andati — riprese. — Un istante,
ragazzi, vado a farvi fare del caffè» e scomparve in cucina.
Rimanemmo dunque soli per un attimo, e io ne approfittai per
chiedere a Nicolas:
«Sei tu che hai fatto muovere il tavolo, vero?»
Sorpreso, egli rispose:
«Io? Credevo che fossi tu o Emmerich, comunque io non ero di
certo. Le mie dita sfioravano appena il tavolo.»
Ci volgemmo tutti verso Emmerich, che protestò vigorosamente:
«Ah! no, io non l’ho fatto muovere, il tavolo.»
«State a sentire — dissi — adesso vedremo se la tavola può dav
vero muoversi da sola.»
Ci precipitammo intorno al tavolo per cercare di farlo muovere
spingendolo con le mani: con nostro grande stupore, non si mosse! Il
tavolo rimase immobile, senza vita, come era giusto che fosse quel
pezzo di legno. Insistemmo e spingemmo ancora più forte, sicché il
84 Elisabeth Haich
vo. La corrente che emetteva era più debole, più sottile e di diametro
inferiore a quella di mio marito; ripetei l’esperimento con degli zii,
delle zie e altri parenti riuniti intorno al desco familiare, e fu così che
imparai che ogni persona emette una diversa corrente. Uno zio, che
aveva scarso potere di concentrazione e di decisione, aveva una cor
rente spessa e forte, ma le particelle di questa corrente non andavano
nella stessa direzione, i loro movimenti erano disordinati e, di conse
guenza, lo era anche il loro effetto. Era molto difficile per me scoprire
cosa volesse. Una zia aveva una corrente molto sottile ma perforante,
acuta, che percepivo come del fil di ferro duro e rigido, che mi feriva:
in generale, era una donna molto aggressiva. Dunque, ognuno aveva
la propria emanazione di volontà.
Mi si schiudeva un mondo nuovo! Cominciai a capire certi feno
meni che non avevo mai intuito, di c(ui non mi ero mai accorta, che
non avevo neppure notato; ora sapevp perché ci si sentiva tanto stan
chi dopo un diverbio, quanto dopo aver disputato un incontro di pugi
lato. Comprendevo perché potesse essere così spossante restare in
compagnia di certe persone e come, invece, potesse essere stimolante
e rinfrescante la compagnia di altre. Colsi in modo quasi palpabile
che cosa fossero la simpatia e l’antipatia: ci sono emanazioni che
danno, altre che assorbono, certe emettono forza, altre sono appicci
cose come tentacoli di un polipo e succhiano l’energia di un indivi
duo. Gli esperimenti fatti con persone di questo tipo mi lasciavano
debole, con le ginocchia tremolanti, del tutto spossata, sicché dovevo
poi riposarmi per ritrovare le forze prima di poter proseguire; infatti
avvenne che tutti vollero fare quell’esperimento, anche la domestica,
la cuoca e il resto del personale della casa dei miei genitori. Presi
anche coscienza di un fatto che non può essere mutato da alcun decre
to umano: le persone colte e disciplinate avevano emanazioni molto
diverse da quelle delle persone ignoranti e primitive che vivevano
solo per soddisfare i loro istinti. Evidentemente, questo non dipende
va dalla loro classe sociale o economica, tant’è che percepii in perso
ne semplici, che vivevano nel bosco, in montagna o in luoghi non
raggiunti dalla civiltà, emanazioni molto più pure ed elevate di quelle
di certi eruditi assolutamente egoisti. Non si possono nascondere,
rinnegare né falsificare queste emanazioni, che rivelano immediata
mente la natura di colui che abbiamo di fronte. Durante questi esperi
menti, imparai ancora qualcos’altro di interessante: quando qualcuno
voleva qualcosa di riprovevole da me, la mia educazione si ergeva fra
la volontà dell’altro e la mia, come un muro isolante, ed era solo al
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 89
Auspici
A poco a poco mi arresi all’evidenza: lo spiritismo non aveva più
nulla da offrirmi. Gli esperimenti che avevo spigolato qua e là mi
avevano però aperto le porte dell’anima umana, e fu con grande co
sternazione che osservai quanto l’uomo fosse solo nella grande oscu
rità della sua ignoranza.
La mia medianità mi permetteva di penetrare nel campo straordi
nario dell’inconscio: mi analizzavo senza alcuna pietà e rifiutavo di
lasciarmi accecare da teorie tanto fumose quanto incerte. Con la mia
piccola ascia in mano progredivo in quella giungla passo dopo passo:
lo spiritismo mi condusse infine allo studio della psicologia, e sicco
me in quei tempi non avevo idea alcuna dell’immensa conoscenza
psicologia degli Orientali (Indiani e Cinesi) mi dedicai alla psicologia
occidentale.
Quando lottiamo seriamente per ottenere qualcosa e ci dedichia
mo a questa lotta anima e corpo, il destino si compiace di favorirci;
sicché, dopo aver acquisito una solida formazione teorica, riuscii ad
entrare in buoni rapporti con il direttore dell’ospedale psichiatrico di
Stato, il quale mi aiutò a perfezionare le mie conoscenze consenten
domi di esercitarmi sistematicamente nella pratica. Ottenni l’autoriz
zazione di studiare i malati di quel manicomio in qualsiasi reparto si
trovassero, compreso quello dei pazzi furiosi di entrambi i sessi.
Una sera rincasai e rimasi a lungo da sola per riordinare le idee,
giacché avevo visto qualcosa di spaventoso in quel manicomio. Orri
bile! L’inferno dantesco non era nulla al confronto di ciò che accade
va là dentro: quanti ammalati, rinchiusi o no, su questa Terra, soffro
no a quel modo? Quante persone sane soffrono a causa di questi
malati, perdendo la loro salute e ritrovandosi annientate? Quanti am
malati ingannano gli ingenui ignoranti con un comportamento norma
94 Elisabeth Haich
Bagliori
Trascorsero i giorni, le settimane, i mesi... e io aspettavo un se
gno, un’indicazione per sapere che cosa dovessi fare, quale sarebbe
stato il mio compito e il mio sacrificio, secondo quanto annunciato
dalla voce invisibile; ma la voce non si faceva più sentire...
Spesso cercavo di creare l’atmosfera adatta per sentire ancora quel
pizzicore sul corpo, come un’immersione in un’acqua gassata, cer
cando di sbloccare i sensi ed aprirmi interamente a ricevere quella
voce... ma non ci riuscivo.
Ero perplessa. Stavo aspettando invano, e mi rifiutai di perdere
altro tempo, sicché decisi che la miglior cosa da fare sarebbe stata di
badare alle mie faccende terrene il meglio possibile, sperando di rice
vere presto, dalla voce interiore, istruzioni circa il mio compito per
collaborare alla grande opera. Sentii anche che avrei dovuto purificar
mi da ogni egoismo se volevo riconoscere la verità con precisione,
proprio come il vetro della finestra doveva essere pulito per lasciar
passare la luce del sole in tutto il suo splendore. Il primo passo fu
dunque di sapere che cosa ci fosse in me: conoscendomi perfettamen
te, mi sarebbe stato allora possibile purificarmi.
Mi misi dunque a sondare, ad analizzare la fonte e la causa di tutti
i miei pensieri, parole e azioni. Qual era la forza inconscia che lavora
va dentro di me? Da dove provenivano i miei pensieri? Chi era che,
in me, voleva che pronunciassi questa o quest’altra parola? Perché
volevo fare questo e non quest’altro? Se qualcosa mi faceva piacere,
esaminavo perché provassi gioia, se mi sentivo depressa o in collera,
volevo conoscerne la ragione; se qualcuno mi sembrava simpatico o
antipatico, mi analizzavo immediatamente per conoscere quali fosse
ro le caratteristiche responsabili del mio giudizio... Mi osservavo co
stantemente, per sapere perché facessi volentieri una certa cosa men
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 97
Visioni
Vi fu un periodo in cui ricevetti una quantità davvero straordinaria
di visioni in stato di veglia, alcune delle quali così incredibili da
esercitare una fortissima influenza su di me e sul resto della mia vita.
Ecco le più importanti.
Alla fine di ogni estate mio marito ed io facevamo un viaggio in
vari paesi; un anno, ci fermammo nelle Dolomiti al ritorno dall’Italia
per fare qualche passeggiata. Fu lì, che ebbi una delle visioni più
impressionanti.
Una sera, rientrando in albergo dopo una camminata faticosa, mi
sdraiai. Durante il giorno il sole era stato talmente forte che mi sem
brava che i suoi raggi, come lance, mi trapassassero la schiena ed il
cuore; le immani pareti rocciose rossastre li riflettevano moltiplican
doli per mille, e l’atmosfera aveva qualcosa di demoniaco; tutto era
infuocato, sembrava quasi l’anticamera dell’infemo. Ero stata molto
contenta di prendere la via del ritorno e di vedere quel sole, un vero
lanciafiamme, scomparire all’orizzonte.
Andai a letto di buon’ora, pronta ad addormentarmi, ma fu allora
che ebbi la sensazione che il soffitto stesse cadendo su di me e che io
stessi cadendo in un vuoto senza fondo, nel nulla, come se stessi per
morire. Mio marito chiamò d’urgenza il medico, il quale constatò che
avevo avuto un attacco cardiaco. Mi fece un’iniezione. La notte tra
scorse, ma il mio polso era ancora debole ed ero torturata da una
sensazione di annientamento. Stavo imparando che cosa fosse la pau
ra di morire. Come sempre, e malgrado le circostanze, mi osservavo e
dovetti riconoscere che la paura della morte era una condizione fisica;
nella mia coscienza ero calma, non avevo alcun timore della morte, e
tuttavia provavo davanti ad essa una spaventosa angoscia: era insop
portabile! Non ero più completamente in questo mondo, e non ancora
102 Elisabeth Haich
nell’altro; fluttuavo nel nulla. La sofferenza era così intensa che pen
savo: meglio morire subito che continuare ancora questa tortura. Ab
bandonavo la lotta, perché desideravo entrare coscientemente nella
morte al fine di liberarmi da quella paura di morire...
Ma proprio quando mi preparavo a scivolare consciamente in quel
nulla - di cui avevo tanta paura - lo spazio si aprì d’un tratto sull’infi
nito che i miei occhi contemplarono sbalorditi: vidi un sentiero, un
sentiero lunghissimo in fondo al quale, al di là di tutto ciò che è
materiale, già neH’etemità, c’era una figura maschile di una luce ab
bagliante che tendeva le braccia in un gesto d’amore ineffabile. Sem
brava infinitamente lontano da me, il suo volto brillava ed irradiava
con tale intensità che non potevo discemere i tratti, ma sapevo che era
il Salvatore del mondo.
Lungo la strada avanzavano lentamente creature simili a uova, che
mi facevano pensare ad un gregge di pecore visto dall’alto. Ero lì in
piedi, all’inizio di quel sentiero, ed indicavo a quegli esseri quale
direzione prendere: essi si dirigevano quietamente verso la figura di
luce che li attendeva a braccia aperte. Coloro che Lo raggiungevano si
fondevano nella sua luce e scomparivano. Quella strada così lunga
era come un fiume incessante di creature ovali, che sapevo essere
anime umane. Instancabilmente mostravo il cammino a tutti coloro
che passavano, mettendo tutte quelle anime sulla buona strada...
Questo mi fece capire che non stavo per morire, giacché quel
lavoro era ancora da sbrigare, e che non sarei morta prima di averlo
compiuto. Sapevo che quella missione sarebbe stata di lunga durata, e
che sarebbe passato molto tempo prima che il mio orologio cosmico
suonasse l’ora della partenza verso la mia patria di luce, dove l’amore
eterno mi attendeva...
Una pace infinita mi avvolse, ed il mio cuore riprese a funzionare
normalmente, sebbene ancora debolmente. Guardai il volto preoccu
pato di mio marito: dal momento che potevo di nuovo muovere la
lingua, gli dissi piano che andavo meglio. Quel caro ragazzo pianse
come un bambino, felice di sentirmi parlare e di rivedere la luce nei
miei occhi.
Dovetti rimanere a letto ancora un giorno, dopodiché potemmo
ritornare a casa. Poco tempo dopo tutto era di nuovo nella normalità.
D’estate, in riva al lago, ero sempre più ricettiva rispetto alle
visioni, sempre più sensibile ai messaggi telepatici emessi o ricevuti.
Un giorno di vacanza, dopo una giornata allegra, andammo a
dormire. La casa era immersa nella calma, e mi addormentai vicino a
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 103
mio marito. Cominciai a sognare ogni sorta di cose, senza alcun ordi
ne e apparentemente senza rapporto tra loro, quando, nel mio sogno,
udii passi lenti e strascicati che mi risvegliarono di colpo... sì, eviden
temente mi ero assopita seduta su un gradino, e dal momento che
nessuno era passato da quelle parti, non avevo potuto chiedere la
carità. Ma il rumore di passi mi aveva risvegliata, qualcuno si avvici
nava, ero all’erta, con gli occhi spalancati.
Constato dunque che questi passi appartengono ad un vecchio
curvo che finisce col sedersi proprio in faccia a me; la scalinata
collega la città alta ai quartieri più bassi. Dal momento che molti
funzionari della città e dello Stato lavorano lassù, ogni giorno quel
passaggio viene attraversato da migliaia di persone, ed è un posto
molto piacevole per me; una tettoia mi protegge dalla pioggia e le
entrate sono buone. Ho “i miei clienti regolari” che mi fanno l’elemo
sina ogni giorno, andando al lavoro. Chi è dunque quel vecchio im
pertinente che viene a mendicare proprio in questo posto? Ne avrò un
danno, perché la gente non fa l’elemosina a due mendicanti. Prenderò
la metà del solito. Lo squadro, sto per dirgli di andarsene a mendicare
altrove, perché qui è il mio posto, e che deve andarsene subito quan
do, nel guardarlo, provo un senso di incertezza... Lo fisso e mi sento a
disagio... vedo che anche lui è imbarazzato, che abbozza un movi
mento, come a voler fuggire, ma ormai è troppo tardi: lo riconosco,
lui mi riconosce. Oh! Misericordia, non abbandonarmi! Lui è colui
che ho cercato per tutta la vita, che mi ha abbandonata e che non ho
mai potuto dimenticare... Ed ora eccolo di fronte a me, anch’egli
mendicante... Perché, perché dobbiamo ritrovarci in questa situazio
ne?
Lo guardo, lui e quel suo volto vecchio e rugoso, con la pelle
flaccida, le labbra cadenti, i radi capelli e la barba incolta, gli abiti
composti da vecchi stracci spaiati e laceri. Che cosa è accaduto al
giovane cavaliere elegante che era stato un tempo? Anche lui mi
guarda con spavento, cosciente del suo errore, pieno di vergogna. Il
suo volto si torce in una smorfia e comincia a piangere silenziosa
mente. Quando solleva le mani per asciugarsi gli occhi, vedo che
sono callose, ricoperte di ferite, con le unghie lunghe e sporche e dita
ripugnanti, irrigidite dalla gotta. Oh, quelle sue mani un tempo così
belle, così eleganti ed accurate, che avevo baciato con tanto fervore...
