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INCONTRO DI STUDIO ORGANIZZATO DAL CONSIGLIO SUPERIORE DELLA

MAGISTRATURA- Nona Commissione- Tirocinio e Formazione professionale



LA NORMATIVA IN MATERIA DI STUPEFACENTI (corso condiviso con la formazione
decentrata)
Roma, 24-26 ottobre 2007

LA DISCIPLINA PREVISTA DALLA LEGGE 21 FEBBRAIO 2006 n. 49: LE NUOVE
FATTISPECIE PENALI

Relazione di Giuseppe AMATO, sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di
Roma- Direzione distrettuale antimafia


Introduzione.- Con il decreto legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla
legge 21 febbraio 2006 n. 49 cambiata la disciplina sanzionatoria penale e amministrativa delle
sostanze stupefacenti (v., rispettivamente, gli articoli 73 e 75 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309,
comparati ora, da un lato, con il nuovo articolo 73, e, dall'altro, con i nuovi articoli 75 e 75 bis).
In realt, la modifica, pur fortemente ridotta rispetto al contenuto del primigenio progetto
governativo, ha riguardato anche altri settori della disciplina.
Basti pensare al settore del recupero, dove con una scelta totalmente innovativa, viene configurata
una sostanziale parificazione delle strutture private a quelle pubbliche, attribuendosi alle prime
finanche la competenza a certificare lo stato di tossicodipendenza (con effetti giuridicamente
rilevanti, ad esempio, in materia di misure cautelari personali, di sospensione dell'esecuzione della
pena e di affidamento in prova: cfr., rispettivamente, gli articoli 89, 90 e segg. e 94 del dpr n.
309/90).
Basti pensare alle modifiche introdotte nella fase dell'esecuzione della pena detentiva nei confronti
del detenuto tossicodipendente, con un significativo ampliamento dell'ambito di operativit degli
istituti della sospensione dell'esecuzione della pena detentiva (articoli 90-93 del dpr n. 309/90) e
dell'affidamento in prova (articolo 94 del dpr n. 309/90), ispirate ad accentuarne l'utilizzo per
favorire e/o premiare il recupero e la riabilitazione.
Basti pensare, ancora, alle incisive modifiche che caratterizzano anche la disciplina dei poteri
investigativi attribuiti alla polizia giudiziaria: in particolare, con la previsione di una pi adeguata
e completa disciplina dell'"acquisto simulato" di sostanze stupefacenti (v. articolo 97 del dpr n.
309/90).
Qui, per corrispondere anche al tema della relazione, ci si vuole limitare alla ricostruzione delle
modifiche che hanno riguardato lintervenuta parificazione delle sostanze stupefacenti (tutte le
sostanze vietate sono inserite nella tabella I ed hanno eguale trattamemto sanzionatorio) e la
prevista normativizzazione dei parametri indiziari (articolo 73, comma 1 bis, lettera a), del dpr n.
309/90) utilizzabili per la dimostrazione della destinazione illecita della sostanza stupefacente in
presenza di condotte (acquisto, ricezione, importazione, esportazione, detenzione) ex se non
autoevidentemente dimostrative di tale destinazione. Una riflessione sar poi sviluppata a
proposito degli effetti del novum normativo sulla disciplina dellattenuante del fatto di lieve entit
(effetti della disciplina introdotta dalla coeva legge c.d. ex Cirielli e disciplina del lavoro di
pubblica utilit introdotta con larticolo 73, comma 5 bis, del dpr n. 309/90).



La modifica sulla disciplina sanzionatoria.- Come si accennato, la riforma introdotta nel 2006
ha toccato, principalmente ed incisivamente, la disciplina sanzionatoria penale e amministrativa
delle sostanze stupefacenti (v., rispettivamente, gli articoli 73 e 75 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309,
comparati ora, da un lato, con il nuovo articolo 73, e, dall'altro, con i nuovi articoli 75 e 75 bis).
Per cogliere appieno la portata e la finalit della riforma sarebbe necessario un adeguato
apprezzamento della disciplina finora vigente (che contenuta nel dpr n. 309 del 1990, nel testo,
peraltro, profondamente modificato a seguito degli esiti del referendum del 18/19 aprile 1993) e di
quella che l'ha preceduta (cfr. la legge 22 dicembre 1975 n. 685).
Per ovvie ragioni di sintesi, qui sufficiente un sintetico richiamo alla disciplina del 1990, come
originariamente costruita e come successivamente riformulata a seguito della consultazione
referendaria del 1993.

La disciplina del 1990.- Il sistema sanzionatorio dettagliato nel dpr n. 309/90, come si ricorder,
trovava il suo fondamento nel concetto di "dose media giornaliera" (individuata, per ogni sostanza,
con il decreto ministeriale n. 186/90) e nella modulazione della risposta sanzionatoria attraverso la
previsione di sanzioni amministrative (articoli 75 e 76) e di sanzioni penali (articolo 73).
Le condotte caratterizzate dalla destinazione a terzi della sostanza stupefacente avevano rilevanza
penale a prescindere dal quantitativo della sostanza (anche se inferiore alla dose media giornaliera).
Rilevanza penale avevano, altres, le condotte (importazione, acquisto, detenzione) pur non
destinate ex se a terzi, qualora il quantitativo fosse stato superiore alla dose media giornaliera.
Rilevanza amministrativa avevano, quindi, residualmente, solo le condotte di importazione,
acquisto e detenzione caratterizzate dall'uso personale e da un quantitativo non superiore alla dose
media giornaliera.
La risposta sanzionatoria amministrativa era diversificata: in prima battuta, vi erano le sanzioni
applicabili dal prefetto (articolo 75); in seconda battuta, erano previste sanzioni, sempre di natura
amministrativa, ma pi incisive, di competenza dell' autorit giudiziaria, irrogabili nei confronti dei
recidivi e di coloro che avessero trasgredito i provvedimenti prefettizi.
Ne derivava, in sintesi, un sistema sanzionatorio che presentava l' indubbio vantaggio della
certezza applicativa, proprio in quanto basato su un parametro rigorosamente oggettivo e facilmente
accertabile, quale quello della dose media giornaliera.
Il referendum del 18/19 aprile 1993 ha radicalmente cambiato la prospettiva applicativa, avendo
abrogato, per quanto interessa, vuoi il concetto giuridico di dose media giornaliera, vuoi,
integralmente, le sanzioni amministrative di competenza dell'autorit giudiziaria (articolo 76).
Ne derivata una indubbia incertezza nell'applicazione della disciplina sanzionatoria nei casi non
caratterizzati obiettivamente dalla destinazione a terzi della sostanza.
Ne derivato, inoltre, un sistema sanzionatorio amministrativo carente, per l'inidoneit delle solo
sanzioni prefettizie a contrastare le condotte recidivanti e pi gravi, e non in grado da funzionare
come indiretta pressione psicologica nei confronti del trasgressore per indurlo, proprio per evitare
l'applicazione delle sanzioni, a sottoporsi ad un programma terapeutico di riabilitazione e di
recupero.


Il funzionamento della disciplina degli stupefacenti dopo il referendum.- In sintesi, il sistema
normativo del 1990, dopo gli effetti abrogativi determinati dal referendum, ha finora funzionato
attraverso l'interpretazione della giurisprudenza e sulla base dei seguenti principi:
a) quello del divieto penalmente sanzionato di qualsivoglia attivit concernente gli stupefacenti non
volta all'uso personale, ma di cui si fosse positivamente dimostrata la destinazione delle sostanze a
terzi; e ci a prescindere dal quantitativo della sostanza stupefacente (articolo 73 del dpr n.
309/90);
b) quello del divieto amministrativamente sanzionato delle attivit di importazione, di acquisto e
comunque di detenzione di sostanze stupefacenti o psicotrope destinate all'uso esclusivamente
personale; per queste, a prescindere dal quantitativo della sostanza stupefacente e nel difetto di una
prova concreta della destinazione, anche solo parziale, della sostanza a terzi, trovava applicazione il
disposto dell'articolo 75 del dpr n. 309/90.
c) la previsione della sola competenza del prefetto nell'applicazione delle sanzioni amministrative
(articolo 75 del dpr n. 309/90), essendo stato eliminato l'originariamente previsto ulteriore
intervento da parte dell'autorit giudiziaria, diretto a colpire pi incisivamente il trasgressore
recidivo (articolo 76 dello stesso Dpr, abrogato in toto per effetto del referendum).

La destinazione della droga: natura giuridica e onere della prova.- Il sistema come sopra
costruito determinava che, per la configurabilit del delitto previsto e punito dall'articolo 73 del dpr
n. 309/90, occorreva la concreta dimostrazione della destinazione a terzi della sostanza
stupefacente, costituendo tale destinazione uno degli "elementi costitutivi" del reato de quo.
In una tale ottica, secondo l'opinione prevalente e preferibile, il relativo onere probatorio doveva
ritenersi posto a carico dell'accusa (in prima battuta, l'operatore di polizia, e, poi, il pubblico
ministero), non essendo l'interessato a dover giustificare la destinazione all'uso personale (tra le
altre, Cassazione, Sezione VI, 29 aprile 2003, Pezzella; Sezione VI, 2 novembre 2004, Sandri).
E, nella medesima ottica, l'interessato aveva, semmai, semplicemente l'onere di fornire elementi di
segno contrario rispetto all'impostazione accusatoria; quindi, elementi atti a dimostrare l'uso
personale e, comunque, ad escludere la finalit di spaccio.

Le conseguenze pratiche.- Ai fini della soddisfazione del menzionato onere probatorio in ordine
alla destinazione a terzi della droga, secondo la giurisprudenza assolutamente costante, occorreva
avere riguardo alle peculiari caratteristiche della fattispecie concreta, perch da queste potevano e
dovevano ricavarsi elementi indiziari utili ai fini della dimostrazione della finalit di spaccio.
Ovviamente un problema di concreta acquisizione della prova della destinazione a terzi si poteva
porre solo per le situazioni non caratterizzate da un accertamento in flagranza dell'attivit di
spaccio, giacch questo risolveva ab imis ogni problema probatorio e deponeva per la pacifica
applicabilit delle sanzioni penali di cui all'articolo 73 del dpr n. 309/90. In altri termini, la
flagranza dello spaccio costituiva circostanza fattuale ex se ampiamente satisfattiva del richiamato
onere probatorio, tale da potere fondare un giudizio positivo sulla sussistenza della responsabilit
penale.
Invece, per le condotte in cui mancava la flagranza dello spaccio l'onere posto a carico dell'accusa
di dimostrare che la sostanza non era detenuta per uso personale, ma per finalit di spaccio, doveva
essere assolto ricercando, nel caso concreto, elementi indiziari o probatori di supporto. In altri
termini, nel caso in cui difettava la sorpresa in flagranza, la valutazione prognostica della
destinazione della sostanza stupefacente allo spaccio doveva essere effettuata dal giudice tenendo
conto di tutte le circostanze soggettive ed oggettive del fatto incriminato.
Al riguardo, il pi importante elemento probatorio di cui si poteva disporre era quello
"quantitativo": la presenza di quantitativi esorbitanti di sostanza stupefacente dimostrava
esaustivamente, o poteva concorrere a dimostrare, che questa non era certamente destinata all'uso
personale esclusivo del detentore, ma, almeno in parte, era destinata anche a terzi: di tale che
risultava possibile contestare idoneamente l'articolo 73.
In presenza di una quantit di sostanza stupefacente non elevata, il referente quantitativo,
ovviamente, non poteva essere da solo idoneo a risolvere il problema della prova della destinazione
a terzi della sostanza stupefacente: in tale ipotesi, dovevano soccorrere "altri eventuali elementi
indiziari" ricavabili dalle specifiche modalit, oggettive e soggettive, della vicenda.
In primo luogo, erano utilizzabili parametri di riferimento di ordine "soggettivo", tra i quali
particolarmente significativi quelli basati sulla "qualit soggettiva del detentore" (tossicodipendente
o no) e sul "giudizio di compatibilit tra le condizioni economiche dello stesso e la detenzione
della droga". Per quanto concerne il primo, costituiva argomento probatoriamente importante la
circostanza che la droga fosse stata trovata nella disponibilit di un soggetto non dedito
all'assunzione della medesima, rappresentando tale dato fattuale un indizio decisivo per ritenerla
destinata allo spaccio. Per quanto concerne il secondo, l'assenza di una dimostrata attivit lavorativa
e, comunque, di una sicura fonte di reddito poteva indurre fondatamente a ritenere che la droga,
cio il commercio di essa, costituisse la fonte (principale, se non esclusiva) di reddito del detentore,
che proprio attraverso lo spaccio si procurava anche i mezzi di sussistenza.
Altri elementi indiziari, di natura stavolta "oggettiva", a supporto della destinazione della sostanza a
terzi potevano poi ricavarsi, per esempio: dalle "modalit di custodia" e dal "frazionamento in dosi"
della droga; dalle "modalit spazio-temporali del sequestro" della medesima; dal "ritrovamento di
sostanze stupefacenti di diversa natura"; dal "ritrovamento di notevoli quantitativi di sostanza da
taglio", ecc.


Le difficolt operative.- Il sistema finora vigente ha presentato alcune evidenti insufficienze.
L' eliminazione di un parametro oggettivo e predeterminato (la dose media giornaliera) e la
costruzione di un sistema in cui la prova della destinazione a terzi, in assenza di flagranza, andava
ricavata sulla base di elementi indiziari frutto di mera interpretazione giurisprudenziale hanno
determinato indiscutibili difficolt operative per le forze dell'ordine, le quali, nell'immediato,
dovevano scegliere se coltivare la strada amministrativa (segnalazione al prefetto) ovvero quella
penale (denuncia all'autorit giudiziaria; scelta tra la denuncia a piede libero e l'arresto in flagranza,
ecc.). Le stesse ragioni hanno favorito, anche nel prosieguo, il rischio di un ingiustificato margine
di eccessiva discrezionalit in capo all'autorit giudiziaria chiamata a pronunciarsi sulla vicenda: da
cui le non infrequenti polemiche indotte da sentenze di assoluzione argomentate sulla base di un
preteso uso personale e ci pur in ipotesi di detenzione di quantitativi di droga anche di una certa
consistenza.
L'eliminazione delle sanzioni di cui all'articolo 76 del dpr n. 309/90, inoltre, ha fatto s che il
sistema risultasse, sul versante sanzionatorio amministrativo, monco ed insufficiente, soprattutto
in un'ottica preventiva: venuta meno, infatti, la rappresentazione di uno strumentario
sanzionatorio realmente idoneo a determinare il trasgressore, proprio per evitarne l'applicazione, a
seguire un programma terapeutico di riabilitazione e di recupero.
E' per colmare queste lacune che si spiega l'intervento normativo del 2006, che ha operato sia sul
versante dellillecito penale, che su quello della risposta sanzionatoria amministrativa.


Il nuovo sistema sanzionatorio.- Il sistema stato ancora una volta costruito affiancando alle
sanzioni penali (articolo 73) quelle amministrative (articoli 75 e 75 bis).
Rispetto alle prime, come vedremo, ci si mossi con l'intenzione di conferire alle forze
dell'ordine, in prima battuta, ed all'autorit giudiziaria, poi, uno spazio di intervento pi oggettivo e
sicuro, diverso da quello ampiamente discrezionale che ha caratterizzato l'applicazione del dpr n.
309/90 dopo le modifiche referendarie.
In questa prospettiva, si operato attraverso l'introduzione all'interno della norma dei criteri
"indiziari" che, finora, solo attraverso l'interpretazione della giurisprudenza, sono stati utilizzati per
fondare probatoriamente la dimostrazione della destinazione della sostanza ad un uso diverso da
quello personale (cfr. articolo 73, comma 1 bis, lettera a)).
Il sistema amministrativo, invece, stato costruito, con la duplice intenzione, da un lato, di
rafforzare lo strumentario sanzionatorio, nella prospettiva di creare un meccanismo pi efficace
anche in chiave di recupero del tossicodipendente (sub specie, dell' indiretta pressione psicologica
nei confronti del trasgressore per indurlo all'accettazione del programma terapeutico di
riabilitazione e di recupero), e, dall'altro, di sanzionare efficacemente le condotte oggettivamente o
soggettivamente pi pericolose per la sicurezza pubblica (cfr. il "nuovo" articolo 75 bis).
Solo le sanzioni penali saranno oggetto di disamina in questa sede; del tutto ultroneo rispetto al
tema della relazione sarebbe laffrontare anche la disciplina delle sanioni amministrative.


