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Ludovico Solima - Economia e gestione degli enti culturali

Il processo di direzione aziendale

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L’identificazione delle attività

► La prima domanda alla quale occorre dare risposta attiene


all’identificazione puntuale delle singole attività da realizzare
e della sequenza secondo la quale le stesse devono essere
realizzate.

► Individuare la sequenza vuol dire ordinare le attività


secondo una logica gerarchica, sulla base della quale vengono
stabilite le priorità, le criticità e le relazioni esistenti tra
ciascuna di esse.

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La scomposizione “a cascata” degli obiettivi

► Queste riflessioni vanno svolte tenendo in debita considerazione


anche l’estensione temporale delle decisioni da assumere. Sotto
questo profilo, va infatti osservato che l’obiettivo generale che
l’impresa si è attribuito deve essere scomposto – attraverso un
procedimento “a cascata” – in una pluralità di obiettivi parziali,
misurabili, a cui associare le diverse attività da compiere, necessarie
alla loro realizzazione.
► La misurabilità degli obiettivi di breve termine è di importanza
fondamentale perché, attraverso la loro identificazione, si realizza la
transizione tra la dimensione qualitativa – associata alla mission ed
alle decisioni di natura strategica e competitiva – a quella
quantitativa, che consente di ridurre le aree di ambiguità e di porre
in essere le opportune attività di controllo dei risultati.

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La scomposizione “a cascata” degli obiettivi di lungo periodo

Obiettivo di
breve

Obiettivo di
breve

Obiettivi di lungo Obiettivo di


Mission Strategie
periodo breve

Obiettivo di
breve

Obiettivo di
breve

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I fabbisogni di risorse

► I fabbisogni di risorse possono risultare fortemente


differenziati in ordine alla loro tipologia (risorse umane,
tecniche e finanziarie) ed alla loro entità.

► Tale circostanza produce i suoi effetti sulle altre variabili


considerate in quanto, nel caso in cui sussista una condizione
di vincolo nella disponibilità (interna e/o esterna) di risorse,
può rendersi necessario mettere in discussione le decisioni
assunte sia in termini di obiettivi che di attività.

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La ricerca dell’equilibrio

► Appare dunque chiaro come le valutazioni da compiere per


la gestione di un’impresa siano decisamente complesse e come
i diversi piani di ragionamento si intersechino reciprocamente,
dando luogo ad un processo di scelta graduale ed iterativo, in
cui si ricerca per approssimazioni successive una condizione di
equilibrio tra obiettivi, attività e risorse.

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Il ciclo di direzione

PROGRAMMAZIONE
(atti di decisione)

CONTROLLO ORGANIZZAZIONE
(atti di valutazione) (atti di disposizione)

CONDUZIONE
(atti di guida)

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Le decisioni organizzative

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I principi organizzativi

► Un’impresa è composta – prima di qualsiasi altra cosa – da


persone, le quali detengono le competenze e le professionalità
(le risorse di conoscenza) necessarie al suo funzionamento.

► Gli apporti dei diversi individui risultano, naturalmente,


differenziati in ragione delle specificità di ciascuno di essi, ma
ogni persona è in ogni caso portatrice di un patrimonio
personale di abilità ed esperienze, che deve essere messo a
frutto nel migliore dei modi.

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L’evoluzione delle decisioni organizzative (1)

► Sino alla metà del secolo scorso, le organizzazioni non


avevano ancora acquisito una piena consapevolezza
dell’importanza del fattore umano, in quanto risultava
prevalente una visione di tipo meccanicistico, secondo la quale
il contributo degli individui poteva – e doveva – essere
assimilato a quello degli altri fattori produttivi, la terra ed il
capitale.
► Il fattore umano veniva, in quanto tale, considerato alla
stregua di un’energia da utilizzare nel modo più razionale
possibile, riducendo gli sprechi ed ottimizzando il contributo
offerto da ciascuno.

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L’evoluzione delle decisioni organizzative (2)

► Nel corso degli ultimi decenni si è invece fatta strada la


consapevolezza che la dimensione da cogliere e da valorizzare sia
quella della conoscenza posseduta dagli individui, che può essere
liberata se il sistema di regole e procedure che disciplina il
funzionamento di un’organizzazione mette in condizione ciascuna
persona di fornire – nello svolgimento dei compiti che gli sono stati
attribuiti – un apporto personale, creativo ed originale, attingendo al
proprio ed esclusivo bagaglio di conoscenze.

► Questo importante cambiamento di prospettiva è stato registrato


in letteratura anche sotto il profilo semantico, con il passaggio alla
espressione “risorse umane” in luogo di “forza lavoro”.

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La geometria complessiva del sistema

► Le coordinate del disegno complessivo sono rappresentate,


da un lato, dai poteri e responsabilità attribuiti a ciascun
componente dell’organizzazione e, dall’altro, dalle relazioni –
di tipo formale ed informale – che si vengono a creare tra di
essi.

