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GIUSEPPE BUCALO
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DIETRO
OGNI SCEMO
C UN VILLAGGIO
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Saggi/Testi - 4
Giuseppe Bucalo

DIETRO OGNI SCEMO


C UN VILLAGGIO
Itinerari per fare a meno della psichiatria

Prefazione di Giorgio Antonucci

Seconda edizione

SICILIA PUNTO L
EDIZIONI
Giuseppe Bucalo,
Dietro ogni scemo c un villaggio.
Itinerari per fare a meno della psichiatria,
Sicilia Punto L Edizioni.
Ristampa della seconda edizione, giugno 2002.
Prima edizione, ottobre 1990.
Seconda edizione, ottobre 1993.

Pubblicazione a cura
dellAssociazione Culturale Sicilia Punto L ,
vico Leonardo Imposa 4 - 97100 Ragusa.

Contributi e richieste
a mezzo c.c.p. n. 10167971,
intestato a Giuseppe Gurrieri,
vico Leonardo Imposa 4 - 97100 Ragusa.

Composizione e pellicole: e/n raip ,


Grafica editoriale di Pietro Marletta,
via delle Gardenie 3, Beisito,
95045 Misterbianco (CT).
Tel. (095)7141 891.
Stampa: PROVENZANO & BARRESI s.n.c.,
litografia-tipografia,
via Garibaldi 361, 95122 Catania.
Giugno 2002.
Istruzioni per luso

Non ero amato dagli abitanti del villaggio tut


to perch dicevo il mio pensiero, e affrontavo
quelli che mancavano verso di me con chiara
protesta, non nascondendo n nutrendo segreti
affanni o rancori.
E assai lodato latto del ragazzo spartano, che
si nascose il lupo sotto il mantello, lasciando
si divorare senza lamentarsi.
E pi coraggioso, io penso, strapparsi il lupo
dal corpo e lottare con lui allaperto, magari
per strada, tra polvere e ululi di dolore.
La lingua magari un membro indisciplinato
ma il silenzio avvelena lanima.
Mi biasimi chi vuole: io sono contento.
E.L. Masters

uesto un libro irragionevole. Non d risposte alle ra


Q gionevoli preoccupazioni su come fare per curare ,
controllare o normalizzare le persone che vedono cose
che noi non vediamo, ascoltano voci che noi non udiamo,
vivono il loro tempo o il loro corpo in un modo che non co
nosciamo.
Paradossalmente non c niente di pi irragionevole che
continuare a definire queste esperienze umane come sinto-

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mi di malattia tentando di curare persone che andrebbero
ascoltate, comprese, accettate in quello che sono ed esprimono.
La stragrande maggioranza dei sintomi" psichiatrici (cos
come dei problemi interpersonali che abbiamo con chi defi
niamo malato di mente ) derivano da questo ossessivo, inu
mano, violento sforzo nel tentare di negare, distruggere, modi
ficare i modi di sentire, essere e capire che non comprendia
mo (o non condividiamo).
Tutto ci che viene arbitrariamente attribuito ad una ma
lattia mentale, in realt ha a che fare con la relazione di paura
che instauriamo nei confronti di certe esperienze e di chi le
vive. Gli psichiatri chiamano autistico il comportamento
di chi non vuole comunicare con loro; definiscono paranoi
co chi afferma di essere loro prigioniero e vittima; conside
rano non cosciente chi non accetta le loro pratiche e le lo
ro terapie . In altre parole malato di mente chi non
daccordo con quanto lo psichiatra che gli sta di fronte pen
sa della realt e di se stesso.

La prima istruzione per usare questo libro (e non farsi


ab/usare dalla psichiatria) accettare e praticare l idea
che le esperienze e i modi di sentire degli esseri umani
non sono malattie e che, dallaltro lato, le pratiche
che intendono curare tali esperienze non sono prati
che mediche .

Quando affermiamo che la malattia mentale non esiste


diciamo essenzialmente che alla base dei nostri comportamen
ti, delle nostre esperienze interiori pi profonde, delle no
stre relazioni con gli altri, ci sta sempre e, in ogni caso, la

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nostra sensibilit, la nostra storia, le nostre scelte, e non un
processo patologico o unalterazione delle nostre funzio
ni cerebrali.
L obiezione che ci si muove che negare la malattia men
tale equivale a negare la sofferenza psichica . Obiezione
ragionevole ma dimentica del fatto elementare che non tutto
ci che fa soffrire una malattia. Se cos fosse anche inna
morarsi dovrebbe essere considerata una malattia mentale
e delle pi gravi, cos come avere una fede politica, proget
tare per il futuro, amare la natura, avere una mente... Ogni
persona ogni relazione o evento della nostra esistenza pu
farci soffrire o, al contrario, portarci in paradiso.
E poi se si trattasse di sofferenza , tollerabile che al
tri definiscano contro il nostro volere se, quando o quanto
noi stiamo soffrendo? Secondo quale criterio Mimmo non
soffriva quando studiava ingegneria a Torino, solo ed in
compreso, e soffre ora che se ne sta sotto la pioggia nella
piazza del paese? Soffriva S. Francesco mentre si liberava
dei suoi vestiti e di tutti i beni terreni? Soffriva mentre sfi
lava nudo? Soffrivano certo coloro che gli stavano intor
no e che non condividevano le sue scelte. Ma lui soffriva
e di che?
Per strada spesso incrociamo uomini che parlano con le
loro voci . Diciamo soffre . Ma soffriva S. Teresa dA-
vila? Soffre chi sente la voce di un caro defunto, lo sente
vivo, vicino, in contatto? O soffre chi ha perso per sem
pre, la possibilit di sentirlo ? Soffre chi ha perso inte
resse nel mondo? O soffre chi ha rinunciato a se stesso
per stare nel mondo?
Impazzire una possibilit umana. Percepire suoni e
dimensioni altre rispetto al ragionevole modo di vedere il mon-

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do, una propriet e una caratteristica del nostro modo di
essere. Da sempre gli uomini uniformano la loro vita e le lo
ro azioni a partire da realt invisibili. Idee come dio, pecca
to, anima, paradiso, reincarnazione... non sono dimostrabi
li, n visibili, eppure muovono milioni di persone, determi
nano le loro azioni e le loro omissioni, ne fanno, nel bene
e nel male, esseri umani.
Non credo si possa ragionevolmente pensare che esistano
differenze cerebrali fra chi crede che dio abbia creato il
cielo, la terra e tutti gli esseri viventi e chi crede che gli ulivi
siano le antenne di dio sulla terra. Cos come non esistono
differenze cerebrali fra questi e chi ritiene che questi mo
di di pensare siano sintomi di una malattia del cervello.
In tutti e tre i casi abbiamo esseri umani che comprendono
e spiegano il mondo dal loro punto di vista.
Affermare che alcuni pensieri siano espressione di un cor
retto funzionamento del cervello e altri denotino una patolo
gia, puro e cieco arbitrio.
La differenza fra queste tre posizioni data, di fatto, dal
giudizio che di esse si d. Il giudizio non riguarda la medi
cina ma la morale, letica, la politica. Riguarda la realt, la
verit, il senso di quanto si afferma. Riguarda leticit di quan
to da queste posizioni discende in termini di comportamenti
e di relazioni umane.
Si dice matto delluomo che si arrampica sullulivo per
ascoltare le onde comunicative di dio. Ma mai si sono consi
derati malati i credenti della Santa Inquisizione. N malati
gli psichiatri che per decenni hanno sezionato il cervello e
hanno imprigionato loro simili sulla base di una loro ipotesi,
mai dimostrata.
Si dice che i malati di mente seguano i loro deliri e

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possano, per questo, essere molto pericolosi . Si dice inve
ce degli psichiatri che applicano conoscenze scientifiche e
che possano essere terapeutici. Gli psichiatri hanno distrutto
centinaia di migliaia di vite ed esistenze umane.
Gli psichiatrizzati sono ancora rinchiusi, controllati, ad
dormentati, resi incapaci di agire e di scegliere.
Ognuno ha diritto di coltivare le proprie convinzioni sul
la vita. Ma cos come nessuno pu obbligare altri a salire
sullulivo ad ascoltare la voce di dio, nessuno pu imporgli
di scendere, giustificarsi, farsi considerare malato e cu
rarlo per quello che sente ed . Nessuno ha mai trascinato
fuori uno psichiatra da casa sua, lha legato al letto, lha im
bottito di psicofarmaci, lha tenuto sottochiave, fino a quan
do non abbia ammesso di sbagliarsi, fino a quando si sia umi
liato e abbia accettato di essere malato e di avere bisogno
di quelle cure . Eppure gli psichiatri sono stati (e sono) di
gran lunga pi pericolosi dei loro utenti. Pericoloni e incon
trollabili.

La seconda istruzione duso di questo libro sta nella


rinuncia a cercare qualsiasi alternativa alla psichiatria.

Allo stesso modo in cui generalmente non riteniamo che


ci debba essere unazione curativo-terapeutica nei confronti
dei credenti, dei marxisti o degli psichiatri, per fargli smet
tere di pensare quello che pensano o di essere quelli che so
no, cos non occorre pensare a niente che faccia cambiare idea
alluomo dellulivo.
I problemi dei pazienti psichiatrici sono correlati pro
prio al giudizio e alle terapie a cui sono sottoposti. Le loro

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scelte non vengono prese in considerazione. La loro visione
delle cose viene considerata irreale, fantastica, delirante. Loro
stessi non esistono.
Spesso mi chiedo che possibilit ha Mimmo di essere con
siderato reale. Che possibilit ha di essere rispettato in que
sta sua scelta di seguire le voci divine che lo guidano allin
terno di un progetto cosmico in cui nessuno crede. Nessuno
crede che egli sia stato scelto, che lui senta, che lui sia.
Quello che accade nella e della vita di Mimmo non di
pertinenza di un esperto, di una scienza o di un servizio al
ternativo . Riguarda chi si sente toccato, implicato, attra
versato da ci che dice, sente, fa. E di sua pertinenza, non
richiede case famiglia, cooperative di lavoro, psicoterapie.
Non richiede che Mimmo cambi idea, smetta di sentire ci
che sente. Non richiede che si ripari sotto lombrello della
razionalit invece di esporsi alla pioggia delVinvisibile. Chie
de confronto, rispetto, condivisione. Sentimenti, relazioni,
intese, fraintendimenti, emozioni, passioni... non strutture,
teorie, diagnosi, terapie.
La psichiatria alternativa ha creato in questi decenni
luoghi in cui temporaneamente possano trovare rifugio co
loro che vanno per il non luogo, nel non spazio e senzatempo.
Se dar loro un tetto, un pasto caldo, un rifugio in cui riac
quistare le forze e riflettere sul da farsi, fosse lunica loro
funzione, questi luoghi non sarebbero n psichiatrici ,
n riabilitativi : sarebbero espressione della piena accetta
zione che diritto di ognuno realizzare il proprio cammino
interiore. Luoghi di questa natura hanno valenza univer
sale. Non sono strutture psichiatriche. Sono strutture che ac
colgono e non riserve in cui rinchiudere le persone e le
loro ombre.

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In realt la psichiatria ha utilizzato questi luoghi per
inventarsi una nuova terapia che consiste nel tentare di
convincere le persone che non pensano quello che pensano,
con luso di droghe ottundenti, con brevi periodi di pu
nizione dentro i reparti psichiatrici, con unazione conti
nua di distrazione, con programmi di educazione alla nor
malit , con lavoro protetto ... La nuova psichiatria non
si accanisce sulle sue vittime. Non le interessa che uno smet
ta di credere in irragionevoli mondi invisibili: si acconten
ta che la persona smetta di farne pubblica comunicazione o
azione di proselitismo.
Mimmo non rischia pi di essere prelevato dalla forza pub
blica, rinchiuso in qualche manicomio e mandato in coma con
linsulina. Mentre sta sotto la pioggia a soffrire , e a far
soffrire gli operatori della nuova psichiatria, pu solo es
sere accompagnato dai vigili urbani in un reparto di psichia
tria. Qui dormir per una settimana e ascolter le parole sen
za senso di assistenti sociali che tenteranno di convincerlo
ad essere inserito in una comunit o magari ad impegnarsi
in qualcosa di utile che lo possa gratificare... Come se Mim
mo non esistesse, come se non stesse facendo qualcosa, co
me se non portasse su di s un compito e un destino ben pi
grande e pesante del mediocre arrivare a fine giornata del
loperatore che ha davanti.
La nostra cecit ha assurto a norma che il nostro com
portamento, le nostre aspirazioni, le nostre priorit, siano
in s le uniche possibili. In psichiatria ci troviamo in una si
tuazione paradossale in cui non consentita alcuna interio
rit o ricerca spirituale. Una situazione in cui esplicitamente
gli sforzi, i sentimenti, il senso profondo che le persone dan
no alla loro vita, viene misconosciuto, ridicolizzato o vitu-

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perato dalla terminologia psichiatrica. La psichiatria si pro
pone come un nuovo dogma religioso: non a caso, come lIn
quisizione, ha creato i suoi roghi e i suoi tribunali.
Chiediamoci: cosa sanno gli psichiatri di meditazione, di
ascesi mistica, di comunicazione telepatica, di viaggi astrali,
di uscita dai corpi...? E cosa hanno a che fare le loro cono
scenze con queste esperienze? Cosa centra il serenase con
il dialogo di S. Teresa dAvila con dio? Cosa centrano le pun
ture, le flebo, i ricoveri in reparti psichiatrici? La ricerca psi
chiatrica non indirizzata a capire ma a impedire. La psichia
tria vuole prevenire i messaggi divini, le esperienze mistiche,
le ascesi, la perdita del corpo, i viaggi astrali... allo stesso modo
in cui la medicina cerca di prevenire il cancro. Ma mentre
la medicina cerca di impedire processi che distruggono lin
tegrit dellindividuo, la psichiatria, paradossalmente, distrug
ge lindividuo per impedirgli di provare esperienze che pos
sono arricchirlo come essere umano e spirituale.

E arriviamo alla terza istruzione per usare questo li


bro. Tenere fermo che la scelta non fra psichiatria
e antipsichiatria, tra terapie dolci e terapie da shock,
tra psicofarmaci e psicoterapie: la scelta tra la nega
zione e la accettazione che questo solo uno dei mondi
possibili, che il nostro solo uno dei modi possibile
di vivere, di sentire, di vedere.

E, visto che non siamo sospesi nel nulla, ogni cosa pu


essere accolta se vissuta nella sua trama, nel suo ambiente vi
tale. Esistono altri mondi oltre quello animale, minerale e
vegetale: mondi dello spirito e della fantasia, mondi del pos

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sibile e dellimpossibile, mondi del se , della memoria e del
pensiero, del sogno e del futuro. Mondi che si attraversano
e ci attraversano, che costituiscono gli elementi dellatmo
sfera che ci d vita. Apparteniamo ad ognuno di essi e attra
verso essi possiamo passare, incontrarci, perderci per sempre.
In molti luoghi questa trama il villaggio. L aria che re
spiriamo, la carne di cui siamo fatti, la memoria, il sangue...
Non necessariamente un luogo, ma il senso profondo di unap
partenenza che frantuma le distanze e gli anni. Una lingua
e una mente comune. Il villaggio che sta dietro ognuno di noi,
la cui Storia collettiva si intreccia con (e d senso a) la no
stra storia personale.
Il senso lelemento primo dellesistenza umana. Non si
trova in natura n nel nostro cervello. Non ha a che fare con
le nostre sinapsi. E indifferente allelettroshock o agli psico
farmaci. Di Mimmo si dice che il suo comportamento sen
za senso . Cosa pu dargli senso? E la domanda che forse
dovremmo porci. Esiste un farmaco che pu dare senso alla
nostra vita? Esiste un luogo in cui possono condurci che ci
pu infondere senso? Un ospedale pu essere un luogo del
genere? Una clinica?
Da qualunque parte la si prenda la psichiatria non ha nien
te a che vedere con la vita. Dove c la psichiatria l sono
impossibili le persone.
Il senso ci tiene uniti. Il senso permette le comunit uma
ne. Furci, il villaggio che sta dietro questa mia esperienza,
una comunit di senso : un luogo dove ha senso esserci
o sparire, gioire o soffrire, dire o tacere.
Non si pu dare senso alle esperienze di Mimmo per via
concettuale o attraverso le parole. Questo libro non pu dar
glielo, non pu fare giustizia n cancellare gli insulti mar-

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Prefazione

S i soffermano tutti alle soglie.


Poi, come presi da smarrimento, fanno marcia indietro
e si ritirano, quasi che la sfida sia sproporzionata, come quella
di Edipo alla Sfinge.
Cosi Cooper che aveva detto propriamente che la diffe
renza tra il sano e il malato di mente solo quella che il se
condo passato dal reparto Osservazione .
Cos Laing.
D altra parte Thomas Szasz viene tradotto, intervistato
e discusso in modo tendenzioso, come fosse uno psicanalista
eccentrico e provocatorio che combatte contro gli eccessi della
psichiatria.
Nessuno fa un discorso veramente diverso sulla psicolo
gia delluomo e si continuano a rigirare inutilmente gli stessi
luoghi comuni sulle istituzioni totali e la loro evidente e or
mai scontata inumanit.
Si finge di criticare e si riconferma, cos, nonostante le
velleit, si continua a far parte della solita convivenza fero
ce e insicura, con il sequestro di persona come regola, e i ma
nicomi, pi o meno mascherati, come sfondo.

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2

La psichiatria si presenta come scienza delluomo e co


me tale va confutata.
Il ventesimo secolo ha opportunamente messo in discus
sione tutte le scienze delluomo e della natura, ha riveduto
tutte le discipline, ridiscusso i contenuti e le metodologie.
Si sono aperti da ogni parte nuovi campi di conoscenza
e nuove prospettive.
Solo gli psichiatri rimasticano sempre le stesse cose, co
me se il tempo non passasse, e vengono stranamente accet
tati per quello che sono, nonostante i loro delitti.
C da domandarsi perch.

Lo storico della scienza ed epistemologo Charles C. Gil-


lispie delluniversit di Princeton scrive nella prefazione al
ledizione italiana della sua opera II criterio delloggettivit
Un interpretazione della storia del pensiero scientifico che Il
libro inizia con Galileo e la legge della caduta dei gravi. Se
lo riscrivessi ora, la scena iniziale sarebbe ancora lItalia, ma
spostata pi indietro, allepoca delle imprese di Brunelleschi,
Leonardo, Vasco de Gama, Cristoforo Colombo. Le loro im
prese erano animate dallo stesso convincimento che in seguito
form Galileo, ovvero che la conoscenza trova il suo scopo
nellazione e lazione la sua ragione nella conoscenza, che se
un problema pu essere risolto, esso sar risolto, che se qual
cosa pu essere fatta, lo sar.
Nella psichiatria, che insieme alla psicanalisi incastrata

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in un meccanicismo da orologiai, la non conoscenza trova i
suoi effetti nellinternamento, e linternamento conferma la
non conoscenza.
I problemi dellindividuo e della societ vengono ignora
ti e nascosti, e la risoluzione di tutti i conflitti consegnata
alle istituzioni totali.

Ma istituzioni totali non sono soltanto i manicomi giudi


ziari i Centri di diagnosi e cura e gli altri istituti di segre
gazione, ma anche, sia pure in modo pi mascherato, le case
famiglia, le case protette, le comunit terapeutiche, insom
ma tutti i luoghi dove vige la logica della psichiatria, nel suo
unico significato di controllo delle coscienze e di tecnologia
della normalizzazione, per il mantenimento della dittatura
dei costumi.
E tutti noi viviamo sotto il ricatto di un possibile giudi
zio psichiatrico, che pu essere messo in atto dai poteri co
stituiti per chiunque ogni volta che fa comodo. Naturalmente
viene colpito chi non ha potere per difendersi.
Scrive Antonin Artaud segregato dagli psichiatri e sot
toposto a elettrochoc: Ci sono stati un giorno gli esecutori
di Van Gogh, come ci sono stati quelli di Grard de Nerval,
di Baudelaire, di Edgar Allan Poe e di Lautrmont.
Quelli che un giorno gli hanno detto: E adesso basta,
Van Gogh, alla tomba, ne abbiamo abbastanza del tuo ge
nio. .

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5

Ora ricordo Cervarezza, un giorno di primavera del 1971.


Come responsabile dei Centri di igiene mentale della mon
tagna reggiana avevo convocato, daccordo con il Comune,
una riunione per discutere del manicomio. Mi ricordo che
un uomo, un lavoratore agricolo, mi interruppe durante il
discorso per esclamare: Tu dici che al manicomio non ci so
no dei malati di mente come affermano gli psichiatri, ma per
sone come noi, compagni sfortunati, vittime delloppressione
e dellintolleranza. Ma come facciamo a sapere se hai ragio
ne tu o gli altri?
Allora intervenne un altro e disse: Perch non andiamo
a vedere?
Cos cominciarono le calate dai villaggi della montagna
al Manicomio San Lazzaro di Reggio Emilia e di Modena.
Il movimento, che in seguito comprese anche gruppi di ope
rai delle fabbriche di Reggio, divenne presto un promotore
di cultura per il superamento della psichiatria. Ma interven
nero subito i partiti, i sindacati, e la Procura della Repubbli
ca, e il movimento fu interrotto, e io licenziato.

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Ma ora da Furci, villaggio della Sicilia, che nostra mae
stra di cultura da secoli, attraverso la voce di Giuseppe Bu
calo, arriva un nuovo messaggio di conoscenza.
un messaggio chiaro come la luce del sole sulle foglie
degli ulivi della terra da cui proviene.
E non si sofferma sulle soglie.

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Scrive Empedocle di Agrigento: Come allora i pittori
svariano di colori le tavolette votive / artefici per loro sag
gezza ben esperti nellarte / essi, trascegliendo i succhi
multicolori, / li mescono in armonia, pi o meno prendendo
ne dognuno, / e ne foggiano figure simili ad ogni cosa, / crean
done alberi ed uomini e donne, / belve ed uccelli e pesci che
nutre londa, / e numi longevi, per lor pregio supremi.
E aggiunge in due frammenti conservati da Aristotele:
A seconda di ci che presente cresce la mente degli uomi
ni, E quanto varii divengono, tanto ad essi accade / sem
pre diverse cose pensare.
Scrive Bucalo di Furci: Gli utenti della psichiatria spes
so hanno un corpo presentabile, ordinato, senza gridi, senza
vita, senza Mente. Basta interrompere la terapia , lasciarli
liberi, che la Mente ritorna, ricomincia ad abitarli, si riap
propria di quel corpo, delle sue relazioni, rientra in gioco,
fa storia. Molti di questi redivivi non sono pi presenta
bili, non sono pi accondiscendenti, non sono pi accettabi
li: sono vivi!
Ritorna la loro malattia (questa s incurabile ): la vita!
la vita che vedo scorrere fra le dita di Carmelo quando
disegna sul mio notes, dopo ventotto anni di manicomio senza
mai uscire, senza mai tornare a casa. Quella vita incurabi
le che dopo questa prigionia assurda, inumana, brutale, con
tinua ad agire ad ogni pur piccola occasione di uscita, di ri
torno nel mondo. Un debito infinito che nessuno potr mai
saldare: un debito che continua paurosamente a salire. Un
debito invisibile su ognuno di noi, un debito di vita negata,
di storie distrutte: un cimitero su cui abbiamo costruito le
nostre citt.
Come si vede si tratta di una cultura che viene da lonta-

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no, larga come il mare, che non pu essere circoscritta dai
meccanici della psicologia.
Io auguro alla navicella di Furci, guidata da Giuseppe Bu
calo, un percorso senza stanchezza, nelle acque pi difficili,
fino ai porti pi distanti.
E sono felice di partecipare al suo battesimo.