L'assimilazione delle "droghe leggere" a quelle "pesanti".- Prima di esaminare il concreto
funzionamento del progettato sistema sanzionatorio penale, va segnalata un' importante modifica
che caratterizza le tabelle delle sostanze e il conseguente trattamento sanzionatorio delle stesse.
Fino alla riforma del 2006, come noto, le sostanze soggette a controllo erano state ripartite in sei
tabelle, approvate con il decreto ministeriale 23 agosto 1977, e successivamente, pi volte,
modificate ed integrate (cfr. il testo previgente degli articoli 13 e 14 del dpr n. 309/90).
Nelle tabelle I e III, erano state ricomprese le droghe pesanti, cio quelle in grado di produrre
effetti sul sistema nervoso centrale e di determinare dipendenza fisica o psichica nellassuntore: tra
queste, loppio e i suoi derivati; le foglie di coca e i suoi alcaloidi; le anfetamine ad azione eccitante
sul sistema nervoso (tra le quali lecstasy o MDMA); il tetraidrocannabinolo (che il principio
attivo dellhashish) e i suoi analoghi; i barbiturici ad alto effetto ipnotico e sedativo.
Nelle tabelle II e IV, erano state elencate, invece, le droghe leggere, per le quali i pericoli di
induzione di dipendenza fisica e psichica sono di intensit e gravit minori di quelli prodotti dalle
sostanze elencate nelle tabelle I e III: tra queste, la cannabis indica e i suoi derivati (hashish,
marijuana) e i prodotti di corrente impiego terapeutico che, presentando nella loro composizione
talune delle sostanze indicate nelle tabelle I e III, potevano presentare problemi di dipendenza.
Nelle tabelle V e VI, infine, erano stati inseriti dei prodotti usati con finalit terapeutica, i quali, per
il fatto di contenere talune delle sostanze di cui alle precedenti tabelle, potevano dare luogo al
pericolo di abuso ed alla possibilit di dipendenza e che, comunque, era opportuno sottoporre a
controllo da parte dellautorit: tra questi, gli ansiolitici, gli antidepressivi e gli psicostimolanti.
Con la riforma del 2006, in vero, con un notevole mutamento di prospettiva, scompare la
differenziazione tra "droghe pesanti" e "droghe leggere", le quali, quindi, sono parificate sono il
profilo sanzionatorio (cfr. i "nuovi" articoli 13 e 14 del dpr n. 309/90).
Tutte le sostanze vietate (che non trovano nessun impiego terapeutico e che, quindi, non possono
essere prescritte) sono ricomprese in un'unica tabella (tabella I): nella stessa tabella, per intenderci,
sono collocati indifferenziatamente l'oppio, le foglie di coca, la cannabis indica e le amfetamine.
In un'altra tabella (tabella II, suddivisa in cinque differenti sezioni: numerate dalla A alla E) sono
invece inseriti i medicinali regolarmente registrati in Italia contenenti sostanze stupefacenti o
psicotrope e che, come tali, pur avendo propriet curative, possono diventare oggetto d'abuso. Tra
questi, in particolare, sono ricompresi (sezione A della tabella II) i medicinali impiegati nella
cosiddetta "terapia del dolore" (allegato III bis al dpr n. 309/90) ed altre sostanze che spesso sono
impiegate come sostanze di abuso, potendo per l'effetto indurre una dipendenza fisica e psichica
sostanzialmente paragonabile a quella delle sostanze vietate di cui alla tabella I. Per questi
medicinali, come vedremo, prevista una sostanziale assimilazione alle sostanze vietate di cui alla
tabella I, nel senso dell'assoggettabilit a sanzione penale, anzich a mera sanzione amministrativa,
anche della mera condotta di detenzione in assenza della prescrizione medica o in quantitativo
superiore a quello prescritto (cfr. articolo 73, comma 1 bis, lettera b), del dpr n. 309/90).
L'assimilazione tra "droghe pesanti" e "droghe leggere" stata motivata, nella relazione di
accompagnamento al progetto di legge governativo, dall'esigenza di aderire alle "pi recenti ed
accreditate conclusioni della scienza tossicologica" secondo cui il principio attivo presente in alcune
sostanze stupefacenti "incomparabilmente" maggiore che in passato: ci stato apprezzato
soprattutto con riguardo alla cannabis, rispetto alla quale, normalmente a motivo di diversificate
modalit di coltivazione, il principio attivo (tetraidrocannabinolo o THC) passato dallo 0,5/1,5 per
cento che caratterizzava i derivati della cannabis negli anni 70/80 a valori attuali pari al 20/25 per
cento, con punte anche superiori.
Tale assimilazione frutto di una scelta discrezionale del legislatore basata sull'adesione ad una
determinata opinione scientifica, cui ovviamente pu opporsi, in sede di analisi e di commento,
l'opinione opposta basata sulla non assimilabilit delle sostanze sotto il profilo della gravit degli
effetti che queste sono in grado di determinare.
Entrambe le opinioni non presentano, ovviamente, carattere risolutivo per smentire la fondatezza
di quella opposta, onde ogni approfondimento in questa sede sarebbe del tutto sterile.
Piuttosto, preso atto della scelta fatta propria dal legislatore, va considerato che per compensare
l'oggettivo aggravamento del trattamento che ne deriva per le ex "droghe leggere", sicuramente
apprezzabile, nell'ottica della valutazione dell'equilibrio sanzionatorio complessivo, si presenta la
scelta "compensativa" di ridurre i minimi edittali (francamente esorbitanti) dell' originaria
formulazione dell'articolo 73, comma 1, tale da consentire al giudice la facolt di applicare la
sanzione in modo adeguato, e ci con attenzione proprio anche alla "natura" della sostanza oggetto
della condotta incriminata (la "riduzione" avvantaggia, come ovvio, solo le ex "droghe pesanti",
per il cui trattamento sanzionatorio il minimo edittale era fissato in otto anni di reclusione).
Nella medesima prospettiva, a compensare la scelta di rigore della "parificazione" tra le sostanze, si
intervenuti sulla circostanza attenuante del fatto di lieve entit, introducendo, con scelta di
indiscutibile favore, la possibilit di applicare, anzich le pene detentiva e pecuniaria, quella del
lavoro di pubblica utilit (articolo 73, comma 5 bis, del dpr n. 309/90).
A ci dovendosi aggiungere una ulteriore considerazione, che riguarda il trattamento sanzionatorio
da applicare a chi venga trovato in possesso di sostanze stupefacenti di tipo e natura diversa. In
precedenza, poich le fattispecie di cui agli originari commi 1 e 4 dell'articolo 73, dedicati
rispettivamente alle droghe "pesanti" ed a quelle "leggere", configuravano due distinte figure di
reato, chi veniva trovato in possesso di droghe "pesanti" e di droghe "leggere" rispondeva di due
diversi reati, uniti sotto il vincolo della continuazione: ergo, con la pena prevista per la pi grave
fattispecie di cui al comma 1, aumentata "sino al triplo" per la violazione anche del comma 4. La
modifica determina, ora, che una condotta di tal genere, sparita la distinzione sanzionatoria basata
sul tipo di sostanza, integra un solo reato, dovendosi tenere conto della quantit complessiva delle
sostanze detenute solo ai fini del computo dosimetrico della pena: ragionevolmente, ora, a parit di
condizioni, il trattamento sanzionatorio pu risultare pi attenuato proprio perch non trova pi
applicazione l'istituto della continuazione, che, pur ispirato al favor rei, finisce pur sempre con il
determinare, in ragione della pluralit dei reati in contestazione, un aumento della pena base
prevista per quello pi grave.


Il sistema tabellare.- Le considerazioni appena svolte sulla parificazione delle sostanze
stupefacenti vietate offrono loccasione per ricordare che, nel nostro ordinamento, il sistema
sanzionatorio degli stupefacenti si basa sul principio tabellare, in forza del quale sono punite (solo)
le condotte illecite che riguardino le (sole) sostanze che sono inserite nelle tabelle di cui agli articoli
13 e 14 del dpr n. 309/90.
Come si visto, con la riforma del 2006, le sostanze soggette a controllo sono state suddivise in
due sole tabelle (rispetto alle sei che caratterizzavano la disciplina originaria), attribuendosi al
Ministero della salute il compito di formare, modificare, implementare tali tabelle (articolo 13 del
dpr n. 309/90).
Lavere rimesso al Ministro della salute, e cio ad unautorit amministrativa, la competenza circa
la formazione e la modifica delle tabelle determina la costruzione delle fattispecie penali in materia
di sostanze stupefacenti o psicotrope come norme penali in bianco, nelle quali la sanzione
determinata con atto legislativo, mentre la condotta illecita solo in parte descritta, dovendo essere
specificata dal decreto ministeriale disciplinante le singole sostanze (e lo stesso vale, mutatis
mutandis, per gli illeciti amministrativi).
Non ricorre, a nostro avviso, alcuna violazione del principio costituzionale della legalit della pena,
stabilito dallarticolo 25, comma 2, della Costituzione, in quanto, secondo linterpretazione fornita
dalla Corte costituzionale (cfr. sentenza 23 marzo 1996 n. 26), per il rispetto di questo necessario
che sia soltanto la legge (o un atto equiparato) dello Stato a stabilire con quale misura debba essere
repressa la trasgressione dei precetti che vuole sanzionati penalmente ed altres necessario e
sufficiente che sia una legge dello Stato (o un atto equiparato) non importa se proprio la
medesima legge che prevede la sanzione penale o unaltra legge ad indicare con sufficiente
specificazione i presupposti, i caratteri, il contenuto ed i limiti dei provvedimenti dellautorit non
legislativa, alla trasgressione dei quali deve seguire la pena.
Il che, senza dubbio alcuno, si verifica nel caso di specie, in quanto gli articoli 13 e 14 del dpr n.
309/90 contengono un analitica indicazione dei criteri cui il Ministro della salute deve fare
riferimento per lidentificazione delle singole sostanze, prevedendo altres un garantito modo di
approvazione del decreto ministeriale, presupponente l'intervento consultivo di altri organi tecnico-
amministrativi.
Qualsiasi altra pi rigorosa disciplina appesantirebbe il sistema, rendendo tra laltro impossibile
quel tempestivo aggiornamento degli elenchi, in relazione alla rapida evoluzione delle acquisizioni
scientifiche ed alle eventuali convenzioni internazionali, che tenuto in particolare considerazione
dalla legge (v. articolo 13, comma 2, del dpr n. 309/90) per garantire una pronta ed uniforme
risposta sanzionatoria al fenomeno degli stupefacenti (ci che spiega l'opportuno snellimento della
procedura di aggiornamento, attraverso la riduzione del numero degli organi coinvolti, che stato
realizzato con la legge di riforma).
L'adozione del sistema tabellare delle sostanze assoggettate a controllo determina, come ovvio,
che possono essere sanzionate, sia penalmente che amministrativamente, solo le condotte che
riguardino sostanze inserite nelle tabelle.
Il sistema repressivo delle sostanze stupefacente, infatti, qualificato dall'assenza di una nozione
onnicomprensiva di "sostanza stupefacente", risultando piuttosto costruito sul principio delle
"tabelle" delle sostanze vietate: di guisa che sono da considerare "sostanze stupefacenti", come tali
sottoposte a controllo e, nel caso, vietate, solo quelle che risultano espressamente inserite nelle
"tabelle" allegate alla legge, le quali assolvono alla funzione di "integrare" la norma incriminatrice
nella parte relativa all'individuazione dell'oggetto materiale della condotta (e lo stesso vale, mutatis
mutandis, per lillecito amministrativo).
Da qui, giova ribadirlo, la necessit del completo e tempestivo aggiornamento di queste, per evitare
l'effetto della punibilit delle condotte riguardanti sostanze che, pur pericolose, non siano state
tabellarizzate. Da qui, conseguentemente, le problematiche insorte nella pratica giudiziaria in
relazione a vicenda relative a sostanze stupefacenti non (ancora) tabellarizzate (v., in passato, per la
pianta della catha edulis, solo di recente inserita nella tabella I delle sostanze vietate, cos come il
principio attivo della catina da essa estraibile: cfr. Cassazione, Sezione VI, 23 giugno 2003, Hassan
Osman, e Sezione IV, 18 aprile 2005, Hassan ed altro; di recente, per i semi della rosa hawaiana:
cfr. Cassazione, Sezione I, 16 febbraio 2007, Barbieri). Il problema si pone in tutta la sua
emergenza per le cosiddette nuove droghe (droghe sintetiche e droghe etniche) e per le smart drugs
(sostanze per lo pi naturali, ma anche sintetiche, in libera vendita negli smart shops o su internet,
che tuttavia producono effetti stimolanti ed allucinogeni simili a quelli delle sostanze vietate) (di
recente, opportunamente, il Ministero della salute si attivato per inserire tra le sostanze vietate
alcune piante contenenti LSA amide di acido lisergico, finora in libera vendita, i cui semi
masticati sono in grado di provocare allucinazioni simili a quelli dellLSD: argyreia nervosa o rosa
hawaiana, ipomea violacea e rivea corymbosa).


I fatti di rilievo penale.- Per il discrimine tra fatti di mero rilievo amministrativo e fatti di rilievo
penale sono stati introdotti parametri di riferimento, variamente combinati tra loro, correlati alla
destinazione della sostanza, al quantitativo della stessa ed alle modalit complessive della condotta.
Ci per l'evidente scopo di evitare quelle incertezze operative determinate dal sistema finora
vigente, come modificato a seguito del referendum del 1993, che, come si accennato, ha
funzionato attraverso il conferimento di un margine discrezionale di valutazione notevolmente
ampio quando il fatto "attenzionato" non fosse stato caratterizzato oggettivamente dalla
destinazione della sostanza a terzi accertata nella flagranza.
La norma di immediato riferimento quella contenuta nell'articolo 73, dove trovano la loro
disciplina sanzionatoria le condotte illecite riguardanti sia le sostanze stupefacenti tout court vietate,
sia le sostanze medicinali suscettibili di abuso.
Si distingue, infatti, quanto al trattamento sanzionatorio, tra le sostanze vietate di cui alla tabella I
(cfr., in particolare, articolo 73, commi 1 e 1 bis, lettera a)) e quelle medicinali incluse nella tabella
II (cfr. articolo 73, commi 1 bis, lettera b), e 4).
Tra queste ultime, un regime di maggiore rigore configurato solo per quelle di cui alle Sezioni A,
B e C, maggiormente pericolose per gli effetti di abuso che ne possono derivare.
In particolare: per tutte queste sostanze medicinali, configurata come reato la commissione di una
condotta di spaccio o, comunque, di destinazione a terzi, cos come per le sostanze tout court
vietate di cui alla tabella I (la pena comunque diminuita da un terzo alla met) (articolo 73,
comma 4); solo le sostanze di cui alla Sezione A sono poi sostanzialmente parificate al
trattamento delle sostanze vietate di cui alla tabella I anche per quanto attiene la mera detenzione (e
condotte assimilabili, perch non qualificate ex se dalla destinazione a terzi ovvero "ad un uso non
esclusivamente personale": importazione, esportazione, acquisto, ricezione), nel caso in cui il
quantitativo risulti esorbitante da quello legittimamente prescritto dal sanitario (articolo 73, comma
1 bis, lettera b)) (anche in questo caso, la pena diminuita da un terzo alla met).
Il novum sanzionatorio penale, quindi, opportunamente diversificato a seconda che la condotta
incriminata riguardi le sostanze vietate di cui alla tabella I ovvero i medicinali suscettibili di
possibile abuso di cui alla tabella II, Sezioni A, B e C.


