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Anno XII - N. 5 Settembre - Ottobre 2004 - 5 euro


Reg. Trib. Cremona n. 355 12.4.2000
Sped. A.P. D.L. 353/2003

(con. in L. 27/02/2004 n46)art. 1 c. 1 DCB-CR

Fuori lItalia
dallIraq

La rivoluzione
del Venezuela

di Valentino Parlato

di Ernesto Cardenal

Ritirare al pi presto le truppe italiane dallIraq. Questa parola dordine, gi punto


essenziale del movimento contro la guerra
ed obiettivo primario e ineludibile per concorrere a liberare il popolo iracheno dal
giogo degli invasori, diviene ora dopo la
vittoria di Bush alle elezioni americane
se possibile ancora pi importante, al fine
di scoraggiare e indebolire la linea guerrafondaia repubblicana confermata dalla
maggioranza dellelettorato statunitense.
Ritirare le truppe, ritirarle subito: oltre il
secondo Bush ci sono mille e una ragione per farlo e sono state dette e ridette: la
Costituzione italiana, il diritto internazionale, le prove che la guerra era immotivata per mancanza di armi di distruzione
di massa e di legami con Al Quaeda. Ci
sono le dichiarazioni di settori dello stesso
governo americano e anche di Berlusconi:
tutti dicono che prima leviamo le mani dal
pasticcio e meglio . Aspettiamo dicono
tutti che ci sia una restaurazione di democrazia (quale che sia) e poi torniamo
tutti a casa. Tutto questo perch lIraq, anzich una conquista, si rivelato una trappola per tutti: gli americani in primis.
Tuttavia c unultima argomentazione,
anche di forze politiche che ci sono amiche e di questo scrive Rossana Rossanda
nel suo editoriale su il Manifesto del 9 ottobre. Scrive Rossanda : i guasti che abbiamo fatto sono cos gravi che non si pu
uscire di scena senza far nulla. Che cosa
accadr tra sciiti e sunniti e soprattutto
con i kurdi una volta che noi occidentali
li abbiamo abbandonati? Obiezione fondata ma alla quale ci pu essere una risposta di buon senso: una volta che gli ira-

Nella citt di Valencia, in Venezuela, mi


hanno raccontato che una volta era arrivato Neruda per fare una lettura delle sue
poesie e che cerano solo trenta persone.
Sono stato l poco tempo fa per un Festival
Mondiale di Poesia (con poeti dei cinque
continenti) e non solo la sala era piena ma
fuori cera altrettanto pubblico che non
voleva andar via, per cui, finita la lettura,
dovemmo ricominciare per il pubblico
che era restato fuori. A Caracas, nel Teatro
Teresa Carreo, capace di duemilacinquecento persone, in occasione di quello
stesso Festival, si dovette istallare allesterno uno schermo gigante per tutti
quelli che erano rimasti in strada. Alcuni
poeti mi hanno raccontato che questa passione per la poesia non era una tradizione
del Venezuela ma che era un frutto della
rivoluzione.
In Venezuela mi ha sorpreso sentire che
tutti parlavano di processo, e molti altri,
pi esplicitamente, di rivoluzione. In
realt si tratta di una rivoluzione in processo. Cosa che allestero non conosciuta. L si fa propaganda solo alla scontentezza dellopposizione.
Allestero non si sa che il Venezuela sta per
concludere una campagna di alfabetizzazione, e che si sta per arrivare ad analfabetismo zero. Adesso si alfabetizza anche
nelle lingue indigene, che sono trentotto;
e ci sono ormai delle pubblicazioni in queste lingue. Adesso non solo lo spagnolo
la lingua ufficiale, ma lo sono anche le lingue indigene. Nel Parlamento ci sono tre
indios, e fino a poco tempo fa unindia era
ministro (dellAmbiente). Il ministro dellEducazione, la Cultura e lo Sport, u n

segue a pag. 2

segue a pag. 3

Iraq

Settembre - Ottobre 2004

segue V. Parlato da pag. 1

cheni non avranno pi un nemico


esterno da utilizzare per le loro lotte
intestine, dovranno pur trovare un
qualche modo per accordarsi; lo
scannamento reciproco diventerebbe non solo pericoloso e dannoso ma difficile da spiegare, come
sono difficili da spiegare le guerre
fratricide.
Ove le truppe di occupazione (e di
una occupazione illegittima) si ritirassero gli iracheni dovrebbero trovare una loro pace. Non avrebbero
pi alibi, n per il terrorismo, n per
le lotte fratricide: dovrebbero pensare alla casa nella quale tutti abitano: sunniti, sciiti, kurdi. Il terrorismo non avrebbe pi una giustificazione patriottica o almeno plausibile. Lasciare lIraq agli iracheni,
che non sono dei minorenni e tanto
meno dei minorati mentali, sarebbe
utile, sarebbe un passo avanti della
verit.
E, in ogni caso, siamo poi cos sicuri
che lo scontro interetnico sia lineludibile destino dei popoli, quando
non siano assistiti da un Occidente capitalistico compassionevole e umanitario? A pensar male diceva qualcuno si fa peccato, ma
spesso si indovina. Chi pu dimenticare che fino a qualche tempo fa
nellEuropa balcanica e dellEst esistevano una decina di stati in tutto
e che oggi, dopo la dissoluzione
della Jugoslavia, ne esistono circa
trenta? Che la maggior parte di essi
sono piccolissime compagini statuali, ridotte al ruolo di protettorati
e del tutto soggette dal punto di vista politico ed economico ai dettami
degli organismi internazionali che
regolano per conto degli stati forti
i rapporti di dipendenza nel quadro
dellattuale gerarchia planetaria?
Analogamente, non va dimenticato
che la tripartizione dellIraq, intesa
come una soluzione praticabile e

funzionale al mantenimento del


controllo di territori ricchi di risorse
petrolifere, precisamente quel
che risulta dai piani dellintelligence statunitense. Gi, perch se
come abbiamo detto tutte le giustificazioni del massacro iracheno
addotte dallestablishment Usa
sono cadute come foglie, ben salda
resta invece la volont di controllare, direttamente o per interposto
protettorato, questa porzione di
Medio Oriente: ben difficilmente le
numerose basi militari a stelle e strisce gi operative in territorio iracheno saranno infatti smantellate e,
anche se dovesse prendere piede
una pax americana, non assisteremo di certo ad una nuova nazionalizzazione del petrolio iracheno.
Limpero resta limpero con le sue
ragioni e le sue logiche; e lItalia resta lunico paese continentale della
vecchia Europa (lInghilterra infatti fuori dal continente) che continua a sostenerlo, dopo la caduta di
Aznar. Non c oggi alcuna ragione
spendibile, alcun arzigogolo argomentativo che possa dare un minimo di senso alla permanenza in
Iraq di truppe del nostro paese:
del tutto evidente che tale permanenza esprime unicamente lacquiescenza del governo di Berlusconi al potente alleato doltre
Atlantico. E per favore - non c
bisogno di essere antiamericani per
recepire una siffatta ovviet.
Dobbiamo dunque spingere al massimo per il ritiro delle nostre truppe, per dire agli americani che anche lamico europeo ha perso o ha
cambiato idea, per far loro sentire
di esser rimasti soli e che la politica
dellimpero deve cambiare.
Dozzine di sondaggi fatti in Europa
durante la campagna elettorale
americana hanno svelato che se gli
europei avessero dovuto scegliere

tra Bush e Kerry circa il 70% avrebbe scelto il candidato democratico.


La seconda elezione di Bush potrebbe ulteriormente acuire le contraddizioni tra Usa ed Unione europea, poli economico - politici dai
diversi e spesso contrapposti interessi, nel mondo e in Medio Oriente: anche su queste contraddizioni
che dovrebbe agire il movimento
per la pace, ed chiedendo il ritiro
delle truppe americane e straniere
dallIraq che tali contraddizioni si
possono acuire, nellobiettivo della
fine dellinvasione e della guerra.
Come si vede, la pressione per il ritiro delle truppe italiane non solo
una questione di affari interni, ma
una scelta che pu pesare sullassetto complessivo del mondo.
Quando Bush si trovato in difficolt, egli si speso lamicizia con
Berlusconi ed arrivato a mettere i
morti italiani di Nassiriya nei suoi
spot elettorali per spiegare che la
guerra non lha fatta da solo.
Ma proprio per questo il tema molto importante per le cose di casa nostra, per la fisionomia che vuole
avere la nostra opposizione e, pi
precisamente, lalleanza democratica di Romano Prodi.
Questo delle truppe italiane in Iraq
punto decisivo della opposizione
a Berlusconi. Non basta essere per
la patrimoniale, per il salario di cittadinanza, per lintervento pubblico nelleconomia, per la difesa del
Welfare, per la cancellazione della
legge 30 e quantaltro, se non si dice
in modo netto e inequivocabile che
il primo atto della nuova, sperabile,
maggioranza di sinistra sar quello
di decidere il ritiro delle nostre
truppe da Nassirya. Zapatero qualcosa dovrebbe avercela insegnata.
Quella della partecipazione dellIta
lia alla guerra americana una questione dirimente.

Settembre - Ottobre 2004

Venezuela

segue E. Cardenal da pag. 1

nero, mentre il vice ministro della


Cultura, che quello che ha dato vita
al Festival Mondiale di Poesia, mi ha
raccontato che erano stati pubblicati, per essere distribuiti gratis in
tutto il Venezuela, venticinque milioni di esemplari di libri di diversi titoli. E mi ha anche detto che stavano
creando una catena di librerie sparse
in tutto il Paese, nonch una distributrice di libri e una casa editrice
dello Stato, di libri politici, perch la
gente era affamata di libri rivoluzionari e trovavano quasi esclusivamente libri di destra. (Un esempio
di che cos la destra: limportante
quotidiano El Nacional, il giorno dellinaugurazione del nostro Festival di
Poesia, non ha pubblicato una sola
riga sullargomento).
Listruzione ha coinvolto milioni di
persone che ne erano state escluse.
I programmi di educazione cominciano con i bambini di un anno. Le
scuole bolivariane, nelle quali non
si paga nulla, sono per quei bambini
che prima non potevano pagare liscrizione scolastica. Sono scuole di
educazione integrale, con pranzo e
merenda, con cultura e sport oltre
allistruzione di base; e non sono
pi delle scuole separate dalla comunit come prima ma sono esse
stesse un centro nel quale si effettuano compiti comunali. LUniversit bolivariana, anchessa gratuita,
per tutti coloro che prima non potevano pagarsi lUniversit. E vi anche un gruppo numeroso di studenti a Cuba, molto ben selezionati,
a cui proibito essere iscritti a partiti politici, che si stanno preparando a ricoprire in futuro compiti
di governo. E unaltra cosa che ho
scoperto in Venezuela che il presidente Chvez ha rinunciato al suo
stipendio e lo ha destinato a farne
borse di studio.
Nella citt di Mrida, un giovane
poeta mi ha detto che perfino le manifestazioni politiche erano educative e che anche lui, un intellettuale,
aveva imparato molto perch si trattava di vere e proprie manifestazioni
culturali, con poesia, musica, canti
e danze.
La rivoluzione dappertutto e nei

quartieri, nei paesi, nei villaggi si


sono formati dei centri comunitari
con accesso a internet gratis per
tutti gli abitanti, con biblioteche e
spazi per la danza e il teatro. Stanno
edificando stadi e complessi sportivi, stanno costruendo migliaia di
case per la gente, e grandi edifici
con appartamenti economici.
Vengono consegnati titoli di propriet della terra, con macchinari,
crediti e aiuto tecnico. La Misin
Barrio Adentro serve a prestare servizio medico alla popolazione che
ne era priva, comprese le trib indigene. La maggior parte dei medici sono cubani, dato che pochi
medici venezuelani hanno voglia di
andare fin l. E per di pi ogni settimana c un aereo che va a Cuba
a prendere e portare malati.
Ci sono quarantamila soldati impegnati a prendersi cura della salute
della popolazione. Altri scavano
strade, costruiscono case, organizzano cooperative o aiutano gli indios nella coltivazione della terra. I
poveri montano con le loro galline
sugli elicotteri e gli aeroplani dell
Esercito, e la Marina si preoccupa
delle necessit delle cooperative di
pesca. La cosa pi importante la
solidariet fra civili e soldati, uniti
in una stessa rivoluzione.
Il coinvolgimento dei militari nella
rivoluzione davvero grande; e pochi giorni prima del mio arrivo, tre
generali avevano dato le dimissioni
per potersi candidare alla carica di
governatore, perch preferivano
guidare le masse alla carriera delle
armi.
Non una rivoluzione improvvisata
dal presidente Chvez. C un libro/intervista di quindici ore fatta
da Marta Harnecker, in cui racconta
che questa rivoluzione lha maturata, insieme ad altri amici, fin da
quando entrato nellEsercito, anche se il suo sogno era quello di giocare a baseball. originario di un
piccolo paese del Venezuela ed era
un ragazzino scalzo che vendeva
dolci per strada. Racconta che fin da
quando entrato, a diciassette anni,
nellAccademia Militare, leggeva
avidamente tutto quello che tro-

SOMMARIO
La centralit del programma

G. Pegolo

Guerra e terrorismo

14

M. Dinucci

Limperialismo e i suoi oppositori

20

S. Cararo

La NATO: un ordine di guerra

24

M. Cao

Sulla Resistenza irachena

29

L. Menapace

Appunti per un conflitto europeo

34

L. Cavallaro

Declino Fiat

37

B. Casati

Mezzogiorno di fuoco

40

R. Tassone

Non potevamo non combattere

44

S. Ricaldone - G. Pesce
N. Brambilla - S. Vecchio Vaia

Beirut 2004: movimenti antimperialisti

46

W. Bello

P a rtito Comunista Portoghese:


17 Congresso

51

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

56

D. Losurdo - F. Nappo - P.M. Campos

I comunisti e la storia del 900

70

A. Catone

Enzo Santarelli:
la storia e la rivoluzione

74

M. Papini

Imperialismo e resistenza dei popoli

80

Intervista a Enzo Santarelli, di I. De Cerbo

La forza delle parole

84

G. Livio - A. Petrini

Musica e rivoluzione

89

G. Lucini

Recensioni
Il potere, la violenza, la resistenza
S. Chiarini

92

Venezuela

Registr. del Tribunale di Cremona


n. 355 del 12/04/2000
Bimestrale
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in A. P.
D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n46)
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Hanno collaborato:
Walden Bello, Nori Brambilla, Mariella Cao,
Pedro Marcel Campos, Sergio Cararo, Ernesto
C a rdenal, Bruno Casati, Andrea Catone, Ivan
Di Cerbo, Stefano Chiarini, Domenico Losurd o ,
Luigi Cavallaro, Manlio Dinucci, Franco Nappo,
Gigi Livio, Gianni Lucini, Lidia Menapace,
Massimo Papini, Valentino Parlato, Gianluigi
Pegolo, Giovanni Pesce, Armando Petrini,
S e rgio Ricaldone, Rocco Tassone, Stellina
Vecchio Vaia
Per la realizzazione di questo numero non stato richiesto alcun
compenso. Si ringraziano pertanto tutti gli autori e collaboratori.

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8 novembre 2004
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4

vava. Quando studiava Scienze


Politiche, si entusiasmato per
Mao, un entusiasmo che dura ancora, e da allora non ha dimenticato
quel che diceva Mao, e cio che il
popolo per lesercito quello che
lacqua per il pesce. Da allora
convinto che esercito e popolo debbano essere uniti. Ha ammirato lesperienza a Panama di Torrijos e la
rivoluzione peruviana di Velasco
Alvarado. Non marxista, afferma,
ma neanche antimarxista. Crede
che per il Venezuela ci sar una diversa soluzione. Certamente anticapitalista e profondamente antimperialista. Insiste sul fatto che
stanno facendo una rivoluzione democratica e pacifica. Ma non disarmata, perch oltre allappoggio
della popolazione, che dell80%,
gode di quello delle forze armate
che, anche se non totale dice
quasi totale. Oltre a queste due
armi, il popolo e lesercito, hanno
unaltra arma, un po strana, ed la
Costituzione Bolivariana. Che non
una costituzione qualunque, come quelle dei nostri Paesi, perch vi
sono contenute le trasformazioni
per una grande rivoluzione; e poich stata approvata mediante un
referendum di tutto il popolo, potr essere modificata solo attraverso
un referendum. Con questa costituzione afferma stiamo facendo
una trasformazione giuridico-politica; quella economica si far con
pi calma. Si tratta dice Marta Harnecker di un processo sui generis
che rompe gli schemi precostituiti
dei processi rivoluzionari.
La Costituzione Bolivariana, che
non stata approvata da un Congresso, ma da milioni di persone,
sancisce i diritti dei lavoratori, dei
bambini, la proibizione di privatizzare il petrolio, lobbligo dello Stato
di eliminare il latifondismo, di appoggiare i pescatori artigianali e di
eleggere i sindacati dalla base, i diritti dei popoli indigeni, il diritto allinformazione veritiera. La Costituzione stata pubblicata in diversi
formati, e in un formato piccino,
quasi una miniatura, stata distribuita gratis a tutti, e tutti se la por-

Settembre - Ottobre 2004

tano appresso e si pu dire che non


c venezuelano che non labbia
letta. il programma della rivoluzione. Ci sono esperti popolari in
Costituzione nelle strade e nei parchi pubblici; e anche la destra si appella sempre alla Costituzione.
Quando hanno fatto il colpo di stato
a Chvez imponendo un governo
che durato appena trentasette ore,
la prima cosa che hanno fatto stata
abolire la Costituzione. E quando il
popolo sceso in piazza in tutto il
Venezuela circondando le caserme
e liberando Chvez dalla sua prigione, tutti sbandieravano quel libriccino.
Si pensa che con Chvez il Venezuela diviso in due parti uguali, ma
non cos. La divisione di un 80%
(i poveri) e un 20% (i privilegiati),
anche se in alcuni casi, come quello
delle comunicazioni, quel 20% pesa pi dellaltro 80%.
I due grandi partiti tradizionali,
quello della democrazia cristiana e
quello della socialdemocrazia, sono
cadaveri. I partiti minori contano
anche meno e sono frammentati.
Chvez ha creato un suo partito,
quello della Quinta Repubblica, che
a quanto mi dicono molto eterogeneo, composto da ex militanti
degli altri partiti, anche del partito
comunista, e da molti che non avevano mai militato in un partito.
Il termine bolivariano che Chvez
usa continuamente non una parola vuota ma lessenza stessa della
rivoluzione. Si riferisce continuamente ai cinquecento anni, bisogna cambiare quello che accaduto
durante quei cinquecento anni.
Insomma, completare quanto aveva
iniziato Bolvar. Compresa lunificazione dellAmerica Latina in una
federazione. Dice pure di trovarsi in
una battaglia che definir i prossimi
duecento anni. Fidel, a Cuba, gli ha
detto che quello che lui chiama bolivariano, loro lo chiamano socialismo, ma che non aveva niente in
contrario se invece lo chiamavano
bolivariano, e neanche se lo chiamavano cristiano.
Chvez ha contro tutti i mezzi di comunicazione privati, e pure quelli

Settembre - Ottobre 2004

stranieri. Lopposizione, poi, ricorre al terrorismo. Le loro manifestazioni politiche sono vandalismi.
Mi hanno raccontato che a Valencia
ad alcuni studenti tornati da Cuba
hanno strappato in strada le loro valige, il denaro e tutte le loro cose.
Pi di ottanta leaders contadini
sono stati assassinati. Uno psichiatra mi ha raccontato di dover assistere numerosi pazienti colpiti dalle
campagne di terrore della destra.
I giornali si vendono sempre meno
a causa dei loro attacchi a Chvez e
conseguentemente sono diminuiti
gli annunci pubblicitari. Loro stessi
lo riconoscono. Alla fine della giornata si vedono per strada molti pacchi di El Nacional o El Universal ancora imballati, pronti per essere restituiti. La gente si chiede chi paga
le perdite di questi giornali. E chi
paga i canali televisivi che dedicano
il loro tempo prezioso non alle notizie o alla pubblicit ma agli attacchi politici?
Chvez un bersaglio continuo
delle caricature di questi media,
con un razzismo nuovo per il Venezuela. Lo prendono in giro per il
suo aspetto e per il colore della pelle. Siccome ci sono alcuni suoi fedelissimi che lo chiamano M i
C o m a n d a n t e, la destra lo chiama
Mico Mandante (Scimmia che d ordini): perch meticcio o mulatto
o forse per entrambe le cose, e per
il colore della sua pelle piuttosto ramata. La campagna della destra
apertamente contro il popolo, e mi
hanno raccontato di un presentatore televisivo che parla dei poveri
chiamandoli brutti, sdentati e negri violenti. E poi i media stanno
facendo appelli allinsurrezione. La
mancanza di rispetto non ha limiti;
il presidente di un partito ha gridato
a Chvez in televisione: El coo de
tu madre! [espressione molto volgare]. In che Paese si insulta cos un
capo di Stato? Credo di non aver
mai conosciuto un Paese in cui ci sia
una simile rilassatezza nelle comunicazioni, scrive Marta Harnecker.
Eppure non stato chiuso nessun
giornale o canale televisivo o radiofonico. E non ci sono neppure pri-

Venezuela

gionieri politici.
A Mrida ci hanno ospitato dove va
anche Chvez, e mi hanno raccontato che quando arriva molta gente,
ma soprattutto gli studenti, vegliano tutta la notte nella speranza
di poterlo vedere un momento e discutere con lui, che in genere viene
fuori allalba, li saluta e conversa
con loro.
Chvez viene accusato di populismo, ma io non credo che sia vero
e credo che sia autenticamente rivoluzionario, con il suo aspetto da
popolano. Il suo amore per il popolo evidente e pure la sua predilezione per i poveri. Gli danno del
tu, soprattutto i pi umili. Viaggia
incessantemente per il Paese da
anni, da quando si lanciato in politica per la prima volta. andato a
pescare con indios che pescano con
le mani o con una grande pietra e
ha fatto avere loro gli attrezzi di pesca. Cita Bolvar frequentemente, lo
conosce a memoria. Anche se parla
per molte ore di seguito, il popolo
sempre attento e lo interrompe al
momento giusto, con applausi, grida, slogans, esclamazioni o fischi, a
seconda di quello che dice. Assomiglia a Fidel, perch entrambi parlano per molto tempo (catturando
luditorio) ma Fidel piuttosto serio e lui abbastanza scherzoso. A differenza di Fidel, parla molto di Dio
e di Cristo nei suoi discorsi. Cita
molto il Vangelo e a volte sono citazioni false, mettendo in bocca a
Cristo cose che non ha detto mai,
ma con lo stesso spirito delle cose
che ha detto.
Non posso negare di avere incontrato in Venezuela intellettuali onesti, alcuni dei quali sono miei amici,
che si oppongono visceralmente a
Chvez. Ma per me, la sua rivoluzione bolivariana come il ritorno
di Bolvar in Venezuela, da dove lo
aveva cacciato loligarchia. Per me
si sta vivendo unautentica rivoluzione e non solo un leader carismatico: sono milioni i venezuelani
che lo appoggiano. una rivoluzione diversa da tutte le altre come
sono diverse tutte le rivoluzioni.
Forse liniziativa pi popolare di

Chvez il suo programma Al


Presidente della domenica pomeriggio in televisione, dove riceve telefonate da tutto il Venezuela e discute con la gente per cinque, sei,
sette ore. Durante queste ore si
paralizza il Paese. Una scrittrice mi
ha raccontato che suo padre non si
stacca dalla televisione da quando
inizia a quando finisce il programma. Unaltra persona mi ha
raccontato che suo figlio prende appunti con penna e carta come a lezione, e la chiama la sua lezione. La
trasmissione ha luogo ogni domenica da un posto diverso. Durante il
mio viaggio Chvez mi ha invitato
al suo Al Presidente in una citt
vicina a Caracas che durata sei ore.
Cerano grandi tendoni con varie
migliaia di persone, soprattutto
gente umile del posto, soprattutto
ragazzi e ragazze, mischiati a ministri e alti funzionari. Lui era in maniche di camicia davanti ad un tavolo sul quale cera un mappamondo e delle matite. Prendeva
nota di quello che gli chiedevano al
telefono e forniva lunghe risposte
molto dettagliate scherzandoci sopra; anche il pubblico interveniva e
scherzava con lui. Ho capito che si
tratta di un uomo colto, che cita numerosi autori e libri, e che si riferiva
frequentemente alla Costituzione
alzando il libro che anche lui porta
sempre con s. Mi parso un caso
unico nel mondo, quello di un capo
di Stato in discussione franca con il
suo popolo, i presenti e gli assenti,
in un programma dal vivo e della durata di ore.
Insieme a me, assisteva alla trasmissione una poetessa australiana che,
mentre lui faceva una descrizione
del paesaggio che ci circondava e
delle colline dove un tempo Bolivar
aveva il suo accampamento, si
messa a gridare: Tu sei un poeta!
un torrente verbale, pieno di digressioni e di digressioni di digressioni, ma riprende sempre il filo e
ricomincia il discorso da dove lo
aveva lasciato. Anche se parla molto,
sa ascoltare e lascia che lo interrompano. In quella trasmissione
una donna del popolo, che gli aveva

Venezuela

telefonato da un remoto angolo del


Paese, gli toglieva continuamente la
parola: Ma, cuore mio, aspetta; se
non mi fai parlare, lascia che ti spieghi
Rispondeva a queste telefonate con
la matita in mano. Si sbroglia fra le
cifre come Fidel. Dimostra di avere
una grande conoscenza della storia
del Venezuela. Anche della geografia. Nelle sue apparizioni in pubblico fa propaganda per diffondere
la lettura, raccomanda libri e recita.
Quella volta, in mio onore, ha letto
una mia poesia.
Fra i suoi difetti c quello di essere
impulsivo, di agire a volte bruscamente, forse arbitrariamente; essere troppo esigente con i suoi collaboratori, per cui lavorare con lui
difficile, come riconosce lui stesso.
Ma ammette senza difficolt i suoi
errori e i suoi sbagli. Quella volta lo
abbiamo sentito prendersi la colpa
per delle decisioni sbagliate.
La gerarchia cattolica, come sempre, contraria alla rivoluzione. E,
come in Nicaragua, corrotta. Il
presidente della Conferenza Episcopale fra i peggiori. Il cardinale,
ormai defunto, era andato a trovare
Chvez quando era stato arrestato
dai golpisti per indurlo a dimettersi.
A Caracas c un edificio bianco
molto grande e bello che la sede
centrale di Petroleos de Venezuela.
L la ricchezza petrolifera veniva
amministrata autonoma mente
senza che lo Stavo vi potesse mettere
bocca, e quella ricchezza veniva rubata. Solo adesso, grazie alla nuova
Costituzione, il Governo pu esercitare il controllo sullimpresa.
Chvez ha licenziato migliaia di persone corrotte e ha cacciato tutti
quelli che stavano in quelledificio
bianco, facendo di quelledificio
una sede dellUniversit Bolivariana, luniversit dei p overi.
Adesso ci studiano migliaia di studenti poveri, in splendidi uffici con
soffici tappeti, bagni di lusso e poltrone di cuoio. (Chvez, in un
primo tempo, aveva pensato di dare
il Palazzo Presidenziale di Miraflores, sostenendo che lui poteva arrangiarsi in qualunque posto).

Tempo prima la rivoluzione ha dovuto affrontare uno sciopero del petrolio che per due mesi ha paralizzato il Paese. Hanno sabotato i
pozzi, le raffinerie e gli oleodotti,
hanno chiuso i distributori di benzina, sabotato le navi, bloccato i
porti. Non cera benzina per le auto
n gas per le cucine e in molte parti
del Paese hanno dovuto cucinare
con la legna. Nello stesso tempo
sono stati chiusi supermercati, altri
grandi centri commerciali, fabbriche e catene di distribuzione alimentare. Il Governo ha dovuto importare petrolio a prezzi internazionali, nonch enormi quantit di
alimenti: carne dal Brasile, latte
dalla Colombia, riso e granturco
dalla Repubblica Domenicana. Il
Governo ha organizzato in tutto il
Paese dei supermercati popolari, in
cui la popolazione ha potuto comprare a prezzi pi bassi, prezzi che
sono rimasti da allora. Le feste di
Natale sono passate con questa
mancanza di tutto, ma il popolo non
si arreso. Una spagnola che era l
in quei giorni ed tornata adesso,
mi ha raccontato che la gente sopportava con ogni tipo di trovata e
con spirito. Le code erano enormi
per qualunque cosa, ma in quelle
code non cera amarezza e nessuno
dava la colpa a Chvez.
Proprio la domenica in cui sono
stato invitato ad assistere a Al
Presidente, tutti noi poeti del
Festival siamo stati invitati a cena nel
Palazzo Presidenziale di Miraflores.
Anche se veniva dalle sei ore di programma, prima di cena Chvez ha
avuto con noi una conversazione di
due ore. Ci ha raccontato che il salone in cui ci trovavamo era quello
in cui si erano riuniti i golpisti e in
cui il Presidente della Confindustria
aveva fatto il suo autogiuramento di
incarnare lunico potere, abolendo
il Parlamento, il Tribunale di Giustizia e il Tribunale Elettorale, mentre tutti inneggiavano alla democrazia. Degli irlandesi che stavano filmando nel palazzo quando avvenuto il golpe, avevano ripreso quella
scena, e Chvez ci ha dato delle copie di quelle riprese. Si trattato del

Settembre - Ottobre 2004

golpe militare pi breve del mondo


visto che i poveri circondarono
Miraflores, e che in tutto il Paese il
popolo sceso in piazza, i contadini
hanno invaso le strade, gli studenti
hanno occupato le universit e gli
operai le fabbriche, e gli indios sono
usciti dalla selva. Quando Chvez fu
liberato dallisola in cui lo tenevano
prigioniero, il capo golpista era ormai agli arresti.
La revolucin bonita, cos Chvez
chiama la rivoluzione del Ve n ezuela.
A cena mi capit di trovarmi seduto accanto al Presidente. Mentre cenavamo gli si avvicinato qualcuno
per informarlo di un tentativo di
privatizzare le acque del Venezuela
(laghi, lagune, fiumi, compreso
lOrinoco), ma lui mi ha detto che
essendo anticostituzionale, non se
ne sarebbe fatto niente, che quella
sera stessa avrebbe chiamato il presidente de Parlamento, anche se era
gi quasi mezzanotte. Quando si
ritirato, e noi stavamo per seguirlo,
un commesso del palazzo mi ha
detto:Non va a dormire, lui va a
letto molto tardi. Gli ho chiesto a
che ora si alzava e mi ha detto:
Molto presto.
Prima di andarsene, Chvez mi
aveva chiesto la benedizione. Ho
cercato di evitarlo, come faccio in
genere, dicendogli che era gi benedetto. Ma lui insisteva e mi parso
che me lo chiedesse molto seriamente, che per lui era importante.
Ho benedetto solennemente lui e il
suo popolo, e lui la ha ricevuta con
emozione.
Al ritorno in Nicaragua, solo scorrendo alcuni titoli dei giornali ho
preso coscienza dellabisso che separa i nostri due Paesi.
Trad. di Alessandra Riccio

Ringraziamo Ernesto Cardenal per


aver concesso a lernesto la pubblicazione di questo articolo

Settembre - Ottobre 2004

Editoriale

L alternativa non pu nascere


che dalle lotte sociali
e dallassunzione
di obiettivi chiari:
NO alla guerra,
SI ai diritti dei lavoratori

La necessit
di battere Berlusconi
e la centralit
del programma

di Gianluigi Pegolo

LA COMPLESSITA DELLA FASE E LE DIFFICOLT DELLA COSTRUZIONE DI UNA


ALTERNATIVA DI GOVERNO

ifondazione si accinge ad affrontare


il suo sesto congresso. E tuttavia,
ben pi che in quello precedente,
la contrapposizione di punti di vista
diversi appare ad un osservatore
esterno poco chiara. Devo anche
aggiungere che questo senso di indeterminatezza non tanto ravvisabile nelle posizioni assunte da
quanti esprimono a vario titolo
delle critiche alla linea espressa dal
segretario, quanto proprio in quelle
che vorrebbero essere di sostegno a
tale linea. Non vi in questa constatazione alcuna volont polemica,
quanto semmai la constatata necessit che il dibattito in Rifondazione
comunista avvenga veramente
senza infingimenti e nella massima
chiarezza. Quando pongo laccento
sul carattere confuso delle posizioni
espresse dalla "maggioranza della
maggioranza" mi riferisco ad alcuni
paradossi. Il primo che fra quanto
scritto nelle 15 tesi del segretario e
la pratica concreta fatta di dichiarazioni, prese di posizioni, atti politici - anche impegnativi - non esiste
una connessione cos lineare. Il che
fa sorgere il dubbio circa quale sia
effettivamente la linea sulla quale il
partito sar chiamato ad agire e impedisce, di fronte alluso di termini
e concetti di carattere evocativo, di
cogliere la concretezza della proposta in tutti i suoi risvolti. Il secondo paradosso che molto spesso

i sostenitori di tali posizioni (per


esempio quando intervengono nel
dibattito apertosi su Liberazione) si
avvalgono di argomentazioni che
eludono i temi in discussione, rifugiandosi in riflessioni metapolitiche
molto distanti dalla sostanza del
contendere che alla fin fine la
partita delle alleanze politiche e del
governo oppure utilizzano artifizi
retorici che si rivelano poco pertinenti e del tutto non scontati. Del
tipo: Dato che abbiamo avuto un
buon risultato elettorale alle europee, ci significa che la linea maggioritaria era giusta e quindi - a maggior ragione - deve essere giusta la
proposta ora formulata. O, ancora,
per rimuovere gli elementi di rischio presenti nella scelta che sintende assumere, gli stessi fanno riferimento a qualche fattore esogeno che sar decisivo nel produrre un esito soddisfacente. Per
esempio: La sfida di governo impegnativa, noi non crediamo nel governo come elemento di valore e
in ogni caso il movimento in
quanto tale che, attraverso la sua iniziativa, sar risolutivo. Il che, fra parentesi, suggerisce una domanda
tanto banale, quanto ovvia: ma allora perch s attribuisce una cos
grande centralit allalleanza col
centro sinistra al punto da prefigurare un pieno coinvolgimento nello
stesso governo?

FONDAMENTI DELLA LINEA


C O N G R E S S U A L E P R O P O S TA
DA

B E RT I N O T T I

Occorre allora fare un po di chiarezza, anche a rischio di introdurre


eccessive semplificazioni. A me pare
che la linea proposta da Bertinotti,
liberata da accorgimenti tattici o da
suggestioni prive di un solido ancoraggio pratico, sia traducibile in
unidea fondamentale e, vale a dire,
che: data la necessit oggettiva di
battere il governo Berlusconi, e poich ci implica fare i conti con la
costruzione di unalleanza alle politiche, tanto vale assumersi direttamente la responsabilit di una propria partecipazione diretta al governo, essendo non pi proponibile
il ricorso al meccanismo della desistenza. Questassioma si reggerebbe su alcuni presupposti (almeno per come si potuto dedurre
da una serie di dichiarazioni rese in
diverse circostanze e riportate dalla
stampa).
1) In primo luogo, i partners di governo non sarebbero pi uguali a
quelli incontrati nella precedente
esperienza poich non solo vi sarebbe una maturazione pi complessiva dellex Ulivo, ma soprattutto, perch tale alleanza non esisterebbe pi essendosi scomposta
in due anime: una moderata e una

Editoriale

radicale; i soggetti cui rifondazione


comunista dovrebbe fare riferimento sarebbero quindi diversi e diverrebbe pi agevole stabilire con
loro unintesa.
2) In secondo luogo, la presenza di
movimenti nella societ manterrebbe anche se, con qualche difficolt in pi rispetto a prima, una vivacit e una capacit di mobilitazione sufficienti a sorreggere lesperienza di governo di Rifondazione comunista, attraverso una
pressione di massa capace di incidere sugli equilibri della coalizione.

Non mi convince e giudico


molto pericolosa
la sottovalutazione,
da parte delle forze
del centro sinistra,
della importanza dei programmi

3) Infine, in questo quadro sarebbe


possibile dar vita ad una sinistra di
alternativa che, pare di capire, costituirebbe la seconda gamba di uno
schieramento democratico e progressista, costituita da soggetti sociali e politici capaci di controbilanciare - da sinistra - il peso della
componente riformista dellalleanza, avanzando contenuti e assumendo pratiche pi radicali. Essa
apparirebbe (almeno fino ad ora)
come una formazione in progress
che accompagnerebbe la costituzione e liniziativa della Grande coalizione democratica.
Non so se in questa ricostruzione
tutti possano riconoscersi, ma credo
che attenersi ad elementi del dibattito oggettivamente dimostrabili, sia

un buon metodo per evitare astrattezze e ideologismi. Nello scorso numero de lernesto Alberto Burgio e
Claudio Grassi hanno chiarito in
modo efficace il punto di vista dei
compagni de LErnesto sulla proposta del segretario. Mi difficile introdurre nuovi elementi in uno
schema di pensiero che condivido:
credo invece che possa essere utile
un approfondimento su taluni
aspetti, da cui discende il ragionamento espresso in quel saggio.

LA N E C E S S I TA D I B AT T E R E
B E R L U S C O N I E L A S S O L U TA
C E N T R A L I TA D E L P R O G R A M M A
E vorrei iniziare, per lappunto, da
unassunzione generale, rispetto
alla quale non vi sono divergenze e
che, tuttavia, si presta ad alcune riflessioni. Si tratta dellinderogabile
necessit di battere il governo
Berlusconi e perci di dar vita ad
una qualche forma di alleanza con
le forze dellUlivo. Sulle malefatte
del governo Berlusconi non vi
molto da aggiungere: sono sotto gli
occhi di tutti. Non solo sta utilizzando larmamentario classico della
destra liberista (compressione dei
salari, precarizzazione del lavoro, riduzione delle protezioni in termini
di sistema contributivo, riforma fiscale a beneficio delle fasce a reddito pi alto, smantellamento del
welfare, accentuazione delle politiche di privatizzazione, lesione dei
diritti del mondo del lavoro e della
cittadinanza in genere, a partire dai
migranti), ma - e questo il tratto
peculiare di questalleanza - ha prodotto una legislazione ad personam
costruita per tutelare il leader e i
suoi collaboratori, finendo con il
minacciare lautonomia della magistratura e ledendo principi essenziali nel campo delleguaglianza dei
cittadini di fronte alla legge. In aggiunta, ha avviato una riforma delle
istituzioni plasmandola sulle necessit della propria coalizione e cio
quelle di perpetuare il regime di
controllo dellinformazione e di
consolidare loccupazione del si-

Settembre - Ottobre 2004

stema politico istituzionale.


Laspetto pi inquietante , in questo contesto, la riforma della seconda parte della Costituzione, i cui
elementi pi pericolosi sono costituiti dallintroduzione di un presidenzialismo senza contrappesi (il
famoso premierato) e lautonomizzazione delle regioni in materia di
gestione di importanti servizi sociali
(laltrettanto famosa devolution).
Queste scelte hanno ormai reso del
tutto evidente la pericolosit di una
coalizione che rischia di approdare
a soluzioni istituzionali antidemocratiche. Per questo essa va rapidamente rimossa. La consapevolezza
ormai diffusa a livello di massa e per
questo cos ampia la domanda di
unit alle forze di opposizione. Il
punto, tuttavia, che questa esperienza di governo delle destre ha
fatto anche crescere una domanda
di alternativit delle politiche che
spesso viene sottovalutata. Per questo non mi convince e giudico molto
pericolosa la sottovalutazione, da
parte delle forze del centro sinistra,
della importanza dei programmi.
Penso alle esternazioni moderate di
Rutelli (sulla non modificabilit
della legge sulle pensioni o sullinopportunit del rinnovo della richiesta di ritiro del contingente italiano in Iraq), ma anche allo scarso
interesse rispetto alla necessit di
dare segnali forti e di discontinuit
nelle politiche. Il nodo dei programmi resta dunque centrale in
questa fase. Su questo punto vi
unevidente debolezza della linea
adottata dalla "maggioranza della
maggioranza" che, mentre da un
lato non fa che proclamare laspirazione ad unalternativa di societ, dallaltro, preferisce dare segnali di disponibilit alle componenti moderate del centro sinistra,
lanciando messaggi per rassicurare
gli interlocutori (come nel caso
della disponibilit dimostrata verso
lutilizzo delle primarie, delle dichiarazioni assai concilianti in tema
di riforma del sistema previdenziale, dellincontro a Palazzo Chigi
per la liberazione delle due volontarie italiane), e lasciando in se-

Settembre - Ottobre 2004

condo piano il tema del confronto


programmatico che, di fatto, stato
posposto allentrata nella Grande
coalizione democratica. Non solo,
ma prevedendo la propria partecipazione diretta al governo, si finisce
con il dare la sensazione a livello di
massa che laccordo sia bello e fatto,
anche se ci del tutto privo di riscontri obiettivi (il confronto, infatti, non stato ancora avviato). I
rischi sono del tutto evidenti.
Rifondazione comunista in caso di
vittoria della coalizione con il centro-sinistra si troverebbe, allindomani, di fronte ad un problema spinosissimo che consisterebbe nella
continua riproposizione del dilemma se accettare o no scelte non
condivise, subendo le pressioni incrociate, da un lato, di chi vuole in
ogni caso impedire il ritorno di
Berlusconi e di chi, dallaltro, non
accetta di rinunciare ad alcune opzioni considerate essenziali per la
salvaguardia del ruolo e dellimmagine del partito.

LE

D I F F I C O LT L E G AT E

A G L I O R I E N TA M E N T I
D E L L E C O M P O N E N T I M O D E R AT E
DEL CENTRO-SINISTRA
E A L L O S TAT O D E I M O V I M E N T I

Perch questa sottovalutazione del


problema da parte della maggioranza della maggioranza di
Rifondazione comunista? Per lappunto per lassunzione dei due
primi postulati cui si faceva riferimento in precedenza e cio il giudizio sui partners di governo e sulle
forze sociali. Senza voler fare dei
processi alle intenzioni, si ha la sensazione che trovandosi di fronte ad
una decisione ormai assunta, si cerchi di dare una qualche giustificazione ex post. Ma i postulati enunciati sono in s validi? A me pare di
no. Consideriamo in primis lorientamento della maggioranza moderata della coalizione. Vi a tale proposito, una sostanziale continuit,
non solo per ci che riguarda alcune impostazioni programmatiche (anche se vi sono stati ovvia-

Editoriale

mente alcuni cambiamenti, data la


novit della situazione), ma anche
per quanto riguarda limpostazione
politica che ne la necessaria premessa. In poche parole, si sposa
quella che recentemente Sartori sul
Corriere della Sera, ha individuato
come dottrina principe nei sistemi
bipolari e, cio, lessenzialit della
competizione al centro al fine di
conseguire la vittoria sullaltro
schieramento. La ricorrente pulsione neocentrista parte da l, cos
come la disponibilit dei DS a convergere con la Margherita in una
nuova formazione, anche a costo di
aprire lacerazioni al proprio interno. Sono sotto gli occhi di tutti:
la grande attenzione rivolta alle
nuove posizioni espresse dalla
Confindustria, il ritorno ad unispirazione neo atlantica, il riemergere
di uno spirito bipartisan nei rapporti col governo. Questa impostazione sbagliata, bench sia sostenuta da potenti mezzi di informazione. Quella che Sartori, nel citato
articolo liquida, infatti, come "dottrinuccia" (e cio la tesi secondo cui
nel nostro sistema istituzionale la
partita si gioca, allopposto, nella capacit di mobilitare i propri elettori
e quindi nel recupero di identit
forti) a me pare sia assai pi feconda
per linterpretazione dei fatti di
questi ultimi anni, in cui non solo si
potuto verificare come gli spostamenti da uno schieramento allaltro siano stati minimi, ma anche
come il peso dellastensionismo si
sia rivelato decisivo nello spiegare i
successi del centro sinistra. Dal centro sinistra quindi non vi molto da
aspettarsi. Sul fronte dei soggetti sociali le cose non stanno molto meglio. Quello cui stiamo assistendo ,
infatti, una fase di difficolt del movimento no global, anche sul terreno decisivo dellimpegno contro
la guerra in Iraq, e lindebolirsi del
potere contrattuale delle organizzazioni sindacali. Non a caso, la delocalizzazione funge ormai da potentissimo ricatto sul mondo del lavoro, al punto da costringere potenti organizzazioni sindacali europee ad accettare accordi che preve-

dono lallungamento dellorario a


parit di salario. N esperienze recenti, come laccordo siglato per
lAlitalia, lasciano ben sperare.Ma
vanno considerate, in prospettiva,
anche altri elementi. Abbiamo apprezzato il valore della mobilitazione della CGIL, e in particolare
della FIOM, per la riscoperta di
unautonomia contrattuale che per
anni era stata assente. Cos come apprezziamo ancora le proposte sul
piano programmatico che ambedue le organizzazioni hanno avanzato e che giudichiamo largamente
condivisibili. Non si pu negare, tuttavia, che un rischio pesa sulla CGIL
e cio quello della possibile rinascita di tentazioni di collaterali-

Un rischio pesa sulla CGIL


e cio quello della possibile
rinascita di tentazioni
di collateralismo col governo,
nel caso in cui vincesse
il centro-sinistra

smo col governo, nel caso in cui


vincesse il centro sinistra. Le condizioni a tale riguardo sono certamente migliori che nel passato, ma
non vanno comunque sottovalutati
i rischi. Anche perch da ci dipende in larga misura il futuro della
pi avanzata esperienza categoriale
quella della FIOM che non potrebbe reggere in eterno in una crescente condizione di isolamento.

LE

D I F F I C O LT S U L P I A N O

ECONOMICO E SOCIALE

Queste considerazioni ci inducono


a ritenere che il confronto per la formazione di una coalizione con le altre forze del centro sinistra non potr prescindere, da un lato, dalla va-

Editoriale

lutazione di merito dei programmi


e che, dallaltro, sarebbe illusorio
confidare nel sostegno automatico
delle altre forze politiche o nella
spontanea dinamica dei movimenti.. Ci implica che, capovolgendo lapproccio fino ad ora seguito da Bertinotti, laccordo dovrebbe essere il risultato di un progetto politico e non dovrebbe, invece essere considerato acquisito a
priori. Vorrei osservare che le difficolt nel conseguire tale obiettivo
stanno non solo nei limiti sopra indicati, attinenti ai soggetti politici e
sociali, ma anche in alcuni vincoli
presenti sul piano economico e sociale. Esistono, infatti, condizionamenti internazionali (in particolare

Ha ragione Bertinotti quando


sostiene che la riproposizione
sic et sempliciter
di un accordo di desistenza
non ha oggi molto senso
ma ha torto quando vi contrappone,
a priori, la scelta di unalleanza
organica di governo

quelli legati ai trattati di Maastricht)


che se non sono rimossi rendono
molto difficile determinare un rilancio dello sviluppo e assumere un
orientamento diverso da quello
neoliberista.. In secondo luogo, resta una situazione economica e finanziaria molto difficile, per lentit macroscopica del debito pubblico, e per la tendenza allemarginazione produttiva del nostro paese
sul piano della divisione internazionale del lavoro. Inoltre, vi una situazione inquietante dal punto di vista sociale. Si pensi ai risultati dello
studio ISTAT sulla crescita della povert nel paese, ma anche alla condizione ormai insostenibile sul

10

piano salariale di larghe fasce di lavoro dipendente, alle condizioni


inaccettabili in cui versa il
Mezzogiorno, al problema gigantesco dellestensione della precariet
nel mondo del lavoro, alla riduzione del welfare per la compressione della spesa pubblica, al peggioramento della condizione dei
giovani per effetto di una nuova riforma delle pensioni. E tutto ci
mentre, allopposto, vi una redistribuzione alla rovescia del reddito
che premia le fasce pi agiate (attraverso la politica dei condoni, i
provvedimenti sul rientro dei capitali illecitamente portati allestero,
le misure assunte in tema di successioni, e soprattutto la riforma fiscale
e la lesione sistematica dei diritti del
mondo del lavoro). Senza contare il
versante giuridico istituzionale sul
quale sono stati compiuti dei veri
scempi (dalle leggi ad personam, allattacco alla magistratura, alla manomissione della seconda parte
della Costituzione).

LA

MEDIAZIONE NECESSARIA

E I LIMITI DI UNA SOLUZIONE


PURAMENTE TECNICA

Sinteticamente, mi pare che le questioni dirimenti siano: lindividuazione del senso di un confronto
programmatico, i termini di tale
confronto e le loro ricadute, il ruolo
della mobilitazione sociale nel quadro di una decisa battaglia di opposizione, la realizzazione di una sinistra di alternativa come motore di
processo di svolta, la salvaguardia
dellautonomia del partito.
La prima questione va meglio precisata: un programma allaltezza
delle necessit non coincide, ovviamente, con quello di Rifondazione
comunista. Chi non riconosce
obiettivamente la necessit di una
mediazione, nascondendosi dietro
limpossibilit a priori di interloquire con alcuni soggetti politici o,
allopposto, spostando laccento
tutto sulla costruzione di unopposizione sociale, di fatto, non prende
atto della realt e cio che, con ogni

Settembre - Ottobre 2004

probabilit, la prima occasione per


mandare a casa Berlusconi sar
quella delle prossime elezioni politiche. Il punto vero che vi mediazione e mediazione. Non tutte
sono equivalenti, n tutte sono accettabili e, infine, ognuna di queste
destinata a influire sulle scelte concrete che assumer lintesa di governo. Da questo punto di vista ha
ragione Bertinotti quando sostiene
che la riproposizione sic et sempliciter di un accordo di desistenza
non ha oggi molto senso ma ha torto
quando vi contrappone, a priori, la
scelta di unalleanza organica di governo. Anche su questo punto occorre essere chiari. I compagni di
Falce e martello, ma anche mi pare
con sfumature diverse, quelli di
Erre, propongono il ricorso ad una
soluzione tecnica per consentire di
battere Berlusconi, dando per scontate differenze programmatiche inconciliabili. Il loro ragionamento
ha un fondamento, ma ha anche
una debolezza. Un accordo di desistenza implica, infatti, come nel
caso del governo Prodi, unintesa
che prescinde dalla convergenza sui
contenuti. Questa scelta pu funzionare solo in un caso e cio quello
di unautosufficienza delle forze del
centro sinistra chiamate al governo
del paese, perch se ci non si verificasse e i voti di Rifondazione comunista si rendessero necessari, si
ricadrebbe nel paradosso in cui si
incorse allepoca del governo Prodi,
con il continuo dilemma se appoggiare o no il governo. Non solo, a
differenza di allora, come ho gi
avuto loccasione di sottolineare, la
domanda di unit si fonde oggi con
quella di unalternativit delle politiche. Questa domanda, come la
prima, non pu essere elusa, pena
uno scollamento nei rapporti di
massa. E per questo che la tesi di
Progetto comunista, e cio del
Polo autonomo di classe, risulta
alla fin fine distante dalla reale domanda di massa, dando una non risposta a istanze assai concrete. Non
vi sono, quindi, scorciatoie possibili
al confronto programmatico, n
possibile, a priori, decidere le forme

Settembre - Ottobre 2004

Editoriale

dellintesa, ma solo alla fine del percorso. Quello che certo che nellattuale quadro, pi avanzata lintesa programmatica, pi Rifondazione comunista nelle condizioni
di non subire contraccolpi pericolosi. Pertanto lesigenza non
quella di conseguire un qualsiasi accordo, ma di verificare la possibilit
di ottenere un accordo che apra
una prospettiva di cambiamento,
introducendo delle discontinuit rispetto allesperienza precedente.

L I N T R E C C I O

FRA

P R O F I L O P R O G R A M M AT I C O
E ASSETTI DI COALIZIONE

Per conseguire questo risultato


necessario, innanzi tutto, avere
chiarezza su alcuni punti di caduta.
perch non esiste trattativa che non
sia destinata a chiudersi in una sonora sconfitta, in loro assenza.
Descriviamo, allora, lo scenario possibile. Esistono delle condizioni assolutamente necessarie, oserei dire
imprescindibili? Credo di s. Una di
queste il rifiuto della guerra, indipendentemente dal consenso
dato o meno da organismi internazionali come lONU. Si potrebbe argomentare che tale orientamento
discende dalloggettiva subalternit
dimostrata dallONU in diverse occasioni (come nel caso del Kosovo),
si potrebbe invocare la coerenza
con una scelta generale a suo tempo
assunta a favore della non violenza ma laspetto dirimente, a mio
avviso, un altro e cio lincompatibilit fra la guerra, quale strumento per il conseguimento di finalit imperialiste, con una scelta
comunista. La guerra lede, da questo punto di vista, uno dei caratteri
essenziali della nostra identit e non
vi possono essere mediazioni su
questo punto. Per questo credo sia
stato un grave errore il solo ipotizzare di demandare la soluzione di
tale problema al parere vincolante
di una qualche forma di consultazione popolare. Su queste scelte
non ci sono consultazioni che tengano. Se poi laccordo con Rifon-

dazione fosse consentito dai nostri


interlocutori solo a patto di accettare il principio della guerra umanitaria autorizzata dallONU non si
giustificherebbe alcun ulteriore
confronto e in questo caso non vi sarebbe spazio che per un puro accordo tecnico. Il punto , semmai,
se una volta che fosse superato questo ostacolo, vi sarebbe la condizione per un confronto ad ampio
raggio. Anche qui non si pu essere
semplicisti. Non la stessa cosa un
accordo in cui si riesce a conseguire
unintesa parziale su alcuni punti
(anche importanti), ma a fronte di
dissensi non marginali su altri, o un
accordo che, invece, nel suo insieme, accanto a punti qualificanti,
non contiene scelte palesemente
conflittuali con il nostro punto di vista. Infatti, mentre nel primo caso
non scontato lesito finale, nel secondo vi sono le condizioni (potenziali) per unevoluzione positiva
di unesperienza di governo. Solo in
questo secondo caso, e non entro
nel merito degli specifici contenuti,
sarebbe possibile unalleanza organica e cio con un ingresso formale
nel governo. Come si vede, il quadro non semplice ed sbagliato
volerlo semplificare. Se le condizioni non sono sufficienti perch
entrare in un governo? Non l hanno fatto in India grandi partiti comunisti, che pure appoggiano il governo retto dal Partito del congresso, proprio per linesistenza di
un accordo programmatico interamente condivisibile, perch noi dovremo essere pi realisti del re? O
la superiorit dei contenuti sulle
scelte degli organigrammi (da sempre ribadita in Rifondazione) venuta improvvisamente meno?

LA

B AT TA G L I A D I O P P O S I Z I O N E

E L A M O B I L I TA Z I O N E S O C I A L E

La vera questione rappresentata


dalla modifica degli equilibri sociali
e politici, come condizione per realizzare una mediazione politico programmatica adeguata alla fase e sostenibile da Rifondazione comuni-

sta. Di qui lassoluta rilevanza che


assume la capacit di mettere in
campo unefficace battaglia di opposizione. I terreni sui quali condurre tale battaglia sono i seguenti:
liniziativa per il ritiro immediato
dei militari italiani inviati in Iraq, la
lotta contro la finanziaria, la gestione delle vertenze contrattuali
ed, infine, liniziativa a favore del referendum sulla seconda parte della
Costituzione. Sul primo punto, la
mediazione raggiunta con il centro
sinistra risulta obiettivamente inadeguata. Un passo indietro, rispetto
a scelte compiute in precedenza che
ponevano in modo inequivocabile
la richiesta dellimmediato ritiro,
senza condizioni, delle truppe italiane. Di qui anche un malessere

La vera questione
rappresentata dalla modifica
degli equilibri sociali e politici.
Di qui lassoluta rilevanza
che assume la capacit
di mettere in campo
unefficace battaglia di opposizione

che attraversa spezzoni di movimento, non a caso spesso assenti anche dalle recenti manifestazioni e
sempre pi critici verso le scelte del
nostro partito. Occorre quindi rapidamente recuperare una battaglia politica esplicita contro lintervento americano, con la valorizzazione e non con la rimozione della
resistenza armata (senza per questo si traduca in alcun equivoco sulla
condanna del terrorismo) e per la
realizzazione di un assetto istituzionale non soggetto ad alcun protettorato esterno. Sul piano della finanziaria, grave che la manifesta-

11

Editoriale

zione del 6 novembre sia stata rimandata per il solo fatto che Prodi
non poteva parteciparvi. Lepisodio
rivelatore dellinclinazione propagandistica di alcune forze del centro sinistra che non colgono limportanza della lotta contro la manovra economica come mezzo, non
solo per mettere in difficolt il governo, ma anche per delineare un
assetto programmatico alternativo.
Peraltro, le scelte della finanziaria
possono essere contrastate solo assumendo un punto di vista oggettivamente diverso da quello che caratterizz la politica economica del
governo Prodi. E cio: uniniziativa
internazionale (in prospettiva) tesa
a modificare i parametri di
Maastricht, un coraggioso intervento fiscale contro le rendite (la
patrimoniale) e i redditi pi elevati,
leliminazione di vincoli alla spesa
degli enti locali e la ripresa dei trasferimenti, la salvaguardia del welfare e il rifiuto delle privatizzazioni,
il sostegno allo sviluppo (dal sostegno selettivo alla ricerca, alla promozione di settori innovativi, allo
sviluppo del Mezzogiorno). Sul
piano delle vertenze contrattuali
gi chiaro che il governo non intende soddisfare le richieste sindacali, fissando tassi di inflazione programmata inferiori agli incrementi
reali del costo della vita. Di qui lintreccio evidente con la battaglia
sulla finanziaria. Fino ad oggi la ritrovata unit fra le tre confederazioni sul piano delliniziativa di lotta
non ha prodotto granch. E vero
che stato previsto uno sciopero generale di quattro ore, ma per esempio su tutta la partita della legge 30
non vi stata alcuna mobilitazione,
n il profilo generale della lotta
stato privo di contraddizioni, basti
pensare ai contenuti spesso assai diversi delle singole piattaforme contrattuali. La conduzione di tali vertenze, sulla base di principi unificanti, si rende quindi indispensabile. Infine, sul piano istituzionale
non vi molto da dire sulla giustezza
del ricorso al referendum. Il punto
che leventuale soppressione di
quella orrenda riforma varata dal

12

centro-destra imporr, gioco forza,


la definizione di una nuova proposta sulla quale si misureranno le ambiguit che sussistono nellambito
del centro sinistra.

LA

COSTRUZIONE

DELLA SINISTRA
D I A LT E R N AT I VA E L A M O D I F I C A
D E I R A P P O RT I D I F O R Z A
NELLA COALIZIONE

Ragionare sui vincoli programmatici resta del tutto astratto se non si


affronta di petto la questione della
modifica dei rapporti di forza fra
Rifondazione comunista e le forze
moderate del centro sinistra. Qui
davvero, non si capisce (o al massimo si pu intuire) la ratio di alcune scelte compiute in questi mesi.
Infatti, di fronte allo squilibrio di
forze che costituisce unipoteca
sulla mediazione finale di un accordo per il governo e alla presenza
di propensioni dichiaratamente
continuiste delle forze moderate,
gi segnalate in precedenza, sarebbe del tutto ovvio dar vita a quella
sinistra di alternativa che si invocata in questi anni. Occorrerebbe
perci mettere insieme le forze politiche che hanno condiviso con noi
alcune battaglie (dal referendum
sullarticolo 18, alla richiesta, da subito, del ritiro delle truppe dall
Iraq). Non solo, a questo andrebbe
accompagnato il coinvolgimento attivo di settori di movimento che, pur
nella loro autonomia, sono in grado
non solo di dare un contributo programmatico importante ma anche
di sostenere una battaglia di massa
di opposizione. Queste forze sono:
la Fiom, pezzi di sindacato extra
confederale, la stessa CGIL, il movimento pacifista, ecc. Perch queste forze politiche e sociali non presentano, alle altre forze del centro
sinistra, una piattaforma comune
sulla quale trattare? Recentemente
sembra che anche Rifondazione comunista abbia accettato lidea di
una convergenza (il famoso contenitore) il che positivo, ma in tutti
questi mesi perch si privilegiato

Settembre - Ottobre 2004

il dialogo con le forze moderate,


con Prodi o al massimo con settori
della sinistra moderata, trascurando questi soggetti un tempo privilegiati? Non solo, pi volte si ribadito che il programma deve essere discusso con tutti, non essendo
comprensibile una pre-convergenza con la sinistra di alternativa.
Confesso di non averne capito la ragione, sempre che non si punti a privilegiare il dialogo con parti della sinistra moderata per ottenere una legittimazione da spendere poi anche
nei confronti della residua sinistra
di alternativa, in una sorta di prefigurazione di un assetto bipolare interno della stessa Grande alleanza
democratica. Ma questa ipotesi, di
fatto, significherebbe ridurre la sinistra di alternativa a un puro
campo di azione di Rifondazione
comunista che, di volta in volta, seleziona gli interlocutori ad essa pi
vicini, giovandosi della sua maggiore consistenza nellarea della sinistra critica e, nel frattempo, dei
buoni rapporti con quella moderata. Un modello, a mio avviso,
molto discutibile. Mi pare superfluo
richiamare il fatto che, in ogni caso,
quando faccio riferimento alla sinistra di alternativa non alludo assolutamente alla forma datale qualche
anno fa, e cio quella di un nuovo
soggetto politico, di fatto assorbente gli attuali partiti, ma di unalleanza, per quanto forte e compatta,
in cui partiti e movimenti mantengono unautonomia sostanziale e in
cui lunit non il frutto della cessione di autonomia ad organismi dirigenti collettivi, cui delegare alcune scelte, ma dellesistenza di un
vero programma comune e di unintesa, di volta in volta, sulle scelte di
iniziativa politica.

