Se la condivisione diventa recinto e la personalizzazione significa
autoreferenzialit, nuove ed enormi sfide si aprono per chi disegna e progetta dai web designer agli architetti gli spazi dove gli uomini vivono If sharing becomes a fenced enclosure and personalisation means self-referentiality, new and major challenges are emerging for those who conceive and design the spaces where humans live from Web designers to architects
Courtesy of Humboldtbox Projekt GmbH
Angela Maiello
Nel tratto di strada che costeggia
il cantiere per la ricostruzione dello Stadtschloss di Berlino, tra le statue di Marx ed Engels e Unter den Linden, campeggia da luglio e sar l fino in autunno uninstallazione pubblicitaria della Coca-Cola. Un muro rosso, lungo 80 metri, simpone allattenzione dei passanti: 14 sagome di bottiglie ospitano altrettanti schermi LCD su cui possibile, attraverso un SMS, far comparire un nome a piacere. Trink ne Coke mit (Bevi una Coca-Cola con) il motto tedesco di quella che, senza forzature, si pu considerare una delle pi significative evoluzioni del marketing degli ultimi tempi. Lanciata lo scorso maggio per il solo mercato europeo, la campagna Share a Coke (Condividi una Coca-Cola) ormai assolutamente nota: al posto del leggendario logo, su bottiglie e lattine compaiono nomi di battesimo e parole chiave delluniverso giovanile. C di pi: in alcuni punti vendita, durante speciali eventi promozionali o scrivendo alla Coca-Cola, possibile ricevere la lattina con qualsiasi scritta. Al di l degli eventuali risultati, ci che colpisce soprattutto il fatto che tale campagna intercetti e utilizzi con grande padronanza le due direzioni principali e complementari, sulle
quali oggi si muove maggiormente
il social web: condivisione e personalizzazione. E con linstallazione berlinese essa sembra dare qualche indicazione rispetto alla possibilit di nuove e ibride modalit di arredo urbano interattivo. Le piattaforme sociali online, nel loro pervasivo sviluppo, condizionano sempre pi la nostra esperienza quotidiana, oggi soprattutto grazie ai dispositivi mobile. Non certo necessario ripercorrere nel dettaglio le recentissime e ben note fasi di questa parabola, che vanno dal bottone share di Facebook fino alla possibilit di realizzare video e non solo pi foto messa a punto recentemente da Instagram. Che si tratti di personalissimi frammenti di vita o di breaking news, la condivisione il motore della socialit online. La rapida e incontrovertibile evoluzione dei social network ha determinato, dunque, lintensificazione del concetto e dellazione stessa del condividere, che viaggia essenzialmente attraverso la reciprocit di viralit e ludicit. Dalle forme pi bieche di voyeurismo fino alle pi importanti campagne di raccolta firme della piattaforma change.org, la diffusione del contenuto mediale passa attraverso un rapido ed esponenziale passaparola che necessita del
semplice contatto per azionarsi.
Tale forma di propagazione virale dei contenuti vive essenzialmente grazie a quella che Peppino Ortoleva definisce semiludicit o, pi trivialmente, ma forse efficacemente, cazzeggio: lutente social si impossessa rapidamente delle poche e facili regole che il social network richiede e attiva con i componenti della sua cerchia (amici o followers che siano) questo scambio, fatto di palleggi e rimpalli, fino allultimo like (o retweet). La condivisione, ludica e virale, sembra allora dar vita a una sorta di comunit globale, che potenzialmente in continua espansione, e in cui i componenti/ utenti si raccolgono per lo pi attorno a tematiche dinteresse comune che funzionano in maniera trasversale alla comunit stessa. Non quindi un caso che il meccanismo o la regola dellhashtag, che inizialmente faceva parte esclusivamente della grammatica di Twitter, sia oggi diffuso su tutte le maggiori piattaforme di condivisione sociale. Apponendo il famoso cancelletto a un qualsiasi contenuto mediale condiviso (status, foto, video e link), si entra di fatto in una cerchia di cui si componente alla pari, insieme con tutti gli altri. Le attivit del social web sembrerebbero,
dunque, concretizzare quellideale
californiano, germe degli sviluppi tecnologici di cui stiamo parlando, di una democratizzazione diffusa e di un potenziamento decisivo della partecipazione su scala globale. Ma siamo sicuri che sia davvero cos? Cio che la nostra comunit di appartenenza online sia aperta ed espandibile? A ben vedere, a questa condivisione, apparentemente sempre pi fluida e rapida, corrisponde un movimento di contrazione e canalizzazione: la personalizzazione. La possibilit di collegare a pi dispositivi un medesimo account (Google e Android, per esempio) o anche, pi semplicemente, il principio della rilevanza e dei filtri determina in maniera decisiva il tipo dinformazioni a cui siamo esposti. Dai motori di ricerca ai social network, riceviamo le informazioni che in un certo senso secondo lalgoritmo vogliamo ricevere: in base, cio, al nostro comportamento in rete, in base agli amici che seguiamo, alla pagine che leggiamo e ai siti che visitiamo pi frequentemente. Questo non riguarda solo la pubblicit, ma pi in generale il flusso dinformazioni e conoscenze in cui la rete ci immerge, forse per evitare di sommergerci. Ci significa, allora, che la condivisione personalizzata non si risolve nellespansione a macchia dolio che pu investire e incontrare linaspettato, ma funziona piuttosto come un vortice che va sempre pi in profondit, alzando, per, barriere invisibili ai pi. La campagna Share a Coke ha radicalmente fatto suo tutto ci. Per la prima volta almeno nellambito dei grandi numeri , non ci si limita