► L’importanza e la criticità delle decisioni organizzative


tende a crescere con l’aumentare delle dimensioni aziendali,
poiché tanto maggiore è il numero delle persone coinvolte ai
diversi livelli dell’organizzazione, tanto più pressante si rivela
l’esigenza di comprendere con chiarezza “chi fa che cosa”.

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Il concetto di struttura organizzativa

► Il disegno della geometria complessiva del sistema di poteri,


responsabilità e relazioni degli individui che lavorano
all’interno di un’impresa prende il nome di “struttura
organizzativa”.

► Essa è stata oggetto di numerose riflessioni all’interno del


dibattito teorico: attraverso l’attenta analisi delle realtà
aziendali, infatti, si è cercato di pervenire all’individuazione di
alcuni modelli di struttura, cioè di modalità di costruzione dei
ruoli e delle relazioni organizzative secondo delle soluzioni
standardizzate, ancorché suscettibili di adattamenti.

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Il principio della specializzazione

► Con il principio della specializzazione si considera la


“dimensione orizzontale” della struttura organizzativa e si fa
riferimento all’idea che sia possibile migliorare l’apporto
individuale se vengono preventivamente individuate, attraverso un
processo di divisione del lavoro, delle specifiche aree di
competenza (denominate “funzioni aziendali”) destinate a presidiare
un preciso ambito problematico.
► Non è infatti possibile immaginare che tutti debbano – o possano
– saper fare tutto: ha senso, piuttosto, prevedere delle soluzioni
organizzative che consentano a gruppi di individui di specializzare
la proprie capacità, sfruttando le competenze già possedute e quelle
che si acquisiscono nel tempo grazie ai processi di apprendimento.

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L’importanza della specializzazione

► L’importanza della specializzazione dei compiti è legata ai


vantaggi di costo che, attraverso l’applicazione di tale principio, è
possibile conseguire. Si parla, in proposito, di economie di
specializzazione, cioè di risparmi connessi all’incremento delle
abilità che le persone sviluppano nell’affrontare quelle situazioni
che presentano problematiche simili, gestibili sulla base delle
esperienze pregresse.
► A queste si affiancano le economie di scopo, con le quali si fa
invece riferimento alla possibilità di ottenere rendimenti crescenti
delle risorse umane attraverso l’utilizzo originale e creativo delle
conoscenze possedute dai singoli individui in contesti diversi
(nuove attività, nuovi prodotti o servizi) rispetto a quelli in cui, sino
ad allora, erano state utilizzate.

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Il principio del coordinamento

► Il secondo principio organizzativo da considerare – il


coordinamento delle attività – rimanda, invece, alla necessità
che il contributo di ogni persona sia coerente con l’apporto
fornito dalle altre risorse umane, al fine di realizzare un
sistema sinergico, in cui il risultato complessivo ottenuto sia
superiore a quello della mera sommatoria delle parti.

► Se, infatti, le azioni realizzate non vengono attentamente


coordinate tra loro, si incorre nel rischio di non sfruttare in
maniera adeguata le risorse disponibili e, conseguentemente, di
ottenere delle performance complessive inferiori a quelle che
sarebbe stato concretamente possibile raggiungere.
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La dimensione verticale

► Per applicare i principi di specializzazione e coordinamento è


necessario precisare, in primo luogo, che una struttura organizzativa si
articola su differenti livelli, nel senso che è possibile distinguere, lungo
la sua “dimensione verticale”:
► un vertice aziendale (centro di comando), deputato ad assumere
le decisioni di maggiore importanza per la vita dell’impresa;
► degli organi direzionali (centri di decisione), che hanno il
compito di individuare il complesso di azioni da realizzare per
portare a compimento gli obiettivi stabiliti a livello superiore;
► degli organi operativi (centri di esecuzione), responsabili di
attuare le direttive che ricevono dal livello direzionale;
► degli organi di controllo (centri di valutazione), a cui è attribuita
la responsabilità di verificare lo stato di attuazione delle attività.

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La catena di comando

► Tra tali livelli sussiste una precisa relazione gerarchica di


tipo formale, nel senso che quanto stabilito a livello di vertice
deve essere osservato dagli organi direzionali e, a livello
inferiore, dagli organi operativi.

► La “catena di comando” trova quindi la sua origine ai livelli


più alti della struttura organizzativa e si sviluppa, per stadi
successivi, fino a raggiungere i livelli inferiori della stessa.

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La delega

► Al rapporto gerarchico fa da corollario il processo di delega,


attraverso il quale si precisa l’estensione dei rapporti di
autorità: si tratta, in altri termini, di attribuire poteri e
responsabilità ai diversi livelli organizzativi, definendo in tal
modo i margini di autonomia e discrezionalità di cui ciascuna
persona gode nello svolgimento dei propri compiti.

► Appare evidente che, quanto più spinta è la delega, tanto


maggiore è il fabbisogno di coordinamento delle risorse umane
impegnate nella gestione aziendale.

