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1996, Gius.

Laterza & Figli Prima edizione 1996

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MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA POLITICO IN ITALIA


1960-1995

Donatella Della Porta

Editori Laterza

Propriet letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel gennaio 1996 nello stabilimento darti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-4847-7 ISBN 88-420-4847-X

a mia madre

PREMESSA

Lo stimolo a scrivere un libro introduttivo sui movimenti col lettivi in Italia, dagli anni Sessanta a oggi, mi si presentato ripetu tamente nel corso delle mie ricerche: allinizio degli anni Ottanta, studiando le teorie sullazione collettiva presso il Centre dAction et d Intervention Sociologique, diretto da Alain Touraine allEcole des Hautes Etudes en Sciences Sociales di Parigi; poco dopo, quan do Gianfranco Pasquino mi chiam a collaborare con lui a una ri cerca sul terrorismo in Italia, presso listituto Carlo Cattaneo di Bo logna; nella met del decennio, quando ero Visiting Scholar alla Cornell University, dovera in corso una importante ricerca sulla protesta in Italia, diretta da Sidney Tarrow; allinizio degli anni No vanta, collaborando con il dipartimento di studi su Oeffentlichkeit und soziale Bewegung, diretto da Friedhelm Neidhardt presso il Wissenschaftszentrum fr Sozialforschung di Berlino. Ma la spinta decisiva mi comunque venuta durante il mio primo corso di Poli tica comparata alla facolt di Scienze politiche di Firenze, quando mi resi conto che, nonostante la presenza di ricerche pregevoli sui singoli movimenti, non vi era in Italia un testo di sintesi, che potes se offrire una visione dinsieme sullevoluzione di quella che chia mer in questo libro sinistra libertaria. Nellestate del 1994 ho avuto la fortuna di potere utilizzare parte di un generoso Career Development Award assegnatomi dalla H.F. Guggenheim Founda tion per perfezionare il quadro teorico di questa analisi. Diversi amici e colleghi mi hanno, pi o meno consapevolmen te, aiutata in questimpresa. Innanzitutto, ho molto imparato col laborando, in diversi momenti, con Sidney Tarrow, Dieter Rucht, Mario Diani e Hanspeter Kriesi. Nel corso di oltre dieci anni ho avuto la fortuna di confrontare le mie idee e i miei risultati di ricer
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ca con altri fra i pi importanti studiosi sul tema dellazione collet tiva: Bill Gamson, Bert Klandermans, Doug McAdam, John McCarthy, Alberto Melucci, Friedhelm Neidhardt, Alessandro Pizzorno, Philippe Schmitter, Dave Snow, Alain Touraine, Michel Wieviorka e Mayer Zald. Sidney Tarrow e Mario Diani hanno avuto la pazienza di leggere e commentare una prima stesura del volume. Herbert Reiter ha, come sempre, sfidato le mie interpretazioni sul la politica italiana, dalla sua prospettiva di storico mitteleuropeo, spingendomi verso una analisi implicitamente comparata e interdi sciplinare.

MOVIMENTI COLLETTIVI E SISTEMA POLITICO IN ITALIA

MOVIMENTI DELLA SINISTRA LIBERTARIA E PROTESTA. UNA INTRODUZIONE

Nel corso degli anni Sessanta, in Italia come in altre democra zie occidentali, nuovi attori sono emersi, accanto ai partiti e ai grup pi di pressione, per mobilitare e aggregare domande politiche: i mo vimenti sociali. Rispetto ai partiti e ai gruppi di pressione, i movi menti sociali (o movimenti collettivi) si caratterizzano per un basso livello di organizzazione. Diversamente dai partiti, essi non compe tono per conquistare voti, ma tendono a mobilitare consenso attra verso azioni di protesta utilizzando i mass media per rivolgersi a isti tuzioni e opinione pubblica. Diversamente dai gruppi di pressione, i movimenti sociali non mirano prevalentemente a rappresentare gli interessi dei loro iscritti o simpatizzanti, ma si propongono come portatori di modelli alternativi per la societ e il sistema politico. Normalmente, i movimenti sociali si coagulano attorno a una te matica generale (come i diritti delle donne o la pace), articolando la in singoli obiettivi, attorno ai quali costruire delle campagne di protesta (ad esempio, per laborto libero o contro linstallazione dei missili nucleari). Se guardiamo allevoluzione del sistema politico e della societ civile in Italia a partire dagli anni Sessanta, vediamo che la capacit di mobilitazione di questi attori collettivi si estesa, coinvolgendo i pi diversi gruppi della popolazione. Movimenti sociali - e cam pagne di protesta - si sono sviluppati su temi quali la fabbrica e la scuola, il territorio e i servizi, la polizia e lesercito, lecologia e la pace. Se prima pochi erano coloro che osavano sfidare le autorit attraverso azioni collettive che si allontanavano dalle forme istituzipnalizzate della partecipazione politica, a partire dagli anni Set tanta, sit-in e occupazioni sono divenute forme diffuse di protesta i - utilizzate da giovani e anziani, strati marginali e ceti medi, senza
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tetto e vigili urbani. Ci ha portato a parlare, anche per lItalia, di una societ di movimenti. Di fronte a un sistema che, per la sua crescente complessit, parcellizza e differenzia le domande dei cit tadini, i movimenti appaiono pi adatti dei partiti a cogliere le te matiche emergenti, e pi abili dei gruppi di pressione a trasforma re la molteplicit dei bisogni individuali in identit collettive. Paradossalmente, per, proprio mentre la capacit di protesta si diffondeva, si anche parlato della fine dei movimenti. Come in un refrain dei primissimi anni Sessanta, negli anni Ottanta si ri tornati a parlare della scomparsa delle grandi utopie, identificando nel pragmatismo tipico del decennio la dissoluzione finale di gran di sommovimenti collettivi, che erano del resto gi entrati in crisi negli anni Settanta, schiacciati tra cooptazione e marginalizzazione violenta. Gli anni Novanta si sarebbero aperti poi con una nor malizzazione: neppure la crisi della prima repubblica sarebbe stata infatti in grado di risvegliare i movimenti dal loro torpore. Siamo dunque di fronte a una societ di movimenti o alla fine dei movimenti? Nel corso di questo libro vorrei provare ad affron tare questo tema spostando lattenzione dai singoli movimenti al levoluzione di un complesso di movimenti - che chiamer, come dir meglio in seguito, movimenti della sinistra libertaria. In que sta introduzione vorrei illustrare le premesse e le potenzialit di questa scelta.

1. Cosa sono i movimenti sociali e perch ce ne occupiamo


Da quanto appena accennato, i movimenti sociali - o movimenti collettivi - si possono definire come attori collettivi che, attraverso uno sforzo organizzato e sostenuto di reticoli di individui e gruppi dotati di una comune identit, si mobilitano in campagne di prote sta per la realizzazione di mutamenti sociali e/o politici (per defini zioni in parte simili, cfr. Diani 1992; Tarrow 1994: 3-4). Non rap presentano, ad esempio di per s, movimenti sociali n i recenti scontri inter-etnici in alcune metropoli, dove non vi era uno sforzo organizzato e sostenuto; n la Croce Rossa, che utilizza forme da zione prevalentemente istituzionali; n la protesta dei fax contro il decreto sulla giustizia del governo Berlusconi, nel luglio del 1994, dato che essa non esprimeva una collettivit di individui che si
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dentificavano in un noi comune; e nemmeno le bande di ultra, che non mirano a trasformazioni sociali o politiche. Se la definizione appena presentata pu servire a distinguere i movimenti da altri fenomeni in parte assimilabili, non si pu dire per che il concetto di movimento sociale si sia consolidato nel lin guaggio quotidiano o in quello scientifico. In questultimo, anzi, es so stato soggetto a interpretazioni mutevoli, a seconda delle ca ratteristiche contingenti assunte dai movimenti collettivi in vari pe riodi storici e aree geografiche. Nel secolo scorso, tumulti violenti avevano fatto parlare dei movimenti come di fenomeni irrazionali le masse, le folle ecc. - mentre solo successivamente, con lo svilup po del movimento operaio e dei suoi partiti, si era cominciato a par lare dei movimenti come attori consapevoli del cambiamento poli tico. Nel corso degli anni Venti, di fronte allo sviluppo negli Stati Uniti di episodiche ondate di protesta, i sociologi della Scuola di Chicago avevano descritto i movimenti collettivi come attori razio nali, seppure legati a contingenze straordinarie. Lattenzione ai movimenti sociali aumentata soprattutto a par tire dagli anni Sessanta, insieme al diffondersi in molte regioni del mondo di fenomeni di protesta difficilmente definibili a partire dai vecchi concetti. Nei due decenni successivi luso dellespressione movimenti collettivi si esteso e consolidato, nel gergo politico e giornalistico, per riferirsi alle campagne di mobilitazione sui temi della liberazione della donna, della difesa delle minoranze etniche, della protezione dellambiente, della pace. Lo studio di questi fe nomeni ha conquistato un sempre maggiore spazio anche nelle scienze sociali, dove la ricerca si orientata su temi quali le condi zioni strutturali per lemergere dei movimenti sociali, le dinamiche individuali di adesione alle azioni di protesta, le peculiarit delle strutture organizzative delle mobilitazioni collettive contempora nee1. Negli Stati Uniti lo sviluppo di campagne di protesta focaliz zate su singoli temi e la loro capacit d influenza sulle politiche pubbliche facevano guardare ai movimenti soprattutto come a sfor zi organizzati e propositivi. In Europa le grandi utopie del movi mento studentesco e dei movimenti che lo avevano seguito stimo1 Per una breve introduzione alle principali interpretazioni dei movimenti collettivi, rinvio a Della Porta 1995; per una trattazione pi sistematica, a Me Adam, McCarthy e Zald 1988; Neidhardt e Rucht 1991; Fillieule 1993; Della Por ta e Diani 1996.

lavano le teorizzazioni sullemergere di un nuovo attore sociale, che doveva sostituire la classe operaia ormai istituzionalizzata. Ri spetto a questultima immagine - che prendeva a modello una ver sione rivista della fase di massimo splendore del movimento ope raio - i nuovi movimenti divenivano un oscuro oggetto di deside rio, ombre di un nuovo attore dai contorni ancora imprecisi. In questo saggio vorrei dimostrare che i movimenti sociali non sono finiti e che anzi si sono moltiplicati - anche se la loro immagi ne oggi parzialmente diversa da quella dominante qualche decen nio fa. Come i partiti politici - che adesso poco assomigliano ai tra dizionali partiti di integrazione sociale o ai partiti di massa - anche i movimenti sociali hanno cambiato il loro volto specifico. Le loro trasformazioni riflettono mutamenti politici e sociali che sono, al meno in parte, il risultato dellazione degli stessi movimenti. Per co gliere la loro evoluzione generale al di l delle loro immagini con tingenti, utilizzer qui un concetto pi ampio di quello di movi mento sociale - un concetto che, in analogia con la letteratura sui partiti (che parla di party family , familie de politique e familie spirituelle per definire partiti ideologicamente affini), chiamer fami glia di movimenti sociali (cfr. anche Della Porta e Rucht 1992). Suggerir, infatti, che tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta ab biamo assistito in Italia alla nascita e allevoluzione di una famiglia particolare di movimenti sociali: la famiglia della sinistra libertaria. Nella ricerca sui movimenti collettivi, lunit danalisi privile giata stata, fino a ora, il singolo movimento o la singola campagna di protesta. Sebbene sia stato spesso sottolineato che un movimen to sociale non deve essere considerato come isolato dalla moltitu dine degli altri movimenti coesistenti nello spazio e nel tempo, so no stati fatti pochi tentativi di analizzare degli insiemi di movi menti (fra le eccezioni Garner e Zald 1985; Brand 1985; Kriesi 1989; Rucht 1994; Tarrow 1990). Questa omissione facilmente spiegabile: non solo non vi sono categorie sufficientemente elabo rate per definire questi soggetti pi ampi, ma i loro confini sono an che difficili da delimitare empiricamente. Nonostante queste diffi colt, lutilizzazione di un concetto di portata pi ampia permette di rilevare alcune caratteristiche generali del rapporto tra movi menti collettivi, nel loro complesso, e ambiente, guardando non so lo agli effetti di questultimo sui primi ma anche alla relazione in versa. Possiamo considerare una famiglia di movimenti sociali come
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linsieme di movimenti che, a prescindere dai loro obiettivi specifi ci, hanno valori di base simili e sovrapposizioni organizzative, e tal volta si alleano per campagne di protesta (Della Porta e Rucht 1992). Questo concetto delimitato nello spazio e nel tempo, rife rendosi a una specifica configurazione di movimenti sociali, defini ti a livello nazionale, che seguono un ciclo di emergenza, stabiliz zazione e, infine, scomparsa, che pu durare alcuni decenni. Du rante questo ciclo, una specifica configurazione storica, basata su convergenze sia ideologiche che strutturali di una rete di movi menti, emerge e si stabilizza o scompare. Come vedremo in segui to, ogni Stato e periodo storico pu vedere contemporaneamente presenti pi famiglie di movimenti sociali, tra loro alleate, conflit tuali o indifferenti. Queste diverse famiglie compongono quello che, in analogia con il sistema dei partiti, pu essere definito come un sistema di movimenti sociali. Nel corso degli ultimi decenni una famiglia di movimenti socia li stata particolarmente rilevante, non da ultimo per levoluzione del dibattito sociologico sul tema della protesta: i movimenti socia li della sinistra libertaria. Utilizzando per primo questo concetto a proposito di un tipo specifico di partiti, il politologo tedesco H er bert Kitschelt ha scritto:
Sono di sinistra perch condividono con il socialismo tradizionale la sfiducia nel mercato, nellinvestimento privato, e nelletica del successo, in sieme alla fiducia nella redistribuzione egualitaria. Sono libertari perch si oppongono al controllo delle burocrazie pubbliche e private sulle con dotte individuali e collettive. Essi, invece, auspicano una democrazia par tecipatoria e sostengono il diritto dei singoli e dei gruppi a definire auto nomamente le istituzioni economiche, politiche e culturali, sottraendole ai dictat di burocrazie e mercati. (Kitschelt 1990: 180)

Empiricamente, possiamo dire che, in particolare in Italia, la fa miglia dei movimenti della sinistra libertaria include attori che so no stati definiti come nuova sinistra e nuovi movimenti sociali. Le visioni del mondo proprie a questi due attori non sono certo identiche. Nei termini usati da Kitschelt, possiamo dire che la Nuo va sinistra era pi vicina alla ideologia socialista, mentre i Nuovi movimenti sociali hanno formulato la critica libertaria alle buro crazie. Se guardiamo alle ideologie delle organizzazioni pi pure, o pi estreme, da entrambe le parti, la loro definizione come si nistra libertaria sembra infatti inappropriata. A un livello pi com
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plessivo, comunque, le organizzazioni della Nuova sinistra hanno proclamato la democrazia diretta, e i Nuovi movimenti sociali si so no pronunciati a favore di una maggiore giustizia sociale. La conti nuit nelle biografie individuali e nelle reti organizzative legittima ulteriormente la decisione di ricostruire la storia dei movimenti che si sono identificati con queste immagini del mondo, come parte del ciclo evolutivo di una famiglia di movimenti sociali. Ai movimenti della sinistra libertaria dedicher ampio spazio in questo libro, cercando di analizzare le loro caratteristiche e trasfor mazioni. Se, come abbiamo detto, alcuni tratti considerati come ti pici dei movimenti sociali erano in realt legati a situazioni contin genti, cercheremo di delineare invece i connotati di un concetto che possa viaggiare nel tempo e nello spazio (Sartori 1990). Al con tempo, per, scendendo di alcuni gradini nella scala di astrazione dei concetti, sar utile individuare delle classificazioni che ci per mettano di distinguere le principali fasi evolutive dei movimenti so ciali in Italia, con particolare attenzione ai movimenti della sinistra libertaria. Per far questo dovremo collocare i risultati della nostra analisi in un contesto pi ampio, comparando sia - esplicitamen te - i movimenti in periodi diversi, sia - implicitamente - lItalia con le altre democrazie occidentali in cui famiglie di movimenti della si nistra libertaria si sono sviluppate nel corso del tempo. Nel far ci delineeremo, quindi, alcune peculiarit dei movimenti collettivi in Italia, del loro emergere e della loro evoluzione. Quali sono le caratteristiche che permettono di distinguere i di versi movimenti nel tempo e nello spazio? Gli effetti dei movimen ti sono stati spesso spiegati a partire dalla loro forza. Come per al tri attori sociali, la forza di un movimento collettivo pu essere ana lizzata in relazione a diversi indicatori quali il numero di aderenti delle organizzazioni che a esso fanno riferimento, la partecipazione alle varie azioni di protesta, e il sostegno nellopinione pubblica. Date le caratteristiche di informalit dei movimenti collettivi, co munque, questi indicatori non sono di semplice rilevazione. A ci va aggiunto il fatto che i movimenti collettivi non sempre assumo no forme visibili: anzi, come ha osservato Alberto Melucci (1992), essi oscillano tra fasi di visibilit, caratterizzate da mobilitazioni di massa, e fasi di latenza, cio di sopravvivenza allinterno di specifi che subculture. Gli indicatori appena menzionati possono essere, pi o meno, adeguati a misurare la forza dei movimenti collettivi nelle loro fasi di visibilit, ma non nelle loro fasi di latenza. Non
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avendo statistiche adeguate a misurare la forza dei movimenti so ciali per tutto il periodo in esame, nel corso di questo saggio ci con centreremo, dunque, su alcune caratteristiche qualitative, piuttosto che quantitative, dei movimenti. Lobiettivo principale infatti la ricostruzione dellevoluzione nel tempo della famiglia di movimen ti della sinistra libertaria, attraverso unanalisi delle differenze tra i diversi periodi. Dal punto di vista qualitativo, una prima caratteristica rilevan te la struttura organizzativa - cio le infrastrutture materiali e di comunicazione rappresentate da centri, reticoli e organizzazioni formali collegati ai movimenti. Come le altre organizzazioni politi che, anche quelle dei movimenti sociali assolvono a compiti diver si, dalla formazione delle identit collettive allelaborazione strate gica, dal coordinamento di campagne di protesta alla rappresen tanza del movimento nelle istituzioni, dalla sperimentazione sim bolica alla offerta di servizi. Criticando le teorie allora dominanti, che assimilavano i movimenti sociali ad altri comportamenti collet tivi di tipo spontaneo e in parte irrazionali, a partire dalla fine de gli anni Sessanta un nuovo filone di studi ha invece focalizzato lat tenzione sulle organizzazioni di movimento sociale (Social Movement Organizations o SMOs), definite come organizzazioni razio nali, capaci di raccogliere risorse nellambiente e di allocarle per fi ni di trasformazione politica (ad esempio, McCarthy e Zald 1977). Secondo i teorici di questo approccio, infatti, lo stesso emergere del movimento dipende dallesistenza di imprenditori della protesta cos come dalla densit delle precedenti reti di aggregazione. Nono stante limportante funzione svolta dalle organizzazioni di movi mento, c stato comunque un certo accordo fra gli studiosi del fe nomeno nel definire i movimenti collettivi come attori dotati di un basso grado di strutturazione. I movimenti sono stati caratterizzati, allora, come segmentati, con differenti cellule che crescono e muoio no in un breve volgere di tempo; policefali, con numerosi leader che controllano comunque solo piccole frazioni dei movimenti nel loro insieme; reticolari, cio basati su legami multipli tra cellule autono me che costruiscono delle reti dai confini indefiniti (ad esempio, Gerlach 1976). Di recente stato comunque sottolineato che le or ganizzazioni di movimento possono assumere modelli molto diversi tra loro, assomigliando - di volta in volta - ad associazioni, imprese, partiti o gruppi dinteresse (ad esempio, Kriesi 1993). La struttura organizzativa dei movimenti collegata alla loro
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ideologia, cio alla loro immagine del mondo, intesa come insieme di valori e percezioni sulla societ e il sistema politico. Le funzioni del le ideologie sono molteplici: la definizione dei problemi, lindividua zione delle possibili soluzioni, la motivazione allazione. Per reazio ne alla scuola struttural-funzionalista che aveva spiegato lesistenza dei movimenti con la diffusione di credenze generalizzate (Smelser 1962), gli approcci prevalenti negli anni Settanta - il resource mobilization approach negli Stati Uniti e lapproccio neo-marxista in Eu ropa - avevano trascurato lo studio delle strutture di significato e dei sistemi di valori. Considerati per lungo tempo come epifenomeni (come credenze, sovrastruttura o falsa coscienza), le culture dei movimenti sono tornate comunque al centro dellattenzione ne gli anni Ottanta, in particolare attraverso lapproccio interazionista allo studio dei movimenti collettivi. Ci si allora concentrati sugli schemi interpretativi usati dai movimenti per interpretare il mondo esterno (Snow et al. 1986; Hunt, Benford and Snow 1994). In gene rale, le ideologie dei movimenti sociali sono state considerate come tendenzialmente utopiche, quindi poco fondate empiricamenie e astratte, cio lontane dallesperienza quotidiana dei soggetti, oltre che spesso manichee, perch basate sulla netta distinzione tra amici e nemici. La loro forza starebbe invece nella loro capacit di convin cere la popolazione della universale importanza degli obiettivi per seguiti da un movimento. Anche per quanto riguarda le ideologie, si vedr comunque che esse sono mutate nel tempo. Se i movimenti de gli anni Sessanta sono stati infatti definiti come emancipatori e pro gressivi, quelli del decennio successivo vengono indicati come anti modernisti e regressivi (Brand 1990). Studi pi recenti hanno segna lato una tendenza dei movimenti degli anni Ottanta a divenire pi pragmatici, allontanandosi dalle grandi utopie per concentrarsi su te mi specifici e rinunciando alla contrapposizione frontale a favore del negoziato. La cultura dei movimenti poi collegata a unultima caratteri stica: i loro comportamenti, comprendenti sia le azioni strategica mente orientate - che fanno riferimento a una concezione coscien te, di lungo periodo, pianificata e integrata (Rucht 1990: 161) - sia quelle pi spontanee e meno coordinate. Il comportamento quin di un elemento emergente, risultante dalle attivit di vari attori che non necessariamente condividono motivazioni e obiettivi. Se il comportamento dei movimenti per definizione collegato a do mande di cambiamento (o resistenza a trasformazioni), esistono co
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munque per i movimenti diverse opzioni strategiche. Seguendo la letteratura sullargomento, si pu distinguere innanzitutto tra stra tegie culturali e strategie politiche, a seconda che lazione privilegi mutamenti nel sistema di valori nel lungo periodo o trasformazioni politiche nel medio periodo. Sia le strategie culturali sia quelle po litiche si caratterizzano, poi, per diversi gradi di radicalit: dalla moderata evoluzione subculturale alla radicale sfida controcultura le, nel primo caso; dal negoziato alla confrontazione, nel secondo. Un indicatore diretto dei comportamenti sono le forme dazione. Anche se la protesta non una forma d azione monopolizzata dai movimenti, specialmente nelle sue forme pi innovative, comun que, essa pu essere considerata come il modo di espressione tipi co dei movimenti sociali. In particolare, si osservato che i movi menti collettivi utilizzano prevalentemente forme di azione defini te come perturbative (disruptive), perch mirano a intimorire le lite attraverso una dimostrazione della forza numerica ma anche della determinazione degli attivisti (Tilly 1978; Tarrow 1983). Allo stesso tempo, comunque, la protesta serve a raccogliere consensi: essa devessere abbastanza innovativa - o, in generale, avere abba stanza notiziabilit - da raggiungere i mezzi di comunicazione di massa e, attraverso essi, un pubblico ampio, che i movimenti come minoranze attive (Moscovici 1979) cercano di convincere della giustezza dei loro obiettivi. Pur restando nellambito delle forme di protesta, possiamo dunque osservare che esse possono variare no tevolmente, adattandosi di volta in volta al raggiungimento di obiet tivi potenzialmente conflittuali. Se negli anni Settanta si era osser vata una tendenza a mantenere lattenzione dei media e il potenzia le di minaccia accentuando soprattutto la radicalit delle azioni, pi di recente due nuove tendenze sono state individuate: la diffusione della protesta anche ad attori istituzionali e la crescente modera zione dei repertori d azione utilizzati dai movimenti stessi.

2. Cosa spiega levoluzione dei movimenti: dove guardare


I movimenti collettivi sono influenzati da un insieme di variabi li sia internazionali che nazionali e, fra queste ultime, sia da fattori interni alla famiglia dei movimenti sociali - cio endogeni - che da fattori ad essa esterni - o esogeni. Per quanto riguarda i fattori in
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ternazionali - di cui ci occuperemo solo marginalmente in questo libro - diverse ricerche comparate hanno sottolineato le somiglian ze esistenti tra movimenti collettivi sviluppatisi quasi contempora neamente in diversi paesi (fra gli altri, Della Porta e Rucht 1992; McAdam e Rucht 1993). Questi paralleli sono stati attribuiti a due fenomeni: quellaumento delle interazioni tra i diversi paesi che ha fatto parlare di globalizzazione, e i contatti sempre pi frequen ti tra attivisti. A livello di fattori nazionali -su i quali concentreremo invece la nostra attenzione - diverse teorie hanno fatto riferimento allam biente dove i movimenti collettivi operano, guardando di volta in volta a variabili sociali o politiche. In primo luogo, le caratteristi che dei movimenti collettivi sono state collegate a quelle delle so ciet in cui essi sono emersi. Le spiegazioni sono state da questo punto di vista molto divergenti, andando dalla variante irraziona listica della privazione relativa collegata allo status di alcuni grup pi a quella razionalistica della organizzazione del conflitto di clas se; o ancora dal mutamento nelle condizioni strutturali di alcuni gruppi nel lungo periodo a fattori precipitanti congiunturali. Co me vedremo, in Italia movimenti collettivi si sono costituiti su te mi quali listruzione, la condizione femminile, lassetto urbano, i problemi dei giovani, lecologia, la pace, il welfare state. Il loro emergere ha coinciso, di volta in volta, con la presa di coscienza dellacuirsi di alcune tensioni sociali: la trasformazione delle fina lit del sistema di istruzione dalla riproduzione delle lite alla sco larizzazione di massa; lingresso massiccio delle donne nel merca to del lavoro; rapidi processi di urbanizzazione; la disoccupazione e la sottoccupazione giovanile; lo sfruttamento crescente delle ri sorse naturali; laggravamento delle tensioni internazionali; la cri si fiscale con conseguenti difficolt nellerogazione dei servizi so ciali. La presenza di tensioni sociali non spiega comunque, di per s, lemergere della protesta. stato infatti osservato che le contraddi zioni non esplodono nel momento di loro massima tensione, n la caduta della mobilitazione vuol dire la soluzione dei problemi che lavevano prodotta. Lindividuazione di un conflitto strutturale non ci dice, inoltre, molto sulle forme, specifiche e cangianti, che la mo bilitazione assumer. Per comprendere lemergere e le caratteristi che dei movimenti sociali, bisogna guardare invece alle occasioni che il sistema politico offre agli sfidanti. Ispirati dal politologo ame
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ricano Peter Eisinger (1973), che aveva dimostrato una relazione curvilineare tra lincidenza della protesta nelle citt americane e laccesso dei movimenti collettivi nelle arene politiche locali, mo delli sempre pi complessi sono stati elaborati per spiegare lemer gere e lo sviluppo dei movimenti a partire dalle caratteristiche del sistema politico. La maggior parte di questi lavori hanno fatto ri ferimento alla struttura delle opportunit politiche (McAdam 1982; Tarrow 1983, 1990, 1994; Brand 1985; Kitschelt 1986; Kriesi 1989 e 1991; Kriesi et al. 1995). Nella definizione del contesto politico si guardato in primo luogo a quella struttura tendenzialmente sta bile di caratteristiche istituzionali e culturali che determinano le possibilit di accesso al sistema da parte di attori esterni. Nella sua distinzione tra una struttura di input e una struttura di output, H er bert Kitschelt (1986: 61-64) ha sottolineato in particolare la rile vanza di alcune caratteristiche costitutive dei regimi politici, quali quelle relative al sistema elettorale, alla divisione dei poteri tra i di versi organi dello Stato, e ai rapporti tra cittadini e istituzioni. Guardando a un livello meno formalizzato, Hanspeter Kriesi (1989: 295) ha parlato di strategie nazionali che fisserebbero le regole del gioco per le situazioni di conflitto. I percorsi di costituzione del lo Stato nazionale avrebbero portato i diversi paesi a optare, in par ticolare nei confronti del movimento operaio, tra strategie di tipo inclusivo, caratterizzate da compromessi e integrazione, e strategie di tipo esclusivo, basate su repressione e isolamento. Istituzioni e cultura politica influenzano gli atteggiamenti con creti dei singoli attori, ma non determinano per, una volta per tut te, i rapporti di forza allinterno del sistema politico, i quali sono in fatti influenzati anche dalla mutevole configurazione dei rapporti di potere tra gli attori che appoggiano e quelli che osteggiano un mo vimento sociale. Seguendo alcuni studi recenti (Kriesi 1989 e 1991; Klandermans 1989 e 1990; Della Porta e Rucht 1992), possiamo in fatti parlare di un sistema di alleanza, composto dagli attori politi ci, istituzionali e non, che sostengono una famiglia di movimento sociale, e di un sistema di conflitto, formato invece da quelli che vi si oppongono. Mentre il sistema di alleanza fornisce risorse e crea opportunit politiche per i movimenti collettivi, il sistema di con flitto tende a ridurre quelle risorse. importante osservare che spesso la linea di confine tra alleati e oppositori tende a sovrappor si a fratture preesistenti: Il cleavage tra sistemi di alleanza e siste mi di conflitto dei movimenti collettivi pu coincidere con altri clea13

vages, come classi sociali, linee etniche o affiliazioni destra-sinistra (Klandermans, a cura di, 1989: 303). Per quanto riguarda il ruolo degli alleati, Kriesi (1989: 296) ha per primo insistito sullinfluenza preponderante della configura zione degli attori rilevanti della sinistra nel determinare alcuni connotati dei movimenti sociali. In particolare, la loro posizione ri spetto ai movimenti sociali - che si pu distinguere in ostile, cooptativa, o cooperativa - influisce sulle scelte strategiche degli attori della protesta. La strategia generale dei partiti di sinistra (difensiva, pragmatica, riformista ecc.), la loro ideologia (socialdemocratica o comunista), il loro radicamento (subculturale o meno), le caratteri stiche del loro elettorato (di opinione o di appartenenza), la loro struttura organizzativa (inclusiva o esclusiva), la vicinanza al pote re (a livello locale o nazionale) sono tutti elementi che si riflettono sugli atteggiamenti e i comportamenti rispetto alla protesta. Si de ve aggiungere che i movimenti spesso si alleano tra loro allinterno di quello che abbiamo definito come sistema dei movimenti socia li, cio dellinsieme di movimenti sociali presenti allinterno di una societ2. In Italia, in particolare, i movimenti della sinistra liberta ria hanno trovato spesso appoggi allinterno del movimento operaio o di movimenti di tipo etnico. Parallelamente a quanto avviene rispetto ai loro alleati, i movi menti sociali sono anche influenzati dalle strategie adottate dai lo ro oppositori, sia al di dentro che al di fuori delle istituzioni. Nel si stema di conflitto si trovano in primo luogo i contromovimenti, cio quegli attori non istituzionali che si contrappongono alle conquiste, attuali o potenziali, dei movimenti sociali. Movimenti e contromo vimenti si influenzeranno reciprocamente, contribuendo sia alle voluzione del discorso ideologico sui singoli temi, che alla defini zione delle politiche pubbliche. Al livello istituzionale le principali controparti dei movimenti della sinistra libertaria sono in genere i partiti di centro e di destra e, nella maggior parte dei casi, gli enti locali. Come ha osservato Charles Tilly (1978), le strategie degli at tori istituzionali rispetto ai loro sfidanti combinano repressione e facilitazione. Rispetto ai fini del movimento, i rappresentanti del le istituzioni potranno utilizzare - attraverso la promozione e lim
2 Questo concetto (presentato in Della Porta e Rucht 1992) simile a quello di social movement sector, che comprende invece tutti i movimenti sociali ope ranti in una certa societ (Garner e Zald 1985: 120; McCarthy e Zald 1977:1220).

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plementazione delle politiche pubbliche - una gamma di risposte che va dallaccettazione totale al totale rifiuto. Rispetto agli attori della protesta, la reazione pu variare dalla repressione al negozia to, prevedendo diversi gradi di riconoscimento. Non solo in Italia, aUinterno del sistema di conflitto, gli apparati repressivi dello Sta to hanno giocato un ruolo rilevante soprattutto nella prima fase di sviluppo dei movimenti della sinistra libertaria. In particolare, le strategie dei movimenti sono state influenzate da quello che pu es sere definito come controllo di polizia della protesta - un termine pi neutrale per quello che gli attivisti definiscono normalmente co me repressione e i loro avversari come ripristino della legge e del lordine (Della Porta 1995). In generale, si infatti osservato che le forze di polizia sono state spesso utilizzate contro i movimenti col lettivi, con il compito di indebolire le organizzazioni attraverso in filtrati e agenti provocatori, intimidazioni e arresti, diffusione di im magini deformanti nei comunicati alla stampa e sabotaggio di par ticolari azioni (Marx 1979). Anche per quanto riguarda il controllo di polizia sullazione dei movimenti, si deve dire che esso varia mol to andando da selettivo a diffuso, in relazione al numero di com portamenti e di attori considerati come legittimi; da preventivo a reattivo, a seconda del momento in cui si interviene; da hard a soft, a seconda della quantit di forza impiegata; da legale a illegale, a se conda delluso o meno di tattiche proibite dalla legge. Complessi vamente, possiamo distinguere un controllo poliziesco tollerante da un controllo di tipo repressivo. Unultima osservazione: rispetto alle spiegazioni basate sulle ca ratteristiche strutturali, gli studiosi del cos detto approccio della mobilitazione delle risorse hanno sostenuto che in realt la struttu ra dei conflitti - sempre latenti nella societ-non spiega di per s la loro attivazione. Nemmeno laprirsi della struttura delle opportu nit politiche comporta la mobilitazione contemporanea di tutti i conflitti potenzialmente presenti nella societ. Per spiegare lemer gere di un conflitto in un particolare momento, infatti necessario tener conto anche di fattori endogeni ai movimenti sociali. Perchi conflitti diano luogo a mobilitazioni collettive, , infatti, necessario che siano disponibili sia risorse culturali - come immagini del mon do, valori, schemi, simboli, capacit, esperienze e motivazioni che predispongono allazione - che risorse materiali - quali infrastruttu re e reti di aggregazione. Come vedremo, queste risorse interne in fluiscono sulle caratteristiche assunte dalla mobilitazione. In parti
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colare, la realt esterna viene filtrata attraverso la percezione che gli attivisti ne hanno, sicch tutti i menzionati elementi della struttura delle opportunit politiche avranno un effetto diverso a seconda della cultura prevalente nel movimento. Come vedremo, inoltre, da un lato, dinamiche interne di imitazione portano alla permanenza di alcuni modelli organizzativi, elementi ideologici e forme d azio ne, che vengono ereditate da un movimento allaltro; dallaltro, at traverso strategie di apprendimento - di prova ed errore - i movi menti evolvono e si trasformano, anche sulla base di riflessioni cri tiche sugli errori del passato.