Firenze, 17 agosto 1990


G IO RG IO ANTONUCCI

22
Giuseppe Bucalo
D IETR O O G N I SCEM O
C UN V ILLA G G IO

A mia madre
Premessa

uesto libro un albero che affonda le sue radici nella

Q terra, nel sangue, nella carne di un villaggio della gran


de madre Sicilia.
Questo libro unesperienza fra persone.
Questo libro un mostrare ci che accade fra e delle per
sone quando sono lasciate a se stesse a gestire la propria
esistenza.
Questo libro una testimonianza da una terra primor
diale dove la psichiatria non ha messo radici, ma su cui aleg
gia e sparge il suo alito mortale.
Questo libro un atto di GIUSTIZIA!

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Introduzione

Una linea stata tracciata fra se stesso e se


stesso e fra se stesso e gli altri.
Si nega che questa linea sia stata tracciata. Non
c nessuna linea. Ma non cercate di attra
versarla.
R. D. Laing

C redo sia ragionevole affermare che nessun individuo pu


(o deve) avere il potere di determinare, con il proprio
giudizio, la vita di altri individui. Credo sia giusto lottare
affinch questo potere venga strappato dalle mani di sedi
centi scienziati della mente liberando le persone dalla mi
naccia della psichiatria. Poich la sostanza di ogni psichiatria
la stessa ovunque: un giudizio che decide del futuro, delle
relazioni, dei pensieri, delle conoscenze, degli spazi, dellin
timit delle persone.
Parlo di persone e non di matti poich la psichia
tria ha da fare con esseri viventi con storia, e non con ma
lattie , esseri umani di cui decide la sorte, che costringe in
una realt parallela a quella quotidiana, che imprigiona nel
mondo del come se , che intossica con farmaci, che rin
chiude e abbandona, che nega nei loro vissuti, esperienze,
aspettative, che zittisce...

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Non riesco a trovare alcun fatto, malattia o crimine che
possa giustificare le violenze, le torture, le punizioni che la
psichiatria infligge ai suoi utenti . Non c niente nelle
sperienza di un individuo che possa giustificare lannichili
mento smerciato come cura ; lespulsione dalla vita vissuta
smerciata come socializzazione ; la ghettizzazione in strut
ture protette smerciata come reinserimento .
Ogni psichiatria una trappola: lidea che ci sia qual
cuno che meglio, per, su, di noi sappia quel che siamo, sen
tiamo, vogliamo.
Non un problema di quali strutture, strumenti, tecni
che, si dota, n se propone manicomio, elettroshock, psico
chirurgia, o, al contrario, case-famiglia, psicofarmaci, psico-
terapia: il problema la psichiatria stessa. Spiegazione im
proponibile di ci che non va dentro e fra le persone; come
punto di vista obbligato, come cura di qualcosa, la ma
lattia mentale , che niente ha a che vedere con lesperienza
viva delle persone.
Una delle ipotesi pratiche di questo libro, e dellesperienza
comunitaria su cui si basa, che la psichiatria non sia in al
cun modo un nostro prodotto culturale, n una conoscenza
assimilabile dalle nostre comunit siciliane. Non solo. Cre
do che essa non nasca nemmeno dalla comprensione delle
sperienza di disagio fra le persone, da una loro esigenza, da
un bisogno di aiuto.
Del resto ogni persona sa (o sente) sempre ci che me
glio fare, ci che gli serve, ci che lo fa star bene. Gli psi
chiatrizzati in particolare esprimono costantemente la loro
opinione, il loro punto di vista su ci di cui hanno bisogno
(e su ci di cui farebbero volentieri a meno). Ma, parados
salmente, visto che le loro richieste, le loro espressioni, i lo-

28
ro atteggiamenti sono sintomi di una malattia, visto che
i loro bisogni raramente corrispondono alle teorie psichiatri -
che, essi vengono puniti-curati-negati in modo ancora pi mas
siccio.
Ogni utente della psichiatria sa che meno comunica il suo
punto di vista sulla situazione, e pi velocemente uscir dal-
lincubo psichiatrico.
Di fatto si spediti alla psichiatria solo quando le perso
ne intorno negano qualsiasi forma di ascolto, di influenza,
di relazione reciproca. Quando si sentono minacciati dal modo
che hai scelto di risolvere i tuoi problemi o convivere coi tuoi
ricordi, fantasmi, idee. Quando si rifiutano di accettare di
far parte del problema e, quindi, sono incapaci di prospetta
re una soluzione accettabile. Quando riducono tutto al mo
do in cui funziona il tuo ragionamento, la tua testa, il tuo
cervello.
Dove c condivisione di responsabilit non c psichia
tria. L intervento psichiatrico non scatta in relazione ad una
qualche gravit della tua situazione psichica, ma piuttosto
quando si decide di risolvere una vertenza interpersonale com
plessa attraverso la creazione di un capro espiatorio.
Colui che viene condotto dallo psichiatra non necessa
riamente il matto . Non tutti coloro che sragionano, che
si comportano stranamente, che creano problemi, entrano
automaticamente sotto il dominio della psichiatria. L u
tente della psichiatria un essere umano, vivente, sacrifica
to per lequilibrio della famiglia, del contesto, della comunit
in cui vive.
Il prezzo di questo sacrificio non , come si crede, la
follia, ma piuttosto ci che chiamiamo la cura psichiatrica .

29
Nel momento stesso in cui una persona entra in contatto
con la psichiatria, essa perde di colpo tutte le proprie carat
teristiche individuali, uniche ed irripetibili, la sua storia, il
suo senso, per entrare nella categoria malati di mente , og
getto di studio, di statistiche e di cura,. I suoi comportamen
ti, le sue fantasie, i suoi modi di vedere la realt, i suoi pro
positi, verranno comparati costantemente ai sintomi classici
della sottocategoria di malattia mentale di cui si pensa egli
sia affetto. L esperienza con lui sar letta sotto questa luce
e dar ai curatori materiale clinico da utilizzare con altre
persone della stessa categoria .
Succede qualcosa di analogo nel senso comune. Se una
persona considerata e diagnosticata come malata di men
te coinvolta in una situazione di violenza, si potr argo
mentare che la violenza, la pericolosit, lirrazionalit, sono
sintomi o segni caratteristici di tutte quelle persone che
vanno (o sono condotte) dallo psichiatra.
Questa generalizzazione possibile solo sulla base di
qualcosa che presupponiamo sia comune e unisca tutti gli
utenti della psichiatria, ad ogni latitudine e in ogni tempo,
senza differenza di sesso, di et, di religione, di credo politi
co. Qualcosa di essenziale nel determinare lessere di queste
persone come categoria ; per cui quello che ha fatto 28 anni
fa Carmelo,' il falegname-inventore, determina le nostre fan
tasie su ci che Sonia, laltera, pu fare oggi. Carmelo sta
to tenuto 28 anni in manicomio per evitare che potesse di
nuovo minacciare qualcuno con un martello, probabilmente
perch la casistica narra di fatti simili accaduti nei secoli
e nei posti pi lontani.
Quella della psichiatria una catena di illazioni, tenuta
insieme da unidea illusoria che massifica e distrugge un pa

30
trimonio di idee, di storie, di esperienze, di vite, al solo sco
po di confermare se stessa.
Questa idea comune, questa cosa meledetta, la malat
tia mentale . Malattia ipotetica che intaccherebbe lesse
re stesso delle persone, trasformandole in esseri alieni, in al
tre forme di vita. Questa malattia colpirebbe il cervello
e renderebbe tutti gli individui da essa affetti incapaci di
intendere e di volere, illogici, irrazionali, disadattati, peri
colosi a se stessi e agli altri, incomprensibili e, praticamente,
irrecuperabili alla normalit.
La vita di Carmelo e quella di Sonia, distanti mille mi
glia e mille anni luce, i loro modi di esprimersi, le loro espe
rienze, le fantasie, la cultura, il futuro, sono di colpo uniti
da una stessa cosa che sembrerebbe aver preso di mira e
conquistato il loro cervello. La loro storia, la loro distanza,
la loro differenza, vengono azzerate, le loro vite sostanzial
mente si equivalgono: chiari casi di schizofrenia... come tanti.
Senza malattia mentale non ci potrebbe essere psichia
tria. Non solo. Senza malattia mentale non si potrebbero
chiudere facilmente tutte le questioni e i dubbi, non si po-
l rebbero azzerare le richieste di cambiamento delle persone,
non si potrebbe rifiutare ogni coinvolgimento e responsabi
lit in ci che succede fra e d noi.
Senza malattia mentale non si potrebbero giustificare
i corsi di laurea, i professionisti, i servizi protetti, gli psico-
Iarmaci, Tinterdizione, il manicomio criminale e migliaia di
altre cose ovvie che fanno parte della vita di molti di noi.
Senza malattia mentale si dovrebbe ammettere resisten
za di (e confrontarsi con) un essere umano, coi suoi modi di
'esprimersi, di pensare, di credere; non si potrebbe obbligar
lo a fare ci che non sente, non si potrebbe alterare il suo

31
organismo, non lo si potrebbe sequestrare e tenere chiuso con
tro la sua volont, non si potrebbe impedirgli di gestire la
propria vita e il proprio denaro come meglio crede...
Finch saremo legati allidea di una malattia mentale
non sar possibile alcun cambiamento radicale: niente e nes
suno potr scalfire il potere inattaccabile della psichiatria,
niente di concreto potr essere fatto per strappare alla mor
te psichica e civile gli ostaggi della psichiatria.
In questi anniho incontrato molte persone, alcune delle
quali sono state diagnosticate malate di mente , altre che
hanno attraversato periodi critici senza venire in contatto con
la psichiatria, altre ritenute da se stesse e dagli altri perfet
tamente normali. Ognuna di queste persone, indipendente
mente dalla categoria in cui era inserita, mi sembrata ir
riducibilmente diversa da tutte le altre. Non solo. Ho visto
chiaramente che la loro collocazione non dipendeva es
senzialmente dai loro comportamenti o dal loro modo di pen
sare: ma piuttosto dal contesto socio-relazionale in cui era
no (e sono) inserite.
Non ho trovato in loro niente che potesse giustificare il
giudizio che su di loro veniva espresso. Ogni giudizio era vin
colato alla relazione che la persona riusciva (o non riusciva)
ad instaurare con altri significativi, allalleanza e alla com
plicit che riusciva (o non riusciva) a costruire con essi.
Ho visto comportamenti analoghi accettati e valorizzati
in alcuni, disprezzati e negati in altri. Ho visto esperienze
analoghe concesse ad alcuni e negate ad altri Ho conosciuto
persone che hanno potuto starsene rintanate in casa per me
si senza vedere nessuno, ed altre che sono state rinchiuse in
ospedale e imbottite di farmaci solo per avere prospettato
questa esigenza. Ho visto trattare come normali o come

32
pazzesche situazioni simili. Ho visto che non esiste nien
te di assoluto, di originario, di innato, nessun difetto, tara,
malattia, che mi distingua dalle persone che da decenni mar
ciscono nel manicomio di Messina o negli altri manicomi del
mondo.
La malattia mentale non esste. Non c. Non esiste
alterazione biochimica, lesione del cervello, intossicazione...
non c niente di organico da cui dipenda il fatto di essere
diagnosticati come malati di mente . La follia non una
malattia. Non si trasmette geneticamente. Essa unespe
rienza personale, unica ed irripetibile per ciascuno, che spes
so ci trova impreparati nel comprenderla e viverla insieme
ad altri. Unesperienza che diventa di dominio psichiatrico
solo date alcune condizioni interpersonali e sociali che nien
te hanno a che vedere con lo stato di lucidit, salute, razio
nalit della persona.
Posso attestare che solo raramente le esperienze che co
munemente riteniamo proprie dei matti determinano la
diagnosi di malattia mentale .
Mi spiego. Credo che lansia, la dissociazione, la confu
sione, il non riuscire ad orientarsi, il non riconoscersi, il sen
tire gli altri estranei, la paura di dire e di fare, langoscia,
il sentirsi al centro di un complotto, il sentirsi invadere dai
pensieri degli altri, lascoltare voci , siano esperienze co
muni ad ognuno di noi, specie se corredate dai loro risvolti
sociali: lessere negati, fraintesi, costretti: lessere trattati co
me matti. Eppure soltanto alcuni, pochi, vengono.spinti in
quella spirale senza ritorno che li fissa sulla lunghezza don
da della psichiatria. E non che alcune persone ad un certo
punto della loro vita si ammalano o impazziscono: le perso
ne sono rese pazze giorno dopo giorno, trattandole come tali.

33
Con questo vorrei spazzare via ogni idea genetica, bio
chimica, organica, ogni idea che ci sia qualcosa che non va
dentro lindividuo. Fra me che sto scrivendo e Antonio, ri
coverato in manicomio da 5 anni, c sicuramente una diffe
renza, ma c soprattutto una continuit umana, o, meglio,
c una continuit di lucidit, di senso, di affettivit. Non
c niente in me o in lui che giustifichi lessere posti da un
lato o dallaltro della linea: c molto nella sua e nella mia
storia che pu darci il (non) senso di questa diversit .
Ci che intendo dire che per gli stessi atteggiamenti,
pensieri, parole, opere e omissioni, si pu essere rinchiusi per
28 anni in manicomio, o, al contrario, si pu imporre il pro
prio diritto ad essere ascoltati.
L incontro con la psichiatria e lessere diagnosticati co
me malati di mente non un semplice incidente di per
corso. Esso trasforma radicalmente la vita e le prospettive
dellindividuo, lo proietta in un mondo delirante e allucinan
te dove perde ogni possibilit di intendere e di agire. Tutti
i sintomi caratteristici della malattia mentale (incompren
sibilit, incapacit di intendere e di volere, pericolosit) non
sono altro che il corollario di una relazione violenta fra psi
chiatria normalizzatrice ed esigenze vitali dellindividuo. Il
modo stesso in cui la psichiatria tratta e cura coloro che ri
tiene affetti da malattia mentale , spinge lindividuo a met
tere su delle difese personali tanto pi nette quanto pi
violento e incomprensibile lintervento di cura. Si va cos
dal semplice diffidare di tutti coloro che vogliono il tuo
bene , al rimanere per giorni, settimane, mesi, sdraiati a ter
ra, nudi, nel reparto di un manicomio.
Come mi ha scritto un ex internato: Io non prendevo
le medicine, riuscivo a sputarle nel fazzoletto e eludevo sem-

34
pre la sorveglianza degli infermieri. Per passavo tutto il gior
no coricato per terra nel nudo pavimento. Cos trascorsi an
ni penosi di martirio. Dal medico, mentre ero coricato per
terra, venivo rimosso col piede e non ho mai reagito o dimo
strato la minima impazienza. Avevo paura, era subentrato
in me un trauma di spavento...
Quella che noi profani vediamo come malattia menta
le non altro se non linsieme dei tentativi attuati da un
individuo per sfuggire alle cure psichiatriche.
Facendo a meno della psichiatria, viene meno la malat
tia mentale .
Questo libro vuole appunto mostrare quello che accade
delle persone quando non c (o si annullata) la minaccia
dellintervento psichiatrico, attraverso la quotidianit di un
piccolo villaggio di 3.000 (tremila) anime, Furci Siculo, sulla
riviera jonica della provincia di Messina.
L attenzione posta sul ruolo centrale della cultura
come referente dei vissuti individuali e collettivi connessi al-
lesperienza della differenza in una comunit. Credo, infat
ti, che il modo di far fronte alle angosce o alle esperienze
individuali sia in relazione dinamica con la cultura del vil
laggio che sta dietro ognuno di noi.
Solo da questo punto di vista, credo, si possono abboz
zare le prime risposte sui perch alcuni, e non tutti, han
no finito i loro giorni in un manicomio, o sui perch molti,
e non tutti, vengono sacrificati al Moloch insaziabile della
psichiatria.
E unesperienza, questa, teorico-pratica che vuole da una
parte recuperare al quotidiano il senso di alcune esperienze,
esigenze e forme di comunicazione negate come irraziona
li o cattive ; dallaltra riportarci a quella matrice comu-

35
ne, a queUimmaginario, che la nostra cultura, per ripren
dere le fila di uno sviluppo di vita e di relazioni autogestito
e autocentrato nella comunit.
Il rifiuto della psichiatria non solo rifiuto di ogni for
ma di coercizione e di violenza sugli individui; non solo
rifiuto della distruzione sistematica che essa opera; ma so
prattutto rifiuto di un modello di sviluppo che si basi su que
sti dis-valori e che produca lApocalisse del senso vitale del
nostro stare al mondo, la desertificazione del nostro imma
ginario, lazzeramento di ogni differenza, limpossibilit di
ogni comunit.
Recuperando la cultura come fonte di senso di ci che
ci accade e dei modi in cui decifriamo il mondo, noi cancel
liamo quella linea immaginaria che gli psicoanalisti hanno
tracciato dentro di noi e gli psichiatri hanno costruito fuori
di noi, fra noi e gli altri. La nostra cultura quel territo
rio comune in cui impossibile tracciare linee, costruire mu
ri, imporre appartenenze: la terra sotto i nostri piedi.
Le difficolt personali che incontriamo nel tentativo di
recuperare le radici del nostro stesso stare al mondo, ci pos
sono dare una idea immediata della situazione di alienazio
ne e di incomprensione in cui viviamo quotidianamente. Da
una parte veniamo acculturati e professionalizzati (di
ciamo pure civilizzati ), nel senso di una rottura dei lega
mi vitali con la nostra storia; dallaltra veniamo affascinati
dal mito razionale della malattia mentale e di una gestio
ne scientifica delle cure attraverso centri aperti 24 ore
su 24, diffusi nei nostri quartieri. Servizi psichiatrici alter
nativi alle relazioni quotidiane fra le persone, ai sensi che
essi producono, alle cose in cui credono, allaffettivit o al
rifiuto che essi esprimono. Servizi competenti a chiama-

36
re le cose con nomi incomprensibili, a trasformarci in alieni,
in esseri mostruosi e... invisibili.
Non c psichiatria alternativa che tenga. Non c
emancipazione dallessere considerato un pazzo indemonia
to , allessere considerato un malato irresponsabile . Non
c emancipazione nel passaggio dal manicomio al circuito
psichiatrico alternativo : si resta comunque imprigionati
nella tela del ragno, in un mondo parallelo che riproduce quello
reale: il mondo del come se .
La psichiatria alternativa sembra aver scoperto che la
libert, il lavoro creativo, la casa propria, la possibilit di di
vertirsi e di confrontarsi con gli altri senza paura di essere
puniti, di costruire alleanze, di essere ascoltati, cura : sem
bra aver scoperto che la quotidianit, la vita curano.
Ma questa scoperta non cancella la malattia . L utente
della psichiatria alternativa non pu vivere una vita al
100% con il suo margine di insicurezza e imprevedibilit,
con la sua valenza affettiva, coi suoi alti e i suoi bassi. Ha
bisogno di una vita protetta , una fotocopia di vita, una
vita di serie B.
La linea continua ad essere tracciata pi subdola e pene
trante, una linea diffusa che passa fra e dentro di noi. Non
pi levidenza delle mura del manicomio, cittadella della fol
lia, linea netta fra sanit e follia, ma una linea incerta, vela
la dai propositi dichiarati di negazione della malattia , del
lincomprensibilit, della pericolosit, che ripropone nel
negarli. Una linea che non c e di cui ti accorgi solo quando
lhai attraversata. Una trappola micidiale che ti rinchiude e
li imprigiona: un nodo che si stringe quanto pi ti agiti.
Questa linea ci interessa tutti, da una parte e dallaltra:
a nessuno concesso di attraversarla (in un senso o nellal-

37
tro) se non nei termini della psichiatria e della sua cura .
Ci significa, fra laltro, che nessun incompetente norma
le pu attraversare questa linea, andare incontro al folle,
abbracciarlo, riconoscerlo. Quello che ci aspetta se ci avven
turassimo sarebbe lo smarrimento, la minaccia e la messa in
pericolo del nostro essere, la follia.
Questa idea fa parte del nostro immaginario psichiatri-
co e ci impedisce di avvicinarci, di stringere alleanze, di an
nullare quella linea che ci fa soffrire (dentro e fuori di noi).
Questo libro vuole essere il resoconto di un tentativo per
sonale e collettivo nel cancellare questa linea, nellazzerare
questo giudizio, nel fare a meno della psichiatria. La lotta
per ricostruire delle somiglianze (e alleanze) andate distrut
te, negate, espulse; per recuperare lessenzialit della comu
nit (e della differenza) fra le persone.
Recuperare una libera comunicazione significa, fra lal
tro, recuperare il senso di verit ed esigenze radicali che so
no state sepolte in alcuni individui ed essi stessi sepolti sotto
la coltre o dentro le mura della cura psichiatrica.
Il recupero di questa complessit un rendere giustizia a
persone e storie che hanno pagato il prezzo della negazione
assurto a modello di convivenza.
L urgenza di questo lavoro sta nella mole di sofferenze
ininterrotte che costituiscono lossatura della questione psi
chiatrica, prima e dopo il manicomio; insieme allopportuni
t che ci si apre, in questo vuoto di curatori e di cure ,
di trovare una nuova forma di sviluppo che escluda per sem
pre dal nostro orizzonte la psichiatria.
Il cerchio aperto con la chiusura del manicomio non
ancora stato chiuso. Invece di scandalizzarmi, questa inap
plicazione della legge 180 mi sembra unoccasione per ripor -

38
tare e vivere la questione nei termini e nel contesto in cui
nasce: le relazioni e la cultura quotidiana. Unoccasione per
ognuno di noi di vivere il proprio disagio senza mediazioni
e costrizioni mediche .
La psichiatria nella nostra regione ancora un fenomeno
marginale, ma la sua ombra e limmaginario che la connota,
si espande pericolosamente a stravolgere lequilibrio della no
stra cultura.
In questi anni, con altri, abbiamo tracciato alcuni itine
rari che illustrer in quanto segue. Non sono itinerari e sug
gestioni nuove , ma la semplice coscienza delle conclusioni
a cui arriviamo quando siamo abbandonati a noi stessi ,
delle mete a cui giungiamo, delle relazioni e delle prospetti
ve che costruiamo.
Credo che questi siano itinerari comuni in cui molti si
sono trovati coinvolti per tratti o per lintero corso dei fatti
e dei vissuti. Credo che siano strade pubbliche, molto battu
te, strade su cui molte volte ci siamo incontrati.
Questo libro, allora, loccasione di riconoscerci.