L A S S U N Z I O N E
D I U N A P R O S P E T T I VA
B I P O L A R E C O M P I U TA
E L A U T O N O M I A D E L PA RT I T O

Infine, una questione diventa dirimente: quella della forma della


Grande alleanza democratica e

Settembre - Ottobre 2004

della relazione che esiste fra questa


e lautonomia del partito. Non si
tratta di una questione di lana caprina, ma di un problema molto serio, giacch le scelte fino ad ora
compiute dal gruppo dirigente di
Rifondazione comunista vanno in
una direzione che a me pare sbagliata. Come noto, la proposta
della alleanza democratica fu lanciata da Bertinotti, ripresa da Prodi
con laggiunta dellaggettivo
Grande e oggi magnificata dai
mass media che la danno come
struttura ormai condivisa e, di fatto,
gi operativa. Ma chi lha deciso in
Rifondazione? Certamente nessuno dei gruppi dirigenti. Con
quale legittimit si quindi proceduto a tale scelta, peraltro senza che
esistesse alcuna base programmatica comune con le altre forze del
centro sinistra? Si sostiene che, in
ogni caso, la nascita della federazione dellUlivo rendeva obsoleto il
simbolo utilizzato in precedenza
per lintera coalizione e che la formula della Grande alleanza democratica sancisce la diversit dal precedente centro sinistra. Ma poi
vero? Al massimo ci che risultato
comprensibile agli occhi della
gente stato il fatto che oggi esiste
un nuovo centro sinistra allargato
a Rifondazione Comunista e Italia
dei valori, con un altro nome.
Inoltre, non c chi non veda come
tale scelta significhi linclusione organica di Rifondazione comunista
nellalleanza e labbandono della rivendicazione della propria autonomia che ne aveva costituito una
delle peculiarit. In verit, questa
scelta sbagliata per due ragioni: la
prima che non si tratta di un escamotage simbolico ma di una scelta
ben precisa. Rivelatrice, in questo

Editoriale

caso, la proposta dellistituzione


delle primarie come sistema di
scelta della candidatura del leader
e dei programmi. Ora, chiunque conosca un po la struttura istituzionale degli altri paesi sa che lutilizzo
delle primarie confinato ad alcuni
stati com e gli Stati Uniti e
lAustralia, dove peraltro hanno gi
evidenziato non pochi limiti, pur essendo le stesse disciplinate (a differenza del nostro paese) da apposite
leggi. Ma sa anche che in questi casi
esse sono utilizzate per scegliere il
leader di un partito, che a sua volta
si fa portatore di un programma. La
proposta avanzata dal centro sinistra nostrano, invece, riguarderebbe unalleanza che attraverso questo sistema sceglierebbe il proprio
leader (gi peraltro prescelto) e lo
stesso sistema sarebbe utilizzato per
dirimere eventuali controversie sui
programmi. Saremmo, cio, al
trionfo di un bipartitismo sui generis. In questo schema ovvio che si
determinerebbe una riduzione del
margine di autonomia del partito,
la cui azione ben difficilmente potrebbe fuoriuscire in modo troppo
marcato dai confini politico-programmatici segnati dallalleanza. E
in tal senso che si viene ad aprire la
questione del rapporto con i movimenti, giacch se difficile che questi possano esprimere le loro istanze
assumendo come riferimento una
forza che deve sottostare a mediazioni, nellambito di unalleanza,
non pienamente condivise dagli
stessi movimenti, ancora pi difficile che ci possa avvenire in una coalizione che assume un profilo che
si approssima a quello di un partito
o di un soggetto politico strutturato
(con un proprio sistema di decisione a maggioranza), per quanto

arricchito da una dialettica (anche


molto vivace) presente al suo interno. Inoltre, come si possono incanalare le aspirazioni dei movimenti in una logica basata su primarie senza comprometterne la
loro stessa autonomia? Di qui lesigenza che lautonomia del partito
venga preservata molto di pi di
quanto si fatto. Peraltro, cosa ci sarebbe di scandaloso in un alleanza
in cui Rifondazione Comunista conservasse, anche formalmente, la sua
natura di soggetto esterno al centrosinistra, bench legata da un accordo programmatico reciprocamente condiviso? Nulla. Invece assai dubbio che nel contesto che si
sta prefigurando la scelta strategica
di Rifondazione comunista possa
avere uno spazio. Mi riferisco allobiettivo dellalternativa di societ
e, soprattutto, alla costruzione di un
pensiero comunista per il terzo millennio. Appunto: la rifondazione
del comunismo (e non lequivoca
sua reinvenzione, che presuppone una rottura totale con i fondamenti originari, in nome di un non
meglio precisato nuovo inizio)
che per sua natura non esclude una
politica di alleanze, ma che presuppone uno spazio di autonomia per
lasciare aperta una ricerca su una
prospettiva dichiaratamente anticapitalista. Sempre che questa aspirazione non resti solo nei simboli, a
fronte dellassunzione ormai definitiva di un sistema bipolare che
non esclude, al suo interno, la presenza di componenti radicali, la cui
cooptazione in unalleanza democratica non dipende dalla intransigenza dei loro comportamenti ma
dalla sostanziale accettazione (anche se in funzione di un suo miglioramento) del sistema dato.

13

Guerra infinita/Lotta per la pace

Settembre - Ottobre 2004

Non ci si pu mettere in cattedra,


stabilendo quali azioni
sono classificabili come terrorismo
e quali come Resistenza
(con la r minuscola),
in una situazione
come quella irachena

Guerra e terrorismo
alla luce
della storia
degli ultimi decenni

di Manlio Dinucci
de il Manifesto

COME GLI STATI UNITI ALIMENTANO IL TERRORE.


CUPI SCENARI DI GUERRA E RUOLO FONDAMENTALE DELLA RESISTENZA

o slogan no alla guerra, no al terrorismo esprime la volont di pace


che anima un vasto e variegato movimento. Ma, limitandosi a ripeterlo
nelle piazze o nei talk show televisivi, si alimentano due pericolosi
equivoci: da un lato, lo slogan d lidea che si tratti di due distinte e contrapposte fonti di minaccia; dallaltro, accetta acriticamente la categoria di terrorismo cos come stata
coniata a Washington.
proprio facendo leva sulla psicosi
del terrorismo, presentato come il
principale nemico non solo dell
America ma dellumanit, che lamministrazione Bush ha raccolto i
consensi che le hanno permesso, assieme ad altri fattori relativi al sistema elettorale e alla possibilit di
brogli, di ottenere un secondo mandato.
Sulla stessa psicosi, sapientemente
creata e alimentata dai repubblicani
dellamministrazione Bush, aveva
fatto leva anche il democratico John
Kerry nella sua corsa alla Casa bianca. La guerra contro il terrorismo
la lotta fondamentale del nostro
tempo, aveva dichiarato nel suo
discorso programmatico alla
Temple University (25 settembre
2004), ribadendo che il suo esito
determiner se noi e i nostri figli vivremo nella libert o nella paura,
in quanto uno scontro tra la ci-

14

vilt e i nemici della civilt, tra le migliori speranze dellumanit e le


paure pi primitive. E aveva concluso: Ci stiamo confrontando con
un nemico e una ideologia che devono essere distrutti. Siamo in guerra. Siamo in una guerra che dobbiamo vincere.
quindi ancora pi importante
non accettare acriticamente la categoria di terrorismo, cos come
stata coniata a Wa s h i n g t o n .
Occorre invece capire che cosa abbia determinato linsorgere di tale
fenomeno e che cosa sia classificabile come terrorismo. Per farlo, non
c che un modo: analizzarlo sullo
sfondo degli avvenimenti storici degli ultimi decenni.

U N I D E A

P E R F E T TA D I N E M I C O

Il 1 luglio 1991, preceduto dal


crollo del Muro di Berlino (9 novembre 1989), si dissolve il Patto di
Varsavia: i sei paesi dellEuropa centro-orientale che ne facevano parte
non sono ora pi alleati dellUrss. Il
26 dicembre 1991, si dissolve la
stessa Unione sovietica: al posto di
un unico stato se ne formano quindici. La scomparsa dellUrss e del
suo blocco di alleanze crea, nella regione europea e centro-asiatica,
una situazione geopolitica intera-

mente nuova. Contemporaneamente, la disgregazione dellUrss e


la profonda crisi politica ed economica che investe la Russia segnano
la fine della superpotenza in grado
di rivaleggiare con quella statunitense.
Il mondo a questo punto a un bivio. La decisione di quale delle due
vie imboccare sostanzialmente
nelle mani di Washington: da un lato
c la possibilit di avviare un reale
processo di disarmo, cominciando
con lo stabilire, in linea con la proposta di Gorbaciov, un programma
finalizzato alla completa eliminazione delle armi nucleari; dallaltro,
c la possibilit di approfittare della
scomparsa della superpotenza rivale
per accrescere la superiorit strategica degli Stati uniti dAmerica, rimasti lunica superpotenza sulla
scena mondiale. Senza un attimo di
esitazione a Washington imboccano
la seconda via.
Il nuovo ordine mondiale, che i
governanti di Washington enunciano in questo periodo, concepito come un sistema globale incentrato sulla leadership statunitense, all'interno del quale ogni
paese deve avere un ruolo funzionale agli interessi statunitensi. Da
qui il concetto di una stabilit intesa
come conservazione e rafforzamento dei fattori su cui poggia la leader-

Settembre - Ottobre 2004

ship statunitense, e quello di una


sicurezza nazionale che, travalicando i confini, ingloba ogni regione del mondo, in quanto ogni regione in varia misura importante
per gli interessi della potenza globale statunitense. Da qui la giustificazione dell'impiego delle forze
armate statunitensi ovunque nel
mondo sorgano fattori di instabilit
che possano mettere in pericolo la
stabilit funzionale agli interessi e
alla leadership globale degli Stati
uniti d'America.
Il rinnovato sforzo bellico viene accompagnato, a Washington, dalla ridefinizione del nemico da combattere. Durante la guerra fredda, era
chiaro quale fosse il nemico degli
Stati uniti: limpero del male, rappresentato dallUnione sovietica. A
un certo punto per essa si disgrega,
lasciandoli nella posizione di unica
superpotenza, ma di fronte a un
grave dilemma: qual ora il nemico? Senza pi la minaccia sovietica, come avrebbero potuto gli
Usa continuare ad armarsi e mantenere la loro indiscussa leadership
nei confronti degli alleati, soprattutto europei?
Viene allora introdotta la formula
delle minacce regionali, sulla cui
base sono condotte le prime due
guerre del dopo-guerra fredda:
quella del Golfo (sotto la presidenza
del repubblicano George Bush) e
quella contro la Jugoslavia (sotto la
presidenza del democratico Bill
Clinton). Ambedue focalizzate sul
nemico numero uno del momento,
prima Saddam Hussein, quindi
Slobodan Milosevic.
Con la prima guerra gli Usa rafforzano la loro presenza militare e influenza politica nellarea strategica
del Golfo, dove sono concentrati i
due terzi delle riserve petrolifere
mondiali. Con la seconda, rafforzano la loro presenza e influenza in
Europa, nel momento critico in cui
se ne stanno ridisegnando gli assetti, e rivitalizzano la Nato attribuendole (col consenso degli alleati) il diritto di intervenire fuori
area ed estendendola ad Est nei
paesi dellex Patto di Varsavia.

Guerra infinita/Lotta per la pace

Il mondo per non va come decidono alla Casa bianca. Leconomia


statunitense, pur restando la maggiore, perde terreno soprattutto nei
confronti di quella dellUnione europea ed entra in recessione. Contemporaneamente, in Arabia saudita e nel mondo arabo vi sono crescenti segni di insofferenza di
fronte al predominio statunitense e
alla stessa presenza militare Usa
nella penisola arabica, mentre in
Asia il riavvicinamento russo-cinese
prospetta la possibilit di una coalizione in grado di sfidare gli Usa.
Esattamente in questo momento
critico, lattacco terroristico dell11
settembre permette allamministrazione Bush di lanciare la sua offensiva militare e politica. Essa viene
motivata con la necessit di combattere il terrorismo, quello che il
presidente Bush definisce un nemico oscuro, che si nasconde negli
angoli bui della terra e che ha
preso di mira lAmerica. Unidea
p e r fetta di nemico: oltre che
oscura, intercambiabile e duratura.
Inizialmente essa assume il volto del
militante isla mico Osama bin
Laden, che viene subito denunciato
dallamministrazione Bush come
mandante degli attacchi dell11 settembre.

QU A N D O OS A M A B I N L A D E N
E R A A M I C O D I WA S H I N G T O N
Osama bin Laden, che gli Stati uniti
indicano come capofila del terrorismo internazionale, lo stesso che
gli Stati uniti sostenevano quando
organizzavano e armavano i mujaidin islamici in funzione anti-sovietica. Quale sia la reale storia dei rapporti fra gli Stati uniti e i mujaidin,
e quindi con bin Laden, lo racconta
uno degli artefici della politica statunitense di quel periodo, Zbigniew
Brzezinski, gi consigliere del presidente Jimmy Carter per la sicurezza nazionale dal 1977 al 1981.
In una intervista concessa nel 1998
al settimanale francese Le Nouvel
Observateur (15-21 gennaio 1998),
Brzezinski afferma: Secondo la ver-

sione ufficiale della storia, la Cia cominci ad aiutare i mujaidin nel


1980, ossia dopo che lesercito sovietico aveva invaso lAfghanistan il
24 dicembre 1979. Ma la realt, finora segretamente custodita,
completamente diversa. Fu in effetti il 3 luglio 1979 che il presidente
Carter firm la prima direttiva per
laiuto segreto agli oppositori del regime filo-sovietico a Kabul. [...]
Quelloperazione segreta fu uneccellente idea. Ebbe leffetto di attirare i russi nella trappola afghana.
Il giorno in cui i sovietici ufficialmente varcarono il confine, scrissi
al presidente Carter: ora abbiamo
lopportunit di dare allUrss la sua
guerra del Vietnam. In effetti, per
quasi dieci anni, Mosca dovette continuare una guerra insostenibile
per il governo, un conflitto che provoc la demoralizzazione e infine la
disgregazione dellimpero sovietico.
dunque lamministrazione Carter
a iniziare, prima e non dopo linvasione sovietica, laddestramento e
larmamento dei mujaidin, preparando la trappola afghana in cui
cade lUrss di Leonid Brezhnev che,
temendo il formarsi di uno stato
ostile ai suoi confini, decide di invadere il paese per garantire che vi
sia un governo amico. Si accende
cos la guerra che lamministrazione Carter voleva e che alimenta,
continuando ad addestrare e armare i mujaidin. Jimmy Carter sar
insignito, il 10 dicembre 2002, del
Premio Nobel per la pace per il suo
instancabile sforzo di trovare soluzioni pacifiche ai conflitti internazionali.
Durante le amministrazioni Carter
e Reagan, dal 1979 al 1989 la Cia addestra in Pakistan e Afghanistan,
tramite lIsi (il servizio segreto pachistano), oltre 100 mila mujaidin,
reclutandoli anche in diversi altri
paesi arabi. Tra questi si distingue
Osama bin Laden, un ingegnere e
uomo daffari appartenente a una
ricca famiglia saudita (da tempo in
affari con la famiglia Bush), che arriva in Afghanistan nel 1980 portando grossi finanziamenti e reclu-

15

Guerra infinita/Lotta per la pace

tando nel suo stesso paese 4 mila volontari.


Dopo la fine della guerra nel febbraio 1989, in seguito al ritiro delle
truppe sovietiche, i mujaidin conquistano Kabul nellaprile 1992, costringendo il presidente filo-sovietico Najibullah a rifugiarsi sotto la
protezione delle Nazioni Unite. In
una situazione di anarchia, caratterizzata dallo scontro tra le diverse fazioni di mujaidin, viene eletto presidente Burhannudin Rabbani. a

Brzezinski:
Che cosa pi importante
per la storia del mondo?
I talebani o il collasso
dellimpero sovietico?

questo punto che viene creata, nel


1994, lorganizzazione dei talebani.
I suoi militanti vengono formati in
scuole religiose, costituite dal governo pachistano nella zona di confine, nelle quali sono indottrinati in
base a una versione ultra-integralista dellIslam. Vengono contemporaneamente armati e addestrati,
cos che possano conquistare il potere in Afghanistan: nel settembre
1996, con il sostegno del governo
pachistano, la milizia talebana conquista Kabul, deponendo il presidente Rabbani e impiccando lex
presidente Najibullah. Loperazione tacitamente approvata dal governo statunitense. Nel frattempo,
Osama bin Laden fonda lorganizzazione multinazionale Al Qaeda
(la Base), reclutando militanti musulmani in diverse parti del mondo.
Quando, nel 1998, lintervistatore
chiede a Brzezinski se non si pentito di aver sostenuto il fondamentalismo islamico, dando armi e assistenza ai futuri talebani, egli ri-

16

sponde: Che cosa pi importante


per la storia del mondo? I talebani
o il collasso dellimpero sovietico?.
Colui che nel 2001 viene proclamato terrorista numero uno e quindi nemico numero uno degli Stati
uniti , dunque, ben noto a Wa shington, per essere stato alleato degli Stati uniti nella guerra in Afghanistan contro lUnione sovietica.
Come prima stato utile come amico, ora lo come nemico. Ma il fatto
di essere considerato nemico non
gli impedisce di mantenere contatti
con agenti della Cia, con i quali si
incontra nel luglio 2001, due mesi
prima degli attacchi terroristici di
New York e Washington, quando
a farsi curare allOspedale americano in Dubai.

M I S T E R I D E L L11 S E T T E M B R E

Tutto questo solleva forti dubbi sulla


versione ufficiale dell11 settembre.
Essi trovano conferma quando, nel
maggio 2002, viene alla luce che il
Federal Bureau of Investigation era
consapevole da diversi anni che
Osama bin Laden e la sua rete terroristica stavano addestrando propri piloti negli Stati uniti.
Non si spiega perch i servizi segreti
statunitensi, al momento in cui ricevono informazioni su un probabile dirottamento di pi aerei, non
preavvertano il Norad (North
American Aerospace Defense
Command) lasciando il territorio
statunitense cos sguarnito da non
riuscire l11 settembre, in quasi due
ore, a intercettare neppure uno dei
quattro aerei in mano ai terroristi.
Non si spiega perch essi non adottino neppure le pi elementari procedure standard di protezione del
presidente quando, la mattina
dell11 settembre, egli in visita alla
scuola elementare Booker a
Sarasota (Florida), dove resta per
quasi mezzora a leggere ai bambini
la storia di una capretta, mentre i
primi due aerei hanno gi colpito le
Torri Gemelle e gli altri due sono
ancora in volo.
Unindagine dettagliata sulla cro-

Settembre - Ottobre 2004

nologia degli eventi dell11 settembre conclude Nafeez Mosaddeq


Ahmed, autore di una rigorosa documentazione sul ruolo svoltovi dallamministrazione Bush (Guerra
alla libert, Fazi Editore, 2002)
spinge a pensare che un fallimento
cos totale e generalizzato sia stato
possibile solo a causa di un atteggiamento ostruzionistico intenzionale da parte di funzionari di primo
piano del governo e delle forze armate e che componenti di primo
piano del governo degli Stati Uniti,
delle forze armate e delle agenzie
dintelligence sapessero che ci sarebbero stati gli attacchi dell11 settembre e ne siano stati, in vario
modo, complici. Esistono motivi
per ritenere che elementi dellintelligence militare americana possano essere stati complici nel finanziare e fiancheggiare i terroristi
dell11 settembre.
Tale ipotesi viene rafforzata dal fatto
che, dopo aver dimostrato una catastrofica inefficienza di fronte agli
attacchi terroristici contro New
York e Washington, gli stessi servizi
segreti danno prova di eccezionale
efficienza appurando, nel giro di
poche ore, che essi sono stati compiuti da Osama bin Laden e Al
Qaeda. Due giorni dopo, il 13 settembre, lamministrazione Bush
conferma che il militante islamico
Osama bin Laden, indicato come
mandante e organizzatore degli attacchi terroristici, opera dallAfghanistan. Dichiara quindi di voler
rimuovere i santuari e mettere fine
agli stati che sostengono il terrorismo.
Tre giorni dopo gli attacchi terroristici dell11 settembre, il senato e la
camera dei rappresentanti decretano che il Presidente autorizzato
a usare tutta la forza necessaria e appropriata contro quelle nazioni, organizzazioni o persone che egli determina abbiano pianificato, autorizzato, commesso o sostenuto gli attacchi dell11 settembre 2001, o abbiano dato rifugio a tali organizzazioni o persone, allo scopo di prevenire qualsiasi futuro atto di terrorismo internazionale contro gli Stati

Settembre - Ottobre 2004

uniti da parte di tali nazioni, organizzazioni o persone. La guerra inizia il 7 ottobre 2001 con il bombardamento dellAfghanistan, effettuato dallaviazione statunitense e
britannica.

L O C C U PA Z I O N E
D E L L A F G H A N I S TA N

Viene cos messa in atto la strategia


decisa a Washington non dopo, ma
prima dell11 settembre 2001. Lo rivelano attendibili fonti, secondo le
quali il presidente Bush, due
giorni prima dell11 settembre, era
in procinto di firmare un piano dettagliato che prevedeva operazioni
militari in Afghanistan per rovesciare lormai inaffidabile regime
talebano.
Con loccupazione dellAfghanistan e linsediamento di un governo
filoamericano capeggiato da Hamid Karzai, la potenza statunitense
compie, in nome della guerra globale al terrorismo, il passo decisivo
per estendere la sua presenza militare, politica ed economica nell
Asia centrale: unarea di enorme
importanza, sia per la sua posizione
geostrategica rispetto a Russia, Cina
e India, sia per le grosse riserve di
petrolio e gas naturale del Caspio
(su cui si affacciano Kazakistan e
Turkmenistan), sia per la sua vicinanza alle riserve petrolifere del
Golfo, dove con loccupazione
dellIraq gli Usa hanno rafforzato la
loro presenza militare.
Gi nel 1994, tre anni dopo la disgregazione dellUnione sovietica,
gli Stati uniti proclamano esplicitamente che la regione del Caspio rientra nella loro sfera dinteressi.
Nello stesso anno, langlo-statunitense Bp-Amoco si assicura in
Azerbaigian (membro con la Russia
della Comunit di stati indipendenti) una prima concessione petrolifera. Nello stesso anno scoppia
la guerra in Cecenia (repubblica
della Federazione russa), i cui capi
ribelli, arricchitisi dal 1991 con i
proventi petroliferi, sono sostenuti
dai servizi segreti turchi (longa ma-

Guerra infinita/Lotta per la pace

nus della Cia). Quando, dopo gli accordi di pace del 1996, la Russia
inaugura nel 1999 loleodotto tra il
porto azero di Baku sul Caspio e
quello russo di Novorossiisk sul Mar
Nero, esso viene sabotato nel tratto
in territorio ceceno. I russi realizzano allora un bypass attraverso il
Daghestan, ma in agosto un commando ceceno di Bassaev lo rende
inagibile. In settembre, Mosca effettua il secondo intervento armato
in Cecenia. Nello stesso anno, per
iniziativa di Washington, viene
aperto un altro oleodotto che collega Baku al porto georgiano di
Supsa sul Mar Nero, mettendo fine
allegemomia russa sullesportazione del petrolio del Caspio. Nello
stesso anno, sempre su iniziativa statunitense, Turchia, Azerbaigian,
Georgia e Kazakistan decidono di
costruire un oleodotto che collega
Baku al porto turco di Ceyhan sul
Mediterraneo, sottraendo alla
Russia il controllo sullesportazione
della maggior parte del petrolio del
Caspio.
Allo stesso tempo gli Stati uniti si
muovono per distaccare da Mosca
le repubbliche ex sovietiche dell
Asia centrale, portandole nella propria sfera dinfluenza. Dopo l11 settembre Washington d la spallata
decisiva, installando basi e forze militari, oltre che in Afghanistan, in
Uzbekistan, Tagikistan, Kirghizistan, Kazakistan e Georgia.
Contemporaneamente, allinterno
della Federazione russa, il miliardario Mikhail Khodorkovskij, padrone della compagnia petrolifera
Jukos, tenta la scalata al potere politico con lappoggio della statunitense ExxonMobil (cui sta per vendere un terzo della Jukos quando
viene imprigionato) e il banchiere
Boris Berezovskoj sostiene e finanzia da Londra il gruppo ceceno di
Shamil Bassaev, organizzatore tra
laltro dellattacco alla scuola di
Bessan.
Cos si svolge il nuovo grande
gioco interno e internazionale attorno a una posta di enorme importanza strategica: il controllo dellex Unione sovietica e, in partico-

lare, delle sue ricchezze energetiche.

L O C C U PA Z I O N E

D E L L I R A Q

Alloccupazione dellAfghanistan
segue, dopo breve tempo, quella
dellIraq, confermando lesistenza
di un preciso piano mirante al controllo dellintera area dallAsia centrale al Medio oriente. Tale piano
nasce negli anni Novanta, quando
si forma a Washington un gruppo di
pressione, di cui si fa portavoce
Project for the New American Century,
organizzazione non-profit costituita nel 1997 con lo scopo di pro-

Gli Stati Uniti si muovono


per distaccare da Mosca
le repubbliche ex sovietiche
dell Asia centrale,
portandole nella propria
sfera dinfluenza

muovere la leadership globale americana. in tale quadro che, il 26


gennaio 1998, viene inviata al presidente Clinton una lettera aperta
in cui gli si chiede di intraprendere
una azione militare per rimuovere
Saddam Hussein dal potere poich, in caso contrario, una significativa porzione delle riserve petrolifere mondiali sar messa a rischio. Secondo le stime della
Energy Information Administration del
governo Usa, lIraq possiede, oltre
alle riserve petrolifere accertate
(112 miliardi di barili) altre riserve
per circa 220 miliardi di barili: ci
significa che non lArabia saudita
ma lIraq il paese con le maggiori riserve petrolifere del mondo.

17

Settembre - Ottobre 2004

Guerra infinita/Lotta per la pace

La lettera firmata da un gruppo


di falchi, che successivamente assume importanti incarichi nellamministrazione, quando George W.
Bush insediato alla presidenza il
20 gennaio 2001: Donald Rumsfeld,
che diviene segretario alla difesa;
Paul Wolfowitz, vice-segretario alla
difesa; Peter Rodman, assistente segretario alla difesa per gli affari
della sicurezza internazionale;
Richard Armitage, vice-segretario
di stato; John Bolton, segretario di
stato per il controllo degli armamenti; Richard Perle, capo del comitato politico della difesa; William
Kristol, consigliere del presidente
Bush; Zalmay Khalilzad, inviato speciale del presidente e ambasciatore
presso lopposizione irachena;
Elliot Abrams, assistente speciale
del presidente e direttore per gli affari del Medio Oriente e Nord
Africa. Dietro il gruppo dei firmatari vi sono Dick Cheney, direttore
della Halliburton, la maggiore fornitrice mondiale di servizi per le industrie petrolifere, che diviene vicepresidente nellamministrazione
Bush, e Lewis Libby, che diviene
capo del suo staff.
Lo scopo strategico perseguito dal
gruppo dei falchi, firmatari della
lettera al presidente Clinton,
emerge chiaramente da un documento pubblicato dallo stesso
Project for the New American
Century nel settembre 2000. Esso afferma che, mentre lirrisolto conflitto con lIraq fornisce limmediata giustificazione, lesigenza di
mantenere nel Golfo una consistente forza militare americana trascende la questione del regime di
Saddam Hussein, dato che il Golfo
una regione di vitale importanza in cui gli Stati uniti devono
avere un ruolo permanente.
dunque lo stesso gruppo di potere, che nel gennaio 2001 forma il
nocciolo duro della amministrazione Bush, a dichiarare che il conflitto con il regime di Saddam
Hussein non costituisce la questione centrale, ma semplicemente
fornisce limmediata giustificazione alla strategia mirante ad as-

18

sicurare agli Stati uniti un ruolo


permanente nella regione di vitale importanza del Golfo persico.
La strategia di cui George W. Bush
diviene esecutore viene decisa,
prima che egli sia portato alla presidenza, dal gruppo di falchi che
domina la sua amministrazione:
espressione delle potenti connections
del petrolio e delle armi, dei potenti
interessi politici e strategici che si intrecciano nel mondo sotterraneo
della cupola del potere.

LA G U E R R A

GLOBALE

AL TERRORISMO

Per la guerra globale al terrorismo, lamministrazione Bush potenzia non solo le forze armate ma
lintero apparato dei servizi segreti,
ufficialmente composto dalla Cia e
da altre 12 agenzie federali. Questo
apparato ha il compito non solo di
raccogliere informazioni, ma di catturare ovunque nel mondo coloro
che sono ritenuti pericolosi per gli
Stati uniti, e di tradurli a Guantanamo a Cuba e in altri luoghi di detenzione sotto giurisdizione statunitense.
Lo autorizza un atto ufficiale senza
precedenti nel sistema giuridico internazionale: il 13 novembre 2001,
il presidente Bush, invocando la
sua autorit costituzionale di comandante in capo e la risoluzione
del Congresso sulluso delle forza
militare, firma un ordine che autorizza speciali tribunali militari a processare stranieri accusati di terrorismo. [...] Sulla base di questordine,
il presidente stesso a decidere chi
sono i terroristi da incriminare e
quindi processare in questi tribunali.
Si apre contemporaneamente il
fronte interno della guerra al terrorismo. Il 16 settembre quando
ancora la popolazione sotto shock
dopo aver assistito in diretta televisiva al crollo delle Torri Gemelle e
alla morte di circa 2.800 persone,
che, sul momento, si teme siano
molte di pi la Casa bianca annuncia una legge speciale contro il

terrorismo: lo Usa Patriot Act, che


viene presentato al Congresso il 24
settembre. Sono passati poco pi di
dieci giorni dall11 settembre: un
tempo sorprendentemente breve
per redigere un testo di tale complessit, lungo 342 pagine.
Al Congresso, il Patriot Act non accolto come la mministrazione
avrebbe voluto: il leader di maggioranza al senato, il democratico Tom
Daschle, dichiara di avere dubbi che
la legge possa passare al senato in
una settimana, come vorrebbe lamministrazione. Tutti sanno che il senatore ha i poteri per rallentare, se
non bloccare, liter della legge. Il 15
ottobre, arriva allufficio di Tom
Daschle al senato una lettera che,
aperta, rivela di contenere una dose
mortale di antrace. Linvio di questa e altre lettere allantrace viene
attribuito al terrorismo di stampo islamico. Il 16-17 ottobre, dopo che
28 impiegati al congresso risultano
positivi allantrace, vengono chiusi
gli uffici del senato e della camera
dei rappresentanti.
Il 24 ottobre, il Patriot Act passa in
tutta fretta alla camera dei rappresentanti e, lindomani, al senato.
Esso introduce, nella sezione 802, il
reato federale di terrorismo interno, che si applica a una vasta
gamma di situazioni che non hanno
niente a che fare con il terrorismo.
Dopo il 26 ottobre, giorno in cui il
Patriot Act entra in vigore, gli attentati allantrace, che hanno provocato cinque vittime, si diradano fino
a cessare. Successive inchieste appurano che lantrace usato in questi attentati non pu che provenire
dagli stessi laboratori militari statunitensi.

ALCUNE

CONSIDERAZIONI

CONCLUSIVE

Che cosa dimostrano i fatti storici


degli ultimi decenni? Lo possiamo
riassumere in alcuni punti schematici.
1) Il filone centrale del terrorismo
scaturisce dalla strategia imperialista di conquista del mondo con la

Settembre - Ottobre 2004

guerra, attuata dalla potenza globale statunitense, ed funzionale


alla guerra stessa in quanto serve a
creare limmagine di un nemico
che va affrontato senza esitazioni
con la guerra globale al terrorismo. Condotta con metodi terroristici (dal bombardamento indiscriminato di civili alle esecuzioni
mirate, dai rapimenti alle torture),
essa si svolge in gran parte nel
mondo sotterraneo dei servizi segreti
2) Il terrorismo viene alimentato,
nel mondo arabo e musulmano, da
settori di classi privilegiate che,
esclusi dal potere, se ne servono per
acquistare peso politico. In tale
azione, utilizzano il risentimento
popolare di fronte al predominio
statunitense e alla sudditanza dei
propri governi. Emblematico il
caso di Al Qaeda. Poich fa leva su
fatti reali, essa riscuote simpatie e riesce a reclutare militanti che, in
base anche alla convinzione religiosa, sono pronti a dare la vita.
probabile per che le dimensioni
reali e le ramificazioni di questa organizzazione vengano esagerate, da
parte sia dei suoi capi, sia di chi se
ne serve per motivare la guerra globale al terrorismo. anche proba-

Guerra infinita/Lotta per la pace

bile che la sigla di Al Qaeda sia utilizzata per rivendicare atti terroristici di altra matrice.
3) La categoria terrorismo viene
usata per condannare tutti gli atti di
resistenza, dallIraq alla Palestina. Si
pu non essere daccordo con le
azioni dei partigiani iracheni contro coloro che vanno ad arruolarsi
nellesercito fantoccio, o le azioni
suicide di militanti iracheni e palestinesi. Ma non si pu, con questo,
accomunarle nella categoria terrorismo cos come stata coniata
a Washington per far passare gli aggressori per aggrediti.
N si pu (come fa Bertinotti nellintervista del 9 settembre a Repubblica) affermare che in Iraq il conflitto non ha fatto nascere il terrorismo, ma ne alimenta la violenza,
suggerendo cos che lIraq fosse
uno dei santuari del terrorismo
prima della guerra, e che la resistenza irachena, termine con cui si
riferisce solo a chi fuori del terrorismo, fa parte delle resistenze
con la r minuscola perch, a differenza della Resistenza italiana,
non contiene in s la soluzione del
problema.
Non ci si pu mettere in cattedra,
stabilendo quali azioni sono classi-

ficabili come terrorismo e quali


come resistenza (con la r minuscola), in una situazione come quella
irachena, senza premettere che allorigine c la guerra di aggressione e occupazione effettuata dagli
Stati uniti. N ci si pu dimenticare
che, nella Resistenza italiana, i partigiani erano definiti banditi dai
nazi-fascisti e che lattacco di Via
Rasella del 1944 stato definito
dalla stessa Corte di Cassazione, nel
1999, legittima azione di guerra
compiuta, mentre era in corso loccupazione di gran parte del territorio nazionale ad opera dei tedeschi, da persone che avevano la
qualit di legittimi belligeranti.
Riguardo poi allaffermazione che
quella irachena sarebbe una resistenza con la r minuscola perch,
a differenza della Resistenza italiana, non contiene in s la soluzione del problema, va detto che,
come fu in Italia e ora in Iraq e altri paesi, latto stesso di resistere allaggressione e alloccupazione costituisce la soluzione del problema. Non si dovrebbero quindi
avere dubbi che quella in corso in
Iraq una lotta legittima che entra
a far parte della storia della
Resistenza.

19

Settembre - Ottobre 2004

Guerra infinita/Lotta per la pace

Quali forze
possono contrastare oggi
lo strapotere e legemonia
degli Stati Uniti
in Medio Oriente?

COMPETITORI,COMPAGNI DI STRADA, ALLEATI

di Sergio Cararo

n un recente dibattito sulla guerra,


un compagno ha posto una domanda interessante che ci permette
di discutere nel merito diverse questioni. La domanda era semplice, la
riposta, come al solito, un po meno.
Quali forze possono contrastare
oggi lo strapotere e legemonia degli Stati Uniti in Medio Oriente?
Secondo una valutazione che mi
sento di condividere, queste forze
sono almeno tre, ma solo una pu
essere considerata come alleata ai
movimenti sociali che stanno opponendosi alla guerra e al capitalismo.
Le altre due sono in competizione
con gli Stati Uniti, ma non sono nostre compagne di strada. La prima
sono i movimenti di resistenza popolare cresciuti nelle varie aree di
conflitto, dal Medio Oriente allAmerica Latina. Le seconde sono
lUnione Europea e Al Quaeda.

COMPETITORI

Preferisco cominciare dalle seconde, sulla prima visto che ci interessa pi da vicino c necessit
di una riflessione pi articolata.
a) LUnione Europea e gli Stati
Uniti in Medio Oriente hanno interessi divergenti. La prima ambisce a
creare un Mercato Unico Euro-mediterraneo nel 2010 che approfondisca lintegrazione economica e fi-

20

Limperialismo
e i suoi
oppositori

nanziaria tra lEuropa e la sponda


sud del Mediterraneo. Questa integrazione non pu che ruotare intorno alleuro come moneta di riferimento e dunque sottrarre ampie
quote al signoraggio internazionale
del dollaro. Gli Stati Uniti, al contrario, non hanno mai nascosto di
voler sabotare questo progetto. Lo
hanno fatto prima con la doppia
conferenza economica di Amman e
del Cairo e poi con il progetto del
Grande Medio Oriente. In questo
progetto i Paesi petroliferi del Golfo
hanno un ruolo centrale che invece
ancora non hanno nel progetto del
Mercato Unico Euro-mediterraneo.
Esiste poi il nodo dirimente della
presenza di Israele in entrambi i
progetti, ma un recente rapporto divulgato in Israele ha confermato
tutti i timori dellestablishment
israeliano verso il rafforzamento
dellUnione Europea.
La competizione tra Stati Uniti ed
Unione Europea in Medio Oriente
emersa clamorosamente con la
rottura dellasse franco-tedesco
verso la decisione anglo-americana
di invadere lIraq, nelle divergenze
sulleventuale impegno della
NATO nellarea e nella conferenza
dei Paesi creditori sul debito estero
dellIraq. LUnione Europea appare ancora non omogenea nella
sua politica estera ma anche ad occhio nudo ormai evidente come il

nucleo duro della Framania abbia


una capacit di attrazione del settore egemone delle classi dominanti in Europa. Laffiancamento
della Spagna di Zapatero a questo
nucleo ha spostato notevolmente
gli equilibri europei, isolando sempre di pi i governi filo-statunitensi
come Italia e Gran Bretagna. I Paesi
dellEuropa dellEst dovranno poi
adeguarsi alla realt dei rapporti di
forza in Europa. Gli Stati Uniti li
hanno arruolati tutti dentro la
NATO, che come dice Brzezinski
viene ancora utilizzata dagli USA
come strumento di interferenza sugli affari europei, ma le relazioni
economiche e commerciali sono
tutte sovraesposte verso il nucleo
duro dellUnione Europea, e la
stessa NATO non sembra poter essere pi quella organizzazione che
stata negli anni della guerra
fredd a. presto per dire se
lEsercito Europeo ne rappresenti
oggi unalternativa, ma la tendenza
a diventarlo assai pi forte di
quanto lo fosse prima della paradigmatica (per lEuropa) guerra
contro la Jugoslavia.
LUnione Europea oggi un competitore di prima grandezza contro
legemonia statunitense, ma i suoi
obiettivi strategici sono quelli di sostituirla con la propria in tutte le
aree strategiche ove ci sar possibile. Sono in molti a ritenere che

Settembre - Ottobre 2004

limperialismo europeo abbia una


natura, una storia e una ambizione
diversa e migliore di quello statunitense, che le possibilit di influenzare le classi dominanti in
Europa sia superiore, che le relazioni economiche e politiche tra
lEuropa e il terzo mondo possano
essere caratterizzata da maggiore
equit. Alcuni arrivano anche a sostenere che una Europa forte dal
punto di vista politico e militare sia
oggi lunica possibilit di ricreare
un bilanciamento di forze nelle relazioni internazionali minacciate
dalla supremazia militare statunitense. Viste con loggettivit di un
marziano (nel senso: viste da lontano e con un certo distacco) possono sembrare considerazioni pertinenti, ma in questo ragionamento
dov la soggettivit? Come e in che
cosa si esprime lindipendenza di
un punto di vista comunista ed antimperialista ed una azione conseguente? Con la natura di classe che
venuto assumendo il processo di
unificazione e centralizzazione europeo, oggi lUE pu essere considerata unalleata dei movimenti di
liberazione o di trasformazione sociale? Alla luce di quello che vediamo e della tendenza oggi dominante, la risposta non pu che essere negativa.
b) Anche la seconda forza che contrasta con legemonia degli Stati
Uniti in Medio Oriente non nostra alleata. La rete di Al Quaeda
continua ad essere oggetto di valutazioni diverse tra i vari osservatori
e soggetti della sinistra. Alcuni sostengono che Al Quaeda sia tuttoggi una creatura della CIA, altri
la interpretano come il topos del
male assoluto del mondo contemporaneo dando ragione al direttore
di Limes quando afferma che questa visione ne fa un esorcismo piuttosto che un problema politico. Che
Al Quaeda nasca anche con i finanziamenti della CIA in funzione antisovietica vero ed noto. Che la
famiglia Bush e quella Bin Laden
abbiano ottimi affari in comune lo
altrettanto. Quello che molti continuano a sottovalutare il processo

Guerra infinita/Lotta per la pace

avviatosi nel mondo arabo-islamico


negli anni Novanta, soprattutto tra
le sue leadership.
C un pezzo significativo di borghesia feudal-petrolifera arabo-islamica, che negli anni ha maturato alcune ambizioni. Ha scoperto di disporre di ingenti capitali, della maggiori riserve di petrolio, di aver mandato a studiare i propri rampolli
nelle migliori universit statunitensi, inglesi o europeema di non
contare nulla sul proprio scenario
regionale: il Medio Oriente. Da queste ambizioni, duramente frustrate
dallarroganza degli Stati Uniti e di
Israele, nata una corrente a molteplici facce che ha puntato alla conquista di un proprio spazio di egemonia regionale nel vasto mondo
islamico. Come non leggere questa
ambizione nella capacit unificante svolta da televisioni moderne
e competitive come Al Jazeera o Al
Arabya? Come non vedere che negli anni Novanta pezzi significativi
delle elites dei Paesi islamici come
Arabia Saudita, Pakistan, Malaysia
hanno maturato questa ambizione
fino alla realizzazione della atomica islamica pakistana? I flussi finanziari delle petro-borghesie hanno inondato tutti gli scenari, inclusi
quelli alle porte dellEuropa come
Bosnia, Kosovo, Cecenia, Caucaso
con lobiettivo di mettere in moto
forze che sostenessero tale progetto. E Al Quaeda? La rete di Al
Quaeda, alla quale ormai viene addossato ogni attentato ed efferatezza, ha cercato di forzare e rappresentare al massimo livello questa
sfida per legemonia. Prima hanno
colpito in quelli che definiscono i
regimi arabi corrotti e subalterni
agli Stati Uniti e poi gli Stati Uniti
stessi con l11 settembre. Al Quaeda
quanto di meno centralizzato esiste oggi al mondo, una rete di
gruppi in franchising (come spiega
bene Oliver Roy su Le Monde Diplomatique di settembre) che agisce separatamente ma con un progetto
piuttosto condiviso e che utilizza la
sovrastruttura religiosa come elemento unificante tra le popolazioni
islamiche (che non sono tutte

arabe). Oggi questo rappresenta un


soggetto in competizione con gli
Stati Uniti ma, per le sue caratteristiche, potrebbe anche addivenire
ad un accordo di spartizione delle
aree di influenza se lamministrazione USA rinunciasse (o fosse costretta a rinunciare) alle sue ambizioni di egemonia globale e cedesse
alcune quote di controllo sul Medio
Oriente. Dunque ecco un altro
competitore con gli USA ma non
e non pu essere un alleato dei
movimenti che si battono per la liberazione nazionale e per il progresso sociale.

I C O M PA G N I

DI STRADA?

Un ragionamento a parte, sotto


certi aspetti a cavallo tra i due competitori presi in esame fino ad ora,
riguarda due grandi Stati come
Russia e Cina. Le divergenze strategiche tra queste due potenze una
declinante, laltra emergente e gli
Stati Uniti sono evidenti ma concentrate molto di pi sugli assetti in
Asia Centrale e in Asia che nel Medio Oriente. Russia e Cina in queste
aree sono un ostacolo per limperialismo statunitense ma non un
alleato del fronte antimperialista.
Che gli USA continuino a foraggiare il secessionismo nelle repubbliche caucasiche della Federazione Russa ormai evidente a molti
osservatori. Che Putin non lo gradisca lo altrettanto. Che Putin rappresenti una possibilit di ritorno
ad una sorta di capitalismo di Stato
con caratteristiche anti-oligarchiche e con maggiore senso dellinteresse nazionale, terreno sul quale
misurarsi con prudenza. Il Partito
Comunista della Federazione Russa
si spaccato proprio su questa valutazione. sicuramente una potenza con interessi divergenti da
quelli degli Stati Uniti, sia sugli assetti interni sia sullAsia Centrale,
ma al momento sarebbe bene fermarsi qui. La soggettivit politica
dellamministrazione Putin resta
ancora una nebulosa in cui difficile leggere spinte riconducibili ad

21

Guerra infinita/Lotta per la pace

un potenziale fronte antimperialista che non si limiti a contrastare la


strategia USA l dove non pu farne
a meno.
Lo stesso ragionamento pu essere
avanzato sulla Cina, la quale dalla
sua ha il vantaggio di una maggiore
crescita economica, di un maggior
senso dellinteresse nazionale e di
essersi risparmiata anche ricorrendo alla forza come in piazza Tien
An Men le devastazioni gorbacioviane e post-gorbacioviane. Sono in
molti a ritenere che la Cina sia il
bersaglio grosso delloffensiva
strategica degli USA. Questo ne fa
un rilevante compagno di strada,
ma pu farne un alleato dei movimenti e dei soggetti di una radicale
alternativa sociale al capitalismo? La
soggettivit politica dentro alla leadership decisionale cinese non sembra, al momento, voler far coincidere la propria divergenza con gli
interessi strategici USA con un progetto di unificazione delle forze popolari che nel mondo hanno lo
stesso problema.

MOVIMENTI E LA RESISTENZA

Veniamo allora alla terza forza che


si oppone e contrasta con legemonia dellimperialismo statunitense,
che oggi sicuramente il pi pericoloso ma di cui si intravedono piuttosto chiaramente i segnali di
grande difficolt. Il dibattito nella
sinistra italiana su questo aspetto
oggi piuttosto articolato.
In una intervista al quotidiano
lUnit, Fausto Bertinotti sostiene
una tesi che merita di essere discussa e di ottenere qualche replica.
La tesi quella secondo cui i nemici di Bush non sono nostri amici,
ragione per cui chi oppone resistenza alla maggiore potenza imperialista del mondo non sempre ne
rappresenta una alternativa condivisibile.
Il ragionamento sui nemici di Bush
non sembra coincidere con quello
descritto in precedenza, ma attiene
probabilmente ed esclusivamente
alle forze di ispirazione islamica.

22

Bertinotti lamenta nella stessa intervista come questa sua tesi non sia
condivisa da autorevolissimi uomini
della cultura terzomondista di sinistra e teme che anche il Forum
Sociale Europeo di Londra non la
assecondi.
In queste parole, c la verifica di
una realt che in molti abbiamo potuto vedere in questi anni nei
Forum internazionali dei movimenti a Mumbay, Porto Alegre o nel
recente Forum di Beirut. in queste sedi che si potuto verificare
come la percezione del mondo e
della lotta politica possa essere diversa se vista da Roma o da Bogot,
da Bruxelles o da Ramallah e
Falluja.
In quella parte del mondo in cui
limperialismo agisce concretamente, la Resistenza una opzione
obbligata dalle circostanze e queste
circostanze costringono talvolta gli
uomini e donne che ambiscono alla
giustizia sociale, alla sovranit, al diritto al futuro, ad usare anche la violenza se vogliono tenere aperti gli
spazi della lotta politica, della dignit e della sopravvivenza.
Ad aver reso pi forti le opzioni religiose spesso, ma non sempre,
reazionarie rispetto a quelle progressiste in Medio Oriente, in Asia,
in Africa, ha contribuito anche la ritirata ideologica della sinistra eurocentrista, la quale ha cessato di sostenere come necessario le lotte di
liberazione l dove queste si manifestano concretamente. Anzi, molto
spesso la sinistra europea ha agito
come elemento di depotenziamento politico, economico e diplomatico delle forze democratiche e
rivoluzionarie nel terzo mondo
piuttosto che come fattore di condivisione di una comune lotta per la
liberazione.
Queste non sono e non sono mai
state suggestioni della cultura terzomondista, ma opzioni concrete
determinate da situazioni reali,
drammatiche, private da qualsiasi
agibilit democratica per la lotta politica. LIraq, la Palestina, la Colombia e tanti altri Paesi sono a l a dimostrare che la realt in cui sono co-

Settembre - Ottobre 2004

strette a battersi spesso peggiore


di quanto i leader della sinistra europea riescano a percepire nei loro
schemi di ragionamento.
Non dovremmo temere le forze che
oppongono resistenza allimperialismo, dobbiamo temere ed affrontare limperialismo e il carico di orrori che ha gi scatenato e torna a
scatenare sullumanit. Non sarebbe sbagliato, dunque, invitare
Bertinotti a rivedere la sua tesi ed a
non prestare ascolto a quei leader
della sinistra europea che in
Venezuela volevano la sconfitta di
Chavez, che ambiscono alla fine
dellesperienza rivoluzionaria di
Cuba o alla resa dei palestinesi ai disegni dei laburisti israeliani.
Di fronte al massacro in corso in
Iraq, in Palestina o in Colombia condotto allinsegna della democrazia
e della stabilit, il diritto alla resistenza dei popoli diventa un elemento decisivo della contrapposizione tra democrazia e imperialismo, tra autodeterminazione e colonialismo.
Bertinotti semplifica questa realt
dolorosa e dipingendola complessa
come una spirale tra guerra e terrorismo, tagliando fuori il diritto
alla Resistenza come elemento liberatore ed avanzato della lotta politica. Dobbiamo ammettere che questa visione delle cose ampiamente
minoritaria dentro il movimento internazionale antiliberista ma consolidata nella cultura politica del
movimento in Italia o in Francia.
Rimettere mano al dibattito e allanalisi sullautodeterminazione dei
popoli e sulle soggettivit che si oppongono allimperialismo, significa
collocare quanto accade in Iraq (e
prima ancora in Palestina) dentro
un quadro internazionale che deve
tenere conto delle forze che agiscono nella stessa direzione in
America Latina, Asia, Africa e in
misura diversa in Europa, cio sul
piano globale.
Si tratta di realt in cui la contraddizione tra imperialismo e democrazia, tra colonialismo e difesa dellautodeterminazione dei popoli si
va imponendo come elemento di

Settembre - Ottobre 2004

rottura profonda, pi profonda di


quanto oggi sia percepibile dai movimenti sociali e dalle forze di classe
nei Paesi collocati nel cuore dei
poli imperialisti.
Il complesso processo conflittuale,
messo in moto dalla competizione
globale tra i poli imperialisti, vede
delinearsi processi di disgregazione
e poi annessione degli Stati pi deboli, di ri-colonizzazione di intere
aree, di guerre regionali con effetti
globali, di rimessa in discussione
violenta dellautodeterminazione
dei popoli emersa dalle lotte per la
decolonizzazione.
Le forze soggettive che si oppongono a tale scenario non sono pi
omogenee come nei decenni trascorsi. Altre forze di carattere religioso, etnico, nazionalista sono entrate in campo spesso contendendo
o imponendo la loro egemonia rispetto alle forze che storicamente
hanno tenuto insieme il progetto di
liberazione nazionale con quello
della trasformazione in senso socialista.

Guerra infinita/Lotta per la pace

U N A B AT TA G L I A C U LT U R A L E
D A FA R E I N

E U R O PA

Di questo c urgenza e necessit di


discutere rigorosamente, su questo
c lesigenza di unificare nel nostro
Paese e in Europa soggetti e forze
che comincino a ragionare ed agire
unitariamente sul terreno dellinternazionalismo di classe.
da ritenersi che ci sia urgenza e
spazio politico per una battaglia
culturale di massa sul terreno dellantimperialismo. La semplificazione della realt, intesa come spirale tra guerra e terrorismo, profondamente diseducativa per le
nuove generazioni politiche emerse
in questi anni e fuorviante per tutti.
una lettura speculare a quella del
peace-keeping ulivista che assegna al
soft power dellEuropa il compito di
gestire le crisi e governare i conflitti
meglio di quanto sappiano fare gli
Stati Uniti.
La difesa dei Paesi e dei popoli aggrediti dallimperialismo e il sostegno ai movimenti di resistenza, de-

vono cominciare ad interagire politicamente e concretamente con i


movimenti in Europa. Questa necessit si manifestata chiaramente
nei Forum di Mumbay ma anche nel
Forum di Beirut, questa ricomposizione viene richiesta dalle forze
della resistenza in tutte le realt di
conflitto.
Per queste ragioni, non possiamo
nasconderci che il movimento antimperialista oggi in Europa non
pu essere certo una sorta di cenacolo ma, al contrario, deve entrare in campo aperto sul piano
della lotta per legemonia rispetto a
posizioni che mirano a demonizzare/neutralizzare i movimenti di
resistenza nelle aree di crisi ed a depotenziare i movimenti sociali e la
loro cultura politica in Europa.
I popoli di Seattle e i popoli di
Durban vanno assolutamente riunificati ma sul piano della elaborazione pi avanzata della lotta politica e sociale e questa non pu essere quella che ci viene proposta
dalla sinistra europea.

23

Settembre - Ottobre 2004

Guerra infinita/Lotta per la pace

Il problema delle basi militari


sinserisce nel quadro complessivo
del progetto made in Usa
di esercitare legemonia globale,
dapprima con leliminazione
della potenza rivale sovietica, oggi
ponendo sotto controllo lintero pianeta

La NATO:
un ordine
di guerra

di Mariella Cao
Comitato Sardo Gettiamo le basi

POTERE, MILITARIZZAZIONE E CONTROLLO DEL TERRITORIO: LESIGENZA


DELLA LOTTA CONTRO LE BASI USA-NATO E I LIMITI DELLA SINISTRA

l problema delle basi militari sinserisce nel quadro complessivo del


progetto made in Usa di esercitare
legemonia globale, dapprima con
leliminazione della potenza rivale
sovietica, oggi ponendo sotto controllo lintero pianeta. Il disegno di
dominio totale esplicitato a chiare
lettere dagli Stati Uniti in una mole
di dichiarazioni e documenti ufficiali. Il ruolo assegnato allEuropa,
e quindi allItalia, meno esplicito
ma leggibile tra le righe dei documenti ed ben visibile nei fatti. Da
un lato lalleata vassalla invitata a
raccogliere alcune briciole del banchetto in cambio del sostegno attivo
ai progetti a stelle e strisce, dallaltro la concorrente, la potenziale
rivale da tenere a bada.
Nella fase della Guerra Fredda (o
III Guerra Mondiale) e nella fase attuale lo strumento privilegiato per
attuare il progetto di egemonia la
Nato, insostituibile meccanismo
per lesercizio della leadership Usa
e per la proiezione della potenza e
della influenza americana attraverso lAtlantico e oltre (Rapporto
D i p a rtimento Difesa Usa, 1998).
Laltro strumento costituito da alleanze occasionali in funzione di
precisi obiettivi e delle esigenze del
momento, da negoziati e accordi bilaterali che strappano condizioni
pi vantaggiose per linstallazione
della presenza militare Usa.

24

La radicale rimessa in discussione


delle basi militari che pullulano in
Italia e del modello dinsicurezza
che le giustifica va collocata nel quadro di contrasto deciso, concreto e
praticabile, a tutti gli strumenti della guerra, opzione privilegiata per il
saccheggio del pianeta e terreno
fertile per una regressione politica
e sociale che fa riemergere la possibilit di svolte autoritarie, come insegna il Patrioct Act.

RI P U D I O

E CONCUBINAGGIO

LItalia stenta a scuotersi dal sogno


che lha cullata per oltre mezzo secolo di aver ridotto allimpotenza il
mostro Guerra e di aver relegato tra
le barbarie del passato le velleit di
ritagliarsi fette dimpero sterminando altri popoli. La Guerra cacciata dalla porta rientrata dalla finestra, mascherata da Difesa e il ripudio solenne, sancito dallart. 11
della Costituzione, si trasformato
in stabile concubinaggio.
LItalia nata dalla Resistenza si affretta a dar vita allAlleanza militare
atlantica. Spronata e sostenuta dalla
grande potenza amica meticolosamente si adopera per ricostruire
e potenziare le basi e gli arsenali indispensabili per convolare ad un
nuovo, duraturo matrimonio con la
Guerra. Lopposizione iniziale delle

forze della sinistra di classe alladesione al Patto Atlantico resta in superficie, non tocca il nodo del problema: se si vuole la Pace occorre costruire la Pace, spezzare i progetti
imperiali di dominio e di rapina, eliminare liniquit che regge i rapporti tra popoli, recidere la guerra
alla radice, estirpare le sue basi, i
suoi poligoni, i suoi arsenali, le sue
alleanze. Per decenni la discussione
si concentra su vizi e virt del potente Alleato-Padrone che domina
la coalizione militare. Laccettazione della Nato da parte della sinistra
moderata e riformista spegne definitivamente i pochi sprazzi di luce
che avevano permesso dintravedere la possente ricostruzione della
macchina bellica.
La volont di Pace rimane confinata
allinterno dellorizzonte tracciato
tre millenni fa da Roma imperiale:
se vuoi la Pace, prepara la Guerra.
Non si superano le Colonne dErcole. La Pace continua ad essere intesa come periodo di non belligeranza tra una guerra e laltra, pausa
necessaria per rilanciare e dare vigore ad un'altra guerra pi virulenta e devastante della precedente
in una corsa al massacro senza fine,
in una spirale senza vie duscita che
da millenni imprigiona lEuropa e
che lEuropa ha contribuito ad esportare nel pianeta.
LItalia Atlantica, appena uscita

Settembre - Ottobre 2004

dalla guerra, subito dopo aver ripudiato solennemente la guerra, porta


a compimento il sogno mussoliniano di fare della penisola una
inaffondabile portaerei proiettata
nel Mediterraneo, unimmensa
portaerei che ha la sua stiva, la sua
sentina nellisola di Sardegna.
Nellisola-pattumiera si creano le
nuove e avanzate installazioni, indispensabili per alimentare e sostenere politiche di belligeranza. Il demanio militare (16.000 ettari nella
penisola) si arricchisce dei 24.000
ettari di terra espropriata al popolo
sardo. La Sardegna diventa una
grande caserma, un bastione militare inespugnabile circondato da
una sterminata cintura di mare militarizzato che si estende per una superficie che supera quella dellintera isola. Loccupazione militare si
articola e si struttura secondo i pi
efficienti parametri della massima
concentrazione e dellutilizzo intensivo degli impianti. La fabbrica
di guerra nasce moderna.
In Friuli sui 4.240 ettari di demanio
militare affidati all'Esercito si contano ben diciassette poligoni; in
Sardegna il poligono Salto di Quirra occupa una superficie di terra pi
che tripla (13.000 ettari), il poligono di Capo Teulada impegna
7.200 ettari.
La tipologia e la dislocazione delle
basi della guerra pianificata in
modo razionale e lungimirante,
prefigurando lesito vittorioso della
cosiddetta Guerra Fredda o III
Guerra Mondiale e anticipando il
ruolo attuale dellisola di presidio
dellintera regione mediterranea,
piattaforma di lancio per le incursioni contro i popoli della riva Sud.
In Sardegna si evidenzia in modo
eclatante un altro aspetto del problema delle basi della guerra: il costo iniquo pagato dalla popolazione
condannata a ospitare le strutture
militari e le devastanti attivit di
guerre simulate, sperimentazione,
collaudo di ordigni bellici e addestramento di truppe.
Come si finto e si finge di non vedere la sistematica messa a punto
dellapparato bellico, cos si finto

Guerra infinita/Lotta per la pace

e si finge di non vedere lantagonismo popolare, linsanabile opposizione tra le esigenze civili e le esigenze della macchina della guerra.