semplicemente ad adattare a specifici mezzi e dinamiche di comunicazione una strategia di vendita. La pubblicit della Coca-Cola parla ora la lingua del web. Non si tratta pi di una semplice convergenza, alla quale siamo ormai ampiamente abituati (i programmi televisivi che chiedono ai propri spettatori di commentare la trasmissione sui loro profili online), ma di adottare un linguaggio e quindi anche una pratica ibridi (con tutte le caratteristiche sopra descritte) che vanno dalla rete alla tavola (porto a casa la lattina Condividi questa Coca-Cola con la tua famiglia), e poi dalla tavola alla rete (posto la fotografia del pranzo sulla mia pagina Facebook). Si rende cos particolarmente evidente lavviata integrazione tra ambiente reale per chiamarlo cos e online. Il muro rosso di Berlino la forma pi vistosa e, forse, sorprendente di tutto ci: con il suo grado minimo e altamente ludico dinterattivit sembra presagire un nuovo modo tutto ancora da esplorare di vivere la citt (dal turismo di massa allabitare responsabile), un nuovo modo di raccogliersi ed eventualmente di fare (o non fare) comunit.
domus 973 Ottobre / October 2013
Photo by Elena Capra
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Se allora questa tesi appare
convincente e siamo concordi nellattestare il venire meno della distinzione tra reale e virtuale e lemergere di una nuova realt integrata (o aumentata? Vedi: Pietro Montani, Dopo il virtuale, una nuova estetica del mondo reale? in Domus n. 972), non si pu sfuggire ad alcune questioni cruciali. Quali nuove modalit dellabitare si vanno delineando, se la condivisione diventa in realt recinto e la personalizzazione significa autoreferenzialit? Se la crepa nel muro non permette di vedere oltre, dincontrare o immaginare ci che non si conosce, ma solo di riflettere noi stessi, i nostri desideri e le nostre conoscenze? verosimile che una sfida importante si apra allora per coloro che disegnano spazi: siano essi programmatori, web designer o architetti. E cio quella dimmaginare soluzioni che permettano che da questo scambio, che si va instaurando tra ambiente-web e citt, possa emergere un fertile spazio ibrido che potenzi la creativit partecipativa dei singoli e linterattivit collettiva, contribuendo in modo decisivo a rinnovare la comunit e scongiurando il rischio di alzare muri invisibili e, tuttavia, di nuovo massimamente pericolosi.
Pagina a fronte: nel quartiere Mitte
di Berlino, in attesa della costruzione dellHumboldt-Forum, ledificio che prender il posto del Castello di Berlino (Berliner Stadtschloss), gli architetti Krger Schuberth Vandreike hanno completato il padiglione informativo Humboldt-Box. Con una durata di soli cinque anni, funziona come centro dinformazione per aggiornare i visitatori sullo stato davanzamento dei lavori. Ledificio segna linizio di un muro lungo 80 metri, sui cui campeggia la campagna pubblicitaria della CocaCola (sopra)
Opposite page: in the Mitte district
of Berlin, pending construction of the new Humboldt-Forum which replaces the former Berlin City Palace (Berliner Stadtschloss), the architects Krger Schuberth Vandreike have completed an information pavilion known as the Humboldt-Box. With a duration of just five years, the pavilion will function as an information centre to update visitors on the progress of works. The building marks the beginning of an 80-metrelong wall displaying the Coca-Cola advertising campaign (above)
THE RED WALL
OF BERLIN
Standing out on a road skirting
the Stadtschloss rebuilding site
in Berlin, between the statues of Marx and Engels and the Unter den Linden, is a huge Coca-Cola advertisement. On a red wall 80 metres long, it has since July grabbed the attention and will do until autumn of passers-by. On it are 14 silhouettes of bottles, hosting as many LCD screens onto which an SMS can project any desired first name. Trink ne Coke mit (Drink a coke with) is the German motto of what can undoubtedly be considered one of the most significant recent marketing developments. Launched last May for the European market only, the Share a Coke campaign is by now ultra-familiar, with the companys legendary logo on bottles and cans replaced by first names and key words of youth. Moreover, at some sales points and during dedicated promotional events, or by writing to Coca-Cola, it is even possible to receive the can with any chosen writing on it. Aside from the possible results, the most striking thing is that this campaign intercepts and exploits in masterly fashion the two principal and complementary
directions in which the social
Web is moving today: sharing and personalisation. The Berlin installation also seems to have given some indication of the possibility of new and hybrid approaches to interactive urban furniture. In their pervasive development, the diverse online social platforms are increasingly determining our daily experience, today mainly due to mobile devices. There is certainly no need to retrace in detail the recent and well-known phases of this parabola, ranging from Facebooks share button to the possibility of making videos and not just photos recently developed by Instagram. Be it in the form of highly personal snippets of life or breaking news, sharing is the engine of online sociality. The rapid and incontrovertible evolution of social networks has therefore intensified the concept and the action itself of sharing, conveyed essentially through the reciprocality of virality and playfulness. From the most sinister forms of voyeurism to the most important signature-gathering campaigns of change.org, the circulation of media content occurs via the rapid and exponential diffusion of a message which requires mere contact to be activated. This viral propagation of