39
Il villaggio

I l villaggio lo sfondo della nostra esistenza. allo stesso


tempo la scena e il copione a cui ci atteniamo. Il villaggio
sta dietro , nel senso che ci accoglie e ci sostiene. E una
presenza collettiva, una mente collettiva che respira, ri
flette, ricerca, ricorda. Il villaggio la Memoria di cui noi,
con le nostre vite e vicissitudini, siamo i ricordi. Una memo
ria collettiva in cui niente passa ma tutto viene presenti-
ficato perennemente, rivissuto, riconosciuto, rivisto, verifi
cato. Una memoria che, in questo tener presente le storie
dei vivi e le storie dei morti, in questo creare un mondo co
mune, riesce a dare senso e significato a ci che succede dal
le e fra le persone.
Il mio interesse verso il villaggio non tanto, o solo, mos
so dal fascino e dal senso che ogni cultura sa dare ad ogni
esperienza e di ogni esperienza umana: ma soprattutto dalla
constatazione che il villaggio il contesto originario (lu
nico) in cui possibile riconoscerle, comprenderle, agirle.
Aldifuori del villaggio, aldifuori della Memoria Colletti
va, qualsiasi esperienza diventa incomprensibile, irriconosci
bile, viene sradicata ed estirpata dalla terra degli uomini. Il
discorso che ad esempio viene condannato e curato come de
lirio paranoico in un reparto psichiatrico, avrebbe valenze

41
collettive intense di suggestione, emotivit, senso, se lasciato
essere nella comunit. Avrebbe lopportunit di essere ri
conosciuto, compreso, di avere effetti pragmatici, relaziona
li, di modificare e di lasciarsi trasformare. Un delirio
lasciato a se stesso produce sempre conoscenza e relazione:
induce un cambiamento, richiede una trasformazione. Tor
neremo su questo.
Qui mi interessa precisare il senso a-spaziale che d al
termine villaggio . Esso designa una comunit, o, meglio,
unappartenenza simbolica che non si basa sulla continuit
fisica, sulla presenza effettiva, sulla condivisione di spazi e
oggetti. Certo un luogo in comune pu essere una varia
bile importante per lo sviluppo di una Memoria e un Imma
ginario comune, ma non decisiva. Abbiamo purtroppo molti
esempi di persone che vivono insieme senza che fra di loro
scatti la bench minima scintilla di comunit-comunicazione.
Prendo in prestito unimmagine della tradizione orien
tale: un villaggio come un lago, una volta che unonda si
prodotta, questa interessa lintera distesa dacqua. E chia
ramente unonda simbolica, emotiva, che tocca le corde sen
sibili del nostro essere: una sorta di richiamo, di coinvolgi
mento, di destino comune.
Non essendo luogo il villaggio non ha margini , non
ha diversit , non traccia linee o confini fra le persone. E
una rete di differenze e somiglianze viscerali, in cui ciascu
no ha il senso di s e la cognizione degli altri. Ognuno parte
cipa di questa Memoria Collettiva, ognuno pu accedervi,
ognuno ha diritto di cittadinanza in essa.
Il villaggio appunto questa continuit fra dentro e fuo
ri. E un territorio comune in cui la soggettivit, la fantasia,

42
i pensieri di un individuo si intrecciano indissolubilmente con
quelli di tutti gli altri, senza che alcuno possa pi tracciare
una linea di separazione netta fra me stesso e me stesso, e
me stesso e gli altri.
Ci che attualmente la societ occidentale chiama fa
miglia o individuo , mi sembra il risultato della distru
zione sistematica dei nessi culturali, delle appartenenze, delle
somiglianze e delle differenze fra di noi. La Memoria Collet
tiva viene disgregata, il tempo si appiattisce su un presente
senza radici, le esperienze vengono rappresentate e non vis
sute, si ripetono, rese irriconoscibili e del tutto incompren
sibili aldifuori del microuniverso in cui siamo intrappolati.
Le suggestioni e le conoscenze collettive rimangono fuori dal
nostro orizzonte, aleggiano inquietanti fantasmi fra di noi:
le nostre radici fanno paura.
- La rottura dei nessi di comunicazione e di somiglianza
fa s che esperienze personali intense, vengano vissute con
ansia e paura indicibili. Non solo non siamo capaci di com
prendere e gestire le nostre emozioni, siamo sicuri che nes
suno pu farlo. Abbiamo paura di parlare per timore di essere
puniti, abbiamo paura di tacere perch ci sentiamo impazzi
re. La situazione drammatica in cui tutti viviamo consiste
nellaver perso il controllo sulla nostra esistenza: la capacit
di decifrare e comprendere il senso del nostro essere nel mon
do e le azioni degli altri.
Questo disagio diffuso. E il senso di unevoluzione ba
sata sulla separazione, sulla scissione, sulla diversit. La psi
chiatria moderna il rimedio che ci si propone per rial
lacciare i ponti fra di noi, per ricostituire le comunit. In real
t la pratica psichiatrica non fa che rendere questa separa
zione irreversibile, ratificandola come dato sociale e conso-

43
lidandola attraverso una stigmatizzazione diffusa e una mol
tiplicazione dei luoghi di separazione della diversit.
Questo processo ancora in corso. Non solo. Credo che
esso trovi grossi ostacoli ad imporsi in Sicilia. Tanto da giu
stificare un interesse attuale, pratico, vivo e non nostalgico,
verso la cultura della differenza dei nostri villaggi.
Questi spazi pratici di azione, questa resistenza attiva,
questa vitalit, originalit, profondit della cultura Sicilia
na, danno senso allo sforzo personale e collettivo che stiamo
compiendo in uno di questi villaggi, e che qui documento,
per trovare insieme una strada di sviluppo autocentrata, ra
dicata nella nostra cultura, intrecciata alla nostra storia.
La mia idea di cultura non si confonde con la tradizione,
con la mera ripetizione di riti, con la trasmissione invariata
di tratti culturali: intendo per cultura le modalit che un vil
laggio usa per decifrare e agire un problema, una questione,
unesigenza. Anche queste modalit possono essere (e so
no) abbastanza stabili, ma legate come sono ad espressioni
radicali delle persone, hanno un carattere di dinamicit, in
ventiva, creativit. La cultura non solo un modo di risol
vere i problemi: spesso anche un modo per mettersi nei guai.
Spero che da queste brevi note emerga con forza il signi
ficato della centralit da me data alla questione dello svilup
po della psichiatria, come indicatore del venir meno non tan
to della solidariet, quanto del contesto stesso, il villaggio,
in cui ci che siamo e sentiamo ha senso. E vero che la psi
chiatria non causa di ci, ma partire dal dato limitato, sep
pure fortemente invalidante, della sua oppressione e del suo
ruolo di tutore di questo sviluppo dissodante , mi ap
parso come un modo pratico, diretto, quotidiano, di affron
tare le questioni di fondo della nostra esistenza.

44
Credo che la questione sia quella dellautodeterminazio
ne, a tutti livelli, della possibilit di poter capire e gestire
da s la propria vita e il proprio futuro/sviluppo, con il mas
simo di libert e il minimo di autorit. Questa autogestione
possibile e deve essere riallacciata alla quotidianit dei no
stri rapporti. Del resto il nodo della follia riguarda lessere
uomini, cos come quello della psichiatria il potere. Nodi
da sciogliere o forse nodi gi sciolti.
Partiamo dal villaggio. Furci Siculo un paese di 3.000
abitanti, ma di molte pi anime, sulla riviera jonica della pro
vincia di Messina. Prende il nome dalle forche che qui ven
nero erette per giustiziare secoli addietro i malviventi e i
predoni della marina. Le forche simbolo di una giustizia col
lettiva impietosa dura che una costante di questo villaggio.
Una giustizia pubblica, un essere esposti, un essere in pericolo.
Forche il cui motivo continua ad essere ripreso e rappre
sentato dalle guglie severe della chiesa centrale, sentinella e
guardiano di valori e di moralit senza tempo e senza possi
bilit di deroghe.
Questa morale collettiva senza tregua ci che ha tenu
to insieme questo villaggio; ci che tiene insieme i vivi, i mor
ti, gli emigrati, i presenti e gli assenti. Questa presenza co
stante, questo vivere nella presenza assoluta di altri, questo
appartenere ad una Memoria Collettiva per cui tutti non pos
sono che sapere tutto di tutti, ridefinisce continuamente e
in modo unico il senso della propria singolarit e soggettivi
t. Le vite si scambiano facilmente, la conoscenza sfiora las
soluto, nessun confine salva, nasconde, ci si sente di cristallo
trasparente, perennemente esposti sulla pubblica piazza.
In ognuno vivono e parlano i dialetti e i ricordi di gene
razioni mai sepolte. Queste voci a volte fanno confusio-

45
ne, spesso permettono di mettersi in sintonia con le proprie
radici. Perdere il filo di questo discorso vuol dire perdere
il senso del nostro quotidiano, la percezione dei nostri e al
trui confini, delle nostre e altrui intenzioni.
Non abbiamo bisogno di complessit teoriche: viviamo
gi in una complessit pratica in cui ogni cosa rivela da s
i suoi nessi e i suoi rimandi. In un villaggio come Furci non
esiste niente che inizi e finisca in un individuo. Nessuna
malattia , nessuna diversit , nessun pensiero . Ogni
teoria sulla quotidianit non fa che dividere ci che in real
t uno. Nessuna teoria pu, allo stesso modo, fare Uno ci
che diviso.
Capire i modi in cui la gente pone e affronta i problemi
relativi allo stare al mondo con altri, vuol dire trovare una
strategia comune, diffusa, naturale, nonviolenta di aiutare
le persone ad aiutarsi da s. I modelli non possono venire
da realt urbane disgregate e disgreganti. Non possiamo im
portare soluzioni pensate l dove la Mente Collettiva si dis
solta, senza mettere in forse le radici stesse della nostra cultura
e identit.
Occorre ripartire dai nostri villaggi, ascoltare la loro ani
ma, lasciare che le persone trovino da s il senso del proprio
sviluppo.
Nessuna ipotesi, nessuna teoria o tecnologia, avrebbe po
tuto tenere insieme e cimentare storie e vie cos diverse co
me quelle che fanno da retroterra a Furci. Cultura legata e
contesa fra terra e mare. Contadini e pescatori, concretezza
e labilit, realt e sogno, sicurezza e pericolo, previsione e
caso, bene e male.
Da rapporti cos intensi con la terra ed il mare nascono
mondi di relazioni e immaginari differenziati, al limite della

46
contrapposizione, ma mondi che, pur conservando un pro
prio spazio simbolico, si sono contaminati a vicenda.
Fra la terra ed il mare: il cielo. Una religiosit profonda
ha sublimato queste anime, ha trovato una lingua comune,
ha raccolto e ha dato senso con la sua rete alle storie di
generazioni di uomini e donne di terra e di mare.
Non si tratta di un semplice credere in dio: ma piuttosto
della consapevolezza di unUnione e di unAppartenenza vi
scerale ad un ordine delle cose, ad una Mente Collettiva. Una
religione immanente, senza dio: un ordine che si autocon
ferma da s, senza tutori, ininterrotto, dalle forche allinfinito.
Una religione che non trascende lindividuo, ma espan
de la sua conoscenza, i suoi confini, la sua capacit di senti
re; impigliata alla terra e al mare, protesa a dare un senso
e un ordine ai vissuti, alle paure, alle fantasie, alle esperien
ze di storie cos diverse, a trovare unipotesi unica di soprav
vivenza.
Cos non sono il bene e il male a stare al centro e a strut
turare la Lingua Comune: ma la Giustizia. Questo dio che
tutto sa, che tutto vede, che ti legge dentro, a cui niente sfug
ge, altri non se non la Presenza dAltri assunta a coscien
za collettiva, per cui ognuno sempre momento della coscien
za di un altro. Nessuno pu sfuggire. Non si fa peccato ver
so dio ma verso la comunit: non si pecca con lazione ma
col pensiero.
La soggettivit il peccato originale. Essere individui
essere assediati. L individuo una fortezza vuota abitata da
fantasmi. Staccarsi dalla Mente Collettiva implica una nuo
va nascita: ma un nascere nel nulla, oppure un nascere nel
sogno. Poich il villaggio oltre a ricordare "sogna . Sogna
di partorire un nuovo messia che lo trasformi.

47
L immaginario collettivo di questo villaggio si fonda su
questordine religioso, ossessionato dallidea che rompere que
sta Unit voglia dire disgregazione, fine, apocalisse. Ordine
che un rito a cui sono stati sacrificati energie, storie, indi
vidualit: un ordine che struttura la vita comune e persona
le, palese e segreta, reale e fantastica, in cui non c divisione,
separatezza, alterit. Il bene e il male, il con me e con
tro di me , la follia e la normalit che si fronteggiano, non
si escludono mai a vicenda, non sono fatti di cose diverse,
di pensieri, situazioni, emozioni contrastanti. In un villag
gio non c alcuna diversit... c molta differenza connessa
in una Unit di senso che il reale .
Folli e normali condividono, a Furci, le stesse credenze,
la stessa visione del mondo; danno ai comportamenti le stes
se interpretazioni; reagiscono alle stesse provocazioni. Sono
esseri riconoscibili e che si riconoscono, comprensibili, logi
ci: caricature di un sentire comune.
Credo che lidentit di un individuo, ci che lui stesso
ritiene di essere, ci che gli altri riconoscono in lui, si basi
su un complesso equilibrio di presenze e di assenze. Spesso
nei discorsi della gente aleggia qualcuno immateriale, in
visibile e presente, con cui ogni nostro pensiero, opera e omis
sione deve fare i conti. Le voci girano accusano, rivelano,
fraintendono: la presenza (o lassenza) daltri in ci che ac
cade struttura la comprensione del come e perch qual
cosa nasce fra di noi. Nessuna verit tale se non ampli
ficata (o amplificabile) dalle voci . In questo senso vero
solo ci che si dice . Non esiste prova oggettiva che tenga,
nessun fatto ordinario pu ribaltare il mormorio pubbli
co, ci che si dice sembra detto una volta e per sempre.
Tutti sappiamo che non ci permesso dire tutto, n par-

48
lare di ogni verit, esperienza, fatto che riguarda la nostra
vita personale e di relazione (leggi: sesso, questioni familia
ri,...). Nella realt solo le voci possono (e in un certo sen
so devono ) parlare ed esprimersi su tutto. Ascoltare e pre
stare attenzione ad esse significa inventariare e sentire tutto
ci che in quella data cultura non si pu dire pensare
o fare .
E strabiliante notare come ci sia una analogia fra il senso
delle voci che ciascun villaggio produce sui pi svariati emi
sferi della vita quotidiana e le voci che alcuni individui
affermano di sentire e che gli psichiatri ritengono un sinto
mo caratteristico della malattia mentale . C una conti
nuit culturale profonda fra le voci che invitano, ad e-
sempio, Sonia a lasciarsi andare al piacere del sesso, e le vo
ci che girano intorno alla moralit di suo padre. In am
bedue i casi le voci dicono ci che agli interessati non
permesso dire. Parlano in vece di . Sonia difende la sua
integrit dando parola alle sue voci ; cosi come il villaggio
salva la sua integrit interpretando collettivamente, e quin
di impersonalmente, ci che accade fra e dei suoi membri.
Mi sono spesso chiesto il motivo di questo togliere la
parola alle persone per darla al villaggio, di questa trasfor
mazione sistematica della verit in illazione , di questa sper
sonalizzazione dei conflitti interpersonali. Quale pericolo si
pu nascondere dietro le disperate esperienze di alcuni o le
parole della speranza, della rabbia, della fantasia di tutti? Per
ch nessuno pu essere testimone e interprete della propria
esperienza?
Credo che il pericolo fondamentale da cui il Villaggio si
difenda la disintegrazione culturale, e cio di senso. Il pe
ricolo che la differenza fra le persone si faccia diversit irri

49
ducibile. Imporre ai singoli la mediazione della cultura col
lettiva nel definire e affrontare i nodi dellesistenza quoti
diana, significa garantirsi dalla dissoluzione pratica e simbo
lica. Solo imponendo un linguaggio comune possibile una
comunicazione e uno scambio fra le persone; creare una par
venza di realt condivisa; costruire un senso al fatto, appa
rentemente inspiegabile, che si sta al mondo con altri, che
si nasce, si esiste, si spera e si dispera, si muore...
Le voci , lungi dallessere materiale di scarto o vol
garit inaccettabili , rappresentano la sintassi del nostro dia
letto culturale . La loro centralit culturale sancita dalla
loro origine intersoggettiva e collettiva: le voci non han
no soggetto. Se si afferra uno qualunque dei loro ripetitori
e lo si interroga, molto probabilmente si scopriranno delle
differenze personali vive, stimolanti e inespresse. La parte
cipazione alle voci impersonale, non solo perch nessu
no aggiunge qualcosa di suo , ma soprattutto perch cia
scuno aggiunge qualcosa che manca . Le voci vengono
costruite pezzo dopo pezzo come su una catena di montag
gio; quando il prodotto finito e il quadro completo, esso
si identifica con la realt stessa di ci che rappresenta.
Credo che nessuno si possa astenere dal vociferare . Tut
ti partecipano di questa conoscenza comune che qual
cosa di pi della semplice ripetizione di leggi culturali indi
scutibili: senza voci non ci sarebbe n storia, n senso,
n realt.
Il grosso nodo di questo dato culturale si gioca a livel
lo quotidiano nelle relazioni intersoggettive per cui spesso
le voci vengono connotate negativamente come forme di
invadenza e stravolgimento della realt dei fatti e dei vissuti
delle persone. In realt qualsiasi forma noi usiamo per espri-

50
mere una nostra esperienza non fa che trasformarla in un lin
guaggio comune riconoscibile, se non condivisibile, dalla
maggioranza degli altri esseri viventi che vi sono implicati.
Le voci sono uno strumento di decodificazione culturale
dei nostri comportamenti verbali e non, e, quindi, come ta
li, non sono necessariamente contro qualcuno. Tutti posso
no accedere ad esse e amplificare le proprie esperienze. Poche
persone subiscono le voci, la maggior parte di noi le uti
lizza per orientarsi nel mondo.
Se ci viene precluso di utilizzare le voci, non solo ri
schiamo di subirle , ma soprattutto di parlare di noi stessi
e per noi stessi, rompendo una regola fondamentale su cui
si basa la nostra e altrui identit: nessuno pu parlare di/per
se stesso, ma solo attraverso altri. Questo il momento
in cui il nostro linguaggio diventa folle .
Non un caso, ma a Furci il parroco da decenni stampa
un giornalino che si intitola la Voce di Furci. Una sorta
di bollettino che tende i fili di una unit culturale fra pre
senti e assenti, fra il mondo dei vivi e quello dei morti, fra
i fatti e i vissuti. Per lungo tempo la Voce stata lo spazio
simbolico comune degli immaginari di Furci; del resto quale
linguaggio ha valenze cos omnicomprensive come quello
religioso? Il bollettino redatto dal solo parroco quasi a san
cire questa sua universalit, questo suo distacco, questo suo
carattere di verit collettiva.
Questa Voce non pu essere zittita, n negata, n tra
sformata, a meno di non mutarne i toni, i dialetti, gli sparti
ti e, quindi, gli immaginari ed essi sottesi. Eppure in questi
ultimi anni le voci si sono moltiplicate, hanno incomin
ciato ad avere un soggetto e un oggetto , si sono scon
trate contro questo spazio simbolico comune, hanno propo-

51
sto una secolarizzazione e una materializzazione delle rela
zioni, degli incontri, dei conflitti, del senso nel villaggio: han
no soprattutto incominciato a considerare il villaggio come
la periferia di un impero.
Le parole della voce del villaggio sono state confuse,
ma il tono rimasto lo stesso. Una generazione di figli ,
affrancata dalla terra e dal mare, legata al mito dellautocon-
cepimento, ha proposto una nuova alleanza , svincolata dal
limmaginario religioso e garantita a livello amministrativo.
E il passaggio ad una materialit intrisa (e derisa) dalla
fede cieca in un progresso e in un futuro sognati da una
generazione di figli sequestrati per decenni dallistruzio
ne pubblica, educati al rifiuto sistematico delle proprie radi
ci, incapaci di riconoscere la matrice profonda dellesistenza
comune.
Al mare, alla terra, al cielo, elementi della natura-cultura
primordiale, i figli intendono sostituire la carta . Alla
parola (e quindi allimmaginario) essi prediligono la scrittu
ra (e quindi i fatti). Il tentativo quello di affrancarsi dal
dominio dei padri , ricercando una nuova paternit-mater
nit impersonale nellamministrazione e gestione della vita
comunitaria.
A dio, come Mente/Memoria Collettiva, si contrappone
la Legge dello Stato. Alla differenza vitale una diversit irri
ducibile, allUnit di senso una falsa uguaglianza.
I figli intendono prendersi cura dei padri e delle ma
dri, della loro storia, delle loro radici. Il tono del loro di
scorso lo stesso, ma essi parlano in prima persona ,
rivendicando questo diritto contro la pretesa della Mente Col
lettiva di essere la Memoria Comune. Prendendosi cura dei
padri essi tentano di riscrivere la Storia; costringono alla clan-

52
destinit le voci . Paradossalmente tutto ci che produco
no non riguarda il futuro o i loro figli, ha a che fare col ten
tativo di fare a meno dei loro padri.
Tutto continua a riferirsi a questa Mente Collettiva il cui
corpo viene martoriato giorno dopo giorno, fino a risultare
irriconoscibile. Questi interventi di chirurgia plastica non
alterano le ragioni culturali della sopravvivenza del villaggio,
creano piuttosto una separazione ancora pi netta fra ci che
, ci che sembra e ci che si dice. Questa confusione crea
disorientamento, disgrega il senso del reale, mette in discus
sione il significato della presenza (o dellassenza) di altri e
delle loro intenzioni, riformula il concetto stesso di comuni
t, di comportamento, di individuo.
La presenza daltri assume un senso sinistro, da decifra
re, comprendere, riconoscere in tempo; la natura degli in
terlocutori si moltiplica e con loro i sensi si frammentano;
lovvio viene attaccato; aumentano i meccanismi di emergen
za; si approfondisce la sensazione di essere perseguitati, stri
tolati, visti, giudicati, immolati, isolati. L individuo asse
diato da discorsi che non capisce, da domande che gli
chiedono risposte in prima persona e che contemporanea
mente lo costringono in una categoria definita, in una ipote
si di sopravvivenza sociale, senza rapporti con gli altri.
C di mezzo la sopravvivenza stessa del villaggio: esso
non pu tollerare di essere vincolato ad un contesto spazio
temporale dato, non pu essere ristretto a ci che i presenti,
i vivi, sentono, sperano, sognano, progettano, non pu la
sciare da parte, n superare, niente della sua storia, non pu
rinunciare alla sua Memoria, non pu accettare separazione,
n tantomeno la morte.
Intendiamoci, un paese pu essere visto e diventare un