IL

RUMORE E IL SILENZIO

La messa a punto dellapparato bellico adeguato alle esigenze NatoUsa sempre stato portato avanti su
due strade parallele con modalit
diverse, funzionali anche allo scopo
di narcotizzare lopinione pubblica.
1. Riflettori accesi, grancassa mediatica, solenni proclami accompagnano i pubblici tentativi dei grandi
della Terra di porre ostacoli che rendano impraticabile il ricorso alla
guerra. Le dismissioni, labbandono di armi e postazioni non pi
utili amplificato e pubblicizzato
come un passo nella direzione invocata dai popoli, verso il disarmo e
verso la conquista della pace.
La telenovela del ripudio della
guerra attanaglia il grande pubblico
e rende difficilmente leggibile il
processo parallelo di potenziamento delle strutture della guerra.
2. Al riparo dai riflettori dei mezzi
di comunicazione di massa, lontano
dai clamori del pubblico dibattito,
spesso a nche allinsaputa del
Parlamento, si rafforzano impianti
e capacit militari. Linstallazione,
la ridislocazione e il potenziamento
delle strutture circondato dalla
nebbia informativa, spesso solo a
cose fatte la comunit locale scopre
di essere stata condannata ad accoglierle. Leventuale opposizione, se
nasce, nasce in ritardo ed facile
isolarla e ridurla a questione marginale.

dership globale e la proiezione della potenza e dellinfluenza americana allinterno di aree dove gli interessi Usa sono
in gioco(Rapporto del Dipartimento
Difesa Usa 1998).
La percezione collettiva di scopi e
funzioni delle installazioni militari
alterata, basi e poligoni sono percepiti come strutture altre rispetto alla guerra, un orpello anacronistico di vecchie Potenze, una
sorta di status symbol. Si produce una
perdita collettiva dintelligenza, intesa nella accezione etimologica di
legare insieme, capacit di cogliere nessi e connessioni. Dal sentire si cancella levidenza che ripudiare la guerra significa ripudiare,
mettere al bando, le basi della
guerra, i suoi poligoni, le sue industrie, le sue truppe, i suoi uomini, i
suoi arsenali.
Il processo di depauperamento cognitivo e intellettivo accelerato
dalla progressiva acquiescenza delle
grandi forze di sinistra. La debole
opposizione del primo periodo
post-bellico si sfalda inesorabilmente, si trasforma in silenzio
omertoso e sfocia nella vergognosa
capitolazione del governo DAlema. In nome della Realpolitik, la sinistra sperpera la sua credibilit e
il suo patrimonio culturale di riferimento per estorcere il consenso
della popolazione alla guerra umanitaria di aggressione della Jugoslavia.Senza dibattito parlamentare, sigla gli accordi che trasformano la Nato da alleanza difensiva
in alleanza militare che si arroga il
diritto dintervento armato in ogni
angolo del pianeta.

IL
LA

RIMOZIONE

Il dosaggio sapiente di rumore-silenzio, luce-buio, consente di confondere le linee del quadro e ostacola la percezione del piano unitario e coerente che risponde a precise scelte politiche, peraltro spesso
enunciate con brutale chiarezza dagli Stati Uniti: Lesercizio della lea-

RUOLO DEL MOVIMENTO

Il movimento contro la guerra che


si sviluppa con forza in Italia in
parallelo allo sdoganamento e al rapido incremento dellopzione militare come mezzo per risolvere le
controversie internazionali, ha focalizzato lattenzione sul tema per
cui costruire la Pace non solo opporsi alla guerra ma implica leliminazione dellingiustizia sociale,

25

Guerra infinita/Lotta per la pace

superare labisso diniquit che separa il nostro mondo ricco dai dannati della terra. Mosso da profonda
sensibilit verso le ingiustizie e le
sofferenze inflitte ai troppi popoli,
capace di un lavoro metodico e capillare, sempre in prima linea nelle
operazioni di solidariet internazionale, ha rivolto il suo impegno sugli effetti della Guerra. Solo saltuariamente, in occasione dellesplodere delle guerre, ha prestato una
breve attenzione alle basi militari da
cui partivano le incursioni e ai crimini di guerra in tempo di pace perpetrati contro le popolazioni condannate ad ospitare le basi e i poligoni di morte

Nellattuale scenario
internazionale di guerre infinite
e preventive la macchina bellica
adegua i suoi dispositivi
alle mutate opportunit

apprendono da il manifesto di essere


da tempo classificate dai Comandi
militari come citt a rischio nucleare. Democraticamente allinsaputa della cittadinanza e del
Parlamento, sono stati adibiti al
transito e alla sosta dei sommergibili a propulsione nucleare e armamento atomico i porti di Cagliari,
Augusta, Brindisi, La Spezia, Livorno, Taranto. A questi si sommano i
porti nucleari noti da tempo di La
Maddalena-SantoStefano, Gaeta,
Castellamare e Napoli.
In entrambi i casi, le reazioni sono
rimaste confinate a livello di minuscole associazioni di base, una manciata di sezioni locali di due partiti,
interventi isolati di alcuni consiglieri comunali e regionali e di pochi parlamentari. Non c stata nessuna organizzazione di massa che
abbia speso la sua forza per contrastare la nuclearizzazione militare
dellItalia da parte di potenze straniere (lItalia non possiede sommergibili nucleari), per esigere il ripristino della legalit e il rispetto
della volont popolare che con il referendum ha messo al bando il nucleare

IL

PROBLEMA DELLA

R I D I S L O C A Z I O N E M I L I TA R E

D UE

ESEMPI

1. Ottobre 1999, il Rapporto dei ricercatori statunitensi Norris e


Arkins quantifica e mappa le armi
atomiche e a capacit atomica depositate dagli Usa nei Paesi di
mezzo mondo, spesso allinsaputa
degli Stati sovrani. Il Rapporto
dellHeadquarters United States
Air Force in Europa valuta insoddisfacenti i livelli di sicurezza in
circa il 50% delle aree visionate. Il
popolo italiano che con il referendum ha messo al bando il nucleare
civile, scopre di ospitare il nucleare peggiore.
2. Febbraio 2000, sei citt italiane

26

Nellattuale scenario internazionale di guerre infinite e preventive


la macchina bellica adegua i suoi
dispositivi alle mutate opportunit e riposiziona le pedine nello
scacchiere mondiale. Il dispositivo
utilizzato per contenere la fantomatica invasione comunista non
pi funzionale allobiettivo di colpire con rapidit i nuovi sfuggenti
nemici annidati dovunque siano
minacciati i nostri interessi.
La ristrutturazione e il riposizionamento delle forze militari dellunica Potenza rimasta investe in
pieno anche lItalia, sia per la sua
posizione strategica e la consolidata
presenza di strutture militari stabilmente a disposizione Nato-Usa, sia
per la fedelt canina, cieca e assoluta ai diktat di Washington, pro-

Settembre - Ottobre 2004

fessata e dimostrata dai vari governi


italiani di centrodestra, centro e
centrosinistra della prima e seconda
Repubblica.
La discussione sulla riconfigurazione strategica delle pedine avviene, come sempre, nel segreto di
stanze ovattate, sottratta alla discussione pubblica e al controllo democratico. Come da prassi ben consolidata in Italia, fortemente probabile che siano i fatti, le opere in
corso a rendere manifesto il contenuto di negoziati e accordi rigorosamente segreti. Alcune informazioni filtrano attraverso la stampa
statunitense e circolano, con scarsissimo rilievo, nella stampa italiana
a partire dal gennaio 2004.
Il progetto del Pentagono, definito
dalla stampa Usa la pi rilevante ristrutturazione dal 1945, la rivoluzione nelle questioni militari presentato da Rumsfeld come una
nuova riorganizzazione modulare
che coniuga il passaggio dalla static defense alla dynamic defense
con la ridislocazione delle postazioni militari statunitensi in funzione dellavanzamento della zona
dinfluenza Nato-Usa verso lEst europeo e laccresciuta rilevanza strategica del Mediterraneo.
Si abbandonano i massicci schieramenti allestiti per tenere a bada il
nemico comunista e si adotta un
meccanismo pi flessibile dislocato
nellarea mediterranea e nelle ex repubbliche sovietiche, Paesi baltici,
Polonia, Ungheria, Bulgaria. L obiettivo la massima rapidit e flessibilit operativa per intervenire in
Medio oriente, Asia centrale, Africa,
Paesi canaglia e Paesi covo di terroristi.
Lo snellimento delle basi militari e
labbattimento dei costi di gestione
comporta il passaggio dalluso finora occasionale di porti e aeroporti civili e allutilizzo disinvolto e
stabile delle strutture civili. Va da s
che la pericolosa cogestione o convivenza del traffico civile con quello
militare non argomento dinteresse per le autorit Usa. La sicurezza delle popolazioni non affare
che possa riguardare la Superpo-

Settembre - Ottobre 2004

tenza.
Loperazione di riconfigurazione
strategica investe in pieno lItalia,
da Milano a Sigonella passando per
Camp Derby. A Napoli, in una cittadella militare vicina allaeroporto
di Capodichino, sar piazzato il
quartiere generale della Us Navy in
Europa che trasloca da Londra. La
base Nato di Solbiate Olona, situata
in prossimit dellaeroporto di Malpensa, diventer la sede dei comandi proiettabili ad alta prontezza
operativa della Nato (High Readiness
Force), sede operativa per la forza di
terra a pronto intervento. La struttura compie un balzo qualitativo acquisendo la Full Operational
Capability e potenzia le strutture logistiche con la creazione di una
nuova cittadella militare. Dagli attuali 6.000 militari in servizio nella
base si passer a 21.000 entro lautunno 2006.
Sul riposizionamento della VI Flotta
Usa del Mediterraneo circolano versioni diverse. Secondo alcune fonti
sinsedierebbe in Turchia, secondo
altre traslocherebbe nella base aeronavale di Rota (Cadice) aldil
dello stretto di Gibilterra. Il motivo
sarebbe di natura strettamente economica: il costo dei ser vizi in
Spagna sarebbe inferiore del 50%
rispetto a Napoli e Gaeta.
Lipotesi di cedere alla Spagna il
gioiello a stelle e strisce stata colta
al volo da alcuni esponenti della sinistra per sbeffeggiare il gran capo
Berlusconi per lo sgarbo ricevuto
dallamicone Bush che declassa
lItalia togliendole il privilegio di
ospitare un pezzo di US Navy. Le dicerie sono state prontamente smentite dal ministro Frattini. In unintervista alla Reuters questi dichiara:
LItalia esce con un risultato tra i
migliori: mantiene una forte presenza di forze Nato e forze Usa e soprattutto accede a quella rotazione
nelle posizioni di comando apicale
di alcune direzioni Nato che finora
non avevamo.
Lesperienza di oltre cinquantanni
dinvasione militare straniera fomentata da tutti i governi italiani impedisce di stupirci per il baratto

Guerra infinita/Lotta per la pace

della sovranit su pezzi di territorio


in cambio di alcuni posti di comando per i generali tricolore.
Scandalizza la convinzione profonda che traspare dalle parole del
ministro: il risultato tra i migliori cui
aspira lItalia lincremento delle
pesantissime servit militari, il rafforzamento del presidio americano
insinuato in ogni ganglio della societ. Allarma constatare che la
stessa convinzione di fondo del ministro Frattini emerge anche dalle
dichiarazioni di alcune persone
dello schieramento politico opposto.
La strage di Madrid e lascesa al potere di Zapatero hanno rilanciato la
versione diffusa da Peacelink lo
scorso febbraio: Taranto ospiter
la VI Flotta Usa, i Comandi Nato
HRF delle forze navali proiettabili
ad alta prontezza operativa (High
Readiness Force) e il sistema di spionaggio militare, il grande orecchio
Echelon che trasloca da Brindisi. In
attesa di assumere il nuovo ruolo
strategico, la citt si prepara: stata
inaugurata una nuova base Nato a
Chiapparo e gli alti gradi Usa denotano un interesse crescente per il
porto mercantile.
La versione di Peacelink, suffragata
da documenti della US Navy, appare
la pi convincente e offre unulteriore chiave di lettura sulla nuova
base Usa in costruzione a La
Maddalena. Il Mediterraneo risulterebbe diviso in due settori operativi, il bacino est, sotto il presidio
della base maddalenina, il bacino
ovest, sotto controllo della base di
Taranto, i comandi di Napoli posizionati al centro.

AMBIGUIT

E RETICENZE

D E I M O V I M E N T I PA C I F I S T I

Lo scenario italiano per certi versi


un dj vu in Sardegna: una classe
politica latitante o prona ai diktat
del governo-amico di turno a sua
volta prono ai diktat dellAlleatoPadrone; il mutismo dei sindacati
sulleconomia drogata e sulla sottrazione di risorse che penalizza

lintera collettivit, o peggio, lavallo degli spot pubblicitari sui posti di lavoro offerti dalle basi della
guerra; la cecit del mondo ecologista sullo scempio ambientale
strutturalmente connesso alle attivit militari; lattenzione scarsa e saltuaria dei movimenti (pacifista, antiglobal, antiguerra, movimento dei
movimenti etc.) sui temi delle strutture e installazioni militari che alimentano e sostengono la macchina
della guerra.
Come sempre accade quando sono
in ballo questioni attinenti il potenziamento della fabbrica di
guerra, la Sardegna suo malgrado
allavanguardia. Il piano Usa che
oggi si delinea in Italia tra conferme

Taranto ospiter la VI Flotta Usa,


i Comandi Nato HRF
delle forze navali proiettabili
ad alta prontezza operativa
(High Readiness Force)
e il sistema di spionaggio militare

e smentite, nellisola-paradiso della


guerra, da oltre tre anni, pubblico,
confermato e arrogantemente ribadito: la US Navy sinstalla permanentemente a La Maddalena e costruir una nuova imponente base
a terra in spregio a tutte le norme
urbanistiche. Il Governo Berlusconi
per bocca del ministro Martino ha
da tempo detto senza mezzi termini
che la volont del popolo sardo di
eliminare la base atomica Usa conta
meno di zero.
Linsediamento di unimponente
base atomica statunitense nel cuore
del Mediterraneo la concretizzazione della volont di egemonia totale, lincuneamento di una sorta di
lancia doppia, unascia bipenne

27

Guerra infinita/Lotta per la pace

con una lama rivolta contro Africa,


Medio Oriente e Asia centrale per
tenere sottomessi i popoli dellarea
del petrolio e del terzo e quarto
mondo, laltra puntata contro
lEuropa per spezzare sul nascere i
progetti di liberarsi o perlomeno di
allentare la soffocante tutela degli
Stati Uniti, un cuneo nel cuore della
potenziale rivale che potrebbe
emergere.
Quanto sia forte il timore che lEuropa possa decidere di fare a meno
della difesa gentilmente offerta
dagli Usa con lo strumento Nato
detto a chiare lettere dai vertici politici e militari statunitensi ben
prima del fatidico 11 settembre e
dellavvio della Guerra infinita. E
importante che la Nato non sia sostituita dallUE lasciando gli Usa
senza una voce nelle questioni europee (Project for the new american
century , 1997)
In Italia, come in Sardegna, si gioca
a marginalizzare lopposizione popolare ai disegni di rafforzamento
della schiavit militare, a ridurla a
vertenza meramente locale, a isolarla dal contesto. Nel panorama
politico nazionale e internazionale
si stenta ad intravedere un referente
politico che abbia la volont di opporsi con forza e con coerenza al
progetto complessivo di incremento insostenibile dellasserv imento militare Usa-Nato che travolge lEuropa e lItalia

L A N E L L O

DEBOLE

Lanello debole su cui si regge il progetto egemonico Usa l a priori

28

che lopinione pubblica sia manipolabile allinfinito e che ottenere


il consenso sia solo una questione di
tempo, di campagne mediatiche efficaci e di democratico imbavagliamento del dissenso. La Spagna
ha dimostrato quanto sia errata questa premessa.
In Sardegna il processo di militarizzazione selvaggia ha messo a nudo
il suo tallone dAchille: lantagonismo popolare, unopposizione trasversale che travalica i tradizionali
steccati ideologici di partito, si autoorganizza e si auto-coordina dal
basso sferrando lattacco su fronti
diversi con strumenti diversi, con
obiettivi parziali diversi (referendum, informazione, indagini scientifiche attendibili sulla contaminazione da poligono, indagini epidemiologiche, ri-appropriazione delle
risorse del territorio etc.) che concorrono a rimettere pesantemente
in discussione il ruolo assegnato alla
Sardegna di sentina della portaerei
Italia.
Le lotte frantumate nel territorio
stanno progressivamente trascinando le istituzioni e pezzi di classe
politica. Al momento non sintravede ancora un referente politico
che ponga con decisione, senza se e
senza ma, il problema dello smantellamento delle basi della guerra,
che colga come nelle diverse lotte
di categoria che vanno sviluppandosi contro la militarizzazione della
Sardegna non c solo la rivendicazione settoriale di diritti negati (salute, sicurezza, bonifica ambientale,
controllo democratico del territorio, uso sostenibile delle risorse etc)
tacitabile con una manciata di euro,

Settembre - Ottobre 2004

qualche indagine ambientale pseudo-scientifica e un monitoraggio


con effetto placebo.
Nellantagonismo popolare che
oggi scuote la Sardegna si riversano
i sogni, finora taciuti ma gelosamente conservati e nutriti, di un popolo che aspira a restituire alla sua
isola il ruolo di crocevia di popoli e
culture, unisola che riprenda il dialogo e lo scambio con le due rive del
Mediterraneo, unisola al centro di
un mare liberato dalla presenza minacciosa e sinistra di potenze atlantiche nutrite di barbare velleit di
dominio.
Questo progetto non solo nostro,
lo precisiamo con le parole, non di
un politico, ma di un archeologo tunisino, un esponente della cultura
altra, la cultura nemica di quella
civilt che ci viene presentata come
irriducibilmente ostile e contro la
quale siamo chiamati a combattere:
Nessuno come lItalia, per il suo
passato storico e per ragioni geografiche, pu assicurare la pace nel
Mediterraneo e quindi nel mondo.
E in questa visione del possibile futuro la Sardegna ha una parte politica importante, magari determinante per la spinta che pu imporre. Possiamo finalmente dire
che la diversit culturale della Sardegna ha prove sicure e che quindi
la Sardegna ha una base culturale
politica. Lisola che era una cerniera allora ( II millennio a.C.), oggi pu riprendersi quel ruolo, tenendo conto dei Paesi del Maghreb
cos vicini allEuropa (Azedine
Beschaouch, Accademico di Francia, primo consigliere del direttore
dell Unesco per la cultura).

Settembre - Ottobre 2004

Guerra infinita/Lotta per la pace

La richiesta
di lasciare libere
donne irachene carcerate
in cambio delle due Simone
mi pareva equa

Movimento
contro la guerra
e Resistenza
irachena

di Lidia Menapace

NESSUNA ALTERNATIVA: FUORI LA GUERRA DALLA STORIA

mio parere, il movimento contro la


guerra e per il ritiro delle truppe
dall'Iraq si arricchito con la recente oscura vicenda delle margherite (intese come Simona e Simona
e i due iracheni, non come le rutelliane!) di un importantissimo elemento politico, cio di tutto il vasto
popolo iracheno, mussulmano, mediorientale, arabo che colpito e
impaurito per le prospettive funeste
che l'occupazione dell'Iraq suscita
in tutta l'area.
Dico incidentalmente che quando
dopo la fine della seconda guerra
mondiale a Yalta ci fu la spartizione delle aree di influenza tra i vincitori, il Medio oriente non fu attribuito e lasciato come zona nella
quale sarebbe stata possibile la
guerra, probabilmente gi allora
pensata per il petrolio o perch si
voleva appunto che lo scontro fra le
due aree vincitrici contro il nazifascismo, ma gi ostili tra loro, avesse
uno sbocco previsto. Comunque, si
tratta di un'area cruciale negli equilibri geopolitici e che deve sempre
essere osservata con grande attenzione e preoccupazione. In effetti,
l che la guerra fredda non c' mai
stata, ma da sempre ci sono scontri
armati caldi.
Aggiungo che il mio dire sar fondato, per quel che posso, sulla ragione e anche sulla memoria, cio
sar sempre contrappuntato su ci

che a me fa venire in mente somiglianze e differenze rispetto alla resistenza italiana, che so benissimo
molto differente da quella irachena, ma anche somigliante. Ad
esempio, fare sequestri di persone
per avere ostaggi da scambiare coi
prigionieri che avevano in mano i
nazifascismi, era cosa che praticavamo, ed una forma di azione nonviolenta, dato che lo scopo di salvare vite umane persino sottostando
alle condizioni ineguali poste dagli
occupanti. Naturalmente la guerriglia non fa prigionieri perch non
ha n carceri n campi di concentramento, tuttavia pu fare sequestri transitori per ottenere la liberazione di chi stato fatto prigioniero
o rastrellato etc. Ad esempio, la richiesta di lasciare libere donne irachene carcerate in cambio delle due
Simone mi pareva equa e capace di
smascherare una volta ancora l'uso
illegale da parte degli occupanti di
considerare carcerabili dei civili iracheni cui non stata contestata nessuna accusa davanti a nessun tribunale.
Un'altra cosa che voglio ricordare
che la resistenza sempre un movimento molto complicato, perch
non ha insediamenti di tipo statale
ed clandestina. I timori di infiltrazioni, tradimenti etc. sono continui e inevitabilmente portano anche ad azioni ingiuste e tragiche. C'

una specie di fissazione del tradimento e dello spionaggio: non mi


stupisce che le Simone siano state
interrogate come possibili spie, specialmente se i servizi segreti USA
avevano provveduto a far circolare
una notizia di questo tipo. miracoloso e segno di una grande politicit della resistenza irachena se i
sequestratori hanno voluto vederci
chiaro. Probabilmente sono ancora
colpiti che sia stato ucciso Baldoni,
proprio perch nel suo caso non c'
stato un movimento n un'organizzazione dietro le sue spalle che potesse dare garanzie di non coinvolgimento in azioni governative e anzi
la Croce Rossa se lo caricava addosso
rendendolo sospetto. una questione su cui indagare, come probabilmente sta facendo la procura
di Roma. L'agire della Cr italiana
molto dubbio: la Cr internazionale
l'ha gi ripresa e censurata alcune
volte per non essere indipendente
da azioni governative e militari
come invece prescritto nello statuto delle Cr delle varie nazioni.
Vale la pena di convincersi che le
normali reazioni e relazioni durante una lotta di liberazione da
eserciti occupanti sono cancellate
e tutto diventa molto complicato,
sempre mutevole e spesso assai ambiguo: mutano luoghi, tempi, simboli, chiavi di riconoscimento,
nomi. Come noto, la struttura re-

29

Guerra infinita/Lotta per la pace

sistenziale poggia sulla catena di riconoscimento che ciascuno ha


verso chi gli porta i messaggi e gli
ordini e la persona cui li deve trasmettere. Se in un punto qualsiasi la
catena viene bruciata, come si
dice in gergo, cio sorpresa e scoperta, si interrompe subito di necessit, perch nessuno conosce
nessun altro e ciascuno deve restare
ad attendere che in modo casuale o
cercato qualcuno riannodi le fila.
Per questo le trattative sono estenuanti e pericolose: chi tratta deve
badare molto alla segretezza della
catena e alla credibilit degli intermediari. Questo vero in linea generale, ma in pratica specialmente
nei paesi, montagne o luoghi po-

molto piaciuto
che la Simona romana
non sia andata
alla messa di ringraziamento
fatta celebrare
dalla Regione Lazio
con una botta di fondamentalismo

polati difficile potersi nascondere


sotto un nome falso o una falsa identit e quindi l vale soprattutto la fiducia e la solidariet reciproca: la
resistenza in montagna pi dura,
ma meno stressante; quella in citt
meno dura ma molto appesantita da
paure di tradimenti e rischi. Inoltre,
chi nel corso di una lotta di resistenza svolge attivit politica umanitaria, per ci stesso pi esposto
a rischi perch non fa uso della clandestinit ed sempre raggiungibile.
Vi un altro ragionamento da fare,
se si debba volere un movimento di
resistenza molto compatto o che si

30

allarghi. Chi fa uso della lotta armata quasi esclusivamente, ottiene


un movimento di resistenza di tipo
strettamente militare e cruento; chi
tende ad allargare ad azioni contro
le cose (attentati a pozzi, ponti, linee ferroviarie) o di disobbedienza
civile, come in molti Paesi europei
contro l'occupazione nazi (l'Olanda apr le dighe e and sott'acqua,
la Norvegia fece un famoso sciopero
generale di tutte le scuole, scioperi
nel triangolo industriale ci furono
anche in Italia in tre ondate tra il
1944 e l'insurrezione, cos come sabotaggi organizzati delle macchine
in fabbrica e sottrazione dei raccolti
alla consegna ai militari sull'Appennino etc.) si ritrova con un movimento politico che senza escludere azioni armate (ma non necessariamente militari) ingloba azioni
umanitarie, copertura di prigionieri a favore di perseguitati politici razziali etc. Si tratta di due strade ben
diverse. Credo che la Resistenza italiana abbia dimostrato di saper percorrere quella del massimo allargamento e con ci di essere stata in
grado di esercitare una importante
influenza politica, ad esempio mettendo subito in funzione un governo anche sotto occupazione e
prendendo in mano la proposta di
scrivere una Costituzione per la
Repubblica.
Ma veniamo alla vicenda delle due
Simone, che a mio parere poteva e
voleva essere giocata dal governo
contro il pacifismo e le ong e che gli
si rivoltata nelle mani: perci pu
e deve essere giocata a favore delle
richieste di ritiro delle truppe, e
della restituzione della sovranit al
popolo iracheno. Con questo mi avvicino a una delle cose pi curiose
della vicenda, cio come sono state
portate via: la resistenza che manda
di giorno in una strada frequentata
uomini armati e in divisa ad eseguire un arresto, con un elenco di
nomi o non resistenza, ma servizi
segreti travestiti, oppure una resistenza che ha talmente vinto da essere ormai quasi Stato.
Esaminiamo le due ipotesi: che ci
siano in mezzo i servizi segreti ame-

Settembre - Ottobre 2004

ricani o inglesi, o del governo fantoccio, o anche pezzi di servizi saddamisti ricostituiti, possibile, e che
facciano opera di disinformazione
certo; quindi possono essere stati
loro a diffondere la versione che ci
arrivata, dato che le Simone interrogate dicono di non ricordare uomini armati etc. Una buona norma
di non credere quasi nemmeno a
ci che si vede: tanto per dire, non
credere al video attribuito ad Al
Yazeera (ma da loro rifiutato) sulla
liberazione delle due, che per la verit sembra una cosa fatta girare
dalla Cri con proprie attrezzature e
unaccurata inquadratura con sfondo di moschee. Detto incidentalmente, mi molto piaciuto che la
Simona romana non sia andata alla
messa di ringraziamento fatta celebrare dalla Regione Lazio con una
botta di fondamentalismo, come invece mi infastidiscono le domande
rivolte a non ricordo quale delle
due se dato che conosce l'arabo e
il Corano intenzionata a convertirsi all'Islam. Dato che ho toccato questioni di laicit e di privacy,
vorrei che i politici in genere dessero prova di una discrezione e gelosia delle proprie convinzioni pari
a quella delle famiglie dei quattro
protagonisti dell'avventura. Invece,
sfilate senza costrutto, soliti mezzibusti gloriosi, esaltazioni e vaniloqui che tutto significano tranne un
qualsiasi senso di umanit o una
qualsiasi ipotesi politica non volta a
dare fama e fiato a se stessi.
Mettiamo dunque che la vicenda abbia avuto inizio tramite servizi segreti, ma la gestione politica che ne
stata fatta dalle prigioniere, dalle
loro organizzazioni, dal movimento
pacifista e dalla stessa resistenza irachena ha dimostrato che si pu essere pi bravi dei servizi segreti e anche usare le loro procedure per ottenere altri effetti. Decisiva in questo caso stata la pubblica azione
delle moltitudini, che hanno invaso
le piazze in molte citt gridando
Liberate la pace; le folle mussulmane che ovunque hanno chiamato sorelle e amiche le prigioniere, e hanno fatto saltare altri calcoli e addi-

Settembre - Ottobre 2004

rittura reso impossibile una conclusione tragica. Mi spiego: nei casi dei
contractors precedenti (che comunque erano persone a fianco degli
eserciti occupanti e non pezzi di organizzazioni umanitarie) o nel caso
Baldoni (davvero un rimorso per
non aver saputo trovare la strada per
lui) se qualcosa va storto nei disegni
di chi sequestra, la soluzione violenta inevitabile. Se il caso non
viene gestito col massimo di pubblicit, di trasparenza politica, di ricerca di allargamento del consenso
intorno alle persone sequestrate: in
questo caso anche organizzazioni
terroristiche (ma non detto affatto
che i sequestratori siano terroristi:
come noto, il terrorismo stile Al
Qaeda non fa parte della tradizione
irachena, cosa importata dall' Arabia Saudita) sono costrette a fare
i conti con l'impopolarit in cui incorrerebbero. Inoltre, agire in modo che molte persone si sentano coinvolte, sentano il dovere di dire,
fare, protestare, esserci la migliore, forse l'unica vera opposizione e risposta al terrorismo, dato
che questo fenomeno politico-criminale di estrema destra si fonda
sulla capacit di rendere le masse
apatiche impaurite e dimissionarie,
occupando perci la scena politica
per intero, cancellando la societ:
insomma una operazione simmetrica a quella della guerra.
Ogniqualvolta si riesce a recuperare
spazio alla politica, alla parola, alla
responsabilit dichiarata, il terrorismo indietreggia, dato che esso
uno specchio della guerre e come
la guerra prospera sulla scomparsa
della politica, sostituita dalla violenza pi bruta e indiscutibile.
Orbene: ci che successo.
Intorno a questa vicenda si aperto
un sentimento diffuso che ha alla
fine condotto a buon esito l'evento.
Ma questo che cosa significa? che
l'opinione negativa sulla guerra e
sull'occupazione si amplia e diffonde e rieduca le persone. Ormai,
oltre a chi gi chiese il ritiro delle
truppe da subito (anzi era contrario
a che venissero inviate), oltre a un
governo che le ha ritirate manife-

Guerra infinita/Lotta per la pace

stamente, altri che lo stanno facendo di nascosto, imprese che si ritirano da affari troppo costosi in termini di riscatti o pagamento di indennizzi, oltre alla ripetizione di
questa richiesta di ritiro fatta propria da alcune forze politiche o da
pezzi di altre, oltre alle pressioni
perch di ritiro si discuta pubblicamente, addirittura il re di Giordania
chiede che l'occupazione americana finisca subito, prima che si
possa avviare un qualsiasi discorso
di pace. Non ancora Fassino, ma
si sa un tipo molto riflessivo, gli
ci vuole tempo. Ma torniamo al re
di Giordania: la sua una richiesta
importante, la Giordania il Paese
pi politicamente filoamericano e
filobritannico dell'area e in modo
pi ragionato e presentabile che
non gli Emirati, l'Arabia Saudita o il
Pakistan. Fa parte della zona di libero scambio, nell'area del dollaro. Se dice che gli eserciti stranieri
debbono mettere fine all'occupazione significa che, altrimenti,
avrebbe difficolt a conservare le
proprie posizioni di politica internazionale.
Come ha fatto la resistenza irachena
a ottenere tali risultati? Ha certo ottenuto successi e un aumento automatico del consenso popolare in
conseguenza dei terribili bombardamenti che gli americani e gli inglesi hanno continuato (a guerra finita per loro dichiarazione) a scaricare sulle popolazioni civili delle
citt. Il governo messo su dagli USA
non pu avere alcun prestigio, sarebbe stato considerato collaborazionista in Europa durante la lotta
contro i nazifascisti, (come il governo Ptain in Francia e il governo
Quisling in Norvegia). Sarebbe a
questo punto augurabile che la resistenza irachena mutasse pratiche,
non verso il governo, ma verso chi
collabora per fame: sempre possibile avere utili informazioni o mezzi
o sedi da parte di possibili renitenti
o disertori politicamente decisi.
Chiedere il ritiro o ottenerlo di fatto con sequestri delle imprese che
portano via tutto il lavoro di ricostruzione con lauti guadagni e ra-

pina di risorse del popolo iracheno,


in modo che agli iracheni resti qualcosa da fare oltre che i poliziotti
(sembra l'unico lavoro offerto)
pure importante. Sembra di avvertire, in una svolta pi politica, il
peso della in parte ricostituita forza
del partito Baath (la richiesta di liberare detenute che erano importanti espressioni del passato regime
baathista significativa): del resto
l'unica forza che pu cercare di rifare una parvenza di Stato laico. E
quindi pu anche far filtrare l'idea
che sia giusto chiedere un processo
per Saddam, la libert per le scienziate baathiste incarcerate, il che significa mettere le basi di uno Stato
non fondato su una scuola coranica,

Ogniqualvolta si riesce
a recuperare spazio
alla politica, alla parola,
alla responsabilit dichiarata,
il terrorismo indietreggia

ma su concetti giuridici condivisibili e addirittura lanciare una campagna di riconciliazione nel popolo
iracheno, operazione che non pu
essere gestita dal consiglio degli
Ulema, senza che si avvii la costruzione di un miserevole Stato confessionale tremendo. Solo una dimensione laica e politica pu far
partire una campagna di riconciliazione persino con chi ha lavorato
sotto il governo fantoccio quando
non si sia macchiato di delitti o violenze, ma abbia solo eseguito azioni
di sicurezza e ordine pubblico.
A mio parere ormai, da parte di chi
ha sempre sostenuto il diritto del
popolo iracheno a resistere come

31

Guerra infinita/Lotta per la pace

voleva e poteva all'occupazione, sarebbe giusto incominciare ad esprimere giudizi politici sulle varie
forme di resistenza, sul tasso di laicit e democrazia delle stesse: avere
un atteggiamento critico il modo
migliore per superare anche il fondamentalismo. Qualcosa di simile
capit spesso anche da noi a proposito di carabinieri o polizia o funzionari o impiegati pubblici che si
trovavano nelle strutture della repubblica di Sal. Pi si avvicinava la
fine, pi numerosi erano i membri
delle forze dell'ordine che facevano
una specie di doppio gioco o disertavano o davano indicazioni utili
etc. Ci che sta succedendo, a me fa
venire in mente una fase che dur
alcuni mesi tra la fine del 1944 e il
1945, fase che fu palesemente di duplicit di poteri.
Per farmi capire racconto un episodio. Nella mia citt natale Novara
la lotta di resistenza fu molto forte,
come in tutta la provincia. Sul finire
del 1944 o addirittura in gennaio o
febbraio del 1945 avvenne un fatto
di sangue: un giornalaio, titolare
storico, con la sua famiglia, di una
edicola che sta nella piazzetta delle
Erbe in citt, mentre arriva la mattina presto, al buio, perch era inverno, c'era il coprifuoco e l'oscuramento, trova steso nel sangue vicino all'edicola un morente che gli
dice stato Zurlo! e poi spira.
Spaventatissimo, il giornalaio non
sa cosa fare, ma non pu nascondere di aver visto un fatto avvenuto
proprio a fianco dell'edicola .
Perci, appena arriva la polizia, dice
di essere morto di paura e di volere
andare a casa, sempre a disposizione per la testimonianza. Si mette
a cercare il CLN per sapere che cosa
deve fare, dato che, se dice ci che
successo, di certo viene condannato a morte, come partigiano che
ha cercato di resistere o ucciso senza
processo per togliere di mezzo un
testimone scomodo: lo Zurlo indicato dalla vittima morente come autore del delitto il capo della squadra politica della questura di
Novara, detta popolarmente la
squadraccia. Il Miramonti (questo

32

il cognome della famiglia dei giornalai) sa che se dice il vero sar a sua
volta ucciso, ma se dice il falso d
l'impunit a un pericoloso assassino. Dal CLN vuole avere indicazioni sul che fare. Il CLN di Novara
poteva fruire come consigliere giuridico di Scalfaro, allora giovane
vice-procuratore del re presso il tribunale cittadino. Il consiglio che il
Miramonti riceve di rendere una
testimonianza reticente, in modo
che si possa dopo la Liberazione
fare un giusto processo. Interrogato, dice che il ferito era fuori di
s, non connetteva e dopo aver
detto azzurro era spirato. Il procedimento contro ignoti viene
chiuso e archiviato dai fascisti e lo si
riapre dopo il 25 aprile nel tribunale
rivoluzionario fatto da un comandante partigiano, da una giuria popolare che subito ripristinammo e
da Scalfaro come Pubblico
Ministero: si fece il processo e Zurlo
che era stato catturato poco prima
dell'insurrezione, fu riconosciuto
colpevole di omicidio, aggravato dal
fatto che lui era un appartenente
alle forze dell'ordine, che aveva abbandonato un morente senza soccorso etc. La testimonianza del
Miramonti fu molto importante per
consentire a Scalfaro, applicando il
codice fascista, di chiedere la pena
di morte e subito, per mostrare che
noi non eravamo d'accordo con
quel codice, di avanzare domanda
di grazia e trasformare la condanna
in ergastolo. Era gi d'accordo con
Parri, che senza timori concesse
quella come altre grazie.
In quel periodo era relativamente
possibile che dei soldati della
Wehrmacht cercassero abiti borghesi: insomma vi erano indizi di cedimento. A me sembra che, con tutte le differenze del caso, anche in
Iraq si stia delineando qualcosa di
simile con l'incrudimento delle
operazioni di guerra da parte degli
occupanti (bombardamenti selvaggi e continui sulle citt ribelli) e
anche con l'apparire delle differenze di schieramento tra i resistenti: anche tra noi le discussioni si
facevano pi serrate e aspre, ad

Settembre - Ottobre 2004

esempio con i monarchici e sul futuro del Paese etc. In questo periodo chi si avvicinava alla resistenza
non era necessariamente un opportunista, poteva anche essere una
persona sprovveduta che si rendeva
conto di ci che stava succedendo;
altri invece pensavano di stare a
margine per potersi schierare con i
vincitori, altri avevano paura magari
perch avevano profittato del mercato nero e fatto soldi sulla fame dei
pi, e temevano vendette, i fascisti
e gli occupanti si comportavano essi
pure cos. Un periodo di transizione
pu durare mesi ed pericolosissimo e pieno di ambiguit: per questo molto importante che le posizioni politiche di chi vuole la fine
della guerra e dell'occupazione
siano ferme, limpide e acquisiscano
consenso.
Oggi questo il compito principale
del pacifismo: dichiarare che spetta
al popolo iracheno decidere, che
nessuno pu fargli lezione di democrazia, che nel 1945 noi venivamo da ventanni di dittatura, e dagli orrori della guerra e del nazismo
e non volevamo accettare di essere
sotto tutela nemmeno di quelli che
avevano legittimamente vinto una
guerra che noi gli avevamo scatenata contro: cercammo subito di
discutere del nostro destino e di ridiventare padroni della nostra storie. Il tentativo di rimettere su i
Savoia fu fatto e respinto. Non so
davvero come un Berlusconi o un
Fini abbiano la faccia di dire che ce
ne andremo dall'Iraq quando in
quel Paese ci sar una democrazia
rappresentativa Fini, erede di chi
spense anche quel poco che prima
c'era, e Berlusconi che marcia a tappe forzate verso il potere personale
e il presidenzialismo, andiamo!
Solo dopo l'affermazione dei diritti
del popolo iracheno possono venire
le dispute tra noi su chi si preferirebbe vincesse in Iraq: dopo gli interventi di occidentalizzazione forzata vi sempre stato un fiorire di
fondamentalismo e probabilmente
ci sar pure l, ma non credo per
quanto mi riguarda che lo giudicher favorevolmente. Non mi sono

Settembre - Ottobre 2004

battuta tanti anni fa contro il fascismo per far tornare lo Stato pontificio, proprio no.
La situazione in Afghanistan non
molto migliorata n per la sicurezza
n per la libert. Sar cos anche in
Iraq? Forse bisogner attivare sedi
di confronto teorico e di culture, sarebbe anche di grande interesse e
potrebbe essere un bel compito del
l'Unesco, ma forse i popoli a maggioranza mussulmana vorrebbero
prima avere tempo e spazio per confrontarsi tra loro. Un certo rischio
di etnicismo o di islamismo o di clericalismo c', ma mi pare che non
siamo molto in buona salute laica
nemmeno noi europei con le nostre
radici cristiane, le leggi che vietano il velo, le ministre che vorrebbero non si insegnasse l'evoluzionismo o i presidenti del senato che
chiedono crociate, o lo Stato che si
intriga di decisioni personali sulla
riproduzione. Facciamo tutti e tutte
un passo indietro, raffreddiamo un
po' le passioni e cerchiamo di rimettere in circolo un po' di razio-

Guerra infinita/Lotta per la pace

nalit umana calda di cuore.


E lasciatemi ricordare, in conclusione, una osservazione che mi capitato di fare anni fa: dopo la seconda guerra mondiale nessun
esercito regolare ha mai pi vinto
una guerra: Francia e USA le hanno
prese in Vietnam, i Sovietici in
Afghanistan, non si dir che Israele
sia riuscito a venire a capo di un popolo a lungo senza terra e malridotto come i Palestinesi, o che Bush
abbia vinto in Afghanistan o stia vincendo in Iraq.
del pari vero che le resistenze vittoriose nei Paesi citati (esclusa la
Palestina sempre insanguinata) abbiano poco visto fiorire la democrazia: come mi capita di dire con
un cortocircuito mentale: in Vietnam ha vinto militarmente Hanoi,
ma politicamente Saigon, dato che
il Vietnam ora alleato degli USA.
Le armi non sono buone nemmeno
quando sono buone. Bisogna
uscire da questa stretta disperante
accorgendosi e dichiarando che la
guerra per la sua dismisura uscita

da una qualsiasi possibile legalizzazione: nessuna causa per quanto nobile e sacrosanta legittima l'uso
della guerra e siamo obbligati/e
alla pace come strumento politico,
non come anelito delle anime belle.
Ci tocca trovare strumenti di analisi
e di denuncia precoce ed efficace
dei conflitti, di loro raffreddamento
e contenimento, prima che degenerino in scontri armati, di loro risoluzione concordata; insomma, ci
tocca fare la pace per davvero, come
abbiamo gridato noi femministe nel
1991 allo scoppiare della prima
guerra del Golfo, che ha inaugurato
un periodo di barbarie senza paragoni e il rilancio della guerra come
base della politica e addirittura del
diritto: Fuori la guerra dalla storia!: non solo un grido di insofferenza, il risultato di una analisi
sulla guerra e sulla pace del tutto politica, che chiede di essere considerata allargata e accresciuta di ragionamenti e procedure: insomma, ci
sarebbe lavoro e gloria per chiunque.

PER YASSER ARAFAT


Mentre andiamo in stampa, ci giungono le notizie relative allagonia di Arafat. Per questo numero non abbiamo pi il tempo materiale per parlare del grande leader del popolo palestinese. Ci torneremo sul prossimo numero. Ci appare comunque doveroso rievocarne la statura e lo facciamo attraverso le parole della compagna Luciana Castellina tratte da un suo articolo apparso su il manifesto dello scorso 30 ottobre ( giorno della manifestazione a Roma contro la guerra e contro la Costituzione europea), dal titolo La
pace non si esilia.
LA PACE NON SI ESILIA
S, angoscia e infinita tristezza. Perch Arafat non un simbolo vuoto come vorrebbero tanti interessati denigratori del presidente palestinese, la testimonianza di una fase decisiva della storia di questo popolo che grazie alla sua rottura, operata quasi 40 anni fa con
l'ambigua tutela di regimi arabi complici e conservatori, ha saputo costruire la propria autonoma soggettivit nazionale. Non so se qui
da noi i pi giovani avvertano in queste ore il nostro stesso turbamento. Per noi Arafat ha rappresentato la scoperta di un'ingiustizia che
ignoravamo, venuta prepotentemente alla ribalta grazie a una coraggiosissima guerriglia popolare, intrecciata a una spregiudicata iniziativa diplomatica, a una politicizzazione di massa che ha consentito di evitare i gesti esemplari ed isolati (si pensi alla condanna da
parte di Al Fatah del dirottamento degli aerei operato a suo tempo dal Fronte popolare) perch non rendevano partecipi la collettivit. Un
movimento nato da una costola del nazionalismo ma che rapidamente si era imbevuto della cultura del movimento operaio internazionale col quale si trov subito consonante. Da quell'esordio sono passati molti anni e la tragica immagine di Arafat prigioniero da due
anni e mezzo in un edificio diroccato di Ramallah, costretto a ricevere da Sharon la pelosa libert di uscirne per entrare in un ospedale di
Francia da cui non si sa se potr mai rientrare nel suo paese, mentre case e uliveti della sua gente vengono divelti dai bulldozer israeliani
e i corpi di fratelli e sorelle dilaniati dalle bombe di Sharon che passa per un eroe perch ha imposto il ritiro di qualche colono dalla
Striscia di Gaza, tacendo su cosa vorr fare della Cisgiordania - tutto questo rischia di farci morire la speranza nel cuore, di indurci a
pensare che i feddayn, che il presidente dell'Olp aveva portato alla ribalta della storia sono stati, anch'essi, un mito del `68. Da seppellire con tutti i sogni del `900. Ma che razza di mondo sarebbe quello che dovremmo accettare, dove si deve chinare la testa allo sterminio
di un popolo che rivendica il diritto di tornare sovrano su un pezzo almeno della propria terra? Non ha nulla da dire, e da fare, quell'Europa
che ieri si costituita? Quelli non erano miti, ma obiettivi che restano sacrosanti. Non possiamo, non dobbiamo abbandonare le speranze anche se i tempi in cui viviamo sono cos terribili. Oggi manifestiamo perch il martoriato Medio Oriente dei Grandi Territori occupati, la Palestina e l'Iraq, conosca la pace, chiediamo che gli italiani non siano complici del massacro. E piangendo i 100mila iracheni
morti ammazzati dai raid Usa, richiamiamo l'attenzione del mondo sulla moltitudine di vittime palestinesi che, paradossalmente, solo la
malattia di Arafat ha riportato sulle pagine di qualche giornale
Luciana Castellina

33

Settembre - Ottobre 2004

Lavoro

Salario e redistribuzione
del reddito, centro-sinistra
e alternativa

Appunti per
un conflitto
europeo

di Luigi Cavallaro

CAPITALE E LAVORO AL TEMPO DELLUNIONE ECONOMICA E MONETARIA

o gi argomentato in altra sede i motivi per cui considero sbagliato e pericoloso dare (o meglio, ridare) in
questa fase un contenuto meramente salariale al conflitto capitale/lavoro e non intendo ripetermi1.
In quella stessa sede, ho anche precisato che ci, ovviamente, non significa che non ci sia nulla da fare
o che tutto vada per il meglio, nel
migliore dei mondi possibili. Il salario, infatti, variabile dipendente
rispetto al profitto, ma variabile indipendente se inteso quale reddito
reale, al netto cio delle imposte e
al lordo dei servizi sociali (scuola,
sanit, pensioni, etc.). Secondo un
opinione non sospetta di simpatie
antagoniste, anzi, le principali fonti
darricchimento dei lavoratori nel
secolo scorso ci che ha consentito laumento del loro potere dacquisto del 250 per cento a partire
dal 1950 sono state le spese sociali
per beni e servizi, principalmente
scuola e sanit: lentit di questa
redistribuzione in natura che permette di misurare la differenza fra
Paesi scarsamente redistributivi e
Paesi fortemente redistributivi 2 ,
ed probabilmente il suo venir
meno in conseguenza delle politiche di rientro dal debito pubblico
che acuisce nel tempo presente la
percezione del proprio impoverimento reale da parte dei lavoratori.
Non posso quindi che concordare

34

con Sergio Cesaratto allorch riprendendo (pur criticamente) una


sollecitazione di Emiliano Brancaccio3 reputa che una politica
economica alternativa dovrebbe assumere lobiettivo di tornare a finanziare i consumi collettivi necessari a: a) dare un segno tangibile a
grandi masse di ceti popolari e medi
che il governo sta mutando la distribuzione a loro favore (sanit, servizi sociali, trasporti pubblici e qualit della vita nei grandi centri, etc.);
b) incrementare la spesa nella
scuola, universit, intervento pubblico nel settore industriale e tecnologico4 .
Aumentare i salari (re c t i u s, i redditi)
via spesa pubblica incontra, tuttavia,
diffuse obiezioni nel centro-sinistra.
Secondo Vincenzo Visco, ad esempio, data la relazione diretta fra livello dei tassi dinteresse di mercato
ed entit dei disavanzi pubblici, se la
convergenza fiscale dei Paesi aderenti allUnione si arresta e ognuno
si d alla finanza allegra, la politica
monetaria della Banca centrale europea (Bce) diventer pi restrittiva;
per di pi, non detto che allo stimolo fiscale faccia seguito la crescita, visto che, a parit (o quasi) di
deficit, leconomia americana decolla e quella europea ristagna.
Meglio sarebbe, perci, lasciar perdere riforme come la golden rule (la
regola aurea della finanza pubblica:

ci si indebiti pure per investire, ma


si tengano a freno le spese correnti):
non solo non certo che maggiori
spese per investimenti inducano
una crescita strutturale del Pil, ma
potrebbe perfino diffondersi la perniciosa idea che non si debbano introdurre tetti espliciti o impliciti allespansione del bilancio e giungersi
cos ad azzerare i surplus primari
prima e ad aumentare le spese correnti poi5.
Queste obiezioni non sono nuove,
essendo da trentanni in qua diffuse
dal peggiore monetarismo. Sono
sbagliate da un punto di vista teorico e per nulla suffragate a livello
empirico, perci inutili, salvo forse
per mascherare la propria incapacit progettuale con deresponsabilizzanti non possumus.
Innanzi tutto, la relazione fra livello
dei tassi dinteresse e disavanzi pubblici postulata da Visco esiste (e
dunque esiste la possibilit che laumento dello stock di d ebito
dellUnione si traduca in un aumento dei tassi dinteresse) se si pratica una politica fiscale espansiva in
presenza di vincoli alla crescita dellofferta di moneta. Rimossi quei
vincoli, la relazione ovviamente
cade.
Allo stesso modo, larresto della
convergenza fiscale fra i membri
dellUnione (pi esattamente: della
convergenza al ribasso del deficit e

Settembre - Ottobre 2004

dello stock di debito) pu implicare


una politica monetaria pi restrittiva solo in presenza di una Banca
centrale (com disgraziatamente
la Bce) che reca inscritto nel proprio statuto lobbligo di perseguire
la stabilit dei prezzi anche a costo
di creare recessione e disoccupazione. Dotando la Banca di altri
obiettivi, il pericolo sarebbe scongiurato. Lo conferma proprio il
caso statunitense, dove la ripresa
frutto di una politica fiscale drasticamente espansiva e di una politica
monetaria pi che accomodante,
che testimonia di quanto la Federal
Reserve abbia abbandonato le rigidit suggerite dai monetaristi ai
banchieri centrali d i tu tto il
mondo.6
Quanto poi allobiezione secondo
cui le spese per investimenti non
hanno lo stesso impatto espansivo
di quelle correnti per educazione,
ricerca e welfare, non si potrebbe essere pi daccordo. Ma ci contrariamente a quanto Visco lascia intendere non significa che ladozione di una golden rule sia inutile:
significa soltanto che dovrebbe decidersi a livello europeo che cosa
investimento pubblico, ricordandosi che lo Stato non produce merci
e dunque la redditivit di una sua
iniziativa va misurata in termini
reali e non monetari. Il problema
non pu essere qui affrontato ex professo; mi limito a rilevare, per fare
solo un esempio, che laumento
della vita media della popolazione
pu essere considerato come il
rendimento reale dei massicci
investimenti in salute che lEuropa fece nei trenta gloriosi anni keynesiani (1945-75); e non ci vuol
molto a intendere che il miglior investimento che una societ che invecchia pu fare quello di assicurare ai propri anziani unesistenza
diversa e migliore di quella che taglia qua, taglia l gli stiamo apprestando.
Considerazioni del genere, ovviamente, sono possibili a condizione
di aver chiaro un fatto tanto incontestato nella letteratura economica
quanto ignorato a livello politico,

Lavoro

cio che non esiste alcun livello di debito pubblico che non sia sostenibile, purch si dia unadeguata crescita ( l a
quale, ricordo, di solito inversamente correlata al livello dei tassi
dinteresse). Una volta definita la
frontiera di sostenibilit della finanza pubblica come dipendente
dalle grandezze assunte dai rapporti deficit/Pil e debito/Pil e dal
tasso di crescita del sistema economico, si pu mostrare ed stato,
difatti, mostrato che i parametri
fissati nel famoso Annesso al
Trattato di Maastricht (nessun deficit oltre il 3% del Pil e nessun debito oltre il 60% di esso) rappresentano solo un punto particolare
sulla frontiera ed esiste un infinito
numero di altri punti aventi le stesse
caratteristiche di sostenibilit.7
Messa cos la questione, ha certo ragione Visco a sostenere che il problema non (solo) il Patto di stabilit ma, pi in generale, larchitettura del Trattato di Maastricht. Ma
di nuovo sbaglia a non considerare
che la credibilit di una sua qualunque modifica non esclusa in
partenza, dipendendo in larga misura (se non completamente) dalla
possibilit di inventare meccanismi
istituzionali che tengano a bada linflazione senza per ci stesso condannare la politica economica allimpotenza delle (e ai guasti provocati dalle) supply-side policies.
Qui torna la questione della possibilit e auspicabilit di una politica
dei redditi su scala europea. Il problema principale con cui ha a che
fare qualsiasi proposta di aumentare la spesa pubblica costituito
dal fatto che il controllo sulla stabilit dei prezzi rimesso alla Banca
centrale europea, che come tutte
le Banche centrali ha un solo
modo per esercitarlo: una politica
monetaria restrittiva.
Non detto, per, che la politica
monetaria debba essere appannaggio dellautorit monetaria, tanto
pi che, grazie a Sraffa, sappiamo
che affidare il controllo della quantit di moneta ad una Banca centrale indipendente equivale a tra-

sferirle anche il potere di determinare la distribuzione del reddito fra


salari e profitti8. Esiste una via alternativa, indicata chiaramente da
Keynes nella Teoria generale:
Certo, se in una condizione di non
piena occupazione il lavoro fosse sempre
in condizione di agire (e agisse) in modo
da ridurre con unazione concertata la
propria domanda monetaria fino al
punto richiesto per re n d e re la moneta
cos relativamente abbondante rispetto
allunit-salario da far discendere il
tasso dinteresse al livello compatibile
con la piena occupazione, avremmo, in
effetti, una manovra monetaria volta
alla piena occupazione gestita dalle organizzazioni sindacali, invece che dal
sistema bancario. 9
Insomma, posto che a livello di area
euro c bisogno di avere un segnale per le parti, un qualcosa che
dica a tutti qual la dinamica dei
prezzi verso cui si vorrebbe tendere10, la domanda : lindividuazione di questa dinamica devessere
rimessa allautorit monetaria o
pu essere il frutto di una contrattazione collettiva fra le parti sociali?
E di riflesso: pensabile oggi una
contrattazione collettiva europea
che tolga alla Bce il compito di custodire la stabilit monetaria e le attribuisca il pi modesto compito di
fissare il saggio dinteresse a quel
(basso) livello tale che la spesa privata e una spesa pubblica non pi
impastoiata nelle secche del Patto
di stabilit possano garantire il
pieno impiego? ipotizzabile che
una politica dei redditi, accompagnata da forme di pubblicit dei costi, da divieti di speculare sulla struttura delle passivit e da programmi
generosi di sicurezza sociale, induca
i lavoratori a preferire larricchimento reale dei servizi pubblici allillusione monetaria della rincorsa
salariale? E non potrebbe essere
questa la premessa perch la necessaria flessibilit della prestazione lavorativa smetta di tradursi in precariet e diventi realmente unoccasione, sul modello di quanto avviene in Svezia o Finlandia?
Daltra parte, riconoscere loppor-

35

Lavoro

tunit (se non proprio la necessit)


di una politica dei redditi europea
non significa sposare lassetto che
ha governato le relazioni industriali
italiane nellultimo decennio: evidente che questultimo ha fallito nel
suo obiettivo principale, cio convincere le imprese sintende,
quelle non esposte al vincolo della
concorrenza internazionale, che
sono le principali artefici del gigantesco cambiamento dei prezzi relativi registratosi in questi ultimi
anni11 che variare la distribuzione
del reddito con larma del rialzo dei
prezzi controproducente.
Il motivo, in fondo, semplice. Un
qualsiasi obiettivo dinflazione programmata credibile per le imprese
solo se esse sanno per certo che ogni
scostamento al rialzo le esporr sempre a pagare salari pi alti e, probabilmente, anche ad un aumento dei
tassi dinteresse. Invece, il famoso
lodo Ciampi del 23 luglio 1993
prevede che, se linflazione effettiva
pi alta di quella programmata, la
misura del riallineamento deve essere oggetto di contrattazione fra
le parti sociali. Il che non implica
soltanto che i lavoratori, unici sul
mercato, debbono negoziare per
due volte la misura del proprio compenso, ma che le imprese sono incentivate a tenere comportamenti
inflazionistici, dal momento che il
divario fra inflazione programmata
e reale consente loro di contrattare
da una posizione di forza (quanto
pi si concede sul lato del recupero
del potere dacquisto tanto pi si risparmia su produttivit, tempi di lavoro, ferie, etc.).
Se a ci si aggiunge che la misura
del recupero dipende anche dalla

36

quantit di inflazione importata


dallestero e che ci ha sempre
spinto le imprese ad aumentare i
prezzi in presenza di rincari delle
fonti energetiche, piuttosto che ad
ammortizzare i maggiori costi con
incrementi di produttivit (e qui
forse pu cogliersi una delle ragioni
del declino della nostra struttura industriale), si comprende come non
la politica dei redditi ma quella politica dei redditi sia la principale responsabile della spaventosa perdita
di potere dacquisto dei salari negli
ultimi dieci anni. Con altre regole,
le cose sarebbero potute (e potrebbero ancora) andare diversamente11.
Come si vede, qualcosa da fare
dunque c. Il problema che farlo
richiede certamente una soggettivit nuova, che capisca che oggi la
forza del capitale solo il frutto della
debolezza dei suoi antagonisti12 e
che la lotta per legemonia si vince
(come ben sapeva Gramsci) sul
piano dei rapporti di produzione.

Note
1 Cfr. L. Cavallaro, Il problema dei bassi sa-

lari, la rivista del manifesto, n. 51, giugno 2004, pp. 75-78.


2 T. Piketty. Disuguaglianza. La visione
economica, Universit Bocconi Editore ,
Milano 2003, p. 144.
3 Cfr. E. Brancaccio, Oltre la zona rossa

di Maastricht, il manifesto, 18 luglio 2004.


4 S. Cesaratto, La politica prima del programma, lernesto, n.4/2004, pp.28

Settembre - Ottobre 2004

5 Cfr. V. Visco, Otto domande per il dopoPatto, pubblicato sul sito www.lavoce.info
il 18 dicembre 2003.
6 Cfr. R. Realfonzo, Patto di stabilit, non
basta un ritocco, Il Sole-24 Ore, 31 agosto
2004.
7 Cfr. L. Pasinetti, The mith (or folly) of the
3% deficit/GDP Maastricht parameter,
Cambridge Journal of Economics, n. 22
(1998), pp. 103-116.
8 Posto che il saggio del profitto (che la variabile indipendente del sistema capitalistico,
il saggio del salario rimanendo fissato in via
residuale) suscettibile di essere determinato
da influenze estranee al sistema della produzione, e particolarmente dal livello dei tassi
dellinteresse monetario (P. Sraffa, Produzione di merci a mezzo di merci, Einaudi,
Torino 1960, p. 43), evidente che attraverso
la manovra sulla liquidit la Banca centrale
viene di fatto a gestire il conflitto di classe.
9 J.M. Keynes, The General Theory of
Employment, Interest and Money, Macmillan, London 1936, p. 267.
10 T. Boeri, G. Bertola, A che serve il tasso

dinflazione programmata?, ora in T.


Boeri (a cura di) www.lavoce.info. Un anno
di interventi e analisi delleconomia italiana, Laterza, Roma-Bari 2003, p. 57.
11 Il fenomeno colto con la consueta lucidit da M. de Cecco, Sono i prezzi a cambiare
la mappa della ricchezza, lItalia non tra i
vincitori, la Repubblica-Affari&Finanza,
4 ottobre 2004.
12 Se linflazione non cala, paghino le imprese, scrisse Ezio Tarantelli quando pose la
questione in un celebre articolo su Repubblica dell8 aprile 1981 (ora in E. Tarantelli,
La forza delle idee, Laterza, Roma-Bari
1995, pp. 113-115).
13 Rinvio qui a L. Cavallaro, G. Mazzetti,
Il capitale non un moloch, la rivista del
manifesto, n. 37, marzo 2003, pp. 57-62,
dove peraltro si svolgono temi gi accennati
in Id., Conflitto capitale-lavoro e movimento
operaio, lernesto, n. 1/2002, pp. 9-12.