Guardo le mie mani... Che orrore!... Sono trascurate ed invecchia
te quanto le sue, mi vedo le dita deformate dalla gotta, piene di ferite
anch’esse... da quanto tempo sono così orride, queste mie mani? Non
104 Elisabeth Haich
Era scomparso dalla mia vita. Mi era rimasta la bambina, e per me era
tutto: riempiva tutti i miei pensieri, era la mia stessa vita!
Fregavo le piastrelle del corridoio e pensavo alla mia bambina,
prendevo l’acqua al pozzo e pensavo alla mia bambina... lavoravo in
fretta per tornare presto da lei; era una ragazzina bella ed intelligente,
come suo padre, ma faceva sempre il contrario di ciò che le dicevo e
non sopportava alcuna contraddizione. Più diventavo la sua schiava, e
meno era gentile con me. Fin da piccola, mi mancava di rispetto e mi
disprezzava, e nulla di ciò che dicevo o facevo le andava mai a genio:
le piaceva andare in giro dappertutto e, a volte, si allontanava così
tanto che ritornava soltanto il giorno dopo. Questo mi faceva dispera
re e dovevo andarla a cercare, ma non appena ritornava la mia vita
riprendeva senso.
Un giorno partì e non tornò più, mai più: la cercai ovunque,
l’aspettai, la cercai ancora: niente, era scomparsa. Non riuscii più a
lavorare, annientata dal dolore: il sole non esisteva più, il mondo era
svuotato. Non ce la facevo più, sicché lasciai la fattoria per continua
re a cercarla, e mi spostai da un posto all’altro sempre chiedendo a
tutte le persone che incontravo se l’avessero vista. Gli anni passava
no, ed io cercavo ancora, ma senza più speranza, unicamente sospinta
dall’agitazione interiore. La gente mi dava da mangiare e, quando i
miei abiti erano laceri, mi regalavano altri stracci. Vagabondavo, er
ravo sempre più lontano...
Attraversando una città, un giorno incontrai la cuoca che, nel
frattempo, si era sposata e si era trasferita lì con il marito; mi portò a
casa, mi rimise in sesto, e mi raccontò che il padre della bambina...»
A questo punto, mio marito mi prese la mano, mi interruppe. Era
pallido, e con la voce tremolante mi disse:
«Aspetta un attimo! La continuo io, questa storia! So com’è anda
ta a finire, mi ricordo ciò che accadde ! Mentre raccontavi, d’un tratto
si è fatta luce nella mia mente e mi sono riconosciuto: so di essere
stato l’uomo che ti abbandonò a quel tempo, so di aver agito in modo
frivolo ed irresponsabile allora, perché vivevo solo per divertirmi;
sprecavo i soldi, e un giorno persi tutto ciò che possedevo: la proprie
tà della mia famiglia venne venduta all’asta e dovetti abbandonare le
mie terre ed il mio castello. Dapprima andai a casa di certi miei amici
dissipati che mi aiutarono a dilapidare ciò che avevo ereditato, e
qualche settimana dopo mi fecero capire che ormai ero di troppo.
Quell’esperienza si ripetè finché un amico vero mi consigliò di cer
carmi un lavoro, cosa che feci perché volevo cominciare una vita
108 Elisabeth Haich
nuova: ma nessuno mi prese sul serio, anche perché non sapevo lavo
rare e non sapevo nemmeno che cosa volessi fare. Cadevo sempre più
in basso, finché si fece strada in me un’idea: la mia disgrazia era la
punizione inflittami da Dio per averti abbandonata con la bambina.
Mi recai quindi dai miei amici di un tempo presso i quali lavoravi per
sapere ciò che era accaduto di voi, ma non ti trovai e nessuno seppe
darmi informazioni... Continuai per la mia strada, incontrando sempre
meno amici disposti a prestarmi un po’ di soldi, finché arrivarono a
rifiutarmi anche l’ospitalità. Cominciai quindi a chiedere aiuto a per
fetti estranei, diventando un vagabondo. A volte qualcuno aveva pietà
di me e mi lasciava passare la notte nella scuderia o nel fienile. L’età,
la fame, la decrepitezza, mi condussero in quella città in cui, mendi
canti, dovevamo incontrarci ancora una volta.»
Lo ascoltavo con grande interesse, perché sapevo che diceva il
vero; avevo riconosciuto subito mio marito in quel mendicante. Era
proprio quanto mi aveva raccontato la cuoca: aveva dilapidato tutti i
suoi beni ed era ritornato una volta dai nostri padroni, molti anni
dopo, ma non era più l’uomo elegante di un tempo; anzi, lo aveva
trovato molto trascurato nel vestire, e indossava abiti consunti. Dopo
aver lasciato la cuoca, mi ero recata in quella proprietà per chiedere il
suo indirizzo, ma nessuno sapeva dove potesse essere. Avevo quindi
continuato a vagabondare, ma l’età si era fatta sentire, ed avevo deci
so di fermarmi in quella città, stabilendomi a mendicare lungo la
scalinata. Era E che avevo ritrovato colui che avevo tanto cercato,
proprio nel momento della morte, in quei pochi istanti in cui mi era
stato dato di riconoscere il totale fallimento della mia vita, in cui non
avevo alcun modo di riparare quanto avevo compiuto. Era troppo
tardi... troppo tardi... la bambina era scomparsa... la vita era finita...
ed io ero morta, seduta su un gradino. Là si fermavano i miei ricordi.
Ci guardammo senza dire una parola, senza capire come una simi
le cosa fosse potuto accadere a due persone moderne ed intelligenti.
L’esperienza che avevamo appena vissuto non poteva spiegarsi con le
teorie più accreditate sull’ereditarietà e sulla psicologia: sapevamo
che tutto questo era davvero accaduto ! E non si trattava della nostra
immaginazione.
Eravamo molto scossi. Mio marito mi disse:
«Non mi ero mai preoccupato di sapere perché, fin dall’infanzia,
mi ero sempre tenuto rigorosamente lontano dall’alcool, dalle carte, o
da qualsiasi gioco d’azzardo, dalla danza e dai piaceri mondani. Ora,
tutto è chiaro: dopo aver buttato via una fortuna e vissuto in una tale
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 109
nere, come ombre, non le vedevo a tre dimensioni, anzi, avevo l’im
pressione che fossero visibili soltanto perché assorbivano tutta la
luce nel posto in cui si trovavano. In altri termini non le vedevo, ma
vedevo soltanto il buco che facevano nella luce. In termini scientifici,
causavano un’interferenza completa nei raggi luminosi e per questo le
si poteva “vedere” soltanto perché la luce mancava nel punto in cui si
trovavano. Altrimenti, di per se stesse, sarebbero state invisibili.
E molto difficile descrivere a parole un fenomeno di questo gene
re e compresi immediatamente perché i contadini, quando parlavano
di fantasmi o di altre apparizioni spettrali, utilizzassero la parola “om
bra”. Quelle figure erano veramente “ombre”, ma non proiettate da
qualcosa, bensì create da un’assenza assoluta di luce. Ecco una cosa
del tutto nuova, per me.
Più tardi, mi ritornò in mente che gli astronomi conoscevano un
buco nero di quella natura, in cielo; una totale assenza di luce che
chiamavano “testa di Cavallo” a causa della sua forma, ma che non
sapevano spiegare; si trattava di un’interferenza nei raggi luminosi.
Qualcosa nell’Universo ingoiava, distruggeva la luce e noi perce
pivamo soltanto un’ombra immensa; le due figure erano simili, e
avanzavano a passi lenti, portando un bastone sulla spalla, dal quale
pendeva qualcosa di indescrivibile, simile ad un polipo ma senza una
forma organizzata né organica. Pendeva come una massa amorfa che
si allungava per poi ritrarsi, era qualcosa di orribile, di disgustoso,
una massa purulenta, marcia e verdastra che, sapevo istintivamente,
esalava malattie, disgrazie, catastrofi e morte. Sapevo che quel mo
stro era un concentrato di “male”. Si muoveva e si tendeva sul basto
ne con evidenti intenzioni cattive e mi resi conto che cercava occa
sioni e vittime per manifestare il suo atroce potere. Spaventata, vidi le
ombre dirigersi verso la camera di mia sorella: bisognava evitare ad
ogni costo che quella forza satanica causasse qualche guaio, sicché
mi sedetti sul letto e urlai con tutte le forze:
«Greta! Greta!»
Alle mie urla, le due figure d’ombra scomparvero, mentre la mas
sa mostruosa si restrinse, trasformandosi in una palla verde fosfore
scente non più grossa di un pallone da calcio, salì la scala un po’
rotolando e un po’ saltellando e mi urlò, con una voce carica di
disprezzo, accompagnata da una risata infernale (che non udii con le
orecchie ma che percepii perfettamente):
«Tu credi di potermi prendere? Hihihihi!»
Scivolò via dalla finestra, e svanì nel buio.
114 Elisabeth Haich
Saltai giù dal letto, mi precipitai nel vestibolo per vedere che cosa
fosse, ma in tutta la casa regnava la massima calma!
In quello stesso momento mio fratello uscì da camera sua, guardò
giù e chiese:
«Chi è là?»
Accesi una candela e risposi:
«Sono io; perché sei uscito?»
«Mi sono svegliato di soprassalto da un incubo, con l’impressione
che ci fosse per casa un qualcosa di cattivo, un pericolo; volevo
proprio vedere che cosa stesse accadendo ed ecco che incontro te: è
accaduto qualcosa?»
Mentre parlava arrivarono anche le mie sorelle, con tutto il perso
nale e tutti mi chiesero perché avessi urlato. Raccontai loro la storia,
dopodiché passammo in rassegna tutta la casa: la porta di entrata era
ben chiusa e tutto era a posto.
In seguito pregai mio fratello di controllare la finestra di sopra:
avrebbe potuto essere stata aperta da una corrente d’aria, la luna
avrebbe potuto riflettersi nel vetro e spiegare così la palla fosfore
scente e verdastra che avevo visto. Ma, in quel momento, la luna
illuminava l’altra facciata della casa e, dal mio letto, era impossibile
vederla o vederne il riflesso.
Non avendo trovato nulla, non ci restò altro da fare che tornare a
letto, ma per molto tempo ancora mi echeggiò nella mente la risata
demoniaca:
«Credi di potermi prendere? Hihihihi!»
Pochi giorni dopo, mio figlio si lamentò di dolori addominali; ero
certa che si trattasse di un’appendicite e andai con lui nella capitale
perché un amico di mio padre, un celebre chirurgo a capo di un
grande ospedale, gli desse un’occhiata; diagnosticò un’irritazione del
l’appendice ma decise di aspettare l’autunno per operare. Ritornam
mo dunque nella nostra casa sul lago, dove il bambino trascorse anco
ra altri giorni felici, giocando con i suoi piccoli amici.
Preferirei non dover raccontare il periodo che seguì per non rivi
vere quei momenti, ma è necessario per la comprensione di ciò che
accadde dopo.
Il bambino fu dunque operato, tutto andò bene e tornò a casa dopo
otto giorni di ospedale. Nel frattempo la figlia di mia sorella si era
ammalata, ed aveva un tenace e strano mal di gola; le fecero degli
impacchi, e un giorno notai che aveva un’eruzione rossa sul collo,
che tutti attribuirono agli impacchi umidi. Venne curata con una poi
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 115
za del fatto che facevo questo per me, che volevo tenere quel bambi
no per me\ lo stringevo al petto per cercare di trasmettergli un po’
della mia energia vitale affinché non mi abbandonasse; sì, sapevo che
una forza invisibile irradiava dal plesso solare, una forza che, quan
do l’uomo vuole davvero qualcosa, può diventare immensa e vincere
persino l’attrazione terrestre. Ora, ciò che desideravo era il contrario,
volevo che quella forza planetaria si accentuasse per trattenere il
bambino sulla Terra. Concentravo tutti i miei pensieri affinché mio
figlio ricevesse l’energia necessaria per vincere il male, eppure non
cedetti mai alla tentazione di pregare Dio di lasciarmi il bambino: “Le
cose non sono mai brutte, di per sé, tutto dipende dal modo in cui le
vedi.” Il pensiero di Epitteto era presente in me. Dal mio punto di vi
sta personale, perdere il bambino sarebbe stata una catastrofe, ma
non dovevo chiedere cose soggettive e personali alla più grande po
tenza, al Creatore, giacché Egli sapeva ciò che era giusto e perché.
Non dovevo dunque voler tenere mio figlio per ragioni personali. E il
bambino? Anche per lui, il meglio sarebbe stato che si compisse la
volontà divina, quale che fosse. Rimasi dunque con il mio bimbo in
braccio, mentre il mio piccolo ego umano materno tremava per la sua
vita, ed io continuamente pregavo:
«Sia fatta la Tua volontà!... Sia fatta la Tua volontà!...»
Ripetevo centinaia di volte quelle parole in quelle ore interminabi
li; il mio corpo si irrigidiva, si ribellava, non sentivo più la schiena.
Una volta tentai impercettibilmente di cambiare posizione, ma subito
il bambino se ne accorse e urlò:
«Resta qui! Resta qui! Tienimi stretto! Se rimani e mi tieni stretto
a te, ti perdonerò tutto il male che mi hai fatto!»
Mi si gelò il sangue nelle vene... che cosa doveva perdonarmi,
quel bambino?
Fino a quel momento avevo creduto di aver fatto tutto ciò che una
madre doveva fare per suo figlio; era stato sempre il mio primo pen
siero fin da quando era nato, mi ero sempre data da fare per renderlo
felice... Che cosa avevo mai potuto fare, da dover essere perdonata?
Cercai di chiederglielo:
«Stai tranquillo, piccolo mio, resto accanto a te, ti tengo stretto.
Cosa devi perdonarmi?»
Egli rispose:
«Non lo so, ma tienimi forte e ti perdonerò tutto...»
Guardai il medico che mi disse piano:
«Sta delirando, non faccia caso a quello che dice.»
118 Elisabeth Haich
una borsa del ghiaccio sul cuore, guardando l’universo come se nuo
tassi nell’acqua.
Descrivere tutte le sofferenze che provai ci porterebbe troppo lon
tano, ma basti dire, qui, che per mesi percorsi tutte le sfere dell’infer
no.