53
agglomerato di cemento, asfalto, plastica, elettricit, carne
e sangue, per cui potr riprodursi allinfinito sempre uguale
a se stesso. La sopravvivenza non riguarda laspetto struttu
rale della comunit ma quello vitale, di rapporto, di senso,
racchiuso nel termine villaggio: il primo non ha problemi di
sopravvivenza, il secondo va alimentato, vissuto, presentifi-
cato, agito.
Credo con ci che ci sia unincompatibilit profonda fra
10 sviluppo che ci viene proposto e la possibilit di continua
re ad essere una comunit di esseri viventi. In questa incom
patibilit si apre una questione la cui risposta apre a sua volta
una infinit di ipotesi di sviluppo alternative. Ci a condi
zione di cercare e di agire la radice stessa del dilemma.
L esperienza di base di cui questo libro tratta annoda
ta indissolubilmente a questa questione. Questione che ri
guarda s la Cultura, ma soprattutto la sopravvivenza delle
persone stesse come esseri con senso e che significhino gli
uni per gli altri.
Da subito volendoci impegnare nella lotta per il diritto
di cittadinanza di ogni espressione umana, contro ogni for
ma violenta di negazione dei comportamenti e dei vissuti pro
pri e altrui, ci siamo trovati davanti al dilemma, proprio dei
figli , di come interagire con le voci e le soluzioni che
11 villaggio ha sempre dato ai dilemmi intra-interpersonali e
familiari dei suoi membri. Il problema un falso proble
ma che rappresenta una trappola mortale in cui molti sono
caduti.
Immaginiamo spesso di non avere niente a che fare con
la nostra cultura, immaginiamo cio di essere diversi, di sta
re fuori dalle opinioni comuni, di non essere responsabili di
ci che succede. Questa dissociazione, posta come punto di

54
partenza, diventa una sorta di peccato originale per cui
quanto faremo o diremo non entrer in circolo, non aprir
un confronto, ma costituir un semplice faccia a faccia, una
contrapposizione bene-o-male, ma non significher nulla.
Credo che lunica strada che ci si apra per trasformare
(ed essere trasformati) quella che passa da un recupero del
nostro essere parte di un problema, piuttosto che di una so
luzione. Recuperare la nostra appartenenza al villaggio, alle
sue voci , al suo immaginario, alla sua memoria: diventare
noi stessi rete vitale di senso, ripetitori e amplificatori di vo
ci .
Voglio precisare che non si tratta di uniformarsi alla cul
tura del villaggio, ma piuttosto attingere alla complessit
delle differenze in essa presenti per costruire uno sviluppo
comprensibile e agibile da tutti: il che significa fare della no
stra diversit una differenza, una qualit di senso, un signi
ficato.
E importante cogliere il fatto che la diversit non
un prodotto culturale, essa posta da noi, spesso nel momento
stesso in cui vorremmo combatterla e/o affrontarla. La creia
mo e la subiamo nel tentativo di liberare le persone da
qualcosa che noi stessi alimentiamo.
Abbiamo sciolto questo nodo nella maniera pi naturale
possibile sospendendo ogni giudizio sulla cultura del villag
gio, facendoci invadere dalla complessit di motivi e imma
ginari che costituiscono la trama della nostra storia/memoria,
cogliendoci come parte di essa, attingendo ai modi, alle stra
tegie, alle esperienze di generazioni: scoprendo che il villag
gio crea senso anche quando nega, anche quando esclude,
anche quando interna.
Un villaggio non dimentica mai. Abbiamo pensato di re

55
cuperare questa memoria, di presentificare storie, esperien
ze, soluzioni, di riviverle, di introdurvi elementi nuovi, nuove
voci . Ecco, abbiamo pensato che limportante non era fa
re ma significare , che limportante non era creare spazi
fisici, appartenenze, ma creare alleanze: diventare voce
che passa, viene intesa, compresa e agita.
In fondo non si tratta daltro che di far passare le no
stre esperienze nel patrimonio collettivo, farle diventare par
te della Memoria Collettiva, acquistare per loro diritto di cit
tadinanza. Nessuna esperienza esemplare cambia la sostan
za delle cose: entrare nella memoria collettiva implica una
esperienza condivisa e costante, un vociferare continuo,
un continuo e quotidiano confronto fra persone, un legame
di sento fra le generazioni.
Ecco perch lo scemo mi appare la seguenza bloccata di
una trasformazione mai condotta a termine. Egli rimasto
solo a rappresentare un sogno comune ma che non ha pa
role, alleati, storia: un sogno che non ha terreno sotto i pie
di, che non ha niente su cui poggiare, esempi da portare,
materialit e fatti di prova, un linguaggio con cui parlare.
Ciononostante egli non sospeso nel nulla, al contrario ra
dicato nella terra e nel sangue del villaggio, intrecciato al de
stino comune, sempre presente nella memoria collettiva, parte
dellidentit di ognuno, privo di storia personale, totem e
tab.
E chiaro che dietro ogni scemo ci sono i nostri sogni in
confessabili, le nostre-paure, le nostre fantasie... e hanno ra
gione i disperati ostaggi della psichiatria (che chiamiano
paranoici ) quando delirano di essere stati immolati per il
nostro equilibrio e sognano una trasformazione mondiale, co
smica, totale come possibilit di una loro rinascita.

56
Lo scemo

La soggettivit il peccato originale. Essere


individui essere assediati. L individuo una
fortezza vuota abitata da fantasmi.
Staccarsi dalla Mente Collettiva implica una
nuova nascita: ma un nascere nel nulla, op
pure un nascere ne! sogno. Poich il villaggio
oltre a ricordare sogna . Sogna di partorire
un nuovo messia che lo trasformi.

L a follia possibile solo in un villaggio che sogna , che


immagina e sceglie fra scenari, convergenze, equilibri.
Ho gi detto che ricordare non significa ripetere e che
la cultura altra cosa dalla tradizione . Ebbene, questa
stessa Mente che ricorda viene rapita dalle suggestioni,
illusioni e delusioni del ricordo stesso. Il ricordo ri-propone
e ri-vive le questioni affrontate, le soluzioni date, ma soprat
tutto quelle che si sarebbero potute dare.
La follia mi sembra il ricordo o, meglio, la ripresentifica-
zione di tutte le soluzioni, pensate o vissute, non entrate nella
Storia del villaggio; i se che lungi dallo svanire nella neb
bia del mai esistito hanno continuato ad agire, a creare
senso, a suggestionare e a coinvolgere generazioni su gene
razioni.

57
In questo senso lo scemo integrato nel villaggio
quanto qualsiasi altro. Egli parte della Mente Collettiva:
nasce l dove alberga il suo contrario. Per lo scemo non
c un mondo n uno spazio diverso da quello di ogni altro:
egli cammina a pieno titolo la nostra stessa terra, utilizza gli
stessi mezzi pubblici, frequenta le stesse piazze e la nostra
stessa visione del mondo: nessun muro, cura, linea, lo sepa
ra dal resto del mondo.
Il suo stare al mondo in relazione a quello di tutti gli
altri; la sua esistenza compresa e agita collettivamente; i
suoi comportamenti sono significativi, la sua storia entra quasi
di diritto nella Memoria Collettiva.
La stessa parola scemo , poi, non ha un tono dispre
giativo o svalutativo. Essa ha una valenza positiva laddove
fa intuire che si tratta di un modo di dire una verit che non
si pu dire. Fare lo scemo vuol dire anche tentare di evi
tare le sanzioni che questo dire avrebbe se proferito in pri
ma persona.
Lo scemo, quindi, pu (e deve) essere bizzarro, pu spro
loquiare, affrontare temi scabrosi, materializzare i fantasmi,
le paure, le fantasie che aleggiano sul villaggio. Il suo dire
riprende temi memorie collettive: paradossalmente egli le
satto contrario di un individuo eccentrico, di un soggetto uni
co: la parodia di un essere integrato nel cerchio del villaggio.
Certo ogni scemo /ha una sua storia intima, ma questa
viene amplificata, confusa, annullata, da una Mente Collet
tiva che lo richiede continuamente, facendo della sua sog
gettivit Una sorta di campo di battaglia, una piazza pubblica
in cui tutti passeggiano, chiacchierano, si incontrano.
Lo scemo una qualit delle relazioni di un villaggio: un

58
modo di includere nella quotidianit ci che la cultura co
munemente esclude, ma non pu negare. Lo scemo unaf
fermazione di unit e di equilibrio: attraverso lui parlano le
voci di generazioni di vinti e il sogno della loro rinascita (e
rivincita). Attraverso lui viene presentificato e rappresenta
to il discorso di un cambiamento, di un nuovo ordine, di una
nuova Mente.
Forse per questo che solo raramente lo scemo finisce
i suoi giorni in un manicomio o incontra la psichiatria. La
sua follia sempre riconosciuta (e spesso tollerata) dal vil
laggio. Gli permesso di comunicare senza rischiare di esse
re curato o stigmatizzato come matto. E questa tolle
ranza, riconoscimento, vicinanza, lo indennizza per il prez
zo umano e sociale che egli paga in questo suo rappresentare
il villaggio.
Abbiamo a che fare cos con una Memoria di relazioni
sociali con la follia segnata dalla tolleranza e dal riconosci
mento, nonch da una profonda complicit-alleanza fra fol
lia e normalit: una Memoria che sta prima di ogni psichiatria
e che patrimonio comune di ogni villaggio. Memoria che
sancisce linutilit, lininfluenza e lincomprensibilit della
barbarie psichiatrica; la sua cieca violenza; il suo arbitrio.
Credo che la psichiatria stia alle porte di unApocalisse
culturale, sulla soglia di un collasso della Mente Collettiva,
sullorlo del baratro e del nulla in cui precipita il nostro sen
so di stare al mondo. Essa agisce solo nel momento in cui
si aperta una crepa (anche minima) nella Memoria Collet
tiva: una ferita in cui affonder il suo bisturi impietoso allo
scopo di rendere questa separazione irreversibile, una vora
gine incolmabile, unassoluta distanza. Essa isoler gli indi
vidui da una parte e dallaltra di una linea, far di ci che

59
era Uno due Met contrapposte e invisibili, render ciascu
no altro da quello che .
In questo senso malato di mente o pazzo non al
tri se non lo scemo dietro cui hanno fatto terra bruciata,
sospendendolo nel nulla del suo cervello e della sua mente.
Hanno distrutto il villaggio dietro ognuno di noi, ci hanno
sospesi nel nulla, con la minaccia di farci impazzire, di ren
derci stranieri sulla nostra terra. Tutti siamo potenziali utenti
della psichiatria, tutti siamo potenziali vittime, a meno che...
non diventiamo carnefici.
Eppure credo che non si possa trovare niente nella men
te di un individuo: niente che ci faccia capire chi sia, come
sente, cosa pensa o faccia. Le indicazioni sono sparse nella
sua storia: il che equivale a dire fra le menti delle persone
con cui ha vissuto, nella memoria collettiva di queste sue re
lazioni con altri.
La psichiatria una pratica di decodificazione e trasfor
mazione sistematica del discorso dello scemo del villaggio
nel delirio del malato di mente; una pratica di sequestro
fisico (secondo il principio che vuole che l dove c un cor
po ci sia anche una mente) e di sostituzione sistematica dei
contesti e degli interlocutori naturali delle persone.
La stessa persona che prima parlava con altri, comunica
va, si muoveva, stringeva alleanze, tentava di sopravvivere
e di farsi capire, adesso delira davanti allo psichiatra, den
tro il reparto, alle prese con le cure che non tengono af
fatto conto di ci che lui sente, vuole, spera.
Il malato di mente lo scemo che la psichiatra ha reso
irriconoscibile agli occhi del suo villaggio. Una sorta di esse
re sospeso nel nulla, su cui nulla e nessuno ha effetto, affet
to da una malattia che ha cancellato la sua storia, i suoi

60
sentimenti, le sue relazioni, governato da leggi e discorsi che
nessuno conosce, che nessuno sa interpretare. Una sorta di
virus che va controllato, rinchiuso, distrutto. Nessuno pu
prevedere che cosa dir o far: un sorvegliato speciale, un
estraneo, uno straniero.
La psichiatria una pratica di duplicazione e sdoppiamen
to delle persone: le rende altro da s, altro da quelli che gli
altri hanno conosciuto, hanno amato o odiato. Rende quelle
mani altre da quelle che abbiamo stretto, quegli occhi altro
da quelli che abbiamo guardato: crea per ogni uomo un Mr.
Hide.
Rosario, ad esempio, altro da un signore elegante,
cortese, amante della buona cucina: un pazzo e pu colpire
con un bastone chiunque, in qualsiasi momento, senza moti
vo. La psichiatria, privando di senso sociale i suoi comporta
menti ne ha fatto un essere imprevedibile, ha costruito un
altro Rosario, un sosia che occupa il suo corpo, ha la sua fac
cia, che lo abita, si riflette nello specchio, fa paura.
Questo processo di negazione costante, sempre e comun
que, di Rosario ha un effetto dissociarne e confondente. D
a Rosario la sensazione di sentirsi malato , abitato da qual
cuno che non conosce ma che gli altri giudicano cattivo ,
ingrato , pericoloso . A questo qualcuno continuano
ad essere attribuiti i suoi comportamenti e le sue parole: a
causa di quest altro che dentro di lui, punito, curato,
rinchiuso, addormentato, oltraggiato, escluso, frainteso...
Una persona non si dissocia, non si rompe, non si fran
tuma, se accettata e riconosciuta in quello che sente, dice,
vuole.
In realt la psichiatria un eterno NO imposto a tutto
ci che sfugge al suo controllo. Per la psichiatria non esisto-

61
no intimit, segreto, fantasia, esperienza, modi personali di
risolvere problemi: spesso non esiste neanche la semplice con
sapevolezza che niente inizia e finisce in un individuo, che
nessun comportamento ha un soggetto univoco, che niente
comprensibile, n razionale, se riferito ad un solo individuo.
Quando Sandro tuonava dal suo letto, dove da alcuni gior
ni si era rifugiato rifiutandosi di toccare cibo: E il padre
mio che me lo chiede!, sentivo passare fra i suoi familiari
un brivido di verit e di responsabilit. Capivano. Sapevano
che si riferiva allimmane senso di colpa nei confronti di quel
padre che aveva condotto alla tomba spalleggiato dalla ma
dre. Madre che aveva continuato per la sua strada...
Ho potuto sentirlo anche rinchiuso nel letto di un ospe
dale in mezzo ai pianti disperati di una ragazza che implora
va di non farla dormire nel letto vicino alla finestra, con la
psichiatra che valutava la terapia dalla presenza o meno
di elementi deliranti nel suo discorso. Non riuscivo a ca
pire il discorso della ragazza, cos come mi sarebbe sembrato
pazzesco il discorso di Sandro se non gli fossi stato accanto
a casa sua, nel suo villaggio.
Cos se Sandro, o chiunque altro, vuol uscire dal reparto
di psichiatria, deve smettere di delirare e cio di dare la
sua versione dei fatti , esprimere quello che sente, parlare
dei suoi sospetti e delle sue paure. Deve tenersi dentro tutta
la sua storia, ossessionato da quello che pu succedergli se
svela il segreto (di Pulcinella) dei suoi pensieri.
La cura psichiatrica si basa sulla teoria dei riflessi con
dizionati : serve a far sperimentare alla persona, attraverso
punizioni e violenze varie (aumento dosaggio farmaci,
restrizioni della libert, perdita dellintimit...), quali sono
i comportamenti e i discorsi che ci si aspettano da lei. Una

62
volta che egli sembra si sia uniformato al comportamento
normale , viene dimesso e riaffidato ai familiari. Ma la li
bert non concessa sulla parola: egli rimane in regime di
semilibert o di libert vigilata .
La libert vigilata una delle torture pi sottili e allu
cinanti a cui io abbia assistito. Il dimesso viene ossessio
nato, controllato, giudicato per ogni minimo movimento
autonomo . Non pu abbassare gli occhi, non pu stare in
silenzio, non pu innervosirsi, non pu far valere neppure
nessuna, pur minima, ragione: deve dimostrare costantemente
la normalit di ci che fa. Niente di quello che dice viene
accettato tout court, come sua comunicazione. Non pu espri
mere stanchezza, noia, non pu divertirsi come vuole. Spes
so se esce gli mandano dietro qualcuno, le domande vengono
ripetute allinfinito, non gli si lasciano i soldi in tasca, ecc...
Non mi stupisce che molti non facciano niente, assoluta-
mente niente, per collaborare, integrarsi, usufruire della li
bert vigilata . Essere trattati come matti , infatti, la
tortura pi inumana che si pu infliggere ad un uomo: la
sua negazione come essere umano.
Perch ci avvenga, perch la psichiatria faccia deserto
emotivo e vitale intorno a qualsiasi persona, non occorre un
comportamento eclatante: la trappola scatta nel momento in
cui ci che chiedi e sei diventa intollerabile per chi ti sta
accanto.
Resta chiaro che impossibile che questa violenza riesca
a distruggere lintero bagaglio culturale e umano di un esse
re vivente: perch si pu separare fisicamente un uomo dal
resto deHumanit, ma non si pu farne qualcosa di diverso.
La psichiatria crede che trascinare via un corpo vuol di
re portar via anche la sua mente, farlo sparire vuol dire farlo

63
dimenticare. Non solo. Crede che questa sparizione possa ser
vire a chiarire, aiutare, risolvere qualcosa. La psichiatria tra
sforma le persone nei fantasmi di se stessi, li imprigiona in
un cerchio, in una vita in cui la dissociazione unesigen
za estrema per sopravvivere come essere con storia.
La psichiatria prende il controllo della vita materiale di
un uomo, del suo corpo, delle sue azioni; fa di lui ci che
non vorrebbe, lo costringe in spazi e situazioni che lui non
sceglierebbe; gli impone di convivere con sconosciuti; ...lo
rende estraneo a se stesso, corpo senza vita da abbandonare
al pi presto.
Credo che a nessuno pu essere chiesto di riconoscersi
in quella parvenza di vita in cui costringiamo i matti . Ho
visto spesso nei reparti psichiatrici i loro corpi abbandonati
negli angoli, sui letti, appesi ad una flebo, vuoti, cadaveri
martoriati ed esibiti dai medici...
E inutile bussare. Dentro non c pi nessuno e nessuno
tornerebbe in quella casa maledetta. Non c pi niente, nes
suna psiche, mente, storia da indagare: solo cose disposte
in un modo da sembrare un uomo.
La psichiatria estirpa il male con tutta la pianta, getta
via lacqua con il bambino: non comprende che siamo sem
pre (disperatamente) in noi sia quando pensiamo cosa man-
geremo stasera, sia quando pensiamo di essere perseguitati
da esseri mostruosi o da omini verdi. Non c modo di impe
dirci di sentirci perseguitati senza impedirci di sentirci volu
ti, accettati, veri. Non c modo di impedirci di sentirci di
pietra, senza impedirci di sentirci di carne e ossa. Tutti i no
stri sentimenti sono nostre possibilit. Bisogna eliminare la
radice di tutti i sentimenti per eliminare quelli che altri ri
tengono errati o malati .

64
La psichiatria fa appunto questo: estirpa la psiche, ci svuo
ta e ci riempie di cose, annulla la nostra soggettivit.
Gli psichiatri portano esempi di persone prive del pi ele
mentare controllo sul proprio corpo come prova che non tutti
possono vivere nella realt, senza una costante assistenza. Ep
pure dimenticano che la totalit dei loro utenti , una volta
usciti dal tunnel psichiatrico, riprendono il pieno controllo
di s. forse inutile dire che nessuno saprebbe cosa farsene
del suo corpo in una situazione come quella di un reparto
di lungodegenza psichiatrica.
Sembrer paradossale, ma tutte le cure psichiatriche
in pratica servono a far impazzire le persone. Esse approfon
discono e rendono irreversibile ogni piccola crepa comuni
cativa, ogni piccola diversit, ogni incomprensione.
Questo effetto di scissione, di separazione, di incomuni
cabilit, di disgregazione, non interessa solo la psiche o le
sistenza di alcuni individui, ma penetra e mina la base stessa
delle nostre relazioni, del nostro senso collettivo, della no
stra storia: mette in forse la Memoria Collettiva, ci espone
alloblio, alla non esistenza, al nonsenso.
La questione psichiatrica non riguarda i modi con cui
una societ risponde ad una cosa aleatoria, indecifrabile e ine
sistente, quale la follia: riguarda piuttosto direttamente il
senso che le comunit danno alla loro storia collettiva, ai suoi
significati, alle sue prospettive. La psichiatria non mette in
gioco e in pericolo solo lesistenza delle persone che cadono
nella sua rete: distrugge soprattutto la trama del reale, ci to
glie la terra sotto i piedi, ci soffoca, ci rende incapaci di sen
tire, di toccare, di gustare... di sognare.
La psichiatria avanza con la disgregazione della Memo
ria Collettica del villaggio: lavanguardia di questa deper

65
sonalizzazione e designificazione del reale, di questa plasti
ficazione delle relazioni interpersonali. A chi lotta contro la
psichiatria appare subito chiaro che la lotta per continuare
a vivere in un mondo significativo, dove ci che dico, pen
so, fantastico inteso, compreso, frainteso da altri, in cui
10 intendo, comprendo, fraintendo ci che gli altri dicono,
pensano o fantasticano, in cui modifico la mia esistenza con
le mie emozioni e sono modificato dalle emozioni degli altri:
un mondo in cui vivere e morire ha ancora senso per qualcu
no, in cui esiste il ricordo, la memoria, lincontro.
Credo che il villaggio sogna, fantastica, si trasforma. Cre
do che non si vada intondo nella vita ma che ci si sviluppi.
Non credo invece a nessuna modernizzazione che non nasca
da una pratica quotidiana, dal basso, sul filo delle indicazio
ni date dai sogni e dalla storia del villaggio. Credo, parados
salmente, che queste indicazioni stanno nei deliri e nelle
fantasticherie degli scemi del villaggio: che cambiare si
gnifica realizzare la follia .
Modernizzare mi sembra sinonimo di rendere mo
derno uno stile di vita, nel bene e nel male; non implica
uno sviluppo, un confronto, un incontro: strappa semplice-
mente agli uomini il potere di modificare ci che va/fa male,
di influenzare in senso positivo la propria e altrui esistenza,
di capirsi. Quando si modernizza non solo si introducono
nuove tecniche, ma soprattutto nuovi linguaggi, un nuovo
pensiero, una nuova mente. Si depersonalizza e designifica
11 fuori , la realt, la natura, gli altri. Il comportamento per
de le sue valenze simboliche e comunicative, non tanto per
ch non comunichi pi niente , quanto per il fatto che
fuori nessuno sembra conoscere il codice delle altrui
comunicazioni. La realt viene divisa in un dentro e un fuo-

