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A MISURA DI DEMOCRAZIA

di Maria Cantarini e Federico Florà

L’epoca di crisi e di trasformazione coinvolge anche il nostro sistema di democrazia parlamentare.

In questi ultimi anni, la politica sembra aver scoperto di colpo la dimensione “tempo”: il ritmo della globalizzazione,
la velocità delle comunicazioni, la portata e l’imprevedibilità delle crisi richiede risposte efficaci in tempi rapidi.

Il Governo cavalca un’ordinaria urgenza che pare delegittimare il ruolo del Parlamento, percepito come organo
“ingombrante”, intrappolato in un sistema di bicameralismo perfetto lento e inefficiente. Il Governo sembra quasi
“schiacciare” il Parlamento, che pare quindi vivere una crisi d’identità almeno quanto il partito, incapaci
entrambi di interpretare efficacemente la rappresentanza popolare che la Costituzione gli affida.

L’esecutivo si fa sempre più “legislatore”, anche perché si percepisce forte di una diretta investitura popolare. In
effetti, se provate a chiedere ad un elettore per chi ha votato, vi risponderà che Governo o che partito ha votato.
Pochi sapranno individuare e riconoscere i propri rappresentanti, i parlamentari che ha eletto.
Tale paradosso è aggravato dall’attuale sistema elettorale: sono le “oligarchie” di partito a indirizzare
irrimediabilmente il voto popolare nella scelta dei parlamentari. Come un rubinetto, del quale il popolo ormai può
solo dosare l’intensità, ma non verificare e controllare la potabilità del liquido che attinge.
E quello stesso partito, a cui pure è assegnata una funzione così rilevante, allo stesso tempo si sottrae a qualsiasi
disciplina che renda democratico l’accesso alle candidature ed i processi di selezione interna. Quel partito, che pure
sembrava aver fallito la sua missione democratica già nel ’92, al tramonto della “Repubblica dei partiti”, oggi, cadute
le ideologie, aperto il mercato e liberato l’accesso all’informazione, sembra rappresentare davvero pochi.
Ed oggi il parlamentare, slegato da un territorio e da un elettorato è un uomo solo e debole, rende conto alle
gerarchie di partito e di maggioranza. Ed il Governo straripa.
Tuttavia, siamo sicuri che la rappresentazione del Governo come ontologicamente “cattivo” sia corretta?
Dobbiamo rimpiangere i tempi delle discussioni parlamentari infinite, dei governi balneari e dei governi marionetta?
Oppure dobbiamo temere lo spettro di un nuovo regime alle porte?

Forse, più semplicemente, piuttosto che rimpiangere nostalgicamente l’Esprit des Loix di Montesquieu dovremmo
essere in grado di trovare il nuovo spirito dello Stato di diritto.
Dovremmo trovare il coraggio di rischiare, di innovare e trasformare il sistema, senza per questo tradire i principi
fondamentali che ispirano ed animano la nostra Costituzione.
Qualche soluzione forse c’è, a Costituzione invariata. Noi le abbiamo scritte: le abbozziamo sommariamente.

Approvare una “legge organica” sui partiti, per stabilirne requisiti d’accesso e democraticità, e dare finalmente
attuazione al “metodo democratico” concepito dall’articolo 49 della Costituzione, per rendere i partiti strumento di
“effettiva partecipazione” di tutti i cittadini “all’organizzazione politica, economica e sociale” del Paese come
disposto dall’art. 3 della Costituzione dando sostanza alla sovranità popolare.
Procedere ad una riforma della legge elettorale che restauri il rapporto tra parlamentare ed elettore, restituendo
forza ed autorevolezza al singolo rappresentante ed al Parlamento come istituzione.
Riformare i regolamenti parlamentari, consentendo che il Governo sia il leader della programmazione dei lavori, con
la garanzia della certezza dei tempi di conclusione dell’iter legislativo. Al fine di bilanciare le nuove prerogative

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dell’Esecutivo, occorrerebbe poi affidare al Parlamento, oltre che un più incisivo potere emendativo, soprattutto una
più penetrante funzione di controllo sull’operato del Governo stesso, di cui dovrebbe essere “il primo giudice”.
Valorizzare l’ampia funzione, anche nel procedimento legislativo, che la Costituzione già riconosce al Presidente
della Repubblica (si legga l’art. 87 Cost.), come vera valvola di sicurezza del sistema, come garante dei valori
costituzionali e della legittimità del procedimento legislativo.
Sul piano costituzionale, a nostro avviso non è affatto necessaria una “grande riforma”: è più che sufficiente
intervenire per il perseguimento di specifici obiettivi, senza stravolgere l’impianto della Carta. Ad esempio,
realizzare il superamento del sistema di bicameralismo perfetto, per poter finalmente offrire alle autonomie una
reale camera di rappresentanza politica, che vada oltre il sistema delle Conferenze. Infine, ridurre il numero dei
parlamentari di almeno 200 unità (il Senato funziona benissimo nonostante abbia la metà dei rappresentanti della
Camera) e ancora valorizzare la funzione di controllo e di valutazione da parte del Parlamento delle politiche e
dell’attività di governo, anche riconoscendo la possibilità a minoranze qualificate di costituire commissioni
d’inchiesta.

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