Settembre - Ottobre 2004

Lavoro

Quel che accade alla Fiat,


in buona sostanza, domanda oggi se,
in sostituzione di una Thatcher,
ci si debba solo rassegnare
a un Blair italiano

Declino Fiat

di Bruno Casati

UN PARADIGMA DELLA CRISI DELLINTERA INDUSTRIA ITALIANA

uel che accade alla Fiat paradigmatico della realt del Paese. Fiat
Auto non al declino ma al tracollo
e il Paese al dissesto economico.
Quel che accade alla Fiat deve perci interrogare la politica e, in particolare, domandare a quanti oggi
si propongono in una coalizione democratica cos si dice di scalzare
questo Governo repellente, se si accontenteranno solo di gestire (democraticamente, si intende) quel
dissesto o avanzeranno progetti di
risanamento e sviluppo.
A partire dalleconomia e nelleconomia, a partire dallindustria, anche dellauto.
Quel che accade alla Fiat, in buona
sostanza, domanda oggi se, in sostituzione di una Thatcher, ci si debba
solo rassegnare a un Blair italiano.
Tutto qui, e non poco.
La CGIL assume questa domanda,
come gi prima la FIOM con le sue
sei proposte, e avanza lassoluta
necessit che il Paese invece si doti
di una nuova politica industriale,
che oggi non c per nulla.
Il Governo che sar dovr perci essere funzionale a questa politica,
non ad altro. Indispensabile che sia
cos, perch non esiste una programmazione per settori, non esiste
pertanto la scelta di un settore portante (la citata Thatcher, vero,
scass lauto in Inghilterra, ma poi
scelse con laviospazio il campione
industriale nazionale). Ed lon-

tano il tempo di quell economia


mista che pure fece le fortune
dellItalia.
Oggi Amato e De Benedetti, i portabandiera dei neo-blairiani, sostengono che lunica industria del
futuro dellItalia sar il turismo. Ma
cos torniamo, secondo questi innovatori, al Paese degli spaghetti e
mandolino. E non certo su opzioni come queste che non tanto si
potranno vincere le elezioni, che
per ora Berlusconi sta facendo di
tutto per perdere da solo, ma soprattutto non si vincer mai la sfida
di Governo: che sulla nuova politica economica e le sue ricadute sociali, non si scappa.
In questa sfida, che va raccolta,
contenuto linvestimento che un
Paese avveduto (prima ancora di essere democratico o, addirittura, socialdemocratico) deve produrre in
direzione dei settori economici che
hanno un futuro. E lItalia oggi
Paese provvisoriamente forte, ma lo
nei settori deboli, in quanto settori esposti alla competizione di
prezzo come il tessile, ove per si
annuncia lallarme rosso, il legno
e, appunto, il turismo oltretutto
strutturati in distretti che vanno totalmente ripensati. Ed ancora
(lItalia) drammaticamente debole
nei settori forti, quelli che vogliono
qualit, nei quali operiamo senza ricerca e massa critica competitiva o,
al massimo, operiamo come sub-

fornitori di altre economie: come


nellelettronica da consumo, lenergia, lindustria farmaceutica e,
appunto, lauto.
Nellauto eravamo forti, siamo diventati deboli. Questa la prima verit. LItalia dellauto solo quindici
anni fa aveva appunto il 18% del
mercato europeo, oggi sotto il 7%.
Francia e Germania, che 15 anni fa
producevano meno dellItalia, oggi
producono 5 volte tanto. Un solo
esempio: in Italia si fa un milione di
macchine lanno, la Germania ne fa
cinque. E la Fiat, monopolio privato
alimentato con i soldi pubblici,
vende sempre meno: i piazzali dei
concessionari sono pieni, non appaiono nuovi modelli, la Stilo in
crisi, cos la Punto; la Panda regge,
vero, solo che si fa in Polonia.
LAuto allora un prodotto maturo? Basta, per favore, con questa
sciocchezza dinanzi alla vendita annuale, e nella sola Europa, di quindici milioni di vetture allanno, in
unindustria che non solo manifatturiera motori, cambi, carrozzeria ma vuole ricerca scientifica,
studio continuo dei nuovi materiali,
tecnologie sempre pi avanzate, indagine e sperimentazione sui combustibili nel rapporto costante con
lambiente.
E quindi vuole scienziati, le Universit, la formazione permanente sugli operai, gli ingegneri, gli stilisti
del presente e del futuro.

37

Lavoro

Si tratta, per la Politica, investendo


sullauto e sullinnovazione che
hanno appunto un futuro, di investire sui soggetti protagonisti di quel
futuro.
di converso un tragico errore
quello che vuole lItalia del monopolio Fiat uscire dallauto e, quindi
uscire dal futuro. Lauto, insomma,
e in sintesi, non produzione matura anche se va costantemente innovata, la Fiat che lo (matura).
E questa la seconda verit
Pi e pi volte abbiamo ragionato attorno alla crisi verticale di Fiat che,
per un cumulo straordinario di errori commessi, stata trascinata in
uno stato di indebitamento tale che
, oggi, le riesce addirittura impossibile trovarsi un compratore che la ritiri, anche a prezzo di saldo.
Dopo un vorticoso tourbillon di
top manager e dopo che la famiglia stata costretta, anche per i
lutti che lhanno colpita, a schierare
in campo i rampolli dellultima generazione, il nuovo Amministratore
Delegato di Fiat Auto, Demel, ha annunciato la cura da cavallo con
cui intende affrontare la crisi: via i
motori da Arese e Mirafiori (dopo
un secolo, Mirafiori resta senza un
motore!); ritiro dalle gamme auto;
la componentistica se ne va allestero (e, per lindotto, queste sono
lacrime e sangue).
Al termine della cura si vedr se il
cavallo sopravvissuto alla stessa e,
ancora, si vedr se, su quella Fiat pi
piccola, si far avanti un compratore.
Nel frattempo i lavoratori se ne
vanno in cassa integrazione, tanto
paga lINPS, e 494 di loro (ad Arese)
vengono licenziati: questa lunica
certezza, tutto il resto vago.
In verit il com pratore cera ,
General Motors, che tuttora in
Joint-Venture con Fiat proprio in
quella Powertrain che allontana i lavoratori. Ma General Motors sta passando i suoi guai: e con il Fondo
Pensioni di casa propria e, in Europa, dove ha annunciato il taglio di
ben 12000 dipendenti, particolarmente nella controllata Opel.
Del resto General Motors aveva gi

38

fatto unoperazione analoga con la


coreana Daewoo.
Qualora General Motors dovesse
decidersi di esercitare la cosiddetta
put option, opzione di acquisto
dell80% di Fiat Auto, andrebbe domani a ritirare (dopo il salasso
Demel) solo alcuni stabilimenti, ma
per far quellassemblaggio, che non
vuole ricerca, innovazione, formazione di qualit. A General Motors
non interessano certo n Mirafiori,
n Arese, troppo grandi per una
produzione leggera, e forse nemmeno Termini Imerese e Cassino.
Sintesi: il duro Demel lavora per
presentare allasta una Fiat pi piccola e meno popolata.
Ma il compratore resta incerto.
Lunica certezza, appunto, sono i lavoratori senza busta paga.
A questa situazione non ci sono i
soldi, non ci sono modelli, non c
il socio guardano le otto banche
creditrici per 3 miliardi di Euro che
non vedranno mai, ma che possono,
nel 2005, convertire in azioni e cos
diventare con il 28% il primo Azionista del gruppo. Se a quel punto
anche le Regioni, sul cui territorio
insistono stabilimenti Fiat a partire da Piemonte e Lombardia entrassero nel capitale societario acquisendone quote, ecco che la Fiat
passerebbe per davvero sotto il controllo pubblico, lunico che pu dotarla di un progetto che non siano
pi i dividendi da garantire alla famiglia, che numerosa. E apparirebbe, in versione italiana, il modello tedesco di Volkswagen che,
pur con cento contraddizioni,
regge ancora alla competizione globale. Tornerebbe in campo un episodio, finalmente virtuoso, di economia mista nellauto: che potrebbe saldarsi a Fincantieri di Navalmeccanica e a quel che resta di
pubblico di Enel ed Eni, in un insieme che poi vorrebbe il coordinamento di Finmeccanica.
Non sarebbe, questo, il progetto industriale che vuole un Governo propulsore, ma almeno lo strumento
minimo per provare la fuoriuscita
dal dissesto.
La crisi Fiat pu, insomma, essere vi-

Settembre - Ottobre 2004

sta anche come occasione per risalire. Del resto, lho appreso in un
convegno, lideogramma giapponese leggibile come crisi, interpretabile anche nel suo speculare
opposto, riscatto.
Bisogna fare proprio questa operazione, le sinistre ci provino, Rifondazione Comunista ancora di pi:
trasformare la debolezza in forza. E
incalzare questo Montezemolo cos
elogiato dal blairiani di casa nostra
che sognano la transumanza di industriali dal centro destra al centro
sinistra che per, per accoglierli,
deve dare garanzie, essere affidabile
per lorsignori e quindi deve smussare ogni velleit di controllo industriale. Ci sono, in verit, tre Montezemolo, che apparentemente non
si parlano, ma assai pi probabilmente fanno il gioco delle tre tavolette con chi abbocca. C il Montezemolo di Confindustria,che parla di valorizzazione della grande industria e delloperaio moderno
(proprio cos,lho sentito parlare al
Politecnico di Milano).
C il Montezemolo bis, quello di
Fiat: lui, gli operai moderni li licenzia. C infine il Montezemolo ter,
quello della Ferrari che oggi, a
fronte dei volumi di produzione aumentati grazie alle vittorie della
Rossa esternalizza la meccanica di
serie ma non ad Arese, come pure
gli ha chiesto Formigoni per scritto,
ma allestero, cos convincendo anche i ciechi e i sordi volontari della
fermezza con cui si persegue il
piano Demel: chiudere comunque
i grandi stabilimenti di Milano e
Torino.
Amareggia per una cosa: n Milano n Torino stanno reagendo al
problema. Non c la percezione
che sul baratro non c solo una fabbrica, ma la pi grande fabbrica italiana. un caso nazionale, quello di
Fiat, diverso certo dal caso Parmalat
gi enorme, ma con effetti decuplicati in ricaduta negativa. C per
un tratto di collegamento tra Fiat e
Parmalat: ed dato dal fatto che, in
entrambi i casi, ci sono industriali
che considerano il fare industria
una fastidiosa appendice della fi-

Settembre - Ottobre 2004

nanza, si fa fatica e si rischia nellindustria, e cos diversificano il


core business, poi arriva la crisi e
paga Pantalone, a Parma come a
Torino e Milano.
Come recuperare per risalire? Un
tempo, ad esempio, si parlava di un
asse Milano Torino, quando
Novelli a Torino e Tognoli a Milano
pensavano in grande e a grandi
opere monorotaia, cavi coassiali e
fibre ottiche che avrebbero infrastrutturato e collegato le due grandi
citt industriali del Nord: la citt
della Fiat e quella della Pirelli, della
Falck, della Breda e della Marelli.
La struttura industriale e la infrastruttura dei servizi. Un sogno, ma
almeno era un bel sogno.
Oggi siamo agli incubi come quello
che, a met ottobre, si rappresentato in quel di Cernobbio, con la mistica delle infrastrutture di collegamento tra due citt svu otate.
Infrastrutture senza struttura. Dove
la famiglia di Torino passa dallauto alle bollette della luce e
Tronchetti Provera di Milano dalla
gomma (che solo commercializza)
alle bollette del telefono. E questi
tagliatori di cedole, che scappano
dallindustria dentro la clientela garantita delle utility privatizzate, lasciano alle spalle spianate immense
4 milioni di mq. a Mirafiori, 2 milioni ad Arese offerte alla speculazione, a poli logistici improbabili,
a incubatori di uneccellenza che invece sta emigrando allestero, a un
terziario sempre meno avanzato e
che si riduce a ipermercati e a sup e r-cinema. Dov lindustria?
Dov la fuoriuscita dalla crisi in
questo triste asse Milano Torino?
Cosa c da infrastrutturare? Qui si
lucidano solo m acerie, con il
Sindaco di Torino che ripone nelle
Olimpiadi della neve il futuro delle
ex citt dellautomobile (caspita
che progettualit!) e quello di
Milano che propone ai motoristi
dellAlfa di andare a pulire i graffiti
del suo condominio.
Ci prendono anche in giro.
ladattamento alla crisi, il nostro
scivolare verso un Italia economicamente colonizzata perch ha ab-

Lavoro

bandonato la grande industria, dellauto e non solo.


Come recuperare e risalire? Mi ripropongo il quesito, la risposta al
quale deve gridare sul tavolo del
programma, oggi, di quanti si propongono, domani, di mandare a
casa Berlusconi. Si recupera e si risale sul piano inclinato della crisi ripartendo appunto dallauto con un
progetto che composto da un
piano industriale e da un capofila
ingegneristico e manifatturiero che
lo concretizzi e che pu essere ( il
capofila) la Fiat o altro.
In ogni caso alla Fiat oggi va richiesto:
- per Mirafiori un nuovo motore, un
nuovo cambio e una nuova vettura;
- per Termini, una saturazione degli
impianti a partire dalla Ipsilon;
- per Cassino, lentrata in produzione della nuova Stilo;
- per Arese la reindustralizzazione
dellarea a partire dal progetto di
mobilit sostenibile;
- per la Lancia e lAlfa Romeo impedirne la scomparsa dalla prestigiosa gamma alta.
La Fiat trovi, a tal fine, alleanze e risorse. Scegliesse, invece e come
pare, di non ricercarle, si incalzi il
Governo per attivare la ricerca di un
altro capofila industriale sorretto in
Italia da un consorzio dellauto
una nuova Fiat senza gli Agnelli in
cui figurino le Banche, le Regioni,
e lo stesso Governo con i suoi strumenti diretti e indiretti, da Finmeccanica a Sviluppo Italia.
Solo proponendosi di girare cos pagina e se non la sostiene il centro
sinistra con Rifondazione chi mai la
pu sostenere? potremmo affrontare loccasione (nel rovescio di
quellideogramma, ricordate?) che
presenta oggi la doppia crisi: quella
di Fiat auto e quella dellinsostenibilit dellattuale modello di mobilit.
loccasione che colta, consentirebbe che lItalia entri (oggi non
c) nel treno mondiale che studia
e prova il superamento del motore
a scoppio verso un futuro Rifkin
lo descrive bene in cui lumanit
si libera dalla schiavit degli idro-

carburi.
Gestiamo questa transizione e, per
favore, lasciamo dire ai petrolieri e
ai raffinatori che si tratta di utopia.
Loro lo dicono per coltivare lillusione, lo ha fatto la Shell truccando
i dati, che le riserve petrolifere
siano illimitate. Non cos. C a tal
proposito un eccellente progetto di
fattibilit messo a punto dallEnea
e offerto alla Regione Lombardia;
ci sono 200 milioni di Euro destinati
dalla Unione Europea per finanziarlo, il progetto Hycom; nel progetto possono convergere le grandi
ex municipalizzate di Milano e
Torino, sia dellEnergia, per innervare la citt con la rete di approvvigionamento del metano (il metano
il combustibile della transizione
verso lidrogeno e per questa prospettiva, per davvero, il metano ti
da una mano), che dei trasporti, in
quanto si tratta di dotare, con motori a celle a combustibile dove lidrogeno produce elettricit e scarica acqua, prima le flotte metropolitane dei mezzi di trasporto su
gomma e poi i taxi.
Se il progetto decolla, e ci vuole una
governance, una S.p.A della mobilit
sostenibile, sono decine di migliaia
i mezzi che vanno allestiti, altro che
Olimpiadi e graffiti! La Toyota, su
un progetto come questo, ha in produzione 120 mila automezzi. Ma anche le principali case automobilistiche da Bmw a Ford da Honda a
Nissan, da Volkswagen a Renault, da
DaimlerChrysler a General Motors
hanno le loro macchine ad idrogeno pronte. Solo lItalia arranca,
ma in Italia c la Fiat (e c Berlusconi).
Quindi si pu e si deve lanciarsi per
arrivare gradualmente allinquinamento zero, che non annulla, si
badi, il problema del traffico, che
vuole un altro progetto, ma va sul
suo effetto pi pesante.
su progetti come questo che si rilancia lauto.
questa linnovazione che vuole gli
operai e gli ingegneri di un futuro
che bisogna preparare da subito.
Con la Fiat o, assai meglio, senza la
Fiat e senza Berlusconi.

39

Settembre - Ottobre 2004

Meridione

Scriveva Gramsci:
il Mezzogiorno la palla
di piombo che impedisce
pi rapidi progressi
allo sviluppo civile dellItalia

Mezzogiorno
di fuoco

di Rocco Tassone
responsabile Enti Locali federazione Prc Cosenza

LA QUESTIONE DEL SUD DITALIA TRA CRESCENTE DISAGIO SOCIALE

R I A P R I R E I L D I B AT T I T O
Q UESTIONE
M ERIDIONALE

E RIMOZIONE POLITICA

SULLA

a Questione Meridionale stata cancellata negli ultimi anni dallagenda


della politica italiana.
Non ne parlano pi i partiti borghesi, completamente appiattiti sul
disegno strategico che le forze del
capitale hanno cominciato a mettere in atto in questa parte del territorio nazionale. Ma sparita anche dai programmi e dalle riflessioni della sinistra, compreso il
PRC. Lo stesso Segretario nazionale, nel proporre di recente il proprio contributo al prossimo dibattito congressuale, attraverso le quindici tesi pubblicate su Liberazione,
evita ogni riferimento al Mezzogiorno e sviluppa una analisi della
situazione politica nella quale la
Questione Meridionale non trova
posto. Evidentemente prevalsa la
linea della soluzione del problema
attraverso la rimozione.
Questo un difetto storico della sinistra italiana. Scriveva Gramsci:
noto quale ideologia sia stata diffusa in
forma capillare dai propagandisti della
borghesia nelle masse del Settentrione: il
Mezzogiorno la palla di piombo che impedisce pi rapidi pro g ressi allo sviluppo civile dell Italia; i meridionali
sono biologicamente degli esseri inferiori,
dei semibarbari o dei barbari completi,

40

per destino naturale; se il Mezzogiorno


arretrato, la colpa non del sistema capitalistico o di qualsivoglia altra causa
storica, ma della natura che ha fatto i
meridionali, poltroni, incapaci, criminali, barbariIl Partito Socialista fu in
gran parte il veicolo di questa ideologia
borghese nel proletariato settentrionale Questa visione scettica del
Mezzogiorno dItalia ha permeato
la politica italiana al punto che, anche nei momenti in cui sembrava altissima lattenzione del Paese verso
questarea, le politiche prodotte dai
governi di centrosinistra del XX secolo erano inficiate alla base. Al di
l delle asserzioni di principio, il
Mezzogiorno non stato inteso
come risorsa per lintera nazione
bens come area arretrata verso la
quale pu dirigersi, ma con perdita di
produttivit, il superfluo di accumulazione della sezione economicamente pi
avanzata del Paese. Oggi questa
ideologia sembra avere avuto definitivamente la meglio, al punto di
diventare il fulcro attorno a cui
ruota lazione di una forza politica:
la Lega Nord. Ma proprio nel momento in cui nasce un partito antimeridionalista con lintento di negarla emerge in tutta la sua crudezza la realt della Questione meridionale, cio della frattura storica
che divide il Nord dal Sud del Paese
e che impedisce ancora il completo
compimento dellunit nazionale.

Questa frattura non consiste semplicemente nellesistenza di differenziali negativi nel confronto tra
parametri economici; si tratta di un
solco che divide gli interessi complessivi di due ben distinte aree territoriali anche allinterno del sistema capitalistico. Nei confini
dello stesso Stato si profila un rapporto di tipo imperialistico tra aree
geografiche distinte. Negli ultimi
anni questo dato stato appannato
dallaffermarsi delle teorie che
hanno provato a negare la tragica
realt dellimperialismo e che
hanno relativamente infatuato anche il nostro partito. I recenti avvenimenti mondiali hanno dimostrato quanto effimere fossero
quelle teorie.

LA

F R AT T U R A

N O R D/ S U D

Bisogna riacquistare la capacit di


lettura delle caratteristiche della
frattura tra il Nord ed il Sud e individuarne i protagonisti. Oggi come
ieri occorre saper vedere come gli
interessi del Mezzogiorno sono sacrificati sullaltare del profitto del
capitale esogeno. Ed ancora oggi,
come ieri, esiste unalleanza tra le
classi dominanti del Nord e del Sud
finalizzata al mantenimento di questo sistema di interessi. Ieri, il blocco
storico tra gli industriali del Nord e

Settembre - Ottobre 2004

gli agrari del Sud costituiva lalleanza politica tra le classi dominanti che dovevano difendere gli interessi del capitale finanziario e industriale del Nord e della rendita
fondiaria del Sud. Oggi siamo di
fronte ad una realt analoga ma ben
pi complessa. Nelle nazioni industrializzate non esiste pi il capitalismo autarchico della prima met
del secolo scorso. Cos come in
Italia non esiste pi la classe degli
agrari, i grandi latifondisti che si arricchivano attraverso lo sfruttamento bestiale dei contadini poveri.

NECESSIT

D I U N A N U O VA

ANALISI DELLE CLASSI

Occorre quindi la completa rivisitazione dellanalisi delle classi meridionali.


Lagricoltura meridionale ha subito
trasformazioni radicali. Non esiste
il latifondo nellaccezione classica
del termine. Il latifondista di ieri
diventato il grande capitalista agricolo di oggi che, attraverso limpiego di capitali non di rischio provenienti dal sistema degli incentivi
dellUnione Europea, ha ristrutturato lazienda secondo criteri che
non necessitano pi lo sfruttamento disumano del contadino povero. La nuova azienda agricola
improntata ai metodi dellefficienza capitalistica. E mentre ieri
era indispensabile la figura del contadino povero da spremere e vessare, oggi il piccolo agricoltore
spinto a cambiare settore produttivo dismettendo lattivit in favore
della grande azienda capitalista che
cos si ricompone sia sotto il profilo
della propriet della terra, sia sotto
il profilo dei metodi di produzione.
Peraltro, bisogna evidenziare che il
piccolo agricoltore di oggi non il
contadino povero di ieri: varie
forme di integrazione del reddito
gli hanno consentito, paradossalmente, di resistere allurto della ristrutturazione capitalistica del settore. Inoltre, sebbene sia stato marginale limpiego del surplus di accumulazione del capitale privato

Meridione

nazionale, si andato formando nel


Sud un debole tessuto industriale
che ha avuto come conseguenza la
formazione di un embrione di
classe operaia. Ci avvenuto nellultimo quarto del secolo XX, a seguito degli interventi in campo industriale da parte dello Stato (partecipazioni statali) e, in anni ancor
pi recenti, attraverso lutilizzazione degli incentivi provenienti dai
fondi strutturali dellUnione Europea e da Leggi nazionali (L. 64/88;
L. 488/92 etc.). Bisogna, quindi, tenere conto di questi embrioni di
borghesia capitalista e classe operaia autoctona. Ma una forte presenza segnata oggi al Sud dal
gruppo sociale degli inoccupati.
Questi sono i figli dei piccoli agricoltori, della piccola borghesia impiegatizia, della classe operaia, a cui
le mutate condizioni economiche
generali del Paese (anche conseguenti alle politiche assistenzialistiche del secolo scorso) hanno consentito di acquisire una formazione
intellettuale di discreto livello.
Infine, non trascurabile larea del
disagio sociale formatasi a seguito
dei processi di inurbamento che
hanno visto la nascita di grandi
realt metropolitane anche nel Sud
Italia (Napoli, Palermo, Bari etc.).
Tra tutte quelle finora elencate non
vi una vera e propria classe dominante. Per individuarla ancora una
volta si pu ripartire da Gramsci.
Egli individuava nel gruppo sociale
degli intellettuali organici al blocco
agrario meridionale per estrazione
o per sudditanza politica, lo strumento attraverso cui si esercitava il
dominio di classe al Sud. Egli scrive:
gli intellettuali meridionali sono
uno strato sociale dei pi interessanti e
dei pi importanti della vita nazionale
italiana. Basta pensare che pi di tre
quinti della burocrazia statale costituita da meridionali per convincersene. Negli ultimi sessanta anni
questo gruppo sociale si notevolmente evoluto, subendo anche un
certo processo di differenziazione.
Tuttavia, la diversificazione della
sua composizione, dovuta alla scolarizzazione di massa, non ne ha in-

taccato la funzione politica. Con la


fine del fascismo, lavvento della democrazia e laffermazione dei partiti di massa, questo gruppo sociale
ha concluso il percorso di occupazione del potere. Ieri, attraverso la
Democrazia Cristiana ed il Partito
Socialista Italiano, oggi attraverso
Forza Italia, UDC ed Alleanza Nazionale, gli intellettuali organici al
vecchio blocco agrario si sono costituiti in ceto dominante. Oggi, dopo
un lungo percorso di rigenerazione, il ceto politico dominante del
Mezzogiorno non pi espressione
di una classe bens espressione di s
stesso e tratta alla pari con le classi
dominanti vecchie e nuove e con
esse ha costituito il blocco reazionario che governa il Mezzogiorno.
Questo blocco reazionario oggi
lostacolo principale allaffermarsi
delle forze di progresso dellintera
nazione. Esso ha occupato tutti i
gangli dello Stato. Attraverso i meccanismi clientelari ha legato a s la
quasi totalit della burocrazia amministrativa, avendo cos gioco facile nella gestione privatistica del
potere politico. Questo blocco reazionario meridionale ha riformulato lalleanza di classe che domina
lintero Paese. In questa alleanza
confluito il grande capitale industriale, agricolo, finanziario del
Nord, attraverso le sue espressioni
politiche: il partito azienda di Berlusconi, la Lega Nord, la nuova destra di Gianfranco Fini, i nuovi democristiani di destra.

IL

RUOLO DEL BLOCCO

REAZIONARIO MERIDIONALE

Il blocco reazionario meridionale


ha gestito immense risorse. Ha gestito la Cassa per il Mezzogiorno e
tutti i flussi finanziari dellintervento straordinario. Questa gestione non ha prodotto n il tessuto
industriale che avrebbe dovuto costituire il volano dello sviluppo del
Sud, n lammodernamento infrastrutturale che ne era la pre-condizione. Ha prodotto larricchimento
personale del blocco di governo e

41

Settembre - Ottobre 2004

Meridione

la formazione di grandi profitti per


il capitale del Nord, con cui si
stretta la santa alleanza. Ha prodotto, altres, grandi processi di trasformazione ed ammodernamento
degli apparati criminali che hanno
portato al fenomeno, ampiamente
noto ed indagato, della mafia imprenditrice. Negli ultimi quindici
anni, questo poderoso blocco di potere sta gestendo le immense risorse
dei fondi strutturali dellUnione
Europea destinati allo sviluppo
delle regioni dellobiettivo uno,
oltre alle risorse del nuovo intervento straordinario (L. 488 etc.). Sta
gestendo inoltre la recentissima
fase della colonizzazione energetica
da parte del capitale multinazionale
del settore. Il quadro attuale il seguente: attraverso i fondi dellUnione Europea in fase di conclusione
la ristrutturazione capitalistica delleconomia agricola meridionale
con la conseguente formazione
della classe dei capitalisti agricoli,
confluita a pieno titolo nel blocco
reazionario, sotto il cui controllo
ferreo in pieno svolgimento anche
la fase del saccheggio delle risorse
pubbliche destinate agli incentivi
per lo sviluppo. In tutto il Mezzogiorno si contano ormai a migliaia i
casi di iniziative industriali, piccole
e medie, per le quali i capitalisti del
Nord, in combutta con gli esponenti del blocco reazionario meridionale a cui si sono affiliati a
pieno titolo i poteri criminali ,
hanno percepito fior di incentivi abbandonando successivamente il
campo.
Contemporaneamente, approfittando del tessuto sociale debole e
delle enormi difficolt di creazione
di un vasto fronte di opposizione, il
capitale multinazionale del settore
energetico sta predisponendo la
completa occupazione del territorio realizzando decine di megacentrali termoelettriche e di megaimpianti di incenerimento dei rifiuti.
Anche questultimo fenomeno passa attraverso la gestione del blocco
reazionario meridionale che, oltre
a partecipare direttamente tramite
la cointeressenza finanziaria, si oc-

42

cupa di fornire le autorizzazioni governative necessarie. Il modello di


sviluppo che emerge da questo quadro il pi disastroso che si possa
immaginare.

tore di un modello di sviluppo alternativo nella societ e nelle istituzioni.

P ER

UN NUOVO

MODELLO DI SVILUPPO

UNA

N U O VA A L L E A N Z A

D I C L A S S I P E R I L R I S C AT T O
DEL

M EZZOGIORNO

Per tenere accesa la lanterna della


speranza del futuro del Sud occorre
spezzare i meccanismi che consentono lattuazione del modello di sviluppo del blocco reazionario e contemporaneamente, lavorare alla
proposizione di un modello di sviluppo alternativo. Il raggiungimento di questi obiettivi consentir
di creare il clima per laffermazione
delle forze di progresso nellintera
nazione. Ma come fare? Ancora una
volta ci rifacciamo a Gramsci: il
proletariato pu diventare classe dirigente e dominante nella misura in cui
riesce a creare un sistema di alleanze di
classi che gli permettano di mobilitare
contro il capitalismo e lo Stato borghese
la maggioranza della popolazione. A
distanza di ottanta anni rimane intatta la validit di questa ricetta semplice a grandiosa. Certamente non
pu essere riproposta sic et simpliciter, ma rimane intatta la sostanza.
Nel Mezzogiorno occorre lavorare
per la costruzione di un fronte ampio di forze disponibili a sottoscrivere una alleanza di lunga durata
che abbia come obiettivo prioritario
lallontanamento dal governo della
cosa pubblica del blocco reazionario che attualmente la occupa.
Questo fronte deve comprendere i
lavoratori dellagricoltura e dellindustria, i disoccupati, i lavoratori
del terziario, ma anche tutti i comuni cittadini e gli intellettuali che
si richiamano ad idee di progresso.
Con un lavoro capillare e di massa
deve aprire una stagione di lotte sociali che si oppongano concretamente allazione del blocco reazionario ed acquisire il massimo di consenso che consentir di andare al
governo delle regioni meridionali.
Questo fronte dovr essere porta-

In primo luogo bisogna riconoscere


che, al di l della retorica sulla peculiarit delle risorse ambientali e
territoriali del Sud, nel Mezzogiorno non vi sar prospettiva di sviluppo senza un reale processo di industrializzazione. Tuttavia, questo
non pu avvenire con le modalit
manifestate sino ad oggi. Anche se
non si pu essere ispirati da volont
di ostacolo verso limprenditoria
sana, occorre togliere dalle mani degli imprenditori di rapina gli strumenti che consentono loro di operare. Lelenco delle aziende realizzate con gli incentivi pubblici che
falliscono appena dopo aver avviato
lattivit lunghissimo. In molti casi
si assiste alla messa allasta dei macchinari. E mentre questa spirale distruttiva di creazione e soppressione
di iniziative industriali sta fagocitando da decenni le risorse esogene ed endogene del Mezzogiorno, sta passando il modello imperialista che vede il Sud come
terzo mondo: luogo in cui depositare le scorie del benessere del
Nord, dove localizzare la produzione dellenergia che serve al Nord
per continuare ad espandere la propria economia ed accrescere il proprio benessere.

BISOGNA

BLOCCARE

QUESTO PROCESSO

Il Mezzogiorno deve riappropriarsi


delle proprie risorse e del proprio
destino. Bisogna bloccare la colonizzazione e togliere dalle mani del
blocco reazionario la gestione delleconomia. Per tutte le aziende in
crisi si pu pensare a forme di autogestione operaia attraverso la
creazione di cooperative di fabbrica
che rilevano le attivit con laiuto finanziario dello Stato centrale e de-

Settembre - Ottobre 2004

gli enti locali.


Bisogna poi puntare al potenziamento del tessuto agricolo delle piccole aziende, sulle produzioni specialistiche e di nicchia localizzate
nelle aree interne e di pregio ambientale.
Bisogna puntare sul potenziamento
e la valorizzazione produttiva dei
parchi naturali e delle aree protette
e, di conseguenza, ad un turismo
non distruttivo che rinunci alla concorrenza col turismo di lusso.
Sulla base di questi principi si deve
ristrutturare il sistema degli incentivi allo sviluppo, sia nei contenuti
programmatici sia nelle modalit e
negli strumenti di gestione.

IL M E Z Z O G I O R N O
NEL PROGRAMMA
DELLA COALIZIONE

Per realizzare il modello di sviluppo


alternativo a quello del blocco reazionario bisogna lavorare pertanto
alla completa riprogrammazione
delle risorse, sia nazionali che
dellUnione Europea, destinate al
Sud. necessario un generalizzato
ammodernamento e potenziamento della dotazione infrastrutturale diffusa. Non sono necessarie le
cattedrali nel deserto: non necessario il ponte sullo Stretto di Messina. Occorre quindi rivedere i programmi di spesa del governo centrale e delle Regioni, rinegoziando
gli accordi di programma improntati alla creazione delle condizioni
per lappropriazione da parte del
grande capitale del Nord delle infrastrutture principali, in primo lu-

Meridione

ogo quelle idriche e viarie. Occorre


creare gli strumenti legislativi che
consentano di controllare modalit
ed obiettivi dellerogazione degli incentivi alle attivit economiche, affinch siano finalizzate alla creazione di una rete di attivit economiche di settore (agricolo, industriale, turistico), la cui gestione
non sia necessariamente improntata ai metodi strettamente capitalistici.
impossibile realizzare questi obiettivi se il Mezzogiorno non diventa uno dei punti chiave del programma della coalizione che ci accingiamo a costruire per battere le
destre. In tutto questo fondamentale il nostro ruolo. La creazione di
unampia alleanza di progresso nel
Mezzogiorno non un compito facile n un obiettivo scontato.
Le vertenze della FIAT di Melfi e
della Polti di Cosenza per il riconoscimento del diritto al lavoro ed al
salario, o della popolazione di
Scanzano contro lipotesi di localizzazione del sito per lo smaltimento
delle scorie nucleari, sono fatti importanti ma episodici, limitati nella
forma e nei contenuti. Ed invece
necessario che al Sud il partito lavori per suscitare e dirigere un
fronte di vertenze territoriali per la
rivendicazione di un modello di sviluppo alternativo a quello attuale.
Queste vertenze dovranno vedere
coinvolti il pi ampio spettro di soggetti sociali e la loro messa in rete
deve portare alla nascita di un movimento di massa capace di imprimere una svolta radicale alla situazione del Mezzogiorno. Per fare ci
occorre un allargamento della base

di massa del partito ed il relativo


adeguamento delle forme e dei contenuti della nostra azione. Questo
indispensabile per raggiungere il livello di forza e peso politico che possano consentire il raggiungimento
degli obiettivi.
In questo contesto, da comunista
meridionale, mi appassionano
poco le modalit con cui ci viene indicato di procedere alla costruzione
della sinistra di alternativa. Non
sono molto convinto della possibilit (e neppure della necessit)
della costituzione di un fronte comune con Verdi, PdCI, pezzi di sindacato, associazioni di varia natura,
con i quali inaugurare una stagione
di rapporti privilegiati ai quali, con
ogni probabilit, questi soggetti
non sono interessati. Ritengo piuttosto che il partito debba agire contemporaneamente su due fronti: da
un lato, sul fronte dei movimenti di
massa e, dallaltro, sul fronte dei
rapporti con le forze della coalizione con le quali intrattenere rapporti paritari. Con queste ultime,
senza indugiare in pratiche inutili e
dannose come le primarie sul leader o sui programmi, occorre avviare da subito la trattativa per la formulazione di un programma comune nel quale far pesare le nostre
convinzioni e le istanze del movimento da costruire.

N.B.: le citazioni sono riportate dallo


scritto di Antonio Gramsci Alcuni temi
della Questione meridionale

43

Resistenza

lernesto ringrazia Sergio Ricaldone,


che ha portato a sintesi questo articolo,
e gli altri compagni e le altre compagne
dellANPI di Milano, che hanno dato
il loro contribuito alla stesura:
Giovanni Pesce, Nori Brambilla,
Stellina Vecchio Vaia ed altri partigiani

Settembre - Ottobre 2004

Non potevamo
non combattere

ATTACCO ALLANPI E ALLA RESISTENZA: QUANDO LANTIFASCISMO


ABBASSA LA GUARDIA LA DESTRA AD ALZARE LA TESTA

triste, molto triste, ma potrebbe succedere che il 60 anniversario della


liberazione nel 2005, coincida con
il dolce strangolamento dellANPI
mediante il taglio dei fondi da parte
del governo Berlusconi. Non difficile capirne il perch.
LANPI tra le strutture di ex combattenti che nel corso di questi decenni ha mantenuta viva la nozione
unitaria e patriottica di antifascismo, coltivando e trasmettendo ad
almeno tre generazioni di italiani i
grandi ideali che hanno sorretto la
resistenza e concorso alla formazione del moderno stato democratico
e repubblicano.
Non a caso il primo pilastro in corso
di demolizione proprio la
Costituzione repubblicana.
Nella sede storica dellANPI di via
Mascagni, a Milano, ne discutiamo
intensamente da parecchi giorni
con i vecchi compagni che, scrivente incluso, sebbene carichi di
anni e di acciacchi, continuano a
frequentarla assiduamente: Giovanni Pesce e sua moglie Nori, Tino
Casali, Stellina Vecchio Vaia e tante
altre figure leggendarie della
guerra partigiana che portano sulle
spalle, senza lombra del rimpianto,
sessanta e pi anni di milizia politica antifascista, inclusa una breve
ma intensa parentesi militare che
stata per tutti una sorta di discesa allinferno e ritorno.

44

Potrebbero tranquillamente crogiolarsi al sole della Riviera o rigirarsi nelle poltrone di casa macerandosi tra i ricordi e i rimpianti ed invece eccoli qui, a raccontare le loro
storie ed a progettare iniziative per
il futuro.
Ecco Nori Brambilla e Giovanni
Pesce che, superati i loro primi ottantanni e immortalati da un bellissimo documentario presentato al
Festival di Venezia 2003, hanno trascorso gli ultimi mesi a raccontare,
in decine di assemblee affollate da
centinaia di giovani, come le loro
imprese gappiste seminassero il terrore tra i brigatisti neri e le truppe
hitleriane che opprimevano la Milano di quei giorni.
Molto severa latmosfera che si respira allANPI di Milano in queste
settimane. Le opinioni raccolte tra
i vecchi partigiani lasciano trasparire una profonda preoccupazione.
Spesso sono accompagnate da giudizi poco indulgenti sul modo come
viene gestita e difesa la memoria antifascista e la Resistenza dagli eclettici eredi di Longo, Pertini, Secchia,
Parri e Calamandrei, ma sono tutti
quanti decisi a rimettersi in gioco
per impedire che cali il sipario su
una storia che oggi, pi che mai, per
le minacce che incombono sulla libert e sulla democrazia, torna ad
assumere una valenza prioritaria

per il presente ed il futuro.


Laffossamento dellANPI potrebbe
suggellare il superamento dellantifascismo, ovvero la sua liquidazione e chiudere un ciclo storico,
come chiede la destra, alle cui tesi
non sono mancati consistenti contributi del revisionismo storico, patteggiato, non sempre alla dovuta distanza, da autorevoli esponenti
della sinistra.
Gli eredi dei fucilatori di Sal hanno
purtroppo trovato una sponda morbida e disponibile: il buonismo storiografico dilagante rimuove lantifascismo quale chiave di lettura del
900 e propone invece, a partire dai
nuovi testi scolastici, memorie simmetriche e compatibili che, passo
dopo passo, equiparano vizi e virt
di vincitori e vinti di tutte le epoche.
Un tritacarne micidiale dal quale
esce un osceno impasto bipartisan
che mette sullo stesso piano assalitori e difensori della Bastiglia, comunardi e reazionari di Versailles,
difensori ed aggressori di Stalingrado, Gap di via Rasella e torturatori di Villa Triste, resistenti algerini
e par francesi.
Osserviamo esterrefatti una ipocrita
autocritica che per rimediare ai presunti eccessi compiuti dalla
Resistenza manifesta disponibilit
ad avviare un processo di speculare
riconoscimento e di mutua legittimazione tra fascisti rimasti tali ed

Settembre - Ottobre 2004

antifascisti diventati ex.


Si accetta pertanto di intitolare
qualche piazza ai martiri fascisti
della foibe, si critica la cultura antifascista che avrebbe angelizzato
la Resistenza, si addebita alla guerriglia partigiana il culto della violenza, si accetta il teorema della
guerra civile anzich quello di
guerra di liberazione dalloccupazione straniera.
E cos gli alleati neri dei massacratori di Marzabotto, di S. Anna di
Stazzema, di Boves, delle Fosse Ardeatine, di piazzale Loreto e della
risiera di S. Sabba incassano soddisfatti un regalo inaspettato dai loro
ex nemici e rilanciano la posta chiedendo, sponsorizzati da Bruno
Vespa, la beatificazione di Mussolini
e la gogna per i suoi esecutori.
La pratica liquidatoria della nozione di Resistenza e di antifascismo, pur non risparmiando nessuna delle forze politiche e sociali
che lhanno sorretta ed animata,
vede settori della cosiddetta sinistra
antagonista accanirsi con furia demolitrice contro il soggetto centrale
che ha retto e pagato il prezzo pi
alto di quello scontro epocale contro il nazifascismo: ossia il movimento operaio e comunista del 20
secolo, la cui storia gloriosa viene ridotta ad un cumulo di macerie.
Dalla Liberazione sono trascorsi sessantanni, allingrosso tre generazioni. Sono tante. I cambiamenti in
casa nostra e nel mondo sono stati
enormi e non sempre piacevoli.
Ultimi testimoni ancora in vita, avvertiamo, con molta amarezza, che
lapprossimarsi della nostra estinzione biologica coincide con la di-

Resistenza

struzione delle nostre storie e dei


nostri valori.
Quello che tentiamo di fare oggi,
prima che cali il buio di una notte
senza fine, unultima disperata
sortita da quella specie di riserva indiana in cui siamo stati rinchiusi,
con molto garbo e ipocrisia, da chi
in realt ci considera gli ultimi dei
Mohicani, fautori di una cultura
della violenza che cos si dice
deve essere archiviata nel museo degli orrori del 900.
Paradossale che questo avvenga in
controtendenza rispetto a quanto
accade in Francia ed in Germania,
ma soprattutto rispetto al nuovo capitolo aperto nella Spagna da Zapatero mirante a restituire onore e dignit, finora negate dai governi
post-franchisti, alle centinaia di migliaia di combattenti repubblicani
massacrati durante e dopo la guerra
civile. Stragi sepolte nelloblio che
anticiparono e seguirono gli orrori
del nazifascismo commessi durante
la seconda guerra mondiale.
E sicuramente vero che dobbiamo
saper guardare avanti e non indugiare troppo nel retrovisore dei ricordi di una storia marchiata con il
ferro e con il fuoco di unepoca terribile e violenta che ci ha imposto
scelte estreme ed inevitabili.
Potevamo agire diversamente? No,
non potevamo.
Quello era il solo modo per ricostruire un mondo di pace, di libert
e di diritti riconosciuti.
Sarebbe bene che nessuno dimenticasse che la madre di tutte le conquiste del 900 in Europa che hanno
permesso, dopo che cessarono gli
spari, il passaggio dalla violenza alla

non violenza e dalla guerra alla


pace, stata la lotta e la vittoria contro il nazifascismo di una grande coalizione militare e popolare, quella
degli eserciti alleati e quella della
Resistenza che dalla Bielorussia alla
Manica e da Capo Nord al Mediterraneo ha inflitto colpi mortali
alla belva hitleriana.
Il mantenimento di questa memoria un obbligo morale e politico
che abbiamo con i popoli ed i movimenti che ancora oggi lottano in
pi parti del mondo contro la barbarie imperialista.
Dalla Palestina allIraq, alla Colombia la nozione di resistenza mantiene intatti tutti i valori che esprime
ed un diritto pienamente riconosciuto e legittimato dalle Nazioni
Unite.
Lappello che arriva dai vecchi combattenti antifa scisti in difesa
dellANPI non ha nulla di retorico
e di celebrativo ma mira ad impedire che si spezzi il sottile filo conduttore che ci racconta senza pietose bugie la storia del 900.
Non si tratta solo di difendere il diritto di festeggiare il 25 aprile che il
governo Berlusconi vorrebbe cancellare, o di esigere il rispetto della
verit sui libri di storia.
Dobbiamo anche ricostruire il
nesso, il rapporto esistente tra le ragioni sociali, politiche e morali
della lotta di allora e quella che levoluzione storica e politica ci obbliga a combattere oggi e domani
contro le nuove forme di dominio
e di sopraffazione.

Milano, 18 ottobre 2004

45

Settembre - Ottobre 2004

Internazionale

Forum di Beirut:
la relazione del
Premio Nobel alternativo

Beirut 2004:
i movimenti
antimperialisti

di Walden Bello*
(2/10/2004)

UN PASSO AVANTI NELLA LOTTA CONTRO LINGIUSTIZIA


E CONTRO LA GUERRA

uella che segue la traduzione italiana della relazione tenuta da


Walden Bello allincontro di
Beirut 2004 in occasione del forum dei movimenti antimperialisti, attivi nello scenario mediorientale.
Tappa significativa nella vasta mobilitazione mondiale per la liberazione dellIraq e a sostegno della
lotta di resistenza del popolo palestinese, essa ha rilanciato con
forza i temi della solidariet int e rnazionalista e della connessione tra i movimenti asiatici e mediorientali e quelli europei, dando
un ulteriore, fondamentale contributo per lestensione globale
della lotta contro il capitalismo e
contro la guerra, anima del movimento mondiale dei forum sociali, da Mumbai in avanti.
Premio Nobel alternativo 2003,
Walden Bello qui si sofferma sulle
potenzialit e i limiti di questo movimento e accenna alle sfide che,
nella congiuntura internazionale,
segnata dalla guerra permanente,
chiamano il movimento globale a
una risposta.
A part i re dal sostegno alla Resistenza del popolo iracheno contro
loccupante e alla lotta di Liberazione del popolo palestinese
contro il progetto segregazionista
di Sharon

46

Siamo qui riuniti a Beirut in un momento critico. un momento caratterizzato da tendenze contrapposte: in Iraq gli USA sprofondano
sempre pi in un pantano simile a
quello del Vietnam, con un numero
di soldati americani morti, dall'inizio dell'invasione il 20 marzo 2003,
che nella prima settimana di settembre ha superato le mille unit.
Ancora in Palestina, il muro sionista continua ad essere costruito al
ritmo di un chilometro al giorno.
Un anno fa, il 14 settembre 2003, alcuni di noi, presenti in questa sala,
erano a Cancun, in Messico, a ballare di gioia al Convention Center
per festeggiare il fallimento del
quinto incontro ministeriale dell'Organizzazione Mondiale per il
Commercio (WTO). Oggi il WTO,
l'istituzione pi alta della globalizzazione capitalistica, nuovamente
in piedi con l'adozione, lo scorso
mese, della Bozza del Documento di
Ginevra, destinato ad accelerare il
disarmo economico dei paesi in via
di sviluppo.
Poche settimane fa, a New York abbiamo assistito alla sconfessione di
massa di George W.Bush e delle sue
politiche guerrafondaie da parte di
500.000 persone, che hanno manifestato per le vie della citt. Eppure,
oggi, i sondaggi rivelano che lo
stesso George Bush ha un vantaggio

del 10% su John Kerry in una corsa


elettorale, i cui risultati avranno un
enorme impatto sul destino del
mondo nei prossimi anni.
Il futuro, compagni, incerto, come
abbiamo imparato in questa storica
citt, con la sua gloriosa storia di resistenza all'aggressione israeliana e
all'intervento americano.
Come sapete, molte persone hanno
voluto venire a Beirut per essere con
noi. La misura, l'ampiezza e la diversit della nostra assemblea oggi
mettono in evidenza la forza e la potenza del nostro movimento.
Sarebbe utile passare brevemente in
rassegna l'ultimo decennio della nostra storia, per acquisire un'esauriente valutazione del luogo dove
oggi ci troviamo.

LA

MARCIA PER USCIRE

DALLA MARGINALIZZAZIONE

Pi di 10 anni fa il nostro movimento era marginalizzato. Nel 1995


la fondazione del WTO sembr il segnale che la globalizzazione era
l'ondata del futuro e che quelli, che
le si opponevano, erano destinati a
subire la stessa sorte dei luddisti, che
durante la rivoluzione industriale si
battevano contro l'introduzione
delle macchine. La globalizzazione
avrebbe portato con s la prospe-

Settembre - Ottobre 2004

rit: come ci si sarebbe potuti opporre alla promessa del pi grande


bene per il maggior numero di persone, che le imprese transnazionali,
guidate dall'invisibile mano del
mercato, avrebbero riversato sul
mondo?
Ma il movimento non indietreggi
di fronte al disprezzo dell'establishment durante gli anni 1990, quando
il boom della pi potente macchina
capitalista del mondo l'economia
USA sembrava essere destinato a
prolungarsi sempre pi. Rimase
molto fermo nella sua previsione secondo cui, guidate dalla logica del
profitto delle grandi imprese, la liberalizzazione e la deregulation del
commercio e della finanza avrebbero causato crisi, ampliato le disuguaglianze, interne ed esterne ai
diversi paesi, e aumentato la povert
globale.
La crisi finanziaria asiatica del 1997
forn un'inaspettata e crudele prova
dell'impatto destabilizzante dell'eliminazione dei controlli sulla circolazione del capitale globale. In realt, cosa avrebbe potuto essere pi
crudele del fatto che la crisi ha portato nel giro di poche settimane
nell'estate fatale del 1997 sotto il
livello di povert un milione di persone in Tailandia e 22 milioni in Indonesia?
La crisi finanziaria asiatica stata uno di quegli eventi di gran rilievo,
che tolgono il paraocchi alla gente
e la rendono capace di vedere le
realt nella loro freddezza e nella
loro brutalit. E una di queste realt
mostrava che le politiche liberiste,
che il Fondo Monetario Internazionale (IMF) e la Banca Mondiale
(WB) avevano imposto a qualcosa
come 100 economie in via di sviluppo e di transizione, avevano provocato in tutte, eccetto che in un
piccolo gruppo di esse, non un ciclo virtuoso di crescita, prosperit
ed eguaglianza, ma un ciclo vizioso
di stagnazione economica, povert
e disuguaglianza. Il 2001 non ci ha
portato solamente l'11 settembre.
stato anche l'anno della resa dei
conti per il fondamentalismo libe-

Internazionale

rista: l'anno in cui l'economia argentina, il modello dell'economia


neoliberista, fin a pezzi, mentre negli Stati Uniti le contraddizioni del
capitalismo globale, deregolamentato e guidato dalla finanza, hanno
distrutto 4.600 miliardi di dollari di
ricchezza investita met del PIL
degli USA ed aperto un periodo
di stagnazione e di crescita della disoccupazione, da cui l'economia capitalistica pi importante del mondo, fino ad oggi, non si ancora riavuta.
Mentre il capitalismo globale brancolava fra una crisi e l'altra, le persone si organizzavano nelle strade,
sui posti di lavoro, sull'arena politica per combattere la sua logica distruttiva.
Nel dicembre del 1999, la massiccia
resistenza di piazza di oltre 50.000
dimostranti si un alla rivolta dei governi dei paesi in via di sviluppo nel
Convention Center di Seattle, per
affossare il terzo incontro ministeriale del WTO.
La protesta globale ha eroso anche se in maniera meno drammatica la legittimit dell'IMF e della
Banca Mondiale, gli altri due pilastri del governo economico mondiale. I movimenti antiliberisti di
massa hanno portato al potere
nuovi governi in Venezuela, Argentina, Brasile, Ecuador e Bolivia.
Il quinto incontro ministeriale a
Cancun un evento associato nella
memoria delle persone con il suicidio altruistico sulle barricate del
contadino coreano Lee Kyung-Hae,
attivista di Via Campesina diventata la seconda Seattle.
A novembre dello scorso anno, a
Miami la stessa alleanza della societ
civile con i governi dei paesi in via
di sviluppo ha costretto Washington
a far marcia indietro rispetto al suo
programma neoliberista di radicale
liberalizzazione del commercio,
della finanza e degli investimenti,
che aveva minacciato di imporre
nell'emisfero occidentale attraverso la Free Trade Area of the Americas (FTAA: Area delle Americhe
per il libero Commercio).

B AT T E R S I

C O N T R O L' I M P E R O

Un'ambizione del nostro movimento era la lotta per la giustizia e


l'eguaglianza a livello globale.
L'altra era la lotta contro il militarismo e la guerra. Per il movimento
contro l'intervento imperiale, gli
anni 1980 e 1990 non sono stati
buoni. Le lotte di liberazione nazionale sono arretrate, hanno perso
slancio o sono state seriamente
compromesse in molte parti del
mondo. Naturalmente, ci sono state
delle eccezioni, come il Sud Africa,
dove l'ANC andato al potere, la
Palestina, dove la prima Intifada ha
inflitto ad Israele una sconfitta politica e militare; il Libano, da dove
gli USA sono scappati, dopo che
nel 1983 241 marines americani
sono morti nell'attentato alla loro
base, che si trovava proprio pochi
chilometri da qui, e, da dove Israele
stato a poco a poco cacciato via nel
decennio successivo; e, per non dimenticare nulla, la Somalia, dove la
distruzione di un'unit di Ranger
USA a Mogadiscio costrinse l'amministrazione Clinton a por fine all'intervento militare nell'ottobre
del 1993.
Gli ideologi della globalizzazione
promossero l'illusione che la globalizzazione accelerata avrebbe portato al regno della pace perpetua.
Al contrario, il nostro movimento
ammon che, con il progredire della
globalizzazione, i suoi effetti economicamente e socialmente destabilizzanti, avrebbero moltiplicato i
conflitti e i pericoli. Condotta secondo la logica delle grandi imprese, la globalizzazione ammonivamo avrebbe portato un'epoca
di imperialismo aggressivo, che
avrebbe cercato di distruggere ogni
opposizione, di prendere il controllo delle risorse naturali e di difendere i mercati.
stato provato che avevamo ragione, ma c' voluto del tempo per
ottenerne il riconoscimento.
Siamo anche rimasti troppo disorientati di fronte agli eventi dell'11
settembre 2001 e alle vicende in-

47

Internazionale

terne dell'Afghanistan, per poter rispondere efficacemente all'invasione di quel paese da parte degli
USA. Ma stato subito chiaro che la
cosiddetta Guerra contro il Te rrorismo era semplicemente una
scusa per perseguire l'Assoluta Supremazia Militare o, nel gergo del
Pentagono, il Dominio a Pieno
Spettro.
Fra la fine del 2002 e l'inizio del
2003, il movimento ha finalmente
ripreso l'iniziativa, diventando una
forza globale per la giustizia e per la
pace, che, il 15 febbraio 2003, ha
mobilitato contro la prevista invasione dell'Iraq decine di milioni di
persone in tutto il mondo. Non

La questione, amici e compagni,


non se Washington
alla fine sar sconfitta
dalla resistenza irakena.
Sar sconfitta

siamo riusciti a fermare l'invasione


americana e britannica, ma abbiamo senza dubbio contribuito a
delegittimare l'occupazione e a renderla sempre pi difficile per gli invasori, che per rimanere in Iraq
hanno smaccatamente violato la
legge internazionale e molte norme
della Convenzione di Ginevra.
Il New York Times, in occasione della
manifestazione del 15 febbraio
2003, ha detto che nel mondo
odierno sono rimaste solamente
due superpotenze, gli Stati Uniti e
la societ civile globale. Lasciatemi
aggiungere che non ho alcun dubbio sul fatto che le forze della giustizia e della pace prevarranno sull'incarnazione contemporanea dell'impero, del sangue e del terrore,
costituita dagli USA.

48

L'IRAQ ,

LA

RE S I S T E N Z A

E IL MOVIMENTO

Il nostro movimento in crescita.


Ma la nostra agenda pesante, i nostri compiti sono enormi. Solo per
citarne alcuni: dobbiamo cacciare
gli USA fuori dall'Iraq e dall'Afghanistan; dobbiamo fermare le politiche sempre pi genocide di
Israele contro il popolo palestinese;
dobbiamo imporre la legge a stati
canaglia e fuorilegge, come gli USA,
la Gran Bretagna e Israele; e ancor di pi dobbiamo fare un po'
di strada per diventare una massa
critica, tale da influire in maniera
decisiva nella lotta per la liberazione nazionale dell'Iraq.
Mi spiego. Negli ultimi mesi in Iraq
si sono verificati due avvenimenti illuminanti. Il primo stato la rivelazione dei sistematici abusi sessuali
perpetrati nella prigione di Abu
Ghraib, poco fuori Baghdad. Il secondo stato l'insurrezione di
Fallujah ad Aprile.
Lo scandalo di Abu Ghraib, che ha
mandato in collera gran parte del
mondo e fatto vergognare moltissimi Americani, ha strappato via l'ultimo brandello di legittimit alla
presenza USA in Iraq. L'insurrezione di Fallujah, che ha visto i combattenti irakeni uomini, donne e
bambini sconfiggere le legioni coloniali scelte di Washington, i marines USA, stata il punto di svolta
della guerra di liberazione nazionale irakena. Fallujah stata seguita
da insurrezioni in altre citt, come
Najaf e Ramadi. Ha dimostrato che
la resistenza irakena non portata
avanti dai resti del regime di
Saddam Hussein, ma che molto
estesa, popolare e in crescita.
Lasciatemi leggere un recente resoconto del New York Times sulle situazioni di Ramadi e di Falluja, che
a questo punto sono molto pi che
un microcosmo dell'Iraq. Scrive che
gli sforzi americani di costruire una
struttura di governo attorno a persone fidate dell'ex partito Baath
sono falliti. Al contrario, le due
citt e gran parte della provincia di
Anbar, sono controllate dalle mi-

Settembre - Ottobre 2004

lizie, con le truppe USA, relegate


per lo pi in fortini super protetti ai
margini del deserto.
Quanto scarsa sia l'autorit, che
hanno gli Americani, provato
dalle loro sortite circospette su veicoli armati e dalle bombe guidate
dai raggi laser[Ma] i bombardamenti sembrano addirittura rafforzare [le milizie], che accusano gli
Americani di provocare molte uccisioni di civili.
La questione, amici e compagni,
non se Washington alla fine sar
sconfitta dalla resistenza irakena.
Sar sconfitta. La questione per
quanto a lungo resister in questa
situazione impossibile. Sulla soluzione di questo problema, il nostro
ruolo di movimento globale per la
pace di grande rilevanza.
Washington resiste nonostante gli
attacchi quotidiani alle sue truppe
da parte della resistenza. A causa di
questa situazione, la vittoria della resistenza del popolo irakeno sar certamente accelerata da una cosa: l'emergere di un forte movimento globale contro la guerra, come quello
che scese nelle strade quotidianamente, con migliaia di persone,
prima e dopo l'offensiva del Tet nel
1968. Finora questo non si materializzato, nonostante la contrariet
alla presenza USA in Iraq sia il sentimento dominante a livello globale
e la disillusione, nei confronti della
politica del loro governo in Iraq, si
sia ora estesa alla maggioranza del
pubblico USA.
In effetti, nel momento stesso, in cui
sarebbe stato estremamente necessario per il popolo dell'Iraq, il movimento pacifista ha avuto difficolt
a mettersi in moto. Le dimostrazioni del 20 marzo 2004 sono state
significativamente pi piccole di
quelle del 15 febbraio 2003, quando
decine di milioni di persone hanno
manifestato nel mondo contro la
progettata invasione dell'Iraq. Una
pressione di massa internazionale
tale da influenzare i governanti la
messa in campo quotidiana, dimostrazione dopo dimostrazione, di
centinaia di migliaia di persone,
citt dopo citt non si proprio

Settembre - Ottobre 2004

manifestata, almeno non ancora.