L’estate mi aiutò a ricuperare un po’ di salute: il medico ci aveva
consigliato di andare in riva al lago, perché un cambiamento di clima
mi avrebbe fatto bene; rimasi quindi sdraiata sul terrazzo della villa di
famiglia, cercando di calmare e di controllare i miei nervi agitati. Mi
ripetevo migliaia di volte:
«Caaaalma... caaaalma... caaaalma...»
A poco a poco il mio stato migliorò e, addirittura, di quando in
quando, ripresi a dormire...
Un giorno mi accorsi che mio figlio, invece di giocare sulla spiag
gia come al solito, girava attorno al mio divano ed era stranamente
calmo; mi spaventai molto: era forse di nuovo malato? Siccome non
mi piaceva vedere i bambini così stranamente quieti gli chiesi:
«Cosa succede? Perché non giochi con gli altri bambini?»
Mio figlio si appoggiò al divano, mi osservò, e poi chiese:
«Mamma, è possibile che io abbia già vissuto un’altra vita?»
La domanda mi lasciò perplessa sicché gli chiesi:
«Come ti è venuta questa idea?»
«In giardino ho visto un grosso scarabeo nero; ci ho giocato un
po’, con un ramoscello, e lui si è girato sul dorso, restando perfetta
mente immobile come se fosse morto. Siccome ero curioso di vedere
che cosa sarebbe successo, ho continuato a tenerlo d’occhio, e siamo
andati avanti un sacco, forse mezz’ora. Poi lo scarabeo si è rigirato
sulle zampe, e se n’è andato. In quel preciso momento ho avuto la
certezza di aver già vissuto una volta; la gente aveva soltanto creduto
che fossi morto ma, come lo scarabeo, ho continuato ed ora sono qui,
vivo di nuovo. Questo vuol dire che non sono mai morto! E vedi,
mamma, ti faccio questa domanda perché, ogni mattina, quando mi
sveglio, prima ancora di aprire gli occhi, mi sembra di dovermi sbri
gare ad alzarmi per andare a caccia e portare qualcosa da mangiare a
mia moglie ed ai miei figli. Soltanto quando apro gli occhi e ricono
sco tutti gli angoli della camera, sono di nuovo cosciente di essere un
ragazzino e tuo figlio; ma mia moglie, i miei bambini e tutta la gente
di laggiù non sono come noi. Sono... sono... sono tutti neri, e tutti
nudi» disse il bambino con un sorriso imbarazzato.
Avevo ascoltato con interesse crescente, ma non avevo voluto che
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 121
mai. Ora capisci perché ho tanto pianto, l’anno scorso, quando volevi
mettermi a bagno: avevo paura che qualcosa mi divorasse le gambe
nell’acqua. E ancora adesso, sebbene io sappia che non c’è nulla di
pericoloso nel lago, non posso fare a meno di pensarci. Ti ricordi che
l’anno scorso, quando abbiamo ricevuto la barca, ho voluto remare
subito? E tu, tu mi avevi detto di no perché, dicevi, prima dovevo
imparare! Ma io sapevo di saper remare, ed ero così a mio agio nel
mio battellino di bambù che potevo muovermi sull’acqua come se la
mia barca ed io fossimo un’unica cosa. E, ti ricordi, ho tanto insistito
che, alla fine, spazientita mi hai detto: “E allora prova, così vedrai
che non sai remare!” E tutti sono rimasti sorpresi nel vedere che
remavo con un remo solo perché ero troppo piccolo per usarne due; e
che, anche con uno solo, ero in grado di portare la barca con sicurez
za fra le altre e persino fra i bagnanti. Sì, potevo fare di tutto, con la
barca in cui abitavo allora! Avresti dovuto vedere! E gli alberi non
erano come qui, c’erano alberi come questi — disse, disegnandoli. —
E poi altri ancora, piante così diverse fra loro. Guarda, eccomi qui a
caccia di un grande uccello, ed ecco il mio cappello, vicino a me!»
Tutto ciò che disegnava descriveva un paesaggio tropicale, con le
sue palme e la sua tipica vegetazione; il disegno che lo rappresentava
era quello di un uomo di colore, tranne che per il cappello, che mi
sembrò sospetto: sembrava ai cappelli moderni di feltro. Ma non volli
distrarlo e con molta precauzione gli feci qualche domanda. Non
volevo risvegliare la sua immaginazione. Giacché in vita sua non
122 Elisabeth Haich
aveva mai visto donne nude se non sui quadri, dove per altro non
avevano lunghi seni pendenti, gli chiesi:
«Perché hai disegnato tua moglie con seni così lunghi, pendenti e
brutti?»
Il bambino mi guardò sorpreso di sentirmi rivolgere quella do
manda. Poi, senza esitare e con assoluta naturalezza, replicò:
«Perché era così che aveva i seni: e non è una cosa brutta. Era
molto bella!» aggiunse fieramente.
La sua risposta mi convinse del fatto che non avesse potuto vedere
queste cose nel nostro ambiente; non era mai andato al cinema, non
aveva ancora letto libri sull’Africa. Come gli era venuto in mente che
una donna con i seni lunghi e pendenti fosse bella? Certamente il
nostro ideale di bellezza era molto diverso, e volli ancora fargli delle
domande.
«Qual è il tuo ultimo ricordo?»
«Ero a caccia quando sbucò una tigre. Lanciai la mia lancia che le
si infilò nel petto, ma essa non morì e si precipitò su di me. Dopo,
non ricordo più niente.»
«Bene; è una cosa molto interessante, ed è possibile che tu abbia
già vissuto e che tutto questo sia davvero accaduto. Ora però, sei qui:
non pensare dunque a ciò che fu, ma a ciò che è. Puoi raccontarmi
ogni cosa, ma non parlare di questi tuoi ricordi con gli altri.»
«Lo so, mamma — riprese — so che gli adulti credono che i
bambini siano stupidi e ci prendono sempre in giro. Ma, hai idea di
ciò che può essere accaduto a mia moglie e ai miei bambini?»
«No, non saprei dirti. Non dimenticare che tutto passa, e che solo
l’amore è eterno: e l’amore vi riunirà di certo in questa vita.»
«Allora, va bene» disse il bambino, tornando a giocare con i suoi
amici.
Presi i suoi disegni e li infilai nel diario che tenevo da quando era
nato... Non gli feci mai più nessuna domanda: volevo evitare di sti
molare la sua immaginazione e che vivesse troppo nel mondo dei
ricordi. D’altronde, a quale scopo? Sapevo che non aveva mai avuto
occasione di vedere o leggere un solo libro sull’Africa, conoscevo
ogni suo passo, ogni sua occupazione. D’altra parte, non era stupefa
cente che quel ragazzino, solitamente così coraggioso, addirittura te
merario, si fosse dibattuto con la forza della disperazione quando
avevamo deciso di portarlo a fare il bagno, come se avessimo l’inten
zione di ucciderlo? Avevo dovuto spiegargli che poteva andarci tran
quillamente, che non gli sarebbe successo nulla ed alla fine aveva
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 123
aver visto d’un tratto sul suolo di camera mia una luce grossa come la
luna piena che, come una palla luminosa, era apparsa sulla soglia
socchiusa per poi sparire dietro la parete.»
Non credevo ai miei occhi. Di nuovo quella palla che assomiglia
va alla luna piena? Quella palla di luce, a quanto pareva, non era
affatto rara! Che strano! Eppure, a rifletterci, c’è un esempio analogo
in elettricità: il fulmine globulare che rotola nell’aria. Sono noti di
versi casi in cui questo globo entra in camera attraverso una finestra,
rotola per tutta la stanza e poi scompare da un’altra via di uscita;
fintantoché esso mantiene la sua forma sferica non c’è alcun pericolo,
ma se esce da essa, distrugge tutto ciò che trova sul suo passaggio.
Questa forma di fulmine è infinitamente più pericolosa di un fulmine
normale. E quella sfera verdastra e fosforescente che poteva causare
tanti danni, non era forse anch’essa un fulmine globulare, sebbene su
un livello diverso?
Dalla notte dei tempi ci viene una profonda verità attribuita al
grande iniziato Ermete Trismegisto che conosceva tutti i misteri della
terra e del cielo:
«Così in alto come in basso, così in basso come in alto.»
Quel fenomeno parallelo non era poi così strano: la sfera verde e
il fulmine globulare.
CAPITOLO XX
maggiore, per soddisfare sempre meglio i loro istinti più bassi. Molti
hanno tentato di estorcerci i nostri segreti con tutti i mezzi, ma abbia
mo capito che il loro scopo era guadagnare immense fortune con
queste conoscenze, o nutrire la loro vanità diventando celebri. Sicché
abbiamo taciuto. È triste dover constatare che il potere straniero in
questo Paese è andato fino a torturare alcuni medici Ayur-Vedici per
tentare di strappar loro i loro segreti; da quel momento, gli stranieri
non hanno più potuto trovare alcun iniziato dell’Ayur-Veda, giacché
nessuno di noi ammette di possedere tali conoscenze. Ci hanno obbli
gato a portare una maschera e a diventare dei “misteriosi Orientali”;
abbiamo pagato a caro prezzo questa lezione, e tuttavia devo dirle
che, in tutti questi anni, ci sono stati medici stranieri, esseri umani
veri, che hanno voluto conoscere i nostri segreti allo scopo di aiutare
gli altri, e che non hanno esitato a fare il voto di Brahmacharya
(castità). Costoro hanno ricevuto l’iniziazione e lavorano sempre con
noi, ma, come noi, non fanno mostra del loro sapere. Quando l’uma
nità sarà abbastanza progredita ed avrà raggiunto un livello che farà
dei suoi medici, in gran parte, uomini pronti a sacrificare i desideri
sessuali per poter guarire la gente, allora gli iniziati Ayur-Vedici
saranno presenti per svelar loro le verità ed i misteri. Per il momento,
gli Occidentali usano tutte le loro scoperte per nuocersi: qual è il
risultato della scoperta della dinamite, degli aerei? Nuove armi! E che
fareste, se scopriste il segreto dell’energia cosmica e dell’energia vi
tale ancora più potente?... Altri mezzi per distruggere, altri soldi da
guadagnare. La guerra è un affare colossale. E perché sempre più
soldi? Per soddisfare ancor di più gli istinti, i piaceri sessuali, le
perversità. Vi chiedete perché non riveliamo il nostro sapere? I medi
ci stranieri non lo vogliono! Appena ne conoscono le condizioni,
immediatamente il loro interesse viene a cadere; non possono imma
ginare che, pagando un tributo tanto modesto, riveleremmo loro il
segreto di tutta la vita. È molto più semplice, senza tentare il minimo
sforzo, farsi beffe degli Orientali. La maggior parte degli stranieri
sembra pensare che la soddisfazione degli istinti sessuali rappresenti
la gioia suprema sulla Terra, e quindi come possono riuscire a cono
scere la straordinaria potenza di un essere spirituale, se non cercano
neppure di acquisirla? Questa potenza non si può ottenere né con i
soldi né con la forza: il suo prezzo è la rinuncia. Ora, colui che l’ha
pagato scopre poi di non aver di fatto rinunciato a nulla, giacché in
vece di una gioia passeggera e mortale, ha trovato la gioia imperitura
e immortale. Quale affare migliore di questo uno può concludere? Ma
138 Elisabeth Haich
non parliamone più: questi misteri non possono essere capiti con
l’intelletto; non si può capire lo spirito, se ne può fare soltanto
l’esperienza, lo si può vivere. Non si può che essere lo spirito\ La
sciamo dunque gli altri camminare sulla via dell’intelletto: hanno
imparato già molte cose e progrediranno ancora, ma le “verità ultime”
rimarranno nascoste all’uomo guidato dalla ragione che non conosce
rà mai la felicità di ESSERE a cui conduce la rinuncia. Hanno fatto
una caricatura dello yogi orientale: è dunque tanto sorprendente se gli
iniziati non rivelano i loro segreti, se si ritirano e sono introvabili per
gli Occidentali?
Le ho detto tutto questo perché posso vedere che nel suo caso non
si tratta di curiosità, ma del desiderio profondo di studiare la nostra
scienza. Lei cerca la verità, lei cerca Dio! Quelli come lei vanno
aiutati. Mi lasci dunque dare un consiglio: se vuole progredire più in
fretta, se vuole penetrare ancora più profondamente i misteri dell’es
sere umano e della vita, pratichi lo Yoga!»
«Poi — continuò il nostro amico — egli mi spiegò che gli Orien
tali avevano scoperto e perfezionato nel corso dei millenni diversi
metodi per permettere all’uomo di raggiungere lo scopo, ossia quella
felicità che ognuno porta in sé e a cui tende persino l’essere più
ignorante, la creatura più incosciente. Il compimento, la salvezza, la
felicità, o Nirvana come dicono gli Orientali: l’uomo può raggiunger
lo qui, sulla Terra. La porta è aperta per chiunque ne abbia trovato la
chiave.
Lo Yoga è questa chiave!
Il medico indiano continuò le sue spiegazioni. In realtà, ogni azio
ne eseguita dirigendo appropriatamente la coscienza, è già Yoga, per
ché l’unico modo di cui disponiamo per raggiungere il grande scopo è
la concentrazione. Con metodi perfezionati nel corso delle ere, lo
Yoga insegna come concentrarsi e migliorare sistematicamente il no
stro potere di concentrazione, offrendoci diverse vie: gli esercizi fisi
ci, mentali e spirituali di concentrazione. Questi sviluppano le facoltà
più elevate dell’uomo, aprendogli occhi ed orecchi spirituali: egli
diviene il maestro di se stesso e il padrone delle forze creatrici e delle
forze del destino. La via verso la felicità gli è aperta o, in altri termi
ni, la via verso la realizzazione di sé, verso Dioì La via yogica supre
ma più difficile è quella del Raja-Yoga, dove “raja” significa “re”.
Possiamo quindi tradurre il termine “Raja-Yoga” con “Yoga regale”.
È la via più breve, la più ardua, la più stretta, quella insegnata dal
Cristo nella Bibbia; con pazienza e perseveranza si giunge alla meta.
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 139
E la luce fu
Da quel preciso momento, le persone, uomini e donne, giovani e
vecchi, che venivano a consultarmi aumentò costantemente: desidera
vano un consiglio per trovare la via della felicità. Sempre più “ricer
catori” mi chiedevano aiuto, eppure avevo l’impressione di essere
ancora nel buio più assoluto; allora, come aiutarli? Come lenire tutte
le ferite che queste creature portavano sulla loro anima, quando io
stessa non avevo ancora chiarito il problema della vita e della morte?
L’importante era uscire dalle mie proprie tenebre: “cercavo” come
mi era stato consigliato dalla voce interiore, e cercavo di avanzare
leggendo buoni libri; ne trovai uno che descriveva gli esercizi segreti
del Raja-Yoga, cioè il cammino verso di sé. Li misi subito in pratica,
giacché sapevo che la lettura è necessaria soltanto per sapere ciò che
bisogna fare. Se si vuole raggiungere la meta (il Sé) bisogna realizza
re ciò che si è imparato!