Le sanzioni penali: le sostanze vietate.- Quanto alle "sostanze vietate di cui alla tabella I", che
non trovano alcun impiego terapeutico e che, quindi, non possono essere prescritte, vale quanto
segue.

Le condotte caratterizzate "oggettivamente" dalla destinazione a terzi.- Viene, in primo luogo,
ovviamente ribadita anche nel sistema introdotto con la legge di riforma del 2006 la rilevanza
penale delle condotte che si caratterizzano per la destinazione a terzi, a prescindere dal quantitativo
della sostanza che ne costituisce l'oggetto (articolo 73, comma 1). Sotto questo profilo non vi sono
novit rispetto al sistema previgente.
Solo per due condotte ricomprese nel comma 1 si impone qualche precisazione.
Intendiamo riferirci alle condotte di coltivazione e di trasporto, che ex se non sono
autoevidentemente dimostrative della destinazione illecita (ad un uso non esclusivamente personale)
della droga.


La coltivazione.- Quanto alla coltivazione da rilevare che trattasi di condotta che, anche dopo il
novum normativo del 2006, con scelta evidentemente consapevole del legislatore, non richiamata
n nell'articolo 73, comma 1 bis, n nell'articolo 75, comma 1, ma solo nel comma 1 dell'articolo
73.
In buona sostanza, il legislatore ha voluto attribuire scientemente a tale condotta comunque e
sempre una rilevanza penale, quale che sia la dimensione della piantagione e quale che sia il
quantitativo di principio attivo ricavabile dai fiori, dalle foglie, ecc. delle piante da stupefacenti. In
tal senso, in effetti, possono trovarsi spunti anche nella disamina dei lavori preparatori.
Il legislatore ha finito con laderire, quindi, all' opinione giurisprudenziale prevalente (tra le tante, di
recente, Cassazione, Sezione IV, 15 novembre 2005, DAmbrosio; Sezione IV, 19 gennaio 2006,
Colantoni), fatta propria anche dalla Corte costituzionale (sentenza 24 luglio 1995 n. 360), secondo
cui la condotta di coltivazione intrinsecamente pi grave rispetto a quella di mera detenzione,
perch comunque aumenta il quantitativo di droga circolante, s da meritare un trattamento
sanzionatorio diverso e pi grave (ergo, rilevanza sempre penale della relativa condotta ed
esclusione di qualsivoglia spazio per un intervento sanzionatorio solo amministrativo ex articolo 75
del dpr n. 309/90, pur in presenza di coltivazioni di modestissime dimensione, rispetto alle quali
inconcepibile sarebbe una destinazione al mercato del ricavato). Trattasi di impostazione che, per
vero, stata ribadita ancora pi di recente, essendosi (ri)affermato che lattivit di coltivazione, in
base al comma 1 dellarticolo 73 del dpr 9 ottobre 1990 n. 309, come modificato con il decreto
legge 30 dicembre 2005 n. 272, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2006 n. 49 (e
analogamente a quanto previsto prima di tale riforma in base al combinato disposto dei previgenti
articoli 26, 73 e 75 del medesimo dpr), vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalit
dellagente sia di destinare il prodotto della coltivazione a consumo personale (Cassazione, Sezione
VI, 15 febbraio 2007, Casciano, in una fattispecie nella quale la Corte ha quindi rigettato il ricorso
avverso la sentenza di condanna pronunciata in una vicenda in cui si contestava allimputato, tra
laltro, la coltivazione di 14 piante di marijuana).
Questa prospettiva di rigore parsa [gi nella vigenza del testo originario del dpr n. 309/90] e pare
tuttora [anche dopo le modifiche del 2006] eccessiva almeno rispetto alle condotte di coltivazione
"domestica" di poche piantine, destinate a consentire il ricavo di modestissimi quantitativi di
principio attivo, giacch il rischio di destinazione a terzi pressoch nullo (anzi, non proprio
articolabile alcuna prova di "un uso non esclusivamente personale" del ricavato della coltivazione) e
parimenti nullo il rischio per la salute individuale del coltivatore-assuntore.
Da qui la necessit (per ragioni essenzialmente di equit e di ragionevolezza del trattamento
sanzionatorio) di trovare, in via interpretativa, una soluzione equilibrata che, senza porsi in
contrasto con la rilevata intenzione del legislatore e senza smentire l'autorevole fondamento
dell'orientamento giurisprudenziale dominante cui il legislatore ha evidentemente fatto richiamo,
possa consentire di escludere la sanzionabilit penale della condotta di "coltivazione" di
pochissime piante da stupefacente, chiaramente finalizzata solo a soddisfare l'uso personale del
coltivatore.
Una soluzione equilibrata poteva e pu essere tuttora rinvenuta distinguendo la coltivazione intesa
in senso "tecnico-agrario", quale espressamente presa in considerazione e disciplinata negli articoli
26-28 del dpr n. 309/90, dalla modesta attivit di coltivazione c.d. "domestica", che si sostanzia
nella messa a dimora da parte di un tossicodipendente "in vasi detenuti nella propria abitazione di
alcune piantine di sostanze stupefacenti o psicotrope".
In questo ultimo caso, infatti, si potrebbe fondatamente sostenere che si al di fuori della nozione
di coltivazione presa in considerazione negli articoli 26-28 del dpr citato, di guisa che la condotta
potrebbe essere inclusa "estensivamente" in un'ipotesi di detenzione colpita solo con sanzioni
amministrative a norma dell'articolo 75 dello stesso dpr, se ed in quanto difettino elementi che
possano far ritenere dimostrata una destinazione del ricavato della coltivazione "ad un uso non
esclusivamente personale". Ergo, elementi che possano consentire allaccusa di soddisfare lonere
probatorio della destinazione illecita della sostanza stupefacente ai fini della idonea contestabilit
del reato di cui allarticolo 73 del dpr n. 309/90.
Questa tesi interpretativa ha di recente trovato un importante avallo nella giurisprudenza della
Cassazione (Sezione VI, 18 gennaio 2007, Notaro; in termini, v. anche Sezione VI, 20 giugno 2007,
Proc. Rep. min. Sassari in proc. Satta), laddove si attribuita dignit alla richiamata nozione di
coltivazione domestica. Trattasi di interpretazione che, lungi dal risolversi in un vulnus alla
impostazione di rigore della normativa sanzionatoria degli stupefacenti, ribadita con forza anche
dal legislatore del 2006, evita il risultato irragionevole di punire sempre e comunque il modesto
autocoltivatore di quantitativi irrisori, destinati appunto a soddisfare il proprio fabbisogno
personale, anche in situazioni nelle quali pacifica sarebbe lirrilevanza penale della condotta
quando quel medesimo soggetto fosse esaurita lattivit di coltivazione- sorpreso a detenere il
ricavato di tale attivit.
Resta da aggiungere che, per aversi coltivazione domestica, non certamente necessario che
lattivit sia svolta allinterno di una abitazione o su un terrazzo limitrofo; nulla esclude, infatti, che
la piantagione sia effettuata in un giardino o in un terreno agricolo, magari neppure contigui
allabitazione del prevenuto. E per essenziale che si verta in ipotesi di piantagione oltremodo
contenuta come dimensioni, tale da consentire il ricavato di quantitativi modesti di sostanza
stupefacente, proprio perch solo in tal caso non sarebbe dimostrabile logicamente e giuridicamente
la destinazione ad un uso non esclusivamente personale del coltivatore. Solo in tal caso, infatti,
lattivit svolta sarebbe priva di quei caratteri che, invece, la sopra citata sentenza della Cassazione
ritiene propri della coltivazione in senso tecnico, penalmente rilevante (la disponibilit del terreno,
la sua preparazione, la semina, il governo dello sviluppo delle piante, la presenza di locali destinati
alla raccolta dei prodotti). Caratteri che, in tutta evidenza, connotano di pericolosit la condotta e
giustificano la sanzionabilit penale della medesima.

Il trasporto.- Quanto alla condotta di trasporto, si sono formulate da parte di taluno delle
perplessit sostenendosi che si tratterebbe di condotta rispetto alla quale non potrebbe escludersi
concettualmente la destinazione della sostanza stupefacente ad un uso esclusivamente personale,
con conseguente irragionevolezza della mancata previsione di tale condotta tra quelle di possibile
rilievo solo amministrativo (articoli 75 e 75 bis del dpr n. 309/90).
Trattasi, a nostro avviso, stavolta, di un falso problema, ove si consideri che la fattispecie
incriminatrice di cui allarticolo 73 del dpr n. 309/90 costruita come norma a pi fattispecie
alternative, con conseguente assorbimento della o delle condotte minori quando pi condotte
siano commesse nello stesso contesto spazio-temporale e riguardino la stessa sostanza stupefacente.
Nella stragrande maggioranza dei casi, quindi, la condotta di trasporto non ha una sua autonoma
rilevanza sanzionatoria rispetto alla condotta di detenzione o a quella di cessione.
Quando invece non ricorrono i presupposti dellassorbimento e, quindi, la condotta di trasporto
conserva una sua autonomia ai fini sanzionatori, risulta empiricamente evidente che deve pur
sempre trattarsi di condotta che per differenziarsi da quella di detenzione, acquisto, importazione,
ecc.- deve qualificarsi per avere ad oggetto un quantitativo [cos] significativo di droga da implicare
necessariamente lutilizzo di un mezzo di trasporto [risultando evidentemente impraticabile la
movimentazione della droga custodendola sulla propria persona o in un bagaglio a mano]: ma
proprio la dimensione quantitativa della sostanza stupefacente indice dimostrativo di una
destinazione diversa da quella delluso esclusivamente personale. Ci che esclude ab imis
qualsivoglia sostanziale censura di irragionevolezza della disciplina normativa.


Le condotte non caratterizzate "oggettivamente" dalla destinazione a terzi.- Viene, poi,
prevista la rilevanza penale delle condotte ex se non destinate obiettivamente a terzi (importazione,
esportazione, acquisto, ricezione o, comunque, detenzione) che "appaiono", per le modalit
oggettive e soggettive ("per quantit, in particolare se superiore ai limiti massimi indicati con
decreto del Ministro della salute emanato di concerto con il Ministro della giustizia, sentita la
Presidenza del consiglio dei ministri-Dipartimento nazionale per le politiche antidroga, modalit di
presentazione, avuto riguardo al peso lordo complessivo o al confezionamento frazionato, ovvero
per altre circostanze dell'azione"), destinate a terzi ovvero, pi precisamente, "ad un uso non
esclusivamente personale" (articolo 73, comma 1 bis, lettera a).

La "normativizzazione" dei criteri indiziari e l'onere della prova dell'illecito penale.- E' questa la
vera novit della legge di riforma, che stata perseguita attraverso la "normativizzazione" dei criteri
indiziari attualmente utilizzati, in giurisprudenza, per fondare un giudizio positivo di sussistenza
del reato di cui all'articolo 73 del dpr n. 309/90 rispetto alle condotte (acquisto, importazione,
detenzione, ecc.) ex se non qualificate oggettivamente dalla destinazione a terzi.
Non dubbio che rimanga tuttora valido, anche nel nuovo sistema, il principio secondo cui la prova
della sussistenza della destinazione della sostanza "ad un uso non esclusivamente personale"
costituisce un "elemento costitutivo" del reato di cui all'articolo73 e, come tale, a carico
dell'accusa (in prima battuta, l'operatore di polizia, e, poi, il pubblico ministero) (tra le tante,
Cassazione, Sezione VI, 2 novembre 2004, Sandri; Sezione IV; 4 giugno 2004, Vidonis).
L'accusa, peraltro, per soddisfare tale onere probatorio (allorquando la prova non in re ipsa,
siccome dimostrata dalla condotta, oggettivamente caratterizzata dalla destinazione a terzi della
sostanza: cfr. il comma 1 dell'articolo 73), trova stavolta un supporto valutativo nei parametri
"indiziari" indicati dalla norma: la "quantit" della sostanza (con attribuita rilevanza al
superamento dei limiti di principio attivo indicati in apposito decreto ministeriale); le "modalit di
presentazione" della sostanza (peso lordo e frazionamento in dosi commerciali); le "circostanze
dell'azione" (circostanze oggettive del sequestro; rinvenimento di sostanza da taglio; rinvenimento
di "contabilit" attestante il commercio illecito, ecc.) (cfr. il comma 1 bis, lettera a), dell'articolo
73).
Rispetto a tale onere probatorio, che l'accusa ritiene soddisfabile argomentando positivamente dai
suddetti parametri la destinazione della sostanza "ad un uso non esclusivamente personale",
l'interessato ha un "onere di allegazione" di segno contrario, nel senso che pu controdedurre
elementi probatori a proprio favore, dimostrativi della destinazione della sostanza all'uso esclusivo
proprio, s da poterne fare discendere, con l'insussistenza del fatto incriminato, solo l' applicabilit
delle sanzioni amministrative (ora previste dagli articoli 75 e 75 bis del dpr n. 309/90).
Ci, va detto a chiare lettere, non equivale affatto ad invertire l'onere della prova della
responsabilit penale, che incombe certamente all'accusa, ma a stabilire i perimetri fattuali entro i
quali il giudice pu esercitare la sua valutazione, una volta che il fatto portato dall'accusa sia stato
provato. Vale, infatti, anche in sede penale quanto stabilito dall'articolo 2697 del codice civile:
incombe all'attore (qui, il pubblico ministero, e, prima di lui, l'autorit di polizia) provare i fatti che
costituiscono il fondamento della domanda (qui, la dimostrazione della destinazione della droga ad
un uso "non esclusivamente personale"); incombe al convenuto (qui, l'indagato/imputato) provare i
dati della realt che rendono inefficaci i fatti addotti dall'attore, ovvero, traducendo il precetto in
termini penalistici, i fatti che impediscono la punibilit (qui, la dimostrazione della destinazione
della droga ad un uso "esclusivamente personale").
E' ovvio che tale onere allegativo con finalit difensive risulter tanto pi difficile da soddisfare
quanto pi inequivocamente significativi della destinazione all'uso "non esclusivamente personale"
risultino i parametri indiziari richiamati nella disposizione incriminatrice.
Per esempio, in presenza di quantitativi significativamente superiori ai limiti di principio attivo
indicati nel decreto ministeriale, un soggetto che non sia tossicodipendente ben difficilmente
potrebbe sostenere, con buon esito, che trattasi di droga detenuta con finalit di "riserva" e di
"accumulo" per il proprio futuro uso personale; sarebbe facile opporre che, almeno per una parte, la
droga non pu che essere destinata al mercato (ovvero, pi specificamente, "ad un uso non
esclusivamente personale"), con la conseguente contestabilit del reato di cui all'articolo 73.
Mentre, in presenza di quantitativi inferiori o prossimi alla suddetta soglia, non potendo il referente
quantitativo essere da solo idoneo a risolvere il problema della prova della destinazione "ad un uso
non esclusivamente personale" della sostanza stupefacente, esso dovr essere supportato dall'accusa
con uno, o con pi d'uno, degli altri eventuali elementi indiziari ricavabili dalle specifiche
modalit, oggettive e soggettive, della vicenda: di guisa che, sempre esemplificando, laddove
risultino un accertato frazionamento della droga in dosi commerciali e/o circostanze del sequestro
inequivocamente dimostrative di un'attivit di spaccio, ben difficilmente l'interessato potrebbe
articolare, a propria difesa, un uso personale, che finirebbe con l'essere meramente apodittico ed
indimostrato, nonostante un dato quantitativo della sostanza ex se non assorbentemente
significativo.