Forse il motivo pi importante che
una parte significativa del movimento pacifista internazionale esita
a legittimare la resistenza irakena.
Chi sono? Possiamo davvero sostenerli? Queste domande vengono
sempre pi pressantemente poste ai
sostenitori di un ritiro incondizionato, militare e politico, dall'Iraq.
Affrontiamo la questione: l'uso del
suicidio, come arma politica, continua a disorientare molti attivisti,
che hanno provato un senso di repulsione nei confronti di dichiarazioni come quelle dei leaders palestinesi, che hanno affermato con orgoglio che i kamikaze sarebbero l'equivalente degli F-16 degli oppressi.
Affrontiamo la questione: il fatto
che larga parte della resistenza, in
Iraq come in Palestina, sia d'ispirazione mussulmana e non laica, continua a disorientare molti pacifisti
occidentali.
Non c' mai stato finora un movimento, di liberazione nazionale e
per l'indipendenza, particolarmente attraente. Molti progressisti
hanno provato repulsione anche
per alcuni dei metodi usati dal movimento dei Mau Mau in Kenya,
dal FLN in Algeria, dal FLN in
Vietnam. Quello che i progressisti
dimenticano che i movimenti di
liberazione nazionale non chiedono loro di aiutarli per motivi essenzialmente ideologici o politici.
Quello che realmente vogliono dall'estero, dai progressisti come noi,
una pressione internazionale per il
ritiro di una potenza, che illegittimamente occupa i loro paesi, di
modo che le forze interne possano
avere lo spazio per formare un vero
governo nazionale, fondato solamente sulla loro autonoma volont.
Fin quando molti pacifisti si lasciano condizionare, nelle loro iniziative, dalla pretesa di garantirsi
che solo un movimento, costruito a
misura dei loro valori e dei loro discorsi, possa arrivare al potere, continueranno a rimanere intrappolati
nel paradigma dell'imposizione
delle loro condizioni ad altre persone.

Internazionale

Mi spiego. Non possiamo farci promotori di soluzioni condizionate:


anche di una che dica che le truppe
USA e della coalizione si ritirino
solo se c' la presenza di una forza
di sicurezza dell'ONU, che prenda
il posto degli Americani. Il solo atteggiamento fondato di principio :
ritiro incondizionato di tutte le
forze militari e politiche, USA e
della Coalizione, subito! Punto.
Ma se il futuro stesso dell'Iraq continua ad essere incerto, la resistenza
irakena ha gi contribuito a trasformare l'equilibrio mondiale.
Gli USA, oggi, sono pi deboli di
quanto non lo fossero prima del 1
maggio 2003, quando Bush proclam la vittoria in Iraq. L'Alleanza
Atlantica, che ha vinto la Guerra
Fredda, non funziona pi, in gran
parte per la divisione sulla questione irakena. La Spagna e le
Filippine sono state costrette a ritirare le loro truppe dall'Iraq e la
Tailandia, in silenzio, si comportata allo stesso modo, contribuendo
ulteriormente all'isolamento degli
USA. In Afghanistan la situazione
pi instabile ora di quanto non lo
fosse lo scorso anno, con l'ordine
degli USA che non va oltre i sobborghi di Kabul. L'Islam militante,
che ora gli USA considerano il loro
nemico n. 1, si espande con sempre maggior forza nel Sudest asiatico, nell'Asia meridionale e nel
Medio Oriente. In America Latina,
oggi abbiamo in Brasile, in Argentina, in Venezuela e in Bolivia dei
grandi movimenti popolari antiliberisti e anti-USA, che sono al governo o rendono difficile ai governi
mantenere le loro politiche neoliberiste di liberalizzazione del mercato. Hugo Chavez ha sfidato frontalmente l'imperialismo, proprio
nel giardino sottocasa e rimane al
potere grazie al sostegno organizzato del popolo venezuelano. Pi
potere a lui e al popolo venezuelano!
A causa della loro arroganza, gli
USA soffrono della malattia fatale
di ogni eccesso di potere imperiale.
Il nostro ruolo, per usare le stesse
parole del grande rivoluzionario cu-

bano, Che Guevara, aggravare


questa crisi di sovraestensione, non
solo creando e facendo crescere i
movimenti di solidariet internazionale contro gli USA in Iraq, contro l'asse USA-Israele in Palestina e
contro l'intervento strisciante degli
USA in Colombia. Ma anche facendo sorgere e rinvigorendo le
lotte contro la presenza imperiale
USA nei nostri paesi e nelle nostre
regioni. Ad esempio, con la lotta
contro le basi USA nel Nordest asiatico e la rinnovata presenza militare
USA nel Sudest asiatico grazie alla
cosiddetta Guerra al Terrorismo
una cosa, alla quale noi dell'Asia
orientale dobbiamo nuovamente
dedicarci.

La lotta contro l'imperialismo


e la guerra un fronte
della nostra lotta.
L'altro fronte la lotta,
per cambiare le regole
dell'economia globale

VE R S O

UN NUOVO ORDINE

ECONOMICO GLOBALE

La lotta contro l'imperialismo e la


guerra un fronte della nostra lotta.
L'altro fronte la lotta, per cambiare le regole dell'economia globale, dal momento che la logica
del capitalismo globale, le cui sorgenti sono gli USA, l'Unione Europea e il Giappone, a essere la causa
del disgregazione della societ e
dell'ambiente. La sfida in questo
caso va al di l della semplice distruzione del potere di istituzioni
quali la Banca Mondiale, il Fondo
Monetario Internazionale e l'Organizzazione Mondiale per il Commercio, sebbene questo compito
non debba farci sottovalutare, come
semplici testimoni, ad esempio

49

Internazionale

la recente risurrezione del WTO,


che molti di noi pensavano che a
Cancun avesse subito il pi duro
colpo da quando stato fondato.
La sfida consiste in ci, che mentre
distruggiamo il vecchio, osiamo anche immaginare visioni e programmi per il nuovo e conquistare
la gente ad essi. Contrariamente alle
proclamazioni degli ideologi dell'establishment, i principi, che serv irebbero da pilastri per il nuovo ordine globale, ci sono. Il principio
prima che, in alternativa a una societ governata dall'economia e dal
mercato, il mercato deve essere
usando un'immagine del grande
studioso ungherese Karl Polanyi
reinquadrato nella societ e governato secondo i supremi valori comunitari, la solidariet, la giustizia,
l'uguaglianza. A livello internazionale l'economia deve essere deglobalizzata, ovvero deve sbarazzarsi
della logica del profitto capitalistico
ed essere realmente internazionalizzata, cio la partecipazione all'economia internazionale deve servire a rafforzare e sviluppare, non
ha disintegrare e distruggere le economie nazionali e locali.
La prospettiva e i principi ci sono;
la sfida su come le diverse societ
possano articolare questi principi e
questi programmi secondo modalit uniche, che rispondano ai loro
valori, ai loro ritmi, alla loro personalit, in quanto societ. Chiamateci post-moderni, ma per il nostro
movimento centrale il convincimento che contro la credenza comune sia del neoliberismo, che del
socialismo burocratico non c'
nessuna scarpa che calzi perf e t t amente a tutti. Il problema non pi
l'alternativa, ma le alternative. E in

50

mancanza di un nuovo ordine globale, costruito sui principi della giustizia, della sovranit e del rispetto
della diversit, non ci sar nessuna
vera pace.

DUE

SFIDE

Lasciatemi finire ritornando al nostro compito pi urgente, che


quello di sconfiggere gli USA in Iraq
ed Israele in Palestina. Tutti noi
siamo qui, non per celebrare la nostra forza, ma cosa importantissima per affrontare nei prossimi
giorni le nostre debolezze.
Consentitemi semplicemente di
dire che una delle sfide, che noi affronteremo, come superare le
azioni spontanee e il coordinamento, limitato al livello della definizione coordinata delle giornate
internazionali di protesta.
L'avversario estremamente ben
coordinato a livello globale e noi
non abbiamo altra scelta che raggiungere un livello analogo di coordinamento e di cooperazione. Ma
dobbiamo raggiungerlo con una
professionalit che rispetti davvero
le nostre pratiche democratiche;
dobbiamo confrontarci con esso, in
maniera tale da trasformare la nostra pratica democratica in vantaggio.
L'altra sfida, che mi piacerebbe sottolineare, quella del superamento
della frattura politica e culturale fra
i movimenti globali per la giustizia
e per la pace e i loro equivalenti nel
mondo arabo e islamico. Questa
una frattura che l'imperialismo ha
sfruttato abilmente, con i suoi tentativi di dipingere la maggior parte
dei nostri compagni arabi e mus-

Settembre - Ottobre 2004

sulmani come terroristi o sostenitori del terrorismo. Non possiamo


permettere che tale situazione si
prolunghi: questa la ragione per
cui teniamo questo incontro a
Beirut. Davvero, lasciatemi dire che,
se i movimenti globali e i movimenti
arabi con costruiscono stretti e organici legami di solidariet, non vinceremo la lotta contro la globalizzazione, condotta dalle grandi imprese, e contro l'imperialismo.
Cos, amici, il futuro della lotta incerto: un'incertezza che sar influenzata da quello che succeder a
Beirut nei prossimi giorni. Andremo avanti, rimarremo fermi, indietreggeremo? La risposta dipende
unicamente da ciascuno dei pi di
300 delegati registrati, che sono venuti qui da tutto il mondo. Io sono
cautamente ottimista. Perch c' la
buona volont, c' la tolleranza per
le differenze e c' la volont politica,
per arrivare all'unit d'azione, per
battere le forze dell'ingiustizia, dell'oppressione e della morte.

Walden Bello stato insignito del Right


Livelihood Award per il 2003. Il premio meglio conosciuto come il premio Nobel alternativo. Bello dirigente dell'organizzazione di
ricerca Focus on the Global South, con sede
a Bangkok, e professore di sociologia e di pubblica amministrazione presso l'Universit
delle Filippine.
Documento originale alla pagina
h t t p : / / w w w. z m a g . o r g / c o n t e n t / s h o w a rt icle.cfm?SectionID=1&ItemID=6289.
Traduzione di Giancarlo Giovine

Settembre - Ottobre 2004

Internazionale

Almada Portogallo,
26, 27 e 28 novembre:
dibattito congressuale

Partito comunista
portoghese:
17 Congresso
PER FAVORIRE LA CIRCOLAZIONE DELLE IDEE, PUBBLICHIAMO STRALCI DEL
DOCUMENTO DEL COMITATO CENTRALE

Dalla Tesi n 1 - Paragrafo 3


LA

importanza nella lotta per il progresso sociale.

R E S I S T E N Z A E L A L O T TA

D E I L AV O R AT O R I E D E I P O P O L I

offensiva dellimperialismo globale e particolarmente violenta.


Cerca di abbattere conquiste raggiunte in decenni di dure lotte, di
distruggere sino alla radice le realizzazioni del socialismo e di pervertirne la memoria, di seminare fra
le masse il disfattismo, il conformismo e lassenza di speranza. Tutto
ci crea seri problemi e difficolt alliniziativa comunista e delle altre
forze progressiste e rivoluzionarie.
Ma i popoli non si sottomettono.
Limperialismo incontra una crescente resistenza. Dovunque prosegue la lotta liberatrice dei lavoratori
e dei popoli.
La resistenza del popolo iracheno
alla guerra doccupazione dellIraq
riveste grande importanza e significato politico, mostrando come anche in assenza di una forza nazionale unificante e di una chiara prospettiva rivoluzionaria (che fecero,
per esempio, la forza della resistenza in Vietnam) sia possibile affrontare gli eserciti pi poderosi,
confermando che la difesa della sovranit e dellindipendenza nazionale rimane un fattore della pi alta

La lotta contro limperialismo e in


primo luogo contro limperialismo
nordamericano e la sua politica di
aggressione e di guerra di importanza cruciale. ancora necessario prestare ad essa la massima attenzione e intensificare in tutte le
forme possibili la solidariet antimperialista con i popoli vittime dellingerenza e dellaggressione da
parte degli USA e di altre grandi potenze. In Palestina, a Cuba, in
Venezuela, in Columbia, nei Balcani, in Afghanistan, nella Repubblica Popolare di Corea, a Cipro e
in altri Paesi singaggiano battaglie
di prima linea, i cui esiti avranno
grandi ripercussioni e conseguenze
per il futuro dellumanit. Le grandi mobilitazioni mondiali per la
pace e contro la guerra in Iraq rivestono perci unimportanza eccezionale, ed necessario promuoverne la continuazione, lorganizzazione e il carattere antimperialista.
Va pure sottolineato il significato
della crescente resistenza alle rovinose politiche del Fondo Monetario
Internazionale, della Banca Mondiale e del WTO e al dominio oppressore delle imprese transnazionali. La lotta popolare contro la privatizzazione dei servizi e delle im-

prese pubbliche, particolarmente


in Europa e in America Latina,
dove, come in Bolivia, ha assunto
forme insurrezionali; la lotta contro
lAccordo di Libero Commercio
delle Americhe (ALCA), al progetto
di ricolonizzazione dellAmerica
Latina da parte degli USA; la vittoria di Cancun con lemergere del
Gruppo dei 20 composto da importanti Paesi che resistono alle imposizioni economiche dellimperialismo, sono tutti eventi rilevanti che
importante valorizzare.
La contraddizione antagonistica fra
capitale e lavoro continua ad essere
al centro della lotta di classe e per il
superamento rivoluzionario del capitalismo. Tanto al centro che alla
periferia del mondo capitalista
hanno luogo importanti lotte da
parte della classe operaia e dei lavoratori salariati, e dove il movimento sindacale continua a lottare
per il proprio carattere di classe si
conferma come il movimento sociale pi stabile, influente e di
massa.
La lievitazione della lotta delle
masse, sebbene irregolare, stata il
tratto pi significativo della lotta dei
lavoratori dallultimo Congresso
del PCP. Londata di scioperi compresi scioperi generali e nazionali di
grande impatto politico si forte-

51

Internazionale

mente espressa in numerosi Paesi di


tutti i continenti, coinvolgendo lavoratori delle grandi imprese pubbliche o private e di settori e rami
produttivi assai diversi. Grandi giornate di lotta e manifestazioni hanno
mobilitato in diversi Paesi dell
America Latina, dellEuropa e dell
Asia centinaia di migliaia e pure milioni di manifestanti, associando
frequentemente rivendicazioni economiche a proteste direttamente
politiche, di carattere democratico
e progressista. La resistenza alloffensiva sfruttatrice del capitale, distruttrice di diritti e conquiste storiche dei lavoratori, di cui sono
esempi la lotta contro le privatizzazioni, in difesa dei posti di lavoro e

Di fronte allannuncio
dellattacco allIraq
decine di milioni di persone
sono scese in piazza
per tentare
dimpedire laggressione

contro la disoccupazione, in difesa


dei servizi pubblici, del diritto alleducazione, della sicurezza sociale,
della pensione, contro la precarizzazione e la deregolamentazione
delle relazioni di lavoro, per laumento dei salari e la riduzione dellorario di lavoro, la lotta per i diritti
delle donne, dei giovani lavoratori
e degli studenti, contro lo sfruttamento del lavoro infantile e in difesa dellambiente, hanno contribuito a limitare la portata degli
obiettivi del grande capitale.
Il problema dellimmigrazione si
presenta in molti Paesi, Portogallo
compreso, come una questione insormontabile, non solo di carattere
socio-economico ma di classe e di
internazionalismo. La costruzione

52

dellunit internazionale dei lavoratori e lalleanza della classe operaia dei Paesi capitalistici sviluppati
con i popoli oppressi dei Paesi del
Terzo Mondo investe anche questo problema.
Difendere il movimento sindacale
dalla violenta offensiva del capitale,
aumentare la sindacalizzazione, lemancipazione dei sindacati dallinfluenza riformista e dal collaborazionismo di classe che domina in
numerosi Paesi, specialmente europei, una questione della massima
importanza per lavanzamento
della resistenza e della lotta contro
loffensiva del grande capitale e dellimperialismo.
Alla centralizzazione e concentrazione del capitale e il dominio delle
relazioni economiche internazionali da parte di una manciata di imprese transnazionali corrisponde la
proletarizzazione accelerata dei ceti
sociali intermedi e allallargamento
del campo delle forze anti-monopolistiche.
Le lotte delle masse contadine, del
proletariato agricolo e dei produttori indipendenti per la terra, per il
diritto a produrre, contro le imposizioni del WTO e delle multinazionali dellindustria e del commercio
agro-alimentare, per prezzi compensativi, coinvolgono centinaia di
milioni di persone in tutto il
mondo, e in molti casi sono, come
in India o in Brasile, fortemente organizzate da esperti movimenti di
classe. Si tratta di lotte che, contro
la demagogia assistenzialistica, pongono ovunque lesigenza della
Riforma agraria, di profonde trasformazioni della struttura e della
propriet della terra e del commercio agro-alimentare, come pure dei
diritti delle comunit indigene e
della difesa dellambiente, contro le
brutali aggressioni delle transnazionali.
Le lotte delle masse contadine sono
state in primo piano in numerosi
Paesi nonostante la loro quasi nulla

Settembre - Ottobre 2004

visibilit mediatica, salvo quando,


come in Ecuador, in Per o in
Bolivia, sono esplose in grandi movimenti di massa di carattere insurrezionale e di grande impatto sul
piano politico, o come a Bombay,
dove i sindacati e le organizzazioni
contadine hanno contribuito, in
maniera decisiva, al combattivo carattere popolare del 3 Forum Sociale Mondiale.
Devono pure essere valorizzate: le
lotte di una numerosa piccola borghesia urbana, soprattutto dei piccolissimi, piccoli e medi imprenditori; le lotte degli intellettuali e dei
quadri tecnici, uno strato sociale
sempre pi proletarizzato e numeroso; le lotte delle donne, il cui movimento per la promozione dei loro
diritti e per leffettiva uguaglianza
sul piano economico, politico, sociale e culturale ha unimportanza
sempre maggiore nella societ; le
lotte dei giovani e degli studenti, il
cui peso sociale aumenta facendosi
anche maggioranza in molti Paesi,
con grandi lotte per loccupazione,
per la scuola pubblica e la democratizzazione dellinsegnamento,
per un futuro migliore; ed gusto
valorizzare lazione della Federazione Mondiale della Giovent e degli Studenti e del movimento dei
Festival Mondiali della Giovent e
degli Studenti, con il loro carattere
di massa e i loro contenuti antimperialisti.
Con il brusco aggravamento dovuto
alla politica aggressiva dellimperialismo nordamericano, il movimento per la pace ha conosciuto un
grande sviluppo, unificando in
grandi azioni di massa di dimensioni mondiali un ampio ventaglio
di organizzazioni unitarie, movimenti sociali e forze politiche. Di
fronte lannuncio dellattacco
allIraq decine di milioni di persone
sono scese in piazza per tentare
dimpedire laggressione e per protestare contro la sua attuazione, indicando il governo nordamericano
come il principale nemico della
pace. Le possenti mobilitazioni del

Settembre - Ottobre 2004

15 febbraio e del 20 marzo del 2003


contro la guerra in Iraq, realizzate
simu ltaneamente in numerosi
Paesi, hanno costituito un fatto
nuovo di grande rilievo nellambito
della lotta dei lavoratori e dei popoli
contro limperialismo e contro la
guerra.
Nella resistenza al nuovo ordine imperialista, bench con gradazioni
ed aspetti diversi, deve essere valorizzato il ruolo dei Paesi che definiscono come proprio lorientamento e lobiettivo della costruzione di una societ socialista
Cuba, Cina, Vietnam, Laos, Repubblica Popolare di Corea. Al di l
delle loro profonde differenze, essi
rappresentano unimportante
realt della vita internazionale, la
cui esperienza va compresa e conosciuta, indipendentemente dalle
differenze che presentano in relazione alla concezione della societ
socialista alla quale noi aspiriamo
per il Portogallo e dellinquietudine e delle discordanze che suscitano in noi alcune concezioni e soluzioni su importanti questioni.
Non per caso che limperialismo
combinando pressioni di ordine
politico, economico e militare, che
vanno dal blocco economico alla
minaccia di aggressione armata
mantenga questi Paesi come bersaglio permanente delle sue campagne di destabilizzazione e aggressione. Questo avviene sia per il suo
tentativo di distruggere la forza desempio rivoluzionario e patriottico,
come nel caso di Cuba e della sua
Rivoluzione socialista, come pure
per contenere e, se possibile, sovvertire quella patente realt geostrategica che la Cina rappresenta.
nellinteresse delle forze del progresso sociale e della pace che questi obiettivi dellimp eria lismo
escano sconfitti e che i popoli di
questi Paesi, come i popoli di tutto
il mondo, possano decidere senza
pressioni e ingerenze esterne la propria via di sviluppo.
Lallargamento del fronte sociale di

Internazionale

lotta contro il capitale e laggravamento dei problemi delle masse popolari hanno portato negli ultimi
tempi ad una esplosione di rivendicazioni, proteste specifiche e movimenti del tipo pi vario. Valorizzando ci che di positivo questa
realt contiene come volont di partecipazione civica e di intervento
democratico, necessario opporsi
allatomizzazione e alla dispersione
del movimento sociale e alle pressioni per la sua spoliticizzazione e
per il suo recupero in chiave riformista.
La lotta per la convergenza di tutte
le classi e strati anti-monopolistici in
un vasto fronte di lotta anticapitalista (che si tratti del capitalismo nella
sua versione neoliberista o meno) e
antimperialista un obiettivo fondamentale nel momento attuale.
Lesplosione del cosiddetto movimento antiglobalizzazione (nelle
sue diverse espressioni, dalle azioni
di massa di contestazione della politica delle organizzazioni internazionali dellimperialismo, ai Forum
Sociali Mondiali o Regionali) costituisce una nuova e importante realt della vita internazionale. Rappresenta lingresso nella lotta di strati
sociali duramente colpiti nei loro
interessi e aspirazioni dal rullo compressore del neoliberismo. Rappresenta laprirsi di una profonda breccia nella teoria del pensiero unico
che inchioda al conformismo e allimpotenza. Rappresenta un restringimento della base sociale
dappoggio del capitalismo nella
sua forma attuale e ha un carattere
oggettivamente anticapitalista e antimperialista.
Riguardo al contenuto e al significato del movimento antiglobalizzazione, si sta svolgendo unintensa lotta politica e ideologica. Fra
coloro che lo situano sul terreno
della lotta di classe e della lotta antimperialista e coloro che fanno di
esso unastrazione in conformit
con le proprie teorizzazioni speculative. Fra coloro che intendono sal-

vaguardare o accentuare il suo carattere anticapitalista e coloro che


pretendendo solo di umanizzare
la globalizzazione capitalista e si impegnano nel suo recupero e nella
sua istituzionalizzazione riformista.
Fra coloro che difendono la necessit del partito rivoluzionario e del
sindacalismo di classe e coloro che
la negano e combattono riducendo
liniziativa trasformatrice ad un movimento anarchizzante inconseguente. Fra coloro che considerano
imprescindibile e determinante
lambito nazionale della lotta, pur
se necessariamente articolato con la
solidariet internazionalista, e quel-

La lotta per la convergenza


di tutte le classi
e strati anti-monopolistici
in un vasto fronte
di lotta anticapitalista
(che si tratti del capitalismo
nella sua versione neoliberista
o meno) e antimperialista
un obiettivo fondamentale
nel momento attuale

li che lo considerano superato e difendono un nuovo internazionalismo senza radici di classe e contenuto anticapitalista. Fra coloro che
vedono nei Forum Sociali Mondiale
ed Europeo un punto dincontro e
di convergenza nellazione di organizzazioni, partiti e movimenti diversi, e quelli che pensano di creare
strutture e reti sovranazionali e
dimporre dal di fuori e dallalto
agende politiche che non hanno alcuna corrispondenza con la dinamica reale della lotta di classe in
ogni Paese e che tendono a perturbare le lotte popolari.

53

Internazionale

Il Partito Comunista Portoghese sta


partecipando e continuer a partecipare alle principali iniziative del
movimento antiglobalizzazione: valorizzando una realt che espressione della crescente resistenza allimperialismo; come unaffermazione delle sue posizioni e della propria identit; coordinando la sua partecipazione con quella degli altri partiti comunisti e rivoluzionari in
modo di conseguire, insieme alla pi
ampia unit contro il neoliberismo e
la guerra, la diffusione dei valori e
del progetto comunista. Ci necessario affinch, in quanto nostra
storica occasione, non vengano frustrati lo scontento, la contestazione
e la radicalizzazione crescenti, principalmente della giovent, e si rafforzino le forze conseguentemente
anticapitaliste e rivoluzionarie.
Il fronte antimperialista, che assai
ampio e diversificato, presenta un
certo qual grado di dispersione riguardo gli obiettivi e le forme dintervento che importante superare.
necessario precisare i grandi assi
dellazione comune o convergente,
che sappia aiutare ad unificare e a
conferire una maggiore efficacia
alla lotta. Come contributo in questa direzione, il PCP pone soprattutto in risalto: la lotta contro il militarismo, la guerra e il ricorso alla
forza nelle relazioni internazionali;
per lo scioglimento della NATO e
delle altre alleanze militari aggressive e contro la militarizzazione
dellUnione Europea; per il disarmo, per labolizione di tutte le
armi di distruzione di massa e per la
proibizione delle armi e del ricatto
nucleare; per il rispetto della Carta
delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, per la democratizzazione dellONU e il rafforzamento
del suo ruolo, compreso quello
delle sue Agenzie speciali per la promozione della pace e dello sviluppo;
per relazioni internazionali eque e
pi giuste, contro la politica del
Fondo Monetario Internazionale,
della Banca Mondiale, del WTO e
delle altre organizzazioni internazionali al servizio del capitale fi-

54

nanziario e delle transnazionali, per


lannullamento del debito estero
dei Paesi del cosiddetto Te r z o
Mondo; contro la politica neoliberista di smantellamento delle conquiste e dei diritti dei lavoratori, in
difesa dei servizi e del settore pubblico e contro la mercantilizzazione
di tutte le sfere della vita sociale, per
la piena occupazione e la stabilit
delle relazioni di lavoro; per solidariet con tutti i popoli vittime delle
ingerenze imperialiste e che lottano
per la propria sovranit, a cominciare dai popoli della Palestina,
dellIraq, di Cuba, del Sahara
Occidentale.
La resistenza alla violenta offensiva
dellimperialismo si manifesta in
forme molto diverse, e non sempre
facile identificare, caratterizzare e
collocare da un punto di vista di
classe le sue varie componenti sociali e politiche. Si pu tuttavia affermare che i partiti comunisti ed
altri partiti rivoluzionari, il movimento operaio e sindacale di classe,
gli Stati ad orientamento socialista
e antimperialista, i popoli che lottano per la propria libert nazionale
e per uno sviluppo indipendente, il
movimento contro la guerra imperialista e per la pace, costituiscono
le grandi forze progressiste di trasformazione sociale la cui alleanza
necessaria per contenere e sconfiggere limperialismo.
Il PCP tiene ben presente tutto ci
nellimpostazione politica delle sue
relazioni internazionali, agendo affinch si rafforzi la sua cooperazione e amicizia, combattendo i tentativi sia dellimperialismo sia dei
settori opportunisti di seminare divisioni e diffidenze nel campo delle
forze del progresso sociale e della
pace.
Levoluzione della situazione internazionale pone con tutta evidenza
lesigenza del rafforzamento dei
partiti comunisti, della loro cooperazione e solidariet internazionalista, della convinta e fiduciosa affermazione del loro progetto di co-

Settembre - Ottobre 2004

struzione di una nuova societ socialista, della lotta contro le vecchie


e nuove linee di attacco ai fondamenti ideologici e organizzativi del
partito rivoluzionario. Vincere le
grandi debolezze attuali e costruire
forti partiti comunisti indispensabile per lesito della lotta.
I problemi e difficolt che si ergono
sulla via del rilancio del movimento
comunista e rivoluzionario internazionale sono assai grandi e di diversa
natura, e il loro superamento esige
fermezza di principi, risposte creative alle nuove realt, tenacit rivoluzionaria. Fra di esse emergono:
loffensiva globale dellimperialismo con attacchi violenti a diritti, libert e garanzie democratiche e criminalizzazione delle forze che vi resistono; destrutturazione e instabilit delle relazioni sociali, con una
profonda incidenza sulla composizione e sugli assetti delle forze di
classe e sulla formazione della coscienza di classe; e ancora le ripercussioni, sul piano oggettivo e soggettivo, della disgregazione dell
URSS e della sconfitta del socialismo in Europa.
Lindebolimento dei partiti comunisti ha lasciato campo libero alla ripresa di concezioni e pratiche di radice piccolo-borghese, radical-riformista, anarchizzante e anticomunista. Continuano a manifestarsi in
importanti partiti forti tendenze
verso la de-caratterizzazione e per
un abbandono degli elementi costitutivi propri di un partito comunista (teoria rivoluzionaria, natura di
classe, forma organizzativa, obiettivo del comunismo) e la loro diluizione in ambigui progetti di sinistra.
La complessa lotta per il rafforzamento dei partiti comunisti e la loro
affermazione quale insostituibile
strumento di resistenza e dalternativa passa per la capacit di questi
partiti di collegarsi alla classe operaia, ai lavoratori e al popolo, di
porsi alla guida delle loro lotte, di
formulare una chiara prospettiva

Settembre - Ottobre 2004

trasformatrice e rivoluzionaria.
Implica simultaneamente una critica sistematica delle concezioni opportunistiche e capitolazioniste e in
particolare delle teorizzazioni utopistiche pre-marxiste o neo-bernsteiniane che ignorano, negano e
combattono la lotta di classe e le acquisizioni storiche del pensiero e
della pratica marxista-leninista. Ed
implica pure la critica alle posizione
settarie e dogmatiche. Non basta a
un partito il dirsi comunista per esserlo veramente.
Laggressivit del grande capitale e
dellimperialismo, al pari del restringimento della sua base sociale
di appoggio, rende particolarmente
necessario lampliamento della cooperazione e della solidariet fra
partiti comunisti, forze rivoluzionarie e della sinistra anticapitalistica.
assai urgente superare i ritardi esistenti, senza di che lo scontento e la
grande contestazione delle politiche neoliberiste e di guerra possono
essere frustrate o essere recuperate
da una qualsiasi variante del riformismo, strutturalmente compromesso con la riproduzione del sistema di sfruttamento capitalista,
come nel caso della socialdemocrazia.
Ma per procedere con efficacia e sicurezza necessario mettere da
parte i preconcetti ideologici, valorizzare ci che unisce e, nel rispetto
delle profonde differenze esistenti
(di situazione, di profilo politicoideologico, di progetto, di influenza) fra le forze che si propongono di cooperare, porre laccento

Internazionale

sullunit nellazione e per iniziative a partire dai problemi e dalle


aspirazioni pi sentiti dalle masse.
indispensabile essere vincolati agli
interessi dei lavoratori e mostrare
una chiara differenziazione dalla socialdemocrazia. necessario rispettare i sacrosanti principi di eguaglianza di diritti, sovranit e non ingerenza negli affari interni.
A partire da questi criteri fondamentali, il PCP sta dando e continuer a dare il suo contributo per il
rafforzamento della cooperazione e
della solidariet con le forze di sinistra in tutto il mondo e specificamente in Europa, con la propria attiva ed impegnata partecipazione
sia ad iniziative congiunte su problemi comuni, sia ad incontri, conferenze, seminari e forum di vario
tipo.
Dando la priorit ad iniziative comuni o convergenti su obiettivi concreti e allorganizzazione di iniziative internazionali contro il neoliberismo e la guerra, nello stesso momento in cui non concorda con lidea di partiti sovranazionali, il PCP
difende decisamente la necessit di
procedere verso forme pi stabili
dellarticolazione fra partiti comunisti e altri partiti rivoluzionari.
Ma gli ostacoli in questo ambito,
specialmente in Europa, non si risolvono precipitando le soluzioni e
adottando logiche di tipo federalista, con maggioranze e minoranze, ignorando la grande diversit di
situazioni esistente. Sono necessarie soluzioni unitarie, rispettose

della sovranit e dellidentit di


tutti, che uniscano e che non possano creare difficolt e fratture supplementari.
Questo il caso del Partito della
Sinistra Europea che, per la sua origine, per la sua logica federalista,
per il suo legame con le istituzioni
dellUnione Europea, per il suo inquadramento politico ed ideologico, come gli viene applicato da alcuni dei suoi principali protagonisti, in contraddizione con le concezioni di cooperazione, autonomia e sovranit che intendiamo difendere. A tutto ci si aggiunga il
fatto che esso concepito, da parte
di alcuni, in contrapposizione con i
criteri fondamentali che il PCP considera essere quelli che meglio servono allaggregazione delle forze
progressiste e quelli di un partito rivoluzionario.
Nelle attuali circostanze di tempestosi mutamenti, di riassetto delle
forze e di riflessione su esperienze
positive e negative, il movimento comunista e rivoluzionario non
certo interamente separabile da un
quadro molto pi ampio di cooperazione fra le forze progressiste, rivoluzionarie e antimperialiste. Ma
questo fatto non pu comportare la
perdita dellidentit o la sua diluizione.
Le relazioni damicizia, cooperazione e solidariet fra partiti comunisti, forze affini per storia, ideologia e progetto, sono indispensabili
per affermare e rilanciare i valori e
il progetto del socialismo e del comunismo.

55

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

Settembre - Ottobre 2004

Hanno ragione
Kautsky e Negri
a parlare rispettivamente
di ultra-imperialismo
e di impero?

Esiste oggi
un imperialismo
europeo?

di Domenico Losurdo

IMPERIALISMO USA, CONTRADDIZIONI INTERIMPERIALISTICHE


E IL NEMICO PRINCIPALE DEI POPOLI

1. LA

R I S C O P E RTA D I

LENIN

i pu ancora parlare di imperialismo? Qualche tempo fa un libro di


grande successo, firmato da due autori che si richiamano al movimento
comunista, ne ha decretato la fine.
Avrebbero ormai perso senso i confini nazionali e statali e i conflitti tra
le grandi potenze e il mondo risulterebbe unificato in un unico Impero. La situazione odierna sarebbe
radicalmente diversa rispetto a
quella analizzata e affrontata da
Lenin. Se non che, nello scrivere il
suo saggio sull'imperialismo, il
grande rivoluzionario si richiama
alla fondamentale opera inglese
sullimperialismo di Hobson
(Lenin, 1955, vol. XXII, p. 189), apparsa in prima edizione nel 1902.
Era ancora fresco il ricordo della
spedizione congiunta che due anni
prima aveva represso nel sangue la
rivolta dei Boxer in Cina. Pur costellata di massacri a danno dei barbari, limpresa era stata celebrata
dai suoi ideologi e da una larga opinione pubblica in Occidente come
la realizzazione del sogno di politici
idealisti, gli Stati Uniti del mondo civil i z z a t o. Limpresa non aveva visto
unite tutte le grandi potenze del
tempo?
Non qui tanto importante rilevare
che, a breve distanza di tempo, labbraccio internazionale del capitale

56

avrebbe ceduto il posto alla carneficina della prima guerra mondiale.


Conviene invece concentrarsi sul
fatto che la categoria di imperialismo comincia ad affermarsi non in
riferimento al conflitto tra le grandi
potenze (latente o acuto a seconda
delle circostanze e dei rapporti
forza), ma per rispondere in primo
luogo ad unesigenza diversa. Se
Theodore Roosevelt, nel 1904, celebra le imprese coloniali come operazioni di polizia internazionale,
portate avanti dalla societ civilizzata nel suo complesso, in quello
stesso periodo di tempo a parlare di
imperialismo sono coloro che denunciano la realt della guerra, dei
massacri, delloppressione nazionale e dello sfruttamento economico cui sono sottoposti i popoli
delle colonie e semi-colonie.
Ben si comprende allora quello che
avviene ai giorni nostri. Alla cancellazione della categoria di imperialismo corrisponde la rinnovata trasfigurazione delle guerre coloniali
come operazioni di polizia internazionale. A suo tempo, Michael
Hardt (autore, assieme a Negri, del
fortunato Impero), ha giustificato la
guerra contro la Jugoslavia, al
tempo stesso in modo tortuoso e
magniloquente: Dobbiamo riconoscere che questa non unazione
dellimperialismo americano. in
effetti unoperazione internazio-

nale (o, per la verit, sovra-nazionale). Ed i suoi obiettivi non sono


guidati dai limitati interessi nazionali degli Stati Uniti: essa effettivamente finalizzata a tutelare i diritti umani (o, per la verit, la vita
umana) (Il manifesto del 15 maggio 1999). Nonostante la retorica
del nuovismo, sembra di rileggere
Theodore Roosevelt!
Questa deriva ha una sua logica.
Partendo dal presupposto di un
Impero, di uno Stato mondiale, che
abbraccia lintera umanit (e che
ovviamente dispone di una sua polizia), le operazioni di polizia internazionale possono al pi essere
criticate in quanto eccessivamente
energiche o insufficientemente imparziali; ma esse non possono essere
contestate alla radice, in quanto
espressione di rapporti politico-sociali fondati sulla legge del pi forte,
sulla violenza intrinseca all'imperialismo, che fa pesare una terribile
minaccia su ogni Paese incline a difendere la propria indipendenza.
Parlare di superamento dell'imperialismo significa infliggere un
colpo grave al movimento di lotta
per la pace.
Non a caso questa categoria viene
oggi riscoperta da eminenti intellettuali, di orientamento borghese,
ma comunque angosciati dagli sviluppi della situazione internazionale e dal crescente peso negli Stati

Settembre - Ottobre 2004

Uniti di circoli esplicitamente guerrafondai. E non si tratta affatto di intellettuali astratti. Persino politici di
primo piano, quali il senatore americano Ted Kennedy e l'ex-cancelliere tedesco Helmut Schmidt non
esitano a parlare, in relazione all'amministrazione Bush, di imperialismo ovvero di tendenze imperialistiche (Losurdo, 2002).
In questo senso, potremmo dire
che, a partire dal tentativo di dare
una risposta ad alcune domande
pressanti per chiunque abbia a
cuore le sorti della pace (perch la
sconfitta del campo socialista ha
aperto la strada non gi ad un allentamento bens ad un inasprimento della situazione internazionale? perch alla guerra fredda ha
fatto seguito non gi la pace perpetua promessa dai vincitori bens una
serie di guerre calde che sembra
non dover conoscere fine?), si assiste ad una riscoperta di Lenin persino in campo borghese.

2. U N O

STRANO ELENCO

Se ineludibile la categoria di imperialismo, per quali Paesi dobbiamo farla valere? Stando a Contropiano (febbraio 2003), lodierna situazione internazionale sarebbe caratterizzata dalla competizione
sempre pi intensa tra il nascente
polo imperialista europeo con gli altri poli (USA, Giappone, Cina).
Dinanzi a questo quadro, anzi a questo elenco, alcune domande subito
simpongono. Ma perch non inserirvi la Russia, che tuttora dispone
di un arsenale nucleare inferiore
soltanto a quello della superpotenza americana? O perch non inserirvi lIndia? Certo, il suo prodotto interno lordo inferiore a
quello della Cina, ma la percentuale
destinata al bilancio militare sensibilmente superiore, a giudicare almeno dai dati riportati dal volume
di aggiorna mento del 2002
dellEnciclopedia Britannica. In ogni
caso, lIndia una potenza nucleare, nutre smisurate ambizioni
e conduce una politica di potenza

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

cinica, ha moltiplicato gli interventi nello Sri Lanka dal 1987 al


1990 e ha sviluppato una non trascurabile marina da guerra che esibisce la sua forza sin nello stretto
di Malacca (Jacobsen e Khan,
2002). A tutto ci si accompagna lascesa di unideologia che celebra la
supremazia ind e ariana (Lakshmi, 2002); questideologia che
spinge il governo a chiudere un occhio o entrambi sui pogrom anti-islamici; ed sulla base dellislamofobia e dellantisemitismo antiarabo che lIndia stringe legami
sempre pi stretti con gli Stati Uniti
e Israele. Riuscir il ritorno del
Partito del Congresso alla direzione
del Paese a modificare queste tendenze e questi orientamenti?
Oppure, perch non inserire nellelenco dei poli imperialisti un
Paese come il Brasile? Il suo reddito
pro capite pressappoco cinque
volte quello della Cina, e non mancano le voci che attribuiscono ambizioni nucleari al grande Paese latino-americano. vero, se facciamo
riferimento al prodotto interno
lordo, una certa distanza separa il
Brasile dalla Cina; ma tale distanza
non certo superiore a quella che
separa la Cina, non diciamo dagli
USA o dal Giappone o dallUnione
Europea nel suo complesso, ma gi
dalla Germania presa isolatamente.
Alle domande qui formulate larticolo di Contropiano da me criticato
risponde indirettamente, allorch
evidenzia la competizione tra le
economie pi forti e/o i poli imperialisti. E, dunque: polo imperialista sinonimo di potenza economica (misurata in termini di prodotto interno lordo). A questo
punto, per fare lelenco dei poli imperialisti basta riprodurre la classifica dei Paesi con pi alto prodotto
interno lordo. Se non che, ben
lungi dallessere oggettivo, lelenco
si rivela del tutto arbitrario: non si
comprende perch esso debba includere la Cina e concludersi con
essa, piuttosto che fermarsi prima o
procedere ancora oltre.
Lapproccio statistico mette fuori
gioco la storia, la politica, lideolo-

gia. Lunica cosa che realmente


conta lempiria immediata dellammontare del pil. Con conseguenze paradossali. Se dovesse bloccarsi la crescita economica della
Cina, questa cesserebbe di essere un
Paese o un polo imperialista; diventerebbe invece imperialista il
Brasile di Lula, se dovesse avere successo nel suo tentativo di sottrarsi allabbraccio neocolonialista dellAlca e di dare impulso allo sviluppo di
unautonoma economia nazionale.
I Paesi pi importanti del Terzo
Mondo vengono cos posti dinanzi
ad una imbarazzante alternativa: o
continuare ovvero tornare ad essere
una semicolonia oppure diventare
una potenza imperialista! Se vogliono evitare laccusa di imperialismo, devono rassegnarsi alla sconfitta politica o al fallimento sul
piano economico!

3. I L

RUOLO DELLA

CI N A

Ma proviamo a far re-intervenire la


storia, la politica, lideologia. Alla vigilia delle guerre delloppio, la Cina
certo ai primi posti nella classifica
dei Paesi con pi alto prodotto interno lordo; ma non per questo
un Paese imperialista, come conferma lorribile oppressione e umiliazione che essa appena dopo comincia a subire. E ai giorni nostri?
Facciamo pure astrazione dal fatto
che, nel grande Paese asiatico, a detenere il monopolio del potere politico un partito comunista che nei
suoi documenti ufficiali tuttora si richiama a Marx, a Lenin e a Mao, oltre che al socialismo, un partito al
quale fino a ieri non erano ammessi
gli imprenditori e che ancora oggi,
stando ai dati riportati dal Il Sole-24
ore dell8 novembre, vede al suo interno una larga maggioranza di
operai, contadini e pensionati. S,
sorvoliamo su tutto ci, anche se
prima o dopo bisogner pure aprire
un dibattito su un tema ineludibile
per coloro che si richiamano a
M a rx: un partito comunista che
conquista il potere in un Paese in
condizioni semicoloniali e di terri-

57

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

bile arretratezza economica deve


impegnarsi in primo luogo a ridistribuire le scarse risorse disponibili
(senza neppure propriamente risolvere il problema della fame e dellinedia), oppure deve far leva sullo
sviluppo delle forze produttive (che
anche il prerequisito per la difesa
dellindipendenza nazionale)?
Ma qui partiamo dallipotesi che in
Cina sia stato intrapreso e portato a
termine un processo di restaurazione capitalistica. Dobbiamo considerare imperialista un Paese che
fondamentalmente ripiegato al suo
interno e che vede tutte le sue forze
assorbite dallobiettivo di quadruplicare in ventanni il pil, cos com
riuscito a fare nei ventanni prece-

Limperialismo ha anche
una dimensione ideologica,
come dimostra da ultimo
lesempio degli USA,
che si autodefiniscono
una nazione eletta ed unica

denti? Limperialismo ha anche una


dimensione ideologica, come dimostra da ultimo lesempio degli
USA, che si autodefiniscono una
nazione eletta ed unica e che rivendicano il loro diritto a intervenire e a portare avanti la loro
grande missione in ogni angolo
del mondo. Diametralmente opposta lideologia ribadita dal recente
Congresso del PCC che, sul piano
internazionale, riafferma i principi
della coesistenza pacifica e delluguaglianza tra i diversi Paesi e, sul
piano interno, chiama a raddoppiare gli sforzi per mantenere la
stabilit e assicurare il benessere
generale ad una popolazione che
ammonta ad un quinto dellumanit! Lattenzione ai problemi della
pace e dello sviluppo rappresenta
un chiaro elemento di continuit
ideologica rispetto al passato: si

58

pensi, ad esempio, agli anni della


Conferenza di Bandung. Ipotizzare
una trasformazione indolore in un
polo imperialista da parte di un
Paese a lungo alla testa dei movimenti di emancipazione nazionale
significa dar prova avrebbe detto
Trotskij di un riformismo rivoltato!
Daltro canto, possiamo considerare definitivamente conclusa la
lotta di liberazione nazionale che ha
presieduto alla nascita della
Repubblica Popolare Cinese? Non
si tratta solo di Taiwan. A partire, per
lo meno, dal trionfo degli USA nella
guerra fredda, insistenti risuonano
le voci che prevedono o auspicano
per il grande Paese asiatico una fine
analoga a quella subita dallUnione
Sovietica o dalla Jugoslavia: una
nuova frammentazione della Cina
lesito pi probabile annunciava
un libro di successo pubblicato a
New York nel 1991 (Friedman e
Lebard, 1991). Quattro anni dopo,
la rivista Limes a richiamare lattenzione, gi nel suo editoriale, sullaspirazione di importanti circoli
statunitensi ed occidentali a smembrare la Cina in molte Taiwan. In
quello stesso numero della rivista,
un ex-generale degli alpini e ora docente di geopolitica scrive a proposito dei cinesi: Sanno benissimo
che la loro espansione economica
sta suscitando gelosie e timori e che
il mondo esterno, dagli Stati Uniti
al Giappone e agli Stati confinanti,
spera nellinstabilit interna e forse
nella frammentazione del colosso
cinese (Jean, 1995, p. 121). Ancora
quattro anni dopo, nel 1999, sempre su Limes, un altro generale, si richiama, simpateticamente, agli
studi di un esperto statunitense
che invita lamministrazione del suo
Paese ad affrontare in maniera pi
coerente la futura frammentazione
della Cina (Mini, 1999, p. 92). E
questi inviti non sono semplici esercitazioni accademiche. Sempre nel
1999, lanno del bombardamento
dellambasciata cinese a Belgrado,
un esponente di rilievo dellamministrazione americana dichiara che
la Cina gi solo per la sua dimen-

Settembre - Ottobre 2004

sione costituiva un problema ovvero una potenziale minaccia per i


suoi vicini (Richardson, 1999).
Daltro canto, lo scudo spaziale particolarmente caro a Bush jr. mira anche o in primo luogo a mettere il
grande Paese asiatico, impegnato
nello sviluppo e nella corsa per superare larretratezza, dinanzi ad un
dilemma: rinunciare ad un deterrente nucleare credibile (e quindi
esporsi disarmato al ricatto di
Washington), oppure farsi coinvolgere in una corsa al riarmo economicamente e politicamente devastante. una riedizione del grande
gioco che ha comportato la disfatta
e lo smembramento dell Unione
Sovietica.
E, dunque, anche a voler partire dal
presupposto (arbitrario) della restaurazione del capitalismo in Cina,
le sue contraddizioni con gli USA
non potrebbero essere definite
come competizione tra poli imperialisti. Sarebbe preoccupante se i
comunisti fossero in grado di riconoscere e appoggiare una lotta per
la liberazione o lindipendenza nazionale solo quando questa si svolge
in condizioni disperate o assai difficili!

4. L U N I O N E E U R O P E A
N O N U N O S TAT O
Per quanto riguarda i rapporti tra
superpotenza americana e Unione
Europea, si fa spesso riferimento al
tendenziale mutamento dei rapporti di forza sul piano economico
tra questi due poli imperialisti.
Ma privo di senso un confronto tra
due grandezze cos eterogenee:
lUnione Europea non uno Stato!
Da che parte si schiererebbe
lInghilterra nella fantomatica ipotesi di un conflitto tra le due rive
dellAtlantico? E da che parte si
schiererebbe lItalia di Berlusconi?
E riuscirebbe a sopravvivere lodierno, malfermo, asse franco-tedesco alleventuale ritorno al potere in
Germania dei democristiani e in
Francia di un partito socialista dai
forti legami con Israele? Ancora una

Settembre - Ottobre 2004

volta leconomicismo si rivela fuorviante. Diamo uno sguardo alle modalit con cui oggi si svolge la corsa
al riarmo: nel 2003 gli Stati Uniti
spenderanno da soli pi dei 15-20
Paesi inseguitori messi assieme.
Incolmabile sembrerebbe essere il
vantaggio su cui pu contare la superpotenza americana, la quale, tuttavia, continua ad accelerare: solo
per il settore della Ricerca e dello
Sviluppo militare, Washington destina risorse finanziarie superiori ai
bilanci militari complessivi della
Germania e della Gran Bretagna
messi assieme (Brooks e Wohlforth,
2002, pp. 21-2). Infine: gli USA
spendono per la Difesa quasi il doppio dellinsieme degli altri membri
dellAlleanza (prima dellallargamento) (Venturini, 2002).
E ora rileggiamo Lenin: la guerra
tra le potenze imperialistiche interviene allorch i rapporti di forza si
modificano a favore della potenza
emergente e a danno della potenza
sino a quel momento egemone. Lo
illustra in modo particolarmente
brillante la dialettica che presiede
allo scoppio della prima guerra
mondiale, col declino dellInghilterra e la contemporanea ascesa
della Germania. Se non che, la situazione odierna del tutto diversa:
i rapporti di forza certo si modificano ma accrescendo ulteriormente il vantaggio di cui gode la superpotenza americana. Alla vigilia
della p rima guerra mondiale,
lEuropa divisa e lacerata da due
contrapposti schieramenti diplomatico-militari che raggruppano i
Paesi che successivamente si affrontano sui campi di battaglia; ai giorni
nostri vediamo allopera ununica
Alleanza, che si allarga sempre di
pi e che continua ad essere egemonizzata dagli Stati Uniti. Negli
anni che precedono il 1914, lInghilterra suona ripetutamente lallarme per il progressivo rafforzarsi
del potenziale militare della
Germania; ai giorni nostri, al contrario, gli USA sferzano gli alleati
europei perch destinano insufficienti risorse al bilancio militare e
cos rischiano di non essere pi in

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

grado di partecipare, in funzione


subalterna, alle spedizioni punitive
in ogni angolo del mondo sovranamente decise da Washington.
Far riferimento allantagonismo anglo-tedesco, e quindi alla dialettica
che presiede allo scoppio della
prima guerra mondiale, non ci aiuta
in alcun modo a comprendere gli
odierni rapporti internazionali.
Semmai, ferma restando lassoluta
peculiarit di ogni situazione concreta, un diverso capitolo di storia
che conviene tener presente. Nel
1814 termina il duello che aveva
contrapposto Londra e Parigi per
quasi un quarto di secolo e che
aveva persino travalicato i confini
dellEuropa, configurandosi agli
occhi dei contemporanei come una
sorta di guerra mondiale. Al crollo
dellimperialismo napoleonico
(Lenin, 1955, vol. XXII, p. 308)
cos si esprime Lenin nel luglio 1916
fa seguito legemonia incontrastata della Gran Bretagna, che pu
cos sviluppare la sua espansione coloniale ed estendere la sua influenza in ogni angolo del mondo.
la cosiddetta pace dei cento
anni. Naturalmente, anche in tale
arco di tempo non mancano le tensioni e i conflitti tra le grandi potenze, per non parlare dei massacri
di cui queste si rendono responsabili nelle colonie. Resta il fatto che
una sfida mortale alla potenza egemone verr lanciata soltanto ad un
secolo di distanza dal trionfo inglese
del 1814. Per dirla col Lenin dell
Imperialismo: Mezzo secolo fa la
Germania avrebbe fatto piet se si
fosse confrontata la sua potenza capitalista con quella dellInghilterra
dallora (Lenin, 1955, vol. XXII,
pp. 294-5). Oggi, in realt, decisamente pi grande il distacco che separa la potenza egemone rispetto ai
possibili sfidanti. Diamo la parola
allo storico statunitense Paul Kennedy: Lesercito britannico era
molto pi piccolo degli eserciti europei, e perfino la Marina reale non
superava per dimensioni le due
Marine combinate delle potenze
che occupavano il secondo e il terzo
posto in questo momento, tutte le

altre Marine del mondo messe insieme non potrebbero minimamente intaccare la supremazia militare americana (in Hirsh, 2002,
p. 71). E non si dimentichi che lo
strapotere navale, sommato al controllo delle aree pi ricche di petrolio e di gas naturale, d agli USA
la possibilit di tagliare le vie di rifornimento energetico ai potenziali
nemici. Da questo punto di vista, il
Giappone in una condizione di debolezza ancora maggiore dellUnione Europea.
Se cos stanno le cose, non ha senso
stare a scrutare lorizzonte alla ri-

Non ha senso stare a scrutare


lorizzonte alla ricerca di nubi
che preludano ad una
futura tempesta militare
e ad un futuro scontro
tra gli USA e lUnione Europea
ovvero tra gli USA e il Giappone

cerca di nubi che preludano ad una


futura tempesta militare e ad un futuro scontro tra gli USA e lUnione
Europea ovvero tra gli USA e il
Giappone. Chi pensa che, con la
scomparsa dellUnione Sovietica, e
cio del Paese scaturito dalla rivoluzione dOttobre e dalla lotta contro la carneficina della prima guerra
mondiale, il mondo sia tornato alla
situazione precedente il 1914, farebbe bene a ricredersi.

5. U N

I M P E R O P L A N E TA R I O

Al di l del mutamento rappresentato dal crollo del tradizionale colonialismo e dallesistenza di Paesi
e partiti di governo che continuano
a richiamarsi al socialismo, trasformazioni profonde sono intervenute
anche nei rapporti tra le grandi potenze capitalistiche. La guerra inter-

59

Settembre - Ottobre 2004

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

imperialista di cui parla Lenin lo


strumento per ridefinire le sfere
dinfluenza in base ai nuovi rapporti
di forza, che sono il risultato della
disuguaglianza dello sviluppo. Ai
giorni nostri, invece, sempre pi
netta emerge lambizione degli
Stati Uniti di costruire un impero
planetario, da gestire in modo solitario ed esclusivo. Siamo in presenza di un fenom eno nuovo.
Certo, nel momento in cui ritiene
di poter rapidamente liquidare
lUnione Sovietica e, sullonda di
questa ulteriore vittoria, di costringere la Gran Bretagna alla capitolazione, Hitler accarezza lidea di utilizzare lEuropa continentale cos
assoggettata e unificata per lanciare

Hanno dunque ragione


Kautsky e Negri
a parlare rispettivamente
di ultra-imperialismo
e di Impero?

una sfida anche agli Stati Uniti e


conquistare legemonia mondiale.
Ma si tratta di unillusione di breve
durata e, soprattutto, di un progetto
che, sin dallinizio, privo delle
gambe per poter realmente camminare. Ai giorni nostri, invece, gli
USA sono gi presenti dappertutto
con le loro navi da guerra e con le
loro basi e, grazie allenorme vantaggio militare accumulato, con arroganza sempre maggiore teorizzano il loro diritto a intervenire e a
dettar legge in ogni angolo del
mondo. Nella cultura statunitense
ormai diventato un luogo comune
il richiamo allimpero romano: esso
ora sarebbe risorto a nuova vita al di
l dellAtlantico, senza pi le limitazioni geografiche e temporali del
passato, in modo da consacrare il
dominio perenne della nazione
unica ed eletta da Dio. Per po-

60

ter fronteggiare questa folle ambizione, intanto necessario prenderla sul serio: fuorviante mettere
sullo stesso piano gli Stati Uniti e le
altre grandi potenze capitalistiche.
Hanno dunque ragione Kautsky e
Negri a parlare rispettivamente di
ultra-imperialismo e di Impero? Il realt, il discorso dellImpero
ormai unificato e il discorso, apparentemente contrapposto, dello
scontro allorizzonte tra i poli imperialisti partono da un presupposto comune: sarebbe lecito parlare
di imperialismo solo allorch la rivalit tra le grandi potenze capitalistiche fosse cos acuta da sfociare o
tendere a sfociare nello scontro armato. Ma le cose non stanno in questi termini: durante la guerra
fredda, agli Stati Uniti senza dubbio riuscito di egemonizzare lintero mondo capitalistico. Non per
questo limperialismo era dileguato: nel 1956, Washington approfitta della crisi di Suez per estromettere dal Medio Oriente
Inghilterra e Francia, le quali, tuttavia, sono e si sentono cos deboli
nei confronti del loro alleato di
oltre Atlantico, che finiscono col rinunciare senza opporre grande resistenza ad una loro tradizionale e
importante zona dinfluenza. Dopo
la fine della guerra fredda, lo squilibrio di forze a favore della superpotenza americana si ulteriormente accentuato. Ma ci non comporta in alcun modo il dileguare
dellimperialismo.
Al contrario, oggi risulta quanto
mai istruttiva la polemica di Lenin
con Kautsky: limperialismo non
mira allassoggettamento soltanto
delle zone agrarie e delle aree periferiche; la ricerca dellegemonia
pu acutizzare la questione nazionale persino nel cuore stesso dellEuropa, come osserva Lenin nel
luglio 1916, nel momento in cui,
con le armate guglielmine alle porte
di Parigi, la guerra sembra doversi
concludere con una vittoria della
Germania di tipo napoleonico
(Lenin, 1955, vol. XXII, p. 308). Ai
giorni nostri, gli aspiranti padroni
del mondo non si accontentano di

ridisegnare radicalmente la geografia politica dei Balcani e del Medio


Oriente. Al di l della Cina, presa
particolarmente di mira per la sua
storia e la sua ideologia, ad essere
minacciata di smembramento anche la Russia. Persino per quanto riguarda i Paesi di pi consolidata tradizione capitalistica, il loro rapporto con la superpotenza americana pu essere descritto solo in
parte mediante la categoria di competizione inter-imperialistica. Si
pensi in particolare allItalia: gli
USA la possono controllare con le
basi militari e con le truppe sottratte
alla giurisdizione ordinaria, con
una rete capillare di spionaggio che
si avvale dei metodi tradizionali e
della tecnologia sofisticata di
Echelon, con gli attentati terroristici e la strategia della tensione che
scatta al momento opportuno, con
la loro forte presenza economica,
con un ceto politico che rigurgita di
Quisling o aspiranti Quisling. Nel
1948, nellipotesi di una vittoria
elettorale della sinistra, la Cia aveva
approntato piani per proclamare
lindipendenza della Sicilia e della
Sardegna: la dialettica oggettiva dellimperialismo tende ad acuire la
questione nazionale nel cuore
stesso della metropoli capitalistica.
Daltro canto, per deboli che siano,
le titubanze e le riserve di alcuni
Paesi europei, non ci consentono di
metterli sullo stesso piano dei pi
decisi istigatori della guerra: lasse
statunitense-israeliano dellaggressione imperialista che comunque
deciso a distruggere non solo lIraq,
ma anche lIran, la Siria, la Libia,
per non parlare della Palestina.

6. I

R A P P O RT I D I F O R Z A

SUL PIANO IDEOLOGICO

A livello internazionale, i rapporti


di forza sul piano militare sono
chiari. Ma sarebbe miope ignorare
la dimensione ideologica del problema. Per allargare la base sociale
di consenso sul piano interno, per
proiettarsi pi agevolmente allesterno e riuscire a raggruppare una

Settembre - Ottobre 2004

quinta colonna nei Paesi controllati


o da controllare, una grande potenza imperialistica ha bisogno di
un mito genealogico, deve riuscire
a presentarsi come lincarnazione
di una superiore missione alla quale
sciocco e criminale voler opporre
resistenza.
Alla fine dellOttocento, dopo aver
celebrato i prodigiosi successi conseguiti dalla Germania sul piano
economico, politico e culturale, un
fervente e influente sciovinista, e
cio Heinrich von Treitschke, prevedeva e auspicava che il Novecento
diventasse un secolo tedesco. Ai
giorni nostri, privo ormai di qualsiasi credito in patria, questo mito
ha preferito trasmigrare negli Stati
Uniti, dove ha trovato accoglienza
calorosa e entusiastica: noto che il
nuovo secolo americano la parola dordine agitata dai circoli neoconservatori, che un ruolo cos importante svolgono nellambito dellamministrazione Bush e, pi in generale, della cultura politica statunitense.
Differenziandosi nettamente dalla
Germania guglielmina, Paesi come
la Francia, lInghilterra, lItalia e gli
Stati Uniti sono andati incontro al
massacro della prima guerra mondiale agitando la bandiera dellint e rventismo democratico: la
guerra era necessaria per far avanzare sul piano mondiale la causa
della democrazia, per liquidare negli Imperi centrali lautocrazia e
lautoritarismo e sradicare cos una
volta per sempre il flagello della
guerra. Comune in passato a tutti i
nemici occidentali della Germania,
questo motivo ideologico ora diventato un monopolio degli Stati
Uniti: il Paese che gi con Jefferson
aspirava a realizzare un impero per
la libert, quale mai stato visto dalla
Creazione ad oggi, che si gloria di
aver liberato il mondo prima dal totalitarismo nazi-fascista e poi dal totalitarismo comunista, oggi si presenta, per usare le parole di Bush,
come la nazione eletta da Dio
quale modello per il mondo e col
compito di imporre dappertutto
democrazia e libero mercato.