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La dimensione trasversale

► La profondità viene considerata la terza dimensione della


struttura organizzativa, che si aggiunge a quella verticale ed
orizzontale, di cui si è appena detto, che si va a sovrapporre
alle scelte compiute lungo le altre due dimensioni della
struttura.

► A queste dimensioni può essere aggiunta anche quella


temporale, distinguendo i casi in cui le unità organizzative
sono stabili (organi permanenti, che forniscono un apporto
costante nel tempo) o, invece, transitorie (organi temporanei,
che intervengono in maniera discontinua).

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Le dimensioni organizzative

AUTORITÀ

dimensione verticale

COMPITI

RELAZIONI dimensione orizzontale

dimensione trasversale

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Le relazioni organizzative formali e informali

► Le relazioni formali sono di tipo gerarchico e si basano sul


principio organizzativo dell’unità di comando (le direttive devono
essere impartite da un unico soggetto, altrimenti si creano aree di
ambiguità che possono inibire il corretto funzionamento
dell’organizzazione).

► Quelle informali si attivano, in maniera spontanea, a livello


interpersonale e prescindono, quindi, dal sistema codificato di
rapporti stabilito a livello alto-direzionale. Le relazioni informali
possono spesso risultare di estrema importanza, sia perché
attraverso di esse si attivano circuiti supplementari di trasmissione
delle informazioni, sia perché il confronto e la logica del lavoro di
gruppo esaltano il bagaglio di creatività dei singoli individui.

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Le relazioni verticali, orizzontali e trasversali

► Le relazioni verticali si instaurano tra i differenti livelli della


struttura organizzativa;
► quelle orizzontali si attivano invece tra unità collocate sui
medesimi livelli gerarchici;
►le relazioni trasversali tagliano in senso longitudinale i
diversi livelli.
► Le relazioni trasversali sono dei potenti meccanismi di
integrazione che, svolgendo una funzione di mediazione tra i
differenti approcci che possono essere sviluppati ai diversi
livelli della struttura organizzativa per la soluzione di un
problema, contribuiscono ad assicurare il necessario grado di
coordinamento tra le attività.
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Meccanismi di integrazione

in ordine crescente di costo e complessità


Meccanismi di integrazione Descrizione
Le parti sono integrate per mezzo dell'autorità attribuita
Gerarchia
ad un superiore
Le persone si incontrano faccia a faccia per coordinare
Contatto diretto
le attività

Un componente dell'unità organizzativa è responsabile


Ruoli di collegamento
del coordinamento con le altre unità

Gruppo di lavoro temporaneo composto da membri


Task force
delle diverse unità da coordinare
Unità organizzative in posizione intermedia rispetto alle
Organi di integrazione
unità da coordinare

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Il modello di struttura organizzativa semplice

► In tutti i casi in cui si propende verso un contenimento degli


aspetti formali si adotta – anche se in maniera inconsapevole –
un modello di struttura organizzativa di tipo semplice, che si
caratterizza proprio per la forza preponderante delle relazioni
interpersonali rispetto a quelle codificate.
► Questa soluzione viene frequentemente adottata dalle
imprese di minore dimensione, nelle quali il ridotto numero
delle persone coinvolte nei processi aziendali rende possibile
un coordinamento spontaneo delle interdipendenze ed un
costante aggiustamento dei processi decisionali, dei ruoli e
delle responsabilità in funzione delle situazioni che di volta in
volta è necessario affrontare.
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Il modello funzionale

► Il modello funzionale deriva dall’applicazione del principio


di specializzazione dei compiti per funzioni omogenee: le
diverse mansioni vengono cioè aggregate sulla base delle
specificità dei problemi da risolvere. Generalmente, quindi, si
individuano delle “funzioni” (la produzione, il marketing, la
finanza, il personale) che rappresentano i principali ambiti
decisionali che è necessario presidiare, prevedendo che
ciascuno di essi si articoli al suo interno in base alla
complessità delle situazioni da affrontare.

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Esempio di modello di struttura funzionale

Direzione
Generale

Direzione Direzione Direzione Direzione


Marketing Produzione Personale Finanza

Ufficio Ufficio Ufficio Ufficio


Vendite Commerciale Procedure Qualità
Italia Ufficio Direttore Ufficio Ufficio
Estero Acquisti Stabilimento Amministrazione Contabilità
Capi-reparto Banche e finanza
Resp. magazzino Controllo di gestione

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I livelli di struttura

► La struttura funzionale si articola generalmente su tre livelli


fondamentali: al vertice si colloca la Direzione Generale, che
assume le decisioni di tipo strategico e svolge compiti di
supervisione e coordinamento; al livello successivo si trovano le
Direzioni Funzionali, specializzate per aree di competenza –
produzione, marketing, amministrazione, etc. – e responsabili delle
attività svolte dalle unità organizzative inferiori (terzo livello), che
svolgono compiti di tipo operativo.