La presunzione (solo) relativa desumibile dai parametri indiziari.- E' comunque da ritenere, senza
ombra di dubbio, che i criteri indiziari contenuti nell'articolo 73 comma 1 bis, lettera a), possano
fondare una presunzione solo relativa (iuris tantum) della destinazione della droga ad un uso non
esclusivamente personale.
Che si tratti di una presunzione solo relativa (e non certo assoluta, tale da non ammettere prova
contraria da parte della difesa) lo si desume in primo luogo dalla formulazione letterale della
norma, laddove l'utilizzo del verbo "apparire" ("appaiono") dimostra che alla base della ritenuta
sussistenza del reato vi deve essere pur sempre un apprezzamento del giudice, il quale, proprio
utilizzando (anche, ma non solo: v. infra sul carattere "non esaustivo" dei parametri indiziari) i
criteri indiziari, potr condannare l'imputato se (e solo se) ritenga dimostrata con certezza la
destinazione della droga "ad un uso non esclusivamente personale", potendo motivare al riguardo
"al di l di ogni ragionevole dubbio" (cfr. articolo 533, comma 1, del Cpp).
Lo si desume dalla corretta interpretazione logico-sistematica dei diversi criteri: anche a non voler
considerare il criterio indiziario basato sul quantitativo della sostanza (per il quale, in astratto,
potrebbe ipotizzarsi una valenza presuntiva assoluta), tutti gli altri non possono che essere
valorizzati ai fini indiziari dal necessario apprezzamento giudiziale, non avendo di per s una
significativit autoevidente ed insuscettibile di interpretazioni alternative.
Lo si desume ancora dall'iter legislativo, ove si consideri che il disegno di legge governativo,
portato all'attenzione degli operatori del settore alla IV^ Conferenza nazionale sui problemi
connessi alla diffusione delle sostanze stupefacenti e psicotrope (Palermo, 5-7 dicembre 2005), era
in origine caratterizzato da una sorta di presunzione assoluta di sussistenza del reato basata sul
superamento di una determinata soglia quantitativa. Veniva prevista, infatti, la rilevanza penale
anche delle condotte ex se non destinate obiettivamente a terzi (importazione, esportazione,
acquisto, ricezione o, comunque, detenzione) quando la sostanza avesse superato una determinata
soglia quantitativa: cosicch il fatto integrava tout court la fattispecie incriminatrice, senza che
dovesse dimostrarsi in concreto la destinazione possibile della sostanza allo spaccio e senza che il
trasgressore potesse, in contrario, articolare alcuna prova liberatoria tale da consentirgli di eludere
l'applicazione delle sanzioni penali. Trattavasi, in effetti, di una sorta di presunzione iuris et de iure
che si basava sulla ritenuta pericolosit della condotta, in ragione del quantitativo che ne costituiva
l'oggetto materiale, sia per la salute individuale del soggetto, sia per l'ordine pubblico e la salute
collettiva. Il testo definitivo stato per espressamente modificato, proprio attraverso l'eliminazione
di tale presunzione assoluta e l' attribuzione di una valenza presuntiva solo relativa (anche, tra gli
altri) al parametro indiziario basato sul quantitativo della sostanza stupefacente.
Lo si desume, poi, dall'apprezzamento della diversa formulazione del comma 1 bis, lettera b),
dello stesso articolo 73, dedicato ai medicinali suscettibili di abuso contenenti sostanze stupefacenti
o psicotrope, rispetto ai quali il reato tout court integrato in caso di superamento del quantitativo
prescritto, senza che vi sia spazio per una prova liberatoria da parte dell'interessato che possa
"giustificare" la detenzione "oltre il prescritto" (a ben vedere, qui l'unica allegazione difensiva in
grado di vincere la presunzione potrebbe articolarsi sul difetto del dolo, argomentando e
dimostrando un errore in cui sia incorso il detentore vuoi sul contenuto della "prescrizione", vuoi
sul quantitativo materialmente detenuto).
Giova ribadire che, poich la presunzione ex articolo 73, comma 1 bis, lettera a), solo relativa,
vi pu essere spazio per un' allegazione difensiva atta a dimostrare l'inidoneit e la non
concludenza della valenza indiziante prospettata dall'accusa, in coerente applicazione dell'articolo
2697 del codice civile.
Non vi , quindi, alcuna inversione dell'onere della prova, ma rispetto alle tesi prospettate
dall'accusa (basate sulla riconosciuta valenza indiziante dei parametri) compete all'imputato
articolare elementi atti a neutralizzare tale valenza: come gi evidenziato, incombe all'imputato
(convenuto) provare i fatti che rendono inefficaci (non concludenti) i fatti addotti dal pubblico
ministero (attore).



La posizione del giudice e la regola dell'"al di l di ogni ragionevole dubbio".-
Per cogliere il portato della presunzione relativa, occorre per soffermare l'attenzione sulla
posizione che, rispetto ad essa, assume il giudice.
La valenza della presunzione relativa va in proposito inevitabilmente apprezzata alla luce del
principio dell' "al di l di ogni ragionevole dubbio" richiesto ai fini della condanna (articolo 533,
comma 1, del Cpp, nel testo da ultimo modificato dalla legge n. 46 del 2006: "il giudice pronuncia
sentenza di condanna se l'imputato risulta colpevole del reato contestatogli al di l di ogni
ragionevole dubbio").
Ci significa che la valenza presuntivamente indiziante dei criteri legittima senz'altro la polizia
giudiziaria e il pubblico ministero a contestare il reato e pu legittimare anche la condanna, purch
per il giudice ritenga che la valenza indiziante superi il vaglio dell' "oltre ogni ragionevole
dubbio", dovendo a tal fine apprezzare i criteri indizianti alla luce dell'evidenza disponibile e delle
eventuali allegazioni difensive.
Cos, per intenderci, il giudice potr condannare in presenza di una condotta di detenzione di un
quantitativo di sostanza stupefacente il cui principio attivo risulti superiore al quantitativo massimo
indicato in tabella se (e solo se) ritenga di poter motivare, alla luce delle complessive risultanze del
caso concreto, "al di l di ogni ragionevole dubbio", che si tratti di droga che "appaia" destinata "ad
un uso non esclusivamente personale". Con una motivazione che sar tanto pi approfondita ed
analitica quanto pi il quantitativo sia prossimo alla soglia indicata in tabella.
E' ovvio che, a fronte di una valenza oggettivamente indiziaria dei parametri posti a fondamento
dell'accusa, l' eventuale decisione liberatoria del giudice dovr essere argomentata e motivata
adeguatamente, per evitare inaccettabili arbitrii decisori: il giudice, cio, dovr giustificare ("in
modo rafforzato", proprio a fronte della presenza del compendio indiziario fondato sui parametri
normativizzati nell'articolo 73 comma 1 bis, lettera a)) sulla base di quali specifiche ragioni ritenga
non raggiunta la prova della colpevolezza e, quindi, dovr dare contezza degli elementi in forza dei
quali consideri neutralizzata e non concludente la valenza indiziaria dei parametri.
Sotto questo profilo la "normativizzazione" dei criteri indiziari evita (in ipotesi) tali possibili arbitrii
decisori perch vincola la discrezionalit valutativa del giudice.
Ci autorizza a ritenere che tale compendio indiziario, laddove sussistente, pu senz'altro essere
ritenuto ex se sicuramente satisfattivo ai fini de libertate, ossia ai fini dei "gravi indizi" di cui all'
articolo 273 del Cpp, siccome fondante la qualificata probabilit della colpevolezza, pur
consentendo anche spiegazione alternative dei fatti (della detenzione e/o delle altre condotte
assimilate) attraverso eventuali allegazioni difensive in grado di smentire la valenza accusatoria e di
dimostrare positivamente quella destinazione "ad uso esclusivamente personale" della sostanza
stupefacente che, prima facie, smentita proprio dalla presenza di uno o pi degli elementi
indiziari individuati dalla norma.
Mentre, ai fini della condanna, occorre pur sempre applicare la regola di giudizio ex articolo 533,
comma 1, del Cpp, onde il giudice pu e deve supportare la propria decisione sul compendio
indiziario a carico, dando per contezza delle ragioni in forza delle quali questo, alla luce delle
emergenze complessive, sia in grado di dimostrare, al di l di ogni ragionevole dubbio, la
destinazione della sostanza stupefacente "ad un uso non esclusivamente personale".

Lassenza di automatismi decisori e il rispetto del principio del libero convincimento.- Per
l'effetto, deve escludersi qualsivoglia automatismo tra sussistenza del compendio indiziario e
condanna
Il compendio indiziario pu certo essere ritenuto dal giudice satisfattivo ai fini della condanna
purch per soddisfi la regola dell' "oltre ogni ragionevole dubbio".
Per esempio, il superamento della soglia -parametro indiziario inequivoco- pu essere ritenuto
satisfattivo a fini di condanna se e laddove il giudice lo ritenga con certezza dimostrativo della
destinazione all'uso non esclusivamente personale, alla luce delle complessive emergenze
disponibili.
Ci che consente di evitare ingiustificate automatiche condanne, ad esempio, per sforamenti
modesti del limite quantitativo in situazioni non qualificate negativamente dagli altri parametri
indiziari, ma anzi giustificate dalla qualit di tossicodipendente del prevenuto, tale da
probatoriamente dimostrare l'uso esclusivamente personale della droga (si pensi, all'ipotesi del
tossicodipendente necessitante di assunzioni ravvicinate e consistenti).
Alla costruzione proposta (della presunzione relativa basata sullapprezzamento dei parametri
indiziari) ci sembra non si possa obiettare che tale nozione finirebbe con il pregiudicare il principio
del libero convincimento (articolo 101, comma 2, della Costituzione) e il diritto di difesa (articolo
24 della Costituzione).
Infatti, la "presunzione relativa" basata sui parametri indiziari va inevitabilmente apprezzata alla
luce del principio dell' "al di l di ogni ragionevole dubbio" richiesto ai fini della condanna (articolo
533, comma 1, del Cpp, nel testo da ultimo modificato dalla legge n. 46 del 2006). Ci significa,
ponendosi nell'ottica del giudicante, che questi pu e deve tenere conto della valenza
presuntivamente indiziante dei criteri, e pu fondarvi anche la condanna, purch per ritenga che
tale valenza superi il vaglio dell' "oltre ogni ragionevole dubbio", dovendo a tal fine apprezzare i
criteri indizianti alla luce dell'evidenza disponibile e delle eventuali allegazioni difensive. Nessun
pregiudizio deriva, quindi, per il principio del libero convincimento: il giudice, infatti, tenuto a
pronunciare la sua sentenza dovendo necessariamente valorizzare, senza limiti preconcetti, tutti gli
elementi, oggettivi e soggettivi, ricavabili dalla fattispecie concreta. I parametri indiziari, piuttosto,
evitano soluzioni liberatorie arbitrarie, nel senso che, in loro presenza, il giudice dovr motivare
"rafforzatamente", dando contezza delle ragioni che lo inducano a ritenerne "neutralizzata" o non
decisivamente significativa la valenza accusatoria. Nessun pregiudizio, poi, deriva per il diritto di
difesa, giacch, come si argomentato ampiamente, l'onere della prova del reato pur sempre a
carico dell'accusa e l'onere di allegazione che ha la difesa per smentire la valenza indiziante degli
elementi "portati" dall'accusa non si risolve in un'inversione dell'onere della prova, risultando solo
coerente applicazione della regola di giudizio di cui all'articolo 2697 del codice civile,
pacificamente applicabile anche in materia penale. Va poi soggiunto che, diversamente opinando,
cio volendo escludere che i parametri indiziari tratteggiati dall'articolo 73, comma 1 bis, lettera a),
fondino una presunzione relativa nei termini e con i limiti di cui si detto, si arriverebbe alla
conclusione francamente inaccoglibile che si tratterebbe di una disposizione normativa inutiliter
data. Del resto, non va neppure dimenticato che l'istituto delle "presunzioni" non ignoto nel
diritto penale, essendovi costruite anche varie fattispecie incriminatrici: basti pensare, solo a titolo
esemplificativo, alla contravvenzione di cui all'articolo 707 del Cp, laddove il legislatore, in ragione
della personalit del prevenuto (condannato per delitti determinati da motivi di lucro o per
contravvenzioni concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio), dalla disponibilit
diretta ed immediata degli strumenti atti allo scasso fonda "la presunzione" di una probabile
utilizzazione illecita di questi, in tal modo non incriminando un mero status, bens una condotta
costituita dal possesso attuale di determinate cose che, quoad personam, inducono al sospetto.
Va soggiunto che i "parametri indiziari" rivestono particolare rilievo anche per l'attivit della polizia
giudiziaria, la quale dai medesimi pu trarre elementi sintomatici della destinazione della sostanza
stupefacente all'uso non esclusivamente personale, tali da potervi fondare un eventuale
provvedimento di arresto in flagranza del trasgressore che regga al vaglio del giudice della
convalida. Non va del resto dimenticato di considerare che la valutazione del giudice sulla
legittimit dell'arresto, infatti, pur non potendo estendersi all'accertamento dell'esistenza dei gravi
indizi di colpevolezza, deve tuttavia essere intesa alla verifica della sussistenza delle condizioni
legittimanti la privazione della libert personale, condizioni tra le quali deve ritenersi inclusa la
configurabilit (non solo astratta) del reato per cui si proceduto all'arresto e la sua attribuibilit
alla persona arresta; con la conseguenza che la semplice detenzione di sostanza stupefacente non
legittimerebbe l'arresto in flagranza quando non emergano (non gi gravi indizi, bens) elementi
sintomatici della destinazione della sostanza all'uso di terzi.


La presa di posizione della Cassazione.- Anche la Cassazione si espressa di recente in termini
coerenti con la richiamata costruzione della presunzione relativa: Sezione IV; 4 maggio 2007,
Proc. Rep. Trib. S. Maria Capua Vetere in proc. Torres, infatti, ha espressamente affermato che i
parametri indiziari di cui allarticolo 73, comma 1 bis, lettera a), sono spendibili per la positiva
dimostrazione della destinazione illecita (ad un uso non esclusivamente personale) della sostanza
stupefacente detenuta, valendo questi parametri indiziari come una sorta di presunzione relativa
di tale destinazione illecita che assume particolare rilievo soprattutto per lattivit della polizia
giudiziaria, la quale dai medesimi pu trarre elementi sintomatici della destinazione della sostanza
stupefacente alluso non esclusivamente personale, tali da potervi fondare un eventuale
provvedimento di arresto in flagranza del trasgressore che regga al vaglio del giudice della
convalida.