3 .1 temi affrontati in questo libro


Un primo obiettivo di questo volume la descrizione delle ca ratteristiche assunte dalla famiglia dei movimenti della sinistra li bertaria in diversi momenti storici. Riprendendo le categorie anali tiche appena illustrate, nel corso di questo libro osserveremo le tra sformazioni nei modelli organizzativi, nei contenuti ideologici e nelle strategie d azione dei movimenti. La struttura organizzativa dei movimenti - almeno in Italia - mutata considerevolmente in relazione alla formalit o informalit della strutturazione organiz zativa, alla centralizzazione o decentralizzazione dei rapporti inter ni centro-periferia, al grado di partecipazione nelle procedure de cisionali, allimpegno richiesto agli attivisti, allinclusivit o esclusi vit dei rapporti con lambiente esterno. I movimenti collettivi so no emersi con strutture organizzative informali, decentrate, parte cipative, totalizzanti ma inclusive. Essi hanno in seguito assunto ca ratteristiche totalizzanti ed esclusive, pur allinterno di due diversi modelli, luno centralizzato, formale ed elitario, laltro informale, decentrato e partecipativo. Entrambi i modelli si sono mantenuti anche in una terza fase, quando per si sono ancora trasformate le caratteristiche della partecipazione e dei rapporti con lambiente, con la prevalenza di atteggiamenti laici e inclusivi. Queste trasformazioni organizzative sono state accompagnate da mutamenti profondi nella cultura dei movimenti. A livello della definizione della identit del movimento si noter, infatti, il pas saggio da una identit di classe a una identit pluralista, e da una definizione di s in termini ascrittivi e generalizzanti, con la preva lenza data di un ruolo rispetto agli altri, a una definizione di s
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come scelta soggettiva e concreta, dove la prevalenza di un ruolo ri spetto agli altri solo temporanea. Mentre la priorit data ad una base di identit rispetto alle altre ha creato un gioco a somma zero in cui amici e nemici erano inevitabilmente e inequvocamente schierati luno contro laltro, le identit pluraliste hanno permesso di sviluppare un caleidoscopio di giochi diversi, con mutevoli alleati e avversari a seconda della identit temporaneamente prevalente. A livello di definizione del mondo esterno, distingueremo tra atteg giamenti pragmatici e utopistici, a seconda dellampiezza dei cam biamenti richiesti, e tra atteggiamenti ottimisti o pessimisti, a se conda della fiducia nella possibilit di raggiungere i propri obietti vi. Combinando le due dimensioni vedremo che le ideologie preva lenti nei movimenti erano, inizialmente, di tipo rivoluzionario (ot timista e utopistico); in seguito fondamentaliste (pessimiste e uto pistiche), e, infine, pragmatiche, con approcci ora riformistici (ot timisti), ora minimalisti (pessimisti). Accanto alla struttura organizzativa e alla cultura dei movimen ti, vedremo che si sono trasformate in Italia anche le forme di pro testa da essi utilizzate. Partecipazione collettiva convenzionale, par tecipazione nonconvenzionale legale, disobbedienza civile e azione violenta si sono spesso intrecciate. Nel corso dellevoluzione dei movimenti della sinistra libertaria vi stato comunque un profon do mutamento nella combinazione relativa delle varie forme d a zione. Forme d azione convenzionali e nonconvenzionali ma legali sono prevalse nella fase iniziale. In seguito si assistito a un pro cesso di graduale radicalizzazione, con un peso crescente delle for me dazione violente. Ma gli effetti della violenza sono stati cos di rompenti da portare a una sorta di vaccino contro i processi di ra dicalizzazione: in una fase che dura tuttora, infatti, la violenza pressocch scomparsa dal repertorio dazione dei movimenti col lettivi, dove prevalgono adesso le azioni di disobbedienza civile nonviolenta insieme ad azioni convenzionali. La diversa combinazione di questi tre insiemi di variabili per mette di definire cune fasi che hanno caratterizzato levoluzione dei movimenti della sinistra libertaria in Italia: lemergenza, la ra dicalizzazione, il consolidamento, la specializzazione. La fase del lemergenza coincise con lo sviluppo del primo dei movimenti del la sinistra libertaria a comparire sulla scena: il movimento studen tesco. Al movimento studentesco seguirono vari movimenti collet tivi, che nacquero in parte dalla sua stessa crisi: il movimento delle
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donne e il movimento^giovanile, in primo luogo. Lo sviluppo di questi movimenti avvenne nella fase di polarizzazione - che fu con temporaneamente radicalizzazione e riflusso nellazione culturale. Solo dopo una rottura - un momento di silenzio, seguito alla trage dia del terrorismo - i movimenti collettivi riemersero e si consoli darono con il movimento della pace ma anche con le diverse forme di azione su temi che vanno dallecologia allo stato sociale. Alla fa miglia della sinistra libertaria ormai consolidata si affiancarono e sintrecciarono quindi altre famiglie di movimenti, in una situazio ne di complessiva specializzazione delle loro organizzazioni. A questi quattro processi - che solo grosso modo coincidono con i decenni tra gli anni Sessanta e gli anni Novanta - sono dedi cati rispettivamente i capitoli secondo, terzo, quarto e quinto. In ciascuno di questi capitoli descriver le caratteristiche dei movi menti collettivi a partire dalle loro strutture organizzative, ideolo gie e comportamenti. Questo ordine di presentazione coerente con lipotesi di una parziale derivazione di comportamenti e forme d azione da alcune scelte ideologiche (e di definizione d identit), a loro volta interagenti con la struttura organizzativa assunta dai mo vimenti della sinistra libertaria. Esso riflette quindi lambizione, presente in ciascun capitolo, di non limitarsi alla enucleazione di al cune caratteristiche ma piuttosto di cercare anche di spiegare le va rie tappe di evoluzione dei movimenti. Per far questo lattenzione andr alle risorse - e dinamiche - interne alla famiglia dei movi menti sociali, ma non solo a esse. Accanto a queste variabili endo gene, guarderemo infatti anche alle condizioni dellambiente ester no che possono essere intervenute nellevoluzione dei movimenti: in particolare, alla struttura dei cleavage sociali e alle opportunit politiche. In Italia la struttura dei cleavages - o fratture - presenti nella so ciet, cos come le rivendicazioni su cui i movimenti collettivi si so no formati, sono state influenzate dalla polarizzazione tra destra e sinistra. Successivamente, a partire dallinizio degli anni Ottanta, la delegittimazione del sistema dei partiti ha spinto i movimenti a un rifiuto di collocarsi su quellasse, fino a portare - negli anni No- vanta - alla creazione, almeno temporanea, del nuovo cleavage onesti-disonesti. A proposito della struttura delle opportunit politiche, nel caso italiano osserveremo il passaggio da una struttu ra istituzionale tendenzialmente chiusa - con centralizzazione ter ritoriale, limitata indipendenza del potere giudiziario, scarsa possi18

bilit di partecipazione dei cittadini, e una strategia complessiva di tipo esclusivo - a una progressiva apertura - grazie alla implemen tazione del decentramento amministrativo e dellistituto del refe rendum abrogativo, oltre che allaccresciuta indipendenza della magistratura. Per quanto riguarda le strategie nazionali, gli effetti di una tradizione di repressione violenta del movimento operaio, percepibili ancora negli anni Settanta, si sono a poco a poco inde boliti. A proposito degli alleati potenziali dei movimenti, la struttura delle risorse disponibili stata influenzata dalla presenza di una for te sinistra tradizionale, che ha teso a cooptare i movimenti sociali, ri ducendo le pressioni verso la formazione di autonome risorse inter ne. Solo a partire dagli anni Ottanta si assistito alla crescita pro gressiva di strutture autonome di movimento, che hanno permesso un parziale superamento della forte dipendenza della mobilitazione dalle risorse provenienti dalla sinistra istituzionale. La posizione del Pei, cos come quella dei sindacati - principali alleati potenziali per i movimenti della sinistra libertaria - si trasformata nel tempo, pas sando da tentativi di cooptazione allinterno di un modello egualita rio, alla competizione per legemonia operaia e, infine, alla coope razione a termine su singoli obiettivi. Per quanto riguarda gli oppositori dei movimenti, come osser veremo nel corso della nostra ricerca la protesta si sviluppata, ne gli anni Sessanta, in una fase di repressione meno dura rispetto a quella che aveva caratterizzato gli anni Quaranta e Cinquanta, con un minore uso della forza (pur allinterno di tattiche di tipo reatti vo e di repressione diffusa). Nel corso degli anni Settanta, essa ave va comunque scatenato una risposta diffusa e reattiva, basata su un uso frequente di interventi coercitivi da parte delle forze di polizia e, talvolta, su interventi illegali. Se le strategie di controllo della pro testa si erano fatte pi selettive e preventive, le tecniche di control lo non si erano certo ammorbidite. Solo a partire dagli anni O t tanta, la risposta della polizia diverr nuovamente pi tollerante, mantenendo i caratteri di selettivit e prevenzione sviluppati nel de cennio precedente. Questa maggiore tolleranza nellordine pubbli co rispecchier il passaggio, per quanto riguarda gli oppositori, da atteggiamenti di scontro ad atteggiamenti negoziali. Vedremo an cora che - grazie anche alle alleanze con il Pei e i sindacati - i mo vimenti della sinistra libertaria hanno anche goduto, soprattutto ne gli anni Ottanta, di strategie di facilitazione da parte di alcuni enti
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locali. Ancora a proposito degli oppositori, soprattutto negli anni Settanta le interazioni tra movimenti e contromovimenti possono essere descritte come battaglie, in cui lobiettivo principale era la distruzione dellawersario, con poca attenzione ai costi. Scontri quotidiani tra attivisti della sinistra e neofascisti hanno contribuito, attraverso una spirale di reciproche vendette, alla radicalizzazione della protesta. Unultima osservazione: questo libro nasce da esperienze dirette di ricerca su alcuni momenti e attori della protesta, da un interesse pi che decennale per gli studi sui movimenti sociali, e da unanali si sistematica della letteratura scientifica e giornalistica sulle mobili tazioni collettive in Italia. Nel corso di questo studio ho prestato par ticolare attenzione alle voci interne ai movimenti, sia nella forma di memoriali e biografie di attivisti3 che in quella di documenti del le organizzazioni di movimento. Questa attenzione riflette la con vinzione che sia le caratteristiche della protesta stessa che quelle del lambiente esterno contino soprattutto nella misura in cui esse vengono percepite dai vari attori - che la costruzione sociale della realt della protesta sia cio la variabile interveniente pi rilevante nello spiegare il passaggio dalla struttura allazione.
3 In particolare, le citazioni da Storie di vita n. ... si riferiscono a interviste con militanti di organizzazioni radicali, raccolte nellambito di un progetto di ri cerca finanziato dalla Regione Emilia Romagna presso listituto Carlo Cattaneo di Bologna. Per maggiori informazioni cfr. Della Porta 1990: 306-308.

II LA PROTESTA STUDENTESCA E LEMERGERE DI NUOVI MOVIMENTI SOCIALI NEGLI ANNI SESSANTA

Gli anni Sessanta si erano aperti in Italia con grandi mobilita zioni di massa. Alla decisione del Movimento sociale italiano di te nere il suo congresso nazionale a Genova, citt medaglia d oro del la resistenza al fascismo, era seguita, il 30 giugno del 1960, una ma nifestazione antifascista nella stessa citt, con la partecipazione di alcune decine di migliaia di persone. Dopo momenti di grande ten sione, il governo guidato da Fernando Tambroni, sostenuto anche da missini e monarchici, aveva avviato una repressione violenta, che aveva portato alla morte di un dimostrante a Licata, il 5 luglio, e di altri cinque, due giorni dopo, a Reggio Emilia. Altri dimostranti morirono durante le cariche della polizia, l8 luglio dello stesso an no, a Catania e a Palermo (Ginsborg 1989: 256-57). La C gil pro clam lo sciopero generale, e per le pressioni allinterno della stes sa De, il governo Tambroni fu costretto a dimettersi poche setti mane dopo. Mentre la formula del centro-sinistra, basata sullal leanza di governo tra De e Psi, veniva sperimentata a livello locale, lavvento alla presidenza del democratico John F. Kennedy negli Stati Uniti cominci a rendere possibile unapertura al Psi anche al governo nazionale. E infatti, nel 1962, il Psi si astenne nel voto di fiducia al governo Dc-Psdi-Pri guidato da Amintore Fanfani, e, nel dicembre del 1963, divenne parte di un governo presieduto da Al do Moro. Nonostante le forti resistenze incontrate, che portarono a vari rimpasti governativi, il programma di riforme del centro-sinistra suscit numerose speranze. In questo clima comparve sulla scena il primo movimento della sinistra libertaria: il movimento studentesco. Gi nel 1965 venne occupata la sede dellateneo pisano, la Sapienza; nel 1966 occupa rono gli studenti- della nuova facolt di Sociologia delluniversit di
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Trento, fiore allocchiello dei notabili locali; nel 1967 vi fu loccu pazione, durata quasi un mese, della sede centrale delluniversit di Torino, Palazzo Campana. Le mobilitazioni, inizialmente appoggia te dagli organi di autogestione degli studenti, si estesero gradual mente dai temi legati alla vita accademica alla societ nel suo com plesso. Nella primavera del 1968 - prima del maggio francese - lon data di protesta si estese a tutti gli atenei, radicalizzandosi nei lun ghi bracci di ferro con le autorit accademiche, nei primi scontri con la polizia chiamata a sgombrare le sedi occupate, e nelle sempre pi frequenti scaramucce con i neofascisti. Come si dir nel corso di questo capitolo, nella prima met de gli anni Sessanta si definirono alcune delle caratteristiche organiz zative, ideologiche e comportamentali che caratterizzarono, anche in seguito, la famiglia dei movimenti della sinistra libertaria in Ita lia. Alcune di esse erano simili a quelle dei movimenti che, sui temi della scuola, si erano sviluppati quasi contemporaneamente in altri paesi del mondo occidentale e orientale, del ricco Nord e del po vero Sud. Altre, invece, appaiono pi tipiche del caso italiano e so no spiegabili, almeno in parte, con le reazioni allemergente fami glia dei movimenti della sinistra libertaria.

1. Le strutture organizzative: dallassemblearismo alla Nuova sinistra


Il modello organizzativo del movimento studentesco era basato sul principio della democrazia partecipativa, o democrazia di base. Presentata come mezzo di ricomposizione dellunit studentesca, lassemblea era la principale formula organizzativa: La scelta del la democrazia assembleare sembra precedere qualsiasi teorizzazio ne, e nascere in un certo senso da s, come frutto diretto della no vit stessa della situazione (Ortoleva 1988: 118). Proprio nellaf fermazione dellassemblea scompariranno, infatti, quelle organiz zazioni studentesche al cui interno la protesta aveva avuto un pri mo timido avvio. Quando il movimento studentesco emerse in Italia alla met de gli anni Sessanta, le sue prime risorse organizzative provenivano dalla Unione nazionale universitaria rappresentativa (U nuri), cio da un parlamentino studentesco cui partecipavano gruppi con differenti orientamenti ideologici: lUnione goliardica italiana
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(Ugi), di sinistra, la cattolica Intesa, i monarchici del gruppo Viva Verdi, i liberali Goliardi indipendenti, la destra neofascista del Fuan. Tradizionalmente, questi partitini studenteschi costituiva no delle riserve di giovani leader per i partiti politici, ai quali i vari gruppi erano affiliati (Statera 1973). Durante gli anni Sessanta, con la crescente insoddisfazione degli studenti rispetto al funziona mento del sistema accademico, IU nuri e alcuni partitini studente schi si radicalizzarono, divenendo le prime palestre in cui la prote sta studentesca si espresse e poi crebbe. Nel 1964 IU nuri organizz uno sciopero nazionale contro la proposta governativa di riforma delluniversit (Tarrow 1990: 121 sgg.) e unala pi radicale emerse allinterno dellUgi. Attaccate per la loro mancanza di democrazia interna, queste stesse organizzazioni divennero comunque le prime vittime della protesta studentesca. Nel dicembre del 1968 IU nuri venne sostituita da delegati studenteschi eletti dalle assemblee ge nerali. Per quanto riguarda IUgi, proprio quei legami con i partiti della sinistra, che le avevano permesso di usufruire di importanti ri sorse organizzative nel corso della sua esistenza, si dimostrarono per troppo ingombranti quando la protesta si svilupp alla met degli anni Sessanta. Sconvolta dal dissenso interno e incapace di guadagnare indipendenza e credibilit, IUgi si dissolse cos dopo le prime manifestazioni di massa. Nella critica a partitini e parlamentini si svilupp un nuo vo modello di democrazia: la democrazia diretta. Le formule orga nizzative adottate dalle organizzazioni del movimento studentesco allinizio della mobilitazione furono assemblee generali di studen ti di una facolt o di una universit; gruppi di studio o contro corsi, con lobiettivo di sperimentare forme diverse di cono scenza; comitati di facolt. La partecipazione nei nuclei universi tari non comportava scelte di adesione formile. Le decisioni erano prese in assemblee generali aperte a chiunque volesse partecipare, i leader erano coloro che devolvevano pi energie allazione col lettiva, e varie tendenze ideologiche coesistevano senza frizioni drammatiche. Fino al 1969 gli studenti teorizzavano sullauto-organizzazione e il controllo permanente. Occupazione e assemblee avevano il compito di elaborare un nuovo modello di democrazia, che si contrapponeva alla democrazia maggioritaria e delegata, spostando la base della legittimazione dalle regole formali alla par tecipazione sostanziale. Durante le occupazioni le commissioni di studio eleggevano rappresentanti revocabili, che poi si riunivano

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nei comitati di agitazione, responsabili di fronte alle assemblee. I principi organizzativi pi innovativi si dimostrarono per dif ficili da applicare alla realt della mobilitazione. Come si disse in se guito, la democrazia assembleare instaurava nei fatti processi di de lega e di manipolazione, con investitura plebiscitaria dei leader e personalizzazione della politica. Se il movimento studentesco esal tava la spontaneit, esso aveva comunque bisogno di strutture de cisionali efficienti e di risorse organizzative. Quando la critica del la burocratizzazione demolir le organizzazioni studentesche preesistenti, nuove risorse per il coordinamento verranno soprat tutto da una serie di piccoli gruppi, fondati allinizio degli anni Ses santa. Intellettuali che criticavano da sinistra il Pei, il Psi e i sin dacati diedero vita ad alcune riviste - come Quaderni rossi e Classe operaia - dette operaiste perch sottolineavano la cen tralit della classe operaia nel conflitto di classe e il suo bisogno di una organizzazione autonoma. Attorno a esse si costituirono picco li gruppi con poche dozzine di aderenti e non coordinati luno con laltro, che cercavano - con qualche successo - di reclutare qua dri di classe operaia. Tra di essi, uno di quelli destinati ad avere maggiore influenza sulla successiva evoluzione dei movimenti in Italia era Potere operaio toscano, costituito alla fine del 1966 da ex membri del Pei, con lobiettivo di intervenire nelle fabbriche di Pi sa, Livorno, Massa e Piombino. Altre riviste, create come periodici di critica artistica o letteraria, si politicizzarono1. La struttura orga nizzativa di questi gruppi, usualmente costituiti da densi reticoli di rapporti personali, era scheletrica e la partecipazione tendenzial mente inclusiva. Gli attivisti di questi gruppi giocarono un ruolo importante nella fase centrale della mobilitazione studentesca. A partire dal 1968, incontri organizzativi ad hoc, a livello inter regionale o nazionale, vennero convocati per coordinare le attivit nelle diverse universit. Nello stesso tempo, i nuclei universitari rafforzarono i loro legami con luno o laltro dei gruppi operaisti, organizzando iniziative comuni allesterno delluniversit. Questo processo, sviluppatosi tra il 1968 e il 1969, port allemergere del le organizzazioni della Nuova sinistra: da Avanguardia operaia a Potere operaio e a Lotta continua. La storia di questultima pu ser
1 Un esempio la rivista Nuovo Impegno. Fondata nel 1965, con il sotto titolo Rivista bimestrale di letteratura, nel 1967 essa divenne uno dei principa li giornali della protesta studentesca. Su questa fase, cfr. Tarrow 1990: eh. 10.

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vire a illustrare il modo in cui questi gruppi nacquero, attraverso laggregazione di nuclei impegnati in diverse realt. Alle origini di Lotta continua ci sono, infatti, delle piccole reti di attivisti, costituitesi soprattutto durante gli scioperi alla Fiat Mirafiori di Torino. Proprio alla Fiat Mirafiori, alcuni degli studenti di Potere operaio pisano si incontrarono con gli attivisti di altri grup pi operaisti (come La Classe di Porto Marghera), offrendo le loro risorse organizzative ai lavoratori pi critici nei confronti della lea dership sindacale. In seguito, i gruppi che venivano da Potere ope raio toscano e Potere operaio di Pavia, insieme a studenti attivi nel le universit di Torino e Trento e nelluniversit Cattolica di Mila no, fondarono Lotta continua. Allinizio, Lo slogan la lotta con tinua [...] divenne lespressione con cui venne designata onni comprensivamente unampia coalizione di studenti militanti e di operai estremisti che si radunavano ogni giorno in [un] bar (Tarrow 1990: 227). La sua principale forma organizzativa erano le as semblee operai-studenti, aperte a tutti gli attivisti che vi volevano partecipare e coordinate attraverso assemblee interregionali orga nizzate settimanalmente in diverse citt. Con una esplicita critica al concetto leninista di partito, lorganizzazione veniva definita co me un processo di coordinamento e unificazione delle avanguar die interne alle singole situazioni di lotta. Levoluzione di Lotta continua e degli altri gruppi fu quindi in fluenzata dal declino della mobilitazione nelluniversit e dal con temporaneo estendersi della protesta ai pi diversi strati sociali. Se la protesta si organizz a livello di base in centinaia di collettivi di fabbrica, scuola o quartiere, una parte delle risorse per le nuove mobilitazioni vennero comunque proprio dalle organizzazioni del la Nuova sinistra, che continuarono a raccogliere una buona parte degli attivisti provenienti dal movimento degli studenti. Tra la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Settanta, queste organizza zioni si trasformarono, adottando un modello organizzativo pi centralizzato ed esclusivo. Il congresso nazionale del movimento studentesco a Venezia nel settembre del 1968 fu, nelle parole del leader di Lotta continua Luigi Bobbio, forse lultimo momento in cui il confronto avviene in modo aperto sulla base dellappartenen za di ciascuno al movimento (Bobbio 1988: 16). Nel contempo, i contatti con la classe operaia ebbero delle conseguenze sulla strut tura organizzativa, che si proiett pijverso lesterno. Sebbene ra dicati prevalentemente o esclusivamente nelle scuole e nelle uni
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versit, molti gruppi si dotarono di strutture di intervento fra le masse operaie e popolari. Il 1969 rappresent un momento di svolta. Mentre le occupa zioni universitarie declinavano, gli attivisti presero strade differen ti: alcuni rifluirono nel privato, altri divennero professionisti della politica. Tra questi ultimi non furono molti, almeno in que sto periodo, coloro che entrarono nelle organizzazioni della sini stra tradizionale. Nel corso dellevoluzione del movimento stu dentesco, limitate furono le adesioni alla F gci, che infatti, nel 1968, entr in una profonda crisi che si riflesse in un drammatico decli no delle adesioni2. Solo pi tardi, nel corso degli anni Settanta, an che il Pei recluter fra gli ex-attivisti del movimento degli studen ti (Lange, Irvin e Tarrow 1990) - anche se la membership del Pei crescer meno nelle aree in cui il movimento era stato pi forte che in quelle alla sua periferia (Barbagli e Corbetta 1978: 19). Mol to numerosi furono invece coloro che aderirono ai gruppi della si nistra extraparlamentare, che nel frattempo si trasformarono. Es sendo stati protagonisti della fase alta della protesta studentesca, questi gruppi potevano contare su una membership abbastanza ampia: 20-30.000 militanti per Lotta continua, 5-6000 per il Mani festo, circa 3000 per Avanguardia operaia (Monicelli 1978; cfr. an che Teodori 1976). Tornando alla storia di Lotta continua, ancora Bobbio ricorda che proprio nel 1969 si ritenne di dover superare questo stadio primitivo dando vita a un coordinamento nazionale dei delegati (1988: 74). Si concluse cos la fase dellassembleari smo e si cominciarono a strutturare le organizzazioni della Nuova sinistra.

2. Lideologia; dal rivendicazionismo studentesco alla rivoluzione proletaria


Le trasformazioni organizzative si riflessero sulle altre caratteri stiche del movimento studentesco, in primo luogo sulla costruzio ne della sua identit e sulle proposte di trasformazioni politiche e
2 D numero degli iscritti della F g c i , che era gi declinato dai 438.759 nel 1951 ai 125.438 nel 1968, si ridusse ancora lanno successivo, arrivando a un minimo di appena 68.648 (Barbagli e Corbetta 1978: 11).

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sociali. Nata su rivendicazioni interne al mondo accademico, la pro testa studentesca elabor poi una utopia sui temi della conoscenza, ampliando i suoi interessi anche al mondo esterno. Il movimento degli studenti inizi la sua storia con domande le gate alla situazione interna alluniversit. Sin dallinizio degli anni Sessanta le organizzazioni rappresentative degli studenti avevano chiesto una maggiore partecipazione negli organi decisionali, una riforma della didattica e un miglioramento dei servizi. Gi nel no vembre del 1963 la facolt di Chimica dellateneo pisano era stata occupata per protestare contro laumento delle tasse e rivendicare la presenza di una rappresentanza studentesca negli organi di ge stione delluniversit. Nel febbraio dellanno successivo il parla mento degli studenti di Pisa (IO riup) proclam loccupazione del la Sapienza, domandando lingresso dei rappresentanti degli stu denti nel consiglio di amministrazione dellateneo, la pubblicit dei bilanci e la costituzione di commissioni paritetiche su didattica ed esami. Il movimento studentesco napoletano nacque, nel 1965, sul tema delledilizia universitaria, chiedendo, contro il previsto smem bramento delle facolt, una nuova sede concentrata. Nello stesso anno, a Pisa, gli studenti occuparono per protestare contro il cos detto piano Gui (il disegno di legge n. 2314) che prevedeva la pia nificazione degli interventi su ricerca, didattica ed edilizia, intro ducendo nei fatti un sistema di iscrizioni a numero chiuso. Nel corso delle occupazioni della fine del 1967 e del 1968 que ste rivendicazioni vennero elaborate in progetti di trasformazioni pi generali. La protesta degli studenti si rivolse in primo luogo al tipo di conoscenza prodotto e riprodotto nelle universit. Durante loccupazione di Palazzo Campana a Torino, nel febbraio del 1967, le richieste presentate dagli studenti riguardavano, ancora una vol ta, limmissione con voto consultivo degli studenti negli organi di rigenti e la partecipazione allelezione del rettore. Cominciarono^ comunque, anche le elaborazioni sul tema di una diversa cultura, e si organizzarono commissioni di studio e controcorsi. Il potere studentesco doveva essere un mezzo per riaffermare il controllo sul la propria formazione. Infatti, nella Carta rivendicativa, elaborata durante loccupazione, vennero presentate domande concrete rela tive a: piena liberalizzazione dei piani di studio, richiesta di di spense per i corsi monografici, diritto di intervento degli studenti durante le lezioni, discussione collettiva del voto con gli studenti presenti agli esami, abolizione dei controlli sulle presenze, diritto di
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inchiesta degli studenti sulle decisioni relative a fondi di ricerca, in carichi e concorsi. Mentre queste rivendicazioni si estendevano agli altri atenei, si elabor ulteriormente la critica al modo tradizionale di insegnare e ai contenuti dellinsegnamento. Alla contestata parcellizzazione dei saperi veniva contrapposta la ricerca di una interdisciplinariet ri spettosa delle diversit culturali. Oltre che rottura con il passato, il Sessantotto fu infatti anche una sfida alla separazione tra alta e bas sa cultura, tra cultura tout court e cultura di massa (Ortoleva 1991). Accanto alle aspirazioni alla interdisciplinariet, vi era la richiesta di avvicinare gli intellettuali alle esperienze concrete (da qui nascer pi tardi la parola dordine, di derivazione maoista, met-studio e metlavoro). Esemplare un documento degli studenti trentini dove si legge: Questanno ci hanno costruito una biblioteca che costata non so quanti milioni. Avremmo potuto costruirla materialmente noi e avremmo imparato facendola. Domani potremmo costruire noi i nostri alloggi, le nostre mense [...] A Trento non c una disco teca per la gente, potremmo farla noi e noi potremmo farla funzio nare (in Leoni 1991: 184). Allestensione della contestazione corrispose una politicizzazio ne di nuove aree. Tematiche un tempo considerate come dominio esclusivo del discorso privato cominciarono a essere affrontate in pubblico. Si guard, inoltre, agli effetti delle caratteristiche del si stema economico o istituzionale anche sulla sfera intima. Come ha osservato Peppino Ortoleva:
Forse, laspetto pi radicale e scandaloso della cultura del 68 fu il fatto che essa assumeva allinterno del proprio universo di discorso, e di azione politica, aree tradizionalmente escluse non solo dalla sfera politica, ma dalla comunicazione pubblica: allargando il proprio discorso alla ses sualit, alla vita quotidiana, allinconscio [...] [ridefinendo] i confini tra cultura e non-cultura, ammettendo fra i temi di possibile elaborazione intellettuale e politica quelle aree che erano state in precedenza escluse dalla storia. (1991: 51)

Quella che venne definita come didattica della liberazione mirava a un approccio critico degli studenti al sapere - partendo dal la constatazione che luniversit funzionava, ancora secondo gli stu denti torinesi, come strumento di manipolazione ideologica e po litica teso ad instillare [negli studenti] uno spirito di subordinazio ne rispetto al potere (qualsiasi esso sia) ed a cancellare nella strut28

tura psichica e mentale di ciascuno di essi la dimensione collettiva delle esigenze personali e la capacit di avere rapporti con il pros simo che non siano completamente competitivi (in Revelli 1991: 235). Luniversit avrebbe dovuto costruire una coscienza critica contro le manipolazioni. Molte attivit durante loccupazione di Palazzo Campana miravano ad autoeducarsi alla libera discus sione, sottrarsi alla soggezione culturale nei confronti dei docenti, sviluppare un approccio paritario allo studio, fondato sulla discus sione come metodo di apprendimento. Significativamente, in un documento torinese su didattica e repressione si affermava che gli studenti avevano
voluto riaffermare e cominciare a costruire la propria autonomia culturale e politica. Scegliere i contenuti dei controcorsi, imparare a discutere (la scuola e lUniversit ci hanno fatto disimparare a discutere), studiare col lettivamente e non in modo individuale, vedere lincidenza politica e so ciale di quello che si studia, imparare a parlare e a pensare autonomamen te e non su comando, imparare a stabilire dei rapporti egualitari e di parit tra chi preparato e chi non lo , non considerare pi il sapere come un privilegio e una fonte di prestigio, (in Revelli 1991: 239)

Accanto a quello della didattica, gli studenti posero il problema del diritto allo studio. Le Tesi della Sapienza, formulate durante loccupazione della sede centrale dellateneo pisano allinizio del 1967, individuavano un ruolo specifico per gli studenti nel rappor to tra universit, societ e mercato del lavoro3. Insieme al rifiuto dellassetto vigente nella didattica - con richieste di allungamento degli orari dei laboratori, abolizione delle firme di frequenza e del la votazione di respinto, introduzione di appelli mensili, trasfor mazione delle lezioni in seminari - si proponeva listruzione gratui ta fino a 18 anni, maggiori finanziamenti per la didattica e il diritto allo studio, larricchimento delle biblioteche, orari di lezione con--^ cordati, esami di gruppo, politica dei trasporti, investimenti edilizi e servizi sociali. Il salario studentesco - diretto per gli universi tari e indiretto (tramite assegni familiari integrati) per gli studenti medi - era rivendicato come un salario a pieno titolo per lavorato ri in formazione, strumento di contestazione delluso capitalistico
3 Non casuale che nellateneo pisano la mobilitazione fosse cresciuta dopo che nel 1966-67 cera stata la pi alta percentuale di respinti agli esami e la con ferenza dei rettori - riunita a Pisa - si era pronunciata per il numero chiuso.

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della formazione della forza lavoro e di critica del piano del ca pitale. Loccupazione della Universit Cattolica di Milano, nel no vembre 1967, fu una reazione allaumento del 50 per cento delle tas se: la rivendicazione del diritto allo studio si combinava con lindi gnazione morale per lingiustizia sociale dellesclusione dei poveri dallistruzione superiore (Lumley 1991). In una mozione dellas semblea della facolt di Lettere romana, approvata nel febbraio 1968, si legge: Identifichiamo come carattere fondamentale del lattuale struttura universitaria il suo carattere di selettivit. [...] Ununiversit limitata nella sua base sociale non pu essere che au toritaria. Allautoritarismo contrapponiamo il potere studentesco (in Grispigni 1991: 297). Dai temi interni alluniversit si pass comunque a richieste di trasformazioni generali della societ. Gi nellestate 1968 emerse in fatti la tendenza a uscire dalluniversit. Labbandono delluni versit come terreno privilegiato di intervento e la concentrazione sulla centralit della strada e dello scontro politico era definito dai Quaderni Piacentini come
ultimo ed effettivo salto qualitativo che porta lo studente a qualificarsi co me militante rivoluzionario, negando non solo la sua funzione sociale, ma radicando il proprio dissenso in settori che non lo investono direttamente, che si pongono cio al di fuori del contesto della sua condizione sociale. Immergersi in altre condizioni sociali e in altri settori doppressione non serve tanto a trovare terreni comuni di lotta, quanto altri temi funzionali a una comune volont eversiva, (in Grispigni 1991: 297-98)

Uscendo dalluniversit, le organizzazioni degli studenti comin ciarono a riprendere alcune tematiche tipiche del movimento a lo ro pi vicino: il movimento operaio. Come nota un attento osser vatore, Lunit [studenti-operai] venne interpretata come la mo bilitazione e organizzazione degli studenti contro lo sfruttamento e loppressione nelle fabbriche e nei luoghi di lavoro, piuttosto che nelle universit e nelle scuole (Lumley 1990:109). Al convegno na zionale del movimento studentesco a Venezia, nel settembre del 1968, i leader del movimento studentesco romano affermarono la prevalenza del discorso di classe - il discorso di classe che de ve passare a tutti i livelli; la logica antiautoritaria - al contrario non porta niente di buono (in Grispigni 1991: 298). Nel corso dellevoluzione del movimento studentesco, dunque, i suoi obiettivi si ampliarono ai campi pi vari. Riprendendo dal mo
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vimento sindacale il tema dellautonomia, gli studenti lo applicaro no a una serie di rivendicazioni. Come ha osservato Tarrow:
Pi duratura delloperaismo del movimento degli studenti fu la sua ac centuazione del tema dellautonomia. Essa inizi con gli studenti politiciz zati con la richiesta di autonomia dai partiti delle loro associazioni studen tesche, si ampli nel concetto del diritto degli studenti a prendere decisio ni sui programmi e su altri aspetti dellistruzione, sulla liberazione sessua le, la critica della scienza, della tecnologia e dellarte borghesi; nella richie sta di democrazia diretta e di antiautoritarismo e nel rifiuto di obbedire. (Tarrow 1990: 129)

Al contempo, mut la definizione della controparte, individua ta non pi nelle autorit accademiche ma nel potere politico e nel lo Stato borghese, mentre la repressione diveniva uno dei temi centrali del movimento. Nel Bollettino degli studenti torinesi del 5 marzo 1968 si legge:
La polizia controlla ogni nostro passo. Sotto ogni sede di riunione so stano poliziotti in borghese; viene esercitata stretta sorveglianza anche sul le case private, molte abitazioni sono state perquisite [...]. Latteggiamento del governo nei nostri confronti, come quello della grande stampa, indica come lo Stato non pu assolutamente tollerare un movimento come il no stro che, rifiutando i tradizionali canali di espressione dellopposizione, non integrabile nel sistema, (in De Luna 1991: 192)

Ne seguiva la necessit di individuare una controparte pi complessiva: tutte le strutture di potere della societ (De Luna 1991: 192). Nelluniversit le organizzazioni degli studenti comin ciarono a identificare uno strumento della razionalizzazione del do minio capitalista, fino al punto che, nel giugno 1970, gruppi stu denteschi napoletani contesteranno i promotori di un corso di lau rea in Sociologia, ritenendo le scienze sociali come funzionali al pro cesso di razionalizzazione neo-capitalista (Barbagallo 1991: 319). Al di fuori delluniversit, gli studenti si trovarono a competere con le organizzazioni della sinistra tradizionale. Le trasformazioni nellideologia dei gruppi studenteschi possono, almeno in parte, es sere collegate allelaborazione, in alcuni circoli intellettuali, di una sorta di critica ideologica da sinistra alla sinistra tradizionale. Proprio nella competizione con la vecchia sinistra, lideologia di questi gruppi si radicalizz. Come era immaginabile in un clima cul turale influenzato dallo sviluppo di movimenti di liberazione na
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zionale (in Algeria come in Vietnam) e rivoluzioni politiche (in Ci na come a Cuba), una delle principali accuse alla vecchia sinistra fu di avere rinunciato alla prospettiva di una sollevazione violenta contro il capitalismo. Il movimento studentesco assorb, cos, sul nascere grandi utopie e alcune giustificazioni per lutilizzazione del la violenza.