► La struttura funzionale è dunque un modello organizzativo


relativamente semplice, che risulta quindi adatto per imprese di
dimensioni contenute, che si muovono all’interno di un contesto
caratterizzato da una tendenziale stabilità ambientale.
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Esempio di modello di struttura funzionale per una biblioteca

Direzione generale

Direzione produzione Direzione finanza Direzione personale Direzione marketing

Ufficio nuove acquisizioni Ufficio contabilità Ufficio dipendenti Ufficio prestiti


(selezione e acquisto nuove (regolamentazione e gestione
pubblicazioni) prestiti)

Ufficio fondi antichi Ufficio amministrazione Ufficio volontari/obiettori di


(conservazione e coscienza/lavoratori
regolamentazione prestiti socialmente utili
volumi antichi)

Ufficio inventariazione
(inventario elettronico dei
volumi posseduti dalla
biblioteca)

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Vantaggi e svantaggi del modello funzionale

► Il modello funzionale, per le sue caratteristiche, presenta una


serie di vantaggi, in quanto esso non solo favorisce lo sviluppo
di professionalità di tipo specialistico ma, grazie alla relativa
semplicità delle comunicazioni interne, consente anche di
affrontare in maniera tempestiva i problemi che di volta in
volta si presentano.
► Uno degli aspetti più delicati di questa soluzione attiene al
coordinamento tra le varie funzioni aziendali, che deve essere
assicurato attraverso l’implementazione di opportuni
meccanismi di integrazione. Non sono infatti infrequenti i
conflitti interfunzionali, cioè tra i responsabili delle diverse
funzioni aziendali.
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Il modello divisionale

► Il modello divisionale viene preferito in tutti i casi in cui


l’organizzazione si trovi ad affrontare situazioni caratterizzate
da una elevata complessità gestionale, riconducibili ad una
significativa articolazione su scala geografica o produttiva, che
risulta pertanto difficile gestire attraverso la struttura
funzionale e che richiedono, quindi, una forte propensione al
decentramento decisionale.
► La divisione del lavoro, in questo caso, non avviene su base
tecnica – come nel caso del modello funzionale, dove si
aggregano competenze omogenee – ma in base a diversi
possibili criteri di specializzazione (prodotto, area geografica,
mercato).
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Esempio di modello di struttura divisionale articolato su base geografica

Direzione
Generale

Direzione Direzione
Personale Finanza

Divisione Divisione
Europa Nord-America

Direzione Direzione Direzione Direzione Direzione Direzione


Marketing Produzione Amministr. Marketing Produzione Amminstr.

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Esempio di modello di struttura divisionale di un museo

Direzione generale

Direzione finanza Direzione personale Direzione marketing

Divisione archeologia Divisione arti figurative Divisione scultura Divisione arti applicate

Ufficio produzione Ufficio produzione Ufficio produzione Ufficio produzione

Unità operativa allestimenti Unità operativa allestimenti Unità operativa allestimenti Unità operativa allestimenti

Unità operativa didattica e Unità operativa didattica e Unità operativa didattica e Unità operativa didattica e
comunicazione comunicazione comunicazione comunicazione

Unità operativa conservazione e Unità operativa conservazione e Unità operativa conservazione e Unità operativa conservazione e
restauri restauri restauri restauri

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La logica del modello divisionale

► La logica di tale modello, dunque, è molto diversa da quella


che ispira il funzionamento della struttura funzionale, che è
basata sull’integrazione di aree differenti dell’impresa: nel
caso del modello divisionale, infatti, si tende piuttosto a “dis-
integrare” l’impresa in unità organizzative (le Divisioni) dotate
di autonomia gestionale, il cui coordinamento viene assicurato,
a livello complessivo, dalla Direzione Generale.

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I centri di profitto

► Sono “porzioni” della struttura organizzativa che, per la loro


autonomia, vengono considerate in maniera distinta anche
sotto il profilo amministrativo.

► Un esempio, in questo senso, è dato proprio dalle divisioni


che, per il grado di autonomia loro conferito, vengono
generalmente considerate alla stregua di centri di profitto; ciò
vuol dire che esse esprimono dei ricavi e dei costi che sono
direttamente ed univocamente riferibili alle attività poste in
essere, per cui sarà possibile individuare un risultato (lordo)
afferente a ciascuna divisione.

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I centri di costo

► Sono unità organizzative che mettono la propria attività a servizio


delle altre divisioni dell’impresa e per questo motivo non generano
ricavi ma unicamente dei costi, i quali – sulla base di criteri
specifici – vengono “ribaltati” sulle unità che beneficiano del loro
contributo.
► È inoltre possibile distinguere i centri di spesa (ad esempio, la
direzione amministrativa) che, non producendo un output
misurabile, sono suscettibili unicamente di valutazioni di efficacia,
data dal rapporto tra risultati previsti e risultati ottenuti; i centri di
ricavo, il cui obiettivo è il raggiungimento dei previsti livelli di
fatturato; i centri di investimento, il cui apporto è misurato
attraverso la valutazione del rendimento (rapporto tra risultato
conseguito e sforzo sostenuto) degli investimenti sostenuti.
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Centri di profitto e di costo in ambito culturale

► È possibile esemplificare il concetto di centro di profitto e di


centro di costo nell’ambito dell’organizzazione di una mostra.
► La Divisione attività commerciali (produzione e vendita di
prodotti editoriali e di merchandising associati al tema della
mostra) potrà essere considerata un centro di profitto, in
quanto avrà propri costi e propri ricavi.
► La Divisione allestimento potrà considerarsi un centro di
costo, in quanto l’attività sviluppata non genera direttamente
dei ricavi, ma esclusivamente dei costi; la sua attività, tuttavia,
è a servizio delle altre divisioni in quanto contribuisce a
rendere funzionale e piacevole l’intero prodotto “mostra”.