La valenza probatoria dei criteri indiziari.- Per cogliere appieno la valenza dei criteri indiziari,
anche e soprattutto nella prospettiva della decisione del giudice, importante notare come questi
debbano essere intesi come alternativi, complementari e, senz'altro, non esaustivi.
Hanno valenza "alternativa", nel senso che anche la presenza di uno solo consente di ipotizzare
presuntivamente il reato.
L'utilizzo delle disgiuntive "o" e "ovvero" nell'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), in tal senso
inequivoco.
La valenza alternativa dei parametri importante soprattutto per correttamente valutare quello della
"quantit" della sostanza stupefacente: nel senso che, anche se non si supera il quantitativo di
principio attivo indicato nella tabella ministeriale (decreto del Ministro della salute 11 aprile 2006),
pur sempre possibile contestare e ritenere il reato, sulla base della utilizzazione degli altri criteri
(ad esempio, sembra indubitabile la possibilit di contestare il reato di cui all'articolo 73 in caso di
detenzione di quantitativi "sotto soglia", ma in un contesto oggettivo inequivoco della destinazione
ad un uso non esclusivamente personale: sostanza stupefacente frazionata in dosi commerciali,
sequestro in un contesto deponente inequivocamente nel senso dello svolgimento di un'attivit di
spaccio, ecc.).
Hanno valenza "complementare", nel senso che, tanto pi sono presenti elementi indiziari
convergenti, quanto pi sar difficile l'articolazione dell'onere di allegazione difensiva e quanto pi
potr ritenersi tale compendio idoneo a giungere alla condanna al di l di ogni ragionevole dubbio.
E' conclusione imposta dalla logica e, del resto, perfettamente in linea vuoi con la natura presuntiva
riconosciuta dalla norma ai criteri de quibus, vuoi con l'apprezzato rapporto tra la valenza
presuntiva dei criteri e la regola di giudizio richiesta ai fini della condanna.
Hanno poi valenza "non esaustiva", nel senso che possono e debbono considerarsi anche altri
criteri di valutazione (specie di natura soggettiva) emergenti dalla fattispecie, utilizzabili per
corroborare o smentire la valenza indiziante a carico.
Si pensi al criterio soggettivo della qualit di tossicodipendente o no del trasgressore ovvero al
criterio parimenti soggettivo basato sull'apprezzamento delle condizioni economiche del reo e sulla
compatibilit di queste con l'acquisto e il possesso di droga, che possono decisivamente guidare
l'apprezzamento del giudice ai fini della decisione, corroborando o, per converso, smentendo la
valenza indiziaria dei parametri cui la norma fa esplicito riferimento.
Anche questa una conclusione imposta dal gi rilevato rapporto tra la valenza presuntiva dei
criteri e la regola di giudizio richiesta ai fini della condanna, la quale ultima, come ovvio, non
ammette limitazioni relativamente agli elementi utilizzabili dal giudice ai fini della formazione del
suo convincimento, giusta l'assenza di prove legali in materia penale e il principio del libero
convincimento che regola la materia della valutazione della prova.
Per converso, pur nella rilevata "non esaustivit" dei criteri indiziari, da escludere che possano
rivestire alcun rilievo "indiziante" (neppure ad colorandum) i precedenti penali pur specifici
dell'interessato: questi, semmai, potrebbero valere, se specifici, solo a supportare il giudizio
negativo sulla concedibilit dell'attenuante del fatto di lieve entit (articolo 73, comma 5, del dpr n.
309/90), nella misura in cui la recidiva specifica possa consentire di qualificare come di non lieve
offensivit una condotta che, per essere stata posta in essere da un pregiudicato specifico, venga
ritenuta in concreto sintomatica di un attivit delinquenziale professionale nello spaccio della
droga (cfr., per utili spunti, Cassazione, Sezione IV, 8 febbraio 2005, Proc. gen. App. Firenze in
proc. Ramsi).
Analogamente, parimenti da escludere che possa avere rilievo, stavolta nell' ottica di una
pronuncia liberatoria, lo stato di incensuratezza dell'interessato, il quale, ex se considerato, non
potrebbe certamente valere per neutralizzare la significativit indiziante desumibile aliunde dalle
emergenze fattuali della vicenda.


I singoli criteri indiziari.- Qualche considerazione si impone in ordine ai singoli criteri indiziari
dettati dall'articolo 73, comma 1 bis, lettera a), costruiti nella norma attraverso il riferimento alla
"quantit" della sostanza (con attribuita rilevanza al superamento dei limiti di principio attivo
indicati in apposito decreto ministeriale), alle "modalit di presentazione" della sostanza (peso lordo
complessivo e frazionamento in dosi commerciali) ed alle "circostanze dell'azione" (circostanze
oggettive del sequestro; rinvenimento di sostanza da taglio; rinvenimento di "contabilit" attestante
il commercio illecito, ecc.).

La quantit della droga.- Il criterio della quantit commisurato, in tutta evidenza, al principio
attivo rinvenuto nella sostanza. E affermazione che non pu
essere messa in dubbio: se vero infatti che il convincimento della natura stupefacente della
sostanza ben pu essere tratto anche da elementi diversi dalla perizia o dal narcotest, quali le
ammissioni degli imputati, il contenuto delle intercettazioni, gli accertamenti di polizia o qualsiasi
altro elemento di significato univoco (in tal senso, di recente, Cassazione, Sezione IV, 30
novembre 2005, Garuccio; nonch, Sezione IV, 28 ottobre 2005, Secchi), ci non toglie, peraltro,
che per formalizzare una contestazione basata proprio sul parametro indiziario del superamento
della soglia quantitativa indicata in tabella, l'accertamento tecnico ineludibile, non essendo
surrogabile con altri mezzi di prova in grado di dimostrare con precisione la percentuale di
"principio attivo" contenuta nella sostanza.
Relativamente alla valenza da attribuire al criterio della quantit, da sottolineare limportanza
dell'utilizzo nella norma dell'espressione "in particolare" correlata al dato fattuale rappresentato
dall'essere la sostanza "superiore" ai limiti massimi stabiliti nellapposito decreto ministeriale ("per
quantit, in particolare se superiore ai limiti massimi").
Tale formulazione, unita al rilievo che la norma incriminatrice, come si visto, non costruita
come fondante una presunzione assoluta di sussistenza dell'illecito pur in presenza di quantitativi
esorbitanti i valori soglia, autorizza la ricostruzione del sistema nei termini che seguono:
a) la circostanza che la sostanza risulti "superiore" ai limiti massimi indicati nel decreto
ministeriale integra elemento indiziario positivamente "spendibile" dall'accusa per ritenere
dimostrata la destinazione ad un uso non esclusivamente personale;
b) conseguentemente, tanto pi viene superata la soglia indicata nel decreto, quanto pi diventa
oneroso lo sforzo che dovr sostenere l'interessato per l'allegazione di elementi a difesa che
possano vincere la valenza indiziaria del parametro quantitativo;
c) la formulazione della norma, proprio per il rilevato utilizzo del termine "in particolare", non
esclude, tuttavia, la rilevanza penale anche di quantitativi inferiori alla soglia, laddove gli altri
parametri indiziari militino inequivocamente per una destinazione "non esclusivamente personale";
d) il superamento dei valori soglia non sempre e comunque elemento bastevole a sostenere la
sussistenza del reato, laddove l'interessato sia in grado di assolvere l'onere difensivo nei termini di
cui supra sub b). Cosicch, per intenderci, specie se il superamento dei valori massimi superato di
poco, dovranno e potranno utilmente soccorrere gli altri parametri di riferimento utilizzati dalla
norma e le complessive emergenze della fattispecie concreta, i quali ben potranno concorrentemente
fondare la positiva dimostrazione della destinazione illecita ("ad un uso non esclusivamente
personale") della sostanza; mentre nulla esclude, per converso, che il superamento di poco dei
valori massimi, nell'assenza di altri elementi indiziari "a carico" e a fronte di un'adeguata
"giustificazione difensiva" (principalmente basata sulla qualit soggettiva di tossicodipendente e
sulla necessit di assunzione di quantitativi particolarmente elevati di sostanza stupefacente), possa
portare ad una decisione liberatoria in sede penale (e alla rilevanza solo amministrativa della
condotta). In altri termini, per esemplificare, le particolari condizioni soggettive del trasgressore
(legittimanti, per lo stato di tossicodipendenza, una detenzione di quantitativi superiori ai valori
soglia per la soddisfazione di peculiari esigenze di assunzione) potranno rilevare nell'ambito
dell'onere di allegazione difensiva di cui si detto, per vincere la presunzione (iuris tantum) di
sussistenza dell'illecito penale articolabile dall'accusa sul dato quantitativo esorbitante i valori
soglia.

Il decreto ministeriale.- Va a questo punto soffermata l'attenzione sul decreto che ha determinato i
limiti massimi di principio attivo detenibile ai fini e per gli effetti del disposto dell'articolo 73,
comma 1 bis, lettera a): ovvero che ha determinato quella che, nello stesso decreto, viene definita
come la "quantit massima detenibile" (Q.M.D.) superata la quale pu ritenersi sussistente, nei
termini e con i limiti di cui supra, la presunzione che trattasi di sostanza "destinata ad un uso non
esclusivamente personale".
Trattasi del decreto dell'11 aprile 2006, adottato dal Ministro della salute, di concerto con il
Ministro della giustizia, contenente l'indicazione dei limiti quantitativi massimi delle sostanze
stupefacenti e psicotrope, riferibili ad un uso esclusivamente personale delle sostanze elencate nella
tabella I del dpr n. 309/90.
Intanto, pregiudizialmente, da condividere la scelta del legislatore di avere rimesso tale compito
all'autorit amministrativa, per la eccessiva rigidit che sarebbe conseguita ad una previsione
introdotta direttamente dalla legge. Si in presenza, infatti, di una materia in cui preminenti sono
le esigenze di garantire un sollecito adeguamento alle evenienze del mercato illecito: ad esempio,
in caso di "nuove" sostanze stupefacenti ovvero in caso di un significativo mutamento delle
percentuali di principio attivo che, nel tempo, caratterizzassero talune delle sostanze gi
tabellarizzate. Solo l'avere rimesso la competenza all'autorit amministrativa pu consentire rapidi
interventi correttivi o integrativi.
In proposito, non sembra che si possa prospettare alcuna violazione del principio di legalit
stabilito dall'articolo 25 della Costituzione, per l'assorbente rilievo che all'autorit amministrativa
devoluta semplicemente l'individuazione (rectius, la concretizzazione) di uno dei parametri di
riferimento utilizzabili per potere dimostrare la sussistenza del reato, e non certo la ricostruzione
della condotta integrante il reato.
Sempre in via pregiudiziale, parimenti da condividere la scelta operata di non prevedere
l'individuazione dei limiti massimi dei quantitativi detenibili per tutte le sostanze vietate, essendosi
legittimamente e non irragionevolmente limitata la determinazione di tali limiti solo relativamente
alle sostanze di maggiore abuso, per le quali solo, a ben vedere, questa risultava praticabile ed
utile.
Per le altre sostanze, in realt, un'operazione di determinazione sarebbe risultata arbitraria, almeno
allo stato, mancando dati scientifici e statistici degni di reale attendibilit.
Del resto, legittima questa soluzione limitativa il fatto che il quantitativo di principio attivo non
costituisce altro che uno dei parametri di riferimento utilizzabili per dimostrare la destinazione
illecita della droga. Ovviamente, per le sostanze rispetto alle quali mancata la determinazione
della quantit massima detenibile, potr e dovr farsi utilizzo (solo) degli altri parametri indiziari
indicati nellarticolo 73, comma 1, lettera a).
Venendo al contenuto del decreto ministeriale de quo.
Base di partenza della determinazione dei limiti massimi di principio attivo (ossia, come si
accennato, della "quantit massima detenibile": Q.M.D.) di cui alla lettera a) del comma 1 bis
dell'articolo 73, superati i quali si configura la presunzione relativa della sussistenza dell'uso non
esclusivamente personale della droga (e, quindi, del reato di cui allo stesso articolo 73),
rappresentata dall'unico dato certo, dal punto di vista scientifico, che la Commissione di studio
all'uopo istituita presso il Ministero della salute stata in grado di fornire: quello della dose media
singola (D.M.S.), intesa come "la quantit di principio attivo per singola assunzione idonea a
produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo".
Il dato quantitativo della dose media singola stato poi convenzionalmente "moltiplicato"
avendo riguardo ad un "moltiplicatore variabile" calibrato "in relazione alle caratteristiche di
ciascuna sostanza, con particolare riferimento al potere di indurre alterazioni comportamentali e
scadimento delle capacit psicomotorie": in una parola, avendo riguardo alla maggiore o minore
pericolosit riconosciuta alla sostanza.
A tal riguardo, va infatti segnalato che il moltiplicatore stato opportunamente diversificato a
seconda del tipo di sostanza stupefacente: cosicch, per esempio, per le ex "droghe leggere" (i
derivati della cannabis: hashish e marijuana) stato calcolato in termini decisamente pi ampi (20)
(in considerazione della evidentemente riconosciuta minore pericolosit di tali sostanze) rispetto a
quanto stato previsto per gli stimolanti, i narcotici e gli allucinogeni. Ci che dimostra come la
"parificazione" delle sostanze stupefacenti perseguita dal legislatore del 2006 non esclude che si sia
conservato uno spazio per un trattamento pi favorevole per le ex "droghe leggere", che attenua
l'aggravamento del trattamento sanzionatorio complessivo determinato dall'anzidetta parificazione.
Esemplificando: per la cannabis (hashish e marijuana), la dose media singola stata fissata in mg.
25, il moltiplicatore variabile in 20, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 500
(corrispondenti a circa 15/20 spinelli); per l'eroina, la dose media singola stata fissata in mg. 25, il
moltiplicatore in 10, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 250 (corrispondenti
a circa 10 assunzioni); per la cocaina, la dose media singola stata fissata in mg. 150, il
moltiplicatore in 5, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 750 (corrispondenti
a circa 5 assunzioni); per l'ecstasy (MDMA), la dose media singola stata fissata in mg. 150, il
moltiplicatore in 5, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 750 (corrispondenti
a 5 compresse/assunzioni); per l'amfetamina, la dose media singola stata fissata in mg. 100, il
moltiplicatore in 5, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 500 (corrispondenti
a circa 5 assunzioni); per l'LSD, la dose media singola stata fissata in mg. 0,05, il moltiplicatore
in 3, conseguendone una quantit massima detenibile pari a mg. 0,150 (corrispondenti a circa 3
francobolli/assunzioni).
Il criterio della quantit, come sviluppato dalla norma, potr essere utilizzabile anche ai fini
dellapplicazione della circostanza attenuante del fatto di lieve entit (articolo 73, comma 5, del
dpr n. 309/90), per dare concretezza ai parametri della quantit e della qualit della sostanza
stupefacente ivi indicati.
Sotto il primo profilo, da prevedere che la giurisprudenza si orienter a prendere in considerazione
le soglie indicate in tabella per parametrare anche il quantitativo che possa consentire di
concedere lattenuante de qua (pur se, ovviamente, nellambito dellapprezzamento complessivo
dei diversi parametri di riferimento che alla base della corretta lettura interpretativa del fatto di
lieve entit: cfr., tra le tante, Cassazione, Sezione IV, 29 settembre 2005, Frank Williams).
Sotto laltro profilo, poich con il moltiplicatore si attribuita una diversa valenza qualitativa
alle diverse sostanze stupefacenti, potr utilizzarsi tale argomento per attribuire un rilievo (anche)
alla natura della sostanza ai fini e per gli effetti dellattenuante del fatto di lieve entit, superando
cos quellorientamento, finora consolidato, in forza del quale per il parametro della qualit
richiesto dal comma 5 dellarticolo 73 poteva attribuirsi spazio solo alla maggiore o minore
purezza della sostanza stupefacente, restando invece indifferente la natura della stessa (cfr.
Cassazione, Sezione IV, 20 giugno 1996, Miranda).
Cosicch, per intenderci, per i derivati della cannabis, cui si riconosciuta una minore pericolosit,
tanto da utilizzarsi il moltiplicatore 20, potr riconoscersi un pi ampio spazio per la concedibilit
del fatto di lieve entit (purch ovviamente non risultino ostativi gli altri parametri indicati nel
comma 5 dellarticolo 73).
Va comunque osservato che il criterio indiziario della quantit, proprio in quanto correlato alla
percentuale di principio attivo, appare di scarsa utilit per le forze dellordine, le quali,
nellimmediato, potendosi avvalere solo del narcotest o di altre metodiche analoghe, possono
esclusivamente avere contezza che il reperto sequestrato contiene sostanza stupefacente, ma non
possono calcolare, "su strada", la percentuale di principio attivo. Inevitabile sar quindi, da parte
degli operatori di polizia, il ricorso agli altri criteri indiziari indicati nellarticolo 73, comma 1 bis,
lettera a), mentre il criterio "quantitativo" risulter concretamente utilizzabile solo per l'autorit
giudiziaria, la quale pu comunque avvalersi del supporto di un accertamento tecnico tossicologico
in grado di fornire il quantum di principio attivo effettivamente contenuto nella sostanza
sequestrata.