66
ri. Due mondi regolati da linguaggi, logiche, economie diffe
renziate. Due mondi che non vengono mai a contatto fra di
loro, che non si contaminano e solo raramente (e questo
il caso della follia) entrano in collisione fra di loro.
L equilibrio allora diventa una sorta di ambivalenza per
petua, unoscillazione fra la solitudine e lestraniazione, fra
essere se stessi e perdere se stessi: un vero e proprio stare
in equilibrio... nel nulla. Sotto la fune non c rete. Si pu
precipitare a volo libero senza mai toccare terra. Non c pi
terra: labbiamo distrutta simbolicamente (e materialmente).
Alcuni buoni psichiatri costruiscono paracadute : rallen
tano la caduta, posticipano il contatto col suolo, il ritorno
alla madre... ma il suolo che manca, la terra, la realt. Bi
sogna ricostruire la rete', lasciare che non si dissolva.
I matti sono come i gatti: cadono sempre in piedi. Gli
hanno tolto la terra: la terra siamo noi, i nostri vissuti, le
nostre relazioni, le nostre spalle, le nostre braccia, le nostre
mani...
E questa modernit che mi fa paura. Quella che in
travedo anche nel villaggio in cui vivo. A Furci ci sono anco
ra gli scemi , ma molti sono gi trattati da malati : come
a dire che sono passati dal senso al nonsenso , dalla tol
leranza allintervento socio-sanitario, dalla contaminazione
e complicit reciproca alla separazione e alla diversit. Linee
che vengono tracciate fra di noi: imponendoci un confine,
un limite che non c.
Basta recuperare le proprie esperienze per scoprire veri
t elementari che la psichiatria disconosce, calpesta. Basta
un p di buon senso per capire che se qualcuno si sente con
fuso, ansioso, disarticolato, vuole per s una situazione tran
quilla, familiare, sotto il suo stretto controllo, difesa dallin-

67
vadenza altrui: una sorta di spazio privato, personale, uni
co. Uno spazio costruito sulle sue esigenze, storia, modo di
vedere: unarchitettura le cui leggi e regole stanno nellespe
rienza irriducibile di essere al mondo. Uno spazio costruito
sulla sua prospettiva: a sua immagine e somiglianza .
Basta forse ancor meno per comprendere che se sono im
pegnato in un conflitto intra-inter personale, in cui tento di
sopravvivere, di difendere il senso di una mia identit, di
mettere insieme e affermare la mia storia: non potr trovare
niente di significativo nellessere spinto in disparte, diagno
sticato e curato come un malato come gli altri . Non solo.
Probabilmente sentirei in questo un ulteriore perdita di po
tere, di senso, di possibilit di trasformare la mia situazione.
Dovr battermi contro il fantasma di me stesso che gli al
tri mi costruiscono addosso vivendo in una confusione irri
ducibile.
La psichiatria senzaltro una fantasia: ma uccide! Essa
assume il controllo totale della mia vita, mi ricostruisce pez
zo per pezzo, mi crea un curriculum, delle peculiarit, senti
menti, emozioni, storia. Definendo chi io sia e ci che mi
possibile fare (o non fare), essa ricostruisce il mondo intor
no a me segnando le mie relazioni con altri e, quindi, con
me stesso.
Alla fine molto probabile che io arrivi alla conclusione
di essere un altro che sogna (delira) di essere stato me.
Diversi anni fa sono stato toccato da queste frasi di
Bateson:

S i direbbe che, una volta caduto nella psicosi, il paziente abbia


un corso da seguire. Si imbarcato, per cos dire, in un viaggio di
scoperta che si completa soltanto con il ritorno al mondo della norma-

68
lit al quale si riconduce con una facolt di penetrazione diversa da
quella di coloro che non sono mai partiti per un simile viaggio. (...)
In questo quadro, una guarigione spontanea non affatto proble
matica, ma costituisce semplicemente il coronamento finale e natura
le dellintero processo. Ci che occorre spiegare invece il fatto che
molti tra coloro che hanno intrapreso questo viaggio non riescono pi
a far ritorno.
Che costoro si scontrino, nella vita in famiglia o nellassistenza
ospedaliera, con circostanze tanto rozzamente sfavorevoli da non po
tersi salvare nemmeno con lesperienza allucinatoria pi ricca e me
glio organizzata?1.

Questo quesito segna ogni esperienza pratica con/della


follia; pone prepotentemente linutilit e la barbarie di ci
che viene insegnato nelle universit; mostra la violenza che
si cela dietro ogni teoria e pratica psichiatrica; mi indica una
strada per uscire fuori dal tunnel della malattia mentale
e della cura . Questa domanda pone una volta per tutte
linaggirabilit dellesistenza umana, lirriducibilit della sto
ria degli e fra gli individui.
Chiede: e se tutto quello che facciamo per il bene di
chi definiamo folle non facesse che impedirgli di realizzare
la sua autoguarigione ? Se nel tentare di farlo smettere di
fare il pazzo noi non facessimo altro che bloccare, com
plicare, confondere le sue ragioni, condannandolo a resta
re pazzo tutta la vita ? E se ci fossimo sbagliati a considerare
i suoi comportamenti come sintomi di una malattia, piut
tosto che come azioni, necessarie e significative, per guari-

1B a teso n G ., cit. da L a ing R .D ., La politica dellesperienza, Feltrinelli, Mi


lano 1980, pagg. 117-118.

69
re , strade per tornare a vivere? E se avessimo lasciato che
tutti, liberamente, facessero ci che sentivano, dando loro
una mano ad intraprendere serenamente quel loro viaggio ?
E se avessimo scoperto che era il nostro stesso viaggio, la
nostra stessa strada, la nostra stessa meta? Se ci fossimo aiu
tati a vicenda a superare langoscia di quanto stava accaden
do? Se li avessimo vegliati in silenzio, rispettandoli, invece
di tentare disperatamente, fino ad obbligarli, a parlare, ali
mentarsi, lavarsi, vestirsi? E se avessimo accettato che in cer
te situazioni la follia quanto di pi dignitoso, umano,
rispettabile ci si possa aspettare da un uomo? E se avessimo
accettato di non intervenire? Se avessimo accettato tutto ci
come una forma di autocura, come la cicatrizzazione di
una ferita? E se avessimo compreso che bisogna imparare (ed
essere aiutati) ad impazzire senza paura, piuttosto che ali
mentare la nostra paura di impazzire? Se lavessimo fatto,
forse avremmo evitato sofferenze indescrivibili, forse avrem
mo ereditato una qualit di vita che ci viene ancora espro
priata e rinchiusa nellinferno della diversit.
Ho riflettuto a lungo su questi se", osservando, ascol
tando, sperimentando in prima persona, viaggiando fra le per
sone, cercando di capire cosa o chi ci rende cos intollerabile
(a volte) accettare che le persone pensino, vedano le cose,
parlino, affrontino in un modo proprio la vita.
E in questo viaggio ho scoperto che tutti impazziamo .
Tutti partiamo per questa avventura di trasformazione (che
non pu che iniziare dalla rottura con ci che eravamo o ci
consideravano) e torniamo alla vita, allidentit, allessere ri
conosciuti, con un senso pi profondo di noi stessi e di ci
che siamo.
E questo viaggio non attraversa territori immaginari, den-

70
tro la nostra testa, ma si snoda su questa terra, in mezzo alla
gente che ci ama, ci odia, ci vede, ci giudica, ci fraintende,
ci attacca, ci abbraccia, ci difende... E un viaggio nelle somi
glianze e nelle differenze in cui contrattiamo un cambiamen
to nel modo in cui gli altri ci vedono, ci considerano o ci
trattano.
E allora si scopre che esiste un diritto alla follia, un
potere di impazzire, che si basa sulleconomia delle relazioni
interpersonali in cui si inseriti. C chi pu intraprendere
e portare fino in fondo il suo viaggio e chi viene punito non
appena accenna ad un timido cambiamento.
La follia unesperienza comune. E per fortuna, il pi
delle volte, vissuta e agita come tale, senza appesantimenti
diagnostici o giudizi/terapie mediche.
Alcune volte, al contrario, il tentativo non va in porto:
la persona viene dirottata allinterno di un mondo (il cir
cuito psichiatrico) in cui non c terra su cui poggiare, aria
da respirare, spazio su cui camminare, realt su cui sperare
o su cui fantasticare... in un nulla in cui si perde orientamento
e stella polare: la ragione per cui si intrapreso il viaggio.
I capitoli che seguiranno intendono documentare cosa pu
accadere se si lascia le persone a se stesse e le si aiuta ad im
pazzire, eliminando lo spettro della cura, della costrizione,
della diagnosi medica.
Cosa succede nel villaggio, nella Memoria e nella Mente
Collettiva: cosa succede di loro, di noi, fra noi.

71
I fatti e i vissuti

Solo chi parte del problema, prender par


te nella soluzione.

N on ho pi la Mente. La mia Mente se ne andata e non


torner pi da me.... Ecco una testimonianza, il filo
della matassa di unesperienza che ci tira dentro al labirinto
psichiatrico. Una ragazza ricoverata in un reparto psichia
trico, un utente della psichiatria, ma soprattutto una per
sona su una sedia, attorniata da gente, rinchiusa dai farmaci
in una stanza vuota, muta e sola: la sua testa.
Non ho pi la mente! Un fatto e un vissuto. Sintomo
di una malattia ? No. Si cura sempre e solo ci che le dia
gnosi e le cure stesse producono. Francesco mi ha spesso detto
che in passato lo ricoveravano e lo curavano per il suo ri
fiuto delle cure, dellelettroshock, dellinsulinoterapia... Il
rifiuto delle cure uno dei sintomi pi curati dagli
psichiatri ed anche il pi diffuso. C qualcosa che non va
nellutente o c qualcosa che non va nelle cure ? La rispo
sta a questa domanda linizio della liberazione.
Perch dici di non avere pi la Mente? viene da dire
Sei qui, ti vedo, parli, ti sto parlando... Eh gi, perch l
dove c un corpo deve esserci una mente. Fa parte dellar-

73
chitettura della nostra razionalit: c un prima e un dopo,
una causa e un effetto, un dentro e un fuori...
Non ho pi la mente! Gi perch il fatto di incarnarsi
o abitare il proprio corpo non cos naturale e automatico
come si crede, n la convivenza cos lineare e facile co
me le nostre classificazioni ci vogliono far credere. E un equi
librio instabile, nu filu i capiddu , come ci insegna la nostra
tradizione. Il nostro corpo un luogo non sempre sicuro,
che ci nasconde e ci rende visibili. E un paradosso. Un oriz
zonte che si trasforma continuamente e spesso ci tradisce.
Tradisce le nostre emozioni, la nostra rabbia, i nostri desi
deri; tradisce ci che sentiamo di essere: un limite, una di
stanza, una prigione. Il corpo un dito che indica la luna.
La saggezza orientale ci avverte: mai scambiare il dito per
la luna.
Siamo ridotti in " noi finch ci non diventa un infer
no, finch non siamo ridotti in macerie, finch non siamo
diventati territori d altri, loro campi di battaglia, loro cavie.
Restiamo in noi finch il nostro corpo ci appartiene. Fi
no a quando lo controlliamo, fino a quando ci rappresenta,
fino a quando cresce con noi, viaggia con noi, sogna con noi,
spera con noi, ama con noi.
singolare che l dove lo scemo dice: Non ho pi
un corpo! lutente della psichiatria grida Non ho pi la Men
te. Fra i due passa la stessa differenza che esiste fra un fan
tasma e una cosa. Lo scemo ha abbandonato la nave, il con
testo che lo stritolava, stato chiamato, sognato, rapito, ha
detto non sono chi dite, non sono l dove mi vedete, si
incarnato nelle menti altrui, nelle loro fantasie, in un altro
corpo nella Memoria Collettiva. L utente della psichiatria
stato ridotto invece al suo corpo, la sua Mente stata dissol-
74
ta, stato costretto ad identificarsi col nulla della sua vita
forzata: essere disincarnato senza dimora, senza una Memo
ria ad accoglierlo, egli si dissolto. Non c pi la mente,
se ne andata via...
Lei non da nessuna parte e noi stiamo intorno ad un
cadavere. In reparto le hanno estirpato la mente per estir
parle i suoi cattivi pensieri . L hanno negata fin alla radi
ce del suo essere. L hanno intrappolata in un corpo inutile
che non vede, non sente, non mangia, non sogna; bloccata
dai farmaci, annullata come soggetto.
Intervento riuscito! Non dimentichiamo che la psichia
tria usa gli psicofarmaci come un tempo usava la psico
chirurgia: per disinnescare ogni accenno di Mente! La men
te malata ? Asportiamola!
Gli utenti della psichiatria spesso hanno un corpo pre
sentabile, ordinato, senza gridi, senza vita, senza Mente. Basta
interrompere la terapia , lasciarli liberi, che la Mente ri
torna, ricomincia ad abitarli, si riappropria di quel corpo, delle
sue relazioni, rientra in gioco, fa storia. Molti di questi re
divivi non sono pi presentabili, non sono pi accondiscen
denti, non sono pi accettabili: sono vivi!
Ritorna la loro malattia (questa s incurabile ): la vita!
E la vita che vedo scorrere fra le dita di Carmelo quando
disegna sul mio notes, dopo 28 anni di manicomio senza mai
uscire, senza mai tornare a casa. Quella vita incurabile che
dopo questa prigionia assurda, inumana, brutale, continua
ad agire ad ogni pur piccola occasione di uscita, di ritorno
nel mondo. Un debito infinito che nessuno potr mai salda
re: un debito che continua paurosamente a salire. Un debito
invisibile su ognuno di noi, un debito di vita negata, di sto-

75
rie distrutte: un cimitero su cui abbiamo costruito le nostre
citt.
Il fantasma di Carmelo per ancora si aggira nel villag
gio. Basta poco perch si ritorni a parlare, a giocare, a vo
ciferare di lui. La sua presenza garantita dalla Memoria
Collettiva, dietro di lui sempre il suo villaggio : il manico
mio non cancella niente e nessuno, non copre, non nascon
de: il manicomio seppellisce un cadavere la cui anima risorge.
Carmelo cos non ha perso (ne pu perdere) la sua Men
te, la sua storia, il suo senso. Egli ancorato saldamente alla
Memoria Collettiva del suo villaggio: i segni, i simboli, le voci
di questa appartenenza non lo lasciano mai solo. Vaga per
i viali del manicomio, viene sottoposto ai trattamenti, viene
violato, viene trattato come una cosa : ma resta irriduci
bilmente un essere umano con senso, inaggirabile, inaliena
bile, incontrollabile... incurabile.
Niente a che vedere con questa povera cosa, questa ra
gazza senza mente, abbandonata su una sedia in mezzo a noi.
Dietro di lei ci siamo solo noi, volenterosi volontari: la psi
chiatria ha dissolto il villaggio dietro di lei, lha deporta
ta nel suo circuito di pene, lha esposta alla nostra invadenza,
al nostro sguardo, alla nostra incomprensione.
Ogni utente della psichiatria delira e allucina un vil
laggio fantasma, un contesto che viene negato, una storia che
non viene considerata, delle relazioni che si danno per date,
immodificabili, ininfluenti. Egli viene ridotto al suo cer
vello: e la sua mente volont personalit al niente
pi assoluto. Viene azzerato ogni suo potere di usare il suo
corpo e la sua mente: viene fatto deserto intorno a lui. Ogni
utente della psichiatria una voce che grida nel deserto .

76
La mia esperienza e lesperienza dellassociazione a cui
insieme ad altri abbiamo dato vita in un paesino della pro
vincia di Messina, nasce dalla presa datto della irriducibile
incompatibilit fra psichiatria e vita; fra cura psichiatrica e
cultura; fra servizi psichiatrici e villaggio. La psichiatria
scienza incosciente e violenta del deserto in cui costringe
i suoi utenti. La cultura dei nostri villaggi invece presen
za nesso memoria collettiva . Finch esiste un villag
gio la psichiatria unastrazione marginale, una cosa usata
culturalmente e simbolicamente per pareggiare i conti . La
psichiatria diventa soggetto allorch i nessi fra le persone
vengono meno, appropriandosi interamente della vita e del
la storia di alcune persone e duplicandole in un mondo
a sua volta duplicato... in un gioco di specchi infinito in cui
non c realt, ma linutile e angoscioso tentativo degli uten
ti di discernere, capire, dimostrare la propria e altrui esi
stenza, toccare, sentire, gustare, rientrare nella vita...
Da questa suggestione siamo partiti in unesperienza di
alternativa alla psichiatria, consci che il nostro fare era un
fare che aveva radici (e ha radici) nella nostra storia, cultu
ra, nel modo stesso in cui esistiamo, vediamo noi stessi e il
mondo. Il rifiuto della psichiatria solo un passo: lurgenza
di riportare le questioni nei termini e nei territori da cui na
scono, per contrattare nuove soluzioni , nuovi equilibri ,
nuovi villaggi .
So che pu suonare paradossale, ma credo che i nuovi
servizi psichiatrici aperti, decentrati sul territorio, non sia
no alternativi al manicomio, quanto alle persone stesse, alle
loro relazioni, alla loro capacit di tolleranza e di violenza,
di comprensione e di emarginazione, alla loro vita quotidia
na. Neanche il manicomio stesso ha mai potuto attuare una

77
simile, totale, omnicomprensiva negazione della Mente e
della Memoria individuale e collettiva.
Al contrario, il manicomio ha assunto valore immagina
rio e simbolico per le nostre comunit, ha un suo senso e una
sua storia nella Memoria Collettiva, una sua radice, un terri
torio comune. Il manicomio richiama il cimitero. Credo che
tutti possiamo concordare sul fatto che esso (e la morte) non
un confine oltrepassato il quale si fuori gioco , assenti,
ininfluenti. Non solo perch esiste la Memoria che ci pre-
sentifica e ci ri-gioca continuamente, ma soprattutto perch
le questioni sociali e umane in cui siamo implicati nascono
prima di noi e non si spengono con la nostra morte. Le sfide
che noi lanciamo o che raccogliamo sopravvivono a noi stes
si, impegnano altri, aleggiano, ci richiamano in vita, impon
gono nessi: sono le radici di ognuno.
Il cimitero allora simbolo di un recupero della morte
entro la trama culturale ed esistenziale dei villaggi. Un terri
torio comune, il senso di una continuit, vicinanza, intimit
con se stessi e la propria storia che non pu essere interrot
ta. E qualcosa di pi della promessa di immortalit ultrater
rena: limmortalit terrena. Si muore quando muore il vil
laggio, quando vengono meno i nessi, i legami, le relazioni
che abbiamo con altri e con la nostra esistenza.
Cos come morire non interrompe, n spezza, n separa,
allo stesso modo lessere rinchiusi in manicomio non ha mai
chiuso alcuna questione, non ha mai detto la parola fine, non
ha mai cancellato niente. Esso non il modo, ma solo u-
no degli infiniti modi con cui i nostri villaggi hanno tenta
to il recupero di quel patrimonio di idee, di vita e di sto
ria che sacrificano in nome del proprio equilibrio.
Il problema ancora una volta non psichiatrico, ma pro-

78
blema di giustizia. Alternativa al manicomio non una nuo
va psichiatria ma un atto di giustizia. Alternativa al mani
comio la possibilit di portare il confronto fra le persone
fino alle sue estreme conseguenze. Alternativa al manicomio
il riconoscimento del fatto che la follia una qualit delle
nostre relazioni, una possibilit umana, una forma di espres
sione, una voce che comunica qualcosa, un linguaggio comune.
La follia non va curata: va realizzata. Va permesso alle
persone di agire e di comunicare la loro esperienza e il senso
delle relazioni che instaurano fra di loro. I vissuti non van
no modificati ma recuperati alla vita, alla conoscenza, alle
speranze di tutti gli esseri viventi.
La paura di impazzire in realt la paura di essere trat
tati come pazzi . Questa ossessione ci porta a negare la fol
lia in noi come negli altri, invece di viverla (e lasciare che
altri la vivano) come esperienza positiva di s e del mondo.
La follia un modo di conoscere la realt, un modo di deci
frare la vita, di dare senso allesistenza. Non so dire se que
sta conoscenza sia vera, so che tocca le corde pi profonde,
invisibili, misconosciute dellessere uomini, di essere uomi
ni nel mondo.
Credo che il manicomio sia stato una risposta cultura
le , prima che scientifica , alla necessit di trasformare e
recuperare alcune esperienze collettive e vissuti individuali
entro la Mente Collettiva dei villaggi. Una sorta di cimitero
degli elefanti in cui piuttosto che escludere, nascondere, ce
lare le questioni che ogni follia pone, si cercato un modo
culturale di riconnetterle alla trama della realt dei villag
gi. Con linternamento in manicomio non si mai negata al
cuna relazione, mai interrotta alcuna influenza, mai spezzato
alcun nesso. La presenza fisica, il faccia a faccia, non sono

79
del resto garanzia di relazione, scambio, influenza recipro
ca, comunicazione.
Credo che comprendere che lesclusione sia una forma
di relazione, un passo decisivo per tentare di costruire una
alternativa al manicomio pratica e significativa. Significa
in parole povere agire per ogni internato il processo inverso
che lo ha portato in manicomio, riaprendo un gioco che non
si mai interrotto, una storia che non ha mai avuto una fine.
Non credo che il problema sia di sostituire un luogo cat
tivo (il manicomio) con uno buono (la casa famiglia): quanto
quello di rimettere il soggetto nel flusso vivo delle relazioni
interpersonali da cui stato espulso, sublimato, sognato co
me un fantasma. Occorre liberare senza condizioni ciascun in
ternato in manicomio, sostenendolo come vicini, parenti,
amici, nel suo riaprire le ferite, nelle sue domande, nella sua
comunicazione.
Liberare senza condizioni significa affermare il diritto delle
persone a vivere la propria vita come meglio credono, nei mo
di, nei tempi, negli spazi che ritengono pi opportuni, senza
condizionare la loro esistenza al giudizio di tecnici, familia
ri, volontari...
Credo che sia giusto liberare tutti: ridare alla vita lintero
patrimonio sepolto in ogni reparto di ogni manicomio. Libe
rare tutti: sia chi ci appare decente , sia chi ci sembra in
decente . Liberare tutti, perch non resta niente della vita
in un manicomio, pulito o sporco, violento o tenero che sia.
E meglio dormire sotto i ponti, non lavarsi, non mangiare,
vagare senza meta: non rischi altro che di incontrare un al
tro essere umano, di trovare un senso, di sopravvivere.
Fuori ci sono sempre i tramonti, le strade, le persone, i
suoni, gli odori; puoi sempre dar vita alla tua disperazione;

80
puoi fare, puoi dare, puoi ricevere; puoi nasconderti; perder
ti e ritrovarti; puoi cercare e attaccarti ad unillusione; puoi
lasciarti morire; puoi crescere; puoi essere... esistere...
Non c malattia o crimine che giustifichi questa carce
razione preventiva per presunta incapacit di esistere, que
sta prigionia a vita in cui niente cambia.
La questione non rendere pi o meno umani i manico
mi, n istituire altri luoghi di cura deputati al controllo e al
la riabilitazione dei malati di mente : il problema la cura
stessa, la pretesa che si possa aiutare qualcuno impedendogli
di esprimersi, di comunicare, di vivere come gli pare, di co
municare con chi vuole, quando e come gli sembra pi op
portuno.
Che senso ha vivere, comunicare, guarire , quando la
tua vita resta in mano a sconosciuti che per il tuo bene
ti escludono da ogni violenza e dolcezza quotidiana, da ogni
stupore e delusione interumana, dalla possibilit di farti ascol
tare e di cambiare la tua situazione?
Liberare tutti senza condizioni non significa azzerare le sof
ferenze, rimarginare le ferite, saldare i debiti: significa ri
portare la lotta per la vita e la felicit dentro la vita stessa,
in mezzo alle persone, nei villaggi da cui stata estirpata per
essere rappresentata nei trattati e negli esperimenti psichia
trici.
Senza condizioni, perch nessuno deve dimostrare niente
perch si rispetti il suo diritto inalienabile alla libert e alle
sistenza. Il nostro giudizio non pu che essere arbitrario, il
nostro giudizio ha decretato una morte lenta e senza appel
lo: questo giudizio violento, non vale, non serve a niente,
va negato.