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

Nella storia dellEuropa il fascismo


e il nazismo hanno comportato lavvento di nuovi miti genealogici e di
nu ove ideologie della guerra.
LImpero tornato sui colli fatali
di Roma: con tale slogan Mussolini
si gonfiava il petto e giustificava la
marcia espansionistica e i crimini
orrendi dellItalia fascista. Ma oggi
questa ideologia non gode pi di alcun prestigio nel nostro paese. Al
contrario, le forze pi reazionarie,
quelle impegnate a smantellare lo
Stato nazionale assieme a quello sociale, amano gridare: Roma ladrona! Misconosciuto o disprezzato
nella sua terra dorigine, il mito
caro a Mussolini ha attraversato
lAtlantico, e ora politologi e ideologi di grido non esitano a presentare gli Stati Uniti come una sorta
di rinato impero romano di dimensioni planetarie.
Infine. Il Terzo Reich ha costruito
la sua ideologia attingendo largamente alle tradizioni razziste degli
Stati Uniti: contro la minaccia che
sullOccidente e la civilt in quanto
tale facevano pesare i bolscevichi
orientali e i popoli coloniali e di colore da essi aizzati, la Germania hitleriana amava presentarsi come il
campione della riscossa bianca e occidentale, come il Paese chiamato a
riaffermare la white supremacy s u
scala planetaria e sotto egemonia tedesca. Questa ideologia ritornata
al suo luogo dorigine, anche se ora
gli Stati Uniti preferiscono presentarla in forma pi levigata: Hitler si
atteggiava a campione della supremazia ovvero della missione occidentale, bianca o ariana; oggi pi
opportuno limitarsi a parlare di missione dellOccidente!
In conclusione. Sul piano ideologico i rapporti di forza sono sbilanciati a favore degli Stati Uniti in
modo ancora pi netto che su
quello militare. E come, sul piano
militare, anche su quello ideologico
la supremazia dellunica superpotenza mondiale tende a diventare
ancora pi schiacciante. Sostenuta
da un formidabile schieramento
multimediale, in corso a livello
mondiale una massiccia campagna,

il cui obiettivo chiaro e allarmante: come oggi viene liquidata


quale espressione di antisemitismo
ogni critica coerente della politica
di Israele, in modo analogo in futuro ogni critica non meramente
episodica della politica statunitense
dovr essere bollata quale espressione di un antiamericanismo torbido e antidemocratico! E cos, oltre che a livello politico-militare,
lalleanza tra Stati Uniti e Israele si
salda ulteriormente anche a livello
ideologico e, si potrebbe aggiungere, persino teologico: sacrilego
e blasfemo schierarsi contro quella
che Bush, con linguaggio vetero-testamentario, definisce la nazione
eletta da Dio.

Lalleanza tra Stati Uniti e Israele


si salda ulteriormente
anche a livello ideologico e,
si potrebbe aggiungere,
persino teologico

Siamo di fronte ad una campagna


che non prende di mira soltanto i
movimenti rivoluzionari: per essersi
rifiutata di appoggiare la guerra
preventiva di Bush, la Francia non
solo esclusa dalla lucrosa ricostruzione dellIraq ed colpita da
altre rappresaglie economiche, ma
anche additata al pubblico ludibrio sul piano internazionale in
quanto focolaio di antiamericanismo e di antisemitismo! Al potere di
annientamento nucleare gli Stati
Uniti hanno ora aggiunto, grazie
anche al rinsaldarsi dellalleanza
con Israele, il potere di scomunica
e cio di annientamento ideologico
e morale. E non si perda di vista il
fatto che la campagna anti-francese
(e anti-europea) lanciata da oltre
Atlantico pu contare sullappog-

61

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

gio nella stessa Francia (e nella


stessa Europa) di uno schieramento
tuttaltro che trascurabile.
C un altro elemento da non perdere di vista. Oggi nei principali
Paesi europei (Inghilterra, Francia,
Italia, Spagna) si manifesta unagitazione separatista, che pu talvolta
assumere la forma di lotta armata; e
ancora una volta sono gli Stati Uniti
a decidere se tali movimenti sono da
inserire nella lista delle organizzazioni terroristiche o in quella dei
movimenti di liberazione nazionale! E cio, al di l dellUnione
Europea, Washington ha la possibilit di disgregare gli stessi Stati nazionali che la costituiscono.
Ma, allora, che senso ha evocare lo
spettro di un imperialismo europeo
in ascesa, che si appresta a sfidare e
a scalzare la superpotenza americana? A spingere in direzione di
questa fantapolitica una lettura
dottrinaria e scolastica di Lenin,
la convinzione per cui ogni grande
Paese capitalistico pu svolgere
sempre e soltanto una funzione imperialistica. Ma questa non lopinione di Lenin. Labbiamo visto ipotizzare nel 1916, nel caso di una vittoria di tipo napoleonico dellesercito di Guglielmo II, una guerra
di indipendenza e di liberazione nazionale condotta dalla Francia, che
pure in quel momento dispone di
un grande impero coloniale.
Quattro anni dopo, nel presentare
ledizione francese e tedesca dell
I m p e r i a l i s m o, Lenin costretto a
prendere atto di una situazione ra-

62

dicalmente nuova: la gara per legemonia mondiale, la spartizione


del bottino ha luogo tra due o tre
predoni (Inghilterra, America,
Giappone) di potenza mondiale, armati da capo a piedi, che coinvolgono nella loro guerra, per la spartizione del loro bottino, il mondo intero. Non si parla qui della Francia.
Ma ad essere significativo soprattutto un altro silenzio: sottoposta com alla pace di Versailles, di gran
lunga pi brutale e infame della
pace di Brest-Litovsk, nel 1920 la
Germania non inserita nel novero
delle potenze imperialistiche
(Lenin, 1955, vol. XXII, p. 193).
Certo, con lascesa prima e lavvento
al potere poi del nazismo, la situazione cambia di nuovo e in modo ancora pi radicale. Il Terzo Reich consegue la vittoria di tipo napoleonico che era sfuggita a Guglielmo
II: di conseguenza, anche un Paese
capitalistico avanzato e con ampi
possedimenti coloniali qual
Francia si trasforma a sua volta in
una colonia o in una semicolonia
della Grande Germania ed costretta quindi ad impegnarsi in una
guerra di liberazione nazionale, per
lappunto secondo la previsione o
lanalisi di Lenin.
Senza farsi ingabbiare dalla scolastica, i comunisti devono sempre
procedere ad unanalisi concreta
della situazione concreta. Ai giorni
nostri, la lotta contro limperialismo essenzialmente la lotta contro limperialismo americano e contro lasse Stati Uniti-Israele

Settembre - Ottobre 2004

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Fabio Mini, 1999 - Xinjiang o Turkestan orientale?, in Limes. Rivista italiana di geopolitica,
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Franco Venturini, 2002 - Il rischio dellAlleanza:
diluita e sempre pi americana, in Corriere
della Sera del 23 novembre, p. 5

Settembre - Ottobre 2004

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

Nellepoca del capitalismo,


la razionalit materiale
del governo dello Stato
la riproduzione del capitale
in quanto rapporto sociale
di produzione

Lautonomia
del salario
per lEuropa
dei lavoratori

di Francesco Nappo
Presidente Comitato Regionale PRC Campania

STATO E CLASSI NELLA GLOBALIZZAZIONE IMPERIALISTICA

ellepoca del capitalismo, la razionalit materiale del governo dello


Stato la riproduzione del capitale
in quanto rapporto sociale di produzione, non il puro favoreggiamento della riproduzione allargata
del valore che resta, naturalmente,
la base economica della societ. Per
assicurare questa, infatti, necessaria, come funzione preminente di
governo, la ristrutturazione politica
delle condizioni sociali della produzione, dei rapporti di classe in sistema normativo dello sfruttamento, tanto ai fini della coercizione che a quelli della direzione intellettuale e morale della societ.
Viceversa, le basi sociali del consenso attivo o passivo dei governati
dipendono in misura determinante
dalla possibilit che il blocco sociale
e di potere contenga bisogni diffusi
e interessi sociali frazionati nellarmatura delle compatibilit imposta,
non dal capitalismo in astratto, ma
dalla specifica composizione di
classe di una formazione economico-sociale organizzata in Stato.
Tutto ci tanto pi necessario
quanto pi si intensifica la mondializzazione del mercato e la proiezione internazionale dei sistemi di
impresa sotto la spinta del grande
capitale multinazionale e transnazionale. Cresce, infatti, in tale scenario lesposizione dei sistemi statuali di egemonia per laggravarsi

delle contraddizioni tra le classi e


tra gli Stati ed il moltiplicarsi di
nuove forme di conflitto ed inedite
esperienze di lotta di massa.
Solo chi confonde lideologia liberistica e la realt del capitalismo non
vede che la legittimazione di diritto
e di fatto dei Governi e dei sistemi
istituzionali che si basano sulla societ civile dipende da questultima,
dalla tutela attiva dei suoi interessi
complessivi che in nessuna parte del
mondo sono o possono essere interamente conformi o fungibili alla
logica pura di mercato. Basti un solo
macroscopico esempio: non vi un
solo Governo al mondo che si autodefinisca liberista, il quale pratichi
la mobilit integrale dei fattori produttivi su scala globale, consentendo la mobilit transnazionale
della forza-lavoro mondiale eccedente, cio la libera circolazione dei
migranti. , infatti, evidente che ci
sconvolgerebbe i mercati del lavoro
nazionali e distruggerebbe le basi
sociali del consenso ai Governi ed
agli Stati, con rapidi effetti di disintegrazione sistemica. Nella realt
non esiste un mercato mondiale
della forza-lavoro cos come non esiste una societ civile mondiale.
La stessa circolazione delle merci
fortemente condizionata da vincoli
protezionistici di stretta competenza statale che oppongono Stati
ed aree geo-economiche in un con-

flitto a geometria variabile di dimensioni mondiali che il Wto, in


quanto tale, registra molto pi di
quanto decide. Similmente, ancora,
il movimento dei capitali fortemente dipendente dalle decisioni
statali o inter-statali di tipo fiscale,
monetario e finanziario, basti solo
pensare allo stretto legame tra tassi
di interesse e bilancia dei pagamenti internazionali.
Questi limiti strutturali e storici
della mondializzazione del mercato, cio limpossibilit politica di
una de-statualizzazione del rapporto di capitale, sono alla base
della permanente validit della categoria di imperialismo. Lo stesso
deve dirsi per quanto riguarda il poderoso incedere dei processi di concentrazione e centralizzazione del
capitale, in legame alle politiche statuali e in funzione della concorrenza monopolistica globale, e per
quanto riguarda la pianificazione
strategica di guerre e colonizzazioni
da parte degli Stati capitalistici pi
aggressivi.

C O N T R O L I D E O L O G I A
EUROPEISTICA

La prossima conclusione delliter


costituente europeo illumina lintero percorso che porta da Maastricht, e suoi antecedenti, al varo di

63

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

una Costituzione europea. Questa


segna la sconfitta di tutte le velleit
politico-istituzionali volte a fare
dellEuropa uno Stato federale.
Rispetto al governo delleconomia
limminente profilo costituzionale dellEuropa sancisce, infatti,
lUnione europea non come un
nuovo Stato, ma come unarea economica sorretta da meccanismi istituzionali di coordinamento degli
Stati nazionali in merito alle politiche monetarie, fiscali, di Bilancio e
della concorrenza. Tali meccanismi,
peraltro, resteranno largamente imputati a delegazioni dirette o indirette dei Governi nazionali. Questi
manterranno lultima parola sulle
principali decisioni di politica economica e la possibilit di promuovere cooperazioni rafforzate con
altri singoli Stati europei, in funzione degli interessi nazionali.

Lesperienza politica
dell Europa odierna
fornisce la prova palmare
della fallacia delle tesi
economicistiche

Fallisce, inoltre, in misura determinante, ogni proposito di rendere gli


Organi europei di governo economico e gli Esecutivi europei in genere politicamente responsabili di
fronte al Parlamento europeo ed ai
cittadini europei elettori. Ci a partire dalle modalit stesse di formazione degli Organi di governo politico dellUnione e dalla dinamica
istituzionale dei loro poteri e dei
loro rapporti. Con ci, nello stesso
tempo, si ammette fattualmente linesistenza di una societ civile europea e, quindi, di un Parlamento
europeo propriamente rappresentativo. In tale contesto, lo stesso, cosiddetto, Esercito europeo non potrebbe essere, nella sostanza, che un
coordinamento delle forze armate

64

degli Stati nazionali pi forti.


Lo stesso Presidente della Commissione europea, di cui qualcuno enfatizza lelezione nel Parlamento
europeo sarebbe scelto, in realt,
non dal Parlamento europeo ma dal
Consiglio europeo, cio dal consesso dei Capi di Stato e di Governo
che, nel Progetto costituzionale, riafferma quel potere fondamentale
e sostanziale di indirizzo politico
esterno e superiore al sistema istituzionale dellUnione che aveva gi
prima e che mantiene anche come
organo costituzionalizzato, con tipica caratterizzazione di potere sovrano, interno ed esterno allordinamento, secondo la logica dello
Stato deccezione. Nei confronti del
Presidente della Commissione europea, designato dal Consiglio europeo, il Parlamento europeo
chiamato ad esprimere la sua approvazione o meno per una scelta
che certo dovr tenere conto degli
equilibri parlamentari ma che formalmente e sostanzialmente autonoma in ragione della natura sovrana del potere del Consiglio europeo, cio della concertazione inter-governativa.
Fallimento costituzionale dellEuropa ed inesistenza della societ civile europea, e in genere sovranazionale, sono due facce della stessa
realt. Lesperienza politica dell
Europa odierna fornisce la prova
palmare della fallacia delle tesi economicistiche secondo le quali la globalizzazione avrebbe svuotato le
funzioni riproduttive degli Stati, aggirate dai grandi potentati capitalistici transnazionali, e generato la societ civile sovranazionale, fantasioso teatro degli ancor pi fantasiosi processi costituenti della moltitudine. Gli Stati non solo accrescono, nella crisi della globalizzazione, il loro peso, ma i loro conflitti
e le loro alleanze condizionano profondamente le forme e le istituzioni
sovranazionali della mondializzazione capitalistica. Lo dimostra anche il ruolo decisivo assunto dallasse franco-tedesco sugli indirizzi
della Convenzione costituzionale
europea.

Settembre - Ottobre 2004

Oggi, solo laccecamento ideologico pu impedire di vedere dietro


la procedura di voto allunanimit
il diritto di veto di singoli Stati o
gruppi di Stati in nome dellinteresse nazionale; dietro la cooperazione rafforzata, le strategie e le alleanze dei sistemi di impresa a conduzione monopolistica che afferiscono alle grandi potenze statuali;
dietro la prevalente irresponsabilit
politica degli Organi di governo europei di fronte al Parlamento europeo, lesercizio indiretto di quello
Stato deccezione che , in tutta la
storia contemporanea, la forma effettuale del dominio e dellegemonia del capitale.
Allo stesso modo, solo laccecamento ideologico pu non vedere
in uneventuale Europa armata la
sanzione militare della supremazia
politica ed economica degli imperialismi tedesco e francese.
Del resto, se Berlusconi ha potuto
fermare lultima manovra dellUdc,
rinunciando al commissario europeo alla concorrenza Monti in cambio dellingombrante nomina di
Buttiglione ai Diritti Civili, stato
per due ragioni: la prima la sparizione o il declino della grande industria italiana concorrenziale a
quelle tedesca, francese, olandese,
etc.; la seconda che Monti, anche
per la sostanziale assenza dellItalia
nella grande competizione inter-europea, si mosso come un interprete ideologico delle istanze di liberalizzazione, entrando in conflitto con gli interessi delle multinazionali e dei Governi francesi e tedeschi, posizione alla lunga insostenibile. Il limite ideologico dellazione di Monti, tuttavia, coincide
con lunilateralit di una funzione
tecnico-politica, non a caso politicamente non responsabile: quella
garanzia istituzionale della concorrenza che i Governi nazionali, mandanti degli Esecutivi europei, devono coniugare con le esigenze monopolistiche dei loro sistemi di impresa e le aspettative delle loro societ civili, poich sono politicamente responsabili di fronte ai
Parlamenti nazionali e agli elettori.

Settembre - Ottobre 2004

PE R

IL RILANCIO

DELLA DOMANDA
INTERNA EUROPEA

Le politiche deflazionistiche di compressione del salario e distruzione


del w e l f a re hanno s consentito ad
un euro sopravvalutato, con il placet
degli Usa e della loro industria di
esportazione, di accreditarsi come
moneta di riserva internazionale,
ma hanno anche mortificato le potenzialit espansive della domanda
interna europea. Leconomia europea, deprivata, al contrario di quella
americana, di ogni politica dei tassi
di interesse funzionale alla crescita,
da tempo sostanzialmente dipendente dalla domanda esterna alla
Ue, in particolare di beni capitali, e
quindi temibilmente esposta alle
oscillazioni della domanda internazionale, soprattutto da quella proveniente dagli Usa e dalla Cina.
Da lustri, invece del rilancio della
domanda interna, come sarebbe
necessario e possibile, le autorit
economiche dellEuropa hanno
messo al centro della loro azione il
controllo dellinflazione, in omaggio al dogma monetaristico secondo
il quale linsufficienza dellofferta
non dipende dalleccesso di capacit produttiva ma dalleccesso di
circolazione monetaria derivante
non solo dalla spesa pubblica anticiclica, ma dal welfare in quanto tale.
Eppure, lostacolo principale alla ripresa economica internazionale
sembra venire principalmente dalla
sovra-capitalizzazione determinatasi nellindustria davanguardia
statunitense (la New Economy), alla
quale hanno fatto seguito la caduta
dei corsi azionari negli Usa ed una
crescita inusuale del risparmio interno che danneggia sia gli investimenti che i consumi. N sembra che
la possibilit di abbassare il tasso di
interesse, indotta dal calo dei rendimenti azionari, possa modificare
il corso degli investimenti nei tempi
e nella misura desiderati. Senza considerare le opposte spinte congiunturali a lievi rialzi dei tassi, determinate dallaumento del prezzo del
petrolio e dai suoi effetti inflattivi.

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

Assai gravi possono essere gli effetti


di questo stallo americano sulle
esportazioni dei Paesi dellAmerica
latina e delle cosiddette Tigri asiatiche, nonch sulle esportazioni europee, in primo luogo quelle della
Germania. Daltra parte, la Cina e
lIndia hanno un grado di integrazione nei mercati finanziari che le
mette s al riparo da crisi devastanti,
come quelle asiatiche degli anni 90
o quella argentina pi recente, ma,
proprio per questo, non sembrano
in grado di reperire capitali di investimento sufficienti a farne il
nuovo volano delleconomia mondiale. Senza considerare il fatto che
una crescita indefinita del Pil di
questi Paesi, in particolare della
Cina, non potrebbe non entrare in
contraddizione con i limiti ambientali e la struttura sociale interna.
Il rilancio della domanda interna allarea europea non solo, dunque,
una esigenza vitale dei lavoratori e
dei proletari dEuropa, oppressi da
una prolungata stagione di deflazionismo monetaristico, ma la pi
importante risorsa per evitare avvitamenti paurosi del ciclo mondiale,
dalle incalcolabili conseguenze per
lintera umanit.
Stanno qui le radici materiali della
battaglia di classe, democratica ed
egemonica, in tutta lEuropa, per
laffermazione della programmazione economica come governo politico dellaccumulazione, con rinnovati strumenti di iniziativa economica statale ed interstatale per
modificare i rapporti di classe e di
potere e la divisione internazionale
del lavoro.

IL

SUPERARE
PAT T O D I S TA B I L I T

Una tale prospettiva non pu non


scontrarsi con la logica classista del
Patto di stabilit europeo.
Da venticinque anni il controllo dellinflazione segna il governo delleconomia in Europa, prima e dopo
ladozione delleuro. In questo
stesso periodo il tasso di interesse
stato concepito, prima dalla Deut-

sche Bank e poi dalla Banca Europea, come il guardiano sempre pi


occhiuto della stabilit dei prezzi.
Che cosa era ed in questione in
una tale scelta delle classi dominanti europee?
Immediatamente la cosa riguarda il
disavanzo dei conti con lestero
delle economie europee.
Lavvento dei cambi flessibili e la
crescente interdipendenza delle
economie hanno aggravato il vincolo esterno costituito dal saldo negativo tra esportazioni ed importazioni di merci e capitali, con i conseguenti effetti inflattivi.
La determinante principale e generale dellinflazione diventata, cos,
per i Paesi europei il disavanzo dei

Da venticinque anni
il controllo dellinflazione
segna il governo delleconomia
in Europa, prima e dopo
ladozione delleuro

conti con lestero.


Il problema si presenta in modo
molto diverso negli Stati Uniti. Essi
hanno un mercato interno cos vasto, completo e differenziato che
lenorme massa di merci e capitali
che essi importano alimenta unofferta imponente, bench condizionata, anche pesantemente, dai cicli
del profitto. Tale offerta in grado
di contenere le conseguenze inflattive del disavanzo molto pi di
quanto possa accadere nei Paesi europei. Non a caso, del resto, tanto il
debito estero quanto il deficit pubblico degli Usa, impressionanti in cifra assoluta, sono relativamente
bassi rispetto al Pil, contrariamente
a quel che accade per i disavanzi
delle economie capitalistiche europee.
Ci spiega perch gli Usa negli ultimi venticinque anni non hanno

65

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

mai rinunciato, quando lo hanno ritenuto necessario, ad usare il tasso


di interesse e le politiche di Bilancio
in funzione della crescita interna,
cos come spiega perch i governi
europei, con leccezione del primo
governo Mitterand, vi abbiano rinunciato.
In Europa lespansione della domanda interna si presenta tuttora
come un minaccioso moltiplicatore
di importazioni e disavanzo che
deve essere frenato dal tasso di interesse per evitare che la conseguente svalutazione monetaria colpisca i profitti e le rendite e diminuisca il potere dacquisto di salari
non indicizzati ai prezzi, aumentando la pressione salariale sui costi.
Lo scotto da pagare per questuso
deflazionistico del tasso di interesse
e del Bilancio non consiste tanto
nella rinuncia alla svalutazione
competitiva delle merci di esportazione ma nel fatto che essa non
possa essere compensata adeguatamente da un rilancio complessivo
dellinnovazione e della produttivit, proprio a causa delle politiche
deflattive.
Ci che ha prevalso, insomma, nelle
scelte delle classi dominanti europee la difesa classista dei profitti e
delle rendite in contraddizione con
bisogni generali di sviluppo e redistribuzione.

66

Infatti, la tendenza principale di tali


politiche diventata sempre pi
chiara: la compressione del salario
e la svalorizzazione della forza-lavoro, drammaticamente rappresentata dal modello Siemens.
La contro-riforma del mercato del
lavoro , in questo senso, laspetto
principale delle cosiddette politiche strutturali presentate dalla Ue
come laltra faccia del Patto di stabilit. Lattacco sistematico e pervasivo al potere contrattuale operaio
mantiene, naturalmente, lobiettivo di sempre: impedire che i lavoratori attraverso la contrattazione
difendano ed espandano il loro potere dacquisto a danno di profitti e
rendite. Tuttavia, nella lunga depressione deflattiva dellEuropa lo
scontro ha riguardato sem pre
meno la distribuzione dello sviluppo e sempre pi la difesa reazionaria di redditi borghesi statici a
danno delloccupazione e del welfare.
In questa situazione, se i salariati potessero nuovamente difendere ed
aumentare con lindicizzazione e la
contrattazione il loro potere dacquisto, sarebbe ben difficile per padroni, burocrazie sindacali concertative e partiti pseudo-riformisti
convincere lavoratori e disoccupati
che linflazione sempre nemica
del salario e dello sviluppo.
Infatti, ragionevole ritenere che:

Settembre - Ottobre 2004

1. linflazione nemica del salario


solo se, e finch, i lavoratori, sconfitti politicamente, non sono in
grado di rafforzare contrattualmente il loro potere dacquisto, capacit che, a sua volta, la base sociale della loro riscossa politica; 2.
linflazione nemica dello sviluppo
se al potere contrattuale dei lavoratori non si associa una espansione
generale della produttivit basata
sullinnovazione e una capacit elevata di utilizzare gli impianti. Condizione questa che nel pieno interesse della classe operaia, ma che il
mercato non pu soddisfare nella
misura richiesta dallautonomia
contrattuale e politica del lavoro
produttivo, senza un deciso rilancio
dellintervento pubblico che rompa
con il quadro istituzionale e sociale
delle politiche deflazionistiche.
Non bisogna per coltivare illusioni
illuministiche: la revoca del Patto di
stabilit non pu essere la causa ma
solo leffetto di una grande offensiva salariale operaia continentale e,
pi in generale, di una forte iniziativa politica del proletariato europeo sulle condizioni della propria
riproduzione. Entrambe varrebbero come contestazione di massa
alle violente restrizioni ai diritti sociali sancite dalla pseudo-Costituzione europea ed aprirebbero la via
di una autentica unificazione politica del nostro continente.

Settembre - Ottobre 2004

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

I socialisti, Izquierda Unida,


il Partito della Sinistra Europea:
lezioni dalla Spagna

Zapatero
in Spagna

di Pedro Marset Campos


direttore della rivista teorica del Partito
Comunista di Spagna Utopia

UN CAMBIAMENTO DI CICLO POLITICO IN EUROPA?

I. L I M B A R A Z Z O
DELLA DESTRA

a destra spagnola ed europea, come


pure lamministrazione Bush, tendono ad interpretare la vittoria
dello scorso 14 marzo di Zapatero
in Spagna come una conseguenza
dellattentato terrorista dell11
marzo a Madrid. Questo significa
che pensano, dato che latto terroristico dell11 marzo era una rappresaglia, che il popolo spagnolo
avrebbe ceduto di fronte al terrorismo, disinteressandosi della partecipazione alla guerra in Iraq, e che
per questo la maggioranza degli spagnoli avrebbe votato a favore dei socialisti che si erano detti contrari al
coinvolgimento della Spagna in
questa guerra. La destra non riesce
a comprendere che il motivo pi importante del voto del 14 marzo il
risultato della combinazione di due
fattori. In primo luogo, il netto rifiuto della guerra, che si manifestato con le manifestazioni del 15
febbraio 2003 a Madrid, Barcellona,
Valencia, Siviglia, etc., le pi numerose di tutta lEuropa, riunendo milioni di persone nelle strade. Ma in
secondo luogo, e in quel momento
si rivelata la questione decisiva, le
menzogne del governo di Aznar nellinsistere nellattribuire lattentato
dell11 marzo al gruppo terrorista
dellETA, sperando che la sensibilit del popolo spagnolo contro
questi terroristi avrebbe portato a
votare a favore del governo di Aznar.

Questo secondo fattore il sentirsi


offesi da parte dei cittadini spagnoli
per le menzogne -- stato ci che in
ultima istanza ha deciso la vittoria di
Zapatero. Non va dimenticato che i
sondaggi pre-elettorali mostravano
due tendenze apparentemente contradittorie: da una parte, una maggioranza dei votanti era stufa del governo del Partido Popular e desiderava un cambiamento, ma dallaltra
mostrava un orientamento, pure
maggioritario, di rassegnazione,
che alla fine avrebbe dato, bench
per per poco scarto, la vittoria ai popolari. stato quindi il ricorso alla
menzogna da parte del governo ci
che ha provocato una maggior affluenza alle urne di votanti con il
fermo obiettivo di sloggiare la destra dal governo medesimo.
Comunque, la vittoria di Zapatero
presenta alcuni condizionamenti.
Da una parte, il Psoe non gode di
una maggioranza assoluta nel
Parlamento spagnolo, avendo ottenuto, con il 42% dei voti (circa
10.900.000 voti), 164 deputati sui
350 seggi della Camera, ed ha avuto
bisogno nella sessione di investitura
del voto favorevole determinante
delle forze progressiste, di sinistra, per giungere a formare il governo. Queste forze sono rappresentate da Esquerra Republicana de
Catalua (10 deputati e 2.54%) e da
Izquierda Unida (5 deputati, 4.9%
dei voti) in coalizione con Iniciativa
per Catalunya Els Verts, un partito
che fa parte dei Verdi Europei.

Dallaltra parte, la sconfitta del


Partido Popular stata di misura, visto che con pi di 9.600.000 voti, il
37% e 148 deputati gode ancora di
un grande appoggio popolare.
2. I L R U O L O D I
IZQUIERDA UNIDA
Questa vittoria politica del popolo
spagnolo sulla soffocante presenza
di Aznar e sulla destra pone oggi
una questione sulla situazione interna spagnola di interesse per la sinistra rivoluzionaria: perch una
parte importante del popolo spagnolo non ha votato per Izquierda
Unida? La domanda pertinente,
visto che la linea di condotta di
Izquierda Unida in questi lunghi
otto anni di governo Aznar stata
chiara e inequivocabile: quella dellopposizione pi decisa e intransigente contro tutti gli atti e decisioni
del governo di Aznar, dai temi sulla
politica interna, economica, sociale, educativa, giudiziaria o culturale, a quelli contro la politica internazionale di servile allineamento
con Bush. Perch mai allora, se
Izquierda Unida stata il pi netto
oppositore del Partido Popular in
Parlamento e nelle piazze, nelle manifestazioni e nelle critiche, i cittadini spagnoli non hanno ritenuto
utile votare IU e hanno invece considerato pi efficace votare il Psoe?
Si pu certo capire che di fronte a
una situazione estrema, di fronte ad
un dilemma o a una precisa alter67

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

nativa si possa ribaltare il voto in favore del partito che nelle migliori
condizioni per cacciare il Partido
Popular dal governo, vale a dire il
Psoe. E, tuttavia, continua a permanere questa questione della sensibilit per il voto utile, sopratutto per
forze come la nostra che aspirano
ad andare oltre la congiuntura e vogliono raggiungere unalternativa
di maggior ampiezza rispetto allattuale modello socio-economico
condiviso fra la destra e la socialdemocrazia. Se le cose stanno cos, la
domanda si fa ancor pi pertinente,
constatando come nelle sucessive
elezioni europee del 13 giugno in
Spagna, nelle quali, non essendo
qui necessario alcun voto utile, non
avendo da sconfiggere alcun governo di destra, ed essendo tutti i
voti utili, essendo la Spagna un
unica circonscrizione, Izquierda
Unida perde invece la met dei voti
ottenuti il 14 marzo. In soli tre mesi,
perdiamo la met di quei voti che,
a loro volta, erano gi stati giudicati
una sconfitta. di tale rilevanza
questa seconda batosta di Izquierda
Unida che ci ha obbligati a convocare un Congresso straordinario
per gli inizi di dicembre per cercare
di rimediare alle sconfitte, ai difetti
e alle insufficienze che ci trasciniamo negli ultimi tre anni.
La questione della massima importanza per tutta la sinistra rivoluzionaria europea per due ragioni.
Da una parte per i fatto che nel 1986
il Partito Comunista di Spagna ha
intrapreso, con un relativo successo
allinizio, la strada di unesperienza
politica innovatrice: una piattaforma di convivenza della sinistra
plurale rivoluzionaria, dai comunisti ai trockisti, passando per ecologisti, pacifisti, socialisti di sinistra e
anarchici, etc., che a sua volta fosse
in grado di creare le condizioni per
un movimento politico e sociale,
con una partecipazione creativa
dalla base sino alle istituzioni, superando le insufficienze della classica struttura di partito gerarchizzata e burocratica. E dallaltra parte,
per essere Izquierda Unida un componente di riferimento per il re-

68

centemente creato Partito della


Sinistra Europea, un soggetto politico altrettanto plurale nelle condizioni attuali in cui la lotta di classe
si sviluppa in forme rilevanti su scala
europea, oltre gli ambiti nazionali.

3. LESPERIENZA

DI

ZAPATERO

SUL FRONTE DEL GOVERNO

vero che presto per trarre un giudizio sul governo del Psoe in Spagna
a soli sei mesi dalla sua vittoria del 14
marzo. Ma si possono comunque
mettere in rilievo gli aspetti cruciali
della sua strategia sul fronte del governo. Da una parte, c il gesto importante e positivo del ritiro immediato delle truppe spagnole dallIraq, con la qual cosa si adempiuta
una promessa elettorale, ponendosi
cos in sintonia con lopinione maggioritaria della popolazione spagnola e marcando un precedente in
ambito internazionale, dato che rappresenta una disobbedienza verso
il gran capo internazionale, il presidente Bush, e nei confronti della sua
politica di taglio hitleriano della
guerra preventiva. Anche se bisogna aggiungere che, immediatamente, quasi per compensare questo
gesto, sato approvato dal governo
Zapatero linvio di truppe spagnole
in Afganistan e a Hait, invio alquanto controverso per una parte
dellopinione pubblica spagnola
nonostante sia stato presentato come aiuto umanitario.
Oltre questo primo gesto di grande
rilevanza, il ritiro delle truppe
dallIraq, la condotta del governo
Zapatero pu essere caratterizzata
dalla presenza di tre componenti,
relative alla politica interna spagnola e alla sua presenza in Europa:
il primo, di orientamento progressista, mirante al consolidamento
dellappoggio popolare, il secondo
teso a cambiare il profilo internazionale con labbandono dellaccodamento alle posizioni di Bush e optando verso ladesione allasse
franco-tedesco contrario allegemonia statunitense, e il terzo di
mantenimento del modello econo-

Settembre - Ottobre 2004

mico neoliberista in accordo con il


Patto di Stabilit dellUE.
Il primo aspetto consiste in una politica di avanzamento nellambito
delle libert cviche, in chiara contrapposizione con lideologia conservatrice del Partido Popular, e il
cui obiettivo mira al rafforzamento
dellappoggio progressista al governo. In tal senso sono state adottate decisioni importanti: a) miglioramento della legislazione in difesa delle donne contro la violenza
di genere, b) eliminazione dal panorama educativo del peso dellinfluenza della chiesa cattolica, inaccettabile per uno Stato laico, c) difesa dei diritti di pari dignit ed
uguaglianza di condizioni per gli
omosessuali, gay e lesbiche, sia in relazione al riconoscimento a tutti gli
effetti delle coppie sia alla loro possibilit di adottare figli, d) prospettiva di una riforma progressista del
funzionamento delluniversit e
dellincremento degli investimenti
in ricerca e sviluppo, e) ricerca di
possibili miglioramenti nel funzionamento della televisione pubblica,
f) scelta di porre mano alla riforma
della Costituzione per migliorare il
complesso delle autonomie in
senso federalista, visto che in
Spagna ha grande rilevanza, in questo momento di cosidetta seconda
transizione democratica e di fronte alle rivendicazioni nazionaliste e
indipendentiste della Catalogna e
dei Paesi Baschi.
Il secondo aspetto, quello del radicale cambiamento degli indirizzi
della politica internazionale voluta
da Aznar, di allineamento incondizionato con gli Stati Uniti di Bush,
importante ed apprezzato dal
popolo spagnolo. Esso ha comportato la scelta di collocarsi chiaramente, per integrarsi pienamente
nel processo di costruzione europea, dalla parte dellasse franco-tedesco contrario ai neoconservatori
e fondamentalisti di Bush. Su questa linea, il governo di Zapatero ha
esordito con il ritiro delle truppe
dallIraq e con un discorso dello
stesso Zapatero allONU in senso
chiaramente pacifista e di soste-

Settembre - Ottobre 2004

gno alla legalit internazionale. Ma


in seguito ci ha pure portato ad
azioni che sono conseguenti con
questo nuovo allineamento, come
lavvicinamento al Marocco
(grande alleato di Francia e Stati
Uniti) abbandonando la difesa del
Fronte Polisario e del Piano Baker.
Ha pure avuto inizio un modesto
mutamento di posizione nei confronti di Cuba, con labbandono
dellatteggiamento bellicoso adottato da Aznar, il quale era compromesso sia con Bush che con la mafia anticubana di Miami. Infine c
la difesa ad oltranza del testo della
Costituzine Europea, considerato
come un passo di grande importanza, contenente elementi cruciali
per il futuro democratico e per le libert dellUnione Europea.
Il terzo aspetto si riferisce alla politica economica. Questo ambito
quello di maggior rilievo nella costruzione di un punto di riferimento
rispetto al quale portare poi a compimento il resto delle iniziative.
Proprio in questo momento, si
stanno discutento in Spagna le proposte sugli indirizzi economici generali per lanno 2005 e risulta
chiaro che il ministro per leconoma e vicepresidente del governo,
Pedro Solbes, non intende cambiare lindirizzo imposto dal Patto
di Stabilit dellUnione Europea. Va
ricordato che nella sua precedente
veste di Comissario europeo per leconomia, Solbes stato il cane di
guardia dellortodossia del Patto di
Stabilit e della Banca Centrale Europea, giungendo a comminare sanzioni alla Francia e alla Germania, e
a minacciare in tal senso lItalia, per
la presenza di deficit superiori al 3%
del PIL nei loro conti pubblici. In
questo momento sono necessari i
voti di Esquerra Republicana e di
Izquierda Unida per poter approvare gli indirizzi della legge finanziaria, in una Camera in cui il resto
delle forze capeggiate dal Partido
Popular esercita unopposizione
forte e tenace. La posizione di
Izquierda Unida di fronte a questa
situazione delicata. Da una parte
Izquierda Unida chiede al Psoe al-

I Comunisti e lEuropa/Dibattito

cune modifiche alle misure fiscali e


al bilancio preventivo che vadano in
senso progressista, modifiche che il
Psoe vorrebbe invece rimandare, accontentandosi di dichiarazioni dintenti. Ma dallaltra parte, Izquierda
Unida nemmeno vuole essere accusata di ostacolare lapprovazione degli indirizzi della finanziaria, poich
questo indebolirebbe il Psoe di
fronte ad una destra smaniosa di rivincita, cosa che agli occhi della stragrande maggioranza della popolazione risulterebbe incomprensibile.
Questo ricorda in qualche modo il
dilemma che si presentato in Italia
con la legge finanziaria che conteneva riduzioni per le pensioni e per
le prestazioni sanitarie che Rifondazione Comunista non poteva avallare. Di fatto questa la questione
del momento, e lo sar ancor di pi
nei prossimi anni: il convincimento
del Psoe della necessit di rispettare
i vincoli del Patto di Stabilit, vale a
dire del modello neoliberista imperante in Europa. Una forza rivoluzionaria deve oggi soprassedere appoggiando queste impostazioni al
fine di evitare mali peggiori, oppure
deve far valere la necessit di inpostazioni globalmente alternative
che mettano in discussione il modello neoliberista esistente? A quali
condizioni si pu e si deve prendere
questa decisione radicale di fronte
a una simile alternativa? Si tratta di
domande che ora si presentano in
Spagna, ma che in un modo o nellaltro si sono poste e si presenteranno anche negli altri Paesi europei. E questo soptatutto se con linfluenza del Partito della Sinistra
Europea, del quale presidente
Fausto Bertinotti, le forze aderenti
alla S. E. aumenteranno la propria
incidenza fra le classi popolari.

4. RIFLESSIONI

SULLEUROPA

Sembra evidente che la recente


esperienza spagnola pone alcune
questioni di fondo su cui riflettere,
in Spagna ma anche in Europa. Da
una parte in Spagna abbiamo vissuto
otto anni, e in particolare gli ultimi

quattro di maggioranza assoluta del


Pp, decisamente insopportabili e totalmente pergiudizievoli per la popolazione a causa dellondata conservatrice e di compressione di ogni
tipo di libert e del peggioramento
delle condizioni di vita della popolazione e soprattutto dei lavoratori.
Non si pu tollerare che alcun popolo, n a causa di azioni intraprese
n per omissioni, debba soffrire un
tale castigo. Bisogna dimostrare che
il voto dato alla sinistra radicale, comunista, alternativa, utile. Ma bisogna pure tenere in conto che, se
non si sapranno portare avanti una
tattica e una strategia politiche
chiare, con il caratteristico profilo
dei valori alternativi della sinistra, il
pericolo che si presenta quello di
finire con lapparire alla stragrande
maggioranza della popolazione un
punto di riferimento inutile, dal
quale si pu anche prescindere poich non si sa per certo quale ne sia
la collocazione. Non basta lessere
comunque allopposizione, essere
leterno partito del no; occorre saper difendere la necessit e la convenienza, come pure la possibilit
dellalternativa che proponiamo.
Appare chiaro che questa capacit
di alternativa non pu essere il frutto
esclusivo di un solo Paese, ma deve
avvenire come minimo su scala europea. Da qui la necessit del Partito
della Sinistra Europea. Va tenuta
inoltre presente la crescente sensibilit di sempre pi numerosi strati
di popolazione e dei lavoratori di
fronte al peggioramento delle condizioni di vita, da cui deriva il protagonismo di fenomeni nuovi come
il Forum Sociale Europeo, incentrato sulla ricerca di alternative alla
barbarie del capitalismo attuale.
Infine, mi sembra egualmente evidente che la portata di questa riflessione non si pu ridurre alla realt
di un Paese o di un partito, ma che
esige la partecipazione di tutti gli interessati, comprese le forze rivoluzionarie degli altri continenti, visto
lo speciale ruolo che pu e deve svolgere lEuropa nella prospettiva del
socialismo e della democrazia per
tutta lumanit.

69

Settembre - Ottobre 2004

Movimento comunista/il Novecento

I comunisti sono oggi


eredi di un grandissimo
e importantissimo lascito storico,
di una storia ricca, articolata,
complessa che ha abbracciato
gran parte del 900

I comunisti
e la storia del 900.
Uneredit
ingombrante?

di Andrea Catone
direttore del Centro Studi sui problemi
della transizione al socialismo

FARE I CONTI CON LA NOSTRA STORIA NON PER CANCELLARLA , MA PER

ul rapporto tra comunisti e storia


del 900 molto stato gi scritto, in
particolare sulle colonne de lernesto, che ha da tempo avviato una riflessione antirevisionistica in proposito, promuovendo tra laltro il
convegno di Milano Il potere, la
violenza, la resistenza, che ha ben
puntualizzato alcuni aspetti fondamentali della questione. Ritorno in
queste brevi note su alcune questioni preliminari.
1. Nessun movimento o partito politico meno che mai se iscrive sulle
sue bandiere il progetto di un cambiamento radicale della societ, di
una rivoluzione sociale che sovverta
i rapporti di produzione pu rinunciare a fare i conti col passato,
pu eludere la questione di un rapporto con la storia. Non esiste autogenesi, non si pu pretendere di
essere figli di se stessi, a meno che
non si ami coltivare lautoinganno
e lillusione di una purezza primigenia. Ma poi il passato rimosso riaffiora in un brutto nuovo e le vecchie maschere si ripresentano impoverite e deformate: la vecchia storia, cacciata dalla porta, rientra
dalla finestra.
2. Il movimento comunista, quale
movimento che si proposto la pi
radicale e consapevole rivoluzione
di tutti i rapporti sociali determinati

70

RILANCIARE UN PROGETTO RIVOLUZIONARIO

dal modo di produzione capitalistico, ha oramai una lunga storia


alle spalle. Con essa vanno fatti criticamente i conti. Qualsiasi partito,
movimento o formazione politica
intenda battersi per la rivoluzione
dei rapporti sociali di produzione
non pu eludere la questione delleredit storica.
3. I comunisti sono oggi eredi di un
grandissimo e importantissimo lascito storico, di una storia ricca, articolata, complessa che ha abbracciato gran parte del 900: storia di
lotte sociali, di resistenze, di lotte
anticoloniali e antimperialiste, anche, in una parte non trascurabile e
non eludibile, la storia di rivoluzioni
socialiste. Per essere pi precisi: di
rivoluzioni organizzate, dirette o
egemonizzate da partiti o formazioni politiche comuniste o di ispirazione socialista che in modi e
forme diverse, a seconda delle circostanze storiche hanno conquistato il potere politico e avviato trasformazioni profonde nei rapporti
di propriet.
Si trattato dei primi grandi tentativi, delle prime importanti esperienze, dirette coscientemente e secondo un fine preciso, volte a realizzare la socializzazione dei mezzi
di produzione, a trasformare tutti i
rapporti sociali, e non solo i rapporti di propriet.

4. Prima ancora che valutare i singoli aspetti, le particolarit, le svolte


di una storia che ha conosciuto delusioni cocenti accanto ad entusiasmanti e travolgenti vittorie, sconfitte umilianti e successi strepitosi riconosciuti ai comunisti anche dai
loro pi feroci avversari, i comunisti devono sciogliere il nodo del rapporto da istituire con questa eredit:
se accettarla, se assumersela, o rifiutarla. Anzi, per come su di essa
oggi si esprimono vecchi e nuovi
transfughi del comunismo, non di
semplice rifiuto si tratta, ma di un
rigetto senza appello, di un disprezzo senza limiti, di un ripudio.
5. Nel primo caso si potranno fare i
conti con questa storia, analizzarne
vittorie e sconfitte trionfi e tragedie.
Assumere uneredit storica non significa accogliere acriticamente, in
modo apologetico o giustificazionista, tutta la storia delle rivoluzioni
del 900, ma significa riconoscersi
come parte, parte in causa di questa
storia, guardare ad essa con un atteggiamento che potremmo definire di simpatia critica, nel senso
etimologico della parola greca simpatia: trovare un comune sentire
con questa storia, sentirla appassionatamente come propria, come una
parte del proprio essere comunisti
del XXI secolo e non come storia altra, da tenere a distanza, da guar-

Settembre - Ottobre 2004

Movimento comunista/il Novecento

dare con freddezza o disprezzo.

zione implica lassunzione, consapevole o meno, di unaltra tradizione, di altri punti di riferimento.

6. Nel secondo caso, invece, le cose


diventano, apparentemente, molto
pi semplici: si rinnegano i padri, si
rigetta leredit, ci si presenta come
figli di se stessi, o, il pi delle volte,
come figli spirituali di unaltra eredit. qui il punto. Se si disconosce
la tradizione comunista, se non la si
vuole assumere a proprio carico,
per tutto quello che stata, per i
problemi che ha risolto e per quelli
che ha lasciato drammaticamente
aperti, significa che si ricorre ad
unaltra tradizione, ad unaltra eredit. Significa che si spezza consapevolmente il legame non solo con
la storia comunista del 900, ma anche con le teorie e le lotte rivoluzionarie dell800 che inequivocabilmente con Marx ed Engels ponevano la questione della trasformazione dei rapporti di produzione
attraverso la conquista del potere
politico per avviare una fase di transizione alla nuova societ, e ci si appoggia ad altri padri, ad altre tradizioni. Operazione legittima, che
per andrebbe dichiarata tutta,
senza lequivoco del riferimento al
comunismo. Esiste una tradizione
del cristianesimo radicale, che ha
incrociato e incrocia talora la storia
del comunismo (come accaduto
in alcune esperienze dellAmerica
Latina), ma chiaramente altra
cosa da esso. Esistono tradizioni democratiche radicali, che non hanno
posto come prioritario il problema
della trasformazione dei rapporti di
produzione, ma quello delle forme
politiche in cui si esercitano i diritti
di cittadinanza. I comunisti nella
loro storia sono stati spesso a fianco
di progressisti, democratici, cristiani radicali, riconoscendoli come
alleati in un percorso di liberazione
dalle dittature fasciste e di emancipazione dallo sfruttamento. Ma
nella consapevolezza e chiarezza
delle differenti tradizioni e punti di
riferimento. Poich del tutto illusorio, o frutto di una mania di potenza, ritenersi autofondantisi, autogenerantisi, evidente che il ripudio di una storia e di una tradi-

7. Unoperazione politico-culturale di questo tipo fu compiuta nel


1989-90 dallallora segretario del
PCI Achille Occhetto e dai successivi dirigenti del troncone maggioritario del PCI trasformatosi in
Democratici di Sinistra. Consapevolmente essi abbandonarono una
tradizione, per accoglierne unaltra, ripudiarono i padri e la loro eredit per cercarne altri in altri campi,
per costruirsi altri punti di riferimento per la comprensione del presente e linterpretazione della storia passata, finendo per approdare
ad una prospettiva liberal-democratica. Si resero conto che anche la tradizione socialdemocratica (non
nella sua versione degradata, ma
nella tradizione alta degli austrom a rxisti e del primo revisionismo
storico) era inservibile e troppo
contaminata dal marxismo; la divergenza coi comunisti verteva non
sulla meta finale, ma sulle modalit
di giungervi attraverso riforme graduali: la propriet sociale, o, almeno, pubblica, dei mezzi di produzione continuava ad essere iscritta nei programmi della socialdemocrazia primo-novecentesca, come in
quelli del PCI togliattiano che indicava, con le riforme di struttura,
la prospettiva di una lenta transizione per tappe in una lunga
guerra di posizione. La scelta del
nome che coniugava democrazia
e sinistra non era affatto casuale.
La parola stessa di socialismo era
considerata oramai contaminata,
generatrice di miseria e illibert.
Ci che, infatti, veniva messo in discussione, era la presunzione fatale, come suona il titolo di un noto
libro del teorico liberista von Hayek
critico preventivo del comunismo gi nei primi decenni del XX
secolo di poter organizzare uneconomia pianificata sulla base della
propriet statale dei mezzi di produzione.
8. Rottura con le radici del 900 e
abbandono della prospettiva socia-

lista procedettero di conserva; crisi


dellURSS e avanzare dellideologia
neoliberista sono andati di pari
passo, si sono sostenuti a vicenda.
Lideologia del PCI sub lattacco
neoliberista e vi cedette, ritirandosi
non solo dal comunismo, ma dalla
stessa tradizione socialdemocratica:
fu progressivamente abbandonato
il ruolo che allo stato si assegnava
nella trasformazione sociale, non si
rivendic pi lintervento statale in
economia, si accettarono le privatizzazioni. Daltro canto, il crollo
dellURSS poteva essere portato a
sostegno della tesi del fallimento
dello statalismo (termine ambiguo, connotato in modo estremamente negativo, che ebbe per diversi anni una certa fortuna nella sinistra radicale in cerca di spiegazioni onnicomprensive sulla disfatta dellUnione Sovietica) e rafforzava la proposta neoliberista.
La nuova chiave interpretativa offerta dal PCI (poi DS) post 89 per
la storia delle rivoluzioni del 900 fu
di tipo liberaldemocratico. Erano le
stesse conclusioni cui giungevano i
democratici eltsiniani e lo stesso
Gorbaciov in URSS dopo il 1989: il
problema non era quello di buoni
o di cattivi dirigenti, che avevano indirizzato in senso sbagliato la politica sovietica, il problema non era
Stalin o Berija o Breznev, ma il sistema in s, la propriet statale dei
mezzi di produzione, lassenza di
mercato e propriet privata capitalistica. Si pass rapidamente al dogma
secondo cui senza mercato capitalistico
non pu esservi democrazia. Tutta la
grande questione della vita democratica nella societ socialista veniva
aggirata e resa obsoleta con un colpo da maestro: il mercato e solo il
mercato (capitalistico, va da s!)
che consente la democrazia; democrazia senza mercato non pu darsi.
Una richiesta di democrazia si legava cos a quella di passaggio al mercato, cio allo smantellamento della
propriet statale e alla sua privatizzazione. Sulla base di queste premesse non vi pi alcun interesse
ad individuare le fasi storiche, gli
snodi, i passaggi cruciali, i diversi

71

Movimento comunista/il Novecento

andirivieni di una storia complessa.


Ormai stato individuato il peccato originale, la propriet sociale
dei mezzi di produzione. Non si discute pi se la socializzazione in
URSS sia effettiva o fittizia, o inceppata da meccanismi sfuggiti al controllo, o parziale, imperfetta, ma si
mette in discussione la socializzazione in s. La prospettiva stessa del
comunismo viene considerata falsa
e criminale, unutopia negativa irrealistica che presume di poter mettere sotto controllo tutto il mondo.
La conclusione che si tira la stessa
delle critiche anticomuniste del
primo 900: il terribile leviatano comunista figlio di questa pretesa. La
violenza, la repressione, il totalitarismo, sono conseguenze necessarie di questo folle progetto. Del resto, il Libro nero del comunismo attacca
in primo luogo proprio lideologia
comunista per dimostrare una coerenza e consequenzialit tra le premesse teorico-politiche e gli orrori
del Gulag. Stato, propriet statale,
i n t e rvento statale nelleconomia
sono bollati come statalismo, che,
al meglio, genererebbe burocratismi e, al peggio, totalitarismo criminale. A questa impostazione perci non interessa guardare i diversi
passaggi della storia del 900, ma denunciare lerrore originario e prenderne definitivamente le distanze.
9. La cultura dominante nei DS ha
accolto rapidamente e acriticamente la categoria di totalitarismo da
utilizzare indistintamente nella lettura del nazifascismo e del comunismo novecentesco. Tale categoria
divenuta egemone anche tra alcuni
dirigenti e militanti del PRC che palesemente non si riconoscono nella
prospettiva liberaldemocratica. Il ricorso a questa categoria fu unarma
della guerra fredda e la sua sistemazione politica si deve non alla filosofia di Hannah Arendt, ma ad un
teorico di punta dello staff statunitense, Z. Brzezinski, che insieme
con C. Friedrich pubblic Totalitarian Dictatorship and Autocracy.
Essa serv ad accomunare in ununica condanna il nazismo, di cui le

72

popolazioni europee sentivano ancora fresche sulle loro carni il morso


feroce, e il comunismo, divenuto,
immediatamente dopo la caduta
del Terzo Reich, il nuovo totem da
rovesciare. Serviva ad indicare nella
liberaldemocrazia lunica strada
sana che si potesse percorrere, rifuggendo dai due mali radicali del
secolo, nazismo e comunismo.
una categoria ideologica per giustificare lo stato di cose presente,
come unico modello possibile. Se
volessimo impiegare il linguaggio di
Ignacio Ramonet, potremmo dire
che unarma al servizio del pensiero unico. Limpiego di questa categoria, invece che gettare luce sulla
struttura dei sistemi sociali, oscura
le basi di classe, ignora i rapporti di
produzione, non fornisce alcuna
chiave di lettura scientifica della
struttura e dei rapporti di potere.
10. Tuttaltra cosa rispetto alluso
politico della categoria di totalitarismo la necessaria riflessione sul
carattere generale, complessivo,
totale della rivoluzione comunista, che non si limita alla trasformazione dei soli rapporti di propriet.
Insieme con essa i comunisti si sono
posti, infatti, lobiettivo della trasformazione dellorganizzazione
del lavoro, della cultura, delleducazione e della formazione, della
concezione del mondo, fino a coinvolgere le relazioni tra individui, la
vita quotidiana, la famiglia, i rapporti uomo/donna. Basti guardare
in proposito il fervore rivoluzionario dei ricchissimi anni Venti-Trenta
in URSS, il percorso della rivoluzione cinese prima e dopo la conquista del potere politico, la rivoluzione cubana. In questo senso le rivoluzioni comuniste sono state totalitarie. Una rivoluzione comunista necessariamente totale, poich non separa economicisticamente il mutamento formale dei
rapporti di propriet, la sfera delleconomia strettamente intesa, dal
modo in cui si organizza la vita quotidiana di ciascuno, come aveva intuito Antonio Gramsci nelle pagine
di Americanismo e f o rd i s m o, in cui

Settembre - Ottobre 2004

gett le basi per lelaborazione di


una teoria della complessit del
modo di produzione che, poggiando sulla fondamentalit del
modo materiale di produrre giunge
ad articolare unanalisi dellinsieme
della vita sociale e individuale, del
modo di vivere, pensare, sentire la
vita. Il capitalismo, come avevano
colto i critici della scuola di Francoforte e Herbert Marcuse in particolare, totalitario: per poter funzionare deve condizionare le menti, gli
equilibri psicofisici, gli stili di vita,
inculcando nelle menti degli sfruttati i desideri, i gusti, la mentalit degli sfruttatori, in modo che appaia
naturale lo sfruttamento del lavoro salariato e quasi un privilegio
lavorare sotto padrone. Al totalitarismo del capitale che riduce
luomo a una dimensione, nella dittatura dei persuasori occulti, la rivoluzione comunista si contrappone in ogni campo dei rapporti sociali di produzione. Essa non pu limitarsi alla sola trasformazione di
un rapporto, poich pensa in un
nesso indissolubile economia, cultura, societ, politica. E quando ha
preteso di separare rivoluzione economica e rivoluzione culturale
stata sconfitta.
11. Chi nel 1989-90 non accett il
salto dal comunismo alla liberal-democrazia, evidentemente assumeva
leredit comunista. Le riconosceva, insieme a grandi successi, terribili e tragici errori (e tra gli errori non
si potevano non considerare anche
quelli di chi aveva favorito la controrivoluzione e la dissoluzione
dellURSS), ma ne accettava in tutta
evidenza leredit. Non si trattava di
un fallimento, di un cumulo di macerie,
ma di unesperienza sconfitta.
Sul come e perch di questa sconfitta si riapr per una stagione troppo breve una riflessione teorico-politica, che si chiuse rapidamente,
senza approdare a nulla di nuovo e
approfondito che non fosse la riproposizione, spesso in termini solo
giornalistici e semplificati, delle coordinate di un grande dibattito e
scontro tra le diverse anime del co-

Settembre - Ottobre 2004

Movimento comunista/il Novecento

munismo mondiale sulla natura sociale dellURSS: socialismo realizzato, capitalismo di stato, collettivismo burocratico

URSS e degli altri paesi socialisti europei, pretendeva abiure definitive.


Non furono i comunisti come avrebbero dovuto ad avviare il grande dibattito storico-teorico sulla
propria storia, ma il Libro nero del comunismo e nel modo peggiore.
Tutto lasse del dibattito venne spostato ormai sul solo problema della
violenza e del Gulag, del terrore,
dei presunti cento milioni d morti
vittime del comunismo. Mentre
lungo tutto il periodo di nascita e
sviluppo dellUnione sovietica e ancora nei primi anni 90 il dibattito
marxista ruotava intorno alle categorie di socializzazione dei mezzi
di produzione parziale? effettiva?
solo formale e non sostanziale? di
pianificazione, di rapporti di
produzione, di rapporti mercantil-monetari e socialismo, insomma
sul livello di socialismo raggiunto
nella transizione sovietica, cinese,
cubana, o anche sulle tracce di
Bordiga, Mao, Charles Bettelheim
di rovesciamento del socialismo sovietico in una peculiarissima forma
di capitalismo di stato, col libro
nero tutto il dibattito arretrava dalla questione dei rapporti di propriet a quella della violenza e dei
crimini del comunismo.

12. I comunisti che rifiutarono il passaggio occhettiano non furono in


grado, o non vollero tranne voci
troppo isolate fare realmente i
conti con la storia delle rivoluzioni
del 900. Farli in modo sistematico,
scientifico, e non a suon di slogan e
frasi ad effetto, a seconda delle circostanze e delluditorio in cui si teneva il comizio, con la ripetizione di
vecchi e nuovi dogmi (accanto al
dogmatismo dei nostalgici c il
dogmatismo occulto dei nuovisti
teorici del totalitarismo comunista). Nel timore tatticistico di rompere equilibri interni, di infrangere
tab, quella storia si guadagn ben
presto il silenzio tombale, travolta
dalle svolte e giravolte della trottola
quotidiana della politique politicienne.
13. Ma in politica e per una forza
politica fare i conti con la propria
storia operazione politica non si
danno vuoti. Gli spazi lasciati aperti
furono ulteriormente occupati dallavversario, che, non soddisfatto
ancora della liquidazione dell

14. Concentrare tutto il dibattito


sulla questione della violenza e del
Gulag un evidente sintomo di subalternit ideologica allavversario,
da cui si sono assunte acriticamente
le categorie della guerra fredda
(totalitarismo comunista).
15. I comunisti che non intendono
ripudiare una grande eredit storica da cui hanno moltissime cose
da apprendere e da non lasciare in
soffitta e apprendere non significa
ripetere o giustificare ad ogni costo
hanno il compito di confrontarsi
con questa storia attraverso le loro
proprie categorie, costruendosi gli
strumenti adeguati per affrontarla,
senza assumere le categorie ideologiche dellavversario di classe. I comunisti hanno dinnanzi a s il difficile compito di riprendere unattivit culturale egemonica, di uscire
dalla subalternit.
E dovrebbero avvicinarsi a questa
storia con quella simpatia critica,
che fu lapproccio dei nostri grandi
maestri, da Marx a Gramsci, verso i
movimenti rivoluzionari del proprio tempo, dalle rivoluzioni del
1848-49, alla Comune di Parigi, alloccupazione delle fabbriche del
biennio rosso.