L aumento (bocciato) dei quantitativi della cannabis.- Per debito di informazione va ricordato
che il decreto del Ministero della salute del 4 agosto 2006 si era intervenuti a modificare il decreto
dell11 aprile 2006, indicante i limiti quantitativi massimi riferibili ad un uso esclusivamente
personale delle sostanze stupefacenti, provvedendosi a rideterminare in alto la quantit massima
detenibile della cannabis.
Per perseguire lo scopo di innalzare il quantitativo della cannabis, come si ricorder, si era
intervenuti sul "moltiplicatore variabile" della "dose media singola" (passato da "20" a "40"),
sicch il quantitativo massimo detenibile della sostanza, superato il quale poteva ritenersi
sussistente la presunzione che si trattava di sostanza "destinata ad un uso non esclusivamente
personale" (cfr. articolo 73, comma 1, bis, lettera a)), era stato determinato in mg. 1000, mentre nel
testo originario del decreto ministeriale dell'11 aprile 2006 era fissato in mg. 500.
Il Tar Lazio ha dapprima sospeso (ordinanza 14-15 marzo 2007 n. 1155) e poi annullato (sentenza
14-21 marzo 2007 n. 2487) il decreto di modifica sul parametro moltiplicatore relativo alla
cannabis, sul rilievo che la motivazione dellatto non spiegava le ragioni delle scelte operate, n
appriva giustificata sulla base di approfondimenti specifici sugli effetti delle sostanze stupefacenti
in questione.
Il Tar, in sostanza, ha qualificato lintervento di modifica sui limiti della cannabis come frutto di
una scelta di natura solo politica, affatto supportata da una giustificazione di natura tecnica quale
quella che ha caratterizzato la stesura del testo originario del decreto. La decisione caducatoria
appare fondata sulla ritenuta sussistenza del vizio delleccesso di potere, sintomaticamente
dimostrato dallassoluta carenza dell attivit istruttoria che avrebbe potuto (rectius, dovuto)
caratterizzare la determinazione discrezionale dellamministrazione.
Come emerge con chiarezza dal dispositivo della sentenza, il Tar non ha in alcun modo intaccato il
decreto ministeriale dell11 aprile 2006, che tuttora vigente, nel testo evidentemente anteriore alle
modifiche cassate dal giudice amministrativo. E a tale decreto che, a tuttoggi, occorre avere
integrale riguardo per la determinazione dei limiti quantitativi massimi riferibili ad un uso
esclusivamente personale delle sostanze stupefacenti.


Il peso lordo.- Scarsamente utile, sia in generale che in particolare per le determinazioni immediate
delle forze dellordine, anche il criterio del peso lordo della sostanza.
E un criterio che andrebbe in effetti sviluppato in concreto con apposite direttive e circolari che
prendano a base il dato statistico dei sequestri di droga e delle percentuali di principio attivo ivi
rinvenuto, s da potersene desumere una valenza indiziante comparando dette risultanze con i dati
ricavabili dalla tabella dei quantitativi massimi detenibili (in tal senso, mancando finora una
circolare ministeriale con effetti su tutto il territorio nazionale, si vanno muovendo talune forze di
polizia su base territoriale) (cfr., esemplificando, le tabelle in proposito redatte dai Comandi
provinciali dei Carabinieri di Palermo e di Bolzano).
per criterio necessariamente residuale perch e sar sempre troppo empirico: partendo infatti
dal dato fattuale che la sostanza non mai allo stato puro, il quantitativo di principio attivo
sempre molto variabile, non fossaltro perch fortemente condizionato dalle modalit di
confezionamento (dosi da strada, ovuli destinati ad ulteriore parcellizzazione, ecc.); anzi, le
sostanze vegetali (marijuana e hashish) sono ancora pi insuscettibili di una classificazione
statistica, giacch subiscono ulteriori condizionamenti a seconda del luogo di produzione e di
conservazione. Ci che concettualmente impedisce di poter attribuire a tale criterio, ex se solo
considerato, una valenza indiziaria veramente attendibile.
Trattasi, a ben vedere, di un criterio (inevitabilmente) "di contorno", utile per corroborare la valenza
indiziaria aliunde apprezzabile in ragione delle complessive emergenze della fattispecie.
In attesa del sopra evidenziato eventuale prontuario operativo, l'applicazione del criterio de quo
comunque rimessa, nei limiti del possibile, all' esperienza dell'operatore di polizia, il quale deve
basarsi empiricamente sul rilievo che un quantitativo di una certa consistenza, specie se
accompagnato dal rinvenimento di sostanza da taglio, normalmente destinato ad essere "tagliato"
per la successiva suddivisioni in dosi (il cui numero, pi o meno elevato, pu essere indicativo
della destinazione ad un uso non esclusivamente personale).
Inevitabilmente, inoltre, laddove si volesse procedere a contestare il reato di cui allarticolo 73
solo sulla base del criterio indiziante del peso lordo, dovr attribuirsi rilievo solo a quantitativi
lordi non minimali, ma tali da far logicamente desumere (pur con lapprossimazione data dal
necessario ricorso al criterio prognostico) la possibilit di ricavare quantitativi di principio attivo
della sostanza stupefacente senzaltro superiori alla soglia presuntiva indicata nel decreto dell11
aprile 2006.
Va comunque osservato che l' introduzione del parametro di riferimento basato sul peso lordo della
sostanza e, a fortiori, l'introduzione di quello basato sul principio attivo della sostanza (sul quale v.
supra), al di l dell'immediata utilit per l'operatore di polizia, presentano comunque un
indiscutibile vantaggio pratico: infatti sono in grado di contribuire a provocare una contrazione
della domanda, laddove possono costringere indirettamente il consumatore ad approvvigionarsi,
onde evitare il rischio della sanzione penale, di quantitativi pi esigui di quelli cui finora, per
comodit o per garantirsi una "scorta", stato abituato.


Il frazionamento della sostanza stupefacente.- Molto pi utile il criterio basato sulle "modalit
di presentazione [della sostanza], avuto riguardo..al confezionamento frazionato": non ne
dubitabile la rilevanza indiziaria e lausilio soprattutto per le immediate determinazioni delle forze
dellordine, giacch detto frazionamento pu far fondatamente ritenere che trattasi di sostanza
stupefacente destinata ad essere venduta al dettaglio sul mercato illecito. Trattasi del resto di uno
dei criteri che, tradizionalmente, finora, la giurisprudenza ha utilizzato per la dimostrazione della
destinazione illecita della droga.

Le circostanze dell'azione.- Quanto poi alle "altre circostanze dell'azione", nella relativa nozione
(estremamente ampia) rientrano tutte le circostanze "oggettive" diverse da quelle espressamente
codificate (quantitativo di principio attivo, peso lordo, frazionamento della sostanza) idonee a
supportare logicamente la destinazione della sostanza ad un uso non esclusivamente personale: per
esempio, vi rientrano le modalit di custodia della droga, le modalit spazio-temporali in cui stato
eseguito il sequestro della medesima; il ritrovamento di notevoli quantitativi di sostanza da taglio,
ecc. (per utili riferimenti, di recente, Cassazione, Sezione IV, 8 luglio 2005, Orlando).
Lutilit di tali circostanze ai fini della ricostruzione della destinazione della droga talmente
evidente da rendere superflui specifici commenti.
Piuttosto, va qui evidenziato che la circostanza della detenzione di sostanze stupefacenti di diversa
natura, che non infrequentemente, viene utilizzata come elemento dimostrativo della destinazione
allo spaccio (ci argomentando sul ritenuto dato di comune esperienza che il tossicodipendente,
come il tossicofilo, normalmente fa uso di una sola specie di stupefacente) (cfr. Cassazione, Sezione
IV, 6 giugno 2000, Proc. gen. App. Bologna ed altro in proc. Scarpellini), in realt equivoco e non
pu essere utilizzato sempre nella sua assolutezza. In effetti, nel caso della detenzione di sostanze
di diversa qualit, si in presenza di un dato che (solo unitamente agli altri) pu effettivamente
supportare il ragionamento probatorio della destinazione al mercato; mentre, ex se considerato, e
cio da solo, non a tal fine sufficiente, essendo logicamente compatibile anche con una
destinazione alluso personale non fossaltro perch usuale, per il tossicodipendente, il passaggio,
nel tempo, dalluso di sostanze meno dannose verso quelle pi pesanti, stante leffetto
dellassuefazione (cfr., di recente, efficacemente, Tribunale Napoli, 29 maggio 2006, Coladangelo
ed altro; ma v. Cassazione, Sezione VI, 14 maggio 2003, Isacchi). In una tale prospettiva, la
attribuzione di rilevanza al dato della diversa tipologia delle sostanze deve passare attraverso
l'analisi delle complessive circostanze della vicenda, con particolare rilievo da attribuire ai
quantitativi delle stesse.


Le circostanze soggettive.- Come si evidenziato, deve escludersi lesaustivit dei criteri indiziari,
s da ammettere la rilevanza solo di quelli espressamente elencati nella norma.
Al contrario, una pi attenta riflessione consente di riconoscere rilievo anche ai criteri di natura
soggettiva basati sulla qualit del trasgressore (tossicodipendente o no) e sulle condizioni di reddito
del medesimo (compatibilit o no delle condizioni di reddito con l'acquisto per soddisfare un
proprio uso personale).
Questa conclusione, lo si pi ampiamente argomentato supra, imposta dal principio del libero
convincimento e da quello dellassenza di prove legali che caratterizzano la materia penale.
Anzi, proprio tali criteri soggettivi, se attentamente intesi, possono sciogliere gli eventuali dubbi
interpretativi e condurre ad un sicuro apprezzamento sulla finalit della condotta (ergo, sulla
destinazione della sostanza stupefacente).


Luso di gruppo.- Per completare il quadro della disciplina sanzionatoria, resta da spendere
qualche considerazione sul cosiddetto uso di gruppo di sostanze stupefacenti.

La disciplina ante 2006.- In effetti, prima del novum normativo del 2006, una questione di
estremo interesse interpretativo, specie dopo gli esiti del referendum del 18-19 aprile 1993, era
costituita dal trattamento sanzionatorio da riservare al c.d. uso di gruppo di sostanze stupefacenti,
con particolare riguardo allipotesi in cui un soggetto avesse proceduto allacquisto ed alla
successiva cessione della sostanza per farne "uso di gruppo" unitamente ai terzi mandanti, che
previamente gliene avevano affidato l'incarico.
Come si ricorder, a comporre un significativo contrasto interpretativo [su cui francamente inutile
soffermare lattenzione], erano intervenute le Sezioni unite, con la nota sentenza 28 maggio 1997,
Proc. Rep. Trib. Modena in proc. Iacolare, dove, affrontando la questione controversa del
trattamento sanzionatorio da riservare allappartenente al gruppo che assuma lincarico di procedere
materialmente allacquisto della droga da destinare alluso comune, la Corte aveva aderito
allorientamento favorevole a considerare il fatto di mera rilevanza amministrativa.
Secondo le Sezioni unite, in sostanza, doveva ritenersi lillecito amministrativo di cui allarticolo 75
del dpr n. 309/90, e non il reato previsto dallarticolo 73 dello stesso dpr, non solo nel caso di
"acquisto contestuale" di sostanza stupefacente per uso personale da parte di tutti gli appartenenti ad
un gruppo, ma anche in quello in cui solo alcuni dei componenti del gruppo avevano proceduto
all'acquisto della sostanza per conto (su "mandato") degli altri e poi avevano proceduto alla
materiale suddivisione della stessa.
In estrema sintesi, per le Sezioni unite anche nelll'ipotesi del "mandato ad acquistare" il fatto
doveva considerarsi solo amministrativamente rilevante dovendosi applicare agli acquirenti in
nome e per conto degli altri appartenenti al gruppo la disciplina civilistica del "mandato" e i
relativi effetti quanto all'acquisto ed alla disponibilit della sostanza (articoli 1388 e 1706 del
codice civile): tutti gli appartenenti al gruppo, in definitiva, fin da subito, proprio in ragione del
mandato conferito acquisterebbero la disponibilit pro quota della sostanza, con l'effetto che la
successiva ripartizione per l'uso in comune doveva considerarsi penalmente non significativa.

La nuova disciplina delluso di gruppo.- La questione del trattamento sanzionatorio dell uso
di gruppo sembra per ormai definitivamente risolta a seguito del novum normativo introdotto nel
2006.
Basta porre attenzione alla nuova formulazione della fattispecie incriminatrice (cfr. articolo 73,
comma 1 bis, lettera a), del dpr n. 309/90), laddove questa configurata come sussistente, tra l'altro,
quando la condotta (per il quantitativo della sostanza e/o per gli altri parametri di riferimento ivi
indicati), si palesi dimostrativa di "un uso non esclusivamente personale" della sostanza
stupefacente.
Ne discende, in buona sostanza, il superamento dell'orientamento giurisprudenziale espresso dalle
Sezioni unite (e poi seguito costantemente dalla giurisprudenza: tra le tante, Cassazione, Sezione
IV, 5 maggio 2005, Rossi; Sezione IV, 13 luglio 2005, Ciotola), che, appunto, voleva confinare
l'"uso di gruppo" in ambito esclusivamente amministrativo.
Dalla norma incriminatrice si ricava, infatti, in termini sufficientemente chiari, la riconosciuta
rilevanza penale dell'uso personale che non sia esclusivamente "personale", avendo il legislatore
preso una netta posizione negativa nei confronti della rilevanza solo amministrativa delle condotte
in genere riconducibili all'"uso di gruppo".
Con il che, per il futuro, dovrebbe ammettersi ormai la rilevanza penale, non solo dell'uso di
gruppo qualificato dal conferimento, esplicito o implicito, da parte degli appartenenti al gruppo, del
"mandato ad acquistare" la droga solo ad uno o ad alcuni degli appartenenti al gruppo, ma anche
dell'"uso di gruppo collettivo", qualificato dall'acquisto in comune della droga da parte di tutti gli
appartenenti al gruppo per l'assunzione in comune. Nell'uno come nell'altro caso, infatti, l'uso non
sarebbe esclusivamente "personale", e, per l'effetto, comunque di rilevanza penale.
Una conferma di tale inequivoca opzione ermeneutica la si ricava anche dal disposto del "nuovo"
articolo 75, comma 1, del dpr n. 309/90, laddove il fatto amministrativo, per quanto interessa,
costruito eccettuando le ipotesi "di cui all'articolo 73, comma 1 bis", quindi anche le ipotesi di
detenzione che si palesino destinate "ad un uso non esclusivamente personale".
La scelta merita senz'altro condivisione ove si consideri che l'"uso di gruppo", almeno quando si
caratterizza nella forma del cosiddetto "mandato ad acquistare", costituisce una condotta
potenzialmente pericolosa della diffusione di sostanze stupefacenti: trattasi, a ben vedere, della
condotta di "procurare ad altri", espressamente prevista e sanzionata penalmente nell'articolo 73,
comma 1, del dpr n. 309/90. Condotta per nulla meno pericolosa delle altre sanzionate dallo stesso
articolo 73, ove si consideri che anch'essa finisce con il realizzare unillecita diffusione (a terzi)
della sostanza stupefacente non foss'altro perch, ove non vi sia chi si assuma lincarico di
procurare la droga, gli altri appartenenti al gruppo non ne potrebbero ottenere la disponibilit e/o,
comunque, per soddisfare il proprio bisogno personale, dovrebbero organizzarsi diversamente
(accettando, ad esempio, il rischio di un acquisto effettuato in prima persona).
La presa di posizione del legislatore del 2006 , in tutta probabilit, eccessivamente rigorosa per
quanto attiene l'"uso di gruppo" caratterizzato dall'acquisto in comune della droga da parte degli
assuntore: trattasi, infatti, di una condotta che non realizza unindebita diffusione della sostanza
stupefacente da chi materialmente acquista la droga a chi si limita solo ad assumerla, giacch
alloperazione procedono congiuntamente tutti i soggetti.
Peraltro, la formulazione letterale della norma, con l'inequivoco riferimento alla rilevanza penale di
qualsivoglia usa "non esclusivamente personale", non consente interpretazioni correttive tali da
consentire una rilevanza solo amministrativa dell'uso personale non meramente individuale, ma in
forma collettiva.
Piuttosto, tale situazione potr essere considerata, per l'evidente minore gravit, nella ricorrenza
delle condizioni di legge, per la possibilit applicabilit della circostanza attenuante del "fatto di
lieve entit" di cui all'articolo 73, comma 5, del dpr n. 309/90 .