81
Liberare tutti subito. Riportare i fantasmi nei nostri vil
laggi, riaprire le questioni, cercare nuove soluzioni.
Carmelo stato uno dei pochi scemi di Furci ad esse
re sepolto in manicomio. La ricostruzione della sua storia,
attraverso una ricerca nella Mente Collettiva del villaggio,
mostra quanto arbitrario sia il giudizio che vuole far risalire
Finternamento a caratteristiche individuali e di comporta
mento dellinternato. Carmelo non ha posto in essere com
portamenti intollerabili, n sembra abbia subito una margi-
nalizzazione o un rifiuto sociale totale: la sua storia sembra
giocata su piani familiari e generazionali, su conflittualit in-
trafamiliari, come fosse una pedina su una scacchiera male
detta.
Ma la questione non chiusa. La ferita ancora aperta
e basta poco per vederla sanguinare.
Dal lato dellistituzione la vita di Carmelo stata ridot
ta ad un gesto: la sua aggressione con un martello al proprio
datore di lavoro. Il suo futuro deciso da una prognosi infau
sta, come irrecuperabile alla vita sociale e affettiva: la sua
non collaborazione (un misto fra orgoglio e fatalismo) ha pro
vocato scetticismo, indifferenza, abbandono nel personale
curante . Il messaggio chiaro: chi siete? Perch mi tene
te qui? Perch dovrei parlare con voi? Non ho scelto io di
restare qui. Se volete comprendere, perch mi tenete qui pri
gioniero? Quale la mia colpa? Io non ho niente da confes
sare. Non ho niente da fare, da dire, da comunicare a voi.
E infatti quando ho conosciuto Carmelo lui continuava
a seguire il suo filo : un discorso ininterrotto, quasi un cor
done ombellicale con Furci, i suoi sapori, gli odori, le storie.
Quella che gli psichiatri vedevano come una insalata di pa
role , per me aveva un che di familiare, di significativo, di

82
affascinante. Lo seguivo e poco a poco lirrecuperabile Car
melo ritornava a camminare per via Cesare Battisti, si arram
picava su per Grotte, costeggiava la Montagna Liscia, andava
in cerca di respiro, aria, libert e stupore nella pineta... Co
sa era successo? Eravamo usciti dal portone del manicomio
dopo 27 lunghi anni...
Da allora siamo usciti altre volte e quel filo si come
annodato su di me, quasi fossi una pietra, unancora, un punto
di presa fuori dallinferno... e ho incominciato a tirare, a vin
cere tutte le resistenze, a tener teso quel filo .
E questo che intendo come liberazione . Questo recu
pero e riallaccio dei nessi culturali e umani fra noi, questo
lottare luno a fianco allaltro, questo lottare con gente che
si ama, che si rispetta, che si riconosce, che ha a che fare
con noi. Non credo alle convivenze forzate, a specialisti che
debbono farsi carico di gente che non conoscono, di cui non
capiscono il lessico, verso cui non possono provare affetto,
interesse, intimit, complicit... Carmelo appartiene a Fur-
ci, fatto con la carne e col sangue di questo paese, appar
tiene al suo ventre, si nutre della sua aria, dellinquietudine
delle acque dello Stretto, delle voci, dei fili, delle insalate
di emozioni di questa gente. Carmelo appartiene a Furci, al
la nostra carne e al nostro sangue, e siamo noi a dover tirare
quel filo per riportarlo fra noi, per compiere il miracolo
della resurrezione del corpo, nascosto, celato e martoriato
nel manicomio.
E deve tornare ad avere la sua casa, i suoi soldi, il suo
passo, il suo respiro. Tornare ad avere la sua intimit, i suoi
rancori, le sue ferite aperte, le sue somiglianze e le sue diffe
renze. Tornare ad avere la sua follia e la sua normalit, i suoi
conti aperti e la sua parte di cielo. S lirrecuperabile Carme-

83
lo, il pazzo pericoloso a s e agli altri e di pubblico scandalo,
deve tornare ad avere parola sulla sua vita, decidere con chi,
quando e perch parlare, poter camminare sotto la pioggia
e metterci tutti alla porta...
Le difficolt, le resistenze, le mille inferriate su cui im
pigliato quel filo che stringo e che tiro, mi danno il senso
dellurgenza e dellimportanza che il nostro sforzo di evitare
qualsiasi contatto, invasione, prevaricazione, da parte della
psichiatria nellesperienza di follia delle persone, assume co
me possibilit concreta di autogestione della propria vita. Car
melo, suo malgrado, stato sacrificato allaltare della psi
chiatria, ne diventato utente-cavia-prigioniero: lottare per
tirarlo fuori significa anche lottare perch nessun altro, mai,
entri nelle maglie della psichiatria (riformata o meno che sia).
Credo nella liberazione come questo ponte che si crea fra
persone in carne ed ossa, con una propria storia, modi di sen
tire ed emozionare e coloro che fanno parte della terra da
cui provengono, coloro che sono parte del problema e, quin
di, appartengono alla soluzione. Diversamente si affittano
delle case, si riuniscono alcuni internati, secondo sesso, et,
diagnosi, presentabilit-autonomia sociale, e li si manda a vi
vere insieme da qualche parte, in una casa famiglia che asso
miglia sempre pi ad una zattera di fortuna nel deserto
dellinsignificanza e del come se .
Non si pu stare da soli. Non economico e poi bisogna
sempre distrarre i matti , bisogna che non pensino, che siano
occupati, controllati...
Non credo nella liberazione come concessione di una li
bert vigilita . Credo in un venir fuori che sia ripresa del
potere sulla propria vita, emozioni, decisioni. In un venir fuori
che non disperdersi nel nulla ma ritrovare una familiari -

84
t, una intimit, unappartenenza, recuperare quella memo
ria che fa sentire vivi, vegeti e... esistenti.
Di questa liberazione non ci sono esperti , tecnici ,
professionisti : non c modo di delegare a nessuno questo
impegno. Liberare tutti gli internati in manicomio senza con
dizioni non un fatto psichiatrico, non riguarda il nostro o
laltrui cervello, non oggetto di intervento medico: un
atto di giustizia personale, sociale, culturale che ci chiama
in causa tutti e in cui tutti abbiamo parte.
Credo che lalternativa ad ogni manicomio siamo noi, ci
che possiamo pensare, immaginare, fare... Noi che entriamo
nei gironi di quellinferno per ritrovare, riconoscere, tirar fuori
la nostra gente, uno per uno, ognuno a suo modo, coi suoi
tempi, col suo fiato. Noi che siamo quel connettivo affetti
vo e umano per cui vivere pu avere ancora senso, comuni
care incazzarsi emozionarsi pu essere ancora vero...
Carmelo in attesa di avere un contributo dal Comune
di Furci per tornare a vivere da irrecuperabile fra noi. Il
fratello disposto a vivere con lui per il primo periodo. La
madre se ne tiene fuori. Noi teniamo quel filo che ci lega
a lui... e questo linizio di qualcosa che nessuno pu preve
dere, immaginare, disegnare...
Credo che lunica strada per costruire una alternativa al
la psichiatria sia estendere la naturale tolleranza, alleanza,
solidariet, che ci esprimiamo lun laltro, anche a chi sta
to sequestrato, allucinato, curato dalla psichiatria.
Si tratta di quella che chiamo la ricerca e la costruzione
di somiglianze, laddove la psichiatria impone diversit irri
ducibili, onnipotenti, incomprensibili. Si tratta di trovare so
miglianze anche con gli utenti della psichiatria: somiglianze
di Essere coperte e calpestate dalle cure psichiatriche. Tro-

85
vare somiglianze come nessi che ci facciano riconoscere, che
scoprano la familiarit della follia, che ci facciano cammina
re lo stesso mondo, respirare la stessa aria, essere accolti nel
lo stesso villaggio.
La follia ha diritto di cittadinanza nella realt, non uno
statuto speciale, ma lordinaria esistenza nel novero delle no- j
stre emozioni, delle esperienze, delle conoscenze, delle per
cezioni, delle paure, attraverso cui stiamo al mondo. E la follia
radicata nella realt finch non viene tradotta lungo lo
spartito arbitrario della psichiatria; finch non viene stra- 1
volta nel suo significato, nelle sue forme, nelle sue comuni- |
cazioni, dalle cure ; fino a quando non viene trattata
come altro da s, come malattia, diversit, anormalit.
Non stiamo inventando nulla. A Furci tentiamo di tro
vare le somiglianze e i nessi per rimettere in gioco le perso- j
ne invalidate e negate dalla psichiatria. Non solo. Il nostro
sforzo quello di estendere a tutti la possibilit di vivere la i
follia come esperienza personale/interpersonale in una dimen
sione di quotidianit e allinterno della dimensione colletti
va del villaggio. Come a dire che cerchiamo di vedere, agire,
capire i comportamenti e le esperienze per quello che sono,
fanno, dicono, senza arbitrari salti a presunte patologie
o diversit.
Del resto ci che ci accade ogni giorno. Una miriade
di comunicazioni, esperienze, atti di auto-aiuto che ci orien
tano nel mondo, che fanno della nostra vita un che di signi
ficativo, che ci emozionano e ci stupiscono. Una quotidianit
che non ha il tempo di distinzioni poetiche sulla realt o
meno di ci che sentiamo, speriamo, disperiamo: che con
nette il bene e il male, il sano e il malato, il bianco e il nero.
Una quotidianit che si nutre delle nostre esistenze, presen-

86
ze e assenze, senza distinguere fra cibi pregiati e scarti, fra
banchetti e briciole. Nel villaggio ogni comportamento ha
senso, un suo significato, inscritto in un orizzonte colletti
vo vitale, una mente collettiva che ricorda, sogna, parteci
pa, sanguina...
Ricercare le somiglianze" non un modo poetico di ri
proporre il dualismo curatore-curato, chi aiuta-chi aiutato,
chi sta bene-chi sta male: la disgregazione pratica di ogni
relazione utente-servizio. Significa mettere in comunicazio
ne le persone, fare da tramite informativo (e emotivo), am
plificare i vissuti e le esperienze di autonomia e di alleanza,
significa lasciarsi attraversare dalle scelte altrui, farci attra
versare senza resistenze logiche o buoni consigli, farci met
tere da parte... Cosi n io, n altri, abbiamo una utenza :
persone da accudire , curare , cambiare ; persone di
cui essere responsabili ; persone delle cui esperienze e co
municazioni essere esperti.
Non accettiamo alcuna delega, n alcuna presa in cari
co della situazione: ci battiamo perch le persone vengano
lasciate a se stesse, libere di confrontarsi, scontrarsi, trovare
le loro sintesi. Non ci sostituiamo agli interlocutori naturali
della crisi, impediamo che altri (i servizi psichiatrici) lo fac
ciano. Difendiamo il diritto dellindividuo di scegliere co
me , quando , con chi , comunicare e vivere.
Perci non proponiamo, n utilizziamo, spazi separati,
pensati ad hoc, specializzati per presunte patologie . Niente
case-famiglia, cooperative di lavoro, centri di ascolto, di ac
coglienza, di animazione per matti . Il nostro sforzo non
quello di creare un mondo parallelo in cui incontrare le
differenze altrui (amplificandole fino a trasformarle in diver
sit e mostruosit intollerabili). Noi vogliamo imparare a vi

87
vere gli infiniti luoghi di mediazione interumana in cui
si decide della nostra vita, dei nostri vissuti, delle nostre espe
rienze (la casa, la piazza, le strade, i mezzi pubblici, le chie
se, le spiagge...).
Questo significa incontrare e riconoscere somiglianze,
stringere alleanze, condividere identit, culture, linguaggi.
Non solo. Questo nostro esser presenti nella quotidiani
t, in spazi comuni, pubblici, collettivi, impedisce qualsiasi
rottura dei nessi interpersonali e sociali che legano (e fanno
somigliare) le persone fra loro. La follia non viene agita co
me diversit , n relegata in ambiti marginali, specialisti
ci, paralleli alla vita quotidiana. Essa si nutre (e nutre) dei
sensi e dei significati comuni, attraverso il linguaggio collet
tivo, comprende e si fa comprensibile, tollerabile, condivi
sibile.
Questo passaggio diretto ed esplicito nella vita quotidia
na ci che chiamo diritto di cittadinanza della follia nella
trama delle nostre possibilit personali, sociali e culturali. In
altre parole, credo che ci si debba battere perch ciascuno
di noi possa esprimersi nel modo pi consono a ci che sente
di essere, possa comunicare la sua visione del mondo e la sua
versione dei fatti, possa essere ascoltato, compreso, frainte
so, per ci che dice, pensa, vuole... Credo che nessuno di
noi abbia il diritto di appropriarsi e di dirigere la vita di unal
tra persona sulla base del pregiudizio che questa sia malata
(o soffra) per ci che dice di essere, per ci che fa, per ci
che dice che noi siamo.
Se Anna mi dice che francese e che dio le parla mi co
munica alcune sue esperienze personali. E possibile che vo
glia dirmi qualcosa, possibile che mi prenda in giro... lunica
cosa che mi appare impossibile che si tratti di sintomi

88
di una malattia . Dire che Anna posseduta da una ma
lattia lo stesso che dire che posseduta dal demonio. Con
una differenza: mentre la seconda ipotesi fa parte della sua
cultura, del suo modo di vedere la vita, se stessa; la prima
ipotesi un giudizio altrui che lei non condivide, che non
capisce, che non ha richiesto, ma che le ha distrutto giorno
dopo giorno tutte le opportunit di esistenza personale e so
ciale. Non lhanno mai ascoltata, non le hanno mai dato il
tempo di spiegare, di dialogare con questo dio che si sente
dentro, addosso, alle spalle, non lhanno mai accolta, non
lhanno mai abbracciata... lhanno solo negata, hanno deci
so che ci che sentiva era un nulla, un sintomo da cancel
lare, che non era possibile ci che provava, che non era
normale... alla psichiatria non interessa ci che hai da dire,
ti fa parlare per negare la verit e la realt di ci che dici,
di ci che senti, di ci che sei. Anna ha sofferto (e soffre)
per tutte le cure a cui stata sottoposta, per il deserto
che le hanno fatto intorno, per la distruzione sistematica di
tutte le sue scelte di vita, per la negazione di ogni sua auto
nomia... soffre perch le stato impedito di essere, di respi
rare, di amare... solo per impedirle di pensare! Di avere una
mente! Di avere delle voci dentro!
Credo che delle persone libere si aiutano da s, trovando
liberamente persone e occasioni per farlo. Credo che nessuna
persona, libera di farlo, acconsentirebbe alle cure psichia
triche.
E quello che successo (e succede) a Furci. Se garantia
mo la libert di scelta degli utenti della psichiatria, nessuno
richiede farmaci o ricoveri, nessuno chiede di parlare con psi
chiatri, medici o chicchessia: tutti chiedono di poter conti
nuare liberamente il loro dialogo, il loro scontro, la loro sfida

89
con se stessi e con la comunit: chiedono di poter continua
re ad esistere, a comunicare, a cercare.
Fare a meno della psichiatria il primo passo per com
prendere ci che ci accade e accade fra di noi. Poich tutto
ci che la psichiatria trasforma in malattia , non altro se
non patrimonio della nostra storia personale e interpersona
le, fatto dello stesso sangue e della stessa carne delle no
stre illusioni, della nostra volont, del nostro essere uomini.
In realt credo che tutti possiamo ammettere che il ruo
lo della psichiatria (quello che noi le abbiamo dato) non
tanto quello di curare , quanto di controllare, zittire, ne
gare esperienze e persone che ci mettono in pericolo (psico
logicamente e fisicamente). Siamo disposti spesso ad accet
tare lirrazionalit, la violenza, il cieco arbitrio, della psichia
tria, perch le riconosciamo comunque limportante compi
to di toglierci di mezzo e neutralizzare persone e situazioni
che ci mettono in imbarazzo, se non altro perch rappresen
tano una parte di noi, delle nostre relazioni, della nostra vi
ta civile che vogliamo negare. Il discorso della cura se
condario, scatta nel momento in cui vogliamo metterci il cuore
in pace e coprire la nostra violenta, cieca, disperata, esigen
za di eliminare ogni fonte dansia.
In questi anni in cui abbiamo abbandonato ogni idea di
malattia mentale , ci apparso sempre pi chiaro anche
il corollario di pericolosit che organizza il consenso so
ciale ai (mal)trattamenti psichiatrici. Un primo dato riguar
da il fatto, spesso taciuto, che la stragrande maggioranza di
comportamenti pericolosi sono sani gesti di ribellione e
di difesa contro la reclusione, larbitrio, la violenza delle cu
re psichiatriche. La violenza, come la malattia , non sta den
tro le persone ma nella situazione in cui essi si trovano. Finch

90
la psichiatria si baser sulla coercizione e sullarbitrio, non
potremo aspettarci che tentativi anche disperati, di rimane
re in vita.
Altro dato si pu evincere da quanto stato scritto fin
qui: non si pu negare sistematicamente ci che una persona
dice, fa, sente, vuole, non la si pu trattare come matta ,
come irresponsabile, come incapace, senza farla esasperare
e farla reagire: non si pu pretendere che applauda alla sua
distruzione, che vi partecipi attivamente, che ne riconosca
il valore terapeutico .
Quello che mi fa paura la pericolosit della psichia
tria: questa s senza limite e senza senso. Quando leggo di
fatti di sangue che coinvolgono utenti dei servizi psichiatri
ci, non posso fare a meno che pensare alle migliaia di perso
ne lobotomizzate, a quelle perite sotto esperimenti, a quelle
col cervello distrutto dallelettroshock, a quelli che sono morti
e muoiono in silenzio nei manicomi di tutto il mondo: penso
a questi milioni di persone che una ad una in silenzio sono
state azzerate, annullate, sterminate, senza reagire, senza ri
bellarsi, senza alzare un dito. Migliaia di persone hanno pre
ferito (e preferiscono) la morte civile, umana e fisica, piut
tosto che compiere qualsiasi atto che possa ledere la integri
t psicologica e fisica dei propri aguzzini e dei propri carce
rieri... e noi non solo chiamiamo gli psichiatri terapeuti ,
ma beffa delle beffe, accusiamo le loro vittime di atrocit
che non hanno mai commesso, sulla base di quei pochi fra
loro che non hanno retto a questa nonvita, che non hanno
accettato di finire cos da soli, in silenzio, nel nulla.
Ma tutto questo parte del nostro immaginario. Forse
abbiamo ragione ad essere terrorizzati dalleventualit di per
dere la testa . Non tanto per quello che noi possiamo fare,

91
ma per quello che gli altri sarebbero autorizzati a farci. La
pericolosit di Anna uno specchio che ci rimanda due pen
sieri: tutti possono impazzire/tutti possono essere trattati co
me pazzi.
Forse parlare di me, di Arturo e di Furci, pu servire a
capire. Quando ho rivisto Arturo si trovava nel bel mezzo
della sua seconda esperienza a rischio psichiatrico . Non
dormiva, andava in giro non rispettando alcun limite di ve
locit, sfidava e minacciava le persone che lo incrociavano,
non voleva mangiare, non accettava consigli, non voleva as
sumere farmaci, accusava di tutto i suoi genitori e li minac
ciava.
Non ci eravamo pi incontrati dal tempo delle scuole. Ora
ci trovavamo di fronte in una situazione in cui tutto era gi
stato deciso. Una vertenza analoga, diversi anni prima, era
stata risolta con un ricovero coatto e tutti erano rassegnati
a ripetere questo itinerario come lunico possibile.
Da parte mia chiarii subito che non ero l n per convin
cerlo a dormire, n per costringerlo a prendere farmaci o con
sigliargli di ricoverarsi per il suo bene . Feci capire che al
dil di quello che io potevo o meno pensare (e capire), sicu
ramente lui doveva avere validi motivi per fare ci che face
va. Arturo evidentemente lottava per qualcosa di essenzia
le, non poteva cedere, non poteva arrendersi, non poteva fi
darsi di nessuno: lottava per se stesso, per la sua identit,
per la sua autonomia...
Ad osservare le cose dal punto di vista di Arturo, tutte
le stranezze ritornavano ad essere comunicazioni, profon
di atti di accusa verso i genitori, atti di legittima difesa con
tro la negazione delle sue ragioni che si stava ancora una

92
volta consumando, richieste, rabbia impotente, delusione, ten
tativi di fuga...
Arturo era pericoloso . Chiedeva di essere ascoltato,
aveva da far danzare gli scheletri dellarmadio familiare: que
stioni irrinunciabili che riguardavano le sue origini, le sue
radici, la sua storia, con le quali era (ed ) sempre pi diffici
le convivere.
Molte cose si chiarivano adesso, ma una in particolare
mi colpiva. Accadeva questo. Il villaggio partecipava attiva
mente al dibattito su quanto accadeva dentro casa di Arturo.
Poche illazioni su quanto sembrava avvenire dentro la sua te
sta. Il villaggio riconosceva le sue ragioni, considerava un suo
sacrosanto diritto quello di farsi ascoltare, di non essere en
tusiasta della situazione affettiva ed umana in cui stava vi
vendo. Eppure, pur non essendo malato , egli doveva essere
internato?!
Osservavo una trasformazione radicale dellatteggiamento
delle persone nellattraversare luscio di casa sua: le alleanze
e la solidariet venivano meno, avanzavano i buoni consi
gli . Era un copione che tutti recitavano e conoscevano a
memoria: la famiglia non poteva essere messa in discussio
ne, Arturo doveva arrendersi, doveva accettare di farsi cu
rare. Tutti gli prescrivevano una resa incondizionata , ina
ccettabile: cancellare, dimenticare, tacere. Ho visto cos per
sone diverse dare i medesimi consigli: il villaggio produce il
suo senso, oltre a contenerlo.
Arturo scappava di casa. Voleva attraversare questo pas
saggio che lo inchiodava sulla porta, voleva tornare al villag
gio, acquistare cittadinanza per s, per le proprie angoscie
e gioie. Ma il villaggio non poteva ratificare questa sua lotta
blasfema per leffetto e lautonomia.