3. Le forme dazione: dalla resistenza passiva alla violenza difensiva


Queste risorse culturali non comportarono automaticamente luso di tattiche violente e, infatti, le prime forme dazione del mo vimento studentesco furono i repertori nonviolenti importati dal movimento per i diritti civili negli Stati Uniti. Se lideologia del mo vimento studentesco divenne sempre pi radicale, le sue forme d a zione furono per prevalentemente pacifiche. Come ha notato Sid ney Tarrow a proposito degli studenti italiani:
Gli elementi utopistici espressivi e dimostrativi [...] furono elaborati inizialmente intorno a richieste politiche, strumentali [...] bench i loro de trattori li qualificassero come utopisti, i dati giornalistici suggeriscono che anche le loro idee pi utopistiche avevano una base strategica e cultu rale. (Tarrow 1990: 122-24, passim)

Il movimento studentesco combin vecchie e nuove forme da zione, ispirandosi sia al repertorio del movimento operaio italiano che a quello del movimento per i diritti civili negli Usa. Dal primo vennero riprese soprattutto le forme dazione - come i cortei e le occupazioni - che miravano a dimostrare il numero e la decisione dei partecipanti. Dagli Stati Uniti vennero importati repertori ad al to contenuto simbolico, in grado di attirare lattenzione dei mezzi di comunicazione di massa - come, ad esempio, i sit-in o la resi stenza pacifica. A queste forme d azione gli studenti aggiunsero an che un repertorio proprio, rielaborando in forma di protesta alcu ni moduli dazione collettiva propri del mondo giovanile, dove la nonviolenza veniva combinata con la provocazione simbolica. Gli studenti elaborarono un repertorio di azione con unalta ca rica perturbativa, adottando spesso tattiche deliberatamente pro vocatorie, a partire dal linguaggio scurrile e dal rifiuto dellabbi gliamento tradizionale. Per fare un solo esempio, in un resoconto
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sul movimento studentesco a Trento si definisce la cultura degli stu denti come caratterizzata da due caratteristiche: la rottura del limmaginario tradizionale della popolazione trentina attraverso degli choc, veri e propri choc psicologici e lassoluto uso della non violenza nelle azioni (Leoni 1991: 179). Proprio a Trento vi furo no infatti episodi di contestazione che si rivolsero, con grande irri verenza, ai simboli della cultura tradizionale: dal controquaresi male tenuto dagli studenti nel Duomo, allinterruzione del corteo del presidente della Repubblica durante le celebrazioni del 50 an niversario della vittoria nella prima guerra mondiale, agli spoglia relli durante gli incontri con le autorit. Se la strategia della provocazione serviva ad attirare lattenzio ne sulle domande degli studenti, la pressione era esercitata soprat tutto attraverso la pi caratteristica forma di protesta del movi mento degli studenti: le occupazioni degli atenei. Questa forma d a zione combinava il bisogno di pubblicizzare le proprie richieste con quello di costruire una identit collettiva, unesigenza particolar mente importante per un movimento sul nascere. Secondo Peppino Ortoleva, loccupazione espresse infatti la tendenza a ritirar si, a separarsi dalla societ dominante, la ricerca di un proprio spa zio, di un luogo (in senso fisico, non solamente simbolico) in cui vi vere in piena autonomia e libert, circondati da una comunit di pa ri, e sulla base di un sistema di valori distinto e praticato in piena autenticit (1988: 47). Loccupazione delluniversit era infatti un atto contemporaneamente di rovesciamento simbolico dellauto rit e di creazione di uno spazio proprio, separato e protetto, di spe rimentazione di una vita diversa (Ortoleva 1988: 48). Loccupa zione permise cos la costruzione di densi reticoli sociali4.1 forti le gami personali motivavano prima alladesione e, in seguito, raffor zavano limpegno e ne erano rafforzati. A parte la provocazione simbolica, in Italia come in altri paesi il movimento studentesco assunse, inizialmente, forme pacifiche. Nel suo studio sul ciclo di protesta in Italia tra il 1966 e il 1973, Sidney
4 Come stato scritto a proposito di una delle prime occupazioni delluni versit di Trento, nel 1966, [l] si cre il gruppo politico che poi port avanti il resto (Leoni 1991: 178). Nella comunit studentesca i legami di solidariet co struiti durante occupazioni e assemblee venivano rafforzati nella vita privata; scri ve un attivista di allora: Ogni appartamento era diventato un prolungamento dellassemblea, oppure lassemblea il prolungamento della vita in comune che si faceva alluniversit (ibid.).

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Tarrow ha rilevato che le forme convenzionali di mobilitazione era no le pi numerose, crescendo in parallelo con la mobilitazione pi in generale (1990: 56-130). Inoltre, per un lungo tempo, le azioni di violenza furono limitatissime:
Malgrado limmagine violenta che degli studenti diede la stampa bor ghese, e malgrado la loro retorica, il movimento fu prevalentemente non violento fintantoch rimase allinterno delle mura universitarie. [...] Quan do la violenza si manifest, accadde molto pi spesso in grandi gruppi e tra gruppi di studenti opposti, o in scontri con la polizia, che non contro obiet tivi e autorit pubbliche. [...] Losservazione che i movimenti sociali crea no nuove forme dazione e infondono nuovo significato in quelle vecchie particolarmente vera nel caso degli studenti universitari. Essi organizzaro no occupazioni che durarono settimane, utilizzarono una retorica violenta creando allo stesso tempo una retorica carnevalesca; si scontrarono fisicamente con gli oppositori e la polizia, ma raramente fecero ricorso alla vio lenza deliberata. (Tarrow 1990: 123-29, passim)

Agli interventi coercitivi delle forze di polizia per evacuare le universit occupate, almeno fino alla primavera del 1968, gli stu denti reagirono con la resistenza nonviolenta. Una radicalizzazione si ebbe comunque nel corso dei frequenti incontri con le forze dellordine, chiamate dalle autorit accademi che a intervenire nelluniversit. La storia dellateneo torinese for nisce una illustrazione di queste dinamiche. Il 1967 si concluse con lo sgombero di Palazzo Campana, occupato da circa un mese. Il 4 gennaio 1968 il rettore dellateneo torinese annunci che il senato accademico aveva deciso provvedimenti disciplinari nei confronti di alcuni degli occupanti denunciati per occupazione di edificio e turbativa violenta del possesso di cose immobili: sessanta stu denti vennero sospesi per sei mesi da lezioni ed esami, a un assi stente venne tolto lo stipendio e un assistente volontario venne al lontanato. Gli studenti reagirono con una serie di iniziative pacifi che: riunioni in provincia con gli studenti fuori-sede, volantinaggi nelle scuole medie, consegna dei libretti da parte di chi non era sta to punito. Il 10 gennaio, dopo che unassemblea di oltre mille per sone aveva votato loccupazione a oltranza, 296 studenti opposero resistenza passiva allimmediato intervento della polizia. Dopo lo sgombero gli studenti iniziarono la pratica della occupazione bianca, trasformando le lezioni in discussioni con i docenti o sa botandole, talvolta attraverso provocazioni di tipo goliardico. Con
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tro il blocco delle lezioni i docenti chiesero spesso lintervento del la polizia, mentre il rettore dichiarava che il controspionaggio la veva avvertito della presenza di agenti russi infiltrati (Revlli 1991: 234). Il 16 gennaio due studenti vennero arrestati allinterno stesso della universit; quattro giorni dopo, con duemila studenti assiepa ti nellaula magna, si svolse un confronto tra docenti e studenti; su bito dopo il rettore rifiut di ricevere la delegazione che doveva trattare linizio dei negoziati. Il 22 gennaio ci fu quindi una nuova occupazione, seguita da uno sgombero e da una serrata delluni versit che dur tre settimane, durante le quali le riunioni degli stu denti si tennero alla Camera del lavoro. In marzo la spirale di vio lenza si avvit ulteriormente: dopo lemissione, il 1 marzo 1968, di mandati di cattura contro tredici studenti (per occupazione di au le o interruzione di lezione), alcuni attivisti ruppero le vetrine del la redazione della Stampa. Il 18 aprile gli studenti approvarono una mozione dove si diceva:
La struttura autoritaria della societ contro cui stiamo combattendo ri vela la sua natura violenta e aggressiva. Le migliaia di processi istruiti con tro gli studenti in tutta Italia, le decine di ordini di cattura eseguiti a Tori no e a Pisa, gli arresti continui, le intimidazioni nelle fabbriche, le minac ce di spostamenti e di licenziamenti che in questi giorni accadono alla Fiat, dimostrano che il sistema si difende con tutti i mezzi contro le lotte degli studenti e degli operai, (in De Luna 1991: 195)

Ancora a Torino, il 1 giugno un corteo di studenti e operai sfil per le vie della citt: vennero nuovamente infrante le vetrine del quotidiano torinese e ci furono scontri e arresti. La repressione scaten una violenza inizialmente difensiva, stru mentale e non fine a se stessa, una violenza che richiamava la tradi zione del movimento operaio con riferimenti militaristici alla Resi stenza. Come ricorda De Luna: Si stabil con la violenza un nesso comportamentale e non teorico (1991: 196). Ben presto, per, la concezione della violenza cambi. La battaglia di Valle Giulia a Roma, nel marzo del 1968, venne celebrata come vittoria militare degli studenti, che per la prima volta reagirono - anche con pietre e bastoni - alle cariche della polizia, tenendo in scacco centinaia di agenti. Il 31 maggio dello stesso anno, ancora a Roma, negli scon tri a Piazza Farnese durante una manifestazione di solidariet con gli studenti francesi, comparvero le prime bottiglie incendiarie e i primi discorsi sulla violenza come sfogo a una rabbia esistenziale.
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Levoluzione delle forme d azione nel movimento studentesco italiano segu un modello comune a molte ondate di protesta (Del la Porta e Tarrow 1986). Allinizio del ciclo i repertori erano di ti po pi tradizionale (ad esempio, assemblee e dibattiti), e molte azioni erano rivolte a una elaborazione culturale, funzionale alla co struzione dellidentit collettiva. In seguito le forme di protesta mu tarono. Dalle azioni simboliche di piccoli gruppi, orientate ad at trarre lattenzione di un pubblico distratto, si pass gradualmente alle azioni di massa, adatte a dimostrare il radicamento del movi mento. Estendendosi a nuovi gruppi, la protesta interruppe la rou tine quotidiana e confuse sia gli alleati che gli oppositori. In una fa se di crescente mobilitazione, forme dazioni irrituali e radicali, ma nonviolente, dovevano servire ad ampliare laudience e raccogliere nuove adesioni. La violenza cominciava a emergere, ma quasi esclu sivamente negli scontri con i contromovimenti della destra neofa scista. In un secondo momento, i fronti si definirono meglio e si dif fusero le tattiche pi perturbative, cui le autorit cominciarono a reagire in maniera pi decisa. In questa fase la violenza si svilupp, inizialmente in forme ancora difensive, nel conflitto con le forze dellordine. Proprio lesperienza diretta nelluso della forza port, comunque, alla graduale specializzazione - da parte di gruppi di di mensioni molto limitate - nelluso dei repertori violenti. Mentre la repressione aumentava i costi delle forme dazione perturbative, ma nonviolente, lacutizzarsi del conflitto allontanava dal movi mento i gruppi pi moderati. Pi la mobilitazione declinava nel nu mero, pi cresceva lintensit della partecipazione fra coloro che ri manevano attivi. Per alcuni di essi luso di azioni violente cominci a essere una scelta strategica, orientata a mantenere unimmagine di forza anche di fronte al declino della mobilitazione. In alcuni gruppi di attivisti la violenza cominciava quindi a essere percepita non solo come una difesa, ma anche come uno strumento per rag giungere alcuni risultati. Come vedremo meglio nel prossimo capi tolo, comunque, la pratica radicale, lungi dal produrre vittorie, isol i militanti. Se in alcuni casi ci port a una autocritica, in al tri casi si produsse semplicemente un passaggio da una giustifica zione strumentale a una giustificazione estetica della violenza L&tessa. Concludendo, la presenza di forme di violenza vari duran te il ciclo di protesta. Come stato rilevato al termine di una ricer ca quantitativa sui repertori dazione durante il lungo autunno cal do italiano:
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Lincidenza della violenza politica strettamente connessa allazione collettiva in due modi: in primo luogo, essa crebbe in numero complessivo durante lintero ciclo; in secondo luogo, il suo peso percentuale era medio allinizio, basso durante la fase alta della mobilitazione, e alto nella fase de clinante dellondata di protesta. Le forme di protesta erano quindi parte del repertorio della violenza sin dallinizio, e la loro presenza tese a cresce re complessivamente durante lintero ciclo. Ma fu quando londata di azio ne collettiva declin, che la loro presenza aument in percentuale. (Della Porta e Tarrow 1986: 616)

4. Ambiente esterno ed emergere di una nuova famiglia di movimenti sociali


Quali sono state le condizioni esterne per lemergere del movi mento studentesco? Quali fattori esogeni ne hanno influenzato lo sviluppo? A queste domande forniremo qualche elemento di rispo sta in questo paragrafo conclusivo. Per far questo guarderemo alle principali variabili che, nel capitolo introduttivo, sono state defini te come rilevanti per la storia dei movimenti collettivi: la struttura delle tensioni sociali e, allinterno del sistema politico, le reazioni di alleati e oppositori. 4.1. Sintomo di crisi o nuovo movimento sociale? Come si detto, lemergere di un movimento studentesco alla fine degli anni Sessanta lungi dal presentarsi come un fenomeno tipicamente italiano. La compresenza di movimenti studenteschi in vari paesi stata spiegata come reazione a fattori demografici5: la crescita esponenziale delle nascite (baby boom) degli anni Cin quanta, legata in parte allo sviluppo economico del dopoguerra, aveva avuto come conseguenza, alla fine degli anni Sessanta, un au mento annuo degli iscritti alluniversit (che in Italia passeranno da 268 mila nel 1960 a oltre 450 mila nel 1968). La riforma della scuo la media aveva creato inoltre le basi per unespansione anche della domanda di istruzione superiore, mentre una societ sempre pi complessa aumentava le esigenze di sapere scientifico e tecnologi Utili rassegne delle spiegazioni sociologiche dellemergere dei movimenti studenteschi si trovano in Rootes 1987 e Miiller 1992.

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co. Le proteste degli studenti sono state viste, in primo luogo, come una conseguenza dei problemi esistenti nelluniversit, che non riu sciva ad adeguare la propria organizzazione alla crescente domanda di qualificazione. Le tensioni nelle universit furono innanzitutto di tipo culturale. Il benessere economico aveva consentito lallungarsi della fase della giovinezza; la societ dei consumi aveva tendenzial mente unificato il modo di essere di una coorte di et; una prima ge nerazione era stata socializzata ai valori democratici, dopo gli orro ri del fascismo e della guerra. In questa situazione, i forti residui di autoritarismo presenti nella scuola e nelluniversit divenivano sem pre meno sopportabili. Luniversit si sarebbe prestata, dunque, co me cassa di risonanza dei problemi giovanili, facendo parlare di un 1789 socio-giovanile e di una lotta di classe di et. Accanto ai conflitti culturali e alle tensioni generazionali, comunque, comin ciarono a delinearsi anche tensioni economiche. I conflitti legati ai ritardi nelladattamento delle vecchie strutture scolastiche ai nuovi bisogni divennero infatti esplosivi quando lincipiente crisi econo mica cominci a minacciare il mercato del lavoro intellettuale. In una visione meno reattiva, la protesta studentesca stata vi sta come critica alla impersonalit e iperburocratizzazione della so ciet tecnocratica, ed espressione del primo emergere di una genera zione post-moderna. Le forme pi dissacratorie nellazione degli stu denti sarebbero state un segno di una rottura epocale destinata a ma turare negli anni Ottanta: Il maggio 68, con tutto il suo avventuro so eudemonismo, il suo nichilistico sensualismo, il suo gusto adole scenziale per lo sberleffo dissacratorio, ha aperto la via alledonismo individualistico degli anni Ottanta (Bongiovanni 1991: 110). E in fatti, gi al suo emergere, la mobilitazione studentesca era stata salu tata come riappropriazione delle origini libertarie e democratiche del movimento operaio, contro la tecnocrazia e le gerarchie; un ultimo conflitto di classe del vecchio mondo, e primo di un nuovo mondo (Touraine 1968). Alla congiunzione di una crisi di passaggio e della nascita di una nuova epoca, la protesta degli studenti avrebbe espres so contemporaneamente i bisogni di modernizzazione e lantagoni smo allinterno di un nuovo modello di sviluppo sociale post-industriale. Nel nostro paese, a questi due elementi si sarebbe unita la rea zione a una crisi politica - come ha osservato Alberto Melucci,
Il 68 rappresenta in Italia il primo momento di congiunzione tra un importante processo di modernizzazione del paese e lapparizione embrio-

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naie di nuovi movimenti antagonisti. Le spinte innovative destinate ad ac celerare il passaggio verso il capitalismo maturo si scontrano con larcai smo della struttura sociale e con un sistema politico bloccato nellimpossi bile mediazione tra gli interessi pi tradizionali e le necessit di riforma di una societ avanzata. (1982: 101-102)

4 .2.11 movimento studentesco e la vecchia sinistra Questultima citazione ci riporta alle caratteristiche del sistema politico, che senza dubbio ebbero, non solo in Italia, una influenza rilevantissima sullevoluzione del movimento studentesco. La con temporanea presenza di mobilitazioni studentesche nella maggior parte delle democrazie industriali stata collegata a una apertura della struttura delle opportunit politiche. La fine della guerra fred da port a una almeno parziale depolarizzazione nella politica in terna delle democrazie occidentali, aprendo nuovi spazi per lazio ne collettiva. Al contempo, aument il potere dei potenziali alleati degli attori della protesta. I partiti di sinistra, pi vicini al movi mento degli studenti, andarono al governo in Germania e negli Sta ti Uniti o si avvicinarono a esso, come accadde con il centro-sinistra in Italia. Questo aument le speranze degli attivisti dei movimenti, ma poi spesso provoc anche amare delusioni. Anche in Italia, so prattutto al suo nascere, il movimento studentesco trov molti al leati. Allinterno delluniversit gli studenti godettero spesso del so stegno dei gruppi orientati verso una riforma del sistema accade mico - quali, tra laltro, le associazioni nazionali dei professori in caricati e degli assistenti (A npur e A nao ). Allesterno delluniver sit, il movimento degli studenti coagul forze politiche gi orien tate al cambiamento - in primo luogo la sinistra cattolica, il Pei e i sindacati. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica, gi in periodo pre-conciliare erano emerse - nelle organizzazioni pi tradizionali come lAzione cattolica (Ac), le A cli e la Federazione degli universitari cattolici italiani (Fuci) cos come nelle iniziative di don Primo Mazzolari, don Milani, padre Balducci, Giorgio La Pira o della rivista Testimonianze - una insofferenza verso lintervento della gerar chia ecclesiastica a favore di posizioni conservatrici e pressioni per una riaffermazione dei valori cristiani. Dopo lenciclica giovan nea Pacem in terris erano iniziati incontri tra ambienti cristiani e co
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munisti. La delusione per i compromessi del Concilio Vaticano II aveva favorito la nascita di gruppi spontanei (intitolati, ad esempio, a Camillo Torres, prete morto combattendo con i guerriglieri in Co lumbia nel 1966), comunit fondate sulla partecipazione egualita ria (come quelle dellIsolotto a Firenze), e aggregazioni politiche (come Cristiani per il socialismo). Il Sessantotto offr a questi reti coli una nuova identit, portandoli a denunciare il carattere anti evangelico della Chiesa istituzionale e ad aderire alle lotte della clas se operaia. A partire dal 1968 si deline, cos, nelle forze cattoliche una polarizzazione fra tendenze innovative e conservatrici - raffor zate queste ultime dalla riaffermazione, da parte di Paolo VI, della dottrina tradizionale sulla regolazione della natalit, lautorit del la gerarchia e il celibato del clero, oltre che dalla ribadita necessit da parte dei vescovi della unit politica dei cattolici (Verucci 1991). Se una parte della contestazione della fine degli anni Sessanta nacque allinterno della Chiesa cattolica, fu comunque nella sinistra tradizionale che i nuovi movimenti trovarono i loro principali al leati. In questa fase il Pei cerc di integrare la protesta in una stra tegia di opposizione riformista, mantenendo - nonostante le criti che interne e le controversie ideologiche - un atteggiamento di coo perazione rispetto alla Nuova sinistra. Almeno fino al 1973 il Pei consider i movimenti di protesta come una componente del fron te unito della sinistra nella lotta per le riforme di struttura. La presenza di un forte partito di sinistra allopposizione influenz i movimenti, portandoli a scegliere schemi ideologici che erano co nosciuti e accettati nella sinistra. La Nuova sinistra adott quindi un linguaggio che poteva essere capito dai militanti del Pei:
In un paese in cui il principale partito nella sinistra istituzionale aveva ottenuto la sua egemonia sottolineando lidea che esso rappresentava mol te forze sociali alleate alla classe operaia, coloro che cercavano di creare uno spazio politico alla sua sinistra dovevano presentare le loro domande in un modo che fosse comprensibile per la cultura politica tradizionale del la sinistra. (Tarrow 1989: 51)

Enfatizzare i simboli e gli schemi di riferimento pi profonda mente radicati nella cultura tradizionale della sinistra rappresenta va, quindi, un modo di definire una pi larga base di riferimento. Adottare delle formule appena abbandonate dalla vecchia sini stra era, inoltre, una forma di differenziazione del prodotto, cio
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di affermazione delle proprie specificit. Bisogna aggiungere co munque che la critica alla sinistra tradizionale non si era rivolta so lo al suo revisionismo, ma anche alla sua resistenza al cambia mento, alla sua sclerosi. Diversamente che nei paesi dove erano dominanti nella sinistra i partiti socialisti o socialdemocratici, il principale partito della si nistra italiana, il Pei, non solo era ancora, nella sua ideologia e nel la sua pratica, un partito operaio, ma inoltre, dal 1947, non era mai stato al governo e neanche vicino a esso. Come partito dopposi zione, il partito comunista aveva un interesse a guidare - o con trollare - tutti i movimenti di protesta che si sviluppavano alla sua sinistra. La lontananza dal potere lo aveva infatti spinto a sostituire risorse materiali con risorse ideologiche, riducendo i livelli di tolle ranza per ogni deviazionismo ideologico. Cos, almeno negli an ni Sessanta, il Pei era un partito centralizzato che lasciava pochissi mo spazio a una opposizione interna. Possiamo dire dunque che, in Italia, le organizzazioni dei movimenti collettivi si trovarono di fronte al bisogno, in parte contraddittorio, di differenziarsi dal Pei, ma al contempo di evitare la rottura con la base di quel partito. Dal laltra parte, come partito di opposizione, il Pei aveva un interesse a stimolare i movimenti di protesta, ma non sopportava la presen za di forze autonome, soprattutto alla sua sinistra. La posizione del Pei si riflesse in quella dei sindacati, per i qua li la met degli anni Sessanta aveva portato tumultuosi mutamenti. Lapertura del movimento sindacale verso i movimenti stata spie gata a partire da alcune sue caratteristiche interne. A proposito del caso italiano si parlato, in primo luogo, di una singolare sintonia tra mondo studentesco e mondo operaio, favorita anche da una tra dizionale attenzione del sindacalismo operaio verso studi ed elabo razioni culturali, oltre che dallingresso nelle fabbriche dei giovani scolarizzati (Manghi 1991). Lesplodere, nelle fabbriche, delle ten sioni accumulatesi con lespansione delle assunzioni a una classe operaia dequalificata e immigrata port, a partire dallautunno cal do del 1969, alla pi estesa ondata di scioperi della storia della Re pubblica italiana. Sia nelle scelte di forme d azione poco ortodosse (che includevano nuove forme di sciopero, a singhiozzo, a scac chiera o sciopero selvaggio) che in quelle di strutture organiz zative basate su una democrazia partecipativa (comitati di base e delegati), gli operai si trovarono concordi con gli studenti. Una par te della spiegazione dellapertura ai nuovi attori sociali sta, inoltre,
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nella debolezza della sinistra: basti ricordare che nel 1967 si era toc cato il minimo storico degli iscritti al Pei e lanno successivo il mi nimo storico degli iscritti alla C gil . A questa debolezza congiuntu rale si sommava una debolezza strutturale, legata al limitato rico noscimento del sindacato sia nelle imprese che nelle istituzioni. Ma pi che dalla debolezza in s, latteggiamento del movimen to operaio rispetto al movimento studentesco fu influenzato dalla reazione a essa. Come osserva Accornero (1992:54), in modo simi le al new deal negli Stati Uniti, al Fronte popolare in Francia e ai go verni socialdemocratici nei paesi scandinavi negli anni Trenta, lau tunno caldo port in Italia al riconoscimento sociale del lavoro ma nuale e alla legittimazione politica dei sindacati. A rafforzare il mo vimento operaio contribu il processo di unificazione sindacale, cui era collegata lidea di una crescente autonomia dal governo e dai partiti, oltre che dai padroni. A venti anni dalla scissione sinda cale del 1948, la rescissione dei legami con i partiti, attraverso lin compatibilit delle cariche sindacali con cariche parlamentari o di partito, divenne infatti il presupposto per lunificazione. I sindaca ti italiani si caratterizzarono, inoltre, in questi anni, per lafferma zione, anomala nel panorama internazionale, di un radicale eguali tarismo. Ancora secondo Accornero (1992: 31), Che ne fossero consci oppure no, i sindacalisti e gli operai che nel Comitato cen trale della F iom optarono per gli aumenti uguali per tutti tradusse ro in domanda rivendicativa un intero filone utopico e rivoluziona rio. AHegualitarismo salariale si accompagn una strategia di riforme contro lautoritarismo in fabbrica, le ferie diseguali e le mense separate per operai e impiegati. Nel 1969, anno in cui si rag giunse un picco senza precedenti di ore di sciopero, la formula or ganizzativa dei delegati di reparto e dei consigli di fabbrica rappre sent la scelta, da parte del sindacato, di un principio di rappre sentanza universalistica. Al modello rivendicativo egualitario si af fiancarono un modello sociale proletario e una cultura conflittuale che esaltava lantagonismo dei rapporti sociali (Accornero 1992: 92). I conflitti si espressero attraverso ladozione di tecniche che, come lo sciopero articolato, erano comunque legate soprattutto al la produzione. La conseguenza dei primi successi fu una strategia massimalista del sindacato, che tendeva a estendere lazione dalla fabbrica al sociale, aprendo vertenze su una serie di temi che spa ziavano dalle pensioni alle riforme. Gli studenti trovarono dunque il loro principale alleato in un
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movimento operaio in espansione e combattivo. Si gi detto che al declino della protesta nelluniversit corrispose la sua espansio ne allesterno; com stato osservato nel corso di una ricerca com parata sui movimenti studenteschi:
Che lallargamento della lotta al di fuori delluniversit dovesse neces sariamente portare, prima o poi, a un incontro con la classe operaia era convinzione largamente condivisa nel movimento studentesco europeo, anche in quei settori che meno accettavano lortodossia marxista-leninista e pi sottolineavano la necessit di cercare nuove strade per lattivit rivo luzionaria. (Ortoleva 1988: 185)

Differentemente che in altri paesi, per, in Italia gli studenti incontrarono la classe operaia. La situazione di smobilitazione nelle universit dopo lestate del 1968 descritta con parole acco rate da uno dei leader degli studenti torinesi:
Il loro privato era ormai la politica e dovevano applicarla a qualcosa, ma avevano perso loggetto. Il periodo tra il 68 e il 69 per me stato an gosciosissimo perch non potevamo fare nientaltro che militanza politica, ma non potevamo farla, perch tutto quello che facevamo ci si perdeva fra le mani. A un certo punto abbiamo finito per applicare questo desiderio al la Fiat, (in Passerini 1988: 132)

Per ragioni in parte indipendenti dagli studenti stessi, alla Fiat questo desiderio si realizz. Qualsiasi fosse la realt circa le possibi lit di una stabile alleanza fra lavoratori e studenti, limmagine che si svilupp alla fine degli anni Sessanta fra gli attivisti del movimen to studentesco fu quella di un grande entusiasmo per il fronte uni to operai-studenti. Per usare le parole di una studentessa torinese:
Nellautunno del 1968 successe limpossibile. Gli studenti convocaro no unassemblea generale dei lavoratori nelluniversit. E quelli arrivarono a centinaia [...] Lingresso era completamente pieno - era impressionante! La maggior parte erano immigrati. Ed essi non solo riempirono laula, ma presero anche il microfono e parlarono delle loro condizioni di vita, (in Fraser 1988: 251)

Lincontro degli studenti italiani con la classe operaia trasform le loro tattiche, strategie e, conseguentemente, le loro forme orga nizzative. Come ricorda un attivista, dopo la mobilitazione operaia alla Fiat Mirafiori:
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Non potevamo crederci noi stessi. Scoprimmo immediatamente che avevamo un ruolo da svolgere e che nessuno lo metteva in discussione. Co si finimmo per fare nel 1969 quello che avevamo rifiutato di fare nel 68. E ovviamente ci port piano piano alla professionalizzazione della militan za, alla formazione del partito politico, e a tutto quello contro cui avevamo lottato nel 68. (in Fraser 1988: 251)

Se nel 1968 la maggior parte dei gruppi studenteschi facevano appello alla democrazia diretta, dopo lautunno caldo del 1969 essi entrarono sotto linfluenza del modello di organizzazione operaia. Come ha spiegato Luigi Manconi (1990, cap. 2), ci fu un passaggio da un modello organizzativo studentesco - caratterizzato da una struttura a fisarmonica, che mutava a seconda dei bisogni, amplian dosi nella fase dellazione e restringendosi in quella della prepara zione - a un modello operaio - caratterizzato invece da stabilit e proiezione teleologica con una struttura esclusiva e centralizzata. 4.3. Il movimento studentesco e lo Stato Se la disponibilit di alleati nella vecchia sinistra e nel movi mento operaio certamente rafforz il movimento degli studenti, es sa spinse comunque gli studenti a schierarsi in un campo dove si svolgeva una dura battaglia. Mentre gli studenti ricevettero inizial mente molte espressioni di solidariet, man mano che il movimen to si caratterizz come alleato del movimento operaio e di sini stra, esso eredit anche il sistema di conflitto del movimento ope raio e della sinistra. Ci facilit la polarizzazione dellopinione pub blica e la radicalizzazione di atteggiamenti e comportamenti sia de gli studenti che dei loro avversari. Le prime controparti degli studenti furono le autorit accade miche, le quali reagirono inizialmente in maniera molto indecisa. Se le prime occupazioni vennero spesso forzatamente interrotte dallintervento della polizia, ben presto i rettori si resero conto che la presenza delle forze dell'ordine nelluniversit - interrompendo tra laltro la tradizione di autogoverno del mondo accademico aveva leffetto di creare ondate di solidariet con gli studenti pi attivi. Proprio per evitare di accrescere le simpatie verso la prote sta, le occupazioni vennero in seguito tollerate, talvolta per lunghe settimane, e gli studenti ottennero le prime concessioni. Anche le
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reazioni nella sfera pubblica furono, inizialmente, positive: come ha osservato Gian Giacomo Migone (1991: 17), le prime mobilita zioni studentesche vengono accolte dalla maggioranza della stam pa come un qualsiasi movimento rivendicativo, di carattere setto riale, non privo di alcune sue buone ragioni. Alcune rivendicazio ni degli studenti incontrano consensi allinterno stesso del governo, non solo nel Psi ma anche nella sinistra De. Come si detto gover ni di centro-sinistra avevano presentato ampi programmi di riforme. Parte di queste riforme erano state varate: tra le pi importanti, la nazionalizzazione dellindustria elettrica e la scuola media unificata, obbligatoria fino ai quattordici anni. La crisi economica - che, pro prio nel 1963, port a restrizioni del credito - ostacol comunque il processo di trasformazione. Molti progetti, che riguardavano tra laltro il decentramento amministrativo, il sistema fiscale e la buro crazia pubblica, rimasero sulla carta. Tra di essi, proprio la riforma universitaria divenne uno dei punti di maggiore tensione allinterno di un centro-sinistra gi scosso dalle divisioni interne. Queste incertezze iniziali si tradussero in un uso moderato delle forze di polizia, che rappresent sicuramente una rottura rispetto al decennio precedente. Gli anni Cinquanta erano stati infatti caratte rizzati da unaspra repressione di diversi gruppi politici e forme di protesta: Il mezzo prevalente per mantenere lordine pubblico - ha concluso lautore di una delle poche ricerche in materia - fu luso delle armi da fuoco da parte delle forze di polizia, contro manife stanti, scioperanti, contadini che occupavano le terre (Canosa 1976: 181). Cifre crudeli possono essere citate a sostegno di questa affermazione: tra il 1948 e il 1962, 95 dimostranti vennero uccisi mentre le forze di polizia caricavano cortei e manifestazioni usan do armi da fuoco (Canosa 1976: capp. 2 e 3, pp. 127-28, 133-34, 210-13,217-24). Le leggi sullordine pubblico cos come le caratte ristiche organizzative delle forze dellordine favorirono infatti stra tegie repressive dure e diffuse. Per quanto riguarda lassetto legi slativo, il corpo di leggi che regolava la pubblica sicurezza, risalen te al regime fascista, dava ampi poteri alla polizia. Nel 1948, inol tre, una nuova legge permise larresto immediato dei manifestanti che bloccavano il traffico e i Regolamenti sui servizi territoriali e di ordine pubblico diedero alla polizia maggiori poteri nelluso delle armi da fuoco nel caso di dimostrazioni che minacciavano lordine pubblico, stabilendo che: Il fuoco dovr essere diretto contro gli individui che appaiono pi pericolosi, che incitano alla
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violenza e, possibilmente, contro i capi dei dimostranti (cit. in Canosa 1976: 146). Per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, le strategie di repressione pi dura e diffusa vennero facilitate dalle purazione dalle forze dellordine degli ex-partigiani, dalla riaffer mazione della dipendenza della polizia dal potere esecutivo nazio nale e dalla militarizzazione della polizia, che comportava il divieto di riunirsi in sindacati, oltre a un training di tipo prevalentemente fisico, orientato al controllo dei disordini di massa pi che alla lot ta contro il crimine. Se il controllo repressivo della protesta, che ri fletteva le tensioni della guerra fredda, prevalse per tutti gli anni Cinquanta, il clima mut comunque negli anni Sessanta, quando le strategie di controllo divennero pi morbide e selettive. Questa affermazione si pu riassumere in un dato: tra il 1963 e il 1967 non un dimostrante venne ucciso dalla polizia. Durante lemergenza del movimento studentesco, la polizia spesso toller marce spontanee - seppure non autorizzate come prescriveva la legge - e loccupa zione di edifici pubblici, e non fece ricorso ad armi da fuoco. Alle prime aperture segu comunque una progressiva polarizza zione. Man mano che le forme di azione divenivano pi dirompen ti, la stampa accentu i toni critici. Le rubriche di lettere dei letto ri riportavano sempre pi spesso reazioni che riflettevano una con cezione della protesta come attacco alla democrazia. Illustrativa una lettera al quotidiano torinese La Stampa, dove si legge: So no un padre che lavora dieci ore al giorno per far studiare il proprio figlio allUniversit [...] Non credo che ci sia una grande differenza fra la marcia su Roma e loccupazione dellUniversit. Le armi ri mangono sempre le stesse: lintimidazione e il disprezzo per le leg gi democratiche (in De Luna 1991: 199). Pi frequenti si fecero inoltre gli scontri, anche fisici, tra gli at tivisti del movimento e gli studenti di destra, che pure in un primo tempo avevano appoggiato molte rivendicazioni studentesche. Du rante gli anni Cinquanta e nella prima met degli anni Sessanta ce rano state limitate occasioni di interazioni dirette tra neo-fascisti e militanti della sinistra, soprattutto nel corso di alcune occasioni ri tuali - ad esempio, quando la sinistra dimostrava contro i congres si nazionali del Msi o contro i comizi dei suoi leader, in particolare nelle citt dei distretti industriali del Nord o delle regioni rosse del Centro. A partire dalla fine degli anni Sessanta gli scontri tra mili tanti delle due opposte fazioni divennero invece sempre pi fre quenti. In questa fase le interazioni seguivano un modello prestabi
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lito: gli studenti di sinistra occupavano una scuola o una facolt e venivano quindi attaccati dallesterno dai gruppi neofascisti, che cercavano di disoccuparla, ristabilendo quello che essi definiva no il diritto allo studio. Questa polarizzazione si riflesse anche in un isolamento degli studenti dai loro alleati pi moderati e in una reazione pi decisa da parte delle autorit accademiche - che, ad esempio, comincia rono a tollerare sempre meno le occupazioni delle universit, ri chiedendo sempre pi spesso lintervento delle forze dellordine. In questa fase di particolare tensione riemersero anche le pi tradizio nali strategie poliziesche di controllo dei disordini. Alla fine degli anni Sessanta gli interventi della polizia si fecero sempre pi duri. Invertendo il trend inaugurato dal centro-sinistra, le cariche della polizia produssero tre morti tra i partecipanti a un corteo sindaca le nel 1968, mentre altri tre dimostranti verranno uccisi nel 1969 (Della Porta 1995, cap. III). Le trasformazioni nei repertori di controllo della polizia riflessero quelle nel sistema politico. Il centro-sinistra, formatosi nel 1963, aveva assunto una posizione liberale che si era espressa in una pi avanzata legislazione sul tema dei diritti civili (Grevi 1984). Pro prio il movimento studentesco contribu, per, alla definitiva crisi del centro-sinistra, che si spacc tra un Psi che chiedeva il disarmo della polizia in servizio di ordine pubblico e partiti conservatori che volevano un intervento pi deciso contro i disordini. Le pressioni dei movimenti collettivi ebbero alcune risposte in Parlamento. Nel 1969 una riforma miglior il sistema pensionistico. Lanno succes sivo vennero varate le leggi di implementazione delle regioni e dei referendum abrogativi, figure entrambe previste dalla costituzione. Ancora nel 1970 venne emanato lo Statuto dei lavoratori (che, tra laltro, fissava il diritto di assemblea e organizzazione sindacale sul luogo di lavoro) e concluse il suo iter la legge che istituiva il divor zio. Tra il 1968 e il 1972, comunque, se la formula del centro-sini stra sopravvisse in una serie di governi dalla vita molto breve, le spe ranze di grandi riforme furono per accantonate e nel controllo del lordine pubblico prevalsero le strategie pi coercitive. Basti ricor dare che alla fine del 1968 ben 2.700 studenti risultarono denun ciati per la mobilitazione alluniversit; nel 1970 si aggiunsero a es si 10 mila operai sotto processo per le lotte dellautunno caldo (Melucci 1992: 109). Al di l della politica visibile, inoltre, una parte delle forze di destra avevano congiurato contro il governo, attra
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verso piani di colpi di stato e luso dei servizi segreti per ricattare la sinistra6. Come abbiamo visto, la reazione da parte dei movimenti alla repressione fu una iperpoliticizzazione, che poi paradossal mente rafforz la vicinanza tra studenti e vecchia sinistra. Con una opinione pubblica e delle forze politiche nettamente schierate lun go il continuum destra-sinistra, il movimento degli studenti fu co stretto a scegliere i suoi alleati nel Pei e nei sindacati. La polarizza zione favor dunque, paradossalmente, il colloquio tra studenti e Pei: Colloquio possibile ora, pur con notevoli difficolt e disac cordi, perch il linguaggio e i referenti divengono comuni: il pre dominio del politico, la conquista del potere, la centralit operaia. Appannato il desiderio dissidente , un colloquio con gli estremi sti diventa possibile (Grispigni 1991: 297).