Le novit relative all attenuante del fatto di lieve entit.- Per completare la disamina nei
termini richiesti dal tema della relazione, resta da dire degli effetti che la disciplina di modifica del
2006 ed altre pressoch coeve novit normative hanno determinato sullambito di operativit della
circostanza attenuante del fatto di lieve entit, prevista dallarticolo 73, comma 5, del dpr n. 309/90,
che, come noto, introduce una risposta sanzionatoria pi attenuata da parte dellordinamento,
allorch i fatti delittuosi previsti dallo stesso articolo siano di lieve entit, per i mezzi, per la
modalit o le circostanze dellazione ovvero per la qualit e quantit delle sostanze.
Sotto il primo profilo, ci si gi soffermati supra sugli effetti che potrebbero derivare
nellapprezzamento del fatto di lieve entit (in particolare dei parametri della quantit e della qualit
della sostanza stupefacente) dalle modalit con le quali stato costruito il parametro indiziario
della quantit dello stupefacente nellarticolo 73, comma 1 bis, lettera a).
Sotto laltro profilo, qualche questione sorta, in conseguenza della natura giuridica della
fattispecie di cui allarticolo 73, comma 5, in relazione alla determinazione della pena in caso di
contestazione della recidiva reiterata.


Fatto di lieve entit e recidiva.- Questultima questione si pone perch la fattispecie della lieve
entit , ormai pacificamente, considerata una circostanza attenuante speciale dei delitti previsti
dall'articolo 73 del dpr n. 309/90, e non una fattispecie autonoma di reato. Laffermata natura
circostanziale della fattispecie in esame, ne importa, quale pi significativa conseguenza operativa,
la valutazione comparativa ex articolo 69 del Cp con le altre circostanze di reato, compresa la
recidiva (tra le tante, Cassazione, Sezione VI, 28 aprile 2003, Proc. gen. App. Genova in proc.
Tavernelli).
Ci detto, va quindi posta l'attenzione sul disposto del comma 4 dell'articolo 69 del Cp, come
modificato dall'articolo 3 della legge 5 dicembre 2005 n. 251 (cosiddetta legge ex-Cirielli), laddove
si limita fortemente il potere discrezionale attribuito dall'articolo 69 del Cp al giudice in sede di
comparazione tra le circostanze. Viene previsto, infatti, nel nuovo comma 4 dell'articolo 69, che
le regole ordinarie sulla comparazione, contenute nei primi tre commi della disposizione, non si
applicano, nella loro massima estensione, nell'ipotesi di recidiva reiterata (articolo 99, comma 4,
del Cp) ed in quelle in cui siano state contestate e ritenute le circostanze aggravanti previste dagli
articoli 111 e 112, comma 1, numero 4, del Cp (sono le circostanze aggravanti previste, nel
concorso di persone nel reato, a carico di chi abbia determinato a commettere il reato,
rispettivamente, persona non imputabile o non punibile ovvero un minore di anni diciotto o
persona in stato di infermit o di deficienza psichica): in tutte queste ipotesi, le eventuali attenuanti
che il giudice ritenga di dovere e potere concedere (in primis, quelle generiche, ma, per quanto
interessa, anche quella del "fatto di lieve entit" ex articolo 73, comma 5) non possono mai essere
ritenute prevalenti, ma solo equivalenti, rispetto alle ritenute circostanze aggravanti.
E' disposizione notevolmente limitativa del potere di autonoma valutazione del giudice: infatti,
nella ricorrenza delle suindicate condizioni, anche plurime circostanze attenuanti di cui fossero
apprezzati i presupposti non potrebbero giovare appieno ai fini del riconoscimento di un trattamento
sanzionatorio di favore, giacch, per scelta del legislatore, il giudice potrebbe al massimo ritenerle
equivalenti rispetto alle ritenute circostanze aggravanti. E ci anche quando la circostanza
aggravante "pregiudicante" fosse una sola, ricompresa ovviamente tra quelle di cui agli articoli 99,
comma 4, 111 o 112, comma 1, numero 4, del Cp.
La finalit restrittiva perseguita dal legislatore ha effetti particolarmente evidenti in materia di
violazioni dell'articolo 73 del dpr n. 309/90, giacch queste, non infrequentemente, sono commesse
da recidivi reiterati: ne deriva che, pur in presenza di fatti illeciti modestissimi e tali da rientrare
nell'ambito di operativit della fattispecie di cui all'articolo 73, comma 5, l' attenuante del "fatto di
lieve entit", come pure le attenuanti generiche che fossero concorrentemente concesse, non
potrebbero che essere ritenute "equivalenti" rispetto alla contestata recidiva, con conseguente
applicabilit, per la determinazione della pena, del disposto dell'articolo 69, comma 3, del Cp, in
forza del quale deve applicarsi "la pena che sarebbe inflitta se non concorresse alcuna di dette
circostanze". Per cogliere la valenza di tale disciplina di rigore, basta pensare, ad esempio, ad una
modestissima ipotesi di "spaccio" di sostanze stupefacenti commessa da un recidivo reiterato: pur
laddove il giudice riconoscesse l'attenuante del fatto di "lieve entit" (e magari anche le attenuanti
generiche), la pena "minima" applicabile sarebbe quella "base" indicata nel comma 1 dell'articolo
73 (laddove, come noto, il minimo edittale fissato nella misura di sei anni di reclusione e 26.000
euro di multa).



Levoluzione della giurisprudenza.- E noto come la giurisprudenza di merito, fin da subito, abbia
cercato di trovare in via interpretativa una soluzione correttiva, vuoi sostenendo che leffetto
preclusivo ex articolo 69, comma 4, del Cp non sarebbe applicabile alle circostanze ad effetto
speciale (cfr. Appello Brescia, 23 febbraio 2007; Tribunale Genova, 10 febbraio 2006), vuoi
sostenendo la facoltativit anche dellipotesi della recidiva reiterata che si estenderebbe anche agli
effetti diversi dallaumento della pena (cfr. Tribunale di Rovereto, 15 dicembre 2006, Pernigo),
vuoi sostenendo che leffetto preclusivo concernerebbe solo laggravante protetta della recidiva,
ma non impedirebbe la comparazione libera delle altre circostanze (cfr. Tribunale Grosseto, 8
maggio 2006).
La giurisprudenza della Cassazione si espressa, allinizio, in termini restrittivi, sostenendosi che
la recidiva uno status soggettivo onde, laddove ritenuta dal giudice, comporterebbe leffetto
preclusivo della comparazione ex articolo 69, comma 4, del Cp, mentre facoltativo, semmai,
sarebbe solo laumento di pena (Cfr. Cassazione, Sezione VI, 27 febbraio 2007, Proc. gen. App.
Genova in proc. Nasrallah, nonch, Sezione IV, 27 febbraio 2007, Proc. Rep. Trib. Genova in proc.
B.A.; in senso contrario, per, Sezione IV, 11 aprile 2007, Serra ed altro, e Sezione IV, 19 aprile
2007, Proc. gen. App. Genova in proc. Menadi ed altri, che patrocinano entrambe, sia pure con
passaggi argomentativi non sovrapponibili, una lettura della recidiva reiterata in termini di
facoltativit, da intendere come estesa anche agli effetti limitativi del giudizio di comparazione
tra le circostanze).
La questione pare, oggi, [superata e] diversamente risolvibile, alla luce degli spazi offerti dalla
sentenza della Corte costituzionale 14 giugno 2007 n. 192, il cui intervento ha consentito il formarsi
di un apprezzabile orientamento interpretativo nella giurisprudenza di legittimit, dove si patrocina
un inquadramento di tutte le ipotesi di recidiva (tranne quella di cui al comma 5 dellarticolo 99 del
Cp) come facoltative. Secondo tale prospettazione, in sostanza, quando il giudice ritiene di non
applicare in concreto la recidiva [perch considera che il delitto commesso non sia espressione di
una maggiore pericolosit del reo in ragione delle circostanze di cui allarticolo 133 del Cp: natura
dei precedenti, tempo trascorso, natura del reato contestato, ecc.] non opera l effetto preclusivo ex
articolo 69, comma 4, del Cp (cfr. Cassazione, Sezione IV, 2 luglio 2007, Proc. gen. App. Cagliari
in proc. Farris).
Va piuttosto notato che, volendo accogliere questultimo orientamento interpretativo, una
indiscutibile valenza per escludere lapplicabilit della recidiva reiterata la pu avere
lapprezzamento della gravit del fatto sub iudice: rispetto a tale apprezzamento ben potrebbe
riconoscersi rilievo alla qualit della sostanza stupefacente (maggiore o minore pericolosit della
stessa) desumibile non tanto e non solo dalla percentuale di purezza, ma anche dal tipo di sostanza.
Infatti, come gi osservato, la parificazione tra tutte le sostanze vietate non ha impedito di
differenziarne la pericolosit con la diversificazione del moltiplicatore variabile utilizzato per
lindividuazione della Q.M.D. Da ci conseguendone, per intenderci, un possibile pi favorevole
trattamento per lhashish e la marijuana, la cui riconosciuta minore pericolosit ben potrebbe
legittimare lesclusione in concreto della contestata recidiva (laddove non ostino al giudizio di
favore altre circostanze ricomprese nellarticolo 133 del Cp, tali da far propendere per una
significativa pericolosit soggettiva).


La sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilit.- Per completare il discorso
sullattenuante del fatto di lieve entit, merita di essere richiamata lattenzione su una delle novit
pi importanti che nella subiecta materia stata introdotta con la legge n. 49 del 2006.
Con lintervento di riforma del 2006, con una finalit ampliativa delle possibilit di recupero del
tossicodipendente, si previsto, in un apposito comma 5 bis del "nuovo" articolo 73, che il giudice,
nell'ipotesi in cui ritenga sussistente il "fatto di lieve entit", limitatamente ai reati di cui allo stesso
articolo 73, possa applicare, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta
delle parti a norma dell'articolo 444 del Cpp, anzich le pene detentiva e pecuniaria, quella del
lavoro di pubblica utilit prevista dall'articolo 54 del decreto legislativo 28 agosto 2000 n. 274.
Sostanzialmente, l'applicazione del lavoro di pubblica utilit subordinata al riconoscimento da
parte del giudice dell'attenuante del "fatto di lieve entit" ex articolo 73, comma 5.
Proceduralmente, l'applicazione del lavoro di pubblica utilit subordinata a tre diverse condizioni.
In primo luogo, alla circostanza che il giudice non ritenga di dover concedere il beneficio della
sospensione condizionale della pena.
In secondo luogo, alla esplicita richiesta dell'imputato, che risulti peraltro essere "persona
tossicodipendente" o "assuntore di sostanze stupefacenti o psicotrope" [si noti che il riferimento al
semplice assuntore di sostanze stupefacenti qui introdotto per la prima volta ai fini del
funzionamento della disciplina sanzionatoria degli stupefacenti, volendosi allevidenza fare
richiamo a chi faccia un uso saltuario delle sostanze vietate].
In terzo luogo, al parere (non vincolante) del pubblico ministero, che deve essere "sentito" sulla
richiesta dell'imputato.


La disciplina procedimentale.- Il lavoro di pubblica utilit trova la sua disciplina generale
nell'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000, contenente le disposizioni sulla competenza
penale del giudice di pace [sulla determinazione delle modalit di svolgimento del lavoro di
pubblica utilit v., peraltro, anche il D.M. Giustizia 26 marzo 2001]: a tale disciplina, laddove non
diversamente disposto nell'articolo 73, comma 5 bis, e nei limiti della compatibilit, occorre fare
riferimento per ricostruire il meccanismo che va seguito per la "sostituzione" delle pene detentiva
e pecuniaria.
L'applicazione della pena del lavoro di pubblica utilit presuppone tre diverse scansioni
procedimentali: la richiesta dell'imputato, il parere del pubblico ministero e la decisione del
giudice.

La richiesta dell'imputato. La richiesta dell'imputato presupposto essenziale della "sostituzione",
non potendo il giudice provvedere d'ufficio.
La richiesta pu essere avanzata solo prima che il giudice abbia pronunciato la sentenza con cui
definisce il giudizio, risultando chiaro, dalla formulazione letterale dell'articolo 73, comma 5 bis,
che la "sostituzione" pu avvenire solo contestualmente alla pronuncia della sentenza di condanna o
di patteggiamento ("il giudice, con la sentenza di condanna o di applicazione della pena su richiesta
delle parti a norma dell'articolo 444 del Cpp, su richiesta dell'imputatopu applicare"): la
richiesta dell'imputato, in altri termini, deve essere formulata in via preventiva, per l'ipotesi in cui
il giudice ritenga di doverlo condannare o di accedere alla richiesta di patteggiamento. E' evidente,
quindi, la differenza rispetto al meccanismo procedimentale configurato nell'articolo 33 del decreto
legislativo n. 274 del 2000, laddove la richiesta dell'imputato di applicazione del lavoro di pubblica
utilit non pu che essere successiva alla sentenza di condanna, giacch in tale sede che il giudice,
laddove ritenga di poter applicare il lavoro di pubblica utilit, indica "il tipo e la durata" del lavoro
di pubblica utilit, rispetto al quale l'imputato o il suo difensore munito di procura speciale possono
avanzare la relativa richiesta.
Che la richiesta debba essere formulata in via preventiva confermato da un'altra decisiva
considerazione. Il beneficio applicabile solo al "tossicodipendente" o all'"assuntore" di sostanze
stupefacenti, cosicch, laddove tali condizioni soggettive non emergano aliunde dagli atti, onere
dell'interessato sar anche quello di articolarne positivamente la prova (producendo non solo
documenti a supporto: ad esempio, il certificato di tossicodipendenza; ma anche articolando al
riguardo, per tempo, prova testimoniale): e ci l'interessato potr fare solo prima della definizione
del processo, con la pronuncia della sentenza da parte del giudice.
Sembra corretto ritenere, nonostante il silenzio dell'articolo 73, comma 5 bis, che la richiesta, oltre
che personalmente dall'imputato, possa essere presentata anche dal difensore, purch munito di
procura speciale (arg. ex articolo 33, comma 1, del decreto legislativo n. 274 del 2000). Tale
conclusione confortata da un duplice ordine di considerazioni: da un lato, la considerazione che la
disciplina generale sul lavoro di pubblica utilit contenuta dalla normativa sul giudice di pace non
, sul punto, incompatibile con il disposto dell'articolo 73, comma 5 bis; dall'altro, l'ulteriore
considerazione logico sistematica in forza della quale, poich la richiesta di sostituzione pu essere
formulata in occasione della presentazione dell'istanza di patteggiamento, incomprensibile sarebbe
il consentire la presentazione da parte del difensore munito di procura speciale della seconda (cfr.
articolo 446, comma 3, del Cpp), ma non anche della prima.


Il contenuto della richiesta.- Vi da chiedersi, quanto al "tipo" di lavoro di pubblica utilit, se la
richiesta dell'imputato possa essere avanzata genericamente, rimettendo cio al giudice la relativa
scelta determinativa, e se, in caso di richiesta specifica avente ad oggetto un particolare "tipo" di
lavoro, il giudice ne risulti in qualche modo vincolato.
Per una corretta soluzione di queste questioni non riteniamo possa essere utilmente invocata la
peculiare disciplina relativa al processo penale davanti al giudice di pace, che pare strutturalmente
incompatibile con quella dettagliata nell'articolo 73, comma 5 bis.
In detta disciplina, infatti, la richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilit non
formalizzata in via preventiva, ma segue necessariamente la sentenza di condanna, qualora in questa
il giudice, non solo si sia espresso nel senso della possibilit di procedere all'applicazione del lavoro
di pubblica utilit, ma ne abbia anche individuato specificamente "il tipo e la durata": con la ovvia
conseguenza che la richiesta dell'imputato non potrebbe che avere un oggetto rigorosamente
predeterminato (cfr. articolo 33 del decreto legislativo n. 274 del 2000).
Invece, nella disciplina in esame, come si visto, la richiesta va necessariamente formulata in via
preventiva, dovendo il giudice provvedere "contestualmente" alla sentenza di condanna o di
"patteggiamento". Ci consente di ritenere, anche perch la lettera della norma non autorizza
interpretazioni restrittive, la possibilit di una richiesta indeterminata nell'oggetto, che rimetta cio
al giudice l'individuazione del tipo di lavoro di pubblica utilit. Una richiesta di tal genere,
astrattamente ammissibile, presenta il rischio di essere rigettata, ove il giudice ritenga di non poterla
accogliere proprio per la genericit e per la conseguente impossibilit di individuare un lavoro di
pubblica utilit concretamente applicabile al caso di specie. Per converso, laddove l'interessato
abbia articolata una richiesta avente uno specifico oggetto (ergo, avente ad oggetto un determinato
"tipo" di lavoro di pubblica utilit), da ritenere che il giudice, laddove l' accolga, non possa che
accedere al tipo di lavoro di pubblica utilit richiesto, non essendo compatibile con il tipo di
sanzione (che presuppone la collaborazione del soggetto sottopostovi) la scelta di modalit diverse
da quelle rappresentate nella richiesta (il giudice, in questa prospettiva, libero solo nella
determinazione della "durata" del lavoro, commisurata per relationem alla durata della sanzione
detentiva che ritenga irrogabile); con la conseguenza che laddove il giudice ritenga impraticabile il
tipo di lavoro proposto dovr necessariamente rigettare la richiesta (salvo che l'interessato, in
subordine, abbia rimesso al giudice la scelta del lavoro di pubblica utilit ritenuto pi opportuno).