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I vantaggi della struttura divisionale

► I vantaggi della struttura divisionale risultano


particolarmente evidenti nelle imprese di maggiori dimensioni,
le quali, attraverso tale modello organizzativo, acquisiscono
significativi gradi di flessibilità che spesso proprio lo sviluppo
dell’impresa inibisce.

► L’aumento della taglia dimensionale può infatti tradursi in


una maggiore rigidità della struttura aziendale e quindi dei
comportamenti gestionali, i quali risentono di fenomeni di
“vischiosità” e di inerzia del processo decisionale.

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Gli svantaggi della struttura divisionale

► Gli svantaggi di tale modello, invece, sono in primo luogo


riconducibili all’incremento dei costi di personale, connesso al
moltiplicarsi di unità organizzative che, all’interno delle diverse
divisioni, svolgono la medesima attività (direttori di vendita,
direttori di produzione, etc.).
► In secondo luogo, occorre sottolineare le difficoltà connesse al
coordinamento delle attività poste in essere dalle varie divisioni, tra
le quali si sviluppano spesso anche dei conflitti per l’attribuzione
delle risorse (finanziarie, umane e tecniche) che ciascuna di esse
ritiene indispensabili al perseguimento dei propri obiettivi. Il rischio
è che si verifichino delle spinte centrifughe tali da rendere vano
ogni tentativo di coordinamento.

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La gestione per progetti

► La peculiarità di tale modello risiede nel fatto che esso


rinuncia al principio dell’unità di comando, privilegiando una
chiave di lettura “progettuale” del funzionamento dell’impresa.

► Se l’impresa risulta impegnata nello svolgimento


contestuale di più progetti, ciascuno dei quali richiede
professionalità specifiche, si creano infatti delle unità
organizzative composte da individui afferenti alle diverse aree
funzionali, in grado di apportare tutte le competenze richieste
per lo sviluppo del progetto.

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L’organizzazione a rete

► La costruzione di un network mira ad esaltare i vantaggi


sinergici connessi alla creazione sistematica di una rete di
rapporti con gli altri operatori esistenti sul mercato, ai diversi
livelli della filiera produttiva.
► La trama relazionale che viene attivata, infatti, non riguarda
solo i clienti ed i fornitori (posti a monte ed a valle dello stadio
del processo produttivo in cui si colloca l’impresa) ma anche
quei soggetti che insistono sul medesimo spazio competitivo,
cioè sullo stesso stadio della filiera, privilegiando pertanto
l’idea che – all’interno di uno stesso ambito concorrenziale –
possano esistere non solo rapporti di competizione ma anche
di collaborazione.
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Le reti museali

► Negli ultimi anni l’Italia ha visto considerevolmente


crescere il numero di network museali.

► Gli elementi comuni sono l’affidamento a fornitori esterni,


da parte di un gruppo di musei connessi fra di loro dalla
specializzazione tipologica (ad es. musei diocesani) o dalla
localizzazione geografica (musei del Piemonte), di una serie di
funzioni i cui costi non sarebbero facilmente sostenibili da
parte di ciascun museo singolarmente: comunemente, le
funzioni che vengono affidate all’esterno possono essere
quelle di promozione e comunicazione, fund-raising,
organizzazione mostre, etc.
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La programmazione ed il controllo delle attività

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Il concetto di programmazione e controllo

► Le decisioni relative all’organizzazione aziendale si legano


in maniera profonda con quelle concernenti la
programmazione ed il controllo delle attività di gestione.

► Mentre con le prime, come si è visto, si definisce il sistema


di poteri e responsabilità che deve orientare lo svolgimento
della vita dell’impresa, con la programmazione ed il controllo
si perviene alla determinazione analitica, ed in via anticipata,
degli obiettivi e delle azioni da intraprendere nonché delle
modalità attraverso cui monitorare lo stato di avanzamento
delle attività.

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La definizione dell’estensione temporale

► Va comunque considerato che lo scenario attuale deprime la


possibilità di programmare le attività aziendali oltre il breve-medio
periodo (da uno a tre anni), in quanto esso si caratterizza per una
sempre maggiore variabilità.