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now speaks Web language. It is
no longer a plain convergence to which we are widely accustomed (TV programmes that invite viewers to comment on telecasts via their online profiles), but adopts a hybrid language and hence also practice with all the characteristics described above. This ranges from the Web to the table (I bring home the share this coke with your family can), and then from the table to the Web (I post the photo of our dinner on my Facebook page). In this way the ongoing integration between reality so to speak and the online environment is particularly evident. The red wall of Berlin is the most striking and perhaps surprising aspect of all this: with its minimal and highly spontaneous degree of interactivity, it seems to herald a new way still very much to be explored of life in a city (from mass tourism to responsible living), a new way of forming and possibly establishing (or not establishing) a community. So if this thesis seems convincing and if we are agreed on the
non-distinction between real and
virtual and the emergence of a new integrated (or increased? See Montanis article After the virtual, a new aesthetic of the real world?, Domus no. 972) reality, we cannot escape a number of crucial issues. What new living processes are taking shape, if the sharing becomes in reality a fenced enclosure and if personalisation means self-referentiality? And if the crack in the wall does not allow us to see beyond, to meet or imagine what is not known, but only to reflect ourselves, our desires and knowledge? A major challenge probably now faces people who design spaces, be they programmers, Web designers or architects: that of imagining ways of enabling this exchange between the Web-environment and the city, in order to produce a fertile, hybrid space which boosts the shared creativity of individuals and a collective interactivity. This would contribute decisively to a renewed community, while avoiding the risk of raising invisible yet once again very dangerous walls.
In questa pagina: la campagna
pubblicitaria Share a Coke (Trink ne Coke mit) ha incontrato un ampio successo di pubblico, puntando sui concetti di condivisione e personalizzazione. Se la lattina invita a condividere la bevanda con le persone identificate dalla sua dicitura, si pu anche richiedere, scrivendo allazienda o partecipando a eventi speciali, una Coca-Cola con una determinata scritta
Photos by Elena Capra
contents thrives essentially on what
Peppino Ortoleva defines as semiplayful or, to put it more trivially but perhaps more effectively, shooting the crap. In other words, the social user rapidly takes possession of the few, simple rules requested by the social network and, with the members of their circle (friends or followers as they may be), activates this toing and froing, right through to the last like (or retweet). So this ludic and viral sharing appears to set up a sort of global and potentially ever-expanding community, whose member/ users gather for the most part around matters of common interest operating transversely to the community itself. It is not surprising that the mechanism or rule of the hashtag, which initially belonged exclusively to the grammar of Twitter, is today widespread among all the major social sharing platforms. By prefixing the famous hashtag to any shared media content (status, photo, video, link), you in fact enter a circle as a member on a par with everybody else. And so the activities of the social Web would appear to substantiate that Californian ideal the germ of technological developments that we are talking about of a widespread democratisation and decisive boost to sharing on a global scale. But are we sure this is really so? Is our community of online affiliation genuinely open and expandable? Closer inspection shows that this sharing, seemingly ever more fluid and rapid, corresponds to a contraction and channelling: of personalisation. The possibility of linking the same account to several devices (Google and Android for example), or even more simply, the principle of relevance and filters, decisively affects the type of information to which we are exposed. From search engines to social networks, we receive the information which in a sense depending on the algorithms we want to receive, i.e. on the basis of our Web behaviour, the friends we follow, the pages we read and the sites we visit most frequently. This does not concern only advertising, but more generally the flow of information and knowledge in which we are immersed by the Web, perhaps in order to avoid being submerged by it. That means, then, that personalised sharing is not confined to the steady expansion that may hit and encounter the unexpected. Instead, it operates as a deeper and deeper vortex, but raises barriers invisible to the majority. The Share a Coke campaign has radically adopted all this. For the first time at least within the sphere of large numbers it is not limited simply to adapting a sales strategy to specific communicational media and dynamics. The Coca-Cola ad
This page: the Share a Coke (Trink
ne Coke mit) advertising campaign has been a great success with the public, by focusing on concepts of sharing and personalisation. The can invites consumers to share the drink with someone of the same name as that printed in place of the logo. But by writing to the company or participating in special events, it is also possible to request a Coca-Cola with the wording of ones choice