Il "parere" del pubblico ministero.- Ulteriore presupposto essenziale della "sostituzione"
l'intervento del pubblico ministero, il quale deve essere solo "sentito": ergo, svolge un ruolo
necessariamente consultivo, ma non vincolante. Il giudice pu aderire, quindi, alla richiesta
dell'imputato anche andando di diverso avviso rispetto alle determinazioni del pubblico ministero.
Dalla necessit di dover sentire il pubblico ministero discende, comunque, che l'eventuale
inosservanza pu costituire oggetto di specifico motivo di impugnazione.

La decisione del giudice.- Sulla richiesta di "sostituzione" avanzata dall'imputato, il giudice,
acquisito il parere del pubblico ministero, deve provvedere con la sentenza di condanna o di
"patteggiamento".
Peraltro, come si accennato, il giudice libero di decidere, sia non accogliendo la richiesta
dell'imputato, anche a fronte di un parere positivo del pubblico ministero, sia accogliendola,
andando di contrario avviso alle determinazioni sfavorevoli del pubblico ministero.
La "sostituzione" con la pena del lavoro di pubblica utilit non costituisce, infatti, un diritto
dell'imputato, essendo rimessa la relativa applicazione all'apprezzamento discrezionale del giudice
(significativo l'utilizzo, nell'articolo 73, comma 5 bis, del termine "pu") da esercitarsi avendo
riguardo principalmente al parametro costituzionale espresso dall'articolo 27 (in particolare, sub
specie, dell'idoneit della misura a tendere alla rieducazione del condannato), ai parametri di cui
agli articoli 132 e 133 del Cp, oltre che ai parametri dettagliati nello stesso articolo 73, comma 5 bis
(per esempio, in caso di lavoro da svolgersi presso una struttura autorizzata ai sensi dell'articolo 116
del dpr n. 309/90, la richiesta non potrebbe essere accolta laddove mancasse il "previo consenso"
della medesima). Tale apprezzamento, se congruamente motivato, insuscettibile di censura in
sede di legittimit.
L'insussistenza di un diritto all'applicazione del lavoro di pubblica utilit concerne anche l'istituto
del "patteggiamento". Infatti, sembra corretto desumere dalla lettera della norma (il termine "pu"
riferito non solo alla sentenza di condanna, ma anche a quella di "patteggiamento"), che l'accordo ex
articolo 444 del Cpp pu riguardare solo le pene detentiva e pecuniaria previste edittalmente per il
reato, onde su tale accordo che deve pronunciarsi il giudice, il quale, poi, laddove ritenga di
accoglierlo, in sede di sentenza ed in presenza di specifica richiesta dell'imputato, "pu"
provvedere a "sostituire" la pena "patteggiata" con quella del lavoro di pubblica utilit. Che il
lavoro di pubblica utilit sia fuori dall'accordo confermato dal rilievo che sulla "sostituzione" deve
essere solo "sentito" il pubblico ministero (il quale, all'evidenza, sulla richiesta di patteggiamento
ha gi prestato il suo "consenso").
Da quanto esposto discendono due importanti conseguenze. La prima concerne la posizione
dell'imputato, il quale, laddove avanzi richiesta di patteggiamento, non pu certo subordinarla alla
sostituzione della pena edittale con quella del lavoro di pubblica utilit (una tale condizione sarebbe
irrilevante e priva di effetti). L'altra concerne la posizione del pubblico ministero, il quale sulla
sostituzione della pena con il lavoro di pubblica utilit non pu esprimere altro che un parere non
vincolante per il giudice (inequivoco, va ribadito, l'utilizzo dell'espressione "sentito").


Esecuzione del lavoro di pubblica utilit e esigenze di cautela.- Non ovviamente concepibile, in
difetto di esplicita previsione e in ossequio ai principi generali, che il lavoro di pubblica utilit
possa essere applicato con efficacia immediatamente esecutiva. Per leffettivo inizio della
prestazione, quindi, dovr inevitabilmente attendersi il passaggio in giudicato della sentenza. Nelle
more, non sembrerebbe possibile lapplicazione nei confronti dellimputato di una misura
cautelare personale, anche diversa da quella custodiale in carcere. Ci perch, logicamente,
lapprezzamento valutativo svolto dal giudice (nei termini di cui si detto), sulla sussistenza dei
presupposti per la concedibilit del beneficio sanzionatorio (in particolare, la rilevata prognosi
favorevole in ordine al recupero del soggetto), ci sembra che escluda concettualmente la
configurabilit concorrente di esigenze meritevoli di soddisfazione con limposizione di una misura
cautelare.


La durata del lavoro di pubblica utilit.- Quanto alla "durata" del lavoro di pubblica utilit
dispone espressamente l'articolo 73, comma 5 bis, che, in espressa deroga a quanto previsto
dall'articolo 54 del decreto legislativo n. 274 del 2000 (laddove si fissa una durata non inferiore a
dieci giorni ma non superiore a sei mesi), la determina per relationem avendo riguardo alla durata
della sanzione detentiva irrogata (vuoi in sede di condanna, vuoi in sede di "patteggiamento").

Il regime giuridico del lavoro di pubblica utilit.- Va ricordato che, ai sensi dell'articolo 58 del
decreto legislativo n. 274 del 2000, il lavoro di pubblica utilit deve considerarsi, "per ogni effetto
giuridico", come pena detentiva della specie corrispondente a quella originaria: e tra gli effetti
giuridici evocati dalla norma deve annoverarsi anche quello relativo al computo della prescrizione.

L'ambito di applicazione della sostituzione.- La sostituzione con il lavoro di pubblica utilit pu
riguardare solo la pena inflitta per i reati di cui all'articolo 73 del dpr n. 309/90 e solo qualora si
ritengano sussistenti i presupposti dell'attenuante del "fatto di lieve entit". L'inequivoca
formulazione del comma 5 bis dell'articolo 73 ("nell'ipotesi di cui al comma 5, limitatamente ai reati
di cui all'articolo 73") non sembra consentire interpretazioni estensive.
Ne deriva che, per esempio, in caso di plurime violazioni dell'articolo 73 del dpr n. 309/90, poich
la configurabilit della circostanza attenuante del "fatto di lieve entit", anche nel caso in cui si
ravvisi il vincolo della continuazione, va apprezzata in relazione ad ogni singolo episodio
delittuoso, qualora il giudice la ritenga concedibile solo per alcune delle violazioni, solo per queste
potr provvedere, nel caso, alla sostituzione con il lavoro di pubblica utilit, scorporando la relativa
frazione di pena.
Ne deriva ancora, sempre esemplificando, che il giudice, in caso di riconosciuta continuazione con
un reato diverso da quelli indicati nell'articolo 73, se ritenga di accogliere la richiesta dell'imputato,
non possa che limitare la sostituzione alla frazione di pena applicata per il reato di cui all'articolo
73.

La reiterabilit del beneficio.- A conferma della finalit di recupero posta alla base della
sostituzione, previsto (v. articolo 73, comma 5 bis, ultimo periodo) che questo possa essere
concesso fino a due volte.

I rapporti con la sospensione condizionale della pena.- Come si visto, l'applicazione del lavoro
di pubblica utilit presuppone, tra l'altro, che il giudice non ritenga di concedere il beneficio della
sospensione condizionale della pena. Si potrebbero porre alcuni problemi interpretativi.
Il primo concerne la posizione dell'imputato rispetto al beneficio della sospensione condizionale
della pena, la cui concessione osta all' applicazione del lavoro di pubblica utilit.
Proprio il collegamento tra i due benefici determina che l'imputato possa avere uno specifico
interesse a non vedersi riconosciuto il beneficio della sospensione condizionale della pena, siccome
ostativo a quello previsto dall'articolo 73, comma 5 bis. Cosicch, sembra corretto ritenere che
l'imputato, che abbia fatto richiesta di sostituzione della pena edittale con quella del lavoro di
pubblica utilit e se la sia vista rigettare per avere il giudice riconosciuto i presupposti per la
concessione della sospensione condizionale, possa impugnare, con il diniego della sostituzione,
anche il riconoscimento della sospensione condizionale. Infatti, in tale evenienza, sussiste
senz'altro l'interesse dell'imputato ad impugnare l'intervenuta concessione di quest'ultimo beneficio,
giacch questa confligge con il suo interesse giuridicamente apprezzabile a vedersi riconosciuto il
diverso beneficio del lavoro di pubblica utilit.
Il secondo riguarda la disciplina applicabile nell'ipotesi in cui la concessa sospensione condizionale
della pena (ostativa al beneficio de quo) sia stata successivamente revocata.
In altri termini, nel silenzio della norma, vi da chiedersi quali conseguenze derivino da un
eventuale revoca ex articolo 168 del Cp della sospensione condizionale della pena; in particolare,
se l'interessato, condannato, con pena originariamente sospesa, per uno dei reati di cui all'articolo
73, con la concessione dell'attenuante del "fatto di lieve entit", possa chiedere in sede esecutiva,
dopo la revoca della sospensione condizionale, la sostituzione delle pene detentiva e pecuniaria con
quella del lavoro sostitutivo.
E' da ritenere che nulla osti alla soluzione affermativa, dovendosi in proposito applicare il
procedimento di esecuzione di cui all'articolo 666 del Cpp e, in particolare, il comma 5 di tale
disposizione, che disciplina i poteri istruttori del giudice dell'esecuzione, facoltizzato a richiedere
alle autorit competenti tutti i documenti e le informazioni rilevanti per la decisione (in primo
luogo, il fascicolo processuale) e di assumere, nel rispetto del contraddittorio, financo le prove a tal
fine utili. Poteri istruttori che dovranno essere esercitati laddove, mancando elementi concreti negli
atti processuali, si tratti di acclarare la condizione soggettiva di tossicodipendente/assuntore
dell'interessato, necessaria per l'accesso al beneficio.

La revoca.- L'ultima parte del comma 5 bis dell'articolo 73 disciplina le conseguenze della
violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilit.
E' prevista la revoca della pena con conseguente ripristino di quella sostituita. Competente, su
richiesta del pubblico ministero o anche d'ufficio, il giudice che procede, o quello dell'esecuzione,
con le formalit di cui all'articolo 666 del Cpp, il quale deve, a tal fine, tenere conto dell'entit dei
motivi e delle circostanze della violazione. Avverso il provvedimento di revoca ammesso ricorso
per cassazione, che non ha per effetto sospensivo.
Nel silenzio della norma, vi da chiedersi quali siano gli effetti della revoca. E' da ritenere che il
lavoro di pubblica utilit, pur importando il non ingresso in carcere del condannato, rappresenti pur
sempre una pena, con limportante conseguenza che, in caso di revoca anche per comportamento
incompatibile, il periodo di tempo trascorso positivamente a svolgere il lavoro di pubblica utilit
deve essere considerato come pena regolarmente eseguita e, quindi, va computato nella pena
complessiva da scontare: conforto in tal senso sembra trovarsi anche nel riferimento, operato
nell'articolo 73, comma 5 bis, al "ripristino" della pena sostituita, che lascia propendere per
l'efficacia ex nunc del relativo provvedimento del giudice, il quale, quindi, nella determinazione
della pena da espiare dovr detrarre il periodo di tempo in cui il condannato ha effettivamente e
proficuamente svolto l'attivit lavorativa.
Va ancora precisato, con riguardo ai provvedimenti che il giudice pu adottare a fronte
dell'accertata violazione degli obblighi connessi allo svolgimento del lavoro di pubblica utilit, che
la revoca della misura sostitutiva solo una delle opzioni possibili (quella massima, conseguente
alle violazioni pi gravi, dimostrative dell'inefficacia della misura sostitutiva): il giudice, infatti, a
tal fine deve tenere conto "dell'entit dei motivi e delle circostanze della violazione" e, all'esito, pu
anche non procedere alla revoca, limitandosi, piuttosto, ad adottare nuove e diverse prescrizioni pi
idonee a corrispondere alle esigenze del caso concreto (anche nella prospettiva della prevenzione
del rischio di ulteriori inosservanze). In tale occasione, riteniamo che il giudice non possa mancare
di "rideterminare" la pena residua ancora da scontare, scorporando dal periodo di tempo relativo al
"presofferto" quello in realt sostanzialmente non scontato in ragione dell'accertato comportamento
violativo.


Problemi di diritto intertemporale.- Va ancora soffermata l'attenzione su alcuni problemi
interpretativi in materia di successione nel tempo di leggi penali.
Non infatti dubitabile che l'applicazione del lavoro di pubblica utilit si risolve in una disposizione
di favore per il reo, che quindi dovrebbe trovare applicazione, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, del
Cp, anche ai fatti commessi sotto il vigore della previgente disciplina, laddove non definiti con
sentenza irrevocabile.
Va peraltro evidenziato che, una volta individuata la disposizione complessivamente pi
favorevole, il giudice deve applicare questa nella sua integralit, ma non pu combinare un
frammento normativo di una legge e un frammento normativo dell'altra legge secondo il criterio del
favor rei, perch in tal modo verrebbe ad applicare una terza fattispecie di carattere intertemporale
non prevista dal legislatore, violando cos il principio di legalit: da ci discende che, laddove il
giudice ritenga di accedere alla richiesta di applicazione del lavoro di pubblica utilit, per i limiti
edittali della pena detentiva da sostituire dovr avere riguardo (anche per le ex "droghe leggere") a
quelli stabiliti nel nuovo comma 5 dell'articolo 73, essendogli imposto di applicare il novum
normativo, in concreto pi favorevole, nella sua integralit.
L'applicazione del novum normativo ex articolo 2, comma 4, del Cp. pu porre taluni ulteriori
problemi laddove il processo sia stato gi definito in primo grado e penda davanti al giudice
dell'impugnazione.
In appello, ai fini dell'eventuale applicazione del lavoro di pubblica utilit, dovr procedersi alla
rinnovazione dell'istruzione dibattimentale (articolo 603 del Cpp), se e qualora occorra accertare la
sussistenza delle condizioni soggettive (l'essere l'imputato "tossicodipendente" o "assuntore" di
sostanza stupefacente).
Il giudice di legittimit, invece, laddove l'impugnazione sia ammissibile e i motivi di ricorso lo
consentano, non potr che annullare con rinvio al giudice di merito, affinch sia questi a verificare
l'eventuale applicabilit della nuova disciplina pi favorevole. L'istituto de quo concettualmente
inapplicabile in cassazione, risultando non invocabile il disposto dell'articolo 620, comma 1, lettera
l), del Cpp ed esulando dai poteri del giudice di legittimit, a tacer d'altro, quello di procedere alla
determinazione delle modalit esecutive del lavoro di pubblica utilit.
*



GIUSEPPE AMATO

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Per ulteriori approfondimenti, volendo, ci si permetta rinviare al volume G. AMATO, Stupefacenti. Teoria e pratica,
sesta edizione, Laurus Robuffo-Roma, 2006

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