► Il contesto attuale è da considerarsi “complesso”, nel senso che la


compresenza di spinte talvolta divergenti (connesse alla presenza di
fenomeni in rapido cambiamento, quali lo sviluppo scientifico e
tecnologico, la crescita demografica, l’incremento del reddito pro-
capite e del livello medio di istruzione, lo sviluppo della mobilità
della popolazione e degli strumenti di comunicazione, etc.)
determina la presenza di un elevato livello di turbolenza.

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Approccio spontaneo e formalizzato

► Lo svolgimento del processo di programmazione e controllo


può avvenire sia in modo spontaneo che attraverso il ricorso ad
una procedura formalizzata.
► Il primo approccio è tipico delle organizzazioni di minore
dimensione dove la dimensione intuitiva domina lo
svolgimento delle attività di gestione.
► Nelle aziende più grandi, invece, la presenza di una
maggiore quantità di risorse da amministrare e, quindi, di
scelte da assumere e di valutazioni da svolgere, impone
l’adozione di procedure codificate, attraverso cui sviluppare in
maniera analitica il programma delle attività da compiere e dei
controlli da effettuare.
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La necessità della programmazione

► Al di là della dimensione dell’organizzazione, un approccio


corretto alla gestione aziendale impone in ogni caso una
formulazione attenta e consapevole delle scelte direzionali.
► È indispensabile, in altri termini, dotarsi di un sistema organico di
procedure di programmazione e controllo che sostenga ed indirizzi
tutte le attività poste in essere, al fine di realizzare la strategia
prescelta e conseguire le finalità stabilite nella mission.
► La programmazione, infatti, rappresenta la declinazione, in
termini quantitativi, delle scelte di tipo qualitativo effettuate a
livello strategico: l’obiettivo generale di lungo periodo, come già
visto, viene scomposto in una pluralità di obiettivi misurabili di
breve e medio periodo, i quali vanno distribuiti temporalmente ed
assegnati alle varie aree funzionali dell’organizzazione.
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Il sistema di piani

► Lo svolgimento della programmazione e del controllo


transita, quindi, per la formulazione di un “sistema di piani”,
cioè di un insieme omogeneo di obiettivi ed attività strutturati
sulla base di schemi predefiniti (i budget), i cui contenuti si
influenzano reciprocamente.

► Con riferimento al breve periodo, deve essere costruito un


budget di esercizio (anche denominato “piano operativo”),
sviluppato per ciascuno degli anni oggetto di programmazione
ed aggiornato costantemente, con la tecnica dello
“scorrimento”.

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Il sistema di piani (1)

► Nel budget operativo confluiscono:


► i risultati del budget di marketing (a sua volta, derivante dalla
previsione dei risultati di vendita e dei costi commerciali e
distributivi),
► del budget di produzione (in cui confluiscono le previsioni di
acquisto di beni e servizi e dei costi produttivi, unitamente alle
eventuali ipotesi di investimento)
► e del budget relativo ai costi generali (amministrativi, finanziari,
etc.);
► per ogni obiettivo che si intende raggiungere e per ciascuna
attività che si prevede di realizzare è infatti necessario individuare i
riflessi in termini di costi e ricavi (che confluiscono nel budget
economico) ed in termini di entrate ed uscite (che originano il
budget finanziario) che ne derivano.
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Il sistema di piani (2)

Budget di marketing

Budget di Budget dei costi Budget dei costi


vendita di distribuzione commerciali
Budget economico

Budget finanziario

Budget di produzione

Budget degli Budget degli Budget dei costi


investimenti acquisti di produzione

Budget dei costi generali

Budget operativo

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Equilibri economici e finanziari

► La distinzione tra l’aspetto economico e quello finanziario è


particolarmente rilevante, in quanto ogni atto di transazione che
l’impresa pone in essere – con soggetti interni ed esterni ad essa –
trova una sua manifestazione finanziaria che, sotto il profilo
temporale, che può rivelarsi non coincidente con la manifestazione
economica, cioè con il momento in cui tale transazione
effettivamente si conclude.

► La non coincidenza tra gli aspetti economici e finanziari si rende


evidente nel momento in cui il soggetto fornitore (di un bene o di un
servizio) accorda una dilazione al soggetto acquirente, rendendosi
quindi disponibile a ricevere il pagamento di quanto dovuto in un
momento successivo rispetto alla realizzazione della prestazione.

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La manifestazione economica e finanziaria di una transazione d’acquisto

manifestazione economica

manifestazione finanziaria
debito
uscita
costo

t0 t1 tempo
dilazione

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L’equilibrio monetario

► La presenza di questi sfasamenti temporali è dunque di


rilevante importanza, in quanto essa contribuisce a definire la
dimensione degli eventuali fabbisogni finanziari nei diversi
periodi di tempo e consente di verificare la presenza di un
equilibrio monetario, cioè la sostenibilità finanziaria di breve
termine delle scelte assunte.
► Se le uscite prodotte dall’attività di gestione risultano superiori
alle entrate, si renderà infatti necessario verificare che la
dotazione finanziaria dell’impresa sia in grado di assorbire tale
fabbisogno: in caso contrario, si dovrà provvedere a
ridimensionare il programma di attività ovvero a recuperare le
ulteriori risorse necessarie.