Ero dunque in cerca della realtà, non quella delle belle parole o
delle teorie, ma lo Yoga spirituale che richiedeva la più stretta ascesi.
Ne parlai a mio marito, che era il mio migliore amico, e che
sapeva che la risposta alle tre grandi domande, cioè da dove, dove e
perché, era per me di importanza vitale. Mi diede il suo pieno accordo.
Mio padre aveva comprato, per tutta la famiglia, una proprietà in
montagna, sicché avevamo una casetta proprio nel bosco. Mi ci tra
sferii da sola per un lungo periodo, giacché mio figlio, ormai, era
studente in un collegio e tornava a casa soltanto nel periodo delle
vacanze; mio marito viaggiava molto, e ci incontravamo soltanto per
il fine settimana.
Dal grande spiazzo davanti alla casa si godeva di una vista magni
fica su tutta la valle, lo sguardo si perdeva all’infinito nelle vaste
pianure di quella regione e, ai piedi del monte, scorreva lentamente il
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 145
questa vita: i loro abiti, i loro nomi, la lingua nella quale conversava
mo in sogno, mi erano estranei ed erano lontanissimi da tutto ciò che
allora conoscevo.
Quando mi sedevo a meditare, dirigevo tutta la mia attenzione
verso l’interno; allora si accendeva in me una luce turchese, che
andava crescendo, e sembrava provenire dagli occhi invisibili di un
essere potente e puramente spirituale. Quello sguardo mi permeava di
una forza, di un amore e di una bontà indicibili. Con assoluta fiducia,
mi immergevo in quella fonte di energia benefattrice e in essa mi
sentivo sicura, senza alcuna apprensione, penetrando sempre più pro
fondamente nel mondo ignoto dell’inconscio.
Un giorno, d’un tratto, la luce cacciò le tenebre che avevano na
scosto il passato e la realtà. Tutto diventò chiaro.
Quando, come al solito, mi ero seduta a meditare, la luce fosfore
scente era apparsa al mio sguardo interiore ma, quella volta, sentii più
chiaramente ancora che la fonte di tale luce erano gli occhi di un
essere potente e familiare; quella sensazione aumentò talmente che
seppi che quei due occhi posavano il loro sguardo su di me: li sentivo,
sentivo la loro luce, la loro potenza, l’amore di quello sguardo. Un
istante dopo, apparentemente per effetto di quello sguardo, il resto
della nebbia che ancora avvolgeva la mia coscienza scomparve: da
vanti a me stava una figura maestosa dagli occhi di un azzurro molto
scuro, infinitamente profondi, la sua forma, il suo volto, i suoi occhi:
LUI\
CAPITOLO XXII
Nota dell’autrice
Lungi da me l’idea di voler dare un ritratto storico dell’Egitto: una
persona che vive in un certo luogo, non considera i costumi, la lingua
e la religione del proprio Paese dal punto di vista etnografico, li trova
semplicemente naturali; è un essere umano con le sue gioie ed i suoi
dolori, come qualsiasi altro essere umano di qualsiasi altra epoca,
perché l’essere umano resta sempre uguale.
Ciò che racconto qui riguarda soltanto il fattore umano, non l’et
nografia o la storia. I concetti vengono dunque espressi intenzional
mente in modo moderno, e gli insegnamenti del gran sacerdote
Ptahhotep sono tradotti in termini contemporanei affinché la gente di
oggi possa comprenderli. Allo stesso modo, ho dato ai simboli reli
giosi la denominazione attuale che tutti conosciamo: se diciamo Dio,
l’uomo moderno capisce meglio di cosa stiamo parlando che se do
vessimo usare, per lo stesso concetto, l’espressione Ptah', perché, se
dicessimo Ptah, tutti penserebbero: «Ah! Ptah, il dio egizio!»
No: Ptah non è mai stato un dio egizio, perché gli Egizi hanno lo
stesso nostro Dio , ma, nella loro lingua, lo chiamano Ptah. Allo stes
so modo, per esempio, Satana è chiamato Seth. Sappiamo esattamen
te che cosa significano le parole Dio e Satana, mentre le parole Ptah
e Seth ci sono estranee, quindi sono prive di senso per noi.
L’espressione Logos ovvero principio creatore, ci dice molto di
più che non falco Horus. Da sempre l’elettricità è l’elettricità, l’atomo
è l’atomo, ma un tempo li chiamavano diversamente. Nessuno dun
que si scandalizzi e parli di anacronismo, quando il gran sacerdote
egizio, per esempio, utilizza l’espressione “reazione a catena”! Ri
nuncio intenzionalmente ad imitare le antiche espressioni.
Il principio
creatore
attraversa lo
spazio proprio
come il falco
Horus, e crea i
mondi. Incarna
la legge di Dio;
ecco perché
porta sul capo le
tavole dei dieci
comandamenti
divini.
senza averne diritto, giacché non sono stata iniziata. Il mio massimo
desiderio, ciò che ti chiedo, è l’iniziazione!»
Padre si fece molto serio:
«Figlia mia, chiedimi qualcos’altro. Sei ancora molto giovane e
non ancora abbastanza matura per ricevere l’iniziazione. I giovani
germogli non devono essere esposti al sole violento, perché altrimenti
si bruciano senza aver potuto fiorire. Aspetta di aver acquisito le
esperienze necessarie nella vita terrena, nella vita fisica. Prepararti
ora all’iniziazione renderebbe infinitamente più difficili le prove che
dovresti attraversare più tardi. Perché causare inutili tormenti? Chie
dimi quacos’altro, figlia mia.»
Ma io insisto:
«Padre, a parte questo non c’è nulla che io desideri. Le cose che
interessano gli altri giovani, mi annoiano; dietro ogni piacere terreno,
vedo i desideri della carne. I bei gioielli mi piacciono molto, ma, per
me, l’oro è una materia che diventa preziosa soltanto quando lo spiri
to si manifesta attraverso il lavoro dell’orefice. Quando viaggio, mi
piacciono i paesi nuovi, tutte le cose degne di essere viste, ma non
posso dimenticare neppure un istante che tutto questo è soltanto la
creazione, mai il creatore. Desidero fare l’esperienza delle verità su
preme nella loro realtà. Voglio conoscere Dio creatore. Padre, sai che
questo processo attraverso il quale tutti passiamo e che chiamiamo
“vita” è solo sogno, apparenza; tutto ci sfugge fra le dita, non si può
gioire definitivamente di nulla, tutto è passeggero, effimero, tra il
passato e il futuro. Ma io voglio vivere il presente che non diventerà
mai passato e che non fu mai futuro. E voglio anche trovare quel
“luogo”, quello stato che non è mai “laggiù” prima che io possa arri
varci, ma che si chiama “qui” non appena vi giungo, e che non è mai
“qui” fintantoché io non ci sono, ma che si trasforma di nuovo in
“laggiù” quando lo lascio. Voglio vivere il presente assoluto nel tem
po e nello spazio. Padre, voglio la realtà suprema, voglio l’iniziazio
ne.»
Padre mi ascolta attentamente, ma diventa sempre più triste, e poi
dice:
«Il tuo risveglio spirituale si è manifestato prima del dovuto. Tutto
ciò che posso fare è autorizzarti ad andare da mio fratello Ptahhotep,
il gran sacerdote del Tempio, Capo della nostra razza. Gliene parlerò,
ti affido a lui ed egli ti guiderà. Che Dio rischiari la tua via con la sua
luce eterna!» ¿
Mi pone una mano sul capo e mi dà la sua benedizione. Vorrei
154 Elisabeth Haich
Luì
Quella sera stessa, pesantemente velata, esco da palazzo. Menu mi
accompagna, e procediamo lungo il peristilio che conduce dal palazzo
al Tempio, verso il gran sacerdote, fratello di mio padre, figlio di Dio:
Ptahhotep...
Ptahhotep è il capo di tutti gli altri sacerdoti; siccome conosce e sa
padroneggiare tutti i misteri delle leggi della natura, è anche il capo
dei medici e degli architetti. E venuto sulla Terra con la missione di
V
I figli di Dio
Il giorno seguente, il Faraone mi manda a chiamare; devo recarmi
da lui dopo le sue udienze.
Nell’ora indicata, l’intendente viene a prendermi per condurmi da
mio Padre.
«Entra, figlia mia, voglio parlare con te di ciò che Ptahhotep ed io
abbiamo deciso sulla tua iniziazione.»
«E venuto da te?»
V
varie parti del mondo in cui i figli di Dio sbarcarono, portando seco
ciò che avevano potuto salvare.»
Avevo ascoltato con la massima attenzione il racconto di quegli
eventi sconvolgenti; molte cose, fino ad allora incomprese, si erano
chiarite, ma c’era una domanda che mi aveva richiesto ore di rifles
sione, e che ancora non aveva trovato risposta:
«I figli di Dio, come sono riusciti a trasportare, sollevare e posi
zionare al giusto posto questi enormi blocchi di pietra?»
«Ricordati, figlia mia, quanto ti ho detto: i figli di Dio non lavora
vano con le loro forze fisiche, ma facevano lavorare le forze della
natura.
Ancora oggi, possediamo alcuni degli strumenti con i quali pos
siamo neutralizzare o aumentare la forza di gravità, a seconda del
nostro scopo. In questo modo possiamo neutralizzare il peso di un
oggetto pesante o, invece, aumentarlo ancora di più. Persino un bam
bino, con le sue piccole dita, potrebbe spostare e sollevare un masso
di pietra una volta che fosse liberato dal peso. In questo modo è stato
possibile sovraccaricare quelle barche senza pericolo, giacché i bloc
chi di pietra erano stati lungamente irradiati prima e non avevano più
peso. Tutte le costruzioni straordinarie disseminate per il mondo, e
che la forza umana non avrebbe mai potuto edificare, sono state edifi
cate in questo modo dai figli di Dio.
Ovunque sbarcarono, i figli di Dio diedero origine ad una cultura
elevata; ovunque regnino oggi, guidano gli uomini con un amore
disinteressato ed accettano il sacrificio di rimanere ancora un po’
sulla Terra per insegnare e propagare le loro forze spirituali. Un tem
po il Faraone ed il gran sacerdote erano un’unica persona, contempo
raneamente guida spirituale e temporale del popolo; poi, con la cultu
ra e le ricchezze, il Paese divenne più grande, ed i figli di Dio decise
ro di suddividersi i compiti: uno di essi prese in mano il governo
temporale del Paese, mentre l’altro, il primogenito e capo della stirpe,
ne divenne la guida spirituale. E da allora è sempre stato così: il Fara
one governa il Paese ed il gran sacerdote svolge le sue funzioni nel
Tempio; egli è il guardiano della conoscenza in tutti i campi, e sicco
me la conoscenza sgorga da un’unica fonte, egli dà l’iniziazione nelle
scienze, nelle arti e, nel Tempio, la grande iniziazione nell’“Arie
senz ’A rte dello Spirito”.
Ora sai perché gli uomini del popolo hanno un cranio diverso da
quello dei figli di Dio che oggi compongono ancora la famiglia reale;
noi, che abbiamo questo cranio allungato, utilizziamo poco la nostra
Iniziazione: memorie di un’Egizia 173
soltanto i figli di Dio hanno avuto dei bambini con le figlie degli
uomini, e non è accaduto che le figlie di Dio avessero dei bambini
con i figli degli uomini?»
Padre affonda i suoi occhi nei miei:
«Scolpisciti bene questa mia risposta nella memoria e non scor
darla mai. Se capisci bene questa verità, allora forse possiamo ancora
cambiare la direzione del tuo destino.
Se, da un bicchiere di vino rosso, togli una goccia per metterla in
un bicchiere di vino bianco, il vino rosso nel primo bicchiere rimane
immutato; invece il vino bianco non è più tale, diventa un miscuglio.
Ed ora, se prendi un po’ di questo vino bianco, ciò che versi è un
insieme di vino rosso e bianco. Capisci, figlia mia?»
«Sì, Padre, capisco. Significa che il sangue di un figlio di Dio di
razza pura, resta puro anche quando procrea con una figlia degli
uomini; ma il sangue di una figlia di Dio di pura razza si mischiereb-
be se sposasse un figlio degli uomini. E, da quel momento, sarebbe
anch’essa un ibrido, proprio come i suoi futuri bambini.»
«Mantieni questa verità viva e cosciente in te in ogni istante della
tua vita» mi dice Padre.
Si alza, io mi inchino, lui mi benedice. Esco con l’unità dello
spirito nel cuore.
CAPITOLO XXVI
Anni di preparazione
Menu mi accompagna al Tempio.
Quante volte, nel corso dei molti anni a venire, seguirò quel co
lonnato che va dal palazzo al Tempio, oh, quante volte! fino a diven
tare io stessa la strada, fino a che i miei piedi faranno il percorso da
soli, procedendo senza l’aiuto dei miei occhi!
Per la prima volta entro nel Tempio in qualità di neofita; proprio
perché vorrei fare in fretta, mi sforzo di camminare piano, solenne
mente. Sono felice che abbia inizio la mia iniziazione, e voglio gu
starmene ogni istante. Immersa nel mio universo interiore, ove ancora
risuona l’eco delle parole pronunciate ieri da mio padre, vado, con
sciamente, incontro ai miei doveri di futura iniziata...
All’entrata è ad attendermi lo stesso neofita della volta preceden
te; Menu si congeda baciandomi e stingendomi al petto come se non
dovessimo mai più rivederci, poi, finalmente, si calma e si inchina
davanti a me come crede di dover fare. La bacio e sento che, attraver
so il tocco delle sua labbra, mia madre stessa mi sta baciando.
Il neofita mi accompagna nella piccola stanza di ricevimento di
Ptahhotep: quante volte ancora mi troverò così, davanti a Lui, quante
volte ancora poserà lo sguardo su di me, sondandomi con calma,
sicurezza e forza!
Egli esordisce dicendo:
«Mia cara bambina, come ti ho già spiegato, iniziazione significa
diventare cosciente a livello divino supremo. Questo richiede un lun
go allenamento del corpo e dell’anima, perché bisogna preparare i
nervi a sopportare quelle vibrazioni così elevate senza esserne dan
neggiati, senza dover morire.
Diventare coscienti ad un certo livello, significa dirigere nei nervi
la vibrazione corrispondente a tale livello, poi, attraverso i nervi,
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 177
dirigerla nel corpo. Fin dalla nascita, quindi dacché è abitato dal Sé, il
corpo sviluppa una forza di resistenza in armonia con il grado medio
di coscienza dello spirito che lo anima. Il grado di coscienza di una
creatura varia a seconda della sua anima, ma rimane entro i limiti di
un’ottava di vibrazione. Queste fluttuazioni non debbono comunque
andare oltre l’elasticità dei nervi, perché altrimenti si possono avere
malattie più o meno serie, addirittura la morte. La vibrazione del
l’energia vitale creatrice è mortale per colui che non ha raggiunto il
livello di coscienza necessario per sostenerla: essa brucia allora i suoi
centri nervosi ed i nervi, ed è per questo che l’energia vitale, la quale ha
sede nel midollo spinale, viene trasformata in vari centri nervosi in una
vibrazione ridotta. Questa corrente soltanto viene incanalata nel corpo.