Riassumendo, nella fase aurorale della famiglia della sinistra li bertaria troviamo in Italia un movimento caratterizzato da una struttura organizzativa inizialmente informale, decentrata e parte cipativa, con unadesione inclusiva anche se totalizzante. G i in questa fase, comunque, emergono i segni di una evoluzione verso modelli pi strutturati e gerarchici, e, soprattutto, verso una parte cipazione tendenzialmente esclusiva. Lassemblea, considerata co me principale strumento organizzativo della democrazia partecipa tiva, rivela infatti i suoi limiti dal punto di vista del reale coinvolgi mento della base e della efficienza nelle decisioni. Dal punto di vi sta ideologico, il movimento studentesco stato caratterizzato da un ottimismo utopistico, con una rapida estensione dellattenzione dalluniversit alla societ nel suo complesso. Il conflitto con lo Sta to porter, in particolare, alla prevalenza di una definizione politi ca del conflitto, rispetto a quella pi culturale presente inizialmen te. Questo stesso conflitto, unito a frequenti scontri fisici con i neo fascisti, influenz anche le forme di protesta. Dalla provocazione simbolica che caratterizzava le prime azioni, le tattiche si radicalizzarono fino a unaccettazione della violenza difensiva.

6 Nel 1964 il capo del Servizio di sicurezza militare (S ifar ), generale De Lo renzo, fu accusato di pianificare un colpo di stato e costretto alle dimissioni. Du rante lera De Lorenzo, il S ifar aveva raccolto informazioni sulla vita privata dei principali uomini politici dei vari partiti. In generale, sui servizi segreti cfr. De Lutiis 1991; sulla strategia della tensione cfr. Ferraresi 1995.

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Guardando allambiente esterno in cui la protesta emerse, ab biamo osservato che la principale peculiarit del movimento stu dentesco italiano furono i suoi intensi rapporti con il movimento operaio. Le risorse organizzative iniziali vennero dai partiti stu denteschi, ma anche dai gruppi operaisti. Gli studenti collegarono le loro rivendicazioni anti-autoritarie con la rivoluzione delle clas si lavoratrici e cercarono nelle grandi fabbriche i loro alleati. Lim magine del movimento degli studenti come alleato della classe ope raia divenne dominante quando i nuclei di attivisti nelle varie uni versit rafforzarono i loro legami con luno o laltro dei gruppi ope raisti, costituendo le principali organizzazioni della Nuova sinistra. Pi che altrove in Europa, la Nuova sinistra italiana us simboli e categorie noti e accettati dai militanti della vecchia sinistra, e riusc a reclutare anche fra i lavoratori pi critici della linea del sindaca to. Per quanto riguarda il repertorio d azione, il movimento im port forme di protesta elaborate dal movimento per i diritti civili negli Stati Uniti, ma riprese anche le forme di azione della vecchia sinistra. Gli studenti occuparono scuole e universit, indissero scio peri e organizzarono picchetti. Sebbene i leader sindacali criticas sero spesso gli studenti per la radicalit delle loro forme d azione, gli eventi di protesta pi perturbativi si ebbero quando studenti e operai si mobilitarono insieme (Tarrow 1990: 166-69). Nonostante reciproche critiche, gli obiettivi e le strategie della vecchia e della Nuova sinistra coincisero in larga misura. Almeno fino al 1974, i movimenti della sinistra libertaria percepivano la vecchia sinistra, e in particolare il Pei, come il loro principale alleato. La posizione di entrambi i raggruppamenti della sinistra rispetto alle lite era ca ratterizzata infatti da una forte conflittualit.

MOVIMENTI COLLETTIVI E VIOLENZA POLITICA: LA RADICALIZZAZIONE DELLA PROTESTA

Il ciclo di protesta iniziato nella seconda met degli anni Ses santa port, almeno nella politica visibile1, a una polarizzazione tra i sostenitori della necessit di modernizzare il paese, e completare il consolidamento democratico, e i difensori dei vecchi equilibri. Lautunno caldo mise in crisi il modello di sviluppo economico, b a sato sulle esportazioni e la compressione dei salari, che aveva do minato gli anni Cinquanta. Nellautunno del 1973, la decisione dei paesi dellOPEC di aumentare (fino al 70 per cento) il prezzo del pe trolio, riducendone le forniture, segn lavvio di una lunga reces sione economica, caratterizzata contemporaneamente da stagna zione e inflazione (stagflation, si disse allora). La particolare debo lezza strutturale delleconomia italiana, in particolare la scarsit di risorse energetiche e un sistema arretrato di relazioni industriali, ac centu gli effetti della crisi, portando a fughe di capitali, crescita del settore som m erso del mercato, aumento del debito pubblico e ri duzione della produzione. Al contempo, le frequenti svalutazioni della lira accentuavano linflazione. Nel corso del decennio, lemergenza non fu solo economica. Nel 1970, le Brigate rosse (B r) avevano annunciato la loro decisio ne di prendere le armi contro lo Stato e il capitalismo; i Nuclei armati proletari (N ap ) seguirono la stessa strada pochi anni dopo. Nel 1974 vi furono i primi omicidi politici del terrorismo rosso, giustificati come incidenti sul lavoro; nel 1976, i primi omicidi premeditati. Fu, comunque, soprattutto nella seconda met del de
1 Alessandro Pizzorno (1993) ha infatti osservato che ai forti conflitti ideolo gici nella sfera visibile della politica si accompagnava spesso una gestione conso ciativa in una sfera occulta.

cennio che le organizzazioni clandestine cominciarono a destare se rie preoccupazioni. Sia il numero delle azioni terroristiche che quel lo delle formazioni clandestine di sinistra avevano infatti avuto una impennata a partire dal 1977. Tra il 1976 e il 1980, 97 persone per sero la vita e 145 rimasero ferite nel corso degli attentati del terro rismo rosso. Nel 1978 vi fu una delle azioni pi clamorose delle B r : il rapimento, e successivamente lomicidio, del presidente del la De, Aldo Moro. Come vedremo, nel corso del decennio, inoltre, il terrorismo nero interag con quello rosso, con un susseguir si di massacri di cittadini inermi che culminarono nella strage di B o logna, nellagosto del 1980. Il conflitto allinterno delle stesse lite dirigenti sui modi di affrontare le frequenti crisi port a instabilit governativa, con una compresenza di riforme e repressione. A livello dei movimenti, questa situazione si riflesse in una di varicazione strategica. Nel corso degli anni Settanta, infatti, i movi menti della sinistra libertaria seguirono due strade. Da un lato, al cune organizzazioni si istituzionalizzarono, entrando in Parlamen to o partecipando ai nuovi organismi di governo decentrati. D al laltro lato, le forme di protesta si radicalizzarono. Al declino della mobilitazione nelluniversit segu, come si detto, un lungo ciclo di protesta. Tra la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Set tanta, la mobilitazione si estese ai temi urbani, alla liberazione del la donna, alla condizione giovanile. A partire dal 1972, i piccoli gruppi informali che avevano sviluppato, su modelli importati da gli Stati Uniti e dal Nord Europa, una pratica di self-help sui temi della (allora ancora illegale) contraccezione e della salute delle don ne, si incontrarono con i collettivi femministi formatisi allinterno della Nuova sinistra, concentrandosi su temi pi politici. In ri sposta al referendum, richiesto da organizzazioni cattoliche, per la brogazione della legge che consentiva il divorzio, mobilitazioni di massa si svilupparono, anche a favore della liberalizzazione della borto. La seconda met degli anni Settanta vide il riflusso della m o bilitazione visibile, con una latenza dei movimenti di massa, laten za interrotta tuttavia da unondata di protesta giovanile nella pri mavera del 1977 e dalla campagna contro la costruzine di centra li nucleari, culminata nellestate del 1978. In tutto il periodo, le for me di protesta si radicalizzarono, mentre una massiccia ondata di terrorismo distruggeva gli spazi per lazione collettiva. Le dinamiche di questa radicalizzazione possono essere meglio analizzate guardando - come faremo nei prossimi paragrafi - ai tre 52

elementi caratterizzanti i movimenti collettivi: i modelli organizza tivi, lideologia e le forme d azione. Come si vedr nella quarta par te di questo capitolo, levoluzione dei movimenti della sinistra li bertaria fu influenzata dalla mutata struttura delle opportunit po litiche, in particolare da una situazione di progressivo isolamento di una protesta che diveniva sempre pi violenta.

1. La struttura organizzativa: frammentazione e settarismo


Levoluzione della struttura organizzativa dei movimenti della sinistra libertaria caratterizzata da una duplice dinamica di strut turazione e destrutturazione - con tendenze, in entrambi i casi, sia verso la istituzionalizzazione dei repertori che verso la loro radicalizzazione. Quasi contemporaneamente, si assistette, infatti, alla istituzionalizzazione dei gruppi della Nuova sinistra e alla sedi mentazione delle prime organizzazioni clandestine. In parte come reazione a questi processi, si ebbero le continue scissioni di alcune frange che dicevano di opporsi, tra laltro, alla burocratizzazione delle organizzazioni al cui interno si erano costituite. Nel corso di continue trasformazioni, alcuni gruppuscoli si evolveranno verso una critica di tipo prevalentemente controculturale; altri faranno un crescente uso della violenza. Non solo in Italia, il movimento studentesco stato seguito da altri movimenti che - pur derivandone direttamente - ne criticava no tuttavia alcune degenerazioni, rappresentando quindi, rispet to a esso, contemporaneamente una continuazione e un supera mento. A partire dagli anni Settanta, il movimento femminista cos come quello giovanile sperimentarono forme organizzative alterna tive al modello leninista tipico delle organizzazioni della Nuova si nistra, stigmatizzandone il verticismo, la burocratizzazione e il centralismo. Il movimento femminista cos come quello giovanile si strutturarono infatti in piccoli gruppi decentrati e informali con bas so livello di coordinamento, enfasi su comunitarismo e amicizia, e privilegiamento dellespressivit sulla strumentalit, fino alla dele gittimazione di ogni tipo di potere formale e burocratico. Per quanto riguarda il movimento delle donne - con leccezio ne dellUnione donne italiane (U d), vicina al Pei, e del Movimen 53

to di liberazione della donna (M l d ), vicino al Partito radicale2 - i piccoli gruppi erano considerati come la formula organizzativa ne cessaria a un processo di graduale presa di coscienza della propria oppressione. Fin dalla fine degli anni Sessanta si erano formate, sul tema della condizione femminile, alcune prime aggregazioni che as sunsero la forma di gruppi informali misti, concentrati prevalente mente sulla discussione e lelaborazione culturale3. A partire dalli nizio degli anni Settanta, emersero i gruppi dellautocoscienza che, prendendo a modello il femminismo americano, affrontarono temi quali la sessualit, laborto, il corpo. Nel frattempo, dopo un inten so dibattito, a partire dal 1972 nuclei femministi si formarono al linterno delle organizzazioni della Nuova sinistra, rendendosi quindi autonomi. La formula dei piccoli gruppi focalizzati su alcu ni temi ebbe successo: consultori si crearono sul tema della salute accanto a cooperative per la formazione professionale e a centri di studio. Di importazione americana, ma anche recupero delle prime forme organizzative del movimento studentesco, il piccolo gruppo rappresentava, nelle intenzioni delle attiviste, il rifiuto della buro crazia e dellaspirazione al potere, definiti come elementi tipica mente maschili. I collettivi dellautocoscienza, sviluppatisi soprat tutto fra il 1972 e il 1974, dovevano essere lo strumento capace di esprimere i contenuti pi vivi del movimento. Lautocoscienza avrebbe dovuto, infatti, fare emergere le basi sociali della propria oppressione attraverso una rivisitazione della vita quotidiana insie me alle altre donne - si congiungono cos pratica politica e pro duzione culturale (Boccia 1980: 69). Questa struttura esprimeva anche una critica alla leadership tra dizionale della Nuova sinistra, caratterizzata dal controllo delle ri sorse ideologiche. Rivolta femminile fu fra i primi gruppi a teoriz zare il rifiuto di ogni leader, definito come quella persona che cer ca di rendersi indispensabile a un gruppo, facendogli credere che il momento pi importante della vita di questo gruppo consiste nel
2 LU di aveva, infatti, una struttura organizzativa burocratica e gerarchica, dotata di oltre 1.200 circoli locali e 84 provinciali, gestiti da uno staff professio nale, e coordinati in una struttura piramidale. Nato nel 1970, IM ld aveva il suo organo decisionale nel congresso (vincolanti le mozioni approvate con una mag gioranza di 3/4); lorgano di gestione era il consiglio federativo, che nominava la segreteria e le delegate alla segreteria del partito. 3 Uno dei primi gruppi misti orientati alla sensibilizzazione sul tema delle dif ferenze tra uomo e donna era il D emau (Demistificazione Autoritarismo), fonda to nel 1966.

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fronteggiare lesterno nei modi della cultura corrente (cit. in Ciuffreda e Frabotta 1974: 10). Le funzioni di coordinamento comin ciarono a essere assunte da organizzazioni di movimento (quali ri viste, radio o luoghi di ritrovo) costituite ad hoc4. I campeggi an nuali, come il Convegno nazionale di Pinarella (che si terr tre vol te tra il 1973 e il 1975), rappresentarono altrettante occasioni di in contro per i collettivi attivi in tutto il paese. La critica alla leader ship autoritaria e alla burocratizzazione della Nuova sinistra emer ge anche nel funzionamento dei piccoli gruppi. Cos vengono, ad esempio, descritti gli incontri di uno dei collettivi del femminismo storico italiano, il Collettivo di via Cherubini (costituitosi, a M i lano, nel 1972):
Mentre i vari gruppi di autocoscienza continuano a riunirsi soprattut to in case private, il collettivo dei gruppi si riunisce una volta alla settima na: il sabato pomeriggio. Durante la settimana la sede ospita gruppi diver si, ma non esiste una rete formalizzata di relazioni tra tali gruppi; i contat ti, quando ci sono, sono a livello informale e passano attraverso le persone. Cherubini non ha una struttura organizzativa rigida n obiettivi da perse guire rispetto allesterno: un luogo, uno spazio in cui le donne possono incontrarsi e verificare alcune acquisizioni teoriche che derivano dalla pra tica dellautocoscienza. Alle riunioni del sabato pomeriggio partecipano dalle 50 alle 70 donne; non esiste di solito un argomento predeterminato [...] Normalmente, dopo una mezzora di chiacchiericcio, una inizia a par lare su un argomento qualsiasi, che comunque verte intorno allidentit femminile. Alla fine, nessuna tira le conclusioni. (Mormino e Guarnieri 1988:31-32)

Una simile frammentazione organizzativa caratterizz anche il movimento giovanile, strutturato attorno a circoli giovanili di quar tiere, attivi su temi quali la casa, il tempo libero, il lavoro, il costo della vita. Gestiti in forma prevalentemente assembleare, i colletti vi giovanili avevano unesistenza spesso precaria, con una speri mentazione continua di nuove formule organizzative. Anche il mo
4 Fra le riviste, a Noidonne (nata a Napoli nel 1944) si aggiunsero Com pagna (nel 1971); Effe e Sottosopra (nel 1973); Differenze (nel 1976); Quotidiano Donna (nel 1978); fra le sedi cittadine, quella di via Col di Lana a Milano e di via del Governo Vecchio a Roma. Inoltre a partire dalla met degli anni Settanta in numerose citt furono aperte librerie delle donne, e fondate ca se editrici, collane (come II vaso di Pandora e La Tartaruga, rispettivamente nel 1975 e 1976) e gruppi teatrali (come Maddalena Teatro, a Roma, nel 1973, e Teatra, a Salerno, nel 1977).

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vimento giovanile critic la leadership tradizionale della Nuova si nistra, caratterizzata dal controllo delle risorse ideologiche. stato notato, infatti, che Il movimento del 77 sembra aver cancellato la figura e il ruolo del leader centrale in grado di ricomporre o co munque controllare i conflitti interni e assicurare - verso lesterno il raggiungimento di obiettivi unificanti (Lodi e Grazioli 1984: 118). Anche in questo caso, alcuni giornali (come Re N udo), ra dio libere (come Radio Alice a Bologna), e luoghi di ritrovo (come il Macondo a Milano) offrivano possibilit di interazione agli attivisti dei vari collettivi, lanciando iniziative su temi che spaziava no da larte di arrangiarsi alla emarginazione giovanile5. Molto sporadiche furono le iniziative propagandate a livello nazionale - co me, nel 1976, il festival del proletariato giovanile organizzato da Re N udo a Parco Lambro, o il Convegno dei circoli del proletariato giovanile alla Statale di Milano, o ancora la manifestazione alla Sca la di Milano che rappresent linizio del movimento del 77. Estremamente decentrata rimase, infine, anche la struttura del movimento urbano, che emerse nella prima met degli anni Settan ta come espressione di socializzazione del conflitto di classe. Esprimendo la richiesta di una maggiore partecipazione al governo del territorio, i movimenti urbani premettero infatti per un decen tramento amministrativo, da realizzarsi attraverso una serie di con sigli decentrati, prima di tutto di consigli di quartiere, ma anche di consigli di zona, circoscrizione, frazione o rione. Coerentemente con le loro richieste, i gruppi attivi su questioni urbane si organiz zarono infatti a livello locale, con rarissimi momenti di coordina mento. Tipicamente, molti comitati locali nacquero nelle borgate e nei quartieri popolari attorno alle parrocchie. Espressione dellas sociazionismo cattolico di base, molti tra i comitati di quartiere nac quero infatti da gruppi di cattolici del dissenso, spesso guidati da preti ribelli: N el 1967-68, in varie parrocchie disseminate in tut ta Italia, dei comuni fedeli si riunirono per dimostrare contro la ge rarchia della Chiesa (Tarrow 1990: 176). Come mostra lesempio di una delle pi importanti di queste comunit - quella dellIsolotto di Firenze raccolta attorno a don Mazzi - il loro emergere si in

5 Tentativi di coordinare le azioni dei vari gruppi vennero fatti anche, ma sen za troppo successo, dalle organizzazioni della Nuova sinistra: Lotta continua or ganizz cos il Coordinamento dei circoli del proletariato giovanile; A o e M ls il Coordinamento dei centri giovanili.

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trecci con la mobilitazione di altri movimenti collettivi (Tarrow 1990: 196)6. L a struttura del movimento urbano rimase decentrata anche quando questi gruppi si istituzionalizzarono. Possiamo dire dunque che si cre una controcultura di piccoli gruppi informali e non strutturati, ma esclusivi e totalizzanti. As solvendo a diverse funzioni allinterno e allesterno dei movimenti, i reticoli di militanti attivi sui temi della condizione femminile, gio vanile o urbana convergevano in alcuni momenti di mobilitazione, quali le campagne di autoriduzione dei prezzi di affitti e spettacoli. La struttura di questi gruppi tendeva comunque a privilegiare il consolidamento delle relazioni allinterno, piuttosto che la mobili tazione allesterno. La fase di costruzione dellidentit coincise in fatti con una sorta di chiusura in se stessi e con la creazione di una controcultura dove rapporti politici e amicali si intrecciavano ine stricabilmente, finendo per creare dei ghetti, poco sensibili alle in fluenze esterne. Questo processo evolutivo dei movimenti della sinistra liberta ria non tipico solo del caso italiano. Anche in Germania, in Fran cia e negli Stati Uniti - ad esempio - gli anni Settanta videro il fio rire di iniziative di protesta, fortemente decentralizzate e informali. Una caratteristica del caso italiano invece il fatto che questi pro cessi interagirono con la istituzionalizzazione dei gruppi, numericamente piuttosto consistenti, della Nuova sinistra - nati nel corso della mobilitazione studentesca - e con la creazione di strutture or ganizzative specializzate nellutilizzazione della violenza. Accanto ai piccoli gruppi dei movimenti delle donne, dei giovani e urbani, si svilupparono organizzazioni piccole ma molto agguerrite, dotate di un modello organizzativo che si adatt sempre pi a quella che, pro gressivamente, divenne la loro attivit caratterizzante: la violenza. Per quanto riguarda le organizzazioni della Nuova sinistra, in fatti, nel corso del decennio si assistette a una progressiva centra lizzazione e al privilegiamento di un modello esclusivo (che, come si detto, scoraggiava le adesioni multiple) con un susseguirsi di na scita e scomparsa di gruppetti e gruppuscoli. La storia di Lotta con tinua ci pu, ancora una volta, aiutare a illustrare questo processo e le sue conseguenze. Se alla sua nascita aveva enfatizzato, come ab
6 Lesempio dellIsolotto si estese rapidamente. Come ha rilevato ancora Tar row, vi fu una strettissima correlazione tra il livello del conflitto civile e indu striale in varie province e lo scoppio di proteste religiose (1990: 180).

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biamo visto nel precedente capitolo, la spontaneit organizzativa, al suo primo congresso nazionale, nel 1970, Lotta continua - che con tava allora 50 sezioni distribuite in tutte le principali citt del Cen tro-Nord - si dot di un comitato nazionale per il coordinamento e di un comitato esecutivo. Nellautunno del 1972, quando le sezio ni erano salite gi a 150 e linfluenza dellorganizzazione si era este sa a tutto il paese, i suoi leader cominciarono a cercare una nuova formula che permettesse di recuperare il patrimonio positivo di milizia, di disciplina e di seriet operaia (Bobbio 1988: 129). Se condo un dirigente di allora, i nuovi principi organizzativi del grup po rappresentarono nullaltro che la riscoperta del centralismo de mocratico e della concezione terzinternazionalista del partito (Bobbio 1988: 130). Insieme al centralismo democratico si afferm anche una visione esclusiva della membership. Durante la seconda conferenza nazionale di Lotta continua, il giornale della organizza zione scrisse infatti: N on esistono solo tanti gruppi [...] Esistono tante linee politiche. Di queste una giusta perch contribuisce a unire e rafforzare il proletariato, le altre sono sbagliate perch lo in deboliscono e lo confondono (in Bobbio 1988: 97). anche si gnificativo che, ancora nel 1972, Lotta continua inaugur il suo proprio quotidiano - Lotta continua, appunto - che and a com petere, su un mercato ristretto, con altri due quotidiani della N uo va sinistra, Il Manifesto del gruppo omonimo e il Quotidiano dei lavoratori fondato da Avanguardia operaia. Nel corso di queste trasformazioni organizzative, Lotta conti nua cos come altri gruppi della Nuova sinistra cominciarono ad af fermare la necessit di organizzare la violenza politica, costi tuendo dei servizi d ordine, cio delle unit specializzate nella autodifesa e nelle azioni militanti. Questo processo fu collega to, in primo luogo, alla escalation dei conflitti con la estrema destra. Quando, infatti, gli scontri nelle scuole e nelle universit divenne ro unesperienza quotidiana, i militanti della sinistra e della destra cominciarono a organizzare le loro azioni di attacco o di dife sa. Fra i militanti della sinistra, i gruppi specializzati negli attacchi ai neofascisti divennero sempre pi strutturati. Come ricorda un militante di allora, le attivit del servizio d ordine
consistevano nel fatto che ci incontravamo alle sei, o a ore impossibili, e pattugliavamo la scuola con barre di ferro per controllare se vi fossero fa scisti. Quindi, controllavamo lingresso per essere sicuri che gli studenti potessero entrare a scuola tranquilli. Dopo di che entravamo in classe - na

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turalmente alla seconda ora, perch eravamo membri del servizio d ordine, e questo era ben considerato dai professori. (Storia di vita n. 12: 10)

Da parte loro, i neofascisti organizzavano le guardie del corpo per proteggere i leader del Msi. Secondo il racconto di un attivista dellorganizzazione giovanile di quel partito, le sue attivit politiche allinizio degli anni Settanta consistevano esclusivamente in: atti vit di ciclostile, attacchinaggio di manifesti, spalleggiamento nelle universit, negli scontri [...] nella presenza ai comizi, guardia ar mata, anche perch chiaramente questi signori [i parlamentari mis sini in campagna elettorale] [...] quando si spostavano avevano dei problemi di incolumit fisica; di conseguenza scorta, controscorta (in Pisetta 1990: 193). Molti futuri terroristi della destra e della si nistra ebbero infatti, in questi gruppi paramilitari, le loro prime esperienze con la violenza. La violenza dei servizi d ordine interag con quella dei primi gruppi organizzati clandestinamente. Alcuni piccoli collettivi stu denteschi ritennero infatti che la concezione della violenza di m as sa, prevalente nelle organizzazioni maggiori della Nuova sinistra, fosse troppo moderata e cominciarono invece a praticare una vio lenza di avanguardia, che doveva rappresentare una tappa di un inarrestabile processo rivoluzionario. Da questa area provenne il primo dei gruppi clandestini italiani, le Brigate rosse, fondate a M i lano nel 1970 da alcuni militanti di un gruppo della sinistra radica le, il Collettivo politico metropolitano (Cpm), a sua volta costituito da attivisti provenienti da un piccolo gruppo politico della rossa Reggio Emilia e da un gruppo studentesco attivo nelluniversit di Trento. Nei primi anni della loro esistenza, le B r adottarono tatti che che erano illegali, ma non molto diverse da quelle tollerate, se non apertamente invocate, dalle altre organizzazioni dei movimen ti collettivi. Allinizio il gruppo prov a mantenere una doppia mi litanza: lorganizzazione stessa era clandestina, ma i suoi membri si impegnavano in attivit pubbliche. Questa strategia entr per in crisi nel 1972 quando, dopo una serie di attentati, lorganizzazione brigatista fu decimata da arresti e perquisizioni. Fu in risposta a questi avvenimenti che alcuni membri decisero di entrare in clan destinit, mentre altri considerarono quella decisione avventuri stica e uscirono dallorganizzazione (Caselli e Della Porta 1984). Luso della violenza produsse divisioni anche allinterno delle organizzazioni non-clandestine della Nuova sinistra. Gi allinizio 59

degli anni Settanta il disaccordo sul ruolo dei servizi d ordine pro voc seri conflitti allinterno dei gruppi pi radicali, fino alla scis sione delle fazioni pi militarizzate. Le vicende di Potere operaio e di Lotta continua illustrano bene questo processo (cfr. Della Por ta 1995, cap IV). Dentro Potere operaio, dove strutture semi-auto nome e semi-militari erano state create a partire dal 1971, il dibat tito sullutilizzazione della violenza aveva assunto toni drammatici a seguito delle indagini giudiziarie relative a un attentato nel corso del quale avevano perso la vita i due giovanissimi figli di un espo nente del Msi romano7. A seguito di queste vicende e delle accese polemiche che esse provocarono, Potere operaio subi la prima im portante scissione: gli attivisti che ritenevano che i militanti arre stati fossero colpevoli abbandonarono, infatti, lorganizzazione. Quelli che rimasero si divisero, ancora una volta, lanno successivo, ancora una volta sul tema della violenza. Alla conferenza nazionale di Rosolina, nel 1973, fu invece lala pi radicale ad abbandonare lorganizzazione (che comunque si sciolse poco dopo), proponen dosi la organizzazione della violenza. Anche Lotta continua speriment frequenti oscillazioni fra uno spontaneismo spesso violento e la ricerca di una legittimazione isti tuzionale. Nel 1972 la conferenza nazionale dellorganizzazione a Rimini assegn un ruolo rilevante ai servizi d ordine, sottolineando il bisogno di violenza rivoluzionaria sia da parte delle masse che da parte dellavanguardia. G i nellautunno dello stesso anno, co munque, quella scelta sar valutata da alcuni militanti con toni estremamente critici: abbiam o incarnato - dichiar pubblicamen te un dirigente dellorganizzazione - lestremismo di sinistra nella sua accezione pi tradizionale (in Bobbio 1988: 115). Nel 1973 il gruppo maggioritario nellorganizzazione rinunci alle strategie pi violente, tentando invece la strada della partecipazione alle elezio ni. Al contempo, dalla organizzazione si staccarono i gruppi pi radicalizzati. Fra coloro che abbandonarono Lotta continua, propu gnando una strategia di organizzazione della violenza, vi era un nu trito nucleo di attivisti della sezione milanese di Sesto San Giovan ni e molti membri del servizio d ordine (Bobbio 1988: 141). I dis sensi sulla questione della violenza scossero ancora frequentemen te ci che restava dellorganizzazione.
7 Lattentato venne compiuto il 17 aprile 1973 a Roma. Morirono Virgilio e Stefano Mattei.

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Se il tema della violenza contribu alla crisi della Nuova sinistra, nella seconda met degli anni Settanta esso fu per, in alcune aree di movimento, un fattore di temporanea riaggregazione di alcuni gruppi. Una tappa di questo processo fu la costituzione di comita ti detti autonom i perch enfatizzavano lautonomia della classe operaia e proclamavano la loro indipendenza dalla Nuova sinistra, accusata di eccessiva moderazione. Se i leader dellAutonomia ope raia provenivano in buona parte proprio dalla (dissoluzione della) Nuova sinistra, la sua espansione fu dovuta allincontro fra questi leader e una nuova generazione di militanti, socializzati alla politi ca in un clima di pessimismo culturale e crisi economica. Basati nel le fabbriche o nei quartieri, i collettivi autonomi tennero i loro primi incontri di coordinamento tra il 1972 e il 1973 (Castellano 1980; Palombarini 1982), aggregandosi in seguito in aree. Alla fi ne di questo processo, due riviste - Senza tregua e R osso - d i vennero punto di riferimento per alcuni vecchi militanti di L ot ta continua e Potere operaio e per i giovanissimi attivisti dei vari cir coli giovanili formatisi nelle periferie delle grandi citt del Nord8. Entrambe si dedicarono a rielaborare lideologia operaista degli an ni Sessanta, rendendola compatibile con una nuova potenziale base di mobilitazione che rifletteva il clima radicalizzato degli anni Settanta. Nonostante le differenze ideologiche - Senza tregua era pi legato alloperaismo tradizionale, mentre R osso elabor la tesi del lavoratore sociale come soggetto rivoluzionario - i due grup pi condividevano un tratto importante che pu spiegare la somi glianza nei successivi percorsi politici di molti dei loro attivisti. En trambi volevano, infatti, dedicarsi alla organizzazione delle forme pi estreme di violenza, pur mantenendo una struttura organizzati va prevalentemente legale - cercando di realizzare quella che un ex militante di Senza tregua ha descritto come: una doppia mili tanza, diciamo cos, [...] una militanza di fabbrica con lautonomia [...] e un inizio di pratica diretta [...] (Storia di vita n. 3:47). Ci doveva passare, secondo la strategia condivisa dai due gruppi, at traverso la costruzione di nuclei armati allinterno dei collettivi
8 Senza tregua era il giornale dei Comitati comunisti per il potere operaio (Cero), fondati a Milano da ex-militanti della sezione di Lotta continua del po polare quartiere di Sesto San Giovanni e da membri di Potere operaio. Altri mi litanti di Potere operaio, che avevano lasciato lorganizzazione nel 1973, si uni rono ai membri di vari gruppi autonomi per fondare Rosso.

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autonomi: allinterno di ogni collettivo - racconta un militante di Rosso - si cercava di costruire anche un nucleo, una squadra ar m ata (Storia di vita n. 4:14-15). In un clima di acute tensioni so ciali e di polarizzazione politica - reso pi cupo dai primi omicidi delle B r - la violenza divenne fattore di aggregazione di una base volatile, poco incline al negoziato, e ansiosa di passare dalle elu cubrazioni ideologiche ai fatti. Lescalation dei conflitti sociali in violenza politica venne cos facilitata dalla presenza di imprendi tori violenti cio, come spiega un ex-militante, dalla formazione qui a Milano di quadri con questa doppia abilit: da una parte di intuire se c una situazione di lotta esplosiva, e starci dentro, e far la crescere; dallaltra di avere in mente tutti i problemi della lotta clandestina, quindi la capacit di scegliere persone adatte a co struire dei nuclei, addestrarle, trasmettergli quel carisma originale dellorganizzazione (Storia di vita n. 12: 25). I tentativi di mantenere una struttura legale dedicandosi con temporaneamente ad azioni illegali erano comunque destinati a fal lire: In realt - ha osservato un militante di Senza tregua - non era possibile risolvere questo problema, non si riesce a fare politica e a coniugare laltro elemento, quello clandestino e militare; questi due spezzoni sono sempre in contraddizione tra loro (Storia di vita n. 27: 35). La conseguenza dellazione dei gruppi pi violenti fu cos, nella seconda met degli anni Settanta, il rapido declino del le residue organizzazioni di movimento sociale e la fondazione di altre organizzazioni clandestine. La seconda maggiore organizza zione clandestina dopo le B r , Prima linea (P l) emerse infatti, alla fi ne del 1976, proprio dalla scissione nei C c p o (i collettivi vicini a Senza tregua), mentre in modo simile, nel 1977, dalla crisi di R osso nacque unaltra organizzazione terrorista: le Formazioni comuniste combattenti (Fcc).