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L’analisi degli scostamenti


► Il confronto tra obiettivi e risultati, realizzato mediante l’analisi
sistematica degli scostamenti, può evidenziare l’esistenza di una
differenza, la cui significatività orienta i successivi comportamenti
gestionali dell’impresa.

Obiettivi di Obiettivi di
Attività Risultati
lungo periodo breve periodo

feedback
correttivo
feedback Sistema di rilevazione
valutativo dei risultati

Analisi degli Confronto tra


scostamenti risultati effettivi ed
obiettivi

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La conduzione delle risorse umane

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La conduzione delle risorse umane

► L’obiettivo delle scelte organizzative è quello di ottenere il


miglior rendimento delle risorse umane impegnate nello
svolgimento delle attività di gestione.

► Questo approccio è, in larga misura, connesso alla notevole


incidenza percentuale che il costo del personale generalmente
esprime sul conto economico di un’impresa culturale, al
crescere del quale aumentano i rischi connessi alla maggiore
rigidità della struttura dei costi aziendali.

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Il contributo potenziale delle risorse umane

► La crescente attenzione verso le risorse umane è legata alla


convinzione che esse rappresentino la “materia prima” per poter
conseguire un vantaggio competitivo conservabile nel tempo e
difendibile rispetto alla concorrenza.

► Ciascun individuo, infatti, è portatore di proprie professionalità e


competenze, che possono – o dovrebbero – essere integralmente
messe a servizio dell’organizzazione in cui egli opera.

► Il problema risiede proprio nel considerare che non è detto che


ciò avvenga, in quanto, per una pluralità di motivi, può accadere che
il contributo individuale si ponga molto al di sotto dell’apporto
potenziale che ciascun soggetto sarebbe in grado di esprimere.

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Il concetto di conduzione

► Il compito della funzione di conduzione delle risorse umane


risiede, dunque, nell’analisi delle relazioni che si vengono a
creare tra individuo ed organizzazione e nell’individuazione
delle soluzioni atte a massimizzare i risultati che ne potrebbero
derivare.

► Il rapporto tra individuo ed organizzazione ha una sua


componente formale, disciplinata dalla soluzione contrattuale
che regola la relazione tra le due parti, nella quale vengono
stabili i contenuti della prestazione di lavoro (in termini di
compiti e mansioni) e il corrispettivo che verrà attribuito al
soggetto che la svolge.
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I bisogni individuali

► Va però considerato che l’aspetto economico non esaurisce,


generalmente, le attese individuali, le quali si strutturano
generalmente secondo un complesso più o meno articolato di
funzioni di utilità personale (bisogni).
► I bisogni concorrono quindi a definire il sistema di obiettivi in
base al quale ciascuna persona orienta la propria vita e le modalità
di comportamento all’interno dei diversi contesti con i quali entra in
contatto.
► Gli obiettivi personali, dunque, possono non coincidere con quelli
espressi dal contesto professionale nel quale lavora l’individuo:
quanto maggiore è la distanza tra di essi, tanto più ampio si rivela il
gap tra il contributo potenziale e quello effettivo e la possibilità che
insorgano dei conflitti tra le due parti.

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Il sistema delle ricompense

► Le leve a cui fare ricorso per ridurre il più possibile l’insorgere di


occasioni di conflitto sono riconducibili a ricompense di tipo
intrinseco ed estrinseco:
► le prime sono legate al grado di soddisfazione che l’individuo trae
dallo svolgimento del proprio lavoro; contestualizzando tale
considerazione all’interno di un’organizzazione teatrale, ad
esempio, per gli operatori di questa tipologia di impresa culturale
parte della ricompensa intrinseca è costituita dal piacere di lavorare
in un ambiente considerato “creativo” ed “artistico” e di venire in
contatto con personaggi celebri del mondo dello spettacolo;
► le seconde – quelle estrinseche – invece, comprendono tutti quei
riconoscimenti di carattere tangibile attribuiti agli individui che
interpretano i compiti loro assegnati in modo conforme a quanto è
stato loro indicato.
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Le ricompense di tipo intrinseco

► Assume particolare importanza la motivazione individuale a


partecipare alla vita dell’organizzazione ed a fornire un
contributo attivo;

► nel momento in cui si prende a riferimento il sistema di


bisogni che l’individuo tende a soddisfare attraverso la sua
prestazione di lavoro all’interno di un sistema organizzativo, si
parla di motivazione a partecipare,

► mentre considerando il ruolo dei fattori che influenzano


l’entità del contributo fornito dall’individuo si parla di
motivazione a produrre.

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Il ruolo della motivazione nella prestazione di lavoro

Prestazione = Motivazione X Capacità

Intensità / direzione del Intelligenza Abilità


comportamento Conoscenze Tecniche

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Le ricompense di tipo estrinseco

► Tra le ricompense di tipo estrinseco, è possibile distinguere


quelle basate sulla remunerazione da quelle non monetarie.