73

Settembre - Ottobre 2004

Memoria

Enzo Santarelli:
la sinistra dovr misurarsi
con il suo lavoro di intellettuale
militante e di storico
in un momento di volgare
e viscerale attacco alla conoscenza
obiettiva del Novecento

La storia
e la rivoluzione

di Massimo Papini
Direttore Istituto Regionale per la Storia del Movimento di
Liberazione nelle Marche.
Direttore della rivista Storia e problemi contemporanei

LE STELLE POLARI DI ENZO SANTARELLI, UNO STUDIOSO E UN DIRIGENTE

ccorrer del tempo, e soprattutto


occorrer creare occasioni opportune, per ripercorrere con intelligenza critica la ricchissima esperienza culturale e politica di Enzo
Santarelli. Soprattutto la sinistra dovr misurarsi con il suo lavoro di intellettuale militante e di storico e rilanciarne per lo meno la lezione, in
un momento di volgare e viscerale
attacco alla conoscenza obiettiva del
Novecento. E talmente ricca la sua
lezione, tanti e diversificati gli
aspetti del suo impegno, che forse
occorrer avviare studi, convegni e
altro per capire e valorizzare tutte le
sfaccettature della sua vita militante.
Qui, a cos poco tempo dalla sua
scomparsa e con l'emozione per
una cos grave perdita, possibile
solo indicare alcuni aspetti della sua
multiforme attivit di storico e di militante comunista. In particolare,
possibile soffermarsi, almeno con
brevi cenni, su alcuni aspetti controversi della sua formazione, della
sua meno nota attivit di promotore
culturale e poi, soprattutto, della
sua instancabile attivit di studioso,
tenendo ben presente che la sua bibliografia storiografica talmente
vasta e complessa che un esame accurato non pu che essere rinviato
ad altre occasioni e a studi esaurientemente documentati. Per una

74

COMUNISTA CHE CON LO STESSO IMPEGNO E LA STESSA PASSIONE HA


VISSUTO PRASSI E TEORIA, STUDIO E LOTTA POLITICA

prima sintesi, si pu rimandare all'opuscolo di Sergio Dalmasso, Fra


politica e storia dalla crisi del 1943/44
alla crisi della Repubblica (edizioni
Punto Rosso, Milano, 2000).
La sua formazione particolarmente interessante anche se ha alcune analogie con altre delle sua generazione, come ci ha istruito tanti
anni fa Ruggero Zangrandi con il
suo fortunatissimo "Lungo viaggio
attraverso il fascismo". la formazione di un giovane anconetano di
famiglia borghese, nato nel 1922,
educato dal fascismo e poi liberatosi
da tale fardello attraverso l'esperienza della guerra.
Santarelli ci ritornato negli ultimi
anni della sua vita con il fortunato
volume autobiografico Mezzogiorno
1943-1944. Uno sbandato nel Regno
del Sud (Feltrinelli, Milano, 1999).
L'agile volume ricostruisce, tramite
la memoria, ma anche con l'ausilio
di alcuni appunti gelosamente conservati, il suo peregrinare da militare, dopo l'8 settembre, nelle regioni meridionali, dietro le linee del
fronte.
uno spaccato di prime riflessioni
e di successive analisi sulla Questione Meridionale, ben legate a
una pi generale questione nazionale che fa piazza pulita del tormentone sulla morte della patria.
La guerra di liberazione guerra ita-

liana e porta al riscatto di tutta la nazione. Di ci, allora, anche le semplici comparse (e non solo i protagonisti) furono consapevoli. E
Santarelli ci dice che proprio il contatto dei soldati italiani con la tragedia del Sud e poi la presenza di
meridionali nella Resistenza nel
Nord sono le prime pietre della riscossa nazionale, le basi di quella
che sar l'Italia democratica e repubblicana.
Eppure, come gi accennato,
Santarelli viene da una formazione
fascista, annusata e respirata tra le
mura domestiche, sperimentata tra
i banchi di scuola ed elaborata, seppur in modo acerbo, tra le fila dei
Guf. Non quindi n un opportunista n un gregario, un giovane
che si affaccia alla cultura e alla politica con gli unici strumenti in suo
possesso. Si trova cos a subire un
certo fascino per le teorie razziste,
per gli aspetti rigeneratori della
guerra, in sostanza per quelli che appaiono ingannevolmente le novit
dell'inizio degli anni Quaranta.
A suo modo, vuole essere rivoluzionario, non ama affatto le gerarchie
del regime e i loro compromessi.
Cos, come altri giovani della sua generazione, riscopre la purezza
delle origini e a suo avviso nella loro
riscoperta la rivoluzione fascista potr dispiegare la sua carica radicale.

Settembre - Ottobre 2004

Rielaborando il verbo futurista non


vede negativamente la guerra e la
retorica giovanilistica e patriottica;
ma nel contempo, attraverso la rilettura di Alfredo Oriani, riscopre
l'anima laica e repubblicana del fascismo.
Santarelli per, e questo il suo
grande merito, appena abbandona
le elucubrazioni astratte dell'adolescenza e comincia a misurarsi con la
realt, rinnega immediatamente le
nefaste idee giovanili e mentre i suoi
amici, con cui aveva condiviso questa parentesi, aderiranno alla
Repubblica sociale italiana, egli passer al fronte antifascista. Addirittura resta ferito in uno scontro
con i tedeschi, e la sua lotta al fascismo prosegue sempre pi matura
con il ritorno ad Ancona, fino a rappresentare nel 1944 il Partito liberale nel Cln delle Marche.
infatti la lezione crociana che lo
traghetta (anche qui in sintonia con
altri giovani approdati all'antifascismo) nella sponda opposta al fascismo. Ed lo storicismo a fargli da
apripista, sia nella versione liberale
(Croce appunto) sia in quella marxista, grazie a Labriola, con la lettura della fondamentale Concezione
materialistica della storia. E anche per
questa fase della sua vita ha lasciato
una ricca testimonianza in I comunisti raccontano. Cinquant'anni di storia del Pci attraverso le testimonianze di
militanti (Edizioni del Calendario,
Milano 1972, pp. 163-168).
la sua tesi di laurea l'approccio al
tema della libert, poi pubblicata
con una lettera di Benedetto Croce
come introduzione (Il problema della
l i b e rt politica in Italia, Federici,
Pesaro, 1946). La gi avvertita intenzione di coniugare il concetto di
libert al progressismo sociale lo
porta a cercare di collocare nella
storia i principi astratti. Soprattutto
per lui l'avvento delle masse popolari nella storia pu dare corpo giuridico, economico e politico all'ideale della libert.
La militanza liberale dura per solo
fino alle elezioni amministrative del
1946, allorquando il Pli si presenta
in una lista di destra assieme ai qua-

Memoria

lunquisti. Santarelli esce e decide di


provare una posizione terzaforzista entrando nel Partito socialista
dei lavoratori italiani.
Nel febbraio d el 1948 per
espulso da questo partito per aver
partecipato a uno sciopero generale di solidariet con gli operai del
cantiere navale di Ancona. Nel
clima dello scontro politico di questo periodo e in particolare contro
l'oscurantismo clericale, la sua
formazione laicista lo porta ad aderire al Fronte democratico popolare, di cui candidato, segretario e
direttore dell'organo di propaganda, L a v o ro e libert . L'ultima
tappa, ormai logica prosecuzione di
quelle precedenti, l'iscrizione al
Pci, che avviene ai primi di dicembre dello stesso anno.
Particolarmente significativo il
suo biglietto d'ingresso e cio un articolo sull'Unit, nel quale esordisce
cos: Non so cosa penser Benedetto Croce se verr a sapere che un
altro giovane liberale ha abbracciato la causa del proletariato.
Probabilmente il mio maestro di libert e d'antifascismo si rifuger, dinanzi a cos desolante spettacolo,
nei suoi consueti atteggiamenti
olimpici. Ora i riferimenti sono altri, sono Gobetti e Gramsci e il comunismo in Italia si presenta come
l'erede dell'umanesimo e del liberalismo, il solo che pu inverare storicamente l'idea di libert.
L'approdo al comunismo segner,
com' noto, tutta la sua vita, una vita
militante, e non solo sul piano intellettuale. Fu segretario della
Federazione comunista di Ancona
nel travagliato 1956 (su cui lascer
equilibrate riflessioni) e poi deputato al Parlamento, ma fu sul piano
intellettuale il suo contributo maggiore.
Gi nel 1949 sperimenta la lezione
gramsciana e togliattiana sulla funzione emancipatrice della cultura e
fonda le rivista Rassegna marc h igiana, un faro di luce in anni piuttosto grigi e di chiusure ideologiche. Tutta la cultura marchigiana
chiamata a raccolta. Vi scrivono
Carlo Bo, Mario Puccini, Franco

Matacotta, Edmondo Marcucci,


Luigi Bartolini, Ugo Betti, Giovanni
Crocioni, Sibilla Aleramo, Aldo
Capitini, Giacomo Brodolini,
Libero Bigiaretti, Maria Montessori
e tanti altri.
Ci che accomuna questi intellettuali la tensione per un risveglio
culturale dell'Italia e delle Marche
in particolare, in nome di un sapere
che non sia vagamente popolare,
ma che tenda a scuotere le coscienze. Ma lo stesso Santarelli si
guarda ora dal ripetere discussioni
un po' astratte come quella tra
Prezzolini e Gobetti nel primo dopoguerra sul ruolo della cultura, e,
pi che fare una passerella di nomi
famosi, come un po' era successo
con il Fronte popolare, vuole che la
rivista sia ancorata ai problemi reali,
alla scarsa incidenza della cultura
sul territorio, al provincialismo e all'arretratezza delle Marche con i
suoi tradizionali problemi irrisolti.
In tal senso sono di fondamentale
riferimento i filoni del meridionalismo e del regionalismo, coniugati
con quelli dello storicismo e del
gramscismo.
L'ottica quella della lettura di
lungo periodo dei fenomeni storici
e gi Santarelli dimostra di saperne
misurare la dimensione diacronica:
la storia della libert delle Marche
la storia delle ribellioni, pi spesso
isolate che collettive, contro l'egemonia trasformistica.
In questa frase, c' gi la base dei
suoi studi, passati e futuri e il suo impegno nell'ambito della cultura che
lo vedr dirigere un'altra importante rivista all'inizio degli anni
Sessanta, M a rche nuove. L'incarnazione del concetto di libert non
pu che avvenire nel cammino storico del movimento operaio, ma
questo nato libellista, individualista e anarchico, ed quindi stato
succube dell'egemonia trasformistica e moderata. La maturit della
classe operaia con la sua capacit organizzativa e con la crescita della coscienza di classe approder alla maturazione di una nuova egemonia.
Questo tema caratterizzer il Santarelli comunista degli anni Cin-

75

Memoria

quanta e Sessanta, con il passaggio


da una militanza a tempo pieno,
dalla professione rivoluzionaria,
che lo vede segretario della federazione anconetana del Pci dal 1956
al 1958 e poi deputato dal 1958 al
1963, alla professione di storico,
con l'approdo alla carriera accademica nell'Universit di Urbino, ma
sempre in piena coerenza e sintonia
con la base di partenza e cio dalla
lettura laica e comunista del concetto di libert. Per questi anni si
gi avuto occasione di compiere
delle analisi per cui mi si permetta
di rimandare rimando al mio La
battaglia delle idee nel volume collettaneo Le Marche dalla ricostruzione
alla transizione 1944-1960 (Il Lavoro
Editoriale, Ancona, 1999, pp. 403428).
Pi vasto e problematico, come accennavo, il contributo di Santarelli
alla storiografia. Le sue frequentazioni dell'Istituto Gramsci, della Biblioteca Feltrinelli, della riviste Movimento operaio e Rivista storica del soc i a l i s m o, sono fondamentali per la
sua nuova professione. In particolare per la Biblioteca Feltrinelli, nell'ambito di un progetto nazionale,
raccoglie e cataloga la stampa operaia marchigiana. Un lungo lavoro
che sar la base per le due principali opere su questa regione: Aspetti
del movimento operaio nelle March e(Feltrinelli, Milano, 1956) e Le
Marche dall'unit al fascismo (Editori
riuniti, Roma, 1964). Un instancabile impegno di ricerca che porta
alla formulazione e alla raccolta di
centinaia di schede che sono ora
conservate nell'archivio dell'Istituto
regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche
e che sono poi servite a due pubblicazioni dello stesso istituto sulla
stampa operaia e democratica nella
provincia di Pesaro e Urbino (a cura
di Ermanno Torrico) e nella provincia di Macera ta (a cura di
Vittorio Gianangeli).
Santarelli scopre che le Marche non
sono affatto periferia ininfluente
della realt nazionale, anche se non
vi sono metropoli, anche se non vi
sono grandi centri industriali, an-

76

che se vi una sostanziale arretratezza economica e sociale. Le Marche sono il laboratorio di una crescente egemonia del movimento
operaio che fatica per a svilupparsi
per la presenza di un predominio
della campagna sulla citt e per una
classe operaia ancora tendenzialmente individualista. Lo si verifica
in una forte tradizione anarchica, in
una marcata influenza del sindacalismo rivoluzionario, in un susseguirsi di moti di piazza che ricordano le j a q u e r i e s, come quelli del
1898, come la settimana rossa, come
quelli contro il caro viveri nel 1919,
come la rivolta dei bersaglieri l'anno
successivo. Eppure, ogni volta, la
presa di coscienza di questi limiti accresce lo sforzo organizzativo e l'impegno politico di massa fino ad arrivare a importanti conquiste, a cominciare dalla nascita delle Camere
del lavoro fino alla fondazione del
Partito comunista.
Ovviamente, queste non sono tematiche esclusivamente marchigiane,
anche se in questa Regione hanno
espresso una specificit rilevante
anche per la presenza di personaggi
rilevanti come Errico Malatesta,
Luigi Fabbri, Pietro Nenni, Romolo
Murri, che hanno qui esercitato la
loro funzione teorica e politica in
fasi decisive della storia d'Italia.
Questa visione progressiva della
storia emerge in tutte le opere di
Santarelli a cominciare da quella
che pu essere considerata la prima
di grande respiro, Il socialismo anarchico in Italia (Feltrinelli, Milano,
1959). In essa si d conto che l'anarchismo la tappa originaria
della storia del movimento operaio
e non solo e non tanto sul piano
delle idee, quanto soprattutto sul
piano dei fatti storici, in un rapporto dialettico e di reciproca influenza con il socialismo. In questo
modo viene considerato figlio della
modernit e non, come altri autori
m a rxisti hanno ritenuto, espressione di un movimento pre-moderno.
Il testo si affianca a quello pi teorico e di storia delle idee che La
revisione del marxismo in Italia, nel

Settembre - Ottobre 2004

quale va ancora avanti nella riflessione con alcune importanti scoperte come appunto l'intreccio in
Italia tra movimento anarchico e
movimento socialista e come la scoperta del ruolo di Rodolfo
Mondolfo soprattutto come anello
di congiunzione tra Labriola e
Gramsci. Una lettura quindi a tutto
campo del filone italiano del marxismo, che sar fondamentale anche nella rilettura di fenomeni
come il fascismo al di fuori di
schemi terzinternazionalisti basati
pressoch essenzialmente sulla dittatura di classe.
Storia del movimento e del regime fascista (Editori riuniti, Roma, 1967)
non in proposito solo una delle
opere pi importanti di Enzo
Santarelli ma anche e soprattutto
una delle principali storie del fascismo uscite in Italia, dalla quale nessuno storico successivo ha potuto
prescindere. Molto prima di Renzo
De Felice e di Emilio Gentile egli coglie molto bene le peculiarit italiane del fascismo gi nella crisi di
fine Ottocento, fino alla guerra libica e all'interventismo, ma soprattutto di una forte spinta antidemocratica presente nell'et giolittiana
e che costituisce una costante nella
storia del nostro Paese. Scrive con
parole profetiche, tanto da farci capire come quella storia non sia affatto esaurita neppure oggi: Il fascismo ci appare come il sintomo e
la manifestazione di una crisi spirituale e politica di vaste proporzioni
non ancora completamente esaurita e superata. Cos, di fronte alla
spinta del biennio rosso, la borghesia risponde con comportamenti
che tendono non solo a distruggere
le conquiste del movimento operaio, ma anche a snaturare l'essenza
stessa della democrazia, fino a rasentare il vero e proprio colpo di
Stato.
Ma se Santarelli evita schemi classici
del marxismo non cade affatto nel
personalismo alla De Felice, non
identifica la storia del fascismo con
la biografia di Mussolini. Per quanto
la sua sia una storia politica, essa si
coniuga molto bene con le acquisi-

Settembre - Ottobre 2004

zioni della storia sociale. Lo studio


del fascismo rappresenta quindi per
Santarelli l'approdo alla maturit,
periodo che lo vede dare alla luce
diverse pubblicazioni che restano
tappe fondamentali nella storiografia italiana. Due opere generali, una
internazionale e una nazionale, e
una biografia di un personaggio a
suo avviso chiave per capire tante
specificit della sinistra italiana.
Andando per ordine, del 1982 la
Storia sociale del mondo contemporaneo
(Feltrinelli), che segue di sette anni
Il mondo contemporaneo. Cronologia
storica 1870-1974 (Editori riuniti).
Si tratta di una sintesi ambiziosa,
frutto non solo di studi mai interrotti in materia, ma anche di curiosit alimentata dai numerosi viaggi
che caratterizzano la sua vita dagli
anni Sessanta agli anni Ottanta.
Soprattutto per la espressione
pi matura di una forte coscienza
internazionalista nelle lotte dei giovani negli anni attorno al Sessantotto. Si pensi all'attenzione che
Santarelli ha sempre posto nei riguardi di personaggi mito come
Ernesto Che Guevara (sul quale ha
scritto parecchio e ha organizzato
un convegno a Urbino nel 1987) e
pi in generale verso i movimenti di
liberazione soprattutto nell'America del Sud. Addirittura, assieme
alla sua compagna Bruna Gobbi, ha
fondato una rivista come L a t i n o
America che ancora oggi una importantissima rassegna di studi su
questo continente e sulle speranze
di rinnovamento profondo che vengono dalle sue peculiarit storiche
e dalle sue tradizioni popolari.
Quindi la Storia sociale del mondo contemporaneo in un qualche modo la
risposta al fascino che emanano i
movimenti di liberazione sparsi nel
mondo e alle domande che pongono allo studioso, sia per quel riguarda l'analisi dell'imperialismo,
tema forte del leninismo (gi presente nel suo Movimento operaio e rivoluzione socialista, Argalia, Urbino,
1976), specie ora che il declino europeo ha lasciato spazio alla superpotenza americana, sia per quella
sorta di difesa d'ufficio dell'Unione

Memoria

Sovietica che egli vede in questi


anni spesso criticata un po' troppo
frettolosamente.
Ma anche il tentativo di dare un'interpretazione complessiva al cosiddetto secolo breve, che, in qualche modo, per Santarelli un secolo lunghissimo, in quanto la data
d'avvio della contemporaneit non
risale per lui alla grande guerra
bens niente meno che alla Comune
di Parigi. Con i limiti di un'opera influenzata dai fermenti del suo tempo, comunque una delle ultime
grandi sintesi di impianto marxista
uscite in questi ultimi trent'anni,
con una nota per di estrema attualit che riguarda i temi della
pace, specie dopo la bomba atomica
e l'avvento di altre tecnologie di distruzione e di morte. Temi sui quali,
come si vedr pi avanti Santarelli
ritorner pi volte (a cominciare da
Imperialismo, socialismo, terzo mondo.
Saggi di storia del pre s e n t e, QuattroVenti, Urbino, 1992).
Nel frattempo, escono le sue due
pi importanti monografie sulla
storia d'Italia, Nenni (Utet, Torino,
1988) e Storia critica della Repubblica,
l'Italia dal 1945 al 1994 (Feltrinelli,
Milano,1996). Nella prima, Santarelli d alle stampe il risultato finale
di una ricerca di lungo periodo, ma
soprattutto il risultato di una lunga
riflessione sulle caratteristiche e le
contraddizioni del sovversivismo.
Proprio Nenni ne il tipico esemplare. Matrice romagnola, regione
perennemente all'opposizione,
educazione repubblicana, partecipazione alla settimana rossa e poi
l ' i n t e rventismo. Dopo la guerra,
l'autocritica e l'adesione al socialismo, il fuoriuscitismo e la sintonia
con i fratelli Rosselli, la partecipazione ai fronti popolari e la guerra
di Spagna. Dunque l'antifascismo,
la rinascita democratica e un nuovo
fronte popolare, per arrivare infine
al Centro-sinistra.
Santarelli capisce che questo filone
della sinistra pi tipicamente italiano forse dello stesso filone comunista, proprio per le contraddizioni che si porta dietro per quasi
settant'anni dalle origini garibal-

dine fino a posizioni scomode di governo con la Democrazia cristiana.


Tutto c' stato nel frattempo, dall'insurrezione di piazza alle manifestazioni in favore della guerra.
Perch tante contraddizioni?
Perch manca un pensiero forte, organico, anche se con evidenti rischi
di caduta nel dogmatismo come
per i comunisti, ma certo pi lineare
perch chiaro l'obiettivo e cio
l'anticapitalismo, con il quale il sovversivismo non ha mai fatto i conti
fino in fondo.
Allo stesso tempo, emerge anche la
incapacit, partendo da simili origini, di essere adeguatamente riformista una volta al governo; e la mancanza dell'affermazione di un vero

Si pensi all'attenzione
che Santarelli ha sempre posto
nei riguardi di personaggi mito
come Ernesto Che Guevara

riformismo democratico in Italia


negli anni della Repubblica il
nodo di fondo dell'altra opera di
Santarelli e cio la storia critica dei
decenni successivi alla seconda
guerra mondiale. Il libro di grande spessore ma anche di grande attualit perch scritto due anni dopo
la prima vittoria di Berlusconi e lo
storico ci fa capire che questo successo della destra viene da molto
lontano, che sicuramente ci sono
elementi di novit (come la fine dei
tradizionali partiti di massa) ma vi
anche una lettura di lungo periodo
che coglie le cause di una presenza
maggioritaria da parte della destra.
La storia potrebbe risalire molto indietro nel tempo, nelle origini del
populismo e del trasformismo, ma
ci che caratterizza gli anni del postfascismo la conquista del potere
da parte del movimento cattolico e

77

Memoria

della Democrazia cristiana. Per un


vecchio anticlericale come Santarelli, alla beffa sul piano culturale
si aggiunge il danno sul piano della
modernizzazione del Paese, su quello che poi Guido Crainz avrebbe
chiamato il Paese mancato. La
egemonia della Chiesa si assomma
alla gi scarsa cultura democratica
(per non dire sovversivismo) delle
classi dirigenti, la quale ha portato
l'Italia pi volte sull'orlo del colpo
di Stato.
Meno convincente laddove vuole
essere impietoso verso l'opposizione, soprattutto nelle critiche a Berlinguer e alla strategia del compromesso storico. Qui verrebbe facile
fare osservazioni analoghe a quelle
che lo stesso Santarelli fece nei riguardi di Nenni, laddove osserv

Santarelli fece fare


un salto di qualit alla pubblicistica
sulla Resistenza.

che certo radicalismo si dimostr


poco incline a favorire le strategie
di lungo periodo del movimento
operaio. Cos, il non comprendere
le origini togliattiane della strategia
del compromesso storico porta
Santarelli ad accusare Berlinguer di
politicismo e di scarsa attenzione ai
movimenti di massa. Ma quali sono
i movimenti di massa, quelli delle
avanguardie intellettuali o quelli
con ben pi solide matrici popolari?
Non un caso che quando il Pci si
scopr alternativista acceler il suo
declino verso lidi socialdemocratici
in un Paese che non aveva radici socialdemocratiche. Cosicch si pu
oggi tranquillamente affermare che
il Pci non morto nel 1989, con la
caduta del muro di Berlino, ma
quando ha accettato di essere sub-

78

alterno al craxismo, riducendo il


compromesso storico a emergenza e a larghe intese, abbandonandone cos la valenza rivoluzionaria, trovandosi poi aperto il solo
sbocco alternativista, che in Italia
non poteva che avere connotati moderati.
Non qui il caso di collegare questa interpretazione degli ultimi anni
di storia del Pci con la scelta che
Santarelli fece aderendo al Partito
della Rifondazione Comunista.
Occorrerebbe una pi attenta analisi del suo pensiero tra gli anni
Ottanta e Novanta, e per questo si
rimanda a uno studio ben pi approfondito, ma si pu azzardare che
Santarelli si sempre dichiarato legato a un filone profondamente laicista del movimento operaio con
scarsa attenzione al movimento cattolico, con qualche incrocio con il
filone eretico e modernista, da
Romolo Murri a Ernesto Buonaiuti,
ma nulla di pi. Quando anni fa
pubblicai un libro sulla storia del
Movimento dei cattolici comunisti,
verificai la sua assoluta estraneit a
questa esperienza e il fastidio per essere poi diventata questa componente tutt'altro che marginale nella
storia del Partito comunista e nell'influenzare le politiche sia di
Togliatti sia di Berlinguer.
A conclusione voglio invece sottolineare ci che ha mi ha profondamente accomunato a Santarelli e
alla lunga collaborazione nell'Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle
Marche, di cui stato uno dei fondatori, presidente dal 1974 al 1980
e animatore per lunghi anni; in altre parole una sua creatura, una di
quelle in cui ha pi creduto e in cui
si pi impegnato. Gi negli anni
Sessanta, docente all'Universit di
Urbino aveva creato un centro
studi, punto di riferimento per docenti e studenti locali. Ma ben presto assieme ad alcuni comandati
partigiani aveva preso contatto con
l'Istituto per la storia del movimento di liberazione, gi presente
a Macerata, per creare un organismo regionale. Questi sorse ad An-

Settembre - Ottobre 2004

cona all'inizio degli anni Settanta e


grazie a Santarelli costitu un felice
connubio di comandanti partigiani
e di giovani antifascisti appassionati
di studi storici.
Proprio questo incontro tra uomini
della Resistenza e delle lotte del Sessantotto fu la vera novit voluta da
Santarelli e, sebbene incontrasse
l'ostilit dei partigiani non comunisti, ancora troppo legati all'idea
della Resistenza come secondo risorgimento e sospettosi di ogni impostazione classista, alla fine si dimostr vincente, tanto che ancora
oggi quella impostazione originaria
plasma la vita dell'Istituto marchigiano per la storia del movimento
di liberazione.
Ma Santarelli fece ancora e molto di
pi. Fece fare un salto di qualit alla
pubblicistica sulla Resistenza. Sotto
la sua direzione si amplificarono gli
studi di carattere scientifico, si ridimension il carattere memorialistico, almeno liberandolo da ogni
residuo agiografico, e si cominci
ad avviare vere e proprie ricerche
storiografiche. E lui in prima persona si spese per avviare una collana
editoriale di studi e organizz convegni marchigiani, come quello di
Urbino del 1971 e quello sulla Linea
gotica tenutosi a Pesaro nel 1984.
Santarelli per, prima di essere un
instancabile animatore culturale,
era un grande storico, cosicch si
sforz in prima persona di tracciare
le linee guida di una nuova storiografia, sia della Resistenza nelle
Marche sia pi in generale di quella
italiana. Per il primo aspetto, ribad
la necessit di letture di lungo periodo, in altre parole sollecit la
comprensione di cosa erano stati in
questa regione il fascismo e l'antifascismo, non solo sul piano politico
e ideologico, ma anche attraverso
un esame della loro presenza in
tutte le pieghe della societ.
In questo modo, si sarebbe anche
compreso meglio il secondo dopoguerra, con la presenza di un movimento organizzato autore di indimenticabili lotte operaie e contadine. Ne emergeva, a suo avviso, una
evidente continuit, una sorta di filo

Settembre - Ottobre 2004

rosso che vedeva protagonisti vecchi socialisti e anarchici, spesso confluiti nel partito comunista, combattenti in Spagna o esiliati al confino, commissari politici delle
bande partigiane, operai del cantiere navale di Ancona e di altre fabbriche, contadini dell'entroterra e
capileghe, in una saldatura di almeno due generazioni.
Nello stesso tempo, per, per Santarelli la Resistenza nelle Marche appare come una sorta di rivoluzione
incompiuta, soprattutto per il
mancato cambiamento dei rapporti
sociali, specie nelle campagne dove
resistono forme arcaiche di mezzadria. Il fatto che in questa zona
d'Italia, pur essendoci il primo laboratorio di guerriglia partigiana,
la resistenza dura poco, meno di un
anno, e nell'estate del 1944 gi terminata, non potendo sviluppare
quella partecipazione operaia e
contadina che sarebbe stata essenziale per una trasformazione dei
rapporti di classe.
Analisi successive e pi mature lo
porteranno a comparare l'analisi locale a quelle di zone pi ampie, con
confronti di estremo interesse con
la Romagna e l'Umbria, individuando aspetti comuni alle cosiddette Regioni rosse. Uno fra tutti la
forte presenza del partito comunista che egemonizza la guerra partigiana e nello stesso tempo guida il
movimento operaio del dopoguerra verso un significativo rinnovamento democratico del Paese.
Rinnovamento osteggiato dalle
forze conservatrici, ma che permette all'Italia repubblicana di non
interrompere il legame storico con
la tradizione democratica e antifascista.
Questo aspetto connota l'identit di
Santarelli come storico comunista,
identit sempre riaffermata nella
sottolineatura della perfetta compatibilit dei due termini, ma anche
in una accezione la pi ampia possibile, data la vastit dei suo interessi
e dei campi di indagine affrontati e
dato l'approccio non necessariamente ideologico, e anzi metodologicamente plurale, con il quale ha

Memoria

affrontato le tematiche pi differenti. E, per restare alla sua attivit


nell'istituto storico marchigiano,
andrebbero ricordate le tante iniziative da lui avviate e felicemente
realizzate, come il convegno internazionale di Ancona del 1977 sull'imperialismo italiano e la Jugoslavia, fondamentale anche per
comprendere le evoluzioni successive) o come la fondazione nel 1988
(e la direzione per i primi anni) di
una rivista di studi come Storia e problemi contemporanei, che ancora oggi,
trasformatasi da semestrale a quadrimestrale, costituisce un importante punto di riferimento per la
storiografia italiana.
Ma sue due tematiche santarelliane voglio soffermarmi in modo
particolare a conclusione di questa
veloce rassegna.
La prima riguarda la storia delle
donne, un filone di cui fu in qualche modo anticipatore. Se si vuole
si pu risalire a una prima informe
curiosit infantile che lo porta a rinnegare l'immagine borghese della
donna in un breve scritto di epoca
fascista, ma del 1950 il suo La rivoluzione femminile, un testo un po'
ingenuo, colmo di umanitarismo e
di idealismo, in cui si identifica l'emancipazione femminile con il socialismo, secondo una visione piuttosto schematica assai diffusa nella
tradizione del movimento operaio.
Ben pi innovativo e stimolante
quando si sofferma sulle ideologie
antifemministe, individuando il carattere maschilista della destra e
del fascismo in particolare. Un riferimento per gli studi in materia resta il suo intervento su Problemi del
socialismo n.4 del 1976. In esso, tra
l'altro, si coglie nell'antifascismo e
nella resistenza (come poi molte
studiose hanno confermato), l'occasione per il salto di qualit nel
cammino di emancipazione delle
donne.
La seconda tematica forte stata
quella della pace, non solo proposto a oggetto di studio da parte degli storici, ma collocato al centro del
dibattito storiografico sul Novecento. In tal senso, organizza nel 1986

ad Ancona, proprio con l'Istituto


regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche,
il convegno La cultura della pace
dalla Resistenza al Patto atlantico, in
cui intervengono non solo storici
ma anche fisici, sociologi, letterati
che sottolineano l'apporto della cultura della pace alla risoluzione di
conflitti internazionali.
Proprio nella prefazione agli atti (Il
lavoro editoriale, Ancona, 1988)
Santarelli scrive: Centralit dunque, in atto e in prospettiva, non pi
del dato militare, come scansione e
come elemento di continuit nella
storia, ma del rapporto guerrapace, specificato ormai nell'era di
una distruttivit totale, nell'era
delle masse, nell'era del risveglio
complesso di energie umane e di
istanze collettive, che si sono manifestate in tutto il mondo, in varie
forme (p. 6). Non si pu non cogliere l'attualit di questa tematica
che l'ottica storica proietta su un
presente che ha fatto carta straccia
pure del buon senso, tanto che persino il ripudio della guerra si accinge a fare la fine ingloriosa a cui
sembra destinata la nostra Costituzione repubblicana.
Ecco la sua attualit. In una fase storica di smarrimento di fronte alla
aggressivit sovversiva della destra,
e non solo quella cialtronesca oggi
al governo in Italia, l'immenso patrimonio culturale e storiografico
di Santarelli va riproposto, certo in
modo critico, ma soprattutto con le
sue grandi intuizioni, da quelle sulla pace a quelle sulla ricchezza culturale e democratica del movimento operaio.
Oggi, che non pi tra noi, occorre
fare in modo che non vada dispersa
questa lezione. E se vero che la sua
opera talmente vasta che non
stato qui possibile ripercorrerla che
in poche righe, non si pu non indicarla allo studio e alla riflessione
dei pi giovani, quelli a cui si rivolgeva senza alcuna boria accademica, ben consapevole che ogni generazione trasmette un patrimonio
da far fruttificare a quella successiva.

79

Settembre - Ottobre 2004

Memoria

In memoria di Enzo Santarelli


pubblichiamo unintervista
che il compagno rilasci
a Giano nellaprile 2003

Imperialismo
globale
e resistenza
dei popoli

a cura di Ivan Di Cerbo

LA MINACCIA - CHE SI ESTENDE SU SCALA PLANETARIA - DELLE POLITICHE


DI GUERRA DEGLI USA E LA CENTRALIT DELLA LOTTA ANTIMPERIALISTA.
INTERVISTA A ENZO SANTARELLI

o scorso marzo, in vista del convegno


che lernesto stava organizzando a
Milano sul tema Il potere, la violenza,
la resistenza, chiedemmo ad Enzo
Santarelli un contributo scritto. Enzo,
da tempo costretto a letto da quel male
che ora ce lha portato via, non fu in
grado di scrivere. Per non essere per
del tutto assente dal dibattito assenza
che lo faceva soffrire ci invi, un po
di tempo dopo, in occasione della sua
adesione alla Conferenza internazionale di solidariet con il popolo iracheno ( Parigi, 15 maggio 2004) unintervista che aveva rilasciato alla rivista Giano, chiedendo di pubblicarla
su lernesto.
Lintervista (tratta dal numero 43 di
Giano, gennaio/aprile 2003) quella
che in questo numero proponiamo ai
lettori.
Chi scrive queste note ha avuto la fortuna di conoscere bene Santarelli e di
a p p re z z a rne il coraggio politico (la
grandezza dello storico non ha bisogno
di essere ricordata in queste modeste righe). Enzo aveva condiviso con tanti
altri compagni e compagne limpegno
contro la mutazione genetica del PCI
e poi contro la Bolognina e aveva
aderito tra laltro alla battaglia politica e ideale che su questo versante
conduceva la rivista interna al PCI
Interstampa. Anche in questultimo
decennio, di fronte allondata anticomunista , Santarelli non aveva mai abdicato e pur non potendosi pi espri-

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m e re al meglio, aveva continuato a


porre come centrali le questioni della
lotta antimperialista e dellorizzonte comunista e rivoluzionario. E aveva deciso, per queste ragioni, di appoggiare
in pieno, assieme ad altre riviste, lernesto. Per la stima che abbiamo avuto
di Enzo, per luomo, per lo studioso, per
il dirigente comunista, diciamo questo
con estremo orgoglio.
il direttore

In un tuo saggio di analisi della


guerra del 1991 Come stata costruita la guerra nel Golfo (Giano,
n. 7, gennaio-aprile 1991) tu rilevavi il delinearsi della figura relativamente nuova di un imperialismo
globale in una fase di svolta tra unepoca e laltra. A dodici anni di distanza, di fronte a questa nuova
guerra contro lIraq, ti pare di poter
confermare quel giudizio?
Riconfermo il giudizio e la previsione. Siamo di fronte ad un imperialismo globale che coincide in gran
parte con limperialismo americano. A questo punto per sar necessaria unulteriore riflessione per
valutare in modo puntuale quello
che accaduto appunto in questi
dodici anni tra la prima e la seconda

guerra del Golfo. Tuttavia, io vorrei


introdurre questa questione, lanciando un messaggio, per cos dire,
sia agli americanisti che agli antiamericanisti. Questo un punto di
dibattito, di discussione, di agitazione prevalentemente tra la destra
e la sinistra, tra le forze della pace e
le forze guerrafondaie. Bene. Esiste
uno studio accurato, approfondito,
di Alberto Acquarone, uno storico
di formazione liberale oggi scomparso. Questo studio uscito presso
il Mulino e occupa un volume di
circa 600 pagine: Le origini dellimperialismo americano. Se volete negare
lesistenza dellimperialismo americano, allora dovete andare contro
una parte notevole della storiografia italiana e anche della storiografia americana, dovete chiudere gli
occhi sulle caratteristiche fondamentali dellet contemporanea!
Quelle origini sono lontane, nello
studio di Acquarone vanno dal 1897
al 1913.
Per veniamo a noi, ai nostri tempi.
La riflessione ulteriore di cui parlavo la riflessione sulle ultime
forme, sulle strutture, sulle radici,
sulla cultura dellimperialismo
americano oggi, perch, se non facciamo questa ulteriore riflessione,
non comprendiamo nulla di questa
guerra e non possiamo nemmeno
analizzarla e, quindi, combatterla.
In realt, ci viene in soccorso una os-

Settembre - Ottobre 2004

servazione elementare e nello stesso tempo acuta di Artur Schlesinger


junior, citata anche da un editoriale
de il manifesto: bisogna rendersi
conto della svolta strategica, ideologica, culturale, politica, molto profonda e radicale, che ha avuto luogo
nella politica estera degli Stati
Uniti, per cui si arrivati alla guerra
preventiva, alla guerra contro tutti,
allisolamento stesso dellimperialismo americano e dellimperialismo
globale.
Cosa cambiato nello Stato e nella
societ degli Stati Uniti? Sono cambiate molte cose in questi ultimi 12
anni. C la tendenza al pensiero
unico, cio, detto in parole povere,
abbiamo ragione solo noi, la nostra
ragione va al di sopra delle organizzazioni internazionali, possiamo
fare la guerra da soli e facciamo la
nostra guerra preventiva. Ormai,
credo sia chiaro anche di fronte allopinione pubblica che non si
tratta di dare una risposta al terrorismo di Osama bin Laden, ma un
pretesto quello dell11 settembre
2001 e dellabbattimento delle
Torri Gemelle. La guerra, infatti,
viene portata in un Paese del Golfo,
che non il Paese dove crescono i
ravanelli come dice Edoardo Galeano ma tra i massimi produttori
di petrolio nel mondo. Allora le radici di questo imperialismo globale
e americano sono lontane nel
tempo: fine Ottocento, sviluppo
monopolistico degli Stati Uniti,
loro partecipazione ai conflitti imperialistici, gli Stati Uniti che diventano una potenza riva le
dellInghilterra nellAtlantico, che
sostituiscono la Spagna nel Pacifico,
conquistano le Filippine, le Hawaii
e arrivano a partecipare alla spedizione imperialista contro la Cina,
nel 1900. Questa la storia vecchia
dellimperialismo americano, la storia recente diversa.
C ormai negli Stati Uniti una
classe agiata, molto larga, che identifica il suo benessere, il livello dello
standard della sua vita, che molto
al di sopra di quello di tutti gli altri
Paesi, che si adegua ad una politica
estera aggressiva. C poi al vertice

Memoria

degli Stati Uniti la lobby petrolifera


di cui fanno parte Bush senior e
Bush junior, Dick Cheney, che il
vicepresidente degli Stati Uniti, e i
consiglieri principali della Casa
Bianca. Tutto questo non si spiega
senza linvoluzione in senso fondamentalista di larghi strati della
classe agiata e della stessa intellettualit statunitense; altrimenti non
si sarebbe arrivati a concepire una
guerra preventiva unilaterale, illegittima, contraria alle Nazioni
Unite.
A questo punto, credo di aver detto
tutto quello che era necessario
prima di giungere allultimatum di
Bush contro Saddam Hussein, al
convegno decisivo delle Azzorre a
cui hanno partecipato, con Bush,
Blair e Aznar.
A che punto la crisi dellOnu? Se
ne parlava gi nel 1991, ma questa
volta agli Usa non riuscito di strapp a re un mandato al Consiglio di
Sicurezza, neppure al di l dei suoi
membri permanenti. Sar suff iciente, per una ripresa delle
Nazioni Unite, il fronte dei Paesi del
no, tra i quali ci sono tre dei cinque membri del Consiglio di
Sicurezza?
Anche la crisi dellOnu non avviene
a caso. Sono lunghi gli anni in cui
si avverte la tracotanza dellunica
potenza imperiale, dellunica potenza grande rimasta nel mondo e
si sente anche lacquiescenza degli
altri membri dellOnu. Non c
stato un braccio di forza reale dentro lOnu. Qui si potrebbe tornare,
per, almeno al punto discriminante che ha segnato una svolta tra
lOnu e gli Stati Uniti, la svolta delle
Azzorre a cui accennavo prima. Il
Corriere della sera ha parlato a questo proposito, basandosi sul comunicato ufficiale, di un doppio ultimatum. Alla volont di guerra di
Bush viene riconosciuta questa originalit. In realt, gi nelle ultime
settimane la polemica con lOnu
era diventata pesante e la presenza
degli Stati Uniti nellOnu era assolutamente vergognosa. Cera la cac-

cia ai voti, ai Paesi poveri venivano


promessi aiuti se avessero dato il
loro voto, come membri non permanenti del Consiglio di Sicurezza,
per avallare la politica aggressiva degli Stati Uniti. Questa una pugnalata alle spalle, una mazzata che
cade sullOnu. Questa la realt.
LOnu rimasta tramortita.
LUnione Europea stata spaccata
dal problema della guerra. Ma essa
specie se consideri il pro l u n g amento dellasse Parigi-Berlino fino
a Mosca resta pur sempre lunica
forza potenzialmente concorrente
rispetto agli Usa, soprattutto in uno
scenario in cui lelemento militare
si ritragga in seconda linea, ed
emergano i concreti interessi socioeconomici e si chiariscano le differenze culturali tra le due sponde
dellAtlantico. Cosa c, in conclusione, nel futuro dellEuropa e del
suo rapporto con gli Usa?
Anche lEuropa rimasta tramortita. C poco da credere nella ripresa dellOnu o nella Unione
Europea. Bisognerebbe cambiare
radicalmente, mentre c il fuoco
della guerra, i termini della lotta per
la pace. Non ci si pu affidare alle
vecchie diplomazie, non questione di mettere daccordo questo
o quellaltro, di comprare e vendere
i voti, di rimettere su politiche che
hanno fatto naufragio. Certo lorganizzazione internazionale, lOrganizzazione delle Nazioni Unite,
deve vivere, nata dallalleanza antifascista internazionale, dalla vittoria sul nazismo. Non c nessuna ragione per cui lOnu debba rimanere seppellita dallimperialismo
globale degli americani.
Quanto allEuropa, credo assai
poco a un asse rabberciato allultimo momento, eterogeneo, da
Parigi a Mosca! Un asse ParigiBerlino potrebbe anche reggere,
ma si prolunga fino alla Russia, cosa
vuol dire? Intanto lEuropa non
pi quella dei dodici o dei quindici,
diventata unEuropa dei venticinque e gli ultimi dieci comprendono
la Polonia, lUngheria, la Repub-

81

Memoria

blica Ceca, una serie di Paesi che


hanno una concezione mercantile
del loro ruolo nellEuropa, e sono
entrati nellUnione Europea pi
come alleati degli Stati Uniti che
con unidea autonoma dellEuropa.
Questa la realt oggi, quindi le mie
speranze, di uomo di pace e di studioso, sono basate sulla mobilitazione di larghe masse popolari e resistenti alla guerra.
Le tue analisi della politica estera
dellItalia sono sempre state nettamente critiche. Come valuti ora la
condotta del governo Berlusconi?
Quando si arriva a parlare del governo Berlusconi purtroppo il tono
della conversazione, degli scambi
di idee, della discussione, si abbassa
fatalmente. Vorrei ricordare solo
che nel corso di questa crisi, quando
si profilava la guerra, Berlusconi
uscito con questa frase: La sinistra
ha perso la testa, i pacifisti non l
hanno mai avuta. Come si fa a discutere della politica di un Paese
come lItalia sulla base di questi
chiacchiericci di un pubblicitario
come Berlusconi? Ci serve, invece,
sapere perch Berlusconi ha tentato, a un certo momento, di fare
languilla, di svicolare in tutti i
modi, di sfuggire alla stretta. Si sa
che la politica estera di Berlusconi
stata molto ambigua fra gli Stati
Uniti, da una parte, e lUnione
Europea, dallaltra, che il ministro
degli esteri Ruggiero stato costretto alle dimissioni e che Berlusconi stato ministro degli Esteri ad
interim per vario tempo. Ma adesso
abbiamo come ministro degli Esteri
Frattini, che noto soltanto per
avere inventato una legge che non
una legge per annullare il conflitto
di interessi fra Berlusconi e lo Stato
italiano. La formula ultima di questo venditore di fumo, che Berlusconi, la non belligeranza dellItalia, ma nello stesso tempo i missili partono dalla base di Sigonella,
che la pi avanzata verso larea del
conflitto, e partono anche i par
dalla base di Vicenza. Perch allora
questo tentativo risibile di non bel-

82

ligeranza, che stata la stessa formula con cui Mussolini entrato in


guerra accanto a Hitler? Credo che
Berlusconi abbia sentito la forza
enorme, unanime, delle bandiere
arcobaleno in tutte le case di Roma
e dItalia, la forza enorme della mobilitazione di base suscitata da
Giovanni Paolo II, insomma si sente
stretto fra la sua vocazione liberista,
padronale, filoamericana e la mobilitazione di pace che c in Italia,
stretto, in due parole, fra gli Stati
Uniti dAmerica e il Va t i c a n o .
Questa la posizione italiana classica.
Sostanzialmente Berlusconi segue
la linea dei peggiori capitani di ventura al tempo delle invasioni
dellItalia pre-unitaria, nel Cinquecento tra Francia e Spagna purch se magna. Questa una concezione terra-terra, adeguata alla
condizione peninsulare, mediterranea e nello stesso tempo cattolica
dellItalia, ma non una politica da
Repubblica italiana che ripudia la
guerra, non una scelta attuale che
possa andare verso il sentimento e
gli interessi della grande maggioranza degli italiani. E qui forse bisognerebbe dire anche che c un
grave pericolo che incombe sugli
italiani, una spada di Damocle, e
che altri hanno nelle mani questa
spada. Noi dobbiamo armarci di
idee politiche e la politica di pace in
tempo di guerra difficile, ardua.
Il centro-sinistra anche in considerazione della partecipazione del
governo DAlema alla guerra anti-jugoslava del 1999 pu rappresentare unalternativa politica precisa e
affidabile?
Non credo che noi possiamo coinvolgere, nemmeno ragionando, il
vecchio governo DAlema. Oggi la
situazione completamente diversa. Domandiamoci perch ospiti, in un certo senso, del governo
portoghese, gli spagnoli, gli inglesi,
gli americani hanno lanciato lultimatum dalle Azzorre? Perch cera
una base americana nell isola di
Terceira. Domandiamoci cos lI-

Settembre - Ottobre 2004

talia oggi? Quante basi ha nel proprio territorio?


Il progetto, il disegno militare del
Pentagono di portare le forze schierate ad Aviano sulla soglia Est, sul
confine orientale, le truppe che
erano servite a far partecipare lItalia alla guerra dellOnu e del Patto
Atlantico contro il Kossovo per
smembrare la Federazione Jugoslava, quelle truppe sono passate attraverso Vicenza e adesso sono nel
Nord dellIraq.
Qual il tuo giudizio sul movimento
pacifista in corso?
Credo che sia implicito nelle cose
che ho detto, per, per essere razionale fino in fondo nellanalisi,
credo anche che bisogna parlare
delle caratteristiche della guerra
che deflagrata a partire dal 19
marzo, guerra che si combatte nel
Golfo dopo lavanzata delle forze di
invasione anglo-americane dal
Kuwait allIraq, verso Bassora e Baghdad. Questa guerra, come concepita nella visione del mondo delloligarchia e della consorteria che
guida gli Stati Uniti dAmerica,
una guerra che vede contrapporsi i
Paesi del massimo benessere, del
massimo consumo di petrolio, del
monopolio dei mezzi di comunicazione di massa, ai Paesi poveri oppure a un Paese povero, dal punto
di vista del livello di vita e che ha soltanto il petrolio e il deserto per la
propria popolazione. Quindi, una
guerra che si configura come guerra
contro il Terzo Mondo, tanto vero
che gli americani parlano di asse
del male e quale lasse del male?
Gira gira, alla fine lasse del male attorno allIraq costituito dallIran
e dalla Siria, su cui sono caduti i missili dellarmata di invasione angloamericana. Non dimentichiamo
che questa guerra stata aperta in
Medio Oriente guardando al bordo
occidentale del Pacifico, alla stessa
Cina. Non dimentichiamo le parole, irose e irate, di Bush a proposito della Francia e della Germania,
su cui caduto il giudizio che questi Paesi avrebbero un comporta-

Settembre - Ottobre 2004

mento assimilabile a quello della


Libia o di Cuba, e questo molto
grave se si pensa al disprezzo col
quale vengono trattate la Libia e
Cuba. Non c da stare tanto tranquilli per gli europei!
Allora, quale pacifismo? Un pacifismo che nasca dal basso, da cento,
mille focolai di pace nei diversi popoli del mondo, un pacifismo che
lotta contro limperialismo americano o contro limperialismo globale, non per la ricostituzione del
Consiglio di Sicurezza, ma per ridare ruolo ed autorevolezza allassemblea delle Nazioni Unite.
Quindi un pacifismo di massa che
ricomprenda anche la massa delle
resistenze anti-Usa.
Abbiamo di fronte la lezione del
ventesimo secolo da cui deriviamo.
Il ventesimo secolo stato un secolo

Memoria

di grandi guerre ma anche di grandi


insurrezioni contro la guerra. In tutta lEuropa, Italia compresa, Germania, Francia, Russia, il 1917 stato un anno che preludeva alla pace
per la stanchezza e la volont dei popoli, dei soldati, dei marinai, degli
uomini e delle donne. Abbiamo
avuto anche a met degli anni Settanta, nel 1975, dopo dieci anni di
intervento americano, loffensiva
dei vietnamiti che avevano difeso le
loro citt, ma soprattutto i loro villaggi e le loro risaie, con armi povere contro i missili, contro i defolianti. Questa nuova guerra una
guerra distruttiva e le popolazioni
hanno fame e sete, come a Bassora;
una guerra repressiva e i contadini
arabi, i giovani arabi, stanno lottando come non avevano mai lottato, sembra quasi che lombra del

Vietnam sia arrivata sul Golfo.


In tutto il mondo cresciuta una
protesta di pace inaspettata mentre
Bush preparava la guerra. Allora,
grande mobilitazione di pace, con le
forze religiose e con le forze laiche.
Questa grande mobilitazione di
pace, religiosa e laica, universale, di
popoli poveri e di popoli europei,
che va dalla Cina fino alla Spagna,
dalla Francia fino alla Russia, questa
mobilitazione ha grandi possibilit;
per ora soltanto sulla carta, ma data
la lezione delle guerre mondiali e
delle guerre coloniali, non detto
che le sorti non possano essere rovesciate e laggressore respinto e isolato.
E soprattutto non detto che i sentimenti di pace non possano di nuovo trionfare e unificare gli uomini e
i popoli di tutto il mondo.

MOSTZA BEOGRAD UN PONTE PER BELGRADO IN TERRA DI BARI


Associazione culturale di solidariet con la popolazione jugoslava
via Abbrescia 97 - 70121 BARI
most.za.beograd@libero.it - mostzabeogradbari@virgilio.it
info 0805562663 - 347 6589841

Kosovo, vi dice niente questa parola? I riflettori di giornali e TV da tempo si sono spenti
su questa provincia grande quanto la Basilicata sulla quale nella primavera del 1999 fu
rovesciato dalla NATO un torrente di missili e bombe, per scongiurare si disse un
genocidio. Oltre 5 anni dopo, sotto gli occhi delle truppe della NATO, si realizzata la
pulizia etnica a danno di serbi, rom e delle altre minoranze non albanesi: oltre 250.000
profughi, pi di 2.500 tra uccisi e desaparecidos per mano dei separatisti albanesi, interi villaggi rasi al suolo, citt come Pristina e Prizren ripulite. Circa 150 monasteri e
chiese ortodosse devastati e incendiati. Tra questi i capolavori dellarte medievale... E
per la minoranza serba rimasta, una vita impossibile, fatta di insicurezza quotidiana, di
vessazioni, di apartheid: una prigione a cielo aperto. Da recentissimi viaggi in Kosovo
un reportage documentato e appassionato, un racconto nel presente e nella memoria.

Kosovo Buco nero dEuropa


di Uberto Tommasi e Mariella Cataldo. Prefazione di Andrea Catone
Edizioni Achab, ottobre 2004, Euro 11,00
Il 50% del ricavato della vendita dei libri richiesti direttamente all'associazione Most za
Beograd sar consegnato in segno di solidariet alla piccola comunit della minoranza
serba della citt di Vitina (in cui i serbi, prima della pulizia etnica erano circa il 90% e
ora sono ridotti all'1,5%), con cui abbiamo avviato un progetto di "adozioni a distanza"
degli orfani di uno o entrambi i genitori vittime della pulizia etnica antiserba.

83

Settembre - Ottobre 2004

La Cultura

Oggi, e soprattutto dopo


le due guerre del Golfo,
non c chi non pronunci
Bghdad non pi allirachena
ma allamericana

La forza
delle parole

di Gigi Livio e Armando Petrini

IMPERIALISMO, SOCIALISMO, ESUBERI, DEVOLUTION:


PAROLE CANCELLATE E PAROLE IMPOSTE:
IL LINGUAGGIO COME VETTORE DELLA CULTURA DOMINANTE

a notizia abbastanza fuori del comune, curiosa e interessante: allinizio di ottobre, sui giornali compare una manchette pubblicitaria
che propaganda un CD contenente
il vocabolario steso tra il 1865 e il
1879 da Nicol Tommaseo e Bernardo Bellini e pubblicato dalla casa
editrice torinese Unione tipografico-editrice, in otto volumi di grande formato e di grande spessore;
bench non si tratti certo del primo
vocabolario della lingua italiana
certamente, per lepoca moderna,
il pi importante. La notizia fuori
del comune perch ci che poteva
ancora risultare utile di quel vocabolario, peraltro gi ristampato pi
volte nel corso del novecento,
stato tutto inglobato nel Grande dizionario della lingua italiana diretto
da Salvatore Battaglia pubblicato
sempre dalla UTET tra il 1966 e il
2002: chiunque voglia risolvere un
problema lessicale pu ricorrere a
quellopera imponente e importantissima cui oggi si affianca, per
unulteriore espansione lessicale
anche se il lavoro risulta meno ricco
di esemplificazioni di storia della
lingua, il Grande dizionario italiano
delluso, diretto da Tullio De Mauro,
sempre della stessa casa editrice. Il
Tommaseo-Bellini quindi, oggi,
unopera esclusivamente per studiosi, per chi abbia o senta la necessit di controllare il valore se-

84

mantico di una determinata parola


applicata allo studio delle cose dellottocento, soprattutto. La pubblicazione, per opera della Zanichelli,
del CD in questione risulta quindi
curiosa e sta a dimostrare: 1) che
questa societ dello spreco non
spreca proprio nulla e tutto ci che
le utile ricicla (come un importante uomo di teatro, Rino Sudano,
ha recentemente ribadito con forza) perdendo sempre pi la capacit di inventare cose nuove e 2),
questa considerazione per pi
ovvia, che il capitalismo trionfante
riduce tutto a merce accentuando
fino allestremo limite il valore di
scambio anche di ci che, allorigine, mostrava le stigmate di un valore duso piuttosto rilevante.
Ma, a queste osservazioni, ne va affiancata unaltra che seppure di segno non direttamente opposto lo ,
invece, quanto alla tendenza ideologica. E questa la constatazione
che da qualche tempo viene data
una maggiore attenzione alle parole di quanto avvenisse negli anni
appena trascorsi, quasi a dire che gli
italiani del nostro tempo si stanno
accorgendo, ciascuno a livelli di coscienza diversi come fin troppo ovvio, di e s s e re parlati e del fatto che
questo avviene proprio attraverso le
parole che risultano un formidabile
veicolo dellideologia: insomma, si
stanno rendendo conto della forza

delle parole, appunto. Sorprendentemente, ma forse non troppo data


lipotesi da cui muovono queste righe, leggiamo, mentre stiamo scrivendo, che anche Romano Prodi si
sofferma sullimportanza delle parole; e in modo particolare di termini come devolution e bandana.
Il candidato premier della sinistra,
dopo aver detto che alcune parole
straniere come bar e sport sono
entrate stabilmente nella lingua italiana, si espresso in questi termini:
Non so se questo succeder con la
devolution. strano che non si sia
trovata una parola italiana per esprimere questo concetto: forse perch
stata fatta lazione prima di elaborare il concetto. chiaro che qui
Prodi, mostrando una notevole sottigliezza di analisi, attribuisce alle
parole, anzi alla parola devolution,
un potere rivelatore di ci che le sta
dietro: per lui le parole non volano
ma, scritte o dette, rimangono; e aggiunge che tra cento anni tutti si saranno dimenticati della bandana
(ovviamente pensiamo che il cicloamatore Prodi si riferisca a quella,
volgaruccia anzi che no, di Berlusconi e non a quella magica di Pantani).
Ma la forza delle parole tanto pi
grande quanto pi tale non appare
e sembra invece essere nientaltro
che un prodotto naturale e, per cos
dire, spontaneo della civile convi-

Settembre - Ottobre 2004

venza. Vediamo subito un esempio.