93
Cos Arturo girava senza meta, vascello fantasma, folle,
anima disincarnata. Il suo posto era dentro, fuori non po
teva essere accolto senza accogliere il sacrosanto diritto di
ogni uomo a chiedere conto di ci che sta succedendo nella
e della sua vita.
Dopo alcuni giorni di questi suoi tentativi frustrati e di
buoni consigli, Arturo si fece vivo. Era calmo. Discutemmo
a lungo sul fatto che ogni chitarra, come ogni persona, ha
una sua propria tonalit ... Il giorno stesso, il posto libe
ro al reparto di psichiatria e il provvedimento di Tratta
mento Sanitario Obbligatorio, firmato dal Sindaco, qualche
giorno prima, interrompevano questo colloquio.
L occasione fortuita dataci dalla temporanea inutilizza
bilit della psichiatria ci faceva intendere che possibile (e
doveroso) farne a meno. Anzi si faceva strada lidea che questo
farne a meno fosse lunica strada per aiutare le persone
ad attraversare la porta e rientrare nella vita.
Quanto era accaduto con e di Arturo spinse me e gli altri
ragazzi dellassociazione ad intendere alcune verit elemen
tari:

a) la crisi non era in Arturo, ma coinvolgeva chiaramente la


sua famiglia, i vicini, i frequentatori dei bar e delle piaz
ze, gli amministratori, il villaggio;
b) il rapporto fra me ed Arturo non poteva (non aveva pote
re, possibilit di) affrontare questa crisi collettiva; al con
trario rifocalizzava Arturo come sede, soggetto, autore
dellansia e del problema;
c) la strada che Arturo stesso ci aveva indicato era quella di
un fuori permeabile, flessibile, affettivo; di unfuori di so
miglianze e di alleanze; come unica strada per affrontare

94
un dentro imperativo, ossessivo, annullante... Era fuori nel
villaggio che avremmo dovuto nuoverci, discutere, incon
trarci, scontrarci, mettere in crisi la normalit diffusa ,
se volevamo dare ad Arturo, a me, ad ognuno, loccasio
ne di modificare se stessi e gli altri.

La svolta fu sancita, ricordo, da un incontro pubblico in


cui svelammo il segreto ( di Pulcinella) del fuori e del dentro:
fuori si condivide, dentro si disapprova Arturo; fuori non
lo si accoglie, dentro lo si costringe. Svelammo i voltafaccia
che avevano confuso Arturo, il rifiuto di alleanze, la paura
di assomigliargli: soprattutto informammo cosa ne era stato
di Arturo dentro il reparto di psichiatria.
Da allora la nostra opera di emozione/informazione non
si mai arrestata, ricucendo nella comunit una rete, un fuori
flessibile, capace di somigliare a (riconoscere) Arturo nella
sua lotta per lautonomia.
Una rete fatta di persone che non formano unassocia
zione, n gestiscono un servizio per matti, n si riconoscono
in unidea comune. Una rete di persone unite da rapporti per
sonali con Arturo. Una rete di persone da lui stesso creata,
usata, attivata...
Arturo ha attraversato altri momenti difficili, ma ha po
tuto muoversi liberamente nel villaggio, ha stretto e rotto
alleanze, discusso, emozionato, intimorito, parlato, ascolta
to... Le sue ragioni (e il suo corpo) non sono pi stati conse
gati alla psichiatria... una differenza prima intollerabile si
trasformata in una somiglianza e in una alleanza attiva fra
persone. Arturo ha riacquistato diritto di cittadinanza nella
vita quotidiana, ha acquistato il diritto di perdere la testa ,

95
di comunicare, di essere ascoltato, di affrontarne le conse
guenze.
La questione ritornata ad essere quella che : questio
ne personale, interpersonale, familiare, sociale, culturale; nien
te a che vedere con pseudo-medicina, psicofarmaci, ospedali,
io, e super io... Arturo ha chiuso la sua partita con la psi
chiatria e ha aperto quella pi dura (e pi vera) del senso di
stare in questo mondo, in questo corpo, con questa storia,
con queste persone...
Molti di noi hanno seguito le orme di Arturo e hanno
imparato che si pu comunicare col proprio autismo , la
propria pericolosit , la propria fragilit : che la follia fa
parte di noi, che non va modificata, ma vissuta fino in fondo.
Il villaggio ha perso il suo scemo! Egli non pi sequen
za bloccata e ridicola di una trasformazione mai avvenuta,
di unesperienza mai compresa, di un cuore mai cresciuto:
diventato per noi diritto di tutti ad una vita piena, propria
e significativa...
La fine della psichiatria e linizio delle persone.

96
Il villaggio fantasma
Il mito della psichiatria comunitaria

S e la psichiatria non ha niente a che vedere con la nostra


cultura, probabilmente essa non ha niente a che vedere
con la vita stessa, con le persone stesse, ovunque e comun
que organizzate. Questo capitolo vuole documentare le cri
tiche verso lovviet e la necessit di istituire servizi psichia
trici in tutte quelle realt che si danno per disgregate, me
tropolitane, deculturalizzate; vuole mettere in crisi i para
dossi e gli arbitri che stanno alla base della cosiddetta psi
chiatria comunitaria e delle sue prassi alternative ; vuole
trovare un filo per ricostruire le strade e gli itinerari dei vil
laggi fantasma in cui molti di noi vivono.
Nei villaggi fantasma , si argomenta, niente di quanto
ho scritto e documentato ha senso. Non esistono nessi fra
le persone, dietro lo scemo ci sta il vuoto, il deserto emoti
vo, affettivo, interpersonale. Egli non pu che oscillare fra
esclusione e abbandono, privo di punti di riferimento non
pu che delirare in un mondo allucinato e allucinante. Ap
pare inevitabile e necessario allora organizzare spazi, nessi,
relazioni, punti di riferimento, luoghi artificiali per riem
pire questi vuoti (affettivi e sociali) per ricostruire il villag-
>>
gio .
97
Questo ragionamento quello che definisco lovviet del
linvadenza psichiatrica della nostra vita quotidiana: les
senza del discorso della cosiddetta psichiatria comunitaria.
Psichiatria comunitaria una definizione paradossale
che sta per unestensione dellarbitrio delle cure psichia
triche aldifuori degli spazi storici della loro azione (i mani
comi). La psichiatria comunitaria una moltiplicazione dei
luoghi della cura e, quindi della diversit , della nega
zione , della violenza. Una moltiplicazione pressocch infi
nita che attraversa e duplica i luoghi dellidentit individua
le e dellincontro interpersonale. Una moltiplicazione delle
occasioni e delle situazioni in cui il tecnico pu agire, diagno
sticare, decidere.
Non basta star fuori dal manicomio per avere diritto di
cittadinanza nella realt, bisogna saper discernere ed evitare
tutte le situazioni e le infinite occasioni di psichiatrizza
zione delle proprie emozioni, esperienze, differenze.
Fa parte dellovvio non riuscire pi a percepire la diffe
renza (sostanziale e qualitativa) fra la vita quotidiana e la non
vita istituzionale dentro il circuito psichiatrico. Alla extra
quotidianit, alla distanza e allastrazione simbolica rappre
sentata dallo spazio-mondo manicomiale; la psichiatria co
munitaria sostituisce una sorta di duplicazione costante
della quotidianit. Il manicomio era una realt extraterrito
riale, con proprie leggi e un proprio statuto culturale. Il con
fine era netto, la violenza esplicita, la diversit rispetto alla
vita irriducibile.
Nellipotesi della psichiatria comunitaria i confini sono
sfumati, il passaggio normalit-diversit continuo: la diver
sit non scompare si fa caricatura della normalit. L utente
psichiatrico intrappolato nel circuito del come se : la sua

98
vita impigliata in luoghi e relazioni che riproducono la quo
tidianit come se fosse normale. Egli avr una casa, un
lavoro, delle persone con cui fare e disfare i suoi giorni. Tut
to rigorosamente come se fosse normale.
Il servizio supervisioner la sua vita 24 ore su 24, lo orien
ter in questo mondo parallelo che ha costituito per persone
di serie B, fotocopiando una propria idea di vita dignitosa,
significativa, completa. Ma il trucco per quanto elaborato non
riuscir.
Intanto ci sono i farmaci a ricordare le differenze fra chi
cura e chi curato; a rammentare allutente che dentro un
progetto terapeutico in cui sar educato a selezionare i pro
pri comportamenti, le proprie esperienze, le proprie comu
nicazioni in un modo pi adeguato e socialmente accettabile.
Poi sar chiaro, specie a chi vi implicato come utente, che
ancora la malattia , la diversit , il bisogno , di cui
altri dicono che lui portatore, a determinare tutto questo
darsi da fare delle persone intorno.
Alla base di ogni intervento psichiatrico sta sempre un
profondo svilimento di ci che laltro pensa, vuole, sa, pu
fare: c una svalutazione del suo essere nel mondo, delle sue
interpretazioni, delle sue comunicazioni, dei suoi progetti.
Una casa-famiglia non una casa; una cooperativa di lavoro
non un lavoro; una comunit terapeutica non una comu
nit.
Certo questo fotocopiare la vita e proporla come cu
ra appare di gran lunga pi civile della separazione netta
e violenta operata dal manicomio: ma il problema della di
versit, della desertificazione, della nullificazione dellesisten
za degli utenti della psichiatria rimane invariato, si appro-

99
fondisce, sfugge a qualsiasi critica o azione diretta: come
la tela del ragno, pi ci si agita pi si rimane impigliati.
Psichiatria comunitaria allora ha un primo corollario
come presenza organizzata nella comunit. In nessun ca
so deve intendersi come una pratica della comunit: la co
munit non produce mai psichiatria, servizi psichiatrici, se
parazioni, diversit. Comunit connessione simbolica na
turale spontanea significativa.
Non credo che esistano immaginari collettivi interme
di fra il manicomio (mondo della follia) e la piena autode
terminazione della follia. I servizi psichiatrici territoriali non
hanno radici culturali e simboliche autonome: non signifi
cano niente. La loro pratica inevitabilmente contesa fra
questi due immaginari: riprodurre il manicomio o negare la
psichiatria.
Naturalmente i tecnici possono produrre e proporsi altri
immaginari e sensi: ma i significati collettivi, comunitari, ar
chetipici, sono necessariamente trasversali : non vengono
prodotti e imposti da una categoria. Il che significa che, al
dil della merce che si vende, ogni psichiatria (alternativa o
meno che si definisca), per il solo fatto di agire a proprio no
me, psichiatrizza tutto ci che tocca, sfiora, pensa, agisce.
Aldil delle intenzioni degli psichiatri alternativi, la loro
azione significa qualcosa di ben preciso per le persone con
cui viene a contatto. Qualcosa che ha a che fare con la ma
lattia , 1 incomprensibilit , l incapacit di intendere e
di volere .
La presenza e lazione di tecnici in situazioni sociali aper
te le chiude automaticamente, tranciando i nessi e le somi
glianze fra gli individui. Essa connota la situazione come pa-

100
tologica , diversa , extraquotidiana . Psichiatrizzare ,
aldil dellevidenza di certe pratiche come la somministra
zione di psicofarmaci, la diagnosi, il ricovero, il corollario
ineliminabile di ogni azione che definisca una specificit psi
chiatrica nelle situazioni di vita delle persone. Anche una
casa di accoglienza o una cooperativa di lavoro psichiatriz
zano perch creano uno spazio separato di vita e di relazio
ni che accoglie la presunta diversit , incapacit di vivere ,
malattia , dei suoi utenti. Una casa di accoglienza non
una casa: come se fosse una casa in cui il folle vive co
me se fosse normale.
E probabile che esistano case di accoglienza organiz
zate secondo parametri ottimali sia dal punto di vista archi-
tettonico, che dellarredamento, della qualit della vita e dei
rapporti; delle case da favola , senza radici nella realt e
nella storia di chi ci andr ad abitare. Crocevia di sconosciu
ti, forzati insieme dal giudizio (sentenza) che altri pronun
ciano su di loro. La loro diversit e anormalit data
dalla semplice domanda: allora perch ci vivrebbero?
Le cosiddette strutture intermedie sono delle riser
ve che delimitano lo spazio di senso, movimento, identit
di chi vi costretto. Sono una riproduzione su piccola scala
della logica manicomiale di ogni cosa al suo posto : lo spa
zio protetto come spazio extraquotidiano della follia.
La psichiatria comunitaria diffonde un insostenibile sen
so di irrealt individuale e collettiva, disgrega i nessi, i ri
chiami, dissolve le influenze reciproche, annulla le differen
ze e le somiglianze. Assume il controllo del corpo, della mente,
delle relazioni del suo utente costruendo intorno a lui un mon
do ad hoc che attraversa la quotidianit senza esserne tocca
to. Il circuito psichiatrico uno spazio senza tempo e, quindi,

101
senza movimento. Una sorta di sequenza bloccata, inanima
ta, morta, in cui c morte anche nella festa, nella gioia, nel
lavoro, nella casa...
La psichiatria comunitaria si giustifica come alternativa
razionale e umana al manicomio. Si rivela piuttosto unal
ternativa sistematica alle relazioni, alle riflessioni, alle espe
rienze spontanee delle persone. Da qui lenfasi nel potere
terapeutico dei servizi comunitari. Essi sono un prototipo
educativo di come dovrebbe essere una comunit , di co
me dovrebbero essere i buoni rapporti , di come si dovrebbe
trattare coi matti. Il servizio comunitario occupa lo spa
zio lasciato vuoto dai valori e dai nessi collettivi, proponen
dosi come il villaggio delle diversit, come spazio inter
medio fra follia e normalit.
Il paradosso (e larbitrio) consiste nel porsi come fine qual
cosa che quel che si fa esclude. Non si pu connettere quan
do si separa una persona dallaltra. Non si possono pensare
e trattare le persone come malate e sane e poi pensare
che fra esse ci possa essere un qualsiasi punto di incontro,
alcun passaggio, alcuna relazione. Le persone che si incon
trano attraverso i servizi psichiatrici sono cose , oggetti buo
ni e oggetti cattivi senza soggettivit, storia, differenze e
somiglianze. Il servizio tenta di sommare capre e cavoli: es
seri che definisce come irriducibili gli uni agli altri, catego
rie contrapposte, essere e non essere.
Non c modo di sfuggire a questo paradosso e a questo
arbitrio. Il manicomio (lo spazio della follia ) resta lunico
modo di fare psichiatria . E non deve trarci in inganno se
i nuovi spazi della follia sono cos decentemente simili agli
spazi della normalit. L estraneit, la spersonalizzazione, il
controllo, la negazione, limpossibilit di essere, fare, pensa

102
re, sono ancora le coordinate portanti del mondo e della quo
tidianit degli utenti della psichiatria.
La psichiatria comunitaria allora un mito: il mito che
si possa ricreare in laboratorio una reazione comunitaria ;
qualcosa che assomigli ad un immaginario collettivo; qualco
sa che si avvicini ad unappartenenza...
Le comunit psichiatriche alternative hanno assunto
il sacrosanto principio che non importante farsi curare, ma
vivere. Hanno dedotto istintivamente che la vita una qua
lit di una rete di relazioni, di persone, di luoghi significati
vi e significanti. Hanno osservato che per i loro utenti (e
per le persone in genere) questa rete, questa qualit, questo
villaggio era venuto meno. Hanno concluso che quanto ce
ra da fare era occupare questo spazio vuoto ed edificare, in
questo territorio morto, la cittadella della follia liberata
(o della normalit liberata ).
La psichiatria comunitaria assume come dato che non esi
stano pi nessi positivi fra le persone, immaginari comuni,
capacit di autocura, autoaiuto, tolleranza. Segretamente pen
sa che non esistano pi le persone, che la follia non signifi
chi pi niente, che sia elusa, scacciata, negata come un fa
stidioso non-senso, come un puro nulla. Pensa di detenere
la verit della follia, il suo segreto codice, il suo manife
sto, il suo progetto.
Le esperienze pi avanzate di psichiatria comunitaria so
no delle mostruose organizzazioni di tutela (controllo, pri
gionia) del matto dalla realt.
la realt la vera malattia . questa la radice di tut
ti i mali delle persone. Non sufficiente estirpare la men
te della gente, spegnere chimicamente ogni capacit di sen-

103
tire, parlare, agire: bisogna neutralizzare il reale , renderlo
innocuo, prevenirne il contatto.
Alla psichiatria comunitaria non interessa solo norma
lizzare il suo utente, ma soprattutto renderlo disponibile,
attraverso le cure , ad accettare il progetto, il futuro, la
vita che ha predisposto per lui. Non poi cos importante
che sappia vivere nella societ: limportante che sia capace
di muoversi e trovare un suo posto allinterno del circuito
psichiatrico in cui dovr vivere.
La psichiatria post-riforma non restituisce le sue vittime.
Cancella la persona dal reale, dai pensieri, dai discorsi, dai
sentimenti delle persone. Restituisce solo lombra, il doppio,
lo zombie della persona che conoscevamo; ne altera la fisio
nomia, il lessico, la gestualit, la rabbia... Ce la restituisce
come malata : persona in libert vigilata, pronta a ripren
derla in ogni momento per le cure del caso .
E la malattia la vera istituzione totale. una seconda
pelle, un secondo cuore, un fantasma che ha preso il nostro
posto. Non si liberi finch si definiti (trattati come) ma
lati . Non si pu essere liberi quando la nostra stessa li
bert ed assere considerata sintomo della malattia di
cui siamo accusati-curati-distrutti.
Gli psichiatri alternativi non amano parlare di malattia
mentale . Essi preferiscono occuparsi del modo in cui tra
sformare il reale per garantire lesistenza fisica dei loro utenti.
Lo psichiatrizzato sempre un cadavere: ma non va sepolto!
Esso cibo per gli avvoltoi psichiatrici e nutrimento dei vermi
farmaceutici...
La malattia considerata un dato. Alla pari della sem
pre presunta incapacit e impreparazione delle persone rispet
to alla gestione delle loro esperienze. Per loro la leggittimit

104
dellazione psichiatrica non va discussa. Essi intendono de
finire e controllare la malattia mentale e creare strutture
alternative per i malati .
In questo quadro si spiegano le pratiche farmacologiche
con luso di farmaci long-acting (a lunga azione), labuso del
trattamento coatto di chiara marca manicomiale, listituzio
ne di una miriade di istituzioni e servizi aventi come unico
fine il controllo 24 ore su 24 delle vittime della psichiatria...
Scopo di questa organizzazione impedire il contatto con
la realt dei malati di mente , in continuit con la logica
manicomiale della separazione e dellopposizione fra sanit
e follia. Il risultato spesso una resa incondizionata a que
sto mondo cos distante, falso, irreale. Il risultato la mor
te, loblio.
Le persone non usano la psichiatria: vengono usate (e abu
sate) da essa.
Il movimento di psichiatria democratica in Italia con il
varo della legge 180 non ha nemmeno sfiorato il mito della
malattia mentale , lasciando di fatto in piedi la pienezza
dellarbitrio psichiatrico. Lo psichiatra (democratico o non)
continua ad avere potere assoluto sulla vita di persone che
pu obbligare alle sue diagnosi e cure . Il suo giudizio vie
ne tuttora considerato scientifico e non una mera ipotesi,
illazione, insulto, della propria e altrui intimit. Questo po
tere di giudizio insindacabile. Nessuno si pu opporre, nes
suno pu dimostrare la violenza, labuso, larbitrio subiti,
perch essi vengono considerati pratiche terapeutiche, cure
mediche.
La logica che ha tenuto in piedi il manicomio, che ha per
messo a sedicenti medici di asportare parte del cervello di
105
loro simili, che permette loro di sperimentare farmaci su ca
vie viventi... ancora tutta in piedi e opera con furia e as
surdit illimitate.
Ci che la psichiatria italiana ha tentato di fare con la
chiusura dei manicomi abolire tutti gli aspetti pi marcata-
mente repressivi e violenti (le camicie di forza, i letti di con
tenzione, i ricoveri definitivi...) per rinnovarsi come scienza
medica di diagnosi e cura dei comportamenti devianti. Con
ci la legge 180 continua la tradizione psichiatrica dellesclu
sione sistematica delle esperienze e dei vissuti delle persone,
la tradizionale divisione delle persone in sane e malate, lu
suale separazione delle seconde dalle prime in spazi e luoghi
denominati terapeutici .
Ma la vita non pu essere guarita: la vita va vissuta. La
psichiatria alternativa una trappola micidiale. Essa si ap
propria di questioni non psichiatriche (il bisogno di una ca
sa, di un lavoro, di soldi, di socialit...) per leggittimare la
sua esistenza. Sostituisce i naturali referenti sociali delle per
sone. Traduce i vissuti e i nodi relazionali in questione di
pertinenza medica. Ci rende estranei gli uni agli altri: ci im
pedisce di assomigliarci...
Le nostre metropoli saranno probabilmente delle giun
gle di violenza e abbandono: ma sono fatte di persone, cose,
sentimenti reali. Pu non starci bene che la gente viva in con
dizioni disperate, dorma nelle stazioni, gridi in strada, si ma
sturbi... ma non possiamo per questo autorizzare la distru
zione sistematica di migliaia di persone chiamandola cura .
La psichiatria rientra nellovviet della catena di indiffe
renza e di violenza che disgrega i nessi fra di noi. Continua
re ad usarla significa sacrificarle parte del tesoro che in
ognuno di noi, significa partecipare alla desertificazione del

ib
le nostre coscienze ed esistenze, significa chiudere gli occhi,
non sentire, non parlare, non crescere...
Credo che i sani debbano imparare a tollerare la real
t: debbano imparare a tollerare il fatto che il reale intriso
di tutti quei vissuti, quei sentimenti, quelle fantasie, quelle
paure... quelle voci che noi tentiamo di spegnere e distrug
gere attraverso la psichiatria. Il reale fatto di queste pre
senze e assenze, di questa mole di esperienze, di sofferenze,
di storie che noi abbiamo tentato di estirpare e rinchiudere
nei luoghi del nonsenso psichiatrico...
Se sapremo vincere la tentazione di negare, di sopprime
re, di far tacere il reale, se proveremo ad immergerci nella
vita senza tentare di "guarirla , se sapremo fare a meno della
psichiatria tollerando di ascoltare la mole di domande senza
risposta prima zittite che ci cresceranno dentro... allora for
se ritroveremo il filo della rete che ci unisce, i nessi perduti
che incrociano le nostre storie, il villaggio che dietro ognu
no di noi.

107
Autodeterminazione
Itinerari per fare a meno della psichiatria

L a psichiatria non appartiene alla vita.