2. Ideologia: fondamentalismo e riflusso


Non solo in Italia, la struttura decentrata dei movimenti si col legata a una focalizzazione dellattenzione sullidentit. Un model lo centrifugo ha caratterizzato movimenti che - come quello gio vanile e delle donne - hanno privilegiato il piano culturale, pre stando meno attenzione al potere politico. Come vedremo in que sta parte del capitolo, i movimenti degli anni Settanta si connota 62

rono infatti per la richiesta di autonomia contro la egemonia del conflitto di classe e per la proclamazione della diversit contro una forzata omogeneizzazione. Dal punto di vista ideologico, questi movimenti avevano rinunciato alle grandi utopie, proponendo una sperimentazione di un nuovo modello di societ a partire dal pro prio quotidiano. Alla centralit del conflitto di fabbrica si sostitu la pluralit di soggetti che sottolineavano la differenza; alloperaio-massa, loperaio sociale - o in ogni caso un soggetto che si de finiva attraverso una pluralit di ruoli. Questo approccio, che si evolver successivamente nel pragmatismo degli anni Ottanta, si connota per - in questa fase di radicalizzazione - con un pessimi smo fondamentalista, fornendo in alcuni casi la base per una giu stificazione della violenza che, da difensiva, diventer sempre pi esistenzialista. Nella sua fase d incubazione, il movimento delle donne si pre sent come un movimento soprattutto culturale, rivolto a trasfor mare il sistema di valori e il modo di far politica. Gli slogan pi co nosciuti, da Donna bello a Il personale politico, riflettono questa attenzione9. Nel movimento ci si proponeva di superare il d i scorso tradizionale della emancipazione con quello innovativo del la liberazione, che verr cercata attraverso due percorsi: uno, pi psicologico, sfocier nella pratica dellinconscio (ad esempio, nel Collettivo di via dei Cherubini); laltro, pi economicista, si espri mer nei gruppi per il salario alle casalinghe (organizzati da Lotta femminista). La caratteristica comune ai due filoni era comunque un certo purismo ideologico, che si manifestava nella critica globa le alla societ patriarcale. Come stato notato a proposito di al tri movimenti femministi, lo sviluppo di una teoria distica della so ciet era un passaggio necessario alla costruzione del femminismo - costituendone infatti la fase utopica (Boucher 1979). Bisogna ag giungere comunque che, in Italia, data la presenza nel movimento
9 Lo slogan Donna bello riprendeva quello dei neri americani, cui il mo vimento si richiamava anche nella difesa della pratica della separatezza come affermazione di autonomia, mentre, si osservava, solo alle donne e agli schiavi non viene pagato il lavoro. Non a caso, un documento del Cerchio di gesso si intito lava: Le donne e i neri. Il sesso e il colore (cit. in Ergas 1986: 19). A proposito di questa diffusione cross-nazionale si pu anche osservare che i gruppi di donne che si riunirono alla fine degli anni Sessanta (Anabasi a Milano, Cerchio spezzato a Trento, Collettivo delle compagne del gruppo comunicazioni rivoluzionarie a To rino, tra gli altri) utilizzarono e discussero testi del movimento americano, sia del la Nuova sinistra che del filone radical-borghese (Passerini 1991: 372).

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della (vecchia e nuova) sinistra, le analisi pi diffuse sul ruolo della donna nella societ utilizzavano le categorie tradizionali del discor so di classe: lo sfruttamento delle donne come produttrici di servizio o oggetto sessuale, rimperialismo dei valori maschilisti, la natura strutturale della contraddizione fra i sessi (Ergas 1986: 64; cfr. anche Ergas 1992). La ricerca sulla condizione femminile echeggiava i temi e le tesi della nuova sinistra richiamandosi qua si puntigliosamente allo sfruttamento delle donne come oggetti sessuali e come casalinghe, aUimperialismo e allo sciovinismo dei valori maschili, all autoritarismo del rapporto uomo-donna, alla natura strutturale della contraddizione fra i sessi, all antica pitalismo ed alla valenza rivoluzionaria insiti nei movimenti fem minili (Ergas 1980: 557). D opo una fase di mobilitazione aperta, i gruppi femministi si di visero tra lelaborazione culturale e limpegno concreto, soprattut to nella sinistra e nei sindacati. Nel corso degli anni Settanta, co munque, le analisi si spostarono dalla famiglia come luogo di sfrut tamento economico alla famiglia come fabbrica del privato (Boc cia 1980: 70). Il movimento delle donne, differentemente da quelli che lo avevano preceduto, reintrodusse quindi le differenze invece di mirare a superarle. Per la prima volta nel discorso della sinistra libertaria, le donne rifiutarono legualitarismo come emancipazionismo, enfatizzando invece la diversit. Pi che di politica, i grup pi di autocoscienza discutevano di temi quali la riproduzione, la sessualit, i rapporti interpersonali, la vita quotidiana. Rifiutando il primato della contraddizione capitale-lavoro e della sfera produtti va, che avevano caratterizzato la Nuova sinistra, i collettivi femmi nisti affermarono il ruolo centrale della contraddizione uomo-don na, la prevalenza della differenza di sesso rispetto allunit di classe. In generale, il movimento delle donne si concentr su temi legati pi alla trasformazione della cultura che alla riforma delle istituzioni. Lattenzione al potere si perse e prevalse la voglia di trasformare se stesse, senza curarsi troppo della realt esterna. Allinizio degli anni Settanta, lautocoscienza divenne - come abbiamo detto - il modo alternativo di fare politica. Per molte donne ci comport la rinun cia allaltra politica, alla politica maschile, e luscita quindi dalle organizzazioni di vecchia e nuova sinistra. In questa fase, il clima di radicalizzazione port cos a una subordinazione degli aspetti pi concreti rispetto alla elaborazione controculturale, accentuando il pessimismo sul futuro dellumanit. 64

Anche il punto culminante della protesta giovanile - il cos det to movimento del 77 - si caratterizz per lenfasi sulle trasforma zioni culturali, laffermazione della diversit, lassenza di un proget to a lungo termine. I circoli del proletariato giovanile esprimevano linsofferenza rispetto al dominio istituzionale sulla vita quotidiana, rifiutando il concetto di progresso, assimilato dal movimento ope raio. Lisolamento era preferito rispetto al rischio di integrazione. Come hanno scritto Giovanni Lodi e Marco Grazioli (1984: 68):
A partire dallo specifico giovanile il movimento del 77 sceglie di tra sformare la diversit in risorsa, accentuando invece che occultare il parti colarismo degli interessi e delle appartenenze. Ci consente a questi gio vani di affermare una presenza autonoma in societ che tendono a negar la o comunque a controllarla. In termini pi generali essi vogliono assicu rarsi unesistenza separata in sistemi che inglobano e annullano gli interes si non caratterizzati e quindi non competitivi.

E ancora: Rinunciando a obiettivi universalistici, questo movi mento rende esplicita la frantumazione dei conflitti operata dalle societ complesse (1984: 69-70). In maniera simile, e talvolta intrecciata, si svilupparono anche le mobilitazioni sui temi urbani. Negli anni Cinquanta e Sessanta lorganizzazione della protesta a livello locale era passata soprattut to attraverso lintermediazione dei partiti, strutturati in sezioni pre senti in molti quartieri delle grandi citt italiane, mentre i gruppi di cittadini che si organizzavano al di fuori dei partiti portavano avan ti iniziative di tipo culturale o solidaristico. Negli anni Settanta, in vece, sullonda delle grandi ondate di protesta nelle scuole e nelle universit, anche la questione urbana si politicizz e si svilupparo no movimenti sul tema dei servizi pubblici, o, secondo la definizio ne di Castells (1983), un sindacalismo per consumi collettivi. Queste proteste si indirizzarono, inoltre, alla struttura del potere, dando vita a movimenti di cittadinanza. Insieme alla partecipazio ne alla gestione della scuola e della universit e alla democraticizzazione della rappresentanza dei lavoratori con lelezione dei dele gati di squadra e di reparto, si chiedeva una maggiore partecipa zione alle scelte che riguardavano il territorio. Mentre la struttura dei partiti alla periferia si indeboliva e le sezioni perdevano il loro ruolo di aggregazione della domanda, per trasformarsi in strumen ti di organizzazione della clientela, i movimenti urbani rivendicava no lestensione della partecipazione dal basso. 65

Bisogna aggiungere che sia il movimento delle donne che quel lo giovanile e quello urbano elaborarono specifiche rivendicazioni su vari temi. Nelle proteste del Settantasette, ad esempio, conver gevano sia i temi della scuola selettiva e priva di servizi, che quelli del diritto alla casa, della lotta al carovita, dellassenza di infra strutture nei quartieri popolari, della disoccupazione e del lavoro nero, della mancanza di luoghi di cultura e della diffusione delle droghe pesanti. Per quanto riguarda le donne, rivendicazioni con crete riguardarono il sistema della produzione (orari di lavoro, di scriminazioni nelle assunzioni e nei salari ecc.) cos come quello del la riproduzione (dagli asili nido al lavoro domestico). Il movimen to ebbe, infatti, diverse anime, che espressero numerose proposte: dal salario alle casalinghe alla separatezza. A partire dal 1975, i cor si delle 150 ore - cio, le ore di formazione pagate dai datori di lavoro - offrirono in alcune citt occasione di incontro a donne pro venienti da ambienti diversi. Concrete furono, infine, le rivendica zioni dei movimenti urbani, che riguardarono i rincari dei prezzi dei trasporti pubblici, lo sventramento dei centri metropolitani, le ca renze delledilizia pubblica. Per i movimenti della sinistra libertaria, comunque, il clima di radicalizzazione port, alla met degli anni Settanta, a una subor dinazione delle rivendicazioni concrete rispetto alle elaborazioni controculturali, fondamentaliste e pessimiste. Una specificit del caso italiano infatti lintreccio di una definizione antagonista a li vello controculturale con il passaggio dalla giustificazione della vio lenza come arma difensiva alla esaltazione della violenza come pra tica, di per s, autoliberatoria. Nel corso degli anni Settanta, un fat tore che legittim la violenza fu la diffusione, nella controcultura della sinistra, dell'immagine di uno Stato violento e ingiusto, di uno Stato, cio, che aveva violato le stesse regole del gioco democrati co. Questa immagine crebbe, innanzitutto, nelle memorie dirette degli scontri tra manifestanti e polizia, di cariche con manganelli e fumo di candelotti lacrimogeni, e nella convinzione diffusa tra gli attivisti che fosse necessario resistere agli attacchi della polizia. Per molti attivisti, infatti, lintervento delle forze di polizia, perce pito come brutale, giustific una assolutizzazione della condanna dello Stato - come ricorda un giovane militante di allora: a chi ha le armi, a chi ha i lacrimogeni, a chi ha i manganelli uno risponde con i sassi, e questo differenziale diventa anche dal mio punto di vi sta un motivo di giustificazione (Storia di vita n. 9:26). La m or 66

te di alcuni dimostranti - per mano dei fascisti o della polizia - ac quis un alto valore simbolico come espressione della impossibilit di cambiare il sistema in modo pacifico. Nelle parole di un attivista: i giorni della morte di Zibecchi a Milano, Boschi a Firenze e Miccich a Torino furono il momento in cui la rabbia e il desiderio di ribellione giunse a possederci tutti [...] Quelle morti ci diedero stra na impressione, quasi come se non fosse pi possibile di tornare in dietro (in Novelli e Tranfaglia 1988: 206). La giustificazione pi forte per luso della violenza venne dalla convinzione che lo Stato fosse coinvolto in una sporca guerra. La strage di Piazza Fontana, nel 1969, e gli indizi di un coinvolgimen to dei servizi segreti nella protezione degli assassinii ebbero, sulla cultura di sinistra, un effetto di radicalizzazione. Agli occhi degli at tivisti, lo Stato divenne lo Stato delle stragi, che usava la strate gia della tensione per reprimere la protesta democratica. Divenne, quindi, giusto, l in Italia, contro chi faceva la strage di Stato, met tere in piazza la violenza (Storia di vita n. 27: 18). Questa situa zione stimol una sorta di retorica del momento storico. Negli an ni che seguirono alla strage di piazza Fontana, i militanti vissero nel la paura di un colpo di stato autoritario. Qualsiasi fosse la reale pro babilit che esso si realizzasse, i timori ebbero un impatto diretto sulla vita degli attivisti della sinistra, non solo radicale: L a vita quotidiana stessa - ricorda un militante - intessuta di questo cli ma: ricordo periodi con lo zaino pronto sotto il letto, falsi allarmi per un giornale radio non trasmesso, catene di telefonate pi o me no rassicuranti (in Novelli e Tranfaglia 1988: 122); e ancora, Quante persone in quelle notti non hanno dormito a casa - non mi riferisco soltanto a compagni della sinistra extraparlamentare quanti occhi erano puntati sulle caserme per vedere se cerano mo vimenti strani (in Novelli e Tranfaglia 1988:204). Fra i radicali del la sinistra, si diffuse cos la convinzione che fosse necessario equi paggiarsi per la resistenza. Numerose biografie documentano la presenza di quello che un militante definisce come una identit co spirativa, caratterizzata dalla paranoia del colpo di Stato, i rac conti dei vecchi del Pei o del sindacato, che come minimo han dor mito fuori. Poi magari era tutto folclore, per cera, era forte, for tissima, questa tensione cospirativa, questo prepararsi (Storia di vita n. 18: 47); mentre In caso di colpo di Stato [...] era il classi co libro che dovevi mettere in fondo alla libreria, lo mettevi nasco sto (Storia di vita n. 6: 19). 67

Ma fu soprattutto negli scontri con la destra radicale, sempre pi frequenti nella seconda met del decennio, che si svilupp una concezione esistenziale della violenza. Gli scontri fisici ebbero ef fetti psicologici: la solidariet crebbe, infatti, allinterno di ciascuno dei due fronti. Da entrambe le parti, il condividere limpegno in at tivit ad alto rischio rafforzava i legami di lealt fra i membri dei due gruppi di amici-compagni o amici-camerati. Allo stesso tempo, le violente interazioni faccia a faccia aumentarono lodio tra i due fronti, creando unimmagine astratta e assoluta dellaltro come ne mico. I commenti di un militante di destra sintetizzano questa per cezione dellavversario: Il nemico secondo me va visto, e penso che noi tutti avevamo questa concezione, va visto in modo asettico, im personale; se c lo scontro col nemico, in quel momento il nemi co, q u in d i... o io, o lui (in Pisetta 1990: 208). Una immagine simi le si svilupp anche a sinistra, specialmente dopo la strage di piaz za Fontana, quando i neofascisti cominciarono a essere visti come nientaltro che assassini, e a essi venne negato il diritto di parola dentro le scuole e le universit: L a strage di Piazza Fontana nel di cembre 1969 - ha scritto un ex-attivista della sinistra radicale - se gna per me una svolta decisiva perch chiude il circuito (che fino allora mi era sembrato ancora aperto) tra le istituzioni, lo Stato, e la destra [...] Rispetto alla destra, vivo la prima esperienza di forte po larizzazione (in Novelli e Tranfaglia 1988: 114). In questa atmosfera di paura e vendetta le interazioni tra le strema sinistra e lestrema destra escalarono in una logica d odio, logica di morte (in Pisetta 1990: 196). Un futuro terrorista nero spiega, ad esempio, il suo crescente impegno politico come il risul tato di una serie di vendette:
Ci sono state delle violenze contro mio fratello, e di qui ho tratto un senso di ingiustizia che mi ha spinto a fare come lui politica. Il mio primo atteggiamento fu di ritorsione: era stata bruciata la macchina di mia madre e bruciai qualche altra macchina, le percosse che aveva ricevuto mio fra tello le restituii ad altri. La cosa andata cosi per diversi anni, crescendo man mano. Violenza ha chiamato violenza. [] I nostri avversari erano quelli che professavano lideologia contraria alla nostra. Ma fondamental mente le lotte che si verificavano erano lotte di banda, secondo la moda al lora invalsa nella nostra generazione, (in Bianconi 1992: 51)

In modo simile, dalla parte opposta, viene descritta una caccia alluomo senza piet (Storia di vita n. 6: 29). Lesperienza di 68

scontri quotidiani con gli avversari produsse, verso la politica, un

atteggiamento da battaglia. Sia a destra che a sinistra la violenza


venne gradualmente accettata come normale strumento della poli tica. Le biografie dei militanti di allora mostrano infatti questa dif fusa legittimazione delle forme d azione pi brutali: se un militan te della sinistra si riferisce alla violenza come un modo per identi ficarsi anche con la storia, la tradizione, con una parte dei movi menti trasformativi di questo secolo (Storia di vita n. 29: 36); un militante di destra afferma che la violenza politica fa parte della lotta politica, un mezzo come un altro (in Pisetta 1990: 205). E mentre i militanti della sinistra ricordano la met degli anni Settan ta come gli anni dei manifestanti morti in piazza, [...] gli anni degli agguati fascisti con i compagni morti (Storia di vita n. 13:29), per i neo-fascisti si viveva in una situazione in cui ammazzare il fascista non un reato, in una situazione in cui i fascisti non possono entra re nelle scuole, in una situazione in cui i fascisti non possono entra re nelle piazze, in una situazione in cui i fascisti non possono vivere (cit. in Pisetta 1990: 200). Luso della violenza cominci ad acquisire una sempre maggio re legittimazione man mano che una seconda generazione di mili tanti ader ai gruppi radicali. A sinistra come a destra, questa se conda generazione fu, molto rapidamente e a una et molto giova ne, coinvolta nella politica radicale. Tipico questo racconto da parte di un militante della sinistra: Il mio primo corteo datato 1 ottobre 1977; lingresso nel collettivo autonomo del febbraio 1978; tenevo per Prima linea gi ad aprile-maggio di quellanno (in Tranfaglia e Novelli 1988: 300). Parallelamente, per quanto riguar da i terroristi di destra, stato osservato che: a sedici-diciassette anni quasi tutti [...] posseggono gi lesperienza di avere compiuto fuori della legalit qualcosa di veramente importante (Fiasco 1990: 185). Essendo stati socializzati in un periodo di radicalizzazione della politica, i membri della seconda generazione avevano in fatti pochi tab a proposito dei repertori da utilizzare - ancora me no della precedente generazione. Queste differenze portarono ad dirittura ad alcune tensioni tra i vecchi e i giovani militanti. Fu proprio questa seconda generazione che forn il maggior numero di reclute alle organizzazioni terroriste. Molti neofascisti, cos come radicali di sinistra, guardarono alla lotta armata come alla logi ca evoluzione della loro carriera politica. Concludendo, la ricchezza e novit delle rivendicazioni emer 69

genti non riusc a svilupparsi appieno. La costituzione di nuovi at tori collettivi venne ostacolata dalla presenza di un ambiente poli tico radicalizzato, rafforzando le vecchie definizioni del conflitto ri spetto alle nuove. Come vedremo, la chiusura del sistema politico imped, ancora per lunghi anni, larticolazione di un discorso alter nativo: G li oggetti collettivi emergenti, la difesa dellidentit per sonale e di gruppo contro lintervento degli apparati, lesigenza di valorizzare le risorse umane e il rapporto con la natura, la doman da di una sessualit non manipolata, il bisogno di espressione e di comunicazione, sono stati spesso sommersi dalle necessit quoti diane di lottare contro la crisi, la repressione e lo sfacelo del siste m a (Melucci 1977: 156).

3. Cicli di protesta e violenza politica


Compartimentazione organizzativa e giustificazioni ideologiche per la violenza influenzarono il, e furono influenzate dal repertorio d azione adoperato dalla famiglia dei movimenti della sinistra li bertaria in Italia. La fase che abbiamo definito come radicalizzazione ha visto, contemporaneamente, un riflusso dallazione pi visibile e una escalation violenta. In primo luogo, alcune forme di protesta si istituzionalizzarono quando, attraverso processi di imitazione a catena, vari gruppi so ciali le copiarono e adattarono alle loro caratteristiche ed esigenze. Al contempo, altri attori collettivi si appropriarono delle azioni un tempo tipiche del movimento operaio. Le occupazioni, nate come reazione degli operai alla chiusura delle fabbriche, si estesero ad al tre arene di conflitto: vi furono occupazioni di scuole, di atenei, di edifici pubblici e di abitazioni private10. Grazie alla presenza dei sindacati, gli scioperi si estesero anche allesterno delle fabbriche, in particolare sui temi urbani. Per fare solo un esempio, il 19 no vembre 1969 venne proclamato uno sciopero nazionale per la rifor ma della legge sulle abitazioni, e ad esso seguirono una serie di ini ziative su trasporti pubblici e ambiente, fino agli scioperi del 1974 per un programma decennale di finanziamento delle case popolari.

10 Ad esempio, nel 1970 lUnione degli inquilini (IU n ia ) guider la occupa zione simultanea di 700 case a Roma (Della Seta 1978: 318).

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Anche le manifestazioni divennero sempre pi frequenti. signifi cativo che una caratteristica del femminismo italiano rispetto a quelli di altri paesi europei fu la organizzazione di campagne di m o bilitazione di massa. Nel 1974 10 mila donne presero parte al con vegno nazionale di Pinarella di Cervia; tra il 1975 e il 1977, una se rie di iniziative nazionali - in buona parte sul tema della regolazio ne dellaborto - vedranno una partecipazione oscillante tra le 30 mila e le 50 mila donne11. Avvicinandosi alle istituzioni - ad esempio attraverso lelezione in Parlamento di alcuni rappresentanti dei partiti della Nuova sini stra - i movimenti della sinistra libertaria cominciarono inoltre a uti lizzare modelli di pressione pi istituzionali: dai progetti di legge al le proposte di referendum sui temi della liberalizzazione dellabor to o dellambiente12, mentre il movimento delle donne organizz petizioni e richieste di referendum. Come hanno osservato Grazio li e Lodi (1984: 289) a proposito della campagna per laborto,
il m ovim ento fem m inista gestisce i propri interventi agendo su diversi p ia ni contem poraneam ente: a livello sotterraneo si attiva un com plesso di m i crostrutture che autogestiscono la pratica abortiva organizzandola alleste ro o praticandola direttam ente; a livello istituzionale realizzando un rap porto organico con le com ponenti femminili dei partiti intenzionate a so stenere la legge; a livello di m obilitazione esterna concentrando le m anife stazioni in relazione allandam ento delliter legislativo.

M ld e U d furono, ad esempio, i due gruppi pi attivi nella uti lizzazione di canali d azione istituzionali: dai progetti di legge di ini ziativa popolare o parlamentare alle denunce alla magistratura con tro la disapplicazione della legge sullaborto. Alcuni gruppi continuarono comunque unopera di innovazio ne strategica - non fossaltro che per riconquistare lattenzione dei 1 1 In particolare, il 18 gennaio 1975 ci fu la prima grande manifestazione a Roma sul tema dellaborto con 20 mila partecipanti. Il corteo dietro lo striscione D ora in poi decido io era composto interamente da donne e seguito dalle or ganizzazioni miste, mentre qualche militante della vecchia sinistra vi partecip portando cartelli con scritto Sono del Pei, eppure sono qui. Nellaprile 1976, IU di (Unione donne italiane, vicino al Pei) e altre organizzazioni femminili dei partiti, accettarono di partecipare a una manifestazione separatista, che vedr 50 mila partecipanti. 12 Ad esempio, nel dicembre 1978 gli Amici della terra proposero un refe rendum popolare abrogativo della legge 393/75 relativa alla localizzazione degli impianti nucleari.

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media, assuefatti o distratti. Tipicamente, gruppi emergenti, dotati di ancora limitate capacit di mobilitazione di massa, utilizzarono forme di azione simboliche che, contemporaneamente, aiutavano la costruzione dellidentit e attiravano lattenzione del pubblico. Il movimento delle donne introdusse nuovi modelli di protesta nel re pertorio dellazione collettiva - come le azioni clat di piccoli grup pi o le autodenunce pubbliche sul tema dellaborto13. La ricerca di forme d azione non-maschili port i collettivi femministi a pun tare sulla creativit, attraverso mostre grafiche, improvvisati sketch per strada, volantini fumetto. Alla violenza si sostituivano le pro vocazioni con fantasia - come ad esempio il blocco per quattro ore delle linee telefoniche di un quotidiano (Ciuffreda e Frabotta 1974: 14) o le attivit del Tribunale 8 marzo, che raccoglieva de nunce e testimonianze dedicate ogni anno a un tema diverso (salu te, giustizia, violenza domestica, discriminazione sul lavoro). Emersero, inoltre, tattiche di protesta basate su azioni illegali ma nonviolente. Ad azioni perturbative, come loccupazione di luo ghi pubblici e asili o lincatenarsi ai cancelli di edifici pubblici, si aggiunse il self-help per laborto (la cos detta autogestione della borto, iniziata nel 1974). Queste attivit erano organizzate sia da piccoli gruppi decentrati - ad esempio dal primo consultorio auto gestito, nel 1975, dal G ruppo femminista per una medicina della donna operante presso il Collettivo di via Cherubini - che da grup pi pi specializzati - come il Centro per laborto e la contraccezio ne (C r a c ) e il Centro informazioni sterilizzazione e aborto (C is a )14. Quella che diventer la disobbedienza civile verr alla luce in que sti anni anche con la autoriduzione delle tariffe di alcuni beni pubblici, nel corso di due campagne, nel 1974, su trasporti ed elet tricit e, nel 1975, su metano (in Piemonte) e telefono. Campagne di autoriduzione degli affitti vennero inoltre organizzate per prote stare contro le condizioni di degrado delle abitazioni, soprattutto nei centri storici delle grandi citt.
1 3 Nel 1975 2.700 autodenunce per aborto vennero presentate da M l d e Par tito radicale alla Procura Generale della Suprema Corte di Cassazione. 14 II C rac venne creato a Roma nel 1975, da vari collettivi di quartiere, for mati da donne della Nuova sinistra, con lobiettivo di intervenire allesterno. Organizzava gruppi di self-help e gruppi di sostegno alle donne che volevano abortire. Il C isa , federato al Partito radicale, inizi la sua attivit a Milano nel 1973. Nel 1975 vennero arrestati un medico del centro e il segretario Spadaccia, accusato di procurato aborto e associazione a delinquere.

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Ma c anche un altro processo che in Italia stato - almeno nel limmaginario collettivo - dominante: un processo di radicalizzazione di alcuni repertori, che coincise in parte con il riflusso dellazio ne visibile, grosso modo alla met del decennio. Il 1976 rappresent un momento di svolta per il movimento delle donne, che durante la discussione in Parlamento della legge sullaborto perse interesse al le forme d azione pi politica (Ergas 1982:268 sgg.; 1986:78). Men tre alcuni gruppi utilizzavano le nuove opportunit di accesso ai centri decisionali, il movimento si frazion in una miriade di collet tivi, con obiettivi centrati sulla ricerca di s e nessun interesse ver so il reclutamento o il coordinamento delle attivit. Nel frattempo, gli attivisti della Nuova sinistra si allontanarono dalle scuole e dalle universit, preferendo lintervento nei quartieri, dove vennero or ganizzate azioni di protesta contro lo spaccio di droga pesante e si costituirono circoli giovanili in edifici occupati (Sorlini 1978). Unondata di proteste anti-nucleari segu lapprovazione del Piano energetico nazionale (che prevedeva la costruzione di venti centrali nucleari)1 , ma il livello di mobilitazione rimase basso, e gli attivisti della Nuova sinistra esitavano ad adottare una linea ecologista (Bi sogna essere rossi, prima di essere verdi, dichiar il leader del mo vimento studentesco Mario Capanna). A fronte delle grandi mani festazioni in altri paesi europei, le manifestazioni contro la costru zione di centrali nucleari vedranno la partecipazione di 10 mila atti visti nel novembre 1976,20 mila nellagosto 1977 e 50 mila nel mag gio 1979 (Farro 1991: 55-58; Diani 1994: 210-11). Mentre si rifluiva nel privato e nella controcultura, la com ponente pi politica dei movimenti si trov di fronte unatmosfera iper-radicalizzata. La radicalizzazione segu il percorso evolutivo del ciclo di protesta, crescendo al declinare della mobilitazione. Se condo lo studio quantitativo gi citato sulla protesta in Italia tra il 1966 e il 1973,
15 La campagna sul nucleare era stata avviata nel 1974, da W w f e Italia no stra insieme a iniziative locali come il Comitato cittadino di Montalto e il Comi tato di Capalbio, cui si aggregheranno gruppi della Nuova sinistra (in particola re, Democrazia proletaria e Avanguardia operaia) e anche cattolici (come Pax Christi), riuniti spesso in coordinamenti locali (come il Coordinamento genera le per la Maremma). La mobilitazione crescer soprattutto attorno alle centrali di Caorso, la cui costruzione era iniziata nel 1970, e a quella di Montalto di Ca stro, allora in costruzione, ma anche nei vari luoghi designati come possibili se di di nuove centrali, come Viadano e Tavazzano in Lombardia, Alessandria e Tri no Vercellese in Piemonte, Avetrana e Manduria in Puglia.

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La violenza tende ad apparire sin dallinizio di un ciclo di protesta. In questa fase, essa solitamente rappresentata dalle forme di azione meno pianificate ed usata da grandi gruppi di manifestanti. Gli scontri con gli avversari o la polizia durante azioni di massa rappresentarono il tipo di vio lenza politica pi diffuso durante la fase alta del ciclo, e declinarono alla sua fine. Nellultima fase, aggressioni portate avanti da piccoli gruppi di militanti e attacchi diretti contro persone divennero pi frequenti. Le for me di violenza pi drammatiche crebbero quando la fase di massa del ci clo di protesta declin. In altre parole, mentre si riduceva lazione di mas sa, la violenza politica crebbe in dimensione e intensit. (Della Porta e Tarrow 1986: 620)

Se gli episodi di violenza aumentarono in totale durante il ciclo, la loro presenza fu comunque media allinizio, si ridusse quindi nel la fase alta della mobilitazione, crescendo invece al declino della protesta. Si deve aggiungere che, nel corso della mobilitazione, cambiarono le forme della violenza:
Mentre lampiezza della violenza messa in atto da gruppi di media di mensione si mantiene costantemente tra le altre due, la curva degli eventi di violenza da parte di piccoli gruppi ha una tendenza opposta rispetto al la violenza di massa. Essa rimase costante durante i quattro anni allinizio del ciclo, specialmente nel 1968 e 1969, quando il suo peso era attorno al 7% di tutti gli eventi violenti. Essa aument per la prima volta nel 1970, ma per questanno e quello successivo rimase ancora la forma di violenza meno rappresentata [...] La situazione cambi drasticamente nel 1972 e nel 1973, quando la violenza di piccolo gruppo raggiunse, rispettivamente, il 47% e il 62% degli eventi violenti. (Della Porta e Tarrow 1986: 620)

Distinguendo le diverse forme d azione violenta, si pu osser vare che gli attacchi contro persone (che rappresentano il 33 per cento degli eventi violenti) crebbero nel tempo (fino a divenire qua si la met degli episodi di violenza nel 1973) (Della Porta e Tarrow 1986: 616). Gli stessi dati dimostrano comunque che la violenza si svilupp soprattutto nel corso di incontri violenti tra gruppi con trapposti, che giunsero a rappresentare il 46 per cento degli episo di totali di violenza. Se guardiamo alle dinamiche che portarono alla escalation vio lenta, vediamo che essa deriv dalla radicalizzazione di tattiche gi usate precedentemente e dalle interazioni conflittuali con avversa ri politici e con le autorit. Nel conflitto in fabbrica, a partire gros so modo dal 1973, forme di azione radicali come il blocco delle 74

merci e le occupazioni si erano sviluppate come momento di pres sione (Regini 1981, in particolare: 37 sg.). Testimonianze di futuri militanti dei gruppi armati hanno indicato in irruzioni, picchetti duri, sabotaggi, processi ai capi e occupazione delle case popo lari episodi di socializzazione alla violenza, vista come strumento ef ficace per dimostrare la propria forza negoziale. Enfatizzati nella stampa del movimento, questi episodi divenivano la testimonianza mitica della coscienza di classe. Come ha indicato un ex-militante, ad esempio, venivano decise forme anche violente di picchet taggio, con uno scontro fisico, in relazione appunto al fatto che era il mezzo giusto per raggiungere alcune cose (Storia di vita n. 9: 39). E un altro:
Ricordo per esempio che quei primi scioperi contro la cassa integra zione furono ad un livello altissimo di violenza, per impedire che la gente andasse a lavorare [...] A Torino, sullonda di tutti questi primi comitati au tonomi operai si erano autocostituite squadre di volante rossa [...] erano gruppi di operai, tra laltro molto sindacalizzati, comunque conosciuti, che durante i cortei interni [...] o sfasciavano una sede dei sindacati gialli, o pic chiavano capi-reparti particolarmente detestati. (Storia di vita n. 29: 20)

O ancora: Io facevo il picchetto alla scuola. Agli spacciatori cercavo di spaccargli la testa. Era una cosa pratica, era lunico mez zo per riuscire ad avere le cose (Storia di vita n. 8: 35). Come si gi detto, a questo tipo di violenza si affiancata co munque - divenendo sempre pi dominante - una violenza di tipo espressivo, legata alla escalation dei conflitti rituali con le forze del lordine durante le cos dette espropriazioni proletarie o i cortei ar mati, che culminarono con la morte di due agenti di polizia nel 1977 a Roma e a Milano. Di questo tipo di violenza un militante si ricor da, infatti, in questi termini:
Era un happening [...] Era un sabato cosa facciamo? occupiamo per un week-end il palazzo della curia? ci facciamo un esproprio al supermer cato? quindi, non so, qualche spinello, clima un po orgiastico; questo un fatto di fine 76 forse inizio 77, caratteristico, non so, ci si ritrova al ve nerd sera in un bar del ticinese e invece di dire andiamo a ballare quel gior no decidono, appunto dal bar, che domani si occuper una casa, si far un esproprio al supermercato. (Storia di vita n. 3: 63)

Negli scontri con la polizia, le battaglie si intensificarono attor no alla difesa di un territorio, spesso rappresentato da una casa o 75

da un centro giovanile occupato. In questi casi il conflitto divenne sempre pi ritualizzato: Io - ricorda un militante di sinistra - usci vo la mattina, me ne andavo a fare gli scontri, me ne ritornavo a ca sa a mangiare, ritornavo il pomeriggio fino alla sera e cos via. una specie di Londonderry, cio di battaglie fatte di molotov e sassi per conquistarsi cinque metri di terra (Storia di vita n. 27: 26). Le forme d azione divennero sempre pi brutali soprattutto ne gli scontri fisici tra la sinistra radicale e la destra radicale. La vio lenza degli scontri fra opposte fazioni crebbe in questa fase attra verso un reciproco adeguamento ad armi sempre pi pericolose: dalle pietre e dai bastoni degli anni Sessanta, ai coltelli e alle pisto le degli anni Settanta. Quando gli attivisti di alcuni gruppi della si nistra cominciarono a utilizzare grosse chiavi inglesi - affermando di doversi difendere contro le aggressioni dei neofascisti - questi ul timi cominciarono a portare armi da fuoco - anchessi giustifican dosi con la necessit di reagire alle aggressioni degli altri. Nella per cezione di un radicale di destra, i fascisti alla fine sono obbligati a circolare armati e a dover usare la pistola perch vengono attaccati per essere sprangati (in Pisetta 1990: 201). Luso delle pistole da parte dei fascisti incitava poi laltra parte ad armarsi: Il discorso della contrapposizione fisica con la controparte, quindi con i fasci sti, era comunque - ricorda un attivista della sinistra - un momen to quasi giornaliero, nel senso che, quando si andava a dare volan tini in certe zone della citt, era comunque inevitabile lattrezzarsi in termini militari (Storia di vita n. 13: 29). Leffetto fu un numero crescente di agguati con conseguenze spesso mortali. In particolare nella capitale, la fine degli anni Set tanta insanguinata da una guerra per bande, combattuta da ado lescenti armati di armi proprie e improprie. Parte integrante del londata di pessimismo fondamentalista diffusa, non solo in Italia, nella seconda met degli anni Settanta, i gruppuscoli dellAutonomia adottarono forme d azione violente, proponendosi di resistere allannientamento da parte di una societ totalitaria che esten deva il suo controllo agli ambiti pi privati della esistenza indivi duale. A destra, altri gruppi copiarono i simboli e le tattiche dellAutonomia. Lescalation degli scontri di piazza tra militanti della sinistra e della destra radicale, e tra entrambi e le forze di polizia, esacerb lo scontro. Frange dei nuclei delPAutonomia andarono cos a ingrossare le fila delle organizzazioni clandestine. Nel 1978 il rapimento e luccisione del presidente della De, Aldo Moro, da par 76

te delle B r , acu la crisi dei movimenti della sinistra libertaria, schiacciati nella logica del conflitto sempre pi arm ato tra le fran ge radicali e lo Stato. Alla fine del decennio, le azioni dei gruppi se mi-clandestini si intrecciarono con gli attentati delle organizzazio ni terroriste, interrompendo per un lungo periodo ogni possibilit di protesta non violenta.

4. Marginalit o marginalizzazione? Alcune spiegazioni della violenza politica


stata lescalation violenta una conseguenza inevitabile della protesta? Perch e come giovani socializzati alla politica in una de mocrazia decisero di prendere le armi contro di essa? Perch al lottimismo riformista degli anni Sessanta seguirono gli anni di piombo? Nel corso degli anni Settanta e, soprattutto, nel decennio successivo, varie risposte sono state proposte a queste domande (per una rassegna, Pasquino e Della Porta 1986). Le ipotesi sulle cause della violenza hanno di volta in volta guardato alle caratteri stiche sociali dei gruppi emergenti e alle risposte che essi hanno tro vato nel sistema politico, da parte sia dei loro potenziali alleati che degli avversari.

4.1. La seconda societ I nuovi movimenti collettivi sono stati spesso definiti come m o vimenti dei ceti medi. Cos, il movimento femminista stato consi derato come reazione alle crescente contraddittoriet delle richie ste rivolte alle donne - con forti tensioni soprattutto per le donne pi scolarizzate, collocate in contesti urbani, socialmente avvantag giate. Le emergenti rivendicazioni sul tema dellambiente sono sta te viste come effetto del benessere, possibili solo quando i proble mi materiali di sopravvivenza sono stati superati. La violenza sta ta talvolta spiegata come imitazione del proletariato da parte di in tellettuali che cercano di purificare attraverso lazione radicale i sensi di colpa derivanti dalle loro origini borghesi. Proprio nel corso degli anni Settanta, per, la crisi economica fece anche parlare della crescita di una seconda societ - della so ciet dei non-garantiti, dei disoccupati, degli emarginati. A propo 77

sito dei movimenti urbani, si osservato che lestendersi delle ri vendicazioni dalla fabbrica alla scuola e al territorio, cio dalla pro duzione alla riproduzione, corrispondeva allemergere di nuove tensioni sociali. La crisi economica dellinizio degli anni Settanta si rifletteva in un aumento dei prezzi di alcuni servizi pubblici (dai tra sporti allelettricit). Lurbanizzazione portava contemporanea mente allo sventramento di alcune aree delle grandi citt e alla co struzione dei quartieri a rischio delle periferie urbane. Listru zione di massa aumentava le aspettative diffuse mentre la crescita demografica aggravava i problemi relativi alledilizia abitativa, sco lastica e sanitaria. Per quanto riguarda la violenza politica, essa stata collegata alla fase di depressione del ciclo economico, iniziata con la crisi internazionale del petrolio, e alle sue conseguenze sul mercato del lavoro. A proposito del movimento giovanile degli an ni Settanta stato scritto che:
Se gli studenti avevano impersonato le attese tardive di una utopia basata sul futuro, i giovani degli anni Settanta accettano di misurarsi non solo con il cambiamento di prospettiva, ma con gli esiti pi dirompenti del le nuove strategie sistemiche: focalizzano gli obiettivi sul presente e scel gono di misurarsi col sistema a partire dalla propria marginalit. Testimo ne privilegiato delle contraddizioni che attraversano il tardo-capitalismo, emerge una nuova figura sociale di giovane: proviene da un entroterra so cio-culturale eterogeneo, non ha aspettative di valorizzazione professiona le, perde i caratteri della omogeneit sovranazionale e si adatta ai diversi contesti territoriali. (Lodi e Grazioli 1984: 68-69)

Osservatori interni ai movimenti hanno inoltre sottolineato la maggiore attenzione dei giovani del 77 ai temi del diritto allo stu dio e della selezione rispetto a quelli della riforma dellinsegna mento o della democratizzazione della vita accademica che erano stati prevalenti nella prima ondata di proteste nelluniversit: N on affatto un caso che, rispetto al 68, sia stata questa volta molto pi rilevante la presenza degli studenti tecnico-professionali, dei fuori sede, degli universitari meridionali: ossia dei settori pi disagiati della componente studentesca (Bernocchi et al. 1979: 17). Si pu aggiungere che le organizzazioni pi radicali trovarono una base di reclutamento soprattutto fra i giovani delle aree margi nali delle grandi citt. Uno dei momenti pi estremisti di Lotta con tinua fu, ad esempio, la campagna sui cos detti dannati della ter ra - il marxiano sottoproletariato. La pi massiccia ondata di vio 78

lenza si ebbe quando gruppi autonomi crebbero, reclutando tra i giovani delle periferie delle grandi citt, in controculture caratte rizzate da una sostanziale sfiducia verso la politica, istituzionale e non, e da unattrazione verso la violenza, come espressione di una insoddisfazione esistenziale. Non fu un caso se i gruppi che adotta rono le formule organizzative pi militanti furono normalmente quelli impegnati nei settori pi marginali della societ. Nonostante il tema della violenza producesse crisi e divisioni nelle organizza zioni dei movimenti della sinistra libertaria, per le formazioni pi radicali la violenza stessa si dimostr in certi casi come una risorsa di aggregazione. Nel clima pessimistico prodotto dalla crisi econo mica della met degli anni Settanta, lenfasi sulla militanza era, cio, uno strumento per aggregare aree costitutive piuttosto volati li ai margini delle grandi metropoli. Come dimostra la storia dellAutonomia, comunque, lincontro tra attivisti politici radicali e giovani emarginati non produsse pi che brevi esplosioni di violen za: le preferenze dei due gruppi si dimostrarono infatti troppo contrastanti perch si potesse creare una stabile alleanza. Se picco li gruppi di autonomi sono sopravvissuti negli anni Ottanta ai mar gini dei movimenti di protesta, essi sono stati per soggetti a conti nue crisi e fratture tra gli attivisti che si proponevano obiettivi di trasformazione della societ e una base pi interessata ai rituali con flitti con la polizia che alla politica. Nel dibattito degli anni Settanta, le caratteristiche sociali del mo vimento giovanile sono state utilizzate per spiegare il suo radicali smo. Le domande avanzate dai giovani vennero cos considerate co me rivendicazioni non negoziabili di gruppi esclusi dal benessere economico. Giovani marginali, definiti talvolta come piccolo-bor ghesi, talaltra come sottoproletari, sono stati considerati come por tatori di interessi antagonisti rispetto alla prima societ e come do tati, di conseguenza, di unalta propensione alla devianza. In realt, nel corso del decennio successivo, molte delle richieste del movi mento del 77 vennero nei fatti accolte e i circoli giovanili - nono stante la precedente radicalizzazione - vennero riconosciuti come associazioni con funzioni di integrazione e spesso di surrogato ri spetto alle carenze dello stato sociale, fino al punto da ricevere, in alcuni casi, finanziamenti pubblici. Pi che dalla marginalit socia le la violenza sembr infatti emergere - come cercher di dire me glio in quanto segue - dalla sottorappresentazione politica. Se le ri chieste presentate nel corso della protesta erano varie, e se venne 79

ro elaborate in forma non-negoziabile, ci non avvenne perch es se non erano integrabili nel sistema - e infatti esse vennero integra te negli anni Ottanta. Piuttosto, le domande emergenti faticarono a trovare portavoce in grado di tradurle nel sistema politico perch esse erano in parte esterne alla tradizionale definizione del politico. Come ha osservato Luigi Manconi (1990: 115-16): U na volta in terdetta la possibilit di parlare un linguaggio comune, il movi mento viene ricacciato in una condizione pre-sociale e pre-politica: e non certo perch privo dei requisiti propri dei movimenti sociali e politici ma perch - piuttosto - la controparte, negando lidentit sociale e politica di un aspirante attore del sistema, intende cancel larne la stessa esistenza. Nella delicata fase di costruzione di una nuova identit collettiva, la presenza di un ambiente politico radicalizzato si infatti riflessa nella difficile scelta tra lisolamento con troculturale e lazione violenta: debolezza sociale della nuova iden tit giovanile e forte radicalizzazione politica si sono combinate in una miscela esplosiva nel 77 (Beccalli 1981: 66). La stessa radica lizzazione della scena politica avrebbe inciso anche sul movimento delle donne, allontanandolo sempre pi dai luoghi delle decisioni istituzionali, mentre il movimento urbano entrava in una fase di ri flusso.

4.2. Isolamento e radicalizzazione La diversit degli attori emergenti rispetto ai connotati clas sici del movimento operaio port a un rapporto sempre pi diffici le tra i movimenti collettivi e i loro potenziali alleati nella vecchia sinistra. Le incomprensioni crebbero insieme al rifiuto da parte dei movimenti dei princpi della eguaglianza e della prevalenza del con flitto nelle fabbriche, e alla radicalizzazione delle forme d azione che fu in parte proprio un modo di differenziarsi dalla sinistra tra dizionale. Ma esse esplosero soprattutto a seguito della svolta stra tegica del Pei, alla ricerca di una legittimazione istituzionale. Durante levoluzione del movimento studentesco - seppure con qualche conflitto interno - il Pei aveva sostenuto la protesta. Fino ai primi anni Settanta, la repressione era percepita come diretta in generale contro la sinistra, cos che la vecchia sinistra e i sindacati si affiancavano ai movimenti sociali nel denunciare la brutalit poliziesca e le aggressioni dei gruppi neofascisti. Negli anni della 80

violenza terrorista il rapporto tra Pei e movimenti della sinistra li bertaria peggior notevolmente. Dopo la sostituzione della politica di unit delle sinistre contro i governi di centro-destra con la pro posta di un comprom esso le forze popolari cattoliche e quelle co muniste, lavanzata comunista alle amministrative del 1975, confer mata alle politiche dellanno successivo, ebbe paradossalmente un effetto disgregante sui movimenti - delusi anche dallo scarso se guito elettorale dei partiti della Nuova sinistra, che avevano spera to di raccogliere un paio di milioni di voti e si erano dovuti accon tentare dell 1,5 per cento dei suffragi, mentre scompariva il Partito socialista di unit proletaria (P siup), anchesso alleato del movi mento nella sua fase emergente. Svanita la speranza di un sorpas so elettorale che potesse aprire la strada a unalternativa di sini stra, la nuova legislatura aveva visto nellagosto 1976 la non-sfiducia di Pei e Psi al governo monocolore De e, quindi, il voto di fi ducia del Pei al nuovo governo presieduto da Giulio Andreotti, nel marzo del 1978. Vicino al governo, il Pei aveva esitato a mantenere una funzione di referente di interessi collettivi emergenti, senza che fossero visibili risultati soddisfacenti a livello di riforme. A partire dal 1973, la proposta del Pei di un compromesso storico - cio di una cooperazione tra le masse cattoliche e quelle comuniste e, nel 1978 e 1979, il suo sostegno dallesterno a governi guidati dalla D e ridusse probabilmente linfluenza delle forze pi conser vatrici dentro le istituzioni. Nella sua ricerca di una legittimazione, comunque, il Pei rinunci alla sua posizione di difensore dei dirit ti dei cittadini, e la scelta di repressione dura delle ali pi estre me trov poche voci critiche. Nonostante la maggiore presenza di attivisti con precedenti esperienze nei movimenti (Lange, Irvin e Tarrow 1990), il sostegno esterno del Pei ai governi di unit nazio nale, tra il 1978 e il 1979, comport un atteggiamento difensivo con poche aperture nei confronti degli attori emergenti, anche nelle or ganizzazioni di base del partito (Hellman 1987; Beckwith 1985) e nei governi locali con maggioranze di sinistra (Seidelman 1984). Le trasformazioni nella posizione del Pei alla met degli anni Settanta sono visibili, ad esempio, a proposito dei movimenti urba ni. Il Pei aveva sostenuto, tra la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Settanta, sia le lotte sulla casa che quelle per un nuovo governo della citt. Da queste azioni emersero le prime esperienze di decentramento amministrativo urbano, che poi si istituzionaliz zarono nel corso degli anni Settanta (Dente, Pagano e Regonini 81

1978). Quando la legge 278/76 fiss le norme per la partecipazio ne popolare nellamministrazione locale, con lelezione di corpi de centralizzati per le municipalit con pi di 30 mila abitanti, consi gli di quartiere esistevano gi in molti comuni rossi. Nella secon da met degli anni Settanta, per, il Pei, al governo in molte gran di citt, fu piuttosto timido nellapplicazione della riforma. Come ricorda una ricerca sul caso fiorentino, il Pei aveva appoggiato, su bito dopo lalluvione, i comitati di quartiere sorti su richieste quali asili alternativi, controllo popolare sui piani di urbanizzazione e lot ta alla speculazione. Il programma elettorale con cui il Pei venne eletto nel 1975 al governo della citt riprendeva queste domande di decentramento amministrativo. Quando per, nel 1976, con il Pei al governo della citt, nascono i consigli,
la dirigenza del Pei sembra impegnata in un gioco di cautela, facendo po co per incoraggiare il tipo di indipendenza che un prerequisito per il tipo di auto-organizzazione della societ civile che era stata proposta dal la strategia stessa del partito. Anche se gli estesi legami tra una porzione so stanziale dei nuovi consiglieri del Pei e la tradizione politica aggressiva dei quartieri fiorentini indicano che il ruolo di mediazione cercato dai lea der in contrasto con lesperienza degli stessi attivisti di base comunisti. (Seidelman 1981: 447)

Anche in altre campagne, come ad esempio quella contro il nu cleare, il Pei abbracci in questi anni posizioni opposte rispetto al le domande del movimento - al punto che mentre in comuni gui dati da amministrazioni vicine alla maggioranza si opponevano alla localizzazione di centrali nucleari sul loro territorio, quelli control lati dal Pei, a Caorso e a Trino, furono i pi decisi sostenitori delle centrali nucleari (Diani 1994: 216). Accanto a quello che veniva percepito come un tradimento da parte del partito pi influente della vecchia sinistra, vi fu il pro gressivo allontanamento dei movimenti della sinistra libertaria dal lala protettrice del sindacato. Allinizio degli anni Settanta i sinda cati parteciparono a molte mobilitazioni insieme agli attivisti dei movimenti della sinistra libertaria. Per fare un solo esempio, le pro teste sul tema dellassetto urbano erano state stimolate dalle confe derazioni sindacali. Gi nel 1970 i sindacati avevano iniziato una politica di riforme su sistema fiscale, sanit e casa. Su questultimo tema vi erano rivendicazioni quali il controllo degli affitti, il bloc co di tre anni degli affitti, il miglioramento delle condizioni delle 82

dilizia pubblica e un ampliamento dellutilizzazione dellesproprio. Sensibili alle nuove richieste, i sindacati vararono i consigli di zona, federazioni dei consigli di fabbrica operanti in alcune zone. A par tire dal 1973-74, comunque, i sindacati divennero sempre pi ti morosi rispetto alle iniziative di base e sempre pi critici sulle forme di azione radicale propagandate da alcune organizzazioni della Nuova sinistra. Questa svolta stata spesso interpretata come una conseguenza della istituzionalizzazione dei sindacati. Si det to che la crisi economica degli anni Settanta ha spinto il sindacato a rinchiudersi a riccio nella difesa della sua base principale di rife rimento. Due caratteristiche del sindacalismo italiano di questi an ni - sottolineate nella letteratura sociologica pi recente - potreb bero avere reso inoltre difficili i rapporti tra i sindacati e movimen ti che aspiravano a una sempre maggiore autonomia: il forte ope raismo, che rendeva difficile la comprensione di interessi esterni al le fabbriche, e il ruolo di supplenza politica, che faceva guardare con sospetto alla nascita di nuovi attori collettivi. Come ha osser vato Aris Accornero (1992), fino agli anni Ottanta loperaismo sin dacale ha creato lillusione della rappresentanza universale. Il rifiu to dellidea che gli interessi della classe operaia (identificata con loperaio-massa) potessero contrapporsi non solo a quelli dei ca pitalisti, ma anche ad altri interessi non antagonistici port al ri schio che linteresse di parte venisse scambiato per linteresse ge nerale. Questo fu lo scotto che C g il , C isl e U il pagarono allambi valenza fra interesse di classe e interesse del paese, dovuta alla con cezione che il sindacato di classe aveva della classe operaia come classe generale (Accornero 1992: 73). Dal punto di vista strategi co, lidentificazione dellinteresse collettivo con linteresse della ba se operaia - il cos detto modello proletario - port al rifiuto di formule organizzative e forme d azione esterne alle fabbriche. Si pu aggiungere che gli anni Settanta hanno rappresentato un decennio di egemonia politica del sindacato. Ancora secondo Ac cornero (1992: 56), una peculiarit del caso italiano fu il fatto che i sindacati gestirono londata di proteste e di lotte, iniziata con lautunno caldo , come un movimento politico pi che sociale. [...] i movimenti sociali sembravano aver bisogno di una legittima zione e di una leadership di tipo politico, che in Italia vennero ap punto dai sindacati, i quali a loro volta ne trassero impulso. Le piattaforme contrattuali cominciarono a contenere liste di richieste di riforme sociali, mentre gli scioperi politici divenivano un fre 83

quente mezzo di pressione. Con unazione surrogatoria rispetto al sistema politico, e soprattutto rispetto ai partiti della sinistra16, i sin dacati intervennero su - e vertenzializzarono - temi quali casa, fi sco, sanit, disarmo della polizia in materia di ordine pubblico, in vestimenti per lo sviluppo industriale. Le vertenze accrescevano le possibilit di manovra politica del sindacato, richiedendo un au mento della sua capacit politica di manovra, ma ci si scontrava con una scarsa attitudine alla mediazione e al compromesso. Se in questa funzione di supplenza i sindacati erano propensi ad amplia re la loro pressione su temi sempre nuovi, il loro ruolo politico li portava comunque a cercare un monopolio della rappresentanza degli interessi antagonisti rispetto a quelli del capitale. Essi era no invece scettici rispetto a movimenti che non solo nascevano al di fuori della fabbrica, ma non erano nemmeno disposti a subor dinarsi allinteresse della classe operaia e dei suoi legittimi rap presentanti.

4.3. Repressione e radicalizzazione La radicalizzazione dei movimenti della sinistra libertaria inte rag con una strategia istituzionale di repressione dura delle loro frange pi estreme, mentre crisi economica e instabilit governati va impedivano lattuazione di riforme a lungo discusse. Il ciclo di protesta accentu, infatti, le divisioni nella maggioranza, aprendo la strada a una lunga fase di rinegoziazione dei rapporti di forza tra i partiti. Gli anni Sessanta si erano chiusi con la crisi della formula del centro-sinistra, che aveva assicurato una certa stabilit, testi moniata dai tre successivi governi guidati da Aldo Moro. Gli anni Settanta si aprirono con un monocolore De, guidato da Mariano Rumor, seguito, nel corso del decennio, da ben tredici gabinetti (contro i dieci del decennio precedente, che pure aveva visto un av vio piuttosto turbolento). Le coalizioni di governo furono inoltre le pi varie, allinterno di una maggioranza centrista: dal centro-destra del secondo governo Andreotti nel 1972, al centro-sinistra m onco, con appoggio esterno del Pei, del quinto governo An16 Come ha osservato Accornero: Se in quella strategia vi era del riformismo massimalista, ci era dovuto anche al fatto che lassenza di un forte partito prolabour al governo esaltava i compiti della rappresentanza sindacale (1992: 68).

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dreotti, nel 1978, passando attraverso altre formule che vedevano, via via, lappoggio, lastensione o lopposizione delluno o dellaltro dei piccoli partiti laici o del Psi. A dimostrare la rissosit del de cennio, si possono citare anche le chiusure anticipate della legisla tura: nel maggio 1972, ci furono infatti le prime elezioni anticipate della storia della repubblica e prima della normale scadenza si chiu sero anche le successive due legislature, con elezioni anticipate nel giugno del 1976 e nel giugno del 1979. Si trasformarono nel frattempo anche i rapporti di forza tra go verno e opposizione. Nel 1972 il centro aveva ottenuto complessi vamente oltre il 50 per cento dei suffragi, mentre la sinistra si era attestata attorno al 40, e si era rafforzata la destra. Nel 1974, co munque, i risultati del referendum promosso da forze cattoliche contro la nuova legge che permetteva il divorzio - 59,1 per cento contro labrogazione della legge - avevano indebolito la De. Nel 1976, inoltre, il Pei aveva confermato la notevole ascesa registrata nelle amministrative dellanno precedente, raggiungendo il 34,5 per cento dei suffragi e portando la sinistra al 46,7, contro il 44,6 del centro. Questi mutamenti vennero poi confermati nelle elezio ni del 1979, che videro un risultato stazionario, inferiore al 50 per cento, per i partiti centristi, e una sinistra anchessa stabile con il 46 per cento delle preferenze. La instabilit che ne segui non favor le riforme. Allinizio del decennio, completarono il loro iter parlamentare alcuni dei disegni di legge avviati dal centro sinistra nella fase di maggiori speranze di mutamento. Molti di questi progetti, comunque, si arenarono di fronte alla crisi economica e politica17. Nel 1976 alcuni sperarono che il governo presieduto da Giulio Andreotti - detto della non sfiducia, perch si basava sulla non-opposizione di Psi e Pei - po tesse riaprire la strada delle riforme. In particolare, il P o , che nel 1978 vot la fiducia ad un nuovo governo Andreotti, si impegn per fare passare alcune leggi (tra le pi importanti quelle su edificabi lit dei suoli, equo canone, edilizia residenziale, malattia mentale, istituzione del sistema sanitario nazionale e interruzione volontaria della gravidanza). Per quanto riguarda la politica industriale, la vec
1 7 Poche furono le eccezioni; tra le pi significative, nel 1975 una riforma del diritto di famiglia che sostitu le norme risalenti al codice penale del 1930 e al co dice civile del 1942, stabilendo il principio della parit tra i coniugi, e introdu cendo principi di difesa dei figli, sia quelli nati dentro il matrimonio che quelli nati da genitori non sposati.

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chia sinistra si apr a una strategia neocorporativa, e la C g il di chiar infatti nel 1978, per bocca del suo segretario Luciano Lama, la sua disponibilit a un patto tra le forze produttive, basato sulla limitazione degli aumenti salariali in cambio di unazione di inve stimenti per ridurre la disoccupazione. La nuova linea venne, in fatti, nello stesso anno approvata dal congresso nazionale del mag giore sindacato con la cos detta svolta dellEuR. Si potrebbe dun que concludere che gli anni Settanta abbiano posto le basi per una modernizzazione del paese, istituendo uno stato sociale e relazioni industriali avanzate. Numerose difficolt emersero comunque nel la fase di attuazione di queste leggi che, derivando da sfibranti com promessi tra i partiti politici, erano state formulate in maniera spes so ambigua. Come ha osservato Paul Ginsborg (1989: 531), infatti: M olte leggi rappresentarono dei seri tentativi di attuare riforme correttive ma parecchie finirono largamente disattese e qualcuna ignorata completamente. La pi importante di tutte le riforme, quella dello Stato, sia nei suoi meccanismi interni che per il suo ruo lo dentro la societ, non fu mai seriamente avviata. Non a caso, nel 1979 il Pei abbandoner il compromesso storico per la alterna tiva democratica, ritornando allopposizione. Nonostante gli anni Settanta abbiano visto anche il varo legisla tivo di alcune riforme, la risposta pi immediatamente visibile del lo Stato alla protesta fu quella in termini di ordine pubblico. In que sto periodo lo Stato reag alla radicalizzazione dei movimenti della sinistra libertaria con un uso della forza che, in molte occasioni, ri port alla tradizione degli anni Cinquanta. Le tattiche della polizia per controllare la protesta continuavano a mescolare elementi pi tolleranti - che infatti produssero un complesso sistema di nego ziato tra polizia e dimostranti - con una crescente durezza. Sebbe ne la polizia non facesse pi ricorso alle armi da fuoco, le tecniche di intervento alle manifestazioni non erano spesso in grado di evi tare escalazioni, specialmente quando grosse unit di polizia cari cavano i dimostranti con le jeep e i candelotti lacrimogeni, sparati talvolta ad altezza d uomo (Canosa 1976: 274-85). La lista dei di mostranti uccisi durante queste cariche si allung nel corso del de cennio. Fra il 1970 e il 1975 sette tra dimostranti e passanti perse ro la vita nel corso degli interventi delle forze dellordine a seguito di ferite da manganello, investiti dai gipponi o colpiti da candelot ti lacrimogeni (Canosa 1976: 274-85). A seguito di questa escalation, le relazioni tra dimostranti e po 86

lizia continuarono a peggiorare. Mentre gli scontri con i neofascisti producevano, come abbiamo visto, una radicalizzazione dei con flitti politici, le voci diffuse di una complicit tra membri delle for ze di polizia ed estremisti neri ridussero la fiducia della opinione pubblica di sinistra nella neutralit dello Stato. Le accuse ai servizi segreti per la protezione accordata alla destra radicale furono par ticolarmente frequenti nel periodo dello stragism o - cio della strategia dei massacri perpetrati dal terrorismo di destra. Fra il 1969 e il 1974, come tristemente noto, persero la vita in attentati dina mitardi diciassette persone il 12 dicembre 1969 a Milano; sei per sone nel luglio del 1970 su un treno in Calabria; otto persone du rante un comizio sindacale a Brescia nel 1974; dodici persone sul treno Italicus, ancora nel 1974. In queste occasioni, la repressione del terrorismo nero fu cos inefficace che mandanti ed esecutori di quelle stragi sono ancora sconosciuti18. Lintervento istituzionale sullordine pubblico divenne noto, non solo nei circoli dellestrema sinistra, come strategia della tensione, cio una manipolazione, da parte di alcune forze al governo, dei gruppi politici radicali, in modo da creare disordine e indurre quindi lopinione pubblica ver so soluzioni autoritarie. La strategia di controllo della protesta mut comunque, ancora una volta, alla met degli anni Settanta, quando essa fu caratteriz zata da una repressione dura, orientata pi selettivamente verso le frange violente dei movimenti. Con il declino della mobilitazione, le tattiche pi sporche vennero parzialmente abbandonate - an che se la partecipazione di molti dirigenti dei servizi segreti alla log gia massonica deviata Propaganda 2 e una serie di episodi mai chiariti nei giorni del rapimento del presidente della De Aldo M o ro (Flamigni 1988) indicano che la strategia della tensione non ave va perso tutti i suoi sostenitori. La destra radicale vide, comunque, svanire molte protezioni istituzionali: per alcuni anni, essa cadde in una crisi organizzativa da cui emerse solo dopo il 1977 con una stra tegia di attacco contro lo Stato e di quotidiani scontri con i mili tanti dellestrema sinistra. Anche nella seconda met degli anni Settanta, sebbene linter vento della polizia alle manifestazioni fosse divenuto pi selettivo,

18 Sul radicalismo di destra in questa fase cfr. Ferraresi 1984:57-72. Sulla se conda met degli anni Settanta, cfr. Revelli 1984.

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esso non fu comunque in grado di invertire lescalation. Avendo a che fare con militanti armati di pistole P38, anche le forze di poli zia - in alcuni casi, agenti in borghese - fecero talvolta uso di armi da fuoco. Inoltre, come in passato, le forze dellordine venivano uti lizzate in forma massiccia, cercando di compensare con il numero le insufficienze dellarmamento e della formazione professionale. Per scoraggiare i frequenti divieti di manifestazione, reparti di po lizia ed esercito vennero in alcuni casi dislocati in unoccupazione di intere citt. Il risultato fu una lunga fila di morti durante azioni di protesta: dal militante di Lotta continua, Francesco Lo Russo, ucciso nel corso di una carica dei carabinieri a Bologna nel marzo 1977, alla giovane radicale Giorgiana Masi che, poche settimane dopo, perse la vita durante scontri con le forze dellordine a Roma. Politiche di ordine pubblico dure ma inefficaci riflessero le scel te di una lite politica debole e divisa al proprio interno. Allinizio degli anni Settanta, la crisi del centro-sinistra apr la strada a una svolta conservatrice e alla strategia della tensione, rafforzando le posizioni pi ostili ai movimenti. Nella sinistra, non solo estrema, si ebbe limpressione che chi deteneva il potere fosse disposto an che a venir meno alle regole democratiche pur di non cederne nean che una parte. Di fronte a una destra violenta e a una Nuova sini stra radicale, le forze politiche pi conservatrici domandarono un politica di legge e ordine che potesse contenere gli opposti estre mismi. La nuova coalizione di centro-destra pot cos utilizzare il terrorismo e una ondata di criminalit diffusa per giustificare dure misure in termini di ordine pubblico (Pasquino 1990). Nella se conda met del decennio, istituzioni in crisi e governi deboli non riuscirono a riguadagnare legittimazione fra gli attivisti dei movi menti. La spirale di violenza, favorita dalla degenerazione dei ser vizi d ordine dei gruppi dellestrema sinistra, si avvit ancora quan do si cominciarono a sentire gli effetti di una crisi economica a cui le autorit non avevano saputo rispondere. Nonostante la strategia della tensione fosse stata abbandonata, leggi di emergenza vennero varate contro il terrorismo (Della Porta 1990). Nonostante i gover ni di unit nazionale rappresentassero un segno di secolarizzazione del sistema politico, per gli attivisti dei movimenti sociali la legisla zione contro il terrorismo cos come la morte di alcuni dimostranti rievocarono limmagine di uno Stato autoritario. Di conseguenza, gli anni tra il 1977 e il 1979 cominciarono a essere conosciuti come anni di piombo, grigi e pesanti. 88

In sintesi, per quanto riguarda gli effetti del sistema politico sul la protesta, si osservato che una chiusura alle domande emergen ti ha favorito lallontanamento dei movimenti sociali dalla politica o la loro radicalizzazione. Una spiegazione della violenza degli an ni Settanta ha infatti menzionato il blocco del sistema politico, in teso talvolta come mancata attuazione delle riforme e talaltra come assenza di alternanza o assenza di opposizione. Per quanto riguar da i movimenti, la repressione ha ritardato lo sviluppo di quelli che sarebbero poi divenuti nuovi attori del sistema di rappresentanza degli interessi.

Riassumendo, alla fase di emergenza, alla fine degli anni Ses santa, segu in Italia una fase contemporaneamente di riflusso e ra dicalizzazione. Le risorse organizzative per i movimenti della sini stra libertaria, che seguirono al movimento studentesco, vennero soprattutto dal lungo processo di strutturazione e decomposizione della Nuova sinistra. Allestremo decentramento di alcune compo nenti dei movimenti si accompagn la burocratizzazione delle or ganizzazioni maggiori della Nuova sinistra e la implosione nella clandestinit delle formazioni pi radicali. Una struttura organizj' zativa tendenzialmente totalizzante ed esclusiva venne quindi de clinata in due modelli: centralizzato, formale ed elitario il primo, informale, decentrato e partecipativo il secondo. In un ciclo cultu rale caratterizzato da pessimismo, lideologia dei movimenti della sinistra libertaria assunse i toni di un profondo fondamentalismo. Mentre cominciavano a elaborare tematiche nuove - dalla diffe renza alla liberazione - i movimenti affrontavano anche il nodo dif ficile della violenza. Nella seconda met degli anni Settanta la com ponente pi visibile della sinistra libertaria si caratterizz per una profonda sfiducia nei confronti dello Stato, visto come strumento di una parte contro laltra. Nella componente meno visibile, questa sfiducia si estese alla politica, spingendo spesso a preferire lazione controculturale. Il ciclo di protesta appena concluso port a un am pliamento del repertorio della protesta, con la diffusione di alcune forme d azione, in primo luogo lo sciopero e le occupazioni, e le mergere di tattiche nuove, come la disobbedienza civile. Una ca ratteristica del caso italiano comunque una fortissima radicalizza zione delle forme d azione, fomentata dalle battaglie di piazza tra lestrema destra e lestrema sinistra e dalla ritualizzazione degli 89

scontri tra manifestanti e forze dellordine. Nonostante un ciclo di riforme fosse seguito al ciclo di protesta, limmagine pi immedia tamente visibile dello Stato fu quella della repressione di movimen ti sempre pi violenti. Compromesso storico e governi di unit na zionale raffreddarono le simpatie della vecchia sinistra verso i nuovi attori emergenti, che restarono cos - o almeno si sentirono sempre pi isolati.

IV UN DECENNIO PRAGMATICO? I MOVIMENTI COLLETTIVI NEGLI ANNI OTTANTA

Gli anni Ottanta sono rimasti impressi, nellimmaginario collet tivo, come anni di calma, dopo le turbolenze del decennio prece dente. Nonostante la recessione economica si fosse prolungata fino al 1983, a partire dallanno successivo una congiuntura internazio nale favorevole ebbe riflessi anche in Italia, portando a un aumento degli investimenti e a una riduzione dei tassi di inflazione, e facendo parlare di un secondo miracolo economico. Anche se il deficit pub blico continu a crescere, fino a superare nel 1989 il valore del pro dotto interno lordo, una domanda interna in crescita e il blocco par ziale della scala mobile, confermato da un referendum nel 1985, sti molarono le iniziative imprenditoriali. Dopo gli ultimi colpi di coda - con ancora 31 morti tra il 1981 e il 1982 - le residue organizzazio ni del terrorismo rosso vennero smantellate dagli arresti, mentre an che le bande del terrorismo neofascista subivano la stessa sorte. Il clima pragmatico che ne segu si riflesse anche sui movimenti: il processo di radicalizzazione descritto nel capitolo precedente si in vert, infatti, negli anni Ottanta. Nonostante gli ultimi colpi di coda delle organizzazioni terroristiche, lescalation violenta delle forme dazione si interruppe a partire dal 1981, in occasione della campa gna di protesta, culminata nel 1983, contro linstallazione da parte della N ato dei missili a testata nucleare Cruise e Pershing II. Fino allinizio degli anni Ottanta il tema della pace aveva mobilitato solo alcuni gruppi religiosi e militanti del Partito radicale, i quali aveva no combinato azioni di sensibilizzazione con strategie di pressione pi convenzionale. Terreno di intervento privilegiato per le organiz zazioni tradizionalmente impegnate sul tema della pace, la campa gna contro linstallazione dei missili coinvolse numerose formazioni politiche o di movimento preesistenti. In coincidenza con londata 91

di mobilitazione per la pace a livello europeo, per la prima volta do po molti anni, la Nuova sinistra, la vecchia sinistra e i nuovi movi menti sociali cooperarono insieme in una campagna di protesta. D o po la fase di bassa mobilitazione negli anni precedenti, lazione col lettiva assunse caratteristiche completamente differenti: limpatto della ideologia socialista si ridusse insieme a quello della Nuova si nistra e si affermarono molte delle caratteristiche organizzative e cul turali spesso descritte come peculiari dei nuovi movimenti sociali, mentre cresceva un movimento ecologista caratterizzato da un orientamento pragmatico alla politica. Insieme agli ecologisti e ai pa cifisti, attivisti del movimento femminista e del movimento degli stu denti si sono mobilitati in comuni azioni di protesta, quali la cam pagna di denuncia e sensibilizzazione contro la mafia e le sue pro tezioni politiche e contro lintervento italiano nella guerra del Golfo. In quello che segue, osserveremo le trasformazioni che gli anni Ottanta portarono nella struttura organizzativa, negli schemi ideo logici e nelle forme d azione dei movimenti della sinistra libertaria, per poi cercare di spiegare questa evoluzione alla luce soprattutto dei mutamenti nella struttura delle opportunit politiche.

1. Organizzazione: tra gruppi di base e associazionismo


Levidenza drammatica degli errori del decennio precedente spinse i movimenti collettivi degli anni Ottanta a un processo di profonda autocritica e al tentativo di superare i limiti sia dellassemblearismo che della burocratizzazione. Le sperimentazioni or ganizzative si orienteranno in due direzioni: da un lato, nella proli ferazione dei gruppi di base, autonomi luno dallaltro, e coordinati nei momenti di mobilitazione da apposite organizzazioni-ombrello; dallaltro, nella creazione di vere e proprie associazioni, dotate di statuti e regolamenti. Nel movimento per la pace troviamo una prima illustrazione di una struttura organizzativa capace di espandersi durante le campa gne di mobilitazione, sopravvivendo poi, seppure in maniera meno visibile, nei momenti di riflusso delle azioni di protesta. Allinizio de gli anni Ottanta, la protesta contro linstallazione dei missili a testa ta nucleare assunse una struttura decentrata, composta da unit au tonome attive a livello locale: oltre 600 comitati per la pace vennero 92

infatti costituiti in quartieri, fabbriche, scuole. Essi erano dotati di una struttura informale, con una partecipazione inclusiva. In occa sione di alcune iniziative - convegni, marce, sit-in, campi - questi co mitati si coordinavano, come vedremo, allinterno di appositi orga nismi. Una delle tematiche organizzative centrali del movimento per la pace stato il rifiuto della delega, attraverso laspirazione a una re sponsabilizzazione individuale. G i alla prima assemblea nazionale dei comitati, nel novembre 1981, i partecipanti rifiutarono infatti il ruolo di delegati presentandosi come individui impegnati in pri ma persona che interpretavano la loro funzione come elementi di collegamento fra il centro e la base, ma non ritenevano di poter prendere decisioni vincolanti per chi non partecipava direttamente agli incontri (Lodi 1991:206). Sottolineando la responsabilizzazio ne individuale di persone provenienti da tutte le parti politiche, ideali, religiose, un documento diffuso nel 1982 affermava ad esem pio che: L a presenza non deve essere per rappresentanze e delega zioni, ma sempre un fatto di persone s ideologicamente collocate, ma sempre disponibili ad una modificazione personale e politica. Non dei delegati, ma dei cervelli in funzione (documento dei par tecipanti al campo di Comiso, in Battistelli et al. 1990: 161-62). La ricerca della responsabilizzazione individuale era sottolinea ta in modo particolare allinterno di unaltra unit organizzativa di base, che si era affiancata ai comitati per la pace: i gruppi di affinit, definiti come unit di base per il funzionamento della democrazia diretta e per il processo della formazione delle decisioni (in Batti stelli et al. 1990: 169). Oltre che per evitare infiltrazioni di provoca tori, i gruppi di affinit erano espressamente pensati come un rime dio ai problemi di concentrazione di potere nella leadership, che avevano caratterizzato i movimenti dei decenni precedenti. Costi tuiti da una dozzina di persone, i gruppi di affinit eleggevano dei portavoce (scelti a rotazione), che poi formavano il consiglio dei por tavoce. Lassemblea aveva funzioni solo consuntive, mentre si teo rizzavano meccanismi decisionali basati sul consenso - cio orienta ti alla formazione di una volont collettiva o a risolvere le contrad dizioni col metodo del convincimento e dellaccettazione positiva di una parte delle posizioni dellaltro (in Battistelli et al. 1990: 194). Il principio della responsabilizzazione individuale si accompagnava al lenfasi sullautonomia di ciascun gruppo. Nel 1984 la segreteria or ganizzativa dei comitati per la pace propose di creare un modello 93

di coordinamento nazionale di tipo federativo. In sostanza una gran de autonomia di ogni singolo comitato ad assumere iniziative o an che analisi proprie in presenza di un momento di coordinamento cui si partecipa condividendo una piattaforma politica e che ha al cune strutture centrali che organizzano e gestiscono le campagne decise (in Battistelli et al. 1990: 194). La sperimentazione organizzativa non sar comunque facile, ri proponendo il problema del rapporto tra efficienza e democrazia, con una perenne tensione tra chi privilegiava la prima e chi la se conda. Uno dei primi conflitti organizzativi riguard, infatti, le for me di partecipazione nei comitati per la pace. Mentre i gruppi pi istituzionalizzati volevano lasciare aperta la possibilit che intere or ganizzazioni confluissero nei comitati, i gruppi spontanei sostene vano la necessit di una adesione individuale, che doveva servire a responsabilizzare i partecipanti oltre che a evitare la creazione di comitati che funzionassero come semplice sommatoria di gruppi. Come stato osservato: Il primo approccio tendeva ad ignorare i bisogni emergenti e la natura eterogenea dei comitati, insistendo in vece su soluzioni burocratiche dei problemi organizzativi; il secon do, invece, prendeva una posizione fortemente dogmatica su rap presentazione individuale e principi di unanimit che, a volte, ostacolarono decisioni cruciali su temi specifici (Lodi 1991: 217). E infatti, nelle prime due assemblee di coordinamento nessuna ri soluzione venne votata, proprio per il rifiuto dei partecipanti di considerarsi delegati. L a rinuncia al principio della delega port inoltre al fallimento di diversi tentativi di coordinamento. Il primo di essi fu il Comitato 24 ottobre, costituito da esponenti di D p , P dup, F gci, Lega per il di sarmo unilaterale, e A rci, riunitisi il 27 giugno 1981 presso la sede della rivista cristiana Com-Tempi Nuovi, con lobiettivo di orga nizzare una manifestazione nazionale contro linstallazione dei mis sili a testata nucleare in quella che IO nu aveva dichiarato come gior nata del disarmo. Nel gennaio del 1983, lassemblea nazionale dei comitati sostitu il Comitato 24 ottobre - sin dalla sua creazione ac cusato di funzionare come un intergruppi - con il Coordinamen to nazionale dei comitati per la pace, dotato di poteri limitati (come la convocazione di manifestazioni nazionali). Ma, a parte la promo zione di un referendum autogestito sullinstallazione dei missili di teatro sul territorio italiano, il Coordinamento rest nei fatti inatti vo. Nel 1985 la terza assemblea nazionale propose ladozione di 94

strutture centrali di semplice collegamento, articolate in gruppi di interesse, tematici e di affinit. Nel 1987 la prima convenzione per la pace, convocata a Catanzaro da una cinquantina di organizzazio ni di base, si concluse con la decisione di sopprimere lo stesso Coor dinamento per la pace. La struttura decentrata dei comitati presentava un ulteriore pr- , blema. Nellevoluzione organizzativa del movimento per la pace la spontaneit dei gruppi di base diede spesso, nei fatti, potere a par titi e gruppi organizzati - non ultimi il Pei e i gruppuscoli supersti ti dellAutonomia. La leadership formalizzata e accentrata di partiti politici, sindacati, precedenti organizzazioni di movimento, associa zioni cattoliche ebbe, in alcuni momenti, buon gioco su quella infor male e diffusa che caratterizzava i nonviolenti, gli ecologisti, le don ne e i gruppi del rinnovamento cattolico. La disponibilit di risorse materiali si dimostr come uno dei principali strumenti di controllo degli attori istituzionalizzati sulle attivit del movimento. Se la d op pia militanza permetteva la partecipazione di gruppi gi dotati di una propria identit, la compresenza di appartenenze potenzial mente conflittuali rischiava per di produrre nel movimento spac cature profonde. Pregi e difetti di questa struttura organizzativa si combinarono in maniera diversa nelle diverse fasi evolutive della mobilitazione. La struttura decentrata e inclusiva del movimento permise lafflusso di risorse organizzative iniziali da fonti differenziate e molteplici. Nel le fasi alte della mobilitazione le differenze costituivano una fonte di ricchezza per il movimento, permettendo di penetrare in aree diver se. Fra i gruppi di origini differenti si realizzava cos unefficace di visione dei compiti:
Le organizzazioni pi strutturate, meglio equipaggiate con risorse or ganizzative tradizionali, garantivano un sostegno di base (finanze, traspor ti, accesso ai media ecc.), e inoltre attivavano la loro base per le grandi di mostrazioni di piazza. I gruppi meno formalizzati, dallaltra parte, aiutava no a sensibilizzare quelle sezioni della societ che erano meno sensibili ai temi politici e, quindi, pi difficili da attivare. Essi costituirono inoltre la parte espressiva della campagna, promuovendo la diffusione di repertori d azione meno tradizionali. (Lodi 1991: 218)

Non a caso, per, linfluenza dei gruppi organizzati nei comita ti aument durante le fasi di latenza, allontanando ulteriormente gli indipendenti. Nella fase di declino della mobilitazione, le diverse 95

anime del movimento tesero a dividersi nuovamente. Da un lato, il tema della pace diverr unoccasione di riorganizzazione per i grup pi pi strutturati, alcuni attivi gi precedentemente altri emersi nel corso della mobilitazione1. Dallaltro lato, una galassia di piccole aggregazioni - biblioteche, archivi, centri di studio e di documen tazione - si impegner nella creazione di una cultura della pace. La struttura organizzativa del movimento della pace riprese e ampli trasformazioni gi presenti in altri movimenti della sinistra libertaria e, al contempo, contribu alla loro trasformazione. Nel mo vimento delle donne cos come in quello giovanile, la leadership era pi legata al riconoscimento di capacit specifiche, a termine, e su zone limitate, mentre nessun gruppo veniva riconosciuto come rap presentante di interessi pi complessivi (Diani e Donati 1984). Ag gregazioni informali enfatizzavano le relazioni amicali come mezzo per attutire le tensioni legate alla divisione dei compiti. Insieme ai conflitti di natura strategica venne meno anche la necessit di dedi care energie e risorse alla elaborazione ideologica. I vecchi leader, abili manipolatori della ideologia, venivano quindi sostituiti con professionisti nella diffusione di informazioni, che per: non pren dono vere e proprie decisioni - dato che la decisione non pi le gittima perch spetta a ciascuno per s - ma emettono indicazioni e opinioni, assicurando omogeneit e veicolando messaggi unificanti (Donati e Mormino 1984: 371). Per quanto riguarda il coordina mento, esso era assicurato da diverse organizzazioni in diverse fasi: organizzazioni pi strutturate offrivano risorse per la mobilitazio ne; organi di informazione alternativa, quali radio o riviste, permet tevano la circolazione delle informazioni; comitati ad hoc elabora vano proposte. Il potere decisionale era distribuito fra molti e le de cisioni venivano spesso rinviate per evitare contrasti. Questo tipo di struttura organizzativa si estese a un movimento che si svilupp in quegli anni: il movimento ecologista. Anchesso era composto infatti da gruppi eterogenei: aggregazioni di base au togestite con bassa struttura formale, ma anche cooperative e grup pi professionali ben strutturati. In questi gruppi la divisione tecnica dei compiti avveniva sulla base di capacit, interessi, competenze, at

1 Fra i primi, le Acli, che daranno vita ai Comitati contro i mercanti di mor te, e la F g c i , che promuover i Centri di iniziativa per la pace; fra i secondi, lAssociazione per la pace, nata nel febbraio del 1988 a Bari, con il proposito di rea lizzare un minimo di coordinamento fra i vari gruppi.

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titudini e preferenze dei singoli individui. Gli opinion leaders sosti tuirono gradualmente i leader politici, e i punti di incontro - spes so allinterno dei centri sociali di quartiere (Barone 1984) - assun sero le funzioni precedentemente svolte dalle strutture di coordina mento. Una struttura decentrata assunsero anche quelle organizzazioni del movimento ecologista che scelsero la formula partitica: le liste Verdi. Apparse nel 1980, le liste Verdi erano gi una dozzina nel 1983 e, due anni dopo, circa 150 alle elezioni locali e 12 alle elezio ni regionali. Se nel 1985 esse ottennero 600 mila voti (il 2,1 per cen to) e 142 consiglieri, due anni pi tardi arrivarono a un milione di voti alle elezioni politiche (il 2,4 per cento con 14 deputati e 2 sena tori) (Diani 1988: 56-86)2. Rispetto a quella dei partiti tradizionali, la struttura delle liste Verdi rimase molto frammentata. Espressione politica di comitati creatisi su temi locali o promossi da professio nisti della politica provenienti da precedenti esperienze, esse creb bero a partire dalla met degli anni Ottanta, su tematiche quali la tra sformazione del Piano energetico nazionale, la ristrutturazione ur bana (parchi, trasporti pubblici, limitazione della circolazione auto mobilistica), il trasporto su rotaia, il disinquinamento delle acque, la regolamentazione pi restrittiva di caccia e vivisezione, la limitazio ne nelluso di sostanze chimiche, ma anche la difesa dello stato so ciale, contro lespansione delle spese militari, e la democrazia di ba se. Secondo un modello di collegamento flessibile, nel maggio 1985 venne costituito un coordinamento delle liste Verdi, con due dele gati per ogni lista regionale e uno per ogni lista locale; nel 1986 si form una federazione delle liste Verdi, con un gruppo di coordina mento composto da undici membri, con funzioni organizzative (ad esempio della campagna elettorale), sotto la supervisione di un co mitato dei garanti (personalit note dellarea ecologista) (Diani 1988: 190). A seguito dei successi elettorali del 1987, alcuni attivisti proposero addirittura lo scioglimento della federazione, temendo che essa potesse rappresentare il preludio alla nascita di un nuovo partito. Se lassemblea di Ariccia, nel novembre dello stesso anno,

2 Significativamente, lelettorato verde era concentrato nelle regioni centro settentrionali (da dove proveniva la totalit dei parlamentari nel 1987 e 131 dei 141 consiglieri locali) (Diani 1988: 185). A fronte del 2,5 per cento a livello nazio nale, vi era un 3,4 al Nord. Forti flussi si ebbero soprattutto da Psi, P ri, radicali e demoproletari (Biorcio 1988c).

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conferm la struttura federativa e le funzioni del gruppo di coor dinamento, lorganizzazione rest al centro di infuocate discussio ni - anche, ad esempio, sulla utilizzazione degli 11 miliardi del fi nanziamento pubblico ai partiti. Significativamente, venne garan tita la piena autonomia dei parlamentari, facendo parlare di una sorta di partito di comitato in una situazione di politica di massa do ve le liste erano integrate nel panorama ecologista ma non lo rap presentavano (ibid.). In conclusione, alla fine degli anni Ottanta,
L a struttura dellazione ecologista in Italia risulta dunque poco densa, centralizzata, parzialmente segmentata, e scarsamente influenzata da ca ratteri subculturali. D altro canto, sulle mobilitazioni a difesa dellambien te converge una pluralit di attori, assai pi eterogenei del pure variegato panorama offerto dalle organizzazioni impegnate in primo luogo in campo ecologista. (Diani 1988: 206)

Anche tralasciando la forma-partito, bisogna dire comunque che accanto alle strutture di base informali, i movimenti della sinistra li bertaria crearono, nel corso degli anni Ottanta, una serie di associa zioni, piccole ma formali. In modo simile, i movimenti della pace, delle donne, dei giovani ed ecologista svilupparono una duplice struttura organizzativa: da un lato, piccoli nuclei che puntavano al la coincidenza tra obiettivi collettivi e bisogni solidaristico-affettivi [...] organizzazione come luogo per la soddisfazione di bisogni, struttura espressiva fondata e centrata interamente su s stessa; dal laltra, organizzazioni pi strutturate si basavano su una professionalizzazione alternativa, con produzione e trattazione di risorse orientate alla costruzione quotidiana del progetto (Donati e Mormino 1984: 354-55). Prendendo, ad esempio, il movimento femmi nista, mentre si destrutturavano alcune organizzazioni che - co me IU d i e IM ld - avevano, nel corso degli anni Settanta, supplito con le proprie risorse alle carenze organizzative dei gruppi di base, i piccoli gruppi del femminismo autonomo si specializzarono e nac quero altre associazioni. Negli anni Ottanta emersero infatti i grup pi pi vari: dalle associazioni professionali femminili - come il Club delle donne, Donne in carriera e lAssociazione nazionale iniziativa donne - che organizzano corsi di formazione, seminari e dibattiti (Migaie 1985) al Comitato dei diritti civili delle prostitute, fondato nel 1982 a Pordenone (Staderini 1985); dai nuovi gruppi cattolici co me Progetto donna (De Giorgio 1985) ai centri di iniziativa cultu rale, come il Centro culturale Virginia Woolf di Roma (Masi 1985) 98

o lAssociazione nazionale Arci donna (Chiaromonte 1985); dalle cooperative di donne (Fanelli e Ronci 1985) aUassociazionismo le sbico (Pomeranzi 1985). In modo simile, lespansione del movimento ecologista coincise con quella di una serie di organizzazioni formali, professionali e cen tralizzate, anche se inclusive e non totalizzanti. Fra i gruppi del m o vimento ecologista, nuova linfa troveranno le tradizionali associa zioni come Italia nostra e il Wwf - con una capillare struttura for mata rispettivamente da 190 e 180 sezioni alla met degli anni O t tanta (Rovelli 1988: 76-77) - mentre unaltra associazione, la Lega per lambiente, nascer allinizio del decennio, offrendo risorse or ganizzative ai nuclei di base. A partire dal 1981, lArcipelago verde fornir un canale di coordinamento alle organizzazioni, piccole e grandi, attive sui temi dellambiente (Lodi 1988: 23-24). La membership di queste organizzazioni tese infatti a crescere esponenzial mente nel corso degli anni Ottanta - ad esempio, il Wwf, pass da 30 mila iscritti nel 1983 a 120 mila nel 1987; la Lega per lambiente, da 15 mila nel 1983 a 30 mila nel 1986. Caratteristica delle associa zioni sar la capacit di combinare, allinterno di una struttura arti colata e parzialmente centralizzata, incentivi non solo simbolici ma anche materiali (Rovelli 1988: 86 e sgg.). La stessa aspirazione a una professionalizzazione della prote sta e la concentrazione sul raggiungimento del risultato nel breve pe riodo la troviamo in varie altre associazioni, che emersero in questo periodo - non sempre allinterno della famiglia della sinistra liber taria ma in qualche modo da essa influenzate. Dal punto di vista or ganizzativo, gli anni Ottanta vedono infatti il proliferare su una se rie di temi di gruppi con una struttura di tipo associativo su una se rie di temi collegati allo sviluppo dello stato sociale. Prendiamo ad esempio coloro che Gabriella Turnaturi (1991) ha definito associa ti per amore - le associazioni fondate da parenti di vittime di stra gi o di soggetti deboli, come malati mentali o tossicodipendenti. Queste associazioni nacquero, in genere, nella societ civile, dallaggregarsi spontaneo di individui. Dopo le fasi iniziali, comunque, questi gruppi tesero a darsi degli statuti formali, definendo in ma niera precisa i loro compiti e regolando le procedure di adesione e quelle decisionali. Oltre che alla pressione sulle istituzioni, molte as sociazioni assolvevano anche a una funzione di self-help - distin guendosi cos dai tradizionali gruppi di interesse. Nel corso delle voluzione dei movimenti della sinistra libertaria proliferarono, in 99

fatti, associazioni di volontariato, rivolte sia allesterno che allinter no: ai centri contro la violenza alle donne si sommarono i gruppi di difesa dellambiente; agli istituti per leducazione alla legalit le co munit di aiuto ai tossicodipendenti. Si pu concludere che le organizzazioni dei movimenti della si nistra libertaria e di altri movimenti a essi vicini, erano, in questa fa se, caratterizzate da una compresenza di una ricerca di forti solida riet, ma anche da un modello di funzionamento vicino a quello dei gruppi di interessi. A molte di esse si adatta la descrizione di una doppia identit, con caratteristiche di gruppi primari e secondari, proposta da Gabriella Turnaturi a proposito delle associazioni dei familiari di soggetti deboli:
Dei gruppi primari producono e riproducono la coesione affettiva, la solidariet, i rapporti molto stretti fra i vari membri che li compongono. E, come nei gruppi primari, in queste associazioni laffettivit, il mondo emo zionale sono nello stesso tempo risorsa e prodotto della loro azione col lettiva. Lesperienza concreta, i percorsi personali di vita costituiscono la base su cui si fonda la loro identit collettiva, ma anche una risorsa messa a disposizione del gruppo e che serve a rafforzarlo. Queste associazioni non sono per chiuse in se stesse, perch condizione del loro formarsi ed esi stere proprio linterferire con lesterno, il voler farsi riconoscere e il vo ler farsi pubblico, e quindi agiscono anche come gruppi secondari in quan to scelgono ed organizzano modalit d intervento sul resto del corpo so ciale. Queste associazioni infatti si comportano - a seconda dei casi - co me gruppi di pressione; come gruppi d opinione; come gruppi di cittadini che vogliono interloquire con altri gruppi organizzati, con le istituzioni, con i rappresentanti dello Stato; o semplicemente come gruppi di cittadi ni per i quali manifestare pubblicamente la propria indignazione impre scindibile dal loro far parte della societ e dalla loro dignit. (Turnaturi

1991: 86)

2. Ideologia: tra single issue e utopia


Le caratteristiche ideologiche e di identit dei movimenti degli anni Ottanta hanno fatto parlare di movimenti egoistici. Questi movimenti sarebbero stati infatti incapaci di costruire utopie prefiguratrici di grandi cambiamenti, esaltando i particolarismi locali ri spetto alluniversalismo totalizzante che aveva caratterizzato la mo bilitazione nei decenni precedenti. Se i movimenti degli anni Set tanta erano stati connotati da unaspirazione alla totalit, i movi 100

menti degli anni Ottanta avrebbero presentato un sistema di cre denze di natura pragmatica, con il passaggio da una visione poco individualizzata e altamente ritualizzata della militanza ad una ver sione invece in cui i rituali contano poco o nulla, mentre le appar tenenze di gruppo si combinano in modo variabile a seconda dei singoli attivisti e contribuiscono quindi in modo significativo al lindividuazione dei soggetti (Diani 1992a: 216; cfr. anche 1989). Enfatizzando la propria competenza tecnico scientifica e il proprio patrimonio culturale, essi avrebbero rifiutato sia il riferimento a dot trine ideologiche preesistenti che modelli predeterminati di orga nizzazione sociale. Alle aspettative di salvezza nel lungo periodo, avrebbero preferito un riformismo gradualista. Non focalizzandosi sul potere, non avrebbero modellato la propria identit su quella del nemico. Insieme agli schieramenti tra destra e sinistra, avrebbero ri fiutato anche lidea di una presa del potere. Essi sarebbero stati egoisti perch autosufficienti nella loro ricerca di autonomia dal sistema e orientati allautovalorizzazione come sfiducia nel laltro e autoreferenzialit (Manconi 1990: 125-31). Non avrebbero infatti mirato a esercitare una funzione di supplenza rispetto ad al tri strati, ma avrebbero rappresentato piuttosto la presa di parola di gruppi emarginati. Eppure, questi movimenti si sarebbero rivolti non a interessi di gruppo, ma a scopi universalistici: I movimenti egoistici - ha osservato Luigi Manconi (1990: 129) - non rivendica no, in primo luogo, laccesso a garanzie negate ad alcuni (rivendica zioni politiche) o a beni appannaggio di pochi (rivendicazioni eco nomiche), bens la salvaguardia di garanzie e beni da tutti possedu ti, almeno virtualmente, e da tutti minacciati. Questi movimenti sa rebbero stati inoltre di tipo essenzialmente reattivo: L a catastrofe possibile e la dissipazione certa inducono a una considerazione non superficiale di ci di cui si dispone: alla consapevolezza della sua estrema deperibilit, della sua nonfungibilit e non sostituibilit. Da qui linteresse a partecipare a conflitti per ci che c: e la persua sione che ci che c non poco (Manconi 1990: 129). Non solo in Italia, il linguaggio del movimento degli anni O t tanta , infatti, un linguaggio concreto: si pu dire che sugli ideologi prevalgono gli esperti. Una caratteristica che il movimento per la pa ce italiano ha condiviso con i corrispondenti movimenti in altre de mocrazie occidentali stato, ad esempio, un alto grado di prepara zione tecnica, in materia di bilanci militari e di armamenti, cos co me di meccanismi costituzionali. La leadership del movimento per

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la pace non era, infatti, di tipo ideologico: Nel movimento per la pace - stato osservato - il gruppo ideologico costituito da tecni ci che si riconoscono nella peace research community, fisici, medici, economisti, ecc. (Battistelli et al. 1990: 41)3. Gli esperti sostituiva no quindi gli ideologi: Differentemente dagli attori degli anni 1960 e 1970, quelli mobilitati nella campagna anti-missili non avevano obiettivi di lungo periodo, e quindi neanche il bisogno di una forte coesione ideologica (Lodi 1991: 218). La mobilitazione sembra avere incoraggiato, invece, lemergere di una leadership pluralistica e interscambiabile, strutturata attorno ad alcune funzioni e compe tenze tecniche. anche vero che molte delle mobilitazioni degli anni Ottanta si sono spesso concentrate su obiettivi limitati. Ad esempio, per il mo vimento per la pace, il tema dellinstallazione dei missili a Comiso stato un minimo comune denominatore su cui mobilitare gli atto ri pi disparati - come osservava la segreteria del Cncp nellautun no del 1984,
non strano poi che temi tanto im portanti e delicati (lE st europeo, la so lidariet con i movimenti di liberazione [...], la difesa convenzionale, il ser vizio m ilitare di leva) [...] abbiano rischiato periodicam ente di far naufra gare la fragile unit del coordinam ento: la verit - prim a ancora delle di vergenze (sem pre possibili) - che sp esso lunit stata raggiunta senza di scutere di nulla, o discutendo in m odo affrettato con l attenzione rivolta ad altre questioni (per lo pi organizzative). (Battistelli et al. 1990: 101)

La mobilitazione single-issue stata anche indicata come una delle cause della crisi del movimento della pace dopo la ratifica par lamentare della decisione sullinstallazione dei missili a Comiso e il fallimento dei negoziati di Ginevra tra le superpotenze. Il movi mento ecologista si caratterizzato, dal canto suo, per la concen trazione dellattenzione su aree limitate, su cui acquisire conoscen ze approfondite e fare proposte dettagliate - Pensare globalmen te, agire localmente era il significativo titolo del congresso della Lega per lambiente a Urbino nel 1983 (Barone 1984). I nuclei del movimento delle donne si sono specializzati su singole tematiche: dai nuclei professionali di donne in vari settori dellinformazione e
3 La costituzione di associazioni composte da esperti - quali lAssociazione dei medici per la prevenzione della guerra atomica; lArchivio disarmo; il gruppo In segnanti per la pace - testimonia di questa attenzione alle competenze tecniche.

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del sapere alle cooperative nellarea delle nuove professioni di ser vizio avanzate, e ai collettivi di autocoscienza costruttiva, orien tati alla elaborazione di una nuova cultura (Bianchi e Mormino 1984:162). Nel movimento giovanile i centri sociali autogestiti - che avevano avuto funzioni di supplenza rispetto a servizi sociali (scuo le, asili, consultori) e attivit culturale e ricreativa (teatri, cinefrum, scuole di musica, palestre e biblioteche) - andavano perdendo il ca rattere di progetti complessivi, focalizzandosi sullattivit, caratte rizzata da un orientamento al risultato, di piccoli reticoli di amici. Anche molte delle gi citate associazioni per amore sono con centrate su un singolo obiettivo: nello statuto dellAssociazione dei familiari delle vittime della strage alla stazione di Bologna, poi pre so a modello anche dalle associazioni successive4, si affermava, ad esempio, che lo scopo del gruppo era di raggiungere la verit e la giustizia sulla strage, e che esso si sarebbe sciolto subito dopo il rag giungimento di questo obiettivo. Limmagine di aggregazioni monotematiche coglie comunque solo in parte le caratteristiche di movimenti che non hanno del tut to perduto la loro dimensione utopica. Ancora per quanto riguarda il movimento della pace, si ad esempio parlato dei cento fiori del pacifismo - criticando non la mancanza di iniziative su altri temi che non fossero i missili a testata nucleare, ma una logica massimalista per la quale ogni nuovo gruppo inseriva una nuova rivendica zione. La mobilitazione contro i missili Cruise si infatti allargata a tematiche quali il ruolo dei blocchi militari, il disarmo unilaterale, la promozione del dialogo tra i popoli, lo sviluppo di sistemi di difesa alternativi e nonviolenti, i controlli sulla vendita delle armi, la smili tarizzazione del territorio e la solidariet a movimenti indipendenti
4 Ad esempio, lAssociazione dei familiari delle vittime della strage alla sta zione di Bologna si costitu nella primavera del 1981 (la strage era stata nellago sto del 1980), dopo la sentenza di assoluzione degli imputati della strage di piaz za Fontana. Le altre associazioni di familiari di vittime di stragi seguirono lesem pio: sullonda dellattivit dellAssociazione bolognese si costituiscono, per ef fetto di imitazione, di incoraggiamento e di stimolo, anche le Associazioni dei fa miliari delle vittime della strage di piazza Fontana, di quelli delle vittime dellItalicus e di quelli della strage di piazzale della Loggia [...] Da questa coscienza e da questa voglia di far sentire la propria voce nasce, il 6 aprile 1983, lUnione delle Associazioni dei familiari delle vittime delle stragi, con sede a Milano e con uno statuto ricalcato su quello dellAssociazione di Bologna (Turnaturi 1991:5). Po co dopo aderir alla Unione anche lAssociazione familiari vittime del rapido 904, mentre ancora lAssociazione di Bologna interverr nella fondazione, nel maggio 1988, dellAssociazione dei familiari delle vittime della strage di Ustica.

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sti (in particolare in Nicaragua, San Salvador, Polonia e Afganistan), contro la costruzione di uno scudo di protezione stellare, la produ zione di armi batteriologiche e chimiche, lintervento delle truppe italiane nel contingente di pace, il bombardamento americano in L i bano e, nel 1988, la decisione italiana di accettare gli F16 della N a to rifiutati dalla Spagna. Campagne di sensibilizzazione sono state lanciate sulle guerre allora in corso, in particolare quelle tra Iran e Irak o tra Israele e Libano. Nel 1984 la mobilitazione si sposter da Comiso alle sedi N ato (in particolare Sigonella, Longara, Camp Darby, Aviano e Ghedi) dove erano presenti ordigni nucleari. Alle richieste particolari, come lintroduzione di una tassa straordinaria sul commercio delle armi e il divieto di compensare lintermedia zione nel mercato degli armamenti, si affiancheranno quelle pi ge nerali, come la creazione di un ministero per la Pace. Bisogna aggiungere che la mobilitazione su obiettivi specifici si realizzava attraverso un processo di agganciamento dellobiettivo pacifista alle visioni del mondo degli altri gruppi che si tentava di mobilitare. Cos, il tema della pace stato di volta in volta collegato ai temi propri ad altri movimenti attivi o attivabili: le campagne sul nucleare civile hanno avvicinato al tema della pace i gruppi anti-nucleari; un modello di politica energetica fondato su risparmio e tec nologie dolci, gli ecologisti; la richiesta di intensificazione degli aiu ti ai paesi in via di sviluppo, i radicali e i gruppi cattolici; il discorso contro il militarismo come espressione estrema del patriarcato - un progetto di morte [...] voluto dalla societ maschilista (Battistelli et al. 1990: 177) - le femministe; la proposta di riconversione dellin dustria bellica, i sindacati; la riforma del servizio civile e la leva re gionale di sei mesi con un intervento esclusivo sui temi della prote zione civile, i giovani. Il tema della pace fu infatti inserito allinterno del discorso politico familiare ai differenti attori: pace e benessere economico per il Pei e i sindacati, pace e aiuti al Terzo M ondo per i radicali, pace e coscienza individuale per i gruppi religiosi, pace e maternit per le femministe, pace e critica del mondo de gli adulti per il movimento giovanile, pace e equilibrio naturale per gli ecologisti, pace e anti-imperialismo per le frange pi radi cali (Lodi 1984:138-50). Le denunce degli interessi della criminalit organizzata nella costruzione della base di Comiso porranno le basi per lo sviluppo di un movimento contro la mafia. Per il movimento per la pace come per altri movimenti, la mo bilitazione sulla single-issue si poi immediatamente ampliata a una 104

tematica pi generale: la meta-issue del diritto stesso di protestare. Tipicamente, i movimenti degli anni Ottanta, come avevano fatto i loro predecessori, hanno sviluppato una teoria della democrazia, sottolineando in particolare i limiti della democrazia parlamentare. Per quanto riguarda il movimento della pace, il tema della demo crazia stato affrontato in particolare in relazione allesproprio di sovranit delle istituzioni rappresentative nazionali da parte di ap parati militari sovranazionali (come la N ato) o addirittura delle grandi potenze straniere (in particolare, Usa e Urss). Pi in concre to, lattenzione al tema della rappresentanza democratica testimo niata, ancora per i gruppi pacifisti, dalla rivendicazione della tra sparenza dei bilanci in materia di spese militari e di armamento men tre le richieste di referendum propositivi e di modifiche costituzio nali per aumentare i controlli del governo e del Parlamento sulle questioni militari esprimeranno la richiesta di una maggiore parte cipazione popolare. Un ruolo pi attivo dellEuropa stato auspi cato come strumento di controllo democratico contro la logica dei blocchi militari che impongono le loro decisioni ai singoli Stati membri. Il movimento della pace stato, in particolare, vicino al m o vimento anti-nucleare nel denunciare laumento del controllo sui cit tadini da parte di un apparato militare e poliziesco necessariamente connesso alla diffusione del nucleare sia civile che militare - con trapponendo a questa tendenza la richiesta di una struttura sociale e produttiva decentrata e autogestita. Sin dallinizio il movimento del la pace si , infine, proposto come un movimento culturale, ponen dosi come obiettivo la costruzione di una cultura di pace basata sul la partecipazione e la convivenza pacifica. Soprattutto secondo lala antimilitarista e nonviolenta, il movimento della pace doveva svi luppare un nuovo sistema di valori e una visione alternativa dei rap porti fra gli individui. Dopo le fasi iniziali della mobilitazione, il m o vimento ha insistito sulla necessit di profonde trasformazioni cul turali. In un documento della segreteria nazionale del Cncp si legge: L unico errore stato quello di credere ingenuamente che pochi anni di lotte pacifiste sarebbero riusciti con qualche spallata ad in vertire la spirale della guerra e degli armamenti che ha segnato per millenni la storia dellumanit (in Battistelli et al. 1990: 210). Anche molte altre associazioni focalizzate su singoli temi si sono presentate non come portavoce di interessi particolari, ma come di fensori di un interesse generale. Sia per il movimento delle donne che per quello dei giovani, gli anni Ottanta hanno portato un inte 105

resse per tematiche pi generali, che andavano oltre lo specifico femminile o giovanile, mentre rivendicazioni anche specifiche sono state spiegate utilizzando un linguaggio universalistico - di giustizia, diritti, e democrazia. Nei gruppi di mobilitazione dei familiari di soggetti deboli vi stata ad esempio la richiesta di una partecipa zione diretta dei cittadini alla gestione della cosa pubblica: i familia ri dei tossicodipendenti hanno rivendicato il diritto di partecipare alla elaborazione di una legge sulle tossicodipendenze; le associa zioni sulla salute mentale hanno chiesto di potere controllare le atti vit degli enti pubblici operanti su questi temi; le associazioni sul te ma dei diritti dei minori hanno domandato di collaborare con gli or gani della pubblica amministrazione (Turnaturi 1991). Dalle singo le rivendicazioni si quindi passati a una generalizzata richiesta di partecipazione. Per fare un solo significativo esempio, nella tran quilla cittadina di Racconigi, che aveva visto la nascita del Comitato Serena Cruz contro lallontanamento di un minore dalla sua famiglia adottiva, la protesta si era presto allargata dal tema dellaffidamen to della bambina alle pi diverse occasioni di interazione tra i citta dini e lo Stato:
C stata - dir il sindaco - com e una crescita collettiva. Si partiti dal lemotivit, da una reazione spontanea e im m ediata e oggi si arrivati a una m aggiore coscienza di s. Tutti i problem i esistenti a Racconigi sono venu ti alla luce in qu estultim o anno. Il m ugugno diventato protesta, si tra sform ato in dom ande. D a allora siam o continuam ente sollecitati da ri chieste di m iglioram ento dei servizi sociali, d intervento, da contestazioni contro la burocrazia e linefficienza dellamm inistrazione comunale. E lo stesso rapporto tra am m inistratori e cittadini si fatto pi diretto. (Turna turi 1 991:76)

Lo stesso appello alla differenza pu avere infine, a livello cultu rale e simbolico, un ruolo importante nella critica a societ caratte rizzate dalla spinta alla conformit e alla omologazione. Come ha os servato infatti, a proposito dei movimenti degli anni Ottanta in Ita lia, Alberto Melucci (1984: 429):
I conflitti trasm igrano dal sistem a econom ico-industriale verso terreni culturali: riguardano lidentit personale, il tem po e lo spazio di vita, la m o tivazione e i codici dellagire quotidiano. I conflitti m ettono a n udo la lo gica che si sta afferm ando nei sistem i altam ente differenziati. Q uesti di stribuiscono risorse crescenti per fare degli individui centri autonom i d a

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zione, m a d altra parte chiedono sem pre pi integrazione. D evono esten dere il controllo per sopravvivere, investendo la motivazione profon da del lazione e intervenendo sui procesi di costruzione di senso.

3. Repertori: tra azione esemplare e pressione politica


Struttura organizzativa decentrata ma professionalizzata e ideo logie pragmatiche hanno interagito con lemergere e il consolidarsi di nuovi repertori. Dal punto di vista delle strategie d azione, tre so no le innovazioni introdotte dai movimenti degli anni Ottanta: las senza pressocch totale di forme d azione violenta5, lutilizzazione dellazione diretta nonviolenta, e la combinazione delle forme pi varie di azioni convenzionali e innovative. Il movimento della pace permette di illustrare queste innovazioni. In Italia come altrove, la strategia preferita dal movimento paci fista sono state le azioni dirette nonviolente, considerate come ele mento culminante di un impegno individuale che passava attraver so lintervento nelle istituzioni e la disobbedienza civile. Uno dei pri mi esempi di utilizzazione di tattiche dirette nonviolente si ebbe du rante la campagna contro il dispiegamento dei missili, con le attivit di ostruzionismo allingresso della base di Comiso organizzate tra il 7 agosto e il 1 settembre del 1983. Tipicamente, queste azioni con sistevano in un blocco simbolico delle attivit della base, con molta attenzione per a evitare una escalation violenta - ad esempio, nel corso degli interventi della polizia. Esse avvenivano spesso allinter no dei campi- intesi come presidio stabile di installazioni fisse - che ebbero per il movimento pacifista degli anni Ottanta una funzione simile a quella che le occupazioni ebbero per il movimento studen tesco degli anni Sessanta6. La nonviolenza permise, in primo luogo,
5 Rare eccezioni sono stati gli scontri tra i piccolissimi gruppi dellAutonomia e le forze dellordine - ad esempio il 5 giugno 1982, durante la visita di Ronald Reagan in Italia, o il 25 ottobre 1985 a una dimostrazione organizzata dal C n c p . Nella seconda met degli anni Ottanta unondata di okkupazioni di centri sociali fu seguita, come vedremo meglio nel prossimo capitolo, da interventi coercitivi. 6 Importata a livello internazionale a seguito della First European Convention on Peace and Desarmament (la prima convenzione europea organizzata a Bruxel les nel 1982), questa formula si svilupper nel movimento pacifista italiano a C o miso, con lIntemational Peace Camp e, in seguito, con lInternational Meeting Against Cruise.

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un superamento degli aspetti pi drammatici del passato, contri buendo a separare le azioni di protesta dalle immagini sanguinose che avevano caratterizzato la fine degli anni Settanta. Come si os serva nel documento di costituzione dei Centri d iniziativa per la pa ce, vicini alla Fgci:
Il pacifism o nasceva sulle ceneri della crisi delle ideologie e del rifiuto della politica e non poteva aspirare a divenire un punto di riferimento cre dibile se non si poneva, gi nel su o costituirsi, lobiettivo di rispondere al la dom anda di una politica e di una organizzazione nuova e diversa dagli schemi tradizionali [...] Con l adozione del m etodo non violento il m ovi mento pacifista ha saputo rom pere l identificazione della lotta politica con lo scontro violento. (Battistelli et al. 1990: 220)

Ma la nonviolenza stata anche considerata dal movimento per la pace come lunica forma d azione adatta a opporsi a logiche e strutture che producono militarizzazione, oppressione e guerra (in Battistelli et al. 1990: 191). Tra le tattiche proposte dai nonviolenti vi era inoltre la disobbe dienza civile, che includeva la restituzione dei congedi militari, lo biezione di coscienza e lo sciopero della fame. Ad esempio, i grup pi storici della nonviolenza - come la Lega per il disarmo unilatera le (Ldu), fondata dallo scrittore Carlo Cassola; il Movimento per la riconciliazione internazionale (Mir); la Lega obiettori di coscienza (Loc) - organizzarono linvio al presidente della Repubblica dei congedi militari, respinti per protesta contro la crescita delle spese militari e la corsa agli armamenti. Gruppi cattolici quali Caritas, Agesci, Azione cattolica e A cli furono particolarmente propensi al lutilizzazione di forme d azione quali gli scioperi della fame (in par ticolare nelle proteste dei lavoratori delle industrie belliche) o lo biezione fiscale alle spese militari. Accanto alla nonviolenza e alla disobbedienza civile, si pongono una serie di azioni orientate a dimostrare la forza numerica del mo vimento - tra esse, la pi classica delle forme di protesta: la manife stazione. Il movimento pacifista organizz, infatti, numerose dimo strazioni di massa, soprattutto in occasione di scadenze internazio nali. Nel primo grande corteo pacifista, il 24 ottobre 1981, si mobi litarono quasi mezzo milione di dimostranti. A Milano, ancora nel lautunno del 1981, una manifestazione vide una partecipazione di circa centomila persone, mentre il doppio presero parte, nellaprile del 1982, al corteo indetto dal Pei. A Roma, nel giugno 1982, 300 108

mila persone dimostrarono contro la visita del presidente america no Ronald Reagan, e oltre mezzo milione il 22 ottobre 1983, giorno internazionale della pace. Nellottobre del 1986, il corteo naziona le del movimento attirer ancora nella capitale centomila manife stanti. Il vecchio repertorio delle manifestazioni venne comunque innovato in vari modi. Riprendendo dalla tradizione delle organiz zazioni cattoliche - dal modello religioso del pellegrinaggio - ven nero organizzate numerose marce, cio dimostrazioni che percorre vano un lungo percorso. il caso ad esempio delle tradizionali mar ce per la pace Perugia-Assisi, gi in passato convocate annualmen te da gruppi cattolici, antimilitaristi e radicali, ma che videro il nu mero dei partecipanti pi che centuplicarsi dallinizio degli anni Ottanta7. Simile come forma d azione era la Via Crucis spesso uti lizzata da gruppi cattolici (ad esempio, a Comiso il Venerd Santo del 1983), che introdussero nel movimento un loro repertorio di azioni, fatto anche di messe, vigilie e preghiere comuni. Oltre alle marce, anche altre forme d azione tesero a innovare, trasformando il vecchio repertorio del corteo in un happening: cos, mentre m ar ce a stella o catene umane congiungevano luoghi simbolicamente rilevanti, nel 1983, la Ldu organizz una marcia ad esauri mento attorno al Parlamento, e, nellottobre del 1984, i comitati per la pace simularono durante un corteo le conseguenze di una guerra nucleare. Tra le forme d azione adatte a mettere in evidenza il consenso di cui si dispone, il movimento per la pace ha utilizzato anche modi pi convenzionali di protesta come la raccolta di firme su petizioni e ri chieste di referendum. Per quanto riguarda le petizioni, a fine giugno del 1982, venne infatti inviato a Palazzo Chigi un milione di firme di
7 II 27 settembre 1981 - poche settimane dopo la conferma, da parte del mi nistro socialista della Difesa, della decisione di installare 112 missili a testata nu cleare a Comiso - circa 50 mila persone parteciparono allannuale marcia AssisiPerugia, che aveva visto fino ad allora ladesione di poche centinaia di persone. Nel novembre 1982, in un momento di riflusso della protesta, un gruppo di in tellettuali di varia provenienza organizzarono la marcia Milano-Comiso. Nella primavera del 1983 le A c li convocarono una marcia Comiso-Ginevra (sede dei negoziati). Nel 1984, F lm, Lega per lambiente, A g li e altri gruppi daranno vita a una carovana della pace in Lombardia. Nel 1985 il vescovo di Nuoro appoggi la marcia Alghero-Cagliari, mentre nonviolenti e antimilitaristi marciarono da A s sisi a Comiso.

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cittadini per la sospensione dei lavori a Comiso8. Nel 1984 furono raccolte 120 mila firme per indire un referendum popolare sui mis sili Cruise. Venne, inoltre, presentato un disegno di legge costitu zionale per una consultazione popolare sullinstallazione di missili nucleari sul territorio italiano, e richiesti referendum sulle concen trazioni militari a La Maddalena, nel golfo di Napoli e nel golfo di Taranto. Nel 1984 e nel 1985 vari gruppi invitarono gli elettori a in viare cartoline ai candidati delle varie liste chiedendo un impegno sui temi della pace. Nella fase di declino della mobilitazione si mol tiplicarono, inoltre, le iniziative di tipo legale - come i ricorsi contro le servit militari. In modo simile al movimento della pace, anche gli altri movi menti della sinistra libertaria attivi in questa fase hanno combinato forme d azione diretta nonviolenta e forme d azione istituzionali. Al linizio degli anni Ottanta, le mobilitazioni antinucleari si estesero nella zona campana e laziale interessata dalla centrale del Garigliano, e nella zona di Caserta e Latina, contro la costruzione del reat tore Cirene. Pi volte, i cortei contro la costruzione di specifici im pianti nucleari mobilitarono decine di migliaia di persone, mentre il picco pi alto della partecipazione si raggiunse con i 150 mila in piaz za a Roma il 10 maggio, dopo lincidente a Chemobyl. Il repertorio dellazione antinucleare si estese, inoltre, con luso di referendum (ad esempio, a Viadana nel 1984, 91 per cento contrari allinstalla zione), mentre si formavano liste civiche (ad Avetrana, in provincia di Taranto, la lista civica contro il nucleare ottenne oltre il 50 per cen to), fino a che, nel 1987, in tre referendum le posizioni antinucleari ottennero tra il 70 e l80 per cento dei suffragi, portando, nel 1988, allaccantonamento della decisione di costruire la centrale di Montalto di Castro e, nei fatti, a una moratoria sul tema del nucleare. Il movimento ecologista ha affiancato le interazioni con pubbli ca amministrazione e enti locali a forme di azione diretta con valore esemplare, maieutico ed educativo. Sebbene siano stati raggiunti dei punti alti di mobilitazione, soprattutto sul tema del nucleare, i grup pi ecologisti non sembravano essere, tuttavia, particolarmente inte ressati allorganizzazione di campagne nazionali. Le loro campagne
8 O ancora, nel marzo del 1982, il Coordinamento donne contro gli armamenti e per la pace present 10 mila firme raccolte contro lipotesi di un servizio milita re volontario femminile, mentre, nel 1984, 12 mila religiosi firmarono un docu mento dove dichiararono di volere vivere senza protezione nucleare, consegnan dolo al presidente della Camera Nilde Jotti.

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sono state difensive (contro provvedimenti che danneggiavano il patrimonio artistico o naturale), ma anche offensive (come quelle per la realizzazione di zone pedonali nei centri storici). Il repertorio delle azioni di protesta ha combinato le forme d azione convenzio nali (come petizioni e dibattiti), con forme innovative, come azioni esemplari (costruire un parco, ecc.) o azioni dirette (fare scappa re gli animali allapertura della caccia). In generale, dunque, il repertorio dellazione collettiva si am pliato negli anni Ottanta quando i movimenti sono sembrati pi ca paci di utilizzare forme di pressione istituzionale, ma anche azioni innovative dal punto di vista simbolico. La consapevolezza dei rischi di una radicalizzazione dei conflitti ha portato a una presa di posi zione decisa e quasi unanime per forme d azione nonviolenta.

4. Fine dei movimenti o societ di movimenti?


I movimenti della sinistra libertaria si sono quindi trasformati negli anni Ottanta. Il cambiamento rispetto al decennio precedente stato enorme. Da piccoli nuclei isolati e chiusi in se stessi ad asso ciazioni professionalizzate; dal fondamentalismo pessimista al prag matismo; dalla violenza alla nonviolenza. Come spiegare questi cam biamenti? Innanzitutto, bisogna dire che molte delle trasformazioni enumerate per il caso italiano rientrano in un pi vasto trend evolu tivo che ha caratterizzato gran parte delle democrazie occidentali (Della Porta, Kriesi e Rucht 1996). In questa parte del capitolo guar deremo inoltre ad alcuni elementi interni al nostro paese - sia alle fratture sociali esistenti che al sistema politico, agli alleati e agli av versari dei movimenti - che hanno certamente contribuito allevo luzione appena descritta.

4.1. Cleavages: individualismo postmoderno? I movimenti della sinistra libertaria degli anni Ottanta, in Italia come altrove, sono stati definiti come movimenti dei ceti medi, che si rivolgono a un pubblico con un livello di istruzione medio-alto e reclutano in alcune professioni legate ai servizi. A mobilitarsi, in par ticolare, sarebbero stati i gruppi centrali per certi aspetti (livelli di

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istruzione, collocazione territoriale, esposizione ai messaggi cultura li), ma marginali per altri (collocazione sul mercato del lavoro, ac cesso al sistema politico, riconoscimento sociale) (Grazioli e Lodi 1984: 309). Insieme alla cos detta classe media, le mobilitazioni sui temi dellambiente avrebbero comunque coinvolto sia individui in posizione marginale sul mercato del lavoro che rappresentanti della piccola borghesia tradizionale (Melucci 1988: 10). Ad esempio, tra gli ecologisti presenti al convegno nazionale promosso dalle liste Verdi a Pescara, nel 1986, solo il 6,4 per cento erano lavoratori ma nuali, mentre insegnanti, liberi professionisti e impiegati arrivavano al 57,4 per cento (Biorcio 1988b: 122). Secondo due sondaggi Doxa condotti nel 1985 e nel 1986, solo F i per cento (nel 1985) e il 2 per cento (nel 1986) dei lavoratori manuali dichiaravano di essere deci si a votare per le liste Verdi (Biorcio 1988c: 190)9. Una definizione dei movimenti collettivi degli anni Ottanta in termini prevalentemente di ceti sociali sarebbe per fuorviarne. In buona misura essi erano infatti composti da individui e gruppi che si mobilitavano sulla base di una convinzione piuttosto che di una condizione:
G li anni O ttanta delineano un contesto in cui i fini, se tornano a esse re generali a fronte dalla settorialit-specificit del decennio precedente, non sono pi definiti da criteri politico-ideologici. Sono fini che aggrega no in base a scelte di natura etica, p ossiedon o un forte potere evocativo, non dipendono dalla condizione sociale dellattore, ma dalle opzioni c u l turali che egli com pie com e individuo. (G razioli e L o d i 1984: 287)

Essi non possono essere definiti, quindi, come espressione di una classe sociale. Ma quali convinzioni si mobilitano nei movimenti della sinistra libertaria? Da un lato, essi sono stati definiti come movimenti di fensivi, di conservazione, una reazione alla frantumazione di un mondo a complessit crescente. Secondo Luigi Manconi (1990), i movimenti egoisti degli anni Ottanta, in particolare i movimen ti di libert, rappresenterebbero la risposta alla crisi delle organiz zazioni onnicomprensive di fronte al pluralismo sociale. Alla cre

9 Anche se bisogna aggiungere che, nel 1986, ben il 34,8 per cento dei lavora tori manuali dichiarava una disponibilit potenziale di voto per le liste Verdi (Bior cio 1988c: 190).

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scente paura di una possibile catastrofe si sommerebbe la crisi dei luoghi di elaborazione di identit collettive. La paura del nucleare stata messa in collegamento con sentimenti irrazionali. In sintesi, i nuovi movimenti rappresenterebbero un rifiuto della modernit. Dallaltra parte, gli attivisti della sinistra libertaria sono stati de scritti come portatori di valori post-materialistici. Come ha sottolinato Ronald Inglehart (1990: 48), come risultato della prosperit, storicamente senza precedenti, e dellassenza di guerre nei paesi oc cidentali, che ha prevalso dal 1945, la generazione del dopoguerra in questi paesi dar meno importanza alla sicurezza economica e fi sica [...] Per contro, le giovani coorti di et daranno maggiore prio rit a bisogni non materiali quali il senso della comunit e la qualit dellambiente. Anche in Italia, gli attivisti dei movimenti della sini stra libertaria hanno mostrato atteggiamenti non pre- o anti-moder ni, ma anzi prevalentemente post-moderni (ad esempio, sul movi mento della pace, Battistelli et al. 1990). Al di l del sistema di valo ri tipico degli attivisti, la capacit di mobilitazione dei movimenti corrisponderebbe a una maggiore sensibilit dellopinione pubblica a temi post-materialistici, quali la preoccupazione per il degrado am bientale10. Se il post-materialismo includerebbe valori quali il narcisismo e lindividualismo, che tendenzialmente ostacolano lazione collet tiva, proprio il nuovo sistema di valori, attribuendo un segno posi tivo a emozioni e bisogni individuali, pu per favorire la mobili tazione come richiesta di partecipazione alle decisioni che influen zano la propria vita. Lattenzione ai propri desideri, bisogni e di ritti porterebbe al riconoscimento dei diritti fondamentali degli al tri, la costruzione della propria persona al riconoscimento degli al tri come persone: dallattenzione a s, ai propri bisogni, ai pro pri desideri che probabilmente nasce la coscienza di essere una maglia della rete, di essere comunque insieme ad altri (Turnaturi 1991: 90).

10 Secondo una indagine dellEurisko, nel 1985 il 96,1 per cento degli italiani si dichiarava preoccupato per linquinamento ambientale, mentre tra il 1978 e il 1986 la percentuale di individui contrari alle centrali nucleari passava dal 25,6 al 72,5 per cento. In un sondaggio della Doxa sul consenso medio per istituzione, i gruppi ecologisti arrivavano al terzo posto, dopo polizia e carabinieri, e prima del la Chiesa (Biorcio 1988a: 30; 33; 40).

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4.2. Sistema di alleanze: cooperazione a termine Se le caratteristiche del sistema dei valori hanno permesso la mo bilitazione collettiva, le forme concrete che essa ha assunto possono essere spiegate comunque soprattutto da un sistema delle opportu nit politiche, caratterizzato in questa fase da una disponibilit al lalleanza, ma allinterno di un rapporto pi laico tra movimenti e partiti di sinistra. In questa fase di deradicalizzazione dellazione collettiva, assistiamo infatti a una costante tensione fra la frequente cooperazione con i partiti della sinistra e la ricerca di autonomia da un sistema dei partiti percepito come delegittimato. I partiti politici erano, ad esempio, presenti gi dalle origini del movimento della pa ce, offrendo canali di accesso parlamentare e sostegno logistico. Nel corso del decennio i gruppi ambientalisti hanno avuto rapporti mol to stretti con il Pei, sia per la frequente sovrapposizione delle ap partenenze organizzative dei loro attivisti e simpatizzanti che per le alleanze allinterno dei vari organi rappresentativi. Non a caso, que ste interazioni sfocieranno nel progressivo abbandono da parte del Pei delle posizioni pro-energia nucleare, difese nel corso degli anni Settanta - abbandono che diventer definitivo dopo lincidente di Chernobyl (Ceri 1987). In primo luogo, i partiti della vecchia e nuova sinistra funzionarono spesso come braccio parlamentare dei movimenti. Durante la campagna contro linstallazione dei mis sili Cruise, il Pei si oppose, in Parlamento, alla double-track decision della N a t o , proponendo inoltre, nel 1988, un disegno di legge sulla riconversione delle industrie militari11. Per quanto riguarda il mo vimento ecologista, le liste Verdi sono state un canale privilegiato di accesso alle istituzioni rappresentative e, talvolta, ai governi locali. I partiti della sinistra offriranno inoltre risorse per le campagne di mobilitazione dei movimenti. Ancora a proposito del movimento per la pace, sin dalla costituzione del Comitato 24 ottobre, espo nenti di P d u p , D p e Pei parteciparono alle varie iniziative contro linstallazione dei missili. Non un caso che i Comitati per la pace si siano sviluppati soprattutto nelle aree a forte radicamento sub culturale - in particolare nel Centro-Nord (Toscana, Umbria e Ve neto). In queste zone dove la cultura civica diffusa (Putnam 1993),

11 Una funzione simile svolsero anche la Sinistra indipendente e Democrazia proletaria.

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risorse organizzative sono venute in particolare da A rci , Lega per lambiente e, in alcuni momenti, dallFLM.

Se i movimenti riconoscevano limportanza del sostegno dei par titi dal punto di vista della disponibilit di risorse materiali, essi ne vedevano per anche i limiti in termini di riduzione dellautonomia del movimento. Significativamente, ad esempio, la segreteria del C ncp osserver nellautunno del 1984 che gli aspetti forse pi drammatici delle nostre difficolt organizzative li ab biamo riscontrati sul piano dellautofinanziamento: un movimento auto nomo non pu reggersi sugli oboli della Sinistra indipendente o sul ricat to querulo rivolto alle forze politiche. sciocco e velleitario progettare au tonome strutture funzionariali, decidere campagne e iniziative politiche, ri badire lesigenza di uno strumento editoriale efficace, se poi lunica strate gia per il reperimento dei fondi che conosciamo quella di bussare alla porta dei gruppi parlamentari [...] Non possiamo parlare con seriet di au tonomia se, nei fatti, scegliamo la strada della dipendenza. (Battistelli et al.
1990: 301)

Indicativi della presenza allo stesso tempo di una insofferenza rispetto alla tutela dei partiti e di un riconoscimento del bisogno di tali risorse sono anche i risentimenti espressi da alcune organizza zioni del movimento pacifista quando i partiti presero le distanze dalla mobilitazione. Restando al movimento della pace, ad esempio, in un documento del settembre 1982, II pc lamentava le difficolt di mobilitazione in una fase di quasi totale latitanza dei partiti p o litici [...] che in Italia rappresentano, inutile chiudere gli occhi, una leva di mobilitazione e pressione fondamentale per qualunque movimento d opinione e di lotta nazionale (Battistelli et al. 1990: 161). I rapporti dei movimenti con i loro potenziali alleati sono stati dunque, in questa fase, aperti a frequenti cooperazioni su singoli te mi. Pur accettando le risorse provenienti dalla sinistra, i movimenti hanno teso comunque a sottolineare sempre pi la loro indipenden za dal sistema politico. G i una caratteristica del movimento pacifi sta stata leterogeneit degli attori, con la convergenza di cattolici e marxisti, ma soprattutto il superamento della polarizzazione clas sica tra destra e sinistra. Come recita un documento approvato nel 1984, I comitati per la pace si organizzano autonomamente, non al lineandosi con alcuna organizzazione, alcuna ideologia, alcun bloc co politico-militare (Battistelli et al. 1990: 190). Anche le associa

li

zioni sui vari temi legati al Welfare State hanno rifiutato di collocar si sullasse destra-sinistra, cos come hanno fatto anche molti grup pi ecologisti, i quali hanno cercato piuttosto di costituire coalizioni pluripartite. Nonostante la presenza di diverse liste Verdi, uno stu dio minuzioso della rete organizzativa dei gruppi ecologisti ha di mostrato il peso ridotto dei cleavages politici nelle strategie coalizionali delle singole organizzazioni di movimento (Diani 1990), mentre in molte occasioni i gruppi ecologisti hanno dato indicazione di vo tare per i candidati di vari partiti sensibili alle questioni ambientali. Guardando ancora al sistema delle alleanze, gli anni Ottanta so no inoltre caratterizzati da una crescente indipendenza dai sindaca ti: se gli anni Settanta avevano visto, nelle relazioni tra movimento operaio e movimenti della sinistra libertaria, il passaggio da un at teggiamento di cooptazione a uno di competizione, gli anni Ottanta vedranno una crescente reciproca autonomia, con alcuni momenti di cooperazione. Un maggiore distacco dalla politica caratterizz in fatti lazione dei sindacati che, in questo periodo, vedevano venire al pettine una serie di nodi strategici. Gi rispetto al movimento della pace, la loro posizione era stata esitante. Se le organizzazioni sinda cali promossero infatti una serie di iniziative sul tema della pace, so lo raramente per esse parteciparono direttamente alle attivit del movimento12. Pur mobilitandosi su temi quali la denuncia dei rischi della bomba N, la necessit di eliminare gli squilibri Nord-Sud, la ri chiesta di un controllo pubblico e democratico sul commercio delle armi e di una riconversione dellindustria bellica, il movimento sin dacale, contrariamente ad altre componenti del movimento pacifi sta, ribadir spesso la sua fiducia nei negoziati di Ginevra, rifiutan do lipotesi di un disarmo unilaterale, e criticher come troppo tie pida la posizione del C n c p rispetto al colpo di stato in Polonia e al laggressione militare sovietica in Afganistan. Le esitazioni del sindacato possono essere collegate, tra laltro, a un momento di crisi e trasformazione. Il dissenso tra C g i l , C i s l e UlL, gi emerso sul Fondo di solidariet e do p oja sconfitta alla Fiat nel 1980, si acceler infatti nel 1984 con laccordo separato con cui

>2 Ad esempio, nel 1981, C g il , C isl e UlL pubblicarono un documento sulla pace e il disarmo, e indissero una manifestazione nazionale a Firenze con la par tecipazione di circa 170 mila dimostranti; nel 1983 promossero una catena umana dal Consolato americano a quello sovietico e una manifestazione a Reggio Emilia per chiedere la sospensione dei lavori alla base di Comiso.

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C i s l e U i l accettarono un taglio di tre punti alla scala mobile e il de

creto Craxi sulla scala mobile, fino allo scioglimento della federa zione unitaria e alla sconfitta del referendum abrogativo dellaccor do sulla scala mobile nel 1985. Nella seconda met degli anni O t tanta, lemergere in vari settori di Comitati di base (C o b a s), estre mamente critici rispetto ai sindacati confederali, produrr nuove di visioni. Nel corso del decennio entrer inoltre in crisi quella che Aris Accornero (1992) ha definito come la determinante endogena della parabola del sindacato: l'egualitarismo salariale come caposaldo ideologico e scelta di valore. Inizialmente fattore di unificazione, le gualitarismo salariale si trasformer in un elemento di divisione: Svalorizzando i differenziali professionali e penalizzando il lavoro qualificato, legualitarismo salariale fin col mortificare le stratifica zioni basate sul know-how, sullesperienza, sul merito, sullistruzio ne (Accornero 1992:35). La sfida per il sindacato, di fronte alla tra sformazione degli atteggiamenti rispetto al lavoro, sar lo sposta mento del baricentro dellazione sindacale verso obiettivi relativa mente nuovi e poco sperimentati. Un sindacato che ha via via defi nito tutte le sue vittorie in termini di conquistata rigidit, si trova og gi a doversi muovere su un terreno diverso, e anzi opposto, quello della flessibilit (Giovannini 1993:259). Ancora in questo periodo, si cominci a diffondere la consapevolezza della presenza, nel sin dacato, di gravi carenze dal punto di vista della democrazia interna. La tradizionale tendenza al rifiuto delle regole interne cominci ad avere effetti tanto pi gravi quanto pi il sindacato acquistava posi zioni di potere (e sottopotere) nelle istituzioni13. I collegamenti tra sindacato e partiti hanno comportato, infine, il pericolo di ripercus sione sui primi della crisi di legittimazione dei secondi (Giovannini

13 Come ha osservato ancora Accornero: I sindacati si occupano di forma zione degli albi professionali, di sedi per la concessione di licenze, di commissio ni di disciplina per barbieri e parrucchieri, di commissioni d esame e di concorso, di biblioteche comunali, di assicurazioni sociali, di sorveglianza sui prezzi e sulle tariffe; e poi sono dentro a consigli di amministrazione di ministeri, enti e banche; si occupano di teatri, aziende di soggiorno, aziende per il turismo, commissioni per la pesca. Nei consigli di amministrazione degli spacci aziendali e dei circoli ri creativi ci sono solamente sindacalisti e il giro daffari davvero ingente [...] Q ue sta presenza caotica e approssimativa basata sulla nomina dallalto assai pi che sullinvestitura dal basso: migliaia di rappresentanti sono burocraticamente desi gnati dallorganizzazione allinsaputa dei lavoratori e persino degli iscritti (Ac cornero 1992: 203-204).

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1993: 264). Di fronte a queste difficolt, il sindacato tendeva quindi a rinunciare al ruolo politico che lo aveva caratterizzato in altri pe riodi. Mentre i rapporti con i potenziali alleati divenivano pi nego ziali, si costruivano comunque a poco a poco risorse politiche in terne alla famiglia dei movimenti della sinistra libertaria. Nelle cam pagne di protesta venivano rimobilitate risorse preesistenti: nel mo vimento per la pace si riattivarono, ad esempio, i gruppi femministi accanto alla Nuova sinistra, gli ecologisti accanto ai circoli giovani li14. Nella fase alta della mobilitazione, il raggio delle persone coin volte si allarg ben al di l dei piccoli circoli che avevano permesso lemergere della protesta. Quando la mobilitazione declin, soprav vissero reti organizzative spesso basate su relazioni amicali, offren do poi risorse per nuove campagne. Per fare un solo esempio, quan do unondata di occupazioni nelle scuole e universit emerger nel 1985, le risorse per la mobilitazione saranno offerte dagli studenti che avevano partecipato alle mobilitazioni per la pace allinizio de gli anni Ottanta (e in particolare alle occupazioni per la pace nel lautunno del 1983). Grazie alla prevalenza di organizzazioni di mo vimento che permettevano una partecipazione multipla, cominci a manifestarsi cos il consolidamento di un potenziale di mobilitazio ne per i movimenti della sinistra libertaria, relativamente facile da at tivare in specifiche campagne - basti ricordare che ben il 77 per cen to degli attivisti del movimento ecologista avevano avuto preceden ti esperienze in altri movimenti e associazioni (ben il 54 per cento nel movimento degli studenti)15. Al di l dellattivarsi periodico delle campagne di mobilitazione, il fenomeno dellassociazionismo esterno ai partiti mostra un au mento delle risorse disponibili per lorganizzazione di gruppi di in teresse pubblico. Grazie alla moltiplicazione degli episodi di prote sta si diffusero infatti le capacit tecniche per lorganizzazione delle azioni collettive. Da un lato, la presenza di individui dotati di espe rienze dirette o capaci di accedere a informazioni sulla organizza zione della protesta permette rapidi processi di apprendimento. Dallaltro, dopo i primi stimoli iniziali, le capacit di organizzazione

14 Fra i gruppi di donne che parteciparono alla mobilitazione pacifista, vi fu rono il Gruppo 10 marzo o La ragnatela (Addis e Tiliacos 1985). 15 Si veda la gi citata ricerca di Roberto Biorcio sui partecipanti allassemblea nazionale indetta dalle liste Verdi a Pescara (Biorcio 1988b: 125).

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dellazione collettiva tendono inoltre a diffondersi - come eviden te, ad esempio, nel racconto di uno dei fondatori del Comitato Se rena Cruz,
D a semplici cittadini, ferrovieri, pensionati, casalinghe ci siam o trovati in questa situazione, senza conoscere in un prim o m om ento la legge, senza sapere com e gestire i mezzi di comunicazione, senza nessuna esperienza. Volevamo sensibilizzare lopinione pubblica ed eravamo convinti che si trat tasse di un errore giudiziario che poteva essere corretto. Per questo dap pri ma ci siam o mobilitati. Credevam o di essere ascoltati, che la nostra testi monianza e la nostra opinione fossero tenute in conto [...] D o p o un m ese a contatto con giudici, avvocati, giornalisti abbiam o im parato come si fa. A desso siam o in grado di organizzare una conferenza stam pa, sappiam o co m e trattare con quelli della televisione, com e com portarci con gli avvocati, e conosciam o a m enadito la legge sulladozione. (Turnaturi 1991: 73)

I movimenti degli anni Ottanta usufruiscono quindi, spesso, delle risorse organizzative e di militanza formatesi nel corso di pre cedenti mobilitazioni, e continuano a ricrearle.

4.3. Assimilazione e pragmatismo Nel corso degli anni Ottanta, anche i rapporti con le istituzioni divengono estremamente pragmatici - influenzati pi dagli output in termini di politiche pubbliche che da quelli in termini di ordine pubblico. Lo stile di controllo di polizia della protesta , negli anni Ottanta, cambiato ancora una volta, e in modo cos significativo che sarebbe difficile da spiegare se non si tenesse conto dello shock profondo prodotto dal terrorismo sia sui movimenti che sulle istitu zioni. Mentre lo scioglimento dei gruppi pi radicali rendeva super flue le misure di repressione pi dura, il declino del terrorismo port al moltiplicarsi degli appelli per una riconciliazione naziona le, e a una revisione della legislazione di emergenza. Nel 1981, una riforma da lungo tempo richiesta allinterno stesso della polizia, smi litarizz e professionalizz il corpo, trasformandone pratiche e com portamenti. Questi cambiamenti si riflessero in un atteggiamento pi tollerante verso il movimento della pace, allinizio degli anni O t tanta, e verso gli altri movimenti, successivamente. Nel corso del de cennio, quindi, il controllo della protesta da parte della polizia di venne pi m orbido e pi selettivo (Della Porta 1995: cap. III). 119

Quando gruppuscoli di autonomi prendevano parte alle grandi ma nifestazioni di massa, lintervento della polizia era di solito orienta to a tenere sotto controllo le azioni violente, senza mettere in peri colo gli altri dimostranti. L e organizzazioni nonviolente talvolta collaboravano, mediando tra autonomi e polizia, in modo da evitare escalazioni. Anche il controllo degli atti di disobbedienza civile e delle azioni dirette nonviolente divenne pi tollerante e preventivo. Nel corso del pur aspro conflitto sul tema della pace, le occasioni di scontro tra dimostranti e polizia furono limitate. Quando gli attivi sti del movimento nonviolento incriminati per disturbo della quiete pubblica criticarono i giudici, ci non fu per protestare contro sen tenze troppo dure ma piuttosto per denunciare che i magistrati era no troppo inclini al compromesso16. Anche in questo periodo la reazione di polizia e magistratura al la protesta riflesse le caratteristiche del sistema politico. Allinizio degli anni Ottanta, i primi governi con presidente del Consiglio non democristiano nella storia della Repubblica segnalarono alcuni mu tamenti, sottolineando unimmagine di efficienza. Nel 1979 lele zione a presidente della Repubblica di Sandro Pertini, una delle fi gure pi popolari della Resistenza, contribu a una rilegittimazione delle istituzioni democratiche, che erano apparse vacillare, sotto ten tativi di colpi di stato e attacchi terroristici, nel decennio preceden te. Nel 1981 lincarico di formare il governo venne dato, per la pri ma volta nella storia della Repubblica, a un non-democristiano, il leader del P ri Giovanni Spadolini. Nel 1983 il crollo della De alle elezioni politiche (dal 38,3 al 32,9 per cento alla Camera) apr la stra da alla presidenza del governo al Psi (passato dal 9,8 all 11,4 per cen to). In quellanno, infatti, Bettino Craxi, segretario socialista dal 1976, fu nominato presidente del Consiglio dei ministri e lo rimase fino al 1987 (quando il Psi balz al 14,3 per cento). La rissosit al linterno della coalizione di governo imped comunque lavvio di se rie riforme. Come emerger con chiarezza allinizio degli anni N o vanta, Craxi si mostrato pi abile come stratega per il suo parti to che per il paese, e non ha saputo elaborare una vera strategia riformista (Ginsborg 1989: 568). Nonostante limmobilismo so stanziale del governo a presidenza socialista, la tendenza a continui
16 Ad esempio, un attivista pacifista ha lamentato il fatto di essere stato assol to per non avere commesso il fatto, nonostante la sua piena confessione (LA bate 1990).

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compromessi permise ai movimenti della sinistra libertaria di infil trarsi in alcuni interstizi del sistema delle decisioni pubbliche, men tre la fine del terrorismo moltiplicava le spinte alla pacificazione (spinte recepite, tra laltro, dallattuazione della legge di riforma carceraria). Le rivendicazioni sostenute dai movimenti della sinistra liberta ria - in particolare la pace e lambiente - non polarizzarono n la stampa n lopinione pubblica, e i repertori nonviolenti accrebbero le simpatie per i movimenti17. Ma allo stesso tempo, gli anni Ottan ta sono gli anni della pi intensa corruzione politica, con una ten denziale rinuncia dei partiti a intervenire sul contenuto delle politi che pubbliche se non nei casi in cui queste potevano essere remu nerative in termini di finanziamento illecito della politica e dei poli tici (Della Porta 1992; Della Porta e Vannucci 1994). La debolezza dei partiti come propositori di politiche pubbliche ha probabilmen te accentuato la tendenza dei movimenti della sinistra libertaria ad agire come gruppo di pressione, cercando di influenzare direttamente i reticoli di policy-makers, dove venivano prese le decisioni sulle politiche pubbliche. Anche i rapporti con gli enti locali sembrano essere stati im prontati a un certo pragmatismo, con la tendenza di molti attori a spostarsi rapidamente dal campo delle controparti a quello degli alleati e viceversa. Se la ricerca di autonomia portava a una critica di quella che i francesi chiamano politique politicienne, i legami con le istituzioni non si interruppero, tuttaltro. stato cos osservato che: Se in fasi precedenti lazione collettiva era infatti o tutta interna o tutta esterna alle istituzioni politiche, gli anni 80 la vedono collo

17 I movimenti degli anni Ottanta non solo non trovarono una opposizione ra dicale nel sistema, ma sembrarono addirittura capaci di esercitare in vario modo influenza politica. Il movimento della pace, ad esempio, nonostante la sua scon fitta sul tema dellinstallazione dei missili a testata nucleare, ha ampliato la consa pevolezza su una serie di temi connessi alla pace. I sondaggi hanno dimostrato in fatti un crescente sostegno al movimento per la pace nella opinione pubblica e nella classe politica. Per quanto riguarda lopinione pubblica, le simpatie per il movimento della pace sono salite dal 61 per cento nel 1982 all87 nel 1984 (Battistelli et al. 1990). Per quanto riguarda la classe politica, secondo una ricerca sui membri delle commissioni difesa e esteri dei due rami del Parlamento, il movi mento pacifista veniva giudicato positivamente dal 71 per cento degli intervistati (Battistelli et al. 1990