È così che la vibrazione vitale che anima gli animali è inferiore a
quella dell’uomo primitivo, e l’uomo primitivo, animalesco ed egoista, è
animato da una vibrazione vitale inferiore a quella di un essere spiritual-
mente avanzato. Se trasferissimo l’energia vitale di un uomo superio
re in un animale o in un uomo inferiore, questi morirebbe all’istante.
La grande iniziazione significa vivere coscientemente e condurre
simultaneamente nei nervi e nel corpo la vibrazione creatrice dell’ES-
SERE eterno ad ogni livello di sviluppo e alla sua frequenza originale
senza trasformazione. Questo richiede una forza di resistenza in gra
do di sopportarla, e che può essere acquisita con un lungo allenamen
to del corpo e dell’anima; significa che bisogna preparare i nervi
lentamente, prudentemente, imparare a risvegliarli e a controllarli.
Questi esercizi del corpo e dell’anima ti verranno insegnati dapprima
da Mentuptah, direttore della scuola dei neofiti, e verrai aiutata a
svolgere i tuoi esercizi di concentrazione da Ima, il neofita che ti ha
accompagnata qui. Quando avrai superato tutti gli esami con Mentuptah
e Ima, allora continuerò personalmente l’insegnamento e ti darò l’ini
ziazione. Ora Ima ti condurrà a scuola e ti mostrerà tutto ciò che è
necessario; se, in questo periodo, desideri parlarmi, puoi chiedere di
vedermi una qualsiasi sera. Che Dio guidi i tuoi passi!»
Ptahhotep mi benedice, io mi inchino e seguo Ima fino alla scuola
dei neofiti.
Ima mi conduce verso una delle piccole celle costruite nelle mura
del Tempio, mi tende una tunica bianca e dei sandali semplicissimi e
mi informa che quella cella è mia.
Quando ne esco, dopo avere tolto i miei abiti principeschi ed
indossato quelli del Tempio, anch’io sono una neofita, come Ima; egli
mi conduce lungo un peristilio verso il giardino del Tempio, un giar
178 Elisabeth Haich
O
4—1
C/3
S'
182 Elisabeth Haich
Ima sorride:
«Vedremo dove ti porta, tutto questo. Riprovaci, e poi toma a
trovarmi!»
Mi concentro sul senso della frase “Io manifesto sempre il divi
no”, soltanto sul senso...
Tomo da Ima che, proprio in questo momento, sta concludendo
una conversazione con un neofita; quando mi vede, mi lancia uno
guardo malizioso, come se già sapesse ciò che è accaduto in me:
«Allora?» mi chiede.
«Ima! Che strano! Quando ho cercato di concentrarmi sul senso
della frase, non sono riuscita a pensarci. Tutto il processo interiore è
passato dalla testa nel petto, e non potevo più pensare al senso, ma lo
sentivo, lo vivevo. Nel momento in cui mi concentro sul senso , di
questa frase senza parole, io ne divento il sensol Bisogna quindi cam
biare: “Io manifesto sempre il divino” in una frase molto più corretta:
“Io sono il divino che si manifesta continuamente”.»
Ascoltandomi, Ima mi sorride:
«Benissimo, ti sei concentrata ottimamente; hai scoperto che la
concentrazione non può essere uno stato durevole, ma una transizione
fra il mondo proiettato e lo stato di ESSERE. Quando concentri il
pensiero su qualcosa, non puoi limitarti a questa attività di pensiero,
perché la concentrazione ti riporta a te, e allora diventi quel qualcosa
stesso su cui ti concentri. Con la concentrazione, pensare diventa uno
stato d ’ESSEREl L’attività di pensare cessa, ed il pensatore diventa
identico alla cosa pensata.
Pensare a qualcosa significa proiettare un pensiero verso l’esterno
per mezzo dell’intelletto, come in uno specchio, e quindi uscire da sé.
Con la concentrazione richiamiamo la proiezione, e il soggetto pensa
to ritorna ad essere identico al pensatore, a lui stesso. I due fattori
sono perfettamente riuniti: ciò che è stato creato ritorna al creatore!
Continua ad esercitarti; questo processo ti si chiarirà sempre più.
Visto che ti piace tanto sederti sotto questa palma, allora concentrati
su di essa»... e Ima scompare.
Mi siedo e guardo la palma: nessun altro pensiero mi distrae da
quest’albero. Le ore scorrono, viene la sera e devo rientrare a casa.
Menu mi aspetta fuori, ed insieme ci dirigiamo alla volta del palazzo.
Il giorno seguente, dopo gli esercizi di gruppo, mi ritrovo sotto la
palma e mi concentro su di essa.
Quando avevo cominciato l’esercizio, ero stata assalita da molti
pensieri estranei all’oggetto della mia concentrazione, come ciò che
184 Elisabeth Haich
Poi, entri in acqua: senti che cos’è l’acqua. Per sensazione diretta,
ti rendi conto che l’acqua è liquida, che bagna tutto il tuo corpo, ne
senti la temperatura, sicché non hai più bisogno di misurarla: senti se
è fredda o calda. Puoi giocherellare nell’acqua, fra piccole o grandi
onde... e sperimenti tutte le caratteristiche dell’acqua a livello delle
sensazioni. Questa è la concentrazione sensoriale.
D’un tratto, smetti di sentirti separata dall’acqua. Ora ti fondi in
essa, non hai più un corpo umano, sei diventata acqua; quindi non hai
più bisogno di pensare alle caratteristiche dell’acqua, né di sentire
che cos’è l’acqua, giacché, ora, tu sei l’acqua. La perfetta concentra
zione consiste nel divenire identico all’oggetto della concentrazione!
Le altre fasi della concentrazione presentano uno stato di separazione
mentre lo stato d ’ESSERE rappresenta la perfetta unità risultante dal
la comprensione totale e dalla conoscenza assoluta proveniente dal
l’interno. Naturalmente, non è che il tuo corpo diventi acqua ma, in
coscienza, vivi quest’elemento, ne fai l’esperienza completa.
Osserva la gente intorno a te: alcuni parlano sempre di amore e di
bontà, hanno un sorriso dolce ma pieno di sufficienza; non perdono
occasione per far notare quanto sono “buoni e pieni d’amore”... Ma
tutto questo, è solo esteriorità! Indossano la maschera dell’amore, ma
quando si passa all’azione il loro egoismo si manifesta, giacché essi
sono egoismo.
Un altro, invece, non parla mai di bontà, non pensa neppure di
essere buono, eppure tutto ciò che dice, pensa e fa, deriva dalla bontà
giacché egli è la bontàl Non si deve né pensare né sentire ciò che si è,
proprio perché lo si è\ non se ne parla, ma tutto ciò che si pensa, si
dice e si fa, è una manifestazione di ciò che siamo: la manifestazione
del nostro Sé\
Allora, eccoti l’esercizio più difficile: concentrati su te stessa ! Co
mincia col riflettere su ciò che sei, poi senti ciò che sei e, infine, sii
ciò che seiì
Per diventare cosciente qui, sulla Terra, sei caduta fino al Uvello
del tuo intelletto e delle tue sensazioni: quindi non fai che pensare a
ciò che sei, sentire ciò che sei, ma non sei mai ciò che seiì
Osserva la gente intorno a te e vedrai che non sono ciò che sono
in realtà, ma che si identificano sempre con pensieri, sensazioni e
parti che interpretano quaggiù. Sono usciti da loro stessi, sono dei
facsimili. Negli occhi di un bambino piccolo, potrai ancora riconosce
re la scintilla, la luce del Sé, ma quando la sua ragione si sveglia, il
bambino comincia ad identificarsi con la sua persona esteriore e si
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 189
tiene tutta la luce della seconda lampada e l’ombra, da quel lato della
parete, sembra essere diventata rossa.»
«Giustissimo — dice Ptahhotep. — Come vedi, questi due colori
non possono esistere l’uno senza l’altro, così come non possono esi
stere l’uno senza l’altro il silenzio e la parola. Qualsiasi cosa tu renda
visibile nel mondo esterno, il suo opposto complementare rimane nel
mondo non manifesto. c
Quando parli, ciò che resta nel non-manifesto è il silenzio, ovvero
il lato negativo complementare della parola; e quando taci, ciò che
resta nel non-manifesto è la parola, l’atto complementare positivo del
silenzio. Quando si forma una montagna, deve formarsi anche la sua
immagine negativa, cioè la valle. Come immaginare una montagna
senza valle o una valle senza montagna? Nulla può essere manifesto e
riconoscibile senza che il suo contrario (la sua metà complementare
e opposta) sia simultaneamente presente nel non-manifesto. Quando
qualcosa di positivo si manifesta, il negativo resta non-manifesto e,
inversamente, quando qualcosa di negativo si manifesta, il positivo
resta nel non-manifesto. Non appena l’uno compare, la sua parte
complementare deve obbligatoriamente essere presente, anche se sol
tanto allo stato di non-manifestazione: sono legati l ’uno all’altra per
tutta l ’eternità.
La separazione è dunque solo apparente, perché le due metà com
plementari, sebbene siano separate ed uscite dall’unità assoluta del
Tutto, non possono allontanarsi l ’una dall’altra né abbandonarsi.
L 'unità divina ed indivisibile si manifesta quindi sempre e dovunque,
giacché questa separazione apparente agisce di continuo sotto forma
di forza d ’attrazione, onnipresente, tra il positivo ed il negativo. Sia il
positivo che il negativo aspirano a ritrovare il loro stato originario,
Vunità divina. Se qualcosa compare nel mondo manifesto, questo
qualcosa non può mai allontanarsi definitivamente dall’unità: presto o
tardi, riunendosi con la sua metà complementare, egli la ritroverà. La
forza che anima tutto ciò che esiste, che spinge ogni forma creata a
ritornare nell’unità, è ciò che chiamiamo Dio.
La creazione, ossia il mondo visibile, è simile ad un albero: a
destra porta frutti positivi e buoni, a sinistra frutti negativi e cattivi.
Ma i due lati fanno parte dello stesso tronco e derivano tutti dalla
stessa unità.
Il bene ed il male sono il risultato di questa separazione dall’uni
tà che non è né buona né cattiva, ma divina. Soltanto questa separa
zione ha reso possibile la conoscenza, di conseguenza il mondo visi
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 193
bile dev ’essere composto dal bene e dal male, altrimenti non sarebbe
riconoscibile, sarebbe inesistente.
L’intera creazione rappresenta l’albero della conoscenza del bene
e del male. Il creatore, Dio , non è una metà separata dell’Unità, giac
ché Dio è l’unità. Egli è al di sopra di tutto ciò che è creato, e che è
nato dall’unità; Egli è sito in Se stesso, in un’unità perfetta. Egli è il
Nulla da cui il Tutto sorge e si manifesta, ma in Lui, il Nulla ed il Tut
to compongono l’unità divina assoluta!
La creazione è sempre e soltanto una metà del Tutto, quella che si
è separata dall’unità e che, tramite il paragone, è diventata riconosci
bile, mentre la sua altra metà complementare è rimasta non-manife-
sta. Ecco perché non puoi mai trovare Dio, il creatore, nel mondo cre
ato, giacché Dio non ha alcuna metà complementare con cui Lo si
potrebbe paragonare. E del tutto impossibile compararlo a qualcosa,
di conseguenza non esiste alcuna possibilità di riconoscerlo: non ri
mane che ESSERE DIO\
Ora ascolta, figlia mia: c’è solo un ESSERE eterno, un solo Dio.
Questo solo ed unico ESSERE, questo solo ed unico Dio , vive in tutto
ciò che vive. Dio è l’unità indivisibile. Egli è onnipresente, Egli riem
pie l’intero universo; e tutto questo universo vive perché Dio lo ani
ma del suo ESSERE proprio ed eterno\ Dio è dunque come un albero
della vita che dona la sua essenza al mondo creato e visibile, questa
parte che si è separata dalla sua metà complementare, animandolo: è
l’albero della conoscenza del bene e del male. L’albero della cono
scenza, il mondo creato, vive soltanto perché l’albero della vita (Dio)
infonde la propria vita nelle vene dell’albero e vive in essol
Il mondo materiale è simile ad un albero morto: l’albero della
conoscenza del bene e del male, con il Dio che vi abita, è l’albero
della vita che vive in tutto ciò che è creato. Dio è uno. Questo Dio
unico è il Sé, l’essere più profondo di ogni creatura. Dio è onnipresente,
e siccome due cose non possono stare contemporaneamente nello
stesso luogo, e giacché nulla può cancellare Dio in un punto qualsiasi
dell’universo, può essere soltanto questo Dio unico a manifestarsi
come Sé in tutto e in ogni luogo. Dio è l’unità indivisibile. Tutte le
creature viventi, tutte le piante, gli animali, persino l’uomo sono frutti
sull’albero della conoscenza del bene e del male, e possono vivere
grazie al fluido vitale dell’albero della vita che corre nelle loro vene,
perché l ’albero della vita vive in loro. Anche in me, piccola mia! An
che il tuo corpo è un frutto sull’albero della morte, sull’albero della
conoscenza del bene e del male, e non ha vita propria; l’albero della
194 Elisabeth Haich
vita vive anche in te, perché il tuo Sé è un rametto del grande albero
della vita di Dio, e tu vivi solo perché Dio, il tuo Sé, vive in te e man
tiene la vita nel tuo corpo, nella tua persona.
Sei un essere riconoscibile perché sei nata in un corpo. La tua
coscienza si è separata dal Nulla-Tutto, da Dio, dal tuo vero Sé. Dallo
stato originale divino e paradisiaco in cui tutte le possibilità di mani
festazione (dunque tutte le piante, tutti gli animali e l’uomo stesso)
sono contenute, dall’unirà assoluta sei caduta nel mondo della diver
sità, della differenziazione. Tu sei diventata una manifestazione, una
forma creata, e quindi tutto ciò che sei qui, sul piano terreno, è soltan
to la metà manifesta dell’unità composta di bene e di male. Siccome
la tua coscienza si è spostata nel tuo corpo, tu ti sei svegliata in esso,
ovvero la tua coscienza si è identificata con il tuo corpo.
“Mangiare” qualcosa significa “diventare identico”, e dal momen
to che sarai composta da ciò che mangi, diventerai ciò che mangi. Dal
momento che la tua coscienza si è identificata al corpo, tu hai “man
giato”, per dirla simbolicamente, i frutti dell’albero della conoscenza
del bene e del male, diventando, in tal modo, un suddito del regno
della morte.