L a vita non appartien e alla psichiatria.

li itinerari personali e collettivi per liberarsi dalla psi-


v j chiatria attraversano spesso territori e labirinti in cui
in gioco la nostra esistenza. Allo stato attuale, infatti,
quasi impossibile per una persona fare a meno delle cure
psichiatriche, poich queste possono esserle imposte contro
la sua volont. E poi praticamente impossibile rifiutare la dia
gnosi di malattia mentale , poich essa viene tuttora con
siderata un giudizio medico-scientifico e non un insulto alla
propria e altrui umanit.
Non si tratta quindi di convincere qualcuno a fare a me
no della psichiatria, quanto piuttosto mettere ciascuno nella
condizione di poterlo fare. Credo che le persone abbiano il
diritto di decidere se farsi definire (ed essere curate) come
malate di mente . Questo diritto non potr mai essere pra
ticato , fino a quando non verr abolita ogni norma che giu
stifichi i trattamenti coatti e limposizione delle cure da
parte della psichiatria.
L esperienza ci insegna che ben poche persone si arren

109
dono al Moloch psichiatrico senza combattere. L arroganza
psichiatrica si spinge fino al punto da affermare che sinto
mo caratteristico della malattia che intende curare pro
prio il rifiuto da parte del paziente di essere malato e di
avere bisogno delle cure psichiatriche. Il che equivale a
dire che era malato chi tentava di sottrarsi alla lobotomia,
cos come chi si opponeva al ricovero in manicomio; allo stes
so modo in cui malato chi rifiuta di farsi imbottire di
psicofarmaci, farsi attraversare dalla elettricit, farsi ricove
rare nei reparti psichiatrici, perdere qualsiasi diritto allinti
mit, alla comunicazione, allautonomia.
La psichiatria allora si autodefinisce come una pratica di
imposizione di cure mediche su persone che ritiene strut
turalmente non consenzienti . Il criterio del rifiuto delle
cure , come giustificazione dellimposizione coatta delle stes
se, viene ratificato dalla stessa legge 180, che ne fa uno dei
criteri sulla base del quale imporre un trattamento coatto in
reparto di psichiatria.
La psichiatria unistituzione totale. Non c modo di
coniugarla con la vita e lesistenza delle persone. Essa non
va (n pu essere) riformata: va cancellata.
Il problema non sta nelle sue pratiche, ma nella sua logi
ca. La psichiatria si basa infatti sulla distruzione della sog
gettivit, della volont, dellidentit delle persone. Qualsiasi
pratica psichiatrica (alternativa o meno) non cambia la so
stanza della violenza di essere accusati (e curati) di una ma
lattia che non si ritiene di avere, cos come di essere privati
della possibilit di definire e affrontare da s la propria esi
stenza.
Fare a meno della psichiatria un progetto personale e
collettivo che passa attraverso lorganizzazione di una rete
110
permanente di difesa, di critica, di denuncia, dellinconsi
stenza scientifica e dellarbitrio della psichiatria. Una rete in
formale, di alleanze e somiglianze, che metta in comunica
zione le persone e permetta loro di esprimere il loro rifiuto
di diventare utenti e subire i (mal)trattamenti psichiatri
ci. Una rete estesa nella comunit che spezzi il consenso che
abbiamo dato alla psichiatria, svelandone, la violenza, las
surdit, limmoralit...
Lo scopo delle reti quindi quello di rimettere in gioco
le persone; far cadere tutti gli alibi che consentono di non
vedere, non sentire, non capire. Si tratta di riprendere in ma
no il senso di ci che ci accade senza sostituirci allo psichia
tra nel ruolo di chi (a priori) sa, capisce, definisce, cura, aiu
ta... Si tratta di liberare la creativit, la volont, lemotivi
t, la competenza delle persone intorno ai propri vissuti e
alle proprie relazioni. Permettere questa autogestione degli
affetti e delle identit lunica strada per vincere il non-senso,
il come se , lirrealt psichiatrica.
E proprio la psichiatria, con la sua idea di una malattia
mentale , a chiudere in trappola le persone. La malattia
mentale impedisce alla persona (e a chi la incrocia) di acce
dere direttamente alla comprensione di ci che prova, sente,
gli accade. L essere trattati come malati di mente non ci
aiuta a gestire, capire, vivere la nostra esperienza, n ci aiu
ta a capire quella degli altri: la malattia mentale non fa
che aumentare la nostra paura, langoscia, il senso di diver
sit, lincomprensione...
La psichiatria non produce esperienza, coscienza, cono
scenza, ma solo paura. Paura di quello che provo, paura di
dirlo, paura di ascoltarlo. Le mie (o altrui) voci vanno zit
tite, negate, curate. La mia (o altrui) rabbia malata . Quel-
111
10 che mi accade non normale. Sono diverso. Gli altri hanno
paura di me... io ho paura della paura che faccio agli altri...
La psichiatria non va sostituita: va cancellata. E con es
sa va cancellata la linea immaginaria (e reale) che abbiamo
posto fra gli individui e nella loro esperienza. Se vogliamo
che i vissuti e le ragioni delle persone restino ci che sono,
senza diventare sintomi di malattie, disagi, bisogni, occor
re rifiutare qualsiasi idea (e pratica) che tenda ad individua
re categorie di persone da aiutare e categorie di perso
ne che aiutano. Non credo si debba creare alcun luogo
specifico, parallelo, a parte, in cui incontrare chi ha o rischia
di avere a che fare con la psichiatria. Non credo che un cen
tro di animazione sociale e di incontro per utenti dei servizi
psichatrici, serva a superare larbitrio psichiatrico. Non cre
do che una cooperativa di lavoro integrata serva a superare
11 nonsenso psichiatrico.
Ognuno di questi luoghi , anche quando gestito da per
sone che niente hanno a che fare coi servizi psichiatrici,
parte del problema che vorrebbe risolvere. Traccia di nuovo
linee, giudizi, muri: rinchiude di nuovo le persone in una ca
tegoria a cui non hanno mai scelto di appartenere, in un mon
do in cui non hanno mai scelto di vivere.
La nostra lotta per cancellare la psichiatria non deve ri
spondere alla domanda: Con che cosa possiamo sostituir
la? . Deve porne unaltra Con che cosa sostituireste i lager
e le torture? .
Fare a meno della psichiatria significa imperdirle di pren
dere possesso della nostra vita e della nostra storia. Le orga
nizzazioni, le associazioni, le reti, i nessi che riusciremo ad
esprimere allinterno delle comunit e dei villaggi in cui sia
mo coinvolti, non possono (n debbono) definire disagi o pro

112
porsi di rispondere a domande mai poste. Se non vogliamo
ripercorrere il labirinto psichiatrico ci dobbiamo limitare a
deleggittimare la psichiatria e a liberare le persone dal suo
giogo, lasciando che esse stesse, ognuno a suo modo, ognu
no con la sua soggettivit e la sua storia, ritornino alla vita
che vogliono.
Le reti hanno appunto la funzione di permettere alle per
sone di dire, di incontrarsi, di confrontarsi, eliminando ogni
idea di patologia ; difendendo le persone dalle cure ; op
ponendosi a tutti i tentativi di zittirle, farle ragionare , in
ternarle contro la loro volont. Persone con le loro esperien
ze a confronto. Persone che si scelgono, che parlano con chi,
come, quando vogliono. Persone che non hanno pi paura
di dire e di ascoltare.
Le nostre reti avranno la funzione fondamentale di am
plificare e sostenere gli atti di insubordinazione alla logica
psichiatrica, creando nuove alleanze con chi rischia di esse
re sottoposto a trattamenti psichiatrici coatti.
E l dove la nostra opera di emotivizzazione riuscir
a cancellare il pregiudizio dellesistenza della malattia men
tale , vedremo riemergere tutta la vitalit, la complessit,
la passionalit della storia e dellinterazione umana. Cose buo
ne e cose cattive: ma braccia reali , lacrime reali , san
gue reale ...
Occorre lasciare le persone a se stesse, lasciare che trovi
no e pratichino una loro scelta di vita, un loro progetto. E
questa libert non deve sottostare a condizioni, patteggia
menti, compromessi, imposti dai nostri limiti, dalle nostre
paure, dal nostro paternalismo. Non possiamo trasformarci
in coloro a cui altri debbono rendere conto, in responsabili
tutori, in buoni terapeuti . Non possiamo legare di nuovo

113
1esistenza delle persone ad un giudizio (il nostro) che non
pu che essere arbitrario e violento.
Non possiamo sostituire la psichiatria, non possiamo per
seguitare le sue vittime per dimostrare le nostre tesi. Non
possiamo sostituirci in nessun caso ai naturali referenti delle
persone, ai loro amici, alle persone care.
Non credo di essere capace di tollerare e di accettare tutti
i comportamenti e gli atteggiamenti che un essere umano pu
porre in essere. Non credo di essere pi capace di altri di
capire e aiutare un mio simile, solo per il fatto che non credo
nella psichiatria. Non credo sia umano interessarmi a perso
ne con cui non ho niente a che fare (o con cui non trovo so
miglianze) solo per il fatto che sono state distrutte dalla psi
chiatria. Credo che ognuno di noi abbia il diritto di costrui
re il suo futuro, la sua vita e la sua morte, con le persone
che fanno parte della sua storia. Non accetterei che altri so
stituissero le persone che amo e che desidero avere a fianco
nella mia vita.
Non dobbiamo accettare la delega a capire e fare oggi data
alla psichiatria. Le nostre reti non devono interessarsi ai giu
dizi su ci che le persone sentono o vogliono, quanto piutto
sto garantire a ciascuno di poter portare il proprio discorso
fino in fondo senza essere annullato, zittito, bloccato dalla
diagnosi di malattia mentale .
Non ci si organizza per rispondere a persone senza vol
to, senza carne e senza sangue. Ci si organizza per fare in
modo che ognuno, aldil di ci che noi comprendiamo e tol
leriamo, possa esprimere la sua prospettiva, possa realizzare
il suo progetto, possa assumerne le responsabilit, le gioie
e i dolori.
Ci si organizza per garantire questa libert di autodeter-

114
minare la propria esistenza, non per giudicare o indirizzare
questa libert.
Per fare ci possiamo utilizzare un solo medium : noi
stessi. Dobbiamo parlare, passare parola, incominciare a fa
re a meno della psichiatria nella nostra vita quotidiana, dob
biamo testimoniare questo impegno, organizzare campagne
di denuncia dei ricoveri coatti, delluso forzato di psicofar
maci; dobbiamo stare nei nostri quartieri, paesi, villaggi a
confrontarci, ascoltare, ritrovare nessi.
Se la psichiatria si basa su un silenzio imposto a vittime,
carnefici e complici: la parola, la voce, le grida che posso
no sgretolare il castello di carta della sua ovviet. Il dire ,
il prendere parte e posizione, Tesserci, di gran lunga Tar
ma pi potente che abbiamo avuto per mettere alla porta la
psichiatria da Furci.
Per questo parlo di reti, perch il movimento deve attra
versare la quotidianit, ci deve vedere come ripetitori , come
amplificatori di voci , come fili, rimandi, nessi, di un
villaggio che ricorda e sogna.
L itineratio che propongo non passa attraverso luoghi
alternativi, non impone investimenti economici, professio
nalit, convenzioni, autorizzazioni... La sfida saper cam
minare, vivere e testimoniare nei luoghi aperti del sociale;
essere ospitati piuttosto che ospitare; esporsi, dire, allearsi...
La fine della psichiatria sta nel nostro farne a meno.

115
Postfazione
due anni dopo

C redo di conoscere il possibile stato danimo di chi ar


rivato fin qui. I dubbi, le domande, le curiosit e gli en
tusiasmi che si agitano dentro di lui.
Li ho toccati con mano solcando la penisola in lungo e
in largo, incrociando le esistenze e limpegno di centinaia di
persone che lottano per fare a meno della psichiatria. Da Mi
lano a Roma, da Imperia a Ragusa, da Torino a Catania, le
stesse inquietudini e gli stessi pregiudizi. La prigione psichia
trica cinge dassedio le nostre menti.
Furci diventata per molti una sorta di citt dutopia ,
mitica ed irraggiungibile. Il movimento di liberazione dalla
psichiatria ha bisogno dei suoi miti e delle sue certezze. Ep
pure lo sforzo di questa esperienza, e del libro, quello di
esporci allincertezza, di disgregare un reale che ci ha vi
sti per decenni complici della violenza psichiatrica. Non la
soluzione ad un problema, lalternativa alla psichiatria, ma
la possibilit di porre domande a lungo zittite e negate.
Questa lotta ci inquieta. Ci spinge ad affrontare i nostri
fantasmi. Se non ci fosse la psichiatria, saremmo soli di fronte
a quei grumuli di incomprensibilit e di violenza che credia
mo siano gli utenti della psichiatria. E allora chiediamo

117
a viva voce alternative . Cerchiamo di saperne di pi del
villaggio e dellassociazione pensando di imparare come
si fa a non ricoverare chi ci terrorizza, a non imbottire di psi
cofarmaci chi non riesce a dormire, a bloccare chi vaga tutta
la notte per le pericolose strade della metropoli. Se non la
psichiatria, che cosa?
Io non ho risposte a queste domande. Credo che non ve
ne siano. Credo che ognuno le debba cercare da s, con sof
ferenza e fantasia, senza usare la facile scappatoia dellin
capacit di intendere o della malattia . Le risposte che in
sieme abbiamo trovato a Furci non hanno valore assoluto.
Non solo perch, come molti si sono affannati a dire, Furci
non Milano (ma del resto neanche Milano Roma, n Ro
ma Palermo, n Palermo ...), ma piuttosto perch le ri
sposte devono avere senso rispetto alle domande a cui
si riferiscono. Le domande poi non sono univoche, cos
come le persone che le pongono non sono una categoria de
finita. A meno che non crediamo, con gli psichiatri, che chi
pone alcune questioni o vive alcune esperienze per ci stesso
sia affetto da una diversit irriducibile allo scambio co
municativo e alle relazioni quotidiane.
Le domande che stanno sul tappeto non riguardano
la assistenza o la solidariet. Il nostro compito non trovare
alternative di vita e di lavoro per gli utenti della psichiatria.
Non neanche quello di proteggere questa categoria dal
la realt , dalle sue frustrazioni e violenze. Pi semplice-
mente, noi crediamo che le persone debbano poter vivere co
me meglio credono la loro esistenza, confrontandosi fra loro
e influenzandosi a vicenda.
Quello che abbiamo tentato in questi anni a Furci si ri
solve nel tentativo di fare a meno della psichiatria. Libera

118
te le persone dal giudizio psichiatrico e dalle sue pratiche di
struttive, non ci resta che vivere, incontrarci o dividerci, ca
pirci o fraintenderci. Non ci sono tecnici della non psichia
tria, ma solo persone che decidono unilateralmente di non usare
pi il pensiero psichiatrico per risolvere i propri conflitti.
E per questo che non credo alle alternative alla psi
chiatria e che non ne cerco. Una persona, credo, vada libe
rata dal manicomio anche se non ha dove andare e di che
vivere. Cos come credo che nessuno vada ricoverato contro
la sua volont anche quando non si riesce a comprenderlo.
L esperienza di cui si parla in questo libro non vuole es
sere un manuale di intervento antipsichiatrico, ma soltanto
quello che noi, con la nostra sensibilit, la nostra cultura, la
nostra storia, abbiamo saputo pensare e agire quando ci sia
mo trovati di fronte a situazioni in cui la psichiatria rischia
va di sostituire pesantemente le persone. Quello che abbia
mo fatto non lavoro antipsichiatrico : siamo noi coi no
stri limiti e le nostre paure, il nostro paternalismo e la no
stra morale. Non c una cosa giusta da fare. C lo sforzo
di persone che insieme tentano di capire, di significare qual
cosa le une per le altre, in un modo irriproducibile anche da
gli stessi attori.
Furci unisola in un arcipelago di villaggi. La sua pecu
liarit vale solo per chi ci vive e per chi vi appartiene. Non
ha caratteristiche uniche o terapeutiche . il mio villag
gio, lunico luogo al mondo in cui io significhi profonda
mente, in cui ho le mie radici. Furci messo in campo per
mostrare che ci che documento accaduto anche perch
abbiamo tentato di rientrare allinterno della cultura del po
sto: ch solo recuperando questa cultura possiamo battere la
noncultura psichiatrica.

119
Per questo, credo, chi si recato a Furci o chi qui vi si
recasse, non riuscirebbe a vedere niente di quanto qui
detto. Il visibile nella nostra azione sempre stato molto
limitato. Una sede. Il nostro corpo che si muove. Alcune di
scussioni pubbliche. Telefonate. Presenza.
Io credo che si possa fare a meno della psichiatria. Ma
credo che occorra aver chiaro che la forza della psichiatria
sta tutta nel nostro consenso. La psichiatria non un corpo
estraneo alla nostra cultura e alla nostra mente: essa orga
nica al sistema di negazioni che noi usiamo per neutralizzare
tutto ci che ci inquieta o ci mette in discussione. Per que
sto larma pi potente che abbiamo avuto in mano stata
il nostro abbandono della certezza psichiatrica.
Credo che la possibilit di azione della psichiatria si sia
storicamente basata sullincapacit di rinunciare alla coper
tura che ci fornisce. Il rifiuto della sua protezione, il disco
noscimento della sua autorit e competenza, provoca un ter
remoto culturale impossibile da neutralizzare. E un metter
ci dalla parte di tutti gli irragionevoli che da decenni si op
pongono alla loro distruzione smerciata per cura medica ,
dar loro forza, distruggere il tacito assenso che ha permes
so le sperimentazioni dellinsulinoshockterapia, dellelettro
shock, della lobotomia, degli psicofarmaci...
Furci non rappresenta altri se non se stessa. Il Comitato
d iniziativa Antipsichiatrica solo un modo di esserci. Non
abbiamo elaborato un metodo scientifico di azione. Ab
biamo messo in campo noi stessi ogni volta che si trattato
di difendere il diritto di ognuno ad esprimersi.
Abbiamo significato forse pi di quanto ancora oggi riu
sciamo a comprendere e meno di quanto io qui sia riuscito
a scrivere.

120
Due anni dopo molte cose sono cambiate. L associazio
ne ha perso lapporto di chi storicamente ne costituiva il cuo
re ed entrata in una fase di trasformazione ancora in cor
so. Alcune posizioni sono state perse, altre hanno mantenu
to le libert raggiunte, la psichiatria si pericolosamente riav
vicinata alle nostre anime.
Due anni dopo chiaro ad ognuno di noi quanto poten
te sia il flauto magico della psichiatria, il suo canto ipnotico
che ci promette pace, sonno, eliminazione dei conflitti. E chia
ro che nessuna cultura ne esente e che la creazione di anti
corpi culturali una lotta senza quartiere.
Oggi credo che ci che importa realmente riaprire ca
nali di comunicazione genuina fra i mondi del possibile e del
limpossibile. Aiutare la comunit a superare la paura che
la cultura psichiatrica ha coltivato per allontanare gli uni da
gli altri. Recuperare le esperienze, i linguaggi, le visioni e per
mettere loro di contaminare il reale. Solo cosi si pu tentare
di spezzare la catena che tiene uniti vittime e carnefici psi
chiatrici.
Attraversando i villaggi e le metropoli dItalia ho perce
pito la stessa urgenza. In questo non c differenza fra Furci
e Milano. Il cuore del problema resta la possibilit concreta
delle persone di realizzare se stesse, il loro mondo, la loro
visione delle cose. Se questo mondo non ha diritto di citta
dinanza nel nostro mondo, esso non esiste, delirante ,
ricade sotto il dominio della pischiatria. Il problema del sen
so da dare alla nostra esistenza e al nostro essere in questo
o in altri mondi, al centro della nostra vita, dovunque e
comunque siamo organizzati.
Furci in questo senso vuole essere un laboratorio sociale
e culturale, non una formula da imitare e da riprodurre, ma

121
uno stimolo a ricercare la profonda alchimia che possa tra
sformare una citt fantasma in una citt di uomini. E se cre
dete che sia impossibile: sappiate che l impossibile il nostro
progetto.

122
Bibliografia

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Marzo 1987.
2) AAVV, Ipotesi di accoglienza, in A rivista anarchica n. 144,
Marzo 1987.
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4) B u c a l o G., Ma quale pazzia?, in A rivista anarchica, n. 145,
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5) B u c a l o G., La follia diffusa in Sicilia Libertaria, n. 46, Lu
glio 1987.
6) B u c a l o G., La verit che non pu essere detta, in Sicilia Li
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7) B u c a l o G., Manicomio e comunit. Tornare a vivere e a lotta
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9) B u c a l o G., Centro Sociale. Ipotesi per un'alternativa alla psi
chiatria, in Animazione Sociale, nn. 7-8, Luglio-Agosto 1988.
10) B u c a l o G., Living without psychiatry in Asylum, voi. 4 n.
1, Ottobre 1989.
1 1) C o m it a t o D in iz ia t iv a A n t ip s ic h ia t r ic a , Per un'alternativa al
la psichiatria, in Umanit Nova, n. 8, 12 marzo 1989.
12) C o m it a t o D in iz ia t iv a A n t ip s ic h ia t r ic a , La malattia menta
le non esiste, in Il Lunedi della Repubblica, n. 4, Maggio 1990.

123
13) L a in g R .D ., La politica dellesperienza, Feltrinelli, M ilano
1980.
14) S z a s z T ., Il mito della malattia mentale, Il Saggiatore, M ilano
1966.
15) S z a s z T ., Disumanizzazione dell'uomo, Feltrinelli, M ilano
1977.
16) S z a s z T ., Schizofrenia. Simbolo sacro della psichiatria, A rm an
do, Rom a. 1979.
17) S z a s z T ., Il mito della psicoterapia, Feltrinelli, M ilano 1981.
18) S z a s z T ., Legge libert e psichiatria, G iu ffr, M ilano 1984.

D ocum enti e testi sono disponibili presso il C o m it a t o D in i z ia


A n t ip s ic h ia t r ic a , via del progresso 36, 98023 Furci Siculo
t iv a

(M essina).

124
Indice

Istruzioni per l'u so ........................................................... 5


Prefazione ......................................................................... 17
Premessa ........................................................................... 25
Introduzione..................................................................... 27
Il villaggio ........................................................................ 41
Lo scemo ......................................................................... 77
I fatti e i v issu ti.............................................................. 73
II villaggio fantasm a....................................................... 97
Autodeterminazione........................................................ 109
Postfazione ........................................................................ H7
Bibliografia ........................................................................ 123
uesto libro un albero che affonda le sue ra
Q dici nella terra, nel sangue, nella carne di un
villaggio della grande madre Sicilia.
Questo libro unesperienza fra persone.
Questo libro un mostrare ci che accade fra
e delle persone quando sono lasciate a se stes
se a gestire la propria esistenza.
Questo libro una testimonianza da una terra
primordiale dove la psichiatria non ha messo radi
ci, ma su cui aleggia e sparge il suo alito mortale.
Questo libro un atto di GIUSTIZIA!

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