Il ministro degli italiani allestero
Mirko Tremaglia, inferocito dalla
bocciatura di Buttiglione come
commissario per la giustizia, la libert e la sicurezza del Parlamento
europeo, esplode in un Povera Europa: i culattoni sono in maggioranza, riferendosi al fatto che Buttiglione si sempre espresso contro
gli omosessuali. Lasciamo stare lovvia constatazione che il Buttiglione
di cui sopra ha detto e fatto ben altro e laltrettanto ovvio rilievo che
il dire dellex-repubblichino Tremaglia incentrato su posizioni volgarmente anti-omosessuali, o omofobe, un modo, tipico dei fascisti,
di usare in funzione dispregiativa
ci che questi ritengono una perversione sessuale e veniamo a ci
che la parola in questione risulta significare: gli europei non sarebbero omosessuali o gay ma, appunto, culattoni. fin troppo
chiaro il significato dispregiativo
del termine, di origine dialettale,
che ha la sua radice nella parola
culo, qui usata nel senso spregiativo per sedere: omosessuale
un termine tendenzialmente neutro, di ascendenza scientifica; gay
ancora pi neutro e derivato dalla
lingua e dalla cultura americane
che tanta importanza hanno avuto
sulla cultura italiana dal 45 a oggi.
Lintenzione di colpire lascoltatore
con una parola che immediatamente getti discredito sugli avversari del professore di filosofia (e
non filosofo come scrivono i giornali che altra cosa, ben altra), attraverso larma dellinsulto sessuale, assolutamente evidente.
Ecco un caso in cui una parola pu
ferire come unarma, sempre che
non la si contrasti con un altro strumento di difesa e di offesa che la
renda inoffensiva e in grado addirittura, di rivoltarsi contro chi lha
usata per prima. E lunica arma che
pu contrapporsi alla parola usata
nel modo che si detto quella
della coscienza del fatto che ogni
parola pu divenire, appunto, uno
strumento di offesa e che noi dobbiamo costantemente opporre la

La Cultura

critica delle parole alle parole che


vengono usate per noi e contro di
noi: non basta non creder a ci
che ci propinano i vari telegiornali,
giornali, eccetera, bisogna arrivare
alla coscienza che ci permette di
smontare, proprio nel senso dello
smontaggio di un meccanismo, lintenzione di chi ci parla in modo da
rivelarla in tutta la sua carica, in questo caso, di offesa.
Ma luso della parola culattone risulta una vera e propria sciabolata
vibrata con forza e, come tale, ineluttabilmente evidente e cui quindi
ci si pu opporre con decisione,
come avvenuto in questo caso. Ma
in altri casi si tratta invece di un veleno sottile e infido che in dosi leggere viene inoculato nel tessuto linguistico. Un veleno che non si riconosce a prima vista e di cui non ci si
accorge proprio perch sembra avvenga qualcosa di naturale, come naturale levolversi della lingua, o addirittura, e ci risulta ancora pi insidioso, perch viene percepito,
quando viene percepito, come irril e v a n t e. Il filo-americanismo della
maggioranza di governo, per esempio, chiaramente e volutamente
esposto nelle tre I che, secondo
Berlusconi e i suoi servi, dovrebbero
presiedere allistruzione dei giovani: Internet, Impresa e Inglese;
ed essendo cos chiaro il fronte nemico , ancora una volta, possibile
opporsi con altrettanta chiarezza
come sta avvenendo proprio in questi giorni nei confronti della riforma Moratti. (Questa unovviet, ma meglio chiarire: non si
tratta di opporsi alla conoscenza
dellinglese, naturalmente, visto
che oggi la lingua internazionale
che necessario conoscere in qualsiasi campo si operi oltre a essere
lidioma in cui sono state scritte le
opere di Pound e di Joyce per non
parlare di Shakespeare e di tanti altri ; piuttosto necessario opporsi
alla sua congiunzione con internet
e impresa che connota immediatamente la conoscenza dellinglese in
una certa direzione da cui Pound e
Joyce, per non parlare degli altri,
sono certamente esclusi). Ecco dun-

que che il filo-americanismo si rivela attraverso piccoli slittamenti


del significante che mutano, a livello, si potrebbe dire, subliminale,
il significato in modo leggero ma insinuante. Se sposto laccento nel
pronunciare San Salvadr e lo faccio diventare San Slvador in qualche modo lo annetto, almeno sul
piano linguistico, agli Stati Uniti
come avvenne per la Florda
quando divenne una stella della
bandiera statunitense e si inizi a
pronunciare Flrida. Che dire poi
di Vietnm e Vitnam, di Canad e
Cnada, eccetera? Basta pensare al
termine Bghdad che in Italia
sempre stato pronunciato Baghdd, come nella lingua irachena e
nellimmaginario di tutti gli europei che hanno letto le Mille e una
notte; oggi, e soprattutto dopo le due
guerre del Golfo, non c chi non
pronunci Bghdad non pi allirachena ma allamericana. Lelenco,
ovviamente, potrebbe continuare a
lungo. Ma vogliamo portare ancora
un esempio che ci sembra particolarmente pregnante. Il termine perf o rm a n c e ha decisamente preso
piede nel nostro linguaggio: lo si
usa in diverse accezioni che vanno
dal corso di un titolo azionario o di
un fondo bancario allesibizione di
un attore, a unimpresa sportiva, eccetera. In inglese si pronuncia perfrmance con tanto di accento sulla
o, ma molti di noi lo dicono prformace spostando laccento sulla e
e cio, cosa che sarebbe buffa non
fosse altra cosa, anglizzando linglese: come a dire: pi realisti del re
o, meglio, pi servili di un servo dal
momento che chiunque pronunci
prformance, lo sappia o non lo sappia, compie un atto di servilismo nei
confronti dellinglese. Siamo passati dallorrido Dio stramaledica
gli inglesi dei fascisti allaltrettanto
orripilante Dio strabenedica gli
americani della cultura dellepoca
berlusconiana.
C poi unaltra forma di surrettizia
insinuazione di contenuti di un
certo tipo nella costruzione di parole nuove solo apparentemente
neutre. Torniamo alle I di Berlu-

85

La Cultura

sconi. Ora Internet, e in genere il


computer, non certo una mana
del solo presidente del consiglio: le
possibilit che ci sono nella scrittura
e nella trasmissione di esperienze attraverso il mezzo elettronico piace
a tutti, come giusto che sia quando
una macchina in grado di migliorare, e alleviare, il lavoro delluomo.
altrettanto chiaro per che anche
il computer, come ogni innovazione, porta con s una serie di elementi negativi; e qui baster avere
enunciato il problema vista che non
questa la sede per affrontarlo con
ricchezza di argomenti. per evi-

Ed anche chiaro come


il termine esubero
tenda a stemperare
e a spostare la responsabilit
dellatto del licenziamento

dente che la societ del pensiero superficiale e alienato tende a escludere la complessit e vede soltanto
un aspetto del problema, trasformandolo cos in moda. La moda
del computer ha ripescato, questo
tipico dellepoca postmoderna, un
termine di origine dotta, cartaceo
per designare ci che non ancora
stato inserito in un programma
computeristico come, per esempio,
il catalogo di una biblioteca o linventario di un magazzino. Bene
cartaceo non affatto un termine
neutro (nessun termine lo mai
fino in fondo) ma, al contrario, risulta una parola ricca di significati
storicamente negativi e spregiativi.
Infatti se nella sua accezione neutra significa simile alla carta (e gi
qui si colora di spregio con un accenno a carta fatta con stracci, la
carta bombicina) in quella storica

86

risale a quei ludi cartacei con cui


i fascisti alludevano alle elezioni e
alla democrazia tout court o e qui i
fascisti non centrano alle iniziative cartacee e cio destinate a non
tradursi in atto (Battaglia, volume
II). Come si vede non si pu essere
innocenti in un mondo lacerato e
sottomesso al potere degli sfruttatori: parliamo e, anche semplicemente parlando, siamo gi da una
parte complici e dallaltra servi e sottomessi a quella macchinolatria che
governa non solo chi le macchine
fabbrica ma anche chi, attraverso la
loro diffusione, mira a rafforzare
una ideologia rozzamente progressista, non dialettica, che finisce per
irrobustire lideologia dominante.
E questa ideologia ha bisogno di potersi richiamare a un concetto in s
positivo di nuovo, privato di quel
carattere dialettico che porterebbe
a vedere come la modernizzazione
tenda oggi sempre meno a coniugarsi, al contrario di quanto invece
avvenuto nei momenti alti dellepoca moderna, con un tratto di
autentica emancipazione: si tratta
insomma di quella modernizzazione
senza modernit che sembra essere il
portato profondo del nostro tempo.
Uno sguardo correttamente dialettico deve riconoscere che le parole
sono un sedimento della cultura e dellideologia di un determinato momento storico e, allo stesso tempo,
ne sono uno dei motori. Prendiamo
una parola come esuberi, usata
sempre di pi, da qualche anno a
questa parte (dallavvio della stagione della concertazione), come
eufemismo al posto di licenziamenti. molto chiaro come linsistenza sulla parola esubero, tanto
sui grandi quotidiani come attraverso i telegiornali, derivi da un tentativo di edulcorare e di rendere
perci pi accettabile la drammaticit e la crudezza di un fatto cos
traumatico come quello del licenziamento di un lavoratore. Ed anche chiaro come il termine esubero tenda a stemperare e a spostare la responsabilit dellatto del
licenziamento: i licenziamenti dipendono infatti in modo pi chiaro

Settembre - Ottobre 2004

dalla volont del padrone, che appare come il soggetto che licenzia
qualcuno; il termine e s u b e ro r imanda al contrario a un fenomeno
(lesuberare di qualcosa) che non
dipende tanto dalla volont del datore di lavoro (termine anchesso
nientaffatto neutro e gravido di implicazioni ideologiche) ma che piuttosto questultimo si limita a registrare e quasi a subire. E se vero
che tutto ci presente nel termine
esubero, e che quindi quel termine registra in s un certo tipo di
cultura e di ideologia, altrettanto
giusto notare come il fatto stesso
che i mezzi di comunicazione di
massa (i grandi quotidiani, i periodici, la televisione) spingano surrettiziamente per lutilizzazione di
questa parola non sia affatto neutro.
Il suo impiego risulter infatti uno
degli strumenti pi efficaci (certo
non lunico, e forse neppure il pi
importante) per la penetrazione di
quellideologia complessa che chiamiamo neo-liberista, il cui peso
stato cos grande nella formazione
della cultura sociale e politica a partire dalla fine degli anni ottanta.
Apparir forse gi chiaro da questo
ragionamento come risulti del tutto
servile al potere dominante lidea,
che anche una ideologia, della televisione come strumento di progresso nella sua capacit di alfabet i z z a re gli italiani. Lineffabile De
Mauro, elogiando i grandi meriti
della televisione nel diffondere la
lingua, ha recentemente affermato:
la televisione, un mezzo rutilante,
seducente e a basso costo, ha portato informazione, spettacoli e
(guarda un po) conoscenze perfino scientifiche allintera popolazione. E lo ha fatto in italiano e litaliano ha fatto ascoltare dove mai aveva
r i s u o n a t o . A chi si fa portatore di
unidea del genere andrebbe opposta questa domanda: a quale tipo di
alfabetizzazione conforme la televisione? Le parole, lo abbiamo
detto, non sono neutre. Al contrario esse sono sempre il precipitato
di una ideologia e di una cultura e
allo stesso tempo ne sono un importante veicolo. Dipende dunque

Settembre - Ottobre 2004

da quale tipo di alfabetizzazione


in gioco. La televisione, oggi come
ieri, alfabetizzando in una certa direzione piuttosto che in unaltra
(oggi nella direzione dellesubero
piuttosto che del licenziamento,
del Slvador piuttosto che del
Salvadr, del peace-keeping piuttosto che della guerra; e chi pi
ne ha pi ne metta) diventa non
solo attraverso le parole naturalmente, ma anche attraverso di esse
il veicolo dellideologia e della cultura dominante: unideologia che
vuole, allo stesso tempo, e sapendo
bene che lun aspetto strettamente intrecciato allaltro, poter licenziare il pi facilmente possibile
(e dunque ecco gli esuberi), poter piegare la cultura al pensiero
unico e cio a ununiformazione
acritica (Slvador) e avere il pi
possibile mano libera per combattere in pace le proprie guerre.
Ma la complessit della questione
suggerisce a questo punto un ulteriore approfondimento. Se vero
infatti che il ricorso a una parola
piuttosto che a unaltra diventa il
veicolo di una determinata ideologia, per anche vero che non basterebbe certo concordare sullabolizione di un certo uso introdotto
nella lingua per far venire meno
leffetto ideologico di quel termine:
non basterebbe insomma concordare nellemendare dal nostro vocabolario una serie di parole, tutta
la terminologia della guerra per
esempio, per compiere di per s un
passo avanti nella lotta contro la
guerra. Le parole infatti (come pi
in generale il linguaggio) hanno la
duplice valenza di cui dicevamo, e
vanno sempre intese nella loro duplicit. Sono il veicolo di una determinata ideologia ma ne sono anche il sedimento. Dunque se pensassimo di eliminare un problema
(la guerra) emendando la lingua (i
termini guerreschi) commetteremmo lerrore di scambiare la superficie della cosa per la cosa stessa.
E, di conseguenza, cadremmo nellulteriore errore di pensare di poter controllare le parole e la loro utilizzazione semplicemente sul piano

La Cultura

individuale, come fosse, riduttivamente, una questione di scelte personali. Al contrario, la lingua, proprio in forza dellestrema complessit del meccanismo che ne regola
il funzionamento, , come fin
troppo ovvio che sia, un fatto sociale, che, per quel tanto che si fa
veicolo dellideologia dominante,
pu essere fronteggiato soltanto
cercando di comprenderne lautentico sedimento e significato sociale. Non si tratta insomma di purismo linguistico, almeno non certamente nel senso di far proprio un
ideale puristico della lingua che
tenda a renderla autonoma da influenze straniere, modernizzanti o
riflettenti fenomeni sociali nuovi:
tutto ci gi stato fatto dal fascismo, parte con successo (chauffeur
per autista, eccetera) e parte, assai pi grande, con clamoroso insuccesso (restaurant, ristoratore;
toilette, cesso, eccetera); e viene
oggi ripreso, almeno in via di ipotesi, da intellettuali asserviti allideologia dominante che si rifanno
a quella temperie storica. Si tratta al
contrario, dal nostro punto di vista,
di mettere in atto una sorvegliata capacit critica in grado di smontare
il meccanismo che lideologia utilizza per addormentare e, ci si passi
il termine, imbonire, le coscienze
proprio attraverso le parole.
Basterebbe pensare a quanto oggi
siano poco usati termini come socialismo, imperialismo, nazionalizzazione, eccetera per capire
ci che stiamo dicendo.
Fino a quando la societ non sar
cambiata nelle sua fondamenta,
nella sua struttura cio, saremo
sempre parlati dal linguaggio.
Dobbiamo esserne consapevoli: anzich parlare, ci troveremo come
ci troviamo difatti, che noi lo si sappia o meno parlati da un linguaggio che attraverso la diffusione e la
fortuna di certi termini piuttosto
che di altri, e attraverso il modo di
utilizzare certe parole piuttosto che
altre, tender a veicolare, e a rafforzare, lideologia e la cultura dominanti, che sono come sempre
quelli delle classi dominanti. Ma

non per questo dovremo rinunciare


ad opporci a quellideologia, dal
momento che struttura e sovrastruttura sono in rapporto dialettico e non deterministico. Il primo
passo dovr per coincidere con la
comprensione del meccanismo del
dominio. Dunque, nel nostro caso,
con la consapevolezza dellessere
parlati e con il conseguente tentativo di opporre resistenza a questa
forma surrettizia, ma efficacissima,
di diffusione dellideologia, sempre
per quanto sar possibile e non rinunciando mai alla lucidit della
consapevolezza. Senza facili volontarismi, e piuttosto con la coscienza
del fatto che si continuer a essere
parlati, dovremo dunque tentare di

E Marx ad averci insegnato


a fare dello sguardo lucido
sui meccanismi dellalienazione
la prima e indispensabile
forma di opposizione

parlare attraverso una sorvegliata e


il pi possibile attenta critica delle
parole. Muoversi con circospezione, e affinando continuamente la
propria consapevolezza critica: questo ci suggerisce il pensiero dialettico. Marx ad averci insegnato a
fare dello sguardo lucido sui meccanismi dellalienazione la prima e
indispensabile forma di opposizione a quegli stessi processi di alienazione: Lalienazione si mostra
tanto nel fatto che il mio mezzo di
sussistenza nelle mani di un altro,
e che il mio desiderio possesso
inaccessibile di a l t r i, quanto nel
fatto che ogni cosa altra da se

87

La Cultura

stessa, che la mia attivit altra, e


che insomma e ci vale anche per
il capitalista uninumana potenza
domina.
Ma il CD del Tommaseo-Bellini, da
cui abbiamo preso le mosse per questi appunti che non pretendono di
risultare una trattazione organica
dellargomento, rappresenta quella
che si potrebbe definire la punta
delliceberg di una tendenza editoriale che si sta sempre pi affermando in questi ultimi tempi e che
va incontro a quella maggiore attenzione alle parole di cui si detto.
Elencando, senza nessuna pretesa
di esaustivit e a titolo di esempio:
Guido Caldiron, Lessico postfascista.
Parole e politiche della destra al potere,
manifestolibri, 2003; Massimo
Castoldi e Ugo Salvi, Parole per ricordare. Dizionario della memoria collettiva, Zanichelli, 2003; Giovanni
Adamo e Valeria Della Valle, Neologismi quotidiani. Un dizionario a cavallo del millennio. 1998-2003,
Olschki, 2003; Paolo Fabbri, Segni
del tempo. Un lessico politicamente scorretto, Meltemi, 2004 (nuova edizione
del precedente volume del 2003); Il
linguaggio della societ. Piccolo lessico

88

di sociologia della contemporaneit, a


cura di Pierfranco Malizia, Franco
Angeli, 2004.
Non si tratta, per quasi tutti, di veri
e propri lessici ma di dizionari enciclopedici; eppure il fatto che si
senta il bisogno di organizzare il sapere per lemmi denuncia proprio
questa attenzione alle parole che
sotto i nostri occhi.
Segni confortanti di risveglio delle
coscienze in questi ultimi anni non
sono dati soltanto dai quattro milioni di voti in meno al centrodestra
nelle recenti elezioni amministrative, ma soprattutto c per certamente correlazione tra le due cose
dal fatto che i pi giovani, e non
soltanto loro, sembrano aprirsi in
modo nuovo ai problemi sociali
dopo i terribili, bui e sordi anni ottanta e novanta.
E lo fanno anche attraverso una
nuova attenzione alle parole, attenzione che denuncia, come peraltro
abbiamo gi detto, una presa di coscienza di essere parlati e un desiderio di autentica ribellione nei
confronti delle parole del potere.
Ribellione che ha origini molto antiche, ma che viene rilanciata con
forza nel novecento, quando il po-

Settembre - Ottobre 2004

tere della borghesia si fa pi manifestamente brutale: nel 1935, infatti, Gramsci scrive in un mirabile
passo dei Quaderni del carcere: Ogni
volta che affiora, in un modo o nellaltro, la quistione della lingua, significa che si sta imponendo una serie di altri problemi: la formazione
e lallargamento della classe dirigente, la necessit di stabilire rapporti pi intimi e sicuri tra i gruppi
dirigenti e la massa popolarenazionale, cio di riorganizzare legemonia culturale.
E dunque, per concludere, piuttosto evidente che quanto abbiamo
sin qui scritto riguarda strettamente
il problema dellegemonia di cui ci
siamo occupati nel numero precedente di questa rivista. L non cera
lo spazio per parlare di due problemi: questo che abbiamo qui schematicamente esposto, e cio limportanza della lingua per la costruzione dellegemonia, e quello, che
pretender unarticolazione maggiore, del problema della scuola,
che stava tanto a cuore a Gramsci,
letto attraverso una indagine critica
dei libri scolastici.
E sulla quistione bisogner pure,
prima o poi, tornare.

Settembre - Ottobre 2004

La Cultura

Il dibattito di questi ultimi tempi


sul rapporto tra movimento
e politica sembra
aver contribuito ad accelerare
un processo di revisione
della memoria

Musica
e rivoluzione

a cura di Gianni Lucini

DAVVERO I MOVIMENTI E LA MUSICA DEGLI ANNI SESSANTA SONO STATI


SOLTANTO UN GRANDE CIRCO CHE HA AGITO FUORI E CONTRO
LA POLITICA E IL CONFLITTO DI CLASSE?

on la prima volta che gli anni


Sessanta ci vengono raccontati con
parole improprie e concetti estranei, ma il dibattito di questi ultimi
tempi sul rapporto tra movimento e
politica sembra aver contribuito ad
accelerare un processo di revisione
della memoria. Come per altri e
forse pi importanti concetti e racconti, se si cede alla tentazione di
piegare alle ragioni di oggi la storia
di ieri, quel che ne esce alla fine
una marmellata buona solo per chi
daccordo con il cuoco. Film, ricostruzioni, episodi decontestualizzati, tutto concorre a formare un
quadro di riferimento pre-masticato, destinato a corrodere la memoria. Scomodare una parola importante come revisionismo mi
pare eccessivo, ma il processo lo
stesso.
Limmagine del mitico Sessantotto e degli anni che lo precedono
e lo seguono divenuta una cartolina molto colorata che parla di
scelte destinate a cambiare il costume soltanto perch si ponevano
fuori dalle ragioni della politica e
della lotta di classe. La storia che ci
raccontano prevede due sole caratterizzazioni dei protagonisti: o figli
dei fiori o una sorta di anarchici nichilisti prigionieri di unavventura
destinata a finire male. Il recente dibattito sulla non-violenza ha poi ag-

giunto unaltra pennellata al quadretto: il movimento di quegli anni


sottendeva la scelta della non-violenza come opzione primaria ed
stato proprio laffermarsi di opzioni
violente lelemento determinante
della sua sconfitta. Se sia vero o no,
non importa. Nella societ della comunicazione la memoria una variabile indipendente, la conoscenza
uninutile orpello e attorno al fal
mediatico vince chi sa recitare meglio il suo racconto. tempo di cominciare a smontare il meccanismo,
introducendo qualche elemento di
discontinuit nella narrazione,
qualche dubbio. La materia meriterebbe unanalisi ricca e approfondita, uno spazio che non si pu chiedere alle pagine di una rivista. Si
pu per cominciare a raccontare
unaltra storia, quella vera, e tentando, pezzo dopo pezzo, una sorta
di ricomposizione della memoria
stimolata dalla scoperta che quello
che ci stanno raccontando una favola per bambini. C molto da fare,
perch tante parole sono state disperse al vento e il pensiero unico
non ammette dubbi, ma per punti,
argomenti, questioni ed episodi
tempo di cominciare, magari andando proprio a guardare ci che
in genere, essendo lontano da noi,
pi facile da mistificare: la Gran
Bretagna e gli Stati Uniti.

G I O VA N I R I B E L L I I N G L E S I :

APOLITICI E NON VIOLENTI ?

Periodicamente qualcuno accende


i fari sui favolosi anni Sessanta
della cosiddetta ribellione generazionale inglese. Ecco allora che rispunta il mito della Swingin
London vista come una sorta di coreografico musical. A guardare i servizi televisivi e le cronache nostalgiche sembra quasi che la ribellione
dei giovani di Londra (e non solo di
Londra) avesse i seguenti obiettivi,
non nellordine: farsi crescere i capelli (i ragazzi), mettersi la minigonna (le ragazze e Mary Quant),
impasticcarsi un po con le anfetamine (i Mods), andare in moto (i
Rockers) o in scooter (i Mods) in attesa di comprarsi la Mini Minor, vestirsi con i colori della bandiera nazionale, fare lo struscio a Londra in
Carnaby Street (anche quelli di
Liverpool o Manchester?) e chiedere pi spazio per le chitarre elettriche in radio e televisione. Questo
sarebbe stato, in estrema sintesi, il
movimento capace di cambiare morale, costumi e di allargare la democrazia. Senza alcun senso del ridicolo, qualcuno fa di pi e lo indica come un passaggio emblematico che parla anche ai movimenti
di oggi. In pi c sempre qualcuno
che fa notare come quello britan89

La Cultura

nico degli anni Sessanta sia stato un


grande movimento di giovani cresciuto senza alcuna tentazione violenta e senza mettere in discussione
il sistema. Capito il senso? Peace and
love, fiori, minigonne e, magari, una
bella Mini Minor Ma era davvero
cos? No che non lo era. In realt, i
cosiddetti anni della Swingin London accompagnano la fine dellimpero britannico e sono ricchi di pulsioni, sensazioni e movimenti in cui
suoni neri del blues si mescolano
alla voglia di protagonismo delle
giovani generazioni. Grazie a un
nuovo protagonismo dei giovani
delle periferie industriali, la musica
si salda con le istanze di cambiamento sociale. lepoca in cui
Londra e, pi in generale, la Gran
Bretagna, rappresentano un punto
di riferimento importante per le
nuove generazioni dellEuropa intera. una vera e propria rivoluzione culturale quella che parte
dalle rive del Tamigi, che mescola
istanze anche radicali di mutamento nei rapporti sociali con una
creativit senza precedenti in campo musicale e artistico. In musica,
per esempio, parlare solo dei
Beatles rischia di cancellare una
straordinaria colonna sonora a pi
mani i cui suoni non portano soltanto la firma dei quattro ragazzi di
Liverpool, ma parlano di altre sigle:
Hollies, Freddie & The Dreamers,
Animals, Rockin Berries, Who,
Rolling Stones, Yardbirds, Kinks e
tanti altri. Parlano anche di club
come lo Studio 51 o il Marquee
dove un fenomeno underground
come la fratellanza del rhythm and
blues esce allo scoperto e spiega al
mondo che il razzismo unidiozia,
che i suoni bianchi e quelli neri possono contaminarsi, mescolarsi e
fondersi, come le culture. Tutto ci
avviene in un epoca in cui negli Stati
Uniti ancora esistono due classifiche discografiche: una per la musica
nera e una per il resto. Il vento del
cambiamento non si ferma soltanto
alla musica, ma investe tutta la produzione artistica. Il cinema racconta storie nuove come I giovani
arrabbiati di Tony Richardson, Billy

90

il bugiardo di John Schlesinger, Sabato sera, domenica mattina di Karel


Reisz, lo stesso regista cui si deve, nel
1966, Morgan, matto da legare, la storia del pittore rivoluzionario che finisce in manicomio a fare aiuole a
forma di falce e martello. Se dal
piano culturale ci si sposta su quello
dei movimenti sociali, la favola della
rivoluzione non-violenta e apolitica appare poi ridicola. La ribellione generazionale di quegli anni
deve fare i conti con la violenza fin
dallinizio. Il movimento percorso
da pulsioni accese che si sostanziano, soprattutto nei primi anni, in
due grandi bande giovanili: i Mods
e i Rockers. Nel 1964 a Clayton si
svolge uno dei pi accesi e violenti
confronti tra bande giovanili che la
storia ricordi. Gli scontri iniziano
nel primo pomeriggio del 28 marzo
e durano due giorni. La violenza si
scatena su due fronti: da un lato
Mods contro Rockers e dallaltro le
due bande insieme per liberare i
giovani fermati e rinchiusi nei cellulari. Il bilancio finale di un numero incalcolabile di feriti e di centinaia di fermati. Per quel che riguarda la politica, infine, un altro
mito. La partecipazione dei giovani
alle lotte sindacali e studentesche di
quel periodo talmente massiccia
che mette in discussione e scompiglia le stesse organizzazioni della sinistra tradizionale. Un esempio su
tutti , in campo studentesco, la nascita della RSA (Radical Student
Alliance), composta prevalentemente da giovani laburisti e comunisti che rompe con la pratica concertativa della National Union for
Students, il sindacato tradizionale
degli studenti, e apre un fronte di
contestazione contro laumento
delle tasse universitarie per gli stranieri e i tagli alle borse di studio. Fa
anche di pi. Per la prima volta,
pone la questione del salario garantito a chi studia. Come si vede la
ribellione generazionale britannica
non racconta soltanto di strusci in
Carnaby Street n di urletti al cielo
in onore dei Beatles. Capelli lunghi,
minigonne e musica beat non sono
certo un simbolo di disimpegno per

Settembre - Ottobre 2004

gli studenti della London School of


Economics che il 31 gennaio 1967 organizzano un meeting di protesta
contro la nomina del nuovo direttore Walter Adams, per il suo passato
come direttore dello University
College nella razzista Rhodesia. N
sono pacifici i tafferugli che nascono
quando le autorit accademiche
proibiscono ai contestatori laccesso
ai locali dellUniversit. Chiss se sognano davvero la Mini Minor i ragazzi delluniversit del Sussex che
costringono al silenzio il rappresentante dellambasciata americana venuto a parlare della guerra del
Vietnam? O quelli che nelluniversit dellEssex contestano il deputato
c o n s e rvatore Enoch Powell rivendicando il diritto di non far parlare
nelle sedi accademiche coloro che
sostengono posizioni colonialiste o
razziste? Gli stessi protagonisti del
rinnovamento musicale, poi, non vivono in un mondo dorato e separato,
ma partecipano in prima persona
alle mobilitazioni politiche. C anche Donovan tra i dimostranti che il
22 ottobre 1967 manifestano a sostegno della lotta del popolo vietnamita davanti allambasciata americana di Grosvenor Square e molti appartenenti a varie band partecipano
alla campagna contro il Centro di ricerche microbiologiche di Porton
Down, responsabile di fornire agli
americani gas mortali per laggressione al Vietnam.
Altri esempi? A Cambridge viene fischiato il discorso di Denis Healey,
segretario alla difesa mentre gli studenti dellUniversit di Leeds prendono a calci nel sedere Patrick Wall,
deputato di estrema destra sostenitore del regime razzista rhodesiano.
Episodi simili costellano e accompagnano tutto il periodo di quella
che viene chiamata ribellione generazionale britannica.
Raccontarli servirebbe, forse pi di
tante chiacchiere inutili, a capire
perch nascono canzoni come My
g e n e r a t i o n, R e v o l u t i o n, Universal soldier o Street fighting man. Se non lo
si fa perch si vuol far credere che
le abbia portate la cicogna o siano
nate sotto un cavolo.

Settembre - Ottobre 2004

La Cultura

IL SESSANTOTTO
A N T I M P E R I A L I S TA
E A N T I R A Z Z I S TA D E G L I

USA

Il salto di qualit del movimento


americano avviene il 18 maggio
1968 a Berkeley, in California,
quando migliaia di studenti occupa no il cam pus un iversitario.
Lobiettivo immediato delloccupazione quello di bloccare i procedimenti della magistratura contro 866 studenti che si sono rifiutati
di combattere in Vietnam. Per la
prima volta, le parole dordine del
movimento diventano un generalizzato atto daccusa contro limperialismo americano. Nello stesso
giorno anche gli studenti della
Columbia University di New York
occupano la loro universit per
protestare contro la requisizione
per pubblica utilit di un campo
giochi per i bambini di unarea abitata da famiglie afro-americane. I
due fatti sono emblematicamente
indicativi della saldatura tra lotte
antimperialiste e per la pace, diritti
civili e istanze di cambiamento sociale. La lotta degli studenti universitari americani non nasce,
per, nel Sessantotto, non si esaurisce l. In pi, non nasce per caso,
visto che i leader che guidano gli
scioperi degli studenti si sono formati allinizio del decennio oltre
che nel movimento di massa contro la guerra fredda e la minaccia
di distruzione nucleare anche nelle
rischiose a zioni dei Free dom
Riders contro il segregazionismo
negli Stati del Sud. Proprio lesperienza di questi ultimi dimostra
come la non-violenza non fosse
unopzione generalizzata e assunta
id eologicame nte. I Free dom
Riders, infatti, sono gruppi di studenti organizzati, bianchi e neri
che vanno negli Stati del Sud per
de-segregare materialmente i
luoghi pubblici con atti, anche punitivi, nei confronti dei razzisti. Le
loro azioni sono supportate da
unaccurata preparazione e prevedono vari livelli di resistenza, non
tutti pacifici e non-violenti. Il
primo punto di svolta del movi-

mento universitario era avvenuto


nel 1964. Due avvenimenti lavevano segnano. Uno era linizio delle scalation sta tunitense in
Indocina dove lappoggio dato da
Kennedy al governo fantoccio del
Vietnam del Sud contro i comunisti del Nord iniziava a tramutarsi
in aperto impegno bellico. Laltro
era la rivolta di Harlem che dava
inizio a una lunga serie di rivolte
dei ghetti neri, spesso represse nel
sangue. La mobilitazione contro la
guerra nel Vietnam ricca anche
di momenti di azione diretta, come
la cacciata dalle universit degli addetti al reclutamento e dei politici
in visita mentre dalle azioni di solidariet con la rivolta dei ghetti nascono i nuovi quadri dirigenti dei
movimenti radicali neri. un processo destinato a proseguire negli
anni successivi, fino a raggiungere
la fase di massima espansione nel
1970, dopo linvasione della
Cambogia e luccisione da parte
della Guardia Nazionale di quattro
studenti nella Kent State University
dellOhio. Questo fatto ispirer a
Neil Young la canzone Ohio, che diventer un singolo di successo nellinterpretazione di Crosby, Stills,
Nash & Young. In quegli anni c
anche chi tenta di saldare il movimento studentesco con la classe
operaia. Lesperienza pi interessante si sviluppa nella citt industriale di Detroit.
Qui le lotte degli antimperialiste
dei campus tentano di aprire uninterlocuzione con pezzi di classe
operaia e di proletariato urbano
bianco e nero. In questo laboratorio nasce il White Panthers Party,
unorganizzazione politica destrema sinistra che si definisce
apertamente guevariana. Uno
dei suoi dirigenti, John Sinclair, intuisce che il rock il mezzo di comunicazione pi immediato per
parlare alle nuove generazioni e affida il compito di diffondere il messaggio politico del movimento agli
MC5 (Motor City Five), una band
formata da Rob Ty n e r, Michael
Davis, Dennis Thompson, Fred
Sonic Smith e Wayne Kramer.

Sulle ali di un rock violentissimo i


cinque portano in tutti gli Stati
Uniti il messaggio antagonista
delle pantere bianche e allinizio
del 1969 la Elektra pubblica il loro
primo, splendido album, Kick out
the jams, registrato dal vivo a Detroit
il 31 ottobre 1968. Allapice della
popolarit, diffondono idee di rivolta e fanno a pezzi sul palco la
bandiera a stelle e strisce. La reazione non si fa per attendere.
Contro il gruppo parte una campagna di stampa senza paragoni,
mentre lFBI mette sotto stretto
controllo i cinqu e musicisti.
Vengono diffuse foto che li riprendono in atteggiamenti intimi con le
loro compagne, si raccolgono petizioni e, sopra ttutto, si chiede
allElektra di ritirare dal mercato
lalbum, ritenuto indecente ed offensivo. La casa discografica per
qualche tempo tiene duro, anche
perch il disco vende bene, ma
poi costretta a cedere alle pressioni
e il 16 aprile 1969 licenzia il gruppo
e ritira lalbum. la fine. Mentre il
White Panthers Party bersagliato
da pi parti, la polizia trova addosso a John Sinclair due sigarette
di marijuana che gli costano una
condanna a ben cinque anni di carcere. Due anni dopo John Lennon
scriver sulla vicenda il brano J o h n
Sinclair.
Nel 1970 gli MC5, tentano invano
di continuare ammorbidendo i
toni con un paio di album di scarso
significato.
Di loro non si parler pi fino al 17
settembre 1991, quando lex cantante Rob Tyner muore dinfarto a
Detroit e un gran gruppo di vecchi
militanti delle Pantere Bianche vince la paura di mostrare in pubblico
la propria appartenenza, indossa le
magliette con il simbolo dellantico
movimento e lo accompagna nellultimo viaggio.
solo una storia delle tante che si
potrebbero raccontare di un Paese
che ha vissuto momenti di grande
mobilitazione e anche una selvaggia e scientifica repressione.
Bisognerebbe raccontarne altre,
ma non lo scopo di queste righe.

91

Settembre - Ottobre 2004

Recensioni

Il dibattito su violenza - non violenza,


sulle foibe e la resistenza,
pi in generale investe
quelli che sono considerati
come i peccati originari
del comunismo

Non violenza
e rinuncia
al progetto
rivoluzionario

di Stefano Chiarini
redazione de il Manifesto

UNA LETTURA DEL LIBRO IL POTERE, LA VIOLENZA, LA RESISTENZA,


CHE RACCOGLIE GLI INTERVENTI DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DA
LERNESTO IL 26 E 27 MARZO SCORSI A MILANO

n una delle fasi pi drammatiche


della storia, sulla quale pesa come
un macigno la minaccia della
guerra permanente e preventiva
ai popoli arabi e islamici e, pi in generale, a tutti quei paesi e societ dalla Cina, allEuropa allintero
terzo mondo, che potrebbero in futuro non accettare pi di continuare
a finanziare lenorme deficit Usa - il
libro edito in queste settimane da
lernesto su Il potere, la violenza, la
resistenza, costituisce un utile strumento per chiunque intenda opporsi alla progressiva resa alle idee
dominanti che caratterizza tanta
parte della sinistra italiana di fronte
alloffensiva militare, economica,
politica e culturale dellimperialismo e delle classi dominanti.
Il libro raccolta di interventi dellomonimo convegno a pi voci tenutosi a Milano lo scorso marzo alla
Casa della Cultura, parte, e non poteva essere altrimenti, dal dibattito
interno al Prc aperto dal segretario
Bertinotti con lassunzione della
non violenza a valore preminente
e con il rifiuto dellidea stessa della
presa del potere che, realizzandosi con le stesse armi impiegate
dalla classe dominante, farebbe assumere ai suoi antagonisti le stesse
caratteristiche di questultima.
In altri termini, ci che sembra in
gioco in questo dibattito appare essere innanzitutto lidentit del Prc :

92

in questo contesto si assume lidea


di un Movimento che, insieme alle
altre forze riformiste, senza tener
conto delle radici materiali ed economiche allorigine della guerra
permanente e del dominio imperialista, si dovrebbe limitare, allinterno di una dimensione eurocentrica, a correggere gli eccessi e le
storture del liberismo selvaggio. Ci
dovrebbe avvenire rispondendo
con uno stato danimo - simile ad
una spesso parziale e inesatta vulgata del pensiero cristiano - ai violenti, spesso terroristici, poteri del
mondo. In altri termini si tratterebbe di arrivare ad un cambiamento rivoluzionario della distribuzione del reddito a livello internazionale e nazionale con il consenso di coloro che gestiscono,
traendone enormi vantaggi, questo
sistema di guerra e di oppressione.
Il dibattito su violenza - non violenza, sulle foibe e la resistenza, pi
in generale investe quelli che sono
considerati come i peccati originari del comunismo: la possibilit
e spesso la necessit, in determinate
circostanze, delluso della forza e lidea stessa di una presa del potere
della maggioranza contro le minoranze che la sfruttano, al fine di liberare tutti gli uomini (anche i
membri di quella minoranza) dalla
schiavit dello sfruttamento e dellalienazione. Partendo da una di-

samina delle degenerazioni del potere sovietico - senza peraltro tenere


in dovuto conto il contesto di quella
storia e ci che la Rivoluzione
dOttobre e i partiti comunisti
hanno significato per la storia dellumanit - e attribuendole esclusivamente alla concezione stessa della
presa del potere, si rischia di arrivare alla liquidazione dellintera
storia comunista. Ci emerso in
molti interventi del convegno di
Milano, assai critici della furia
quasi iconoclasta con la quale
stato portato avanti questo dibattito, nonostante che non ci sia praticamente pi nessuno nel nostro
paese e tanto meno nel movimento,
a sostenere la presa del palazzo di
inverno o a rimettere in discussione la scelta a favore della lotta politica e il rifiuto della lotta armata. Di
qui limpressione, come ha sostenuto Valentino Parlato, ma non solo
lui, della strumentalit, oggi in
Italia, di questo dibattito sulla violenza non violenza, paragonato a
quello lanciato a suo tempo da Bettino Craxi su Proudhon. Quasi che
si volesse, come allora, respingere
lintera tradizione comunista in un
momento di sconfitta delle nostre
ipotesi paragonabile a quello della
Restaurazione, nellambito di un
processo non di resistenza ma piuttosto di adattamento ai tempi che
corrono. Altri interventi hanno

Settembre - Ottobre 2004

contestato lidea stessa che la degenerazione avvenuta in Unione


Sovietica fosse un approdo gi tutto
scritto nella Rivoluzione dOttobre
(senza la quale forse avremmo ancora la Zar), nel leninismo e persino
nel pensiero di Gramsci e nella storia del comunismo italiano. Per
Lucio Magri i comunisti non hanno
mai messo al margine il tema della
pace, ma al contrario sono nati proprio contro i crediti di guerra,
hanno sempre rifiutato lidea di
esportare con gli eserciti il loro modello sociale e, soprattutto in Italia,
non sono mai vissuti nellattesa dell
ora x ma al contrario nella ricerca
del consenso, nella costruzione di
unegemonia, nella conquista delle
casematte gramsciane, nel sostegno a tutti i movimenti per la pace.
In secondo luogo molti interventi
hanno ribadito la necessit di non
astrarre la questione della non-violenza dal lungo processo storico
che, contraddittoriamente e lentamente, l ha resa perseguibile n dai
contesti in cui si colloca e che la qualificano. Si tratta in particolare degli stati nazionali, che hanno si fatto
molte guerre ma allo stesso tempo
hanno cominciato a regolare la violenza con il diritto; la nascita delle
costituzioni che limitarono larbitrio dellassolutismo; la lenta conquista del suffragio universale e infine lopera di partiti, sindacati movimenti. Elementi sui quali sono
nati e si sono potuti sviluppare il movimento operaio e democratico che
hanno pagato, per arrivare alla democrazia, un gran tributo di sangue, sofferenze durissime, lotte anche violente quando non stata lasciata loro alcunaltra possibilit. In
altri termini il problema violenza
non violenza non potrebbe essere
affrontato in termini puramente
etici senza individuare soluzioni,
forze, alleanze relative ad una precisa situazione concreta nella quale
agire. Senza tener conto quindi
della dimensione politica. La giusta
critica alle degenerazioni della politica non dovrebbero indurci nellerrore di pensare che la politica come organizzazione permanente,

Recensioni

pensiero coerente e progetto consapevole - sia ormai inutile, cos


come le teorie su una presunta crisi
degli stati nazionali rischiano di
non farci vedere la realt della continua esistenza, e centralit, dello
Stato e dei suoi poteri per nulla marginali. In altri termini lerrore starebbe proprio nellidea che il dominio di classe si regga solamente
sul mercato e quindi che si possa
cambiare la societ solo dal basso attraverso la spontaneit di un movimento reticolare. Al contrario,
hanno ribadito molti interventi, gli
Stati pesano ancora e anzi i pi forti
tendono a rafforzare la loro supremazia a livello internazionale e a ridurre continuamente gli spazi di libert al loro interno e al di fuori dei
loro confini. Daltra parte lesperienza dimostra limpossibilit di
cambiare la societ senza incidere
sulle scelte dello Stato e questo non
possibile senza una forza e un progetto adeguati dal momento che la
societ porta con se nel bene e nel
male il meglio e il peggio del sistema
che la costituisce. Anche se non si
tratta pi di prendere il palazzo
dinverno, sulla scorta di quanto sostenuto dallo stesso Gramsci, non
comunque possibile rimuovere il
problema del potere. Legemonia ,
infatti, consenso ma anche forza,
nellambito di un processo che trasformi il primo in partecipazione
diffusa e permanente limitando il
pi possibile la forza (in senso lato)
in vista di una comunque inevitabile
rottura del sistema. Del resto - come
sostiene Giorgio Bocca nel suo intervento - non possibile condannare in assoluto luso della forza dal
momento che, da quando esiste, la
lotta per il potere sempre stata caratterizzata dalla violenza e anzi
senza di essa i padroni delle ferriere
avrebbero continuato a governare
per millenni senza alcuna contraddizione. Se chi detiene il potere detiene anche il monopolio della
forza -sostiene Bocca- com possibile cambiare il sistema senza usare
la forza? Per poi aggiungere di considerare un grave errore il condannare ed escludere, in linea di

principio, la violenza come lotta e


mezzo di difesa dei popoli.
E a tale riguardo, nel discrimine tra
riformismo, antagonismo e comunismo, sinserirebbe la grande questione del partito, strumento giudicato da molti intervenuti come essenziale, oggi, in una societ cos
complessa e frammentata, ancor
pi di ieri e della necessit che questo non si riduca a mero supporto
dei movimenti da una parte e a semplice rappresentanza parlamentare
dallaltra. La questione dellintellettuale collettivo portatore di una
rivoluzione culturale e morale nella
societ e nello stato, contestazione
pratica della divisione tra governati
e governati. Del resto limportanza
del potere e dello stato - hanno ricordato molti, da Piero Bernocchi a
Gianluigi Pegolo - verrebbe in qualche modo confermata proprio dalla
decisione della direzione del Prc di
prendere parte ad uno schieramento di centro sinistra essenziale
per cacciare Berlusconi dal palazzo, non dinverno ma sempre
palazzo, e soprattutto dalla determinazione ad assumere il controllo
delle leve decisionali entrando direttamente nel governo.
Se tra le motivazioni di fondo del
nuovo processo messo in moto da
Bertinotti vi anche quella della ricerca del consenso, non solo presso
i partiti del centro sinistra ma soprattutto in nuove aree sociali e politiche, non c dubbio che in esso
abbiano pesato non poco la sempre
pi drammatica realt internazionale e il tentativo di smarcarsi dalla
necessit di prendere chiaramente
posizione sulla realt dellimperialismo americano e dalla politica bellicista dello stato di Israele. Eppure,
contrariamente alla tesi sostenuta
da Bertinotti, - come ha ricordato
nel suo intervento Gian Luigi Pegolo - tutto si pu sostenere tranne che
ci si trovi in un mondo pacificato dal
momento che la guerra preventiva
in realt ha le sue motivazioni nella
volont Usa di continuare ad imporre il proprio dominio sullinsieme del pianeta e costringere
lorbe terracqueo a pagare i debiti

93

Recensioni

degli Stati Uniti affinch questi possano mantenere il loro gigantesco


complesso militare industriale e i livelli di reddito delle fasce dominanti e non solo di queste.
Rimuovendo le radici economiche
alla base dellimperialismo Usa e
della guerra preventiva, le nuove
posizioni espresse da Bertinotti,
unendosi a quelle di alcuni settori
del movimento no global secondo
le quali in un mondo internazionalizzato, caratterizzato dalla evanescenza degli stati e dallirrilevanza
delle contraddizioni interimperialistiche, lunica vera prospettiva
quella della crescita di un movimento non violento a livello sociale, finiscono per non vedere e per
negare qualsiasi rilevanza al ruolo
che nei paesi aggrediti, dallIraq alla
Palestina, possono giocare, pur
nella asimetria del conflitto, movimenti di resistenza popolare alloccupazione e allimperialismo Usa. Il
passo successivo quello di presentare qualsiasi resistenza armata o
come forme di terrorismo o comunque come azioni senza alcun effetto positivo, vista la sproporzione
delle forze, e anzi, in prospettiva, destinate a produrre effetti perversi.
Qui, scesi dal campo della teoria a
quello della drammatica realt,
carne e sangue di migliaia di uomini
schiacciati dalla guerra, il dissenso
nel convegno e fuori rispetto alle
tesi del segretario del Prc si rivelato profondo; un dissenso che potrebbe acuirsi vista la possibile partecipazione del partito ad un governo che si trover a gestire una
delle fasi pi drammatiche ed acute
della guerra preventiva, quella della
balcanizzazione dellintero Medioriente sotto i colpi dellimperialismo americano e della Nato e della
politica di guerra dello stato di Israele, nonch di una nuova cacciata dei
palestinesi dalle loro terre con lannessione definitiva dei territori occupati da parte di Israele.
Da questo punto di vista si pu affermare che, ancora una volta, la
cartina di tornasole tra una politica
di reale cambiamento, comunista
nella sua capacit di non perdere di

94

vista i dannati della terra, la carne


da cannone del capitale e del colonialismo, e una politica che tende
a tirare i remi in barca cercando una
nicchia nella quale continuare a vivere con il beneplacito delle forze
dominanti, proprio la questione
palestinese. Ed in particolare il diritto dei palestinesi a resistere nelle
forme possibili, anche con le armi,
alloccupazione israeliana. Triste
necessit, quella di resistere in qualsiasi forma, che nel silenzio del
mondo e nella sua non volont di
esercitare alcuna pressione su
Israele di natura politica, economica e commerciale, comera stato
fatto con il Sudafrica dellapartheid, la resistenza ha comunque
avuto il merito di porre agli occhi
del mondo e, di fronte alla repressione brutale di qualsiasi altra forma
di protesta pacifica, di tenere aperto
il problema, di evitare che il politicidio dei palestinesi, il loro annientamento politico e sociale, arrivasse
alle sue estreme conseguenze nel
disinteresse internazionale. Senza
contare il fatto che fu proprio la resistenza a costringere Israele a ritirarsi dal Libano meridionale nel
2000 dopo 22 anni di occupazione,
che la resistenza , per ammissione
stessa dei generali israeliani, uno
degli elementi che consigliano ad
Israele di lasciare gran parte della
striscia di Gaza e che in Iraq stata
ancora la resistenza che ha fatto saltare sino ad oggi tutti i piani americani di controllo del paese e una sua
estensione della guerra agli altri
paese arabi da balcanizzare e ridurre a brandelli a cominciare dalla
Siria. Non solo. Senza la resistenza
irachena la campagna elettorale
Usa non avrebbe avuto storia e per
Bush, Blair, Aznar e Berlusconi sarebbe stato facile convincere le proprie opinion pubbliche della infallibilit delle loro ricette di guerra e
distruzione. Senza contare che,
come ha ricordato Andrea Catone,
il movimento operaio e quelli di resistenza nella maggior parte dei casi
non hanno certo potuto scegliere
quali mezzi usare per arrivare alla
democrazia e alla liberazione. Nel

Settembre - Ottobre 2004

tentativo di negare alcun ruolo positivo alla resistenza palestinese e a


quella irachena, nel suo intervento
Rina Gagliardi finisce praticamente
per ridurre la resistenza palestinese
al solo fenomeno dei kamikaze,
senza interrogarsi da quale abisso di
disperazione provenga tale fenomeno, sul fatto che sia esploso dopo
e non prima il crollo del processo di
pace e che in ogni caso questa drammatica forma di lotta sia stata rimessa in discussione dalla resistenza
stessa. Rina Gagliardi finisce quindi
per chiedersi: C qualcuno che
possa sostenere che il popolo palestinese possa uscire vittorioso dalla
tragedia attuale?. Un interrogativo
che pu si darci un alibi per disinteressarci di questo problema ma
che non offre certo alcuna prospettiva alternativa, al di l della resa,
agli abitanti della West Bank e di
Gaza di fronte alla bestialit delloccupazione. Un altro mondo in
Palestina e in Iraq sar anche possibile ma non certo prima che se ne
siano andate via le truppe di occupazione lasciando ai palestinesi e
agli iracheni la possibilit di autodeterminarsi nel loro paese. Nostro
compito , ovviamente, di sostenere
le forze a noi pi vicine ma questo
non pu comportare anatemi o condanne nei confronti di una resistenza come quella irachena, perch non condividiamo la filosofia e
gli obiettivi di alcuni suoi spezzoni
minoritari. Altrimenti gli unici nemici in Iraq finiscono per essere
non le truppe di occupazione e i collaborazionisti locali ma i gruppi
della resistenza che si ispirano ad
ipotesi di natura islamista. Del resto,
i neocons Usa sono arrivati alla distruzione creativa del Medioriente
e alla guerra imperiale da posizioni
di estrema sinistra, poi divenute
apertamente anticomuniste e infine apertamente imperiali. Con
locchio sempre rivolto alla realizzazione della grande Israele.
Il libro de lernesto affronta poi una
delle pi discutibili questioni ( per
usare un eufemismo) intorno alle
quali sia mai ruotato il dibattito allinterno del Prc: la presunta spi-

Settembre - Ottobre 2004

rale guerra-terrorismo. Su questo


punto si soffermato lesponente de
l e rn e s t o, Claudio Grassi, il quale
dopo aver pronunciato una chiara
condanna del fenomeno terroristico (tra laltro introdotto in
Palestina negli anni trenta dal movimento sionista, circa 53 anni prima
di Hamas), ha sostenuto che la
guerra non causata dal terrorismo
ma casomai dal neoliberismo e dalle
esigenze delleconomia Usa nel quadro seguito alla scomparsa dellUnione Sovietica. Le guerre degli ultimi anni, sostiene Grassi, sarebbero
connesse ai nuovi equilibri mondiali
dopo il crollo dellUrss, alla crisi economica americana, allemergere di
potenze regionali come la Cina o di
poli come lEuropa che potrebbero
mettere in discussione il dominio
Usa sul mondo. Da qui e non certo
dallundici settembre - copertura e
accelerazione di fenomeni gi in
atto - verrebbero i nuovi venti di
guerra che, lungi dallessere la continuazione della politica con altri
mezzi, sempre pi spesso divenuta
la politica o per meglio dire la negazione della politica a livello internazionale.
Per Mario Tronti il concetto di guerra infinita altro non sarebbe che la
prassi politica del capitalismo moderno, vero e proprio sistema del
disordine che imporrebbe il suo ordine politico con la cattura del consenso attraverso le istituzioni liberaldemocratiche quando pu e
quando ci non possibile con il comando assoluto come stato nel
tempo dei totalitarismi e come in
molte situazioni di confine. Da qui
deriverebbe la violenza che in ogni
caso, come sostiene Rossana Rossanda, non solo guerra ma anche
sfruttamento del lavoro, precarizzazione della vita, alienazione della
persona, discriminazioni di razza,
disparit di opportunit, subordinazione di genere. Una violenza diffusa, stabilizzata e aggravata dal capitalismo mondializzato. Il rapporto di capitale poggerebbe, secondo Tronti, su una societ divisa
su inconciliabili interessi di parte
che non possono che essere in con-

Recensioni

flitto. In questo ambito come si fa


a parlare di violenza e non violenza
a prescindere da questo contesto?.
Per Tronti il rischio conseguente
alle nuove teorizzazioni di Fausto
Bertinotti sarebbe in realt quello
che, invece di farsi eredi di tutta la
storia del movimento operaio per
poi superarla nella nostra azione
politica sulla base della situazione
attuale, si arrivi ad archiviare e demonizzare quella storia per tornare
allovile democratico progressista
dal quale con lopera di Marx prima e prima ancora con le lotte sulla

giornata lavorativa lesistenza proletaria era definitivamente uscita.


Fuori dal rapporto di capitale rimarrebbe solamente la gente mediaticamente integrata oppure la
moltitudine selvaggiamente in rivolta.
Da qui deriverebbe che il tema allordine del giorno non tanto lautocritica del movimento operaio, o
i dibattiti sulla violenza ma una
nuova critica del capitalismo contemporaneo e lanalisi, la ricerca, la
riorganizzazione delle forze che vi
si oppongono.

95

LETTERE ALLA REDAZIONE

UNO STRUMENTO PREZIOSO


PER LA BATTAGLIA POLITICA DEI COMUNISTI
Cari compagni de lernesto,
per esso, di consolidare un sedimento ma- nei movimenti, per la documentazione che
colgo loccasione del rinnovo del mio abbo- turo di riflessioni e proposte, funzionali al ci ha sostenuto e continua a sostenerci in nunamento personale per condividere con voi percorso della rifondazione del comunismo merose iniziative editoriali, non ultimo il
alcune considerazioni, intorno alle quali - di una moderna idea e pratica del comuni- dossier, recentemente pubblicato dalla casa
provare a riconoscere le motivazioni e le ra- smo - e della lotta rivoluzionaria per il socia- editrice La Citt del Sole con il titolo Da
gioni dellimportanza della nostra rivista (e lismo che ci vede tutti impegnati.
Bush a Bush, sulla dottrina imperialista
del sostegno ad essa) sia nellambito della Spero che possa, viceversa, essere gradita la dellAmministrazione repubblicana degli
dialettica interna a Rifondazione Comunista considerazione che intendo sottoporv i , Stati Uniti.
sia in quello pi vasto dellintera sinistra ita- circa limportanza ( non secondaria per chi Il fatto, per giunta, che la nostra rivista abbia
liana - politica, sindacale e di movimento - si dedica alle questioni della formazione e assurto al ruolo di materiale documentario,
cornice, questultima, vasta ed impegnativa, dellapprofondimento teorico ) che lerne- prezioso ed irrinunciabile, per gli Autori di
allinterno della quale lernesto ormai in- sto ha assunto e continua ad assumere, in- questo volume, che fanno capo ad un Centro
terlocutore forte, credibile ed apprezzato.
torno alla messa a fuoco di temi per la sco- di Documentazione indipendente, dedicato
Non vi sar sfuggita la novit di questo ab- larizzazione marxista di non pochi compa- alla memoria di una cara compagna scombonamento: pur essendo un compagno sto- gni, iscritti e simpatizzanti, per la dialettica parsa, Patrizia Gatto, ci conforta e ci imperico nella sua adesione alla rivista e ai suoi che intendiamo promuovere e sviluppare gna, ancora di pi, nella promozione e nelorientamenti culturali,
larricchimento de lerneideali e politici, inoltro solo
sto tanto nel suo sforzo ediadesso la richiesta di abbotoriale, quanto nel suo dinamento individuale. Non
namismo politico.
si tratta di pigrizia, bens del
A maggior ragione, visto
riconoscimento della fase
anche limpegno da semDa un po di tempo i nostri lettori ci scrivono pi frequentemente; lettere
nuova alla quale va incontro
pre profuso da tutti i comcome questa che pubblichiamo qui a fianco vanno moltiplicandosi; come
lernesto, chiamato obiettipagni in questo cimento,
questo compagno sono ormai tanti i giovani ( ma anche i quadri operai,
vamente, per il peso poliso bene che la rivista sapr
gli intellettuali ) che ci scrivono, da tutta Italia e dallestero.
tico e culturale raggiunto, a
offrire un contributo cruCi pongono questioni grandi, certamente pi grandi di noi, ma che ci apsvolgere un ruolo non seciale per definire i termini
passionano nello stesso modo di chi le evoca e ce le propone : lanalisi alta,
condario nel processo della
della sempre difficile batmarxista , n indulgente, n liquidatoria della storia del movimento comurifondazione comunista in
taglia dei comunisti, in
nista; la necessit di individuare e sostanziare di contenuti i temi centrali Italia. Smessa la fase in cui si
questo Paese e non solo,
teorici e politici - di un processo serio di rifondazione comunista ; il bisoera potuto incontrare la rianche attraverso la ormai
gno ormai urgente e primario di decifrare con pi precisi strumenti scienvista nel circuito dellabboprossima scadenza contifici e meno fenomenologia il contesto in cui operano qui e ora i conamento collettivo, e svigressuale del nostro
munisti : in altri termini unanalisi delle odierne contraddizioni capitalistiluppare intorno ad essa un
Partito, quando, nel libero
che ed imperialiste attraverso la quale dare corpo ad un partito comunista
approfondimento e una fordibattito, animato dalla
allaltezza dei tempi e dello scontro di classe, sia per irrobustirlo nella sua
mazione dei compagni e dei
pluralit delle reciproche
funzione centrale di lotta contro quello che oggi il pericolo pi grande
simpatizzanti su base di
posizioni, si potr avere
per i popoli - la spinta imperialista alla guerra che per attrezzarlo quale
gruppo, la necessit di somodo di rilanciare temi
soggetto atto alla riproposizione di un orizzonte socialista per questa nuova
stenere lo sforzo redazioquali linternazionalismo
fase storica.
nale ed editoriale mi conproletario, la battaglia anE questo il contributo di analisi che ci chiedono ormai tanti nostri lettori.
vince oggi della necessit di
timperialista, il sostegno a
E una richiesta difficile: nel contempo una sfida che vogliamo accettare,
una sottoscrizione indivitutte le forze di liberacerto consapevoli che come la crisi del movimento comunista si aperta su
duale. Con ci non intenzione, che, ai quattro anscala internazionale, cos solo su medesima scala potr risolversi, e chi pendendo, ovviamente, recegoli del pianeta, combatsasse differentemente rischierebbe di cadere in una sorta di provincialidere dalla dimensione militono la loro battaglia per
smo comunista o - forse peggio ancora - in una sorta di eurocomunismo
tante dellincontro colletun futuro migliore, pi lidi ritorno.
tivo, che intorno alla rivista
bero e pi giusto: dal moDunque, con le tante intelligenze che in questi anni ci sono state vicine e
possibile consolidare e sevimento no-global alle
con altre che ancora si avvicinano, possiamo tentare di organizzare meglio
dimentare, bens solleciforze di classe, dalle lotte di
un lavoro di scavo e ricerca, con lobiettivo di dare il nostro contributo ad
tando una partecipazione
Liberazione ai movimenti
un progetto di rifondazione comunista, obiettivo che il Partito in cui milipi immediata e diretta indi Resistenza, dalla Colomtiamo si era dato e che non vogliamo abbandonare.
torno ai temi, sempre stibia allIraq, dal Chiapas
Ci che vogliamo ricordare, a voi lettori e compagni, che abbiamo una
molanti e vivaci, che lernealla Palestina.
sola possibilit per poter proseguire e mettere a punto questo lavoro: il vosto, di volta in volta, proSpero che anche per voi ci
stro abbonamento. In questi anni il numero dei nostri abbonati molto crepone.
possa essere di gratificasciuto e ancora cresce, come crescono per, vertiginosamente, i costi per
Non sar nuova per voi la
zione e di sostegno, per un
la rivista, che vive, non avendo alcuna purch minima entrata, solo per il
mia riflessione intorno al valavoro che so essere duro e
fatto che giungono i vostri abbonamenti e per il fatto che nessuno, de lerlore del nostro progetto posovente poco illuminato
nesto, prende un euro.
litico-editoriale, alla sua cadai riflettori della pubbliTutto, care compagne e compagni, nelle vostre mani.
pacit di suscitare un dibatcit.
Solo il vostro abbonamento pu garantire la vita della rivista e il suo futuro.
tito teorico ed una riflesCon affetto e gratitudine,
Potete fare un altro piccolo sacrificio? Rinnovare labbonamento?
sione politica, che attiene
negli ideali del socialismo
Regalarne uno ad un compagno, ad uno studente, a un operaio, a un disdirettamente alla capacit
e della rivoluzione.
occupato? Conquistare un altro e nuovo abbonamento?
dei comunisti di sollecitare
E un piccolo, grande atto di militanza comunista che vi chiediamo.
e promuovere unegemonia
Gianmarco Pisa
Grazie, lernesto siete voi.
ideale tra le forze della siniResp. Regionale Esteri,
la redazione
stra e del movimento di queGiovani Comunisti
sto Paese, e alla necessit,
Campania

L E R N E S T O S I E T E V O I

MODALIT DI ABBONAMENTO A PAG.4

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