Ora ascolta attentamente: il tuo corpo è la conseguenza, il risultato
della separazione; è soltanto la parte visibile del tuo vero Sé. L’altra
metà è rimasta nel non-manifesto, nella parte inconscia del tuo essere.
Se riunisci le due metà complementari, puoi ritrovare l'unità divina!
E assolutamente impossibile vivere fisicamente questa unità, rendere
s
cos’è l’iniziazione!»
Ptahhotep tace. Nell’insondabile profondità del suo sguardo cele
ste, riconosco quest’unità divina. L’infinita felicità, la calma e la pace
che emanano dai suoi occhi inondano la mia anima, e vedo nel suo
sguardo il compimento della verità.
Mi benedice, ed esco.
CAPITOLO XXVIII
nel momento e nel luogo in cui è bene tacere, ma se uno tace dove e
quando dovrebbe parlare (ad esempio quando, con una parola, si po
trebbe salvare qualcuno da un grave pericolo), questo “silenzio” di
venta satanico.
Quando si parla nel momento e nel luogo inopportuni, la facoltà
divina di parlare diventa un “ciarlare” satanico.
Una metà del secondo paio di qualità, la ricettività, è divina quan
do ci si apre a tutto ciò che è superiore, al Bello, al Buono e al Vero,
ossia a Dio, lasciandolo agire in sé, ricevendoLo in sé, ma diventa di
sastrosa e satanica quando si trasforma in un carattere debole, incapa
ce di resistere alle influenze esterne.
L’altro aspetto di questa qualità, la resistenza alle influenze, è la
facoltà di opporsi incrollabilmente alle influenze di bassa lega: se
questa resistenza, però, si oppone alle energie superiori, la facoltà
divina della “resistenza alle influenze” diventa “isolamento satanico”.
Ogni membro che lavora alla grande opera vota un’obbedienza
assoluta alla volontà divina; questa può manifestarsi direttamente at
traverso te stessa, ma anche attraverso altri, ed impari a riconoscerla
dopo aver esaminato a fondo tutto ciò che viene richiesto da te, quan
do, cioè, sei certa che questo corrisponde alla tua più profonda con
vinzione. Dio ci parla per mezzo della nostra convinzione profonda, e
gli dobbiamo obbedienza assoluta: obbedire a qualcuno contro la no
stra convinzione, per viltà, per timore, magari per essere “gentile” o
per trame vantaggi materiali, e quindi per motivi di bassa lega e
personali, equivale ad essere “servili” il che è satanico.
Regnare significa dare la propria forza di volontà agli esseri igno
ranti e deboli. L’amore universale deve condurre al benessere genera
le, mobilitando tutte le forze attive del popolo ma senza mai violare il
suo diritto all’auto-determinazione. Colui che, senza amore, impone
la propria volontà agli altri e viola il loro diritto all’auto-determina
zione, trasforma la qualità divina del “regnare” in una “tirannia” sata
nica.
Dobbiamo comportarci con umiltà davanti al Sé supremo che ci
anima, davanti al divino in noi. Devi essere cosciente del fatto che
tutte le qualità belle, buone ed autentiche Gli appartengono, che la
persona è uno strumento di manifestazione, un apparato di proiezione
del divino, ma che è soltanto un guscio vuoto. Devi riconoscere in te
la divinità che si manifesta ovunque nell’universo, VESSERE eterno,
e sottometterti umilmente a questa divinità. Invece, non devi mai
sottometterti alle potenze terrene o infernali, né piegare il capo da
200 Elisabeth Haich
to Dio\ sei fedele a Dio attraverso di loro, giacché ami la loro persona
solo quale strumento divino. Così, il rispetto e la lealtà che dimostri
verso i tuoi maestri e verso i tuoi collaboratori non si trasformeranno
mai in adorazione né in un “culto della personalità”.
Se vuoi essere utile alla grande causa, devi possedere l’arte di
padroneggiare la tua personalità e di servirtene in pubblico come di
uno strumento obbediente. Davanti ad un gruppo di persone, devi
essere capace di far valere i tuoi talenti e le tue facoltà, grazie alle
tue forze spirituali, conducendoli al loro stesso apogeo in modo che,
attraverso l’intero tuo corpo, tu manifesti il tuo spirito elevato; sia per
il tuo modo di comportarti, sia con i movimenti delle tue mani, con
l’espressione degli occhi, con le tue parole persuasive, devi poter
riunire il gruppo sotto la tua influenza ed elevarlo insieme a te su un
gradino spirituale superiore. Devi dunque poter comparire in pubblico
senza vergogna né complessi, per mostrare il tuo spirito per mezzo
della tua personalità; ma questa qualità non deve risvegliare in te il
diavolo della vanità, né trasformarsi in sufficienza utilizzando i doni
ricevuti da Dio per diventare fanfarona. Se il pubblico ti fa festa e ti
applaude, sia sempre presente nella tua coscienza il fatto che questa
gente non è stata conquistata dalla tua persona, che non è altro che un
guscio vuoto, bensì da Dio che si è manifestato attraverso il tuo invo
lucro terreno.
Se, esercitandoti nell’arte di “mostrarti”, non soccombi alla vani
tà, allora non ti disturberà certo di dover passare inosservata com
piendo altre funzioni; in tal caso, non devi far mostra delle tue quali
tà, ma restare anonima e scomparire tra la folla. Che questo modesto
“restar nell’ombra” non diventi però una sotto stima di sé né un’auto
distruzione: la tua dignità umana deve restare sempre presente in cuor
tuo.
Onde partecipare validamente al piano divino, devi poter dar pro
va del tuo disprezzo per la morte', devi avere la fermissima convinzio
ne che la morte non esiste. Quando il tuo corpo è consunto, il tuo Sé
se ne libera; il Sé è un ramo dell’albero della vita, la Vita stessa, e la
vita è immortale. Se, nella tua coscienza, ti sei identificata con la vita,
saprai far fronte alla morte (qualora la tua missione ti metta in perico
lo mortale) senza paura e con il più assoluto sdegno davanti ad essa.
Ma che questo “disprezzo per la morte” non si trasformi mai in una
sottostima della vita, un “disprezzo della vita”.
Devi rispettare la vita al di sopra di ogni cosa. La vita è Dio. In
tutto ciò che vive, VESSERE eterno si manifesta. Non devi mai espor-
204 Elisabeth Haich
ti al pericolo senza ragione: apprezza la Vita nel tuo corpo, vivi con
gioia, ma che questa gioia di vivere non divenga uno scopo di per sé,
e non degeneri in “sensualità”.
Poi viene la prova più difficile, quella dèli’amore e dell ’amor cru
dele, Y indifférénzà. Quest’ultimo paio di qualità gemelle rappresenta
giàTulla Terra un’unità inseparabile; ogni volta che ne manifesti una
metà, automàticamente si manifesta anche l’altra. Devi rinunciare ap
pieno al tuo punto di vista personale, alle tue preferenze!;' àTtuoi
sentimenti personali: poter amare come ama Dio, amare tutto, senza
disiìnzi^è^~disclrìminazioneì Anìiafe nell’unità déìTESSÈRÈ eterno.
Simile" a! sòie che illuminà "che ama - con perfetta indifferenza piò
che è bello come~ciò che è brutto, ciò che buono come ciò che è
cattivo, ciò che è vero come ciò che è falso, devi amare senza distin
zióne: iì bèllo e il brutto, il buono e il cattivo, il vérò e il falso.
L’amore divino supremo è Vamoreperfettamente imparzialel Che
uno sia bello oppure brutto, buono oppure cattivo, autentico oppure
falso, dev’esserti del tutto indifferente: devi amarli tutti con lo stesso
amore. Devi imparare che la bellezza non esiste senza la bruttezza; '
che la bontà non esiste senzail male e che non può esistere il vero"
senza il falso. Ècco perché devi amare tutto: devi riconoscere che il
belloe il bmtto, il buono ed il cattivo, il vero ed il falso sono solo
immagini complementari d&WIneffabile che, per poterlo nominare,
chiamiamo “Dio”.
Se irradi quest’amore perfettamente imparziale e completo verso
ogni creatura vivente, allora questo amore non ha più nulla in comune
con le inclinazioni personali, consideri ogni cosa dal punto di vista
del Tutto. Se l’interesse generale differisce da certi interessi persona
li, difendi senza esitare l’interesse generale, senza considerare l’inte
resse individuale. Ma che questa mancanza di considerazione derivi
sempre dall’amore universale e divino e non da un’antipatia persona
le.
Ma devi anche manifestare il tuo amore impersonale, crudelmente
imparziale per il tuo prossimo quando, ad esempio, la sua anima può
essere salvata solo a prezzo del suo benessere terreno, anche se si
tratta di una persona che ti è molto vicina. Quando è necessario, se
una persona a te molto cara è in grave pericolo, devi rimanere spetta
tore indifferente: se non reagisce con i metodi ordinari, non hai il
diritto di intervenire usando la tua forza spirituale, l’ipnosi o mezzi
magici, quando la salvezza della sua anima dipende da quest’espe
rienza. È meglio, per un uomo, essere rovinato materialmente o fisi-
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 205
I leoni
Il giorno seguente è festa grande: come al solito, Menu mi veste,
calzo sandali dorati, e entro nella mia stanza da ricevimento ove mi
attendono le dame di Corte, il cancelliere Roo-Kha, e due portatori di
gioielli. Roo-Kha avanza con aria cerimoniosa alla volta dei due por
tatori ed apre il cofano: la prima dama di Corte, che è statarla mia
principale governante, ne estrae una splendida gorgiera d’oro, si avvi
cina a me con passo solenne e me la posa sulle spalle. Con altrettanta
solennità fissa sulla mia cuffia il diadema a testa di serpente, poi mi
infila i braccialetti, e infine gli anelli alle caviglie. Io resto in piedi,
immobile come una statua, dignitosamente. Mi comporto in modo
irreprensibile, eppure mi piacerebbe molto di più tirar violentemente
la barba di Roo-Kha che mi guarda con aria impertinente. Non è un
uomo cattivo, ed ha, anche lui, un po’ di sangue dei figli di Dio nelle
vene; è molto intelligente ed astuto e può leggere anch’egli, nel cuo
re, i pensieri altrui, ma è un dono di cui non si serve molto. Quando si
inchina davanti a me, non lo fa con il rispetto di un cancelliere per la
regina, ma come un uomo si inchinerebbe davanti alla mia bellezza
femminile: mi guarda ancora con bramosia. Che impudente! Eppure,
sa che posso leggere chiaramente i suoi pensieri e sapere quali sono i
suoi sentimenti... Ma mi vengono in mente le parole di Ptahhotep:
«Ogni essere è animato dal desiderio di trovare l’unità divina. Il
maschile cerca il femminile, il femminile il maschile, è l’attrazione
fra le due forme di manifestazione delle forze creatrici...» e allora
capisco Roo-Kha; questa forza è attiva anche in lui, e non è colpa sua
se mi trova di suo gusto. Questa è la causa della sua impertinenza.
Senza quella forza non mi guarderebbe nemmeno... In fondo in fon
do, non sono poi tanto seccata che ammiri la mia bellezza...
Terminata la cerimonia della vestizione, le dame di Corte e Roo-
Iniziazione: memorie di un’Egizia 207
Esercizi di telepatia
Un giorno, Ptahhotep mi convoca per la sera stessa. Quando mi
presento al suo cospetto mi dice:
«Fin qui hai superato bene le prove preparatorie, e puoi cercare di
metterti coscientemente in contatto spirituale con qualcuno. Questi
esercizi riescono meglio dopo il tramonto, perché i raggi solari hanno
un’azione stimolante sui centri nervosi e sulle glandole che servono
per la manifestazione corporea dello spirito, e collegano la coscienza
alla materia. I raggi del sole ostacolano le manifestazioni spirituali.
Una volta tramontato, il sole smette di agire, e la coscienza può
liberarsi dall’influenza di certi centri nervosi ed elevarsi verso lo
spirito. Gli esseri viventi vanno a dormire, e “dormire” significa che
la coscienza si ritira dal corpo per entrare nel campo dello spirito. Gli
uomini, per la maggior parte, non hanno ancora potuto raggiungerne
coscientemente neppure i livelli inferiori, sicché perdono conoscenza
e si addormentano; con la pratica, si può sviluppare la resistenza dei
nervi in modo da rimanere coscienti fino al piano inferiore; così, i
centri nervosi e cerebrali, che sono a riposo durante la giornata, si
animano e possono assorbire e trasmettere le vibrazioni dello spirito,
del Sé.
E così che puoi stabilire un contatto a distanza, un contatto telepa
tico; preferibilmente, quando si inizia, è bene cominciare dopo il
tramonto, per non subire l’influenza solare; in seguito, sarà possibile
stabilire un contatto telepatico in qualsiasi momento.
Come per gli esercizi di concentrazione, l’attenzione dev’essere
interamente focalizzata su un solo pensiero; concentrati compieta-
mente sulla persona con cui vuoi entrare in contatto, magari aiutando
ti con la forza dell’immaginazione: ad occhi chiusi immaginala da
vanti a te, vedila dentro di te, con il suo profilo, il suo volto, i suoi
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 211
occhi, immagina di essere lei e che lei è te, finché hai veramente la
sensazione che le sue mani siano le tue, che il tuo corpo sia il suo,
fino ad identificarti perfettamente con essa. Quando hai raggiunto
questo stato, pensa in modo chiaro e concentrato al messaggio che
vuoi trasmettere; pensaci essendo cosciente del fatto che tu sei il de
stinatario che pensa dentro di te quel pensiero.
Questo esercizio si divide in tre fasi: nella prima, ti eserciti in
presenza della persona con cui vuoi stabilire un contatto, ed è lei a
regolarsi su di te.
Nella seconda fase, farai il medesimo esercizio ma a distanza, in
un momento convenuto, sicché ognuno di voi sa che si sta concen
trando sull’altro.
Infine, stabilirai un contatto a distanza senza che l ’altro ne sia av
vertito. Queste tre fasi formano la parte positiva dell’esercizio telepa
tico: quando sei tu che vuoi trasmettere qualcosa. La metà negativa
dello stesso esercizio consiste nel poter ricevere e comprendere una
comunicazione telepatica. Questa metà, a sua volta, si divide in tre
fasi, nella prima delle quali ti metti in stato ricettivo e fai “il vuoto” in
presenza della persona dalla quale vuoi ricevere un messaggio; poi,
da sola e in un momento convenuto, sai quando e chi si concentrerà
su di te; infine, dovrai poter ricevere tutti i messaggi telepatici senza
sapere né quando né chi si concentra su di te.
Col tempo, svilupperai così bene questa facoltà da reagire istanta
neamente ad ogni messaggio telepatico emesso da chicchessia in
qualsiasi momento. Quale che sia la tua occupazione, ti accorgerai
quando qualcuno si concentra su di te, e sentirai in te la sua voce. Ad
un grado ancora più elevato della trasmissione telepatica, non solo
sentirai la voce, ma vedrai l’immagine della persona con cui sarai al
lora in contatto; la sua figura, il suo volto, e specialmente i suoi occhi
sorgeranno dentro di te, simile a un fantasma, ad una visione onirica...
Quando sarai giunta a questo livello, le catene della materia (il tuo
corpo) non ti sembreranno più così pesanti, perché l’isolamento si
sarà sensibilmente ridotto: potrai godere della libertà dello spirito già
nel corpo.
Dunque, è di notte che puoi stabilire più facilmente un contatto
telepatico. La coscienza è meno occupata dai pensieri, l’uomo è meno
isolato e passivo e la tua radianza telepatica ha più probabilità di
raggiungerne i centri nervosi. Ma questi centri, nella maggior parte
delle persone, sono così addormentati, così poco sviluppati, che prima
che reagiscano ci vuole un’azione molto intensa. Durante il sonno
212 Elisabeth Haich
Il futuro
Mi si schiude dinnanzi un lungo periodo di vita: esamino ogni mio
pensiero, ogni mia parola, ogni mia azione; rifletto ed osservo per
saper se davvero esprimo il divino nel luogo e nel momento opportu
no, e mai il satanico. Questo stato di vigilanza e di osservazione
costante di sé mi fa scoprire fino a che punto sono ancora indiscipli
nata, spontanea, sensuale; per dirla in breve, quanto ancora sono “per
sonale”. Quanto tempo ci vorrà ancora per riuscire infine a non farmi
più trascinare dalle mie passioni, per non identificarmi più con le mie
impressioni esteriori, e restare sempre padrona di tutte le mie energie
fisiche, psichiche e spirituali?
In questo periodo di preparazione all’iniziazione vado al Tempio
soltanto al mattino; dopo gli esercizi fisici e psichici ritorno a palazzo
e, il pomeriggio, partecipo alla vita pubblica ed ufficiale. Le escursio
ni in battello o sul carro si alternano con i viaggi, le visite agli im
pianti, ai terreni, ai vari edifici, e tutto questo mi annoia terribilmente.
Non che non mi piaccia stare in società, al contrario! Mi piace molto
stare con gli altri, ma soltanto con coloro che sono vicini a me e che
hanno qualcosa da dire. Ora, gli umani sono così diversi da noi, nati
dai figli di Dio! Anche noi abbiamo sangue umano, naturalmente non
siamo più una razza pura, ma viviamo ancora consciamente nello
spirito, e non siamo così materiali come i figli degli uomini. Si direb
be che abbiano completamente dimenticato che, nel loro Sé, essi sono
spiriti liberi, e che il corpo è soltanto uno strumento di manifestazio
ne: si identificano con esso al punto da vivere nell’illusione di essere
il corpo soltanto. Quando esso desidera cibo, gli uomini credono di
essere loro a voler mangiare, di essere loro ad aver fame, e invece di
assumere il cibo sotto il controllo dello spirito, agiscono come se
fossero loro a mangiare e non come se fossero spettatori dell’attività
216 Elisabeth Haich
che un tempo fece scomparire la patria dei figli di Dio, non deve
accadere mai più: una volta che tutti questi apparecchi altamente
sviluppati saranno stati annientati, quando la conoscenza sarà stata
perduta, allora gli uomini dovranno lavorare la terra con la loro forza
fisica, e con le loro mani dovranno rompere le pietre come gli uomini
primitivi; dovranno anche sopportare la tirannia dei loro simili, per
quanto nati dalla loro stessa razza. Tuttavia, giacché ciò che si mani
festa sulla Terra è animato da forze originate dall’unità inseparabile
che aspira all’equilibrio, quella tirannia dei dirigenti egoisti risveglie-
rà la coscienza della massa, mentre sofferenza e dolore attireranno
l’attenzione su verità più spirituali.
Apparentemente le guide spirituali della Terra devono lasciare che
l’umanità cerchi e trovi da sola le verità divine in sé e nella natura, in
modo indipendente e liberamente consentito: altrimenti essa non po
trà elevarsi fino all’ultimo gradino. Anche una madre lascia che il suo
bambino faccia da solo i primi passi perché diventi indipendente, ma
resta vigile, ad una certa distanza, pronta a rimetterlo in piedi se
dovesse cadere. Le guide spirituali della Terra sono pronte ad interve
nire, se sarà necessario, per aiutare gli uomini a superare delle diffi
coltà eccessive: lavorano, dirigono e guidano l’umanità dal piano
spirituale, ed ogni volta che, invece della conoscenza, trionfano sulla
Terra la superstizione e l’errore, ogni volta che l’oscurità è tanto
profonda da minacciare di andare oltre tutti i limiti possibili, c’è
sempre un figlio di Dio che si sacrifica e scende sulla Terra, incarnan
dosi in un corpo umano per portare all’umanità il conforto e la luce
divina.
Con l’incrocio fra la razza divina e la razza umana, le caratteristi
che divine ereditarie si diffonderanno. Così, un figlio di Dio potrà
sempre ricevere, grazie ad una donna pura, un corpo munito di tutti
gli organi che gli saranno necessari per manifestarsi appieno. Per
molti millenni, ogni epoca dell’evoluzione della Terra vedrà incarnar
si dei figli di Dio per insegnare agli umani le leggi dello spirito,
dell’amore disinteressato, nonché per compiere molte altre funzioni.
Anche quando il potere sarà passato fra le mani degli uomini, ci
saranno ancora alcuni paesi governati saggiamente e con giustizia dai
figli di Dio che daranno i natali ad una nuova cultura avanzata sulla
Terra o, perlomeno, in alcuni luoghi del pianeta. Altri saranno scien
ziati, artisti, mistici e porteranno all’umanità Yarte suprema, la musi
ca, la letteratura. Regaleranno al mondo idee nuove, consentiranno
scoperte che orienteranno lo sviluppo umano verso un’altra direzione;
222 Elisabeth Haich
dei figli di Dio e loro pari. I figli di Dio che sono “caduti”, che sono
sprofondati nella materia, che hanno bruciano i loro centri nervosi e
cerebrali avendo condotto in essi, senza trasformarle, vibrazioni alta
mente spirituali e penetranti e che per questo sono morti, anch’essi
lavoreranno con Ptahhotep. Soltanto le esperienze che raccoglieranno
nel corso di molte incarnazioni consentiranno loro di ritrovare il loro
livello originale di divinità; infatti, dovranno risvegliare in un corpo
di livello inferiore, i loro centri nervosi e cerebrali superiori nella
sofferenza e nel dolore e dovranno essere molto perseveranti, pazien
ti, fare molti sforzi per manifestare nuovamente facoltà spirituali e
magiche. Non si sentiranno mai davvero a casa fra gli uomini, perché
avranno un modo di pensare del tutto diverso; non comprenderanno
né potranno davvero adattarsi alla vita terrena: .l’universo umano re
sterà loro estraneo, saranno incompresi, solitari, e considerati strani.
Come già ti ho detto, in gran parte avranno la missione di insegnare le
scienze, l’arte e la letteratura, e portare idee nuove: saranno onorati
da coloro che li comprenderanno mentre gli altri, invidiosi e gelosi, li
odieranno perché saranno obbligati a riconoscere la loro superiorità.
Queste sofferenze, questi dolori, serviranno a risvegliare dal loro so
gno materiale i figli e le figlie di Dio che vi erano sprofondati; ritro
veranno il contatto perduto con i loro fratelli e potranno così acquisire
di nuovo la loro coscienza cosmica', allora, saranno pronti a cooperare
consciamente con il piano divino e a proclamare sulla Terra le verità
divine.»
Ho ancora una domanda:
«Hai detto che i figli di Dio a poco a poco scompariranno comple
tamente dalla Terra, e che gli uomini prenderanno il potere, sebbene
il loro livello spirituale sia molto basso e sebbene, quindi, non siano
ancora coscienti d’altro che dei loro corpi. E come potranno, costoro,
controllare i leoni? Questi magnifici animali sono così sensibili che
già adesso non possono tollerare la presenza dei figli degli uomini
egoisti: al loro livello animale, sono una manifestazione della massi
ma energia, l’energia solare, sono in armonia con le vibrazioni solari,
l’onestà, il coraggio e l’amore. Hanno dei nervi così affinati che non
sopportano nessuna radiazione inferiore ed immediatamente sentono
se qualcuno si avvicina con amore, con paura o persino col desiderio
di dominarli. Ecco perché detestano i figli degli uomini così egoisti e
avidi di potere. I leoni, come potranno dunque essere al servizio degli
uomini? Questa è una cosa che non riesco ad immaginare, Padre.»
«La tua immaginazione ha ragione se non ti mostra come i leoni
226 Elisabeth Haich
non saranno mai tanto sicuri quanto quelli dei figli di Dio. Tuttavia,
più tardi, gli uomini scopriranno tutti i segreti dei figli di Dio nonché
i misteri supremi della vita, ed allora il ciclo di sviluppo sarà comple
to.»
«Padre, parlami del mio avvenire.»
Di nuovo Padre mi lancia uno sguardo strano, triste, mi avvicina
ancora di più a sé e, con una voce nella quale la tristezza è appena
velata, mi dice:
«Piccola mia, ho parlato anche del tuo avvenire, ma non l’hai
riconosciuto. Questo, come d’altronde il fatto che tu non possa vedere
il tuo futuro se non avvolto in una spessa nebbia, prova proprio che il
Sé del mondo - Dio - ha ottime ragioni per non rivelartelo. E come
potrei andare contro la sua volontà? Accontentati di sapere che è
preferibile non conoscerlo. Se tu lo conoscessi non potresti svolgere
correttamente le tue funzioni e i tuoi compiti presenti.
Ma ti posso dire una cosa: vivremo insieme tutti gli eventi di cui ti
ho parlato, anche senza essere fisicamente riuniti. Di quando in quan
do dovremo reincarnarci, ma non nella stessa epoca, né nello stesso
luogo. Verrà tempo, anche per te, di vivere e lavorare sulla Terra
mentre io sarò attivo nel mondo spirituale ed influenzerò l’atmosfera
terrestre insieme a Ptahhotep e molti altri figli di Dio. Tuttavia, nei
tuoi sogni, ci incontreremo spesso... Ma tutto questo non ha molta
importanza perché, qualsiasi cosa ti accada, sei unita con il Sé supe
riore e legata eternamente a noi...»
Gli getto le braccia al collo e, felice, gli dico:
«Sì, Padre, faccio parte di voi e non mi abbandonerete mai!»
«Non ti abbandoneremo mai» ripete Padre con tono grave e solen
ne.
Scende la sera, ed io mi siedo in terrazza con Padre, ad ammirare
quello straordinario tramonto. Mentre l’astro si immerge sempre di
più ad ovest, Padre indica il grande estuario del fiume e dice:
«Tra molto, molto tempo, là dove vedi abbattersi le onde del
mare, ci sarà la terraferma, ricoperta da città animate. Il Nilo porta
molta terra con sé, la depone sulla spiaggia, e questa si espande
sempre di più. Migliaia di anni fa, qui dove siamo seduti c’era soltan
to acqua e, fra migliaia di anni, là dove vedi quella barca ci sarà la
terra ferma. Non soltanto le catastrofi cambiano la faccia della Terra,
ma anche il lento lavorio dell’acqua.»
Mentre parla, il sole si abbassa ancora all’orizzonte. Tutti i colori
dell’arcobaleno illuminano il cielo, trasformandolo senza sosta. Poi il
228 Elisabeth Haich
l’insegnamento del Tempio. Vedi che la sua anima è pura, che \a sua
intelligenza è molto viva: lo condurrò al Tempio affinché possa svi
luppare le sue facoltà. Allora, vedremo come si evolve e di cosa è
capace. Forse diventerà sacerdote. Permetti che resti con me.»
«Benissimo — dice Padre — puoi tenerlo con te. Il vostro destino
vi ha legati l’uno all’altra da molto tempo, e continuerà a farlo: per
questo sei stata tu a vederlo e a trovarlo per prima. Secondo le leggi
segrete del destino,/« parte di te.»
Mentre parliamo, il bambino ci osserva e, come se ci avesse com
presi, si getta ai miei piedi manifestando la sua gratitudine e la sua
fiducia.
Lo prendo per mano, lo conduco da un servo che ha l’incarico di
vestirlo e ristorarlo. Mangia con tale appetito che non si nota neppure
la sua stanchezza. E stanco davvero, però, e si addormenta subito sul
letto che gli è stato preparato in un angolo della mia camera.
Padre ed io rimaniamo ancora sulla terrazza. Il mare finalmente si
calma e assistiamo meravigliati al gioco dei colori del tramonto.
«Padre, quel bastone, di quale energia è carico? Da dove viene e
come? Il suo effetto sul bambino è stato quasi magico; era mezzo
morto e, dopo il tuo trattamento, si è ritrovato colmo di nuova vita.»
Padre tace per alcuni secondi prima di rispondere:
«Il piccolo è stato davvero riempito di nuove forze vitali. Il miste
ro di quel bastone fa parte dei segreti dell’iniziazione, e dobbiamo
tenerlo nascosto perché non soltanto il bastone è dispensatore di vita,
ma può uccidere. Se il suo segreto cadesse nelle mani di qualche
ignorante animato dalla cupidigia, lo utilizzerebbe subito per uno
scopo vile. Presto riceverai l’iniziazione, e già conosci l’arte di tace
re; ecco perché hai assistito al trattamento che ho fatto al bambino
con il bastone. Ptahhotep te ne spiegherà il mistero in ogni particolare
e, dopo l’iniziazione, ti insegnerà ad usarlo. Domani rientriamo a
palazzo e andrai da lui: hai compiuto grandi progressi nell’autocon
trollo e la tua iniziazione è vicina; ancora gli ultimi insegnamenti, poi
la riceverai.»
Sono profondamente scossa, e taccio. La mia iniziazione, fra
poco! Tutti i lunghi anni di preparazione si concluderanno, infine, e
sarò ammessa nel santuario segreto del Tempio. Iniziata! In silenzio
ammiriamo la gloria del tramonto.
I giorni felici e liberi passano troppo in fretta, ed eccoci di ritorno
a palazzo. Porto con me il piccolo, quel povero uccellino senza nido,
nei miei appartamenti, e racconto a Menu ciò che è avvenuto. Il suo
232 Elisabeth Haich
Dall’insegnamento di Ptahhotep
Le sette ottave di vibrazioni
L’Arca dell9Alleanza
tibili agli organi di senso, vengono vissute dall’uomo nella sua anima
sotto forma di odio. L’iniziato userà sempre correttamente il bastone
della vita e irradierà sempre la forza necessaria per fare del bene, e
quindi sarà una benedizione. Quanto alle vibrazioni ultra-materiali,
se necessario ne farà uso per creare un muro di protezione invisibile
ed impenetrabile. Con l’aiuto del bastone, l’iniziato può padroneggia
re, amplificare o neutralizzare tutte le forze della natura.
Tutti gli esseri viventi possiedono queste forze, ma soltanto ad un
livello che corrisponde al loro sviluppo; se ne servono, ma non ne
sono coscienti. Hai mai incontrato un uomo che si chieda, ad esem
pio, come mai può alzare le braccia o i piedi? Oppure, come mai,
anche per un breve istante, può allontanarsi dalla Terra saltando?
Alza un braccio, ed osserva: non stai forse contraendo i muscoli, i
quali sollevano il braccio? La contrazione dei muscoli ti permette di
eseguire tutti i movimenti del corpo ma, figlia mia, che cos’è che
contrae i muscoli? Rifletti!»
«La mia volontà, Padre.»
«Sì, la tua volontà. Ma ora ti chiedo: che cos’è la volontà? Che mi
rispondi?»
«Padre, mi sono spesso osservata, quando volevo qualcosa; ma ho
potuto constatare soltanto che, quando voglio qualcosa, emetto una
forza e le imprimo una direzione. Per riprendere l’esempio che hai
fatto tu, se voglio alzare il braccio abbandonato e rilassato (pende
verso il basso perché la Terra lo attira a sé) questa energia scorre in
esso per mezzo della mia volontà, forza i muscoli a contrarsi e ad
alzarlo.»
«Giustissimo — dice Ptahhotep. — Con il fatto stesso che la tua
forza di volontà è affluita nei muscoli hai vinto nel tuo braccio la for
za d ’attrazione terrestre, questa forza immensa della natura. La stessa
cosa avviene quando salti, anche se solo per un attimo, giacché solo
per un breve istante la tua forza di volontà ha superato la forza del
l’attrazione terrestre. Il tempo consuma la tua forza di volontà trasfor
mata in energia fisica. Il tempol
E lo spazio? Hai usato la tua forza per alzare il braccio, il corpo,
in altezza, per allontanarlo dalla Terra, dunque muoverlo nello spa
zio. Constati allora che la tua forza viene consumata da due fattori
importanti: il tempo e lo spazio. Se potessi amplificarla ed immagaz
zinarla nel corpo, allora potresti vincere la forza di attrazione terrestre
più a lungo, e restare ad una maggiore distanza da terra. Potresti
fluttuare per aria! Ma non ci riesci, perché non sei ancora cosciente
Iniziazione: memorie di un’Egizia 245
loro salute, alla pioggia, alle loro comodità e al loro benessere spiri
tuale.»
«Padre della mia anima, come si fa a caricare l’Arca dell’Alleanza
di energia creatrice?»
Ptahhotep mi scruta con uno sguardo acuto e dice:
«Vedo che già sai come la si può caricare. Come ti ho detto, sulla
Terra esiste un’unica fonte capace di irradiare questa forza, l’uomo
dio. È un dovere del gran sacerdote caricare l’Arca deH’AIleanza di
forza creatrice divina, risultato a cui giunge incanalando direttamente
la propria energia nell’Arca dell’Alleanza oppure, con il bastone della
vita, convertendo in forza divina creatrice una corrente energetica as
solutamente positiva , che irradia dalla sua mano a frequenza inferio
re, per poi condurla nell’Arca dell’Alleanza. Perché, nella sua vita
quotidiana, anche l’uomo-dio irradia la forza creatrice soltanto tra
sformata. Soltanto quando tutte le sue forze spirituali sono concentra
te, quando, nella sua coscienza, è identico a Dio, egli emette l’energia
divina nella sua vibrazione prima: deve essere in uno stato di coscien
za cosmica assoluta, se vuole irradiare tale forza creatrice. Se i figli
degli uomini non iniziati lo vedessero in quello stato ne avrebbero
paura, perché l’uomo-dio irradia una luce sovrannaturale insopporta
bile per gli occhi umani. Se un non-iniziato toccasse un iniziato che
fosse in questo stato di ESSERE divino, morirebbe istantaneamente
come se toccasse l’Arca dell’Alleanza.
Così, quando un iniziato emette i suoi raggi di vita a scopo
curativo, deve concentrarsi affinché la sua radianza possa essere sop
portata senza danni; grazie al bastone, è possibile amplificare l’ener
gia e poi condurla nei centri nervosi appropriati fino al livello del
l’energia creatrice; il bastone è progettato non solo per trasmettere
queste radiazioni, ma anche per trasformarle a piacere onde poterle
irradiare amplificate o ridotte. L’iniziato non deve quindi mettersi in
uno stato di ESSERE divino per condurre la radiazione suprema nel-
l’Arca dell’Alleanza, ma in uno stato di concentrazione inferiore da
cui convoglia, nell’Arca dell’Alleanza, grazie al bastone, la forza
corrispondente al proprio stato, amplificandola in seguito fino al li
vello dell’energia creatrice. Caricata in questo modo, l’Arca può, per
un lungo periodo, irradiare tale energia, la più elevata e la più potente
che esista, come fonte di ogni altra energia sulla Terra.
Grazie al bastone, l’iniziato può creare e trasmettere le frequenze
più diverse, giacché questo strumento è un’Arca dell’Alleanza in mi
niatura, tranne per il fatto che non può immagazzinare l’energia crea
250 Elisabeth Haich
attira la Terra e tutti gli esseri viventi verso il centro dev’essere que
sto desiderio di riunione fra la Terra e la sua metà complementare
rimasta nel nulla, quale riflesso negativo. La forza d’attrazione terre
stre, attira dunque tutta la Terra nel Nulla che si trova al di là del
tempo e dello spazio per pervenire a questa unione. E se la Terra
cedesse, allora scomparirebbe nel centro, nel Nulla. Questo signifi
cherebbe il ritorno all’unità paradisiaca, a Dio, alla felicità! E allora,
perché non può accadere, Padre?»
«Piccola mia, l’ostacolo sta nella resistenza della material Nessu
na creazione è possibile senza resistenza! E la forza di resistenza del
la materia che impedisce alla Terra e a tutto il creato di scomparire, di
essere distrutto; qualsiasi cosa appaia nel mondo visibile, cade da un
punto dell’universo che, da quel momento, diventa il suo stesso cen
tro. La caduta fa di questa cosa la materia, la quale non può più
ritornare all’unità divina, giacché la sua stessa resistenza glielo impe
disce. Un ritorno all’unità divina, paradisiaca, a Dio, è possibile sol
tanto mediante la spiritualizzazione della materia, quando la materia
si trasforma in spirito. Senza un aiuto spirituale, essa non potrebbe
mai diventare spirito da sola, ed ecco perché un aspetto di Dio scende
nella materia, assume le sembianze e le proprietà di questa materia, la
anima in qualità di Sé per permetterne la spiritualizzazione, la salvez
za.
L’effetto esercitato costantemente da questo Sé (rivestito di mate
ria nel corso dei tempi) dal centro di ogni cosa creata sulla struttura
più intima della materia, ha condotto allo sviluppo di tutte le forme
esistenti, ad ogni livello della scala evolutiva. E così che ogni creatu
ra è stata creata, dal protozoo alla manifestazione più elevata.
Sulla Terra, la creatura più elevata è l’essere umano. La sua mis
sione è perfezionare la spiritualizzazione della materia, un lavoro al
quale qualsiasi essere vivente partecipa secondo il proprio sviluppo.
Ogni essere umano che, dallo stato di identificazione con il proprio
corpo, si trasforma risvegliandosi allo spirito e, in coscienza, si iden
tifica finalmente con il Sé divino, ha compiuto la propria missionel
Ha spiritualizzato un pezzettino di Terra, ha fatto progredire la Terra
di un passo verso la redenzione. Solo allora, può collaborare alla
salvezza degli altri.
Ora sai perché puoi stare in piedi, qui davanti a me: perché il Sé
della Terra, che è contemporaneamente anche il nostro, ama la Terra
e tutti i suoi esseri viventi, li attira a sé, nell’Unità divina, simile allo
sposo che vuole unirsi alla sposa. Questa volontà, quest’aspirazione
Iniziazione: memorie di un ’Egizia 257
Come vedi, il cubo nasconde una forma che dipende da leggi del
tutto diverse da quelle che reggono il cubo, giacché essa non si com
pone di quadrati ma di triangoli. Se apriamo il tetraedro e appiattiamo
i triangoli, otteniamo un unico triangolo equilatero, che è la rappre
sentazione simbolica di Dio.
Simile al triangolo equilatero che forma il suo guscio, il tetraedro
è Fincamazione deU’arindnia^énleirequilibrio. Siccome ognuno dei
vertici è ad uguale distanza dagli altri; non c’è in esso alcuna tensio
ne, ma uno stato di ripòsò equilibrato. Invece i vertici del cubo, come
il vertice del quadrato, sono a distanze diverse gli uni dagli altri, il
che significa che esiste nel quadrato come nel cubo uno stato di
tensione che rimarrà sempre presente. La materia del mondo tridi
mensionale viene edificata sulla forma del cubo, ma nasconde in sé
quella del tetraedro costruito sull’equilibrio divino. La materia non
può esistere senza il contenuto divino.
Il mondo tridimensionale intero è edificato secondo questa stessa
legge, sia che la forma di cui si parla si componga di materia “inani
mata”, sia che si tratti di un essere vivente. Perché, che si tratti di un
minerale, di una pianta, di un animale o di un essere umano, tutti
hanno un corpo sottoposto alle leggi del mondo tridimensionale; ma
in questo corpo si trova, nascosto ed invisibile, il Sé superiore divino,
la vita, YESSERE eterno. Soltanto un uomo è capace di manifestare il
suo Sé superiore, e quindi Dio, tramite i suoi pensieri, le sue parole e
le sue azioni, qualora non identifichi la sua coscienza con il corpo ma
con il contenuto spirituale di esso, ovvero con il Sé. Fintantoché l’uo
mo si identifica con il corpo materiale, è come un cubo opaco che ri
vela soltanto le caratteristiche della materia, mantenendo il divino
Creatore allo stato latente, nel non-manifesto, senza mai lasciare in
tendere d’essere abitato dal tetraedro, dal Sé divino, tanto diverso da
lui!
Ma colui che utilizza il proprio corpo, i pensieri, le parole e le
azioni unicamente per manifestare il divino-creatore, colui che dun
que lascia nel non-manifesto le caratteristiche della propria esistenza
corporea - la sua persona - costui è un cubo sezionato, i cui angoli
sono rivolti verso l’esterno, il cui contenuto è visibile e, in tal modo,
mostra i propri triangoli interiori che sono i triangoli equilateri del
tetraedro divino.
La forma quadrata materiale rappresenta per lui soltanto la base
solida nel mondo tridimensionale, sulla quale egli poggia il suo peso.
264 Elisabeth Haich
quando il suo pensiero, le sue parole e i suoi atti non servono la legge
divina ma quella della materia, l ’uomo fa vivere Satana: l’uomo di
venta satanico. Senza l’uomo, Satana non potrebbe esistere giacché
senza il Sé dell’uomo Satana è soltanto una forza priva di coscienza,
una legge necessaria della natura. Satana può diventare vivo soltanto
nella coscienza di colui che manifesta nello spirito la legge della
materia, della carne, identificando la propria coscienza con la sua
persona, con la sua natura inferiore, con i desideri del proprio corpo,
con i propri istinti di procreazione e di conservazione, manifestando
la forza contraente ed indurente della materia quale caratteristica spi
rituale (ad esempio con l’avarizia, l’invidia, la vanità, la durezza di
cuore e di anima, l’egoismo). Nessuna creatura ha mai incontrato
Satana in persona perché, senza l’uomo, Satana non può esistere.
Senza l’uomo, Satana rimane legge della materia. È nell’uomo soltan
to che si può incontrare Satana vivente; è nello sguardo di un uomo
che si può riconoscere Satana, neW espressione dei suoi occhi.
Quando, alla morte di una tale creatura, il Sé si ritira dal corpo,
Satana, ritornato ad essere legge della materia, rimane nel cadavere.
Era diventato Satana grazie alla forza vitalizzante del sé nella co
scienza , ma la coscienza di colui che si era identificato con la legge
della materia e che quindi era diventato egli stesso satanico, muore
con Satana e resta inconscia dopo la morte. Satana la prende quale
schiava, l’attira a sé nella materia morta, nel buio, nell’incoscienza.
Invece, la coscienza dell’uomo che si è identificato con la legge
dello spirito divino e l’ha servita, rimane sveglia e all’erta dopo la
morte del corpo e, libera dalle catene dell’isolamento della materia, si
fonde nella luce eterna, in Dio.
I due tetraedri che si compenetrano mostrano i due poli della
creazione in uno stato di perfetto equilibrio. Tutto il creato, nell’uni-
verso dell’agitazione e del movimento, si basa su questo equilibrio
divino. E la legge più profonda di ogni forma, quindi anche quella
s
AQUILA TORO
SCORPIONE DIO terra
acqua
\K
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aria
282 Elisabeth Haich
Ogni volto di Dio, ogni punto cardinale della volta celeste, contie
ne in sé i tre aspetti della divinità non manifesta, ed è così che sono
nate le quattro volte tre manifestazioni, cioè i dodici segni zodiacali:
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Cancro Vergine
IV
Triangolo di terra
TORO
Capricorno
I tre aspetti di fuoco del primo volto di Dio (il primo gruppo) si
manifestano nelle tre costellazioni chiamate Ariete, Leone e Sagitta
rio.
II Leone è la prima manifestazione di Dio, e di conseguenza è il
capostipite di tutto lo zodiaco. Ecco perché le tre manifestazioni del
primo volto di Dio hanno un carattere paterno, dispensatore di vita.
L’Ariete irradia il fuoco della gioventù, la forza di procreazione
del giovane padre che penetra il cuore della natura, risveglia una
nuova vita e la mette in moto. L’Ariete è la forza della primavera che
agisce in modo focoso e senza riflettere, proprio come l’ariete.
Il Leone è il fuoco dell’uomo rispettabile e nobile d’animo, giunto
a perfetta maturità, il fuoco del padre che irradia la propria forza
creatrice, il suo amore e il suo calore su tutti i suoi figli, permettendo
loro di svilupparsi sotto la sua egida. Il Leone è la forza deli’estate.
Iniziazione: memorie di un’Egizia 283
LEONE
Vergine Cancro
Bilancia Gemelli
AQUILA TORO
SCORPIONE
Sagittario Ariete
Capricorno Pesci
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