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Relazione
di
Chimica Analitica
Gas cromatografia strumentale
A cura di Ivan Vinci
26/02/2010
Gas cromatografia
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La fase mobile è un gas, detto anche gas di trasporto, gas vettore o gas
carrier. Generalmente, vengono scelti gas chimicamente inerti, a bassa
viscosità ed ottenibili ad elevata purezza (99,9%) quali l'azoto, l'elio o l'argon;
per alcune applicazioni vengono anche utilizzati l'idrogeno o l'anidride
carbonica.
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La derivatizzazione è un processo mediante il quale diverse reazioni come la metilazione, la silanizzazione,
l'acetilazione e la trifluoroacetil-n-butilazione vengono sfruttate in modo da aumentare la volatilità dei composti che si
vogliono analizzare mediante gascromatografia e che non possono essere altrimenti cromatografati in quanto tali a
causa del fatto che subirebbero denaturazione o verrebbero adsorbiti dalla fase stazionaria (es. acidi grassi, alcoli,
steroli, glucidi, aminoacidi).
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Nel 1987 è stato raggiunto un record mondiale per la lunghezza di una colonna tubolare aperta. La colonna era di
silice fusa in un solo pezzo con un diametro di 0,32 mm e una lunghezza di 2100 m. Una sezione di 1300 m di questa
colonna conteneva più di 2 milioni di piatti teorici.
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Colonne impaccate
Le colonne impaccate sono prodotte con tubi di vetro o di metallo; hanno una
lunghezza che varia dai 2 ai 3 metri e il diametro interno da 2 a 4 millimetri. Le
colonne sono riempite con un materiale solido, o materiale di impaccamento,
che dovrebbe, in teoria, possedere caratteristiche ben definite e utili al fine di
una corretta fase:
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Diatomee viste al microscopio. Ingrandimento 5000x.
Le colonne impaccate sono state quasi del tutto sostituite dalle colonne
tubolari aperte molto più performanti.
Colonna capillare del tipo WCOT - wide bore - Colonna capillare del tipo WCOT – narrow bore -
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Colonna capillare del tipo SCOT
Le differenze sostanziali delle varie colonne usate per la fase stazionaria nella
gas cromatografia si possono osservare dalla seguente tabella:
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Tipo di colonna
Le colonne capillari più usate sono le colonne aperte a silice fusa, o FSOT. I
capillari di silice fusa sono costruiti con silice purificata in modo speciale per
contenere quantità minime di ossidi metallici. Queste colonne hanno pareti
molto più sottili rispetto alle analoghe in vetro, e i tubi vengono rinforzati da
un rivestimento esterno. Le colonne che ne risultano sono molto più flessibili
e possono essere foggiate in spirali dal diametro di qualche pollice. Quelle più
largamente usate hanno diametri interni che vanno da 0,32 a 0,25 mm inoltre
offrono vantaggi sostanziali come resistenza meccanica, scarsa reattività nei
confronti dei componenti del campione e flessibilità. Esistono colonne a più
alta risoluzione con diametri da 0,20 a 0,15 mm, ma essendo molto più
esigenti per quanto riguarda l’iniezione e la rivelazione sono utilizzate in casi
particolari.
Iniettori
L’iniettore è un dispositivo posto immediatamente prima della colonna che ha
la funzione di consentire l’introduzione del campione. La sua configurazione è
tale che la sostanza iniettata viene, direttamente o indirettamente, immessa
nel flusso del gas carrier, che la spinge verso l’uscita.
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Colonna tubolare aperta in silice fusa.
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Colonna tubolare aperta a parete ricoperta.
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Colonna tubolare aperta a supporto ricoperto (anche chiamata tubolare aperta a strato poroso o PLOT).
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Gli iniettori si possono raggruppare sostanzialmente in due categorie a
seconda che siano destinati all’impiego con colonne impaccate o con colonne
capillari.
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Iniettori per colonne capillari
Il principale problema delle iniezioni in capillare, è relativo alla piccola
quantità di sostanza accettata da queste colonne ed alla conseguente
difficoltà di selezionarle con una micro siringa. Il problema è stato risolto in
diversi modi a ciascuno dei quali corrisponde un tipo di iniettore. Tra questi i
più comuni sono:
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Rivelatori
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Linearità. Anche la linearità della risposta è un importante requisito in
quanto l’analisi quantitativa si basa sul calcolo dell’area dei picchi, che
deve essere proporzionale alla quantità di sostanza eluita.
Aspecificità. A un rivelatore si richiede di essere aspecifico, cioè di dare
una risposta che è solo funzione della concentrazione e non della
natura chimica della specie eluita. Deve essere ugualmente sensibile a
tutte le sostanze. In certi casi, tuttavia, si richiede l’esatto contrario. In
un prodotto complesso contenente diversi composti di cui solo uno, o
un gruppo di sostanze affini, sia di quello di interesse, è indispensabile
disporre di un rivelatore selettivo evitando così fastidiose interferenze.
Volume minimo. Questo importante requisito sta a significare che il
rivelatore deve esplicare la sua azione in un minimo volume, evitando
l’accumulo intorno ad esso di grandi volumi di gas, nonché il
conseguente rimescolamento, la qual cosa vanificherebbe la
separazione avvenuta in colonna.
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L’effluente della colonna viene direzionato in una piccola fiamma
aria/idrogeno. La maggior parte dei composti organici, quando pirolizzati 6 alla
temperatura di una fiamma aria/idrogeno, produca ioni ed elettroni. La
rivelazione implica il monitoraggio della corrente prodotta attraverso la
raccolta di questi trasporti di carica. Un potenziale di alcune centinaia di volt
applicato tra l’ugello del bruciatore e un elettrodo collettore sistemato sopra
la fiamma ha lo scopo di raccogliere gli ioni ed elettroni. La corrente risultante
è misurata con un picoamperometro. Poiché il rivelatore a ionizzazione di
fiamma risponde al numero di atomi di carbonio che entrano nello stesso per
unità di tempo, esso è sensibile alla massa più che alla concentrazione,
pertanto, risulta poco influenzato da variazioni di flusso della fase mobile. Il
FID non è sensibile a gas non combustibili come H₂O, CO₂, SO₂, e NO χ. Queste
proprietà rendo il rivelatore di uso più generale e utile per l’analisi della
maggior parte di campioni organici, inclusi quelli contaminati con acqua e
ossidi di azoto e di zolfo. Il rivelatore a ionizzazione di fiamma presenta alta
sensibilità, un ampio intervallo di risposta lineare e basso rumore di fondo.
Uno svantaggio è rappresentato dalla distruzione del campione durante lo
stadio di combustione.
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La pirolisi è un processo di decomposizione termochimica di materiali organici che avviene in assenza di sostanze
ossidanti (normalmente ossigeno). Riscaldando il materiale in presenza di ossigeno avviene una combustione che
genera calore e produce composti gassosi ossidati, effettuando invece lo stesso riscaldamento in condizioni però di
assenza totale di ossigeno il materiale subisce la scissione dei legami chimici originari con formazione di molecole più
semplici.
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