► In entrambi i casi, va preliminarmente osservato, è


necessario che venga previsto un sistema premiante, in base al
quale vengono stabiliti, in via preventiva, i riconoscimenti che
verranno attribuiti (premi, avanzamenti di carriera, etc.) in
funzione dei risultati effettivamente raggiunti.

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Le ricompense di tipo estrinseco

► Tra le ricompense di tipo estrinseco, è possibile distinguere


quelle basate sulla remunerazione da quelle non monetarie.

► In entrambi i casi, va preliminarmente osservato, è


necessario che venga previsto un sistema premiante, in base al
quale vengono stabiliti, in via preventiva, i riconoscimenti che
verranno attribuiti (premi, avanzamenti di carriera, etc.) in
funzione dei risultati effettivamente raggiunti.

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La componente economica

► Con specifico riferimento al rapporto esistente tra


motivazioni individuali ed attese di natura economica, va
rilevato come queste vengono soddisfatte, in primo luogo,
attraverso la regolare somministrazione del compenso
attribuito per lo svolgimento della prestazione professionale.

► In realtà, è possibile incidere sulle motivazioni individuali


proprio legando la definizione dell’entità complessiva della
remunerazione all’impegno profuso ed ai risultati ottenuti,
attraverso la variabilizzazione di una porzione più o meno
significativa del compenso.

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Le componenti immateriali

► I sistemi premianti possono, però, far leva anche su altre


componenti della motivazione individuale, di tipo immateriale:
al di là della soddisfazione economica, infatti, possono essere
individuate anche forme di incentivazione basate – ad esempio
– sulla partecipazione dell’individuo al processo decisionale, il
quale, se a vario titolo coinvolto nelle scelte aziendali, può
essere più facilmente portato a condividerle e comunque a
sentirsi gratificato per il fatto stesso di essere stato reso
partecipe della vita dell’organizzazione.

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Gli interventi sulle mansioni per stimolare la motivazione (1)

► Job enrichment: la strutturazione dei compiti individuali


viene basata su livelli crescenti di autonomia e di
responsabilizzazione;

► Job enlargement: aumenta la numerosità dei compiti


attribuiti al medesimo individuo;

► Job rotation: si interviene sulla variabilità dei contenuti della


mansione, prevedendo forme di rotazione dei compiti che
consentono di evitare un’eccessiva ripetitività e monotonia
delle attività svolte.

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Gli interventi sulle mansioni per stimolare la motivazione (2)

decisione 1
job emrichment

job enlargement

compito 1 compito 2 compito 3 compito 4

job rotation

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Esempi in ambito culturale

► Job enrichment in biblioteca: agli addetti alla distribuzione dei


volumi può essere attribuito uno specifico compito di valutazione
del loro stato di conservazione, e la conseguente possibilità di
decidere quali volumi possano essere concessi in prestito agli utenti.
► Job enlargement in un parco archeologico: ad un archeologo
addetto agli scavi può essere assegnato anche il compito di curare
gli apparati didattici dell’esposizione di reperti annessa allo scavo
archeologico.
► Job rotation in una mostra: nel caso di compiti particolarmente
routinari come quello dei custodi addetti alla guardiania delle sale,
questi possono essere periodicamente destinati ad attività di
gestione del servizio di guardaroba.

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Gli stili di direzione

► Partecipativo: basato sul consenso e sulla capacità dell’individuo


di sviluppare forme di autocontrollo;

► Autocratico: basato sull’autorità e su una conduzione delle


risorse umane di tipo gerarchico, nel quale prevale il principio del
comando e del controllo esterno sui risultati raggiunti.

► Rispetto a questi due estremi, che risentono di chiavi di lettura


diverse della realtà d’impresa (una visione cooperativa rispetto ad
una visione conflittuale), nella vita delle organizzazioni possono
presentarsi situazioni molto diverse tra loro, che richiedono un mix
tra i due approcci descritti.

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I rapporti tra le attività direzionali (1)

► È evidente il legame che sussiste tra conduzione ed


organizzazione, in quanto – in entrambi i casi – le decisioni
assunte intervengono a disciplinare il ruolo ed il contributo
fornito dagli individui.

► Il legame con le altre due attività direzionali


(programmazione e controllo) appare altrettanto chiaro in tutti
i casi in cui si prevedono meccanismi di incentivazione legati
al raggiungimento degli obiettivi, che vengono stabiliti in sede
di programmazione delle attività e monitorati attraverso la
funzione di controllo.

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I rapporti tra le attività direzionali (2)

► In questi rimandi reciproci risiede il concetto di ciclicità dei


compiti direzionali, nel senso che ciascuno di essi, nella sua
formulazione e nella sua implementazione, deve rivelarsi
pienamente congruente con gli altri, in quanto il risultato
complessivo – un’attività di gestione organica ed efficace –
deriva non tanto dalla mera sommatoria delle decisioni assunte
con riferimento a ciascun elemento del ciclo quanto, piuttosto,
alla reciproca integrazione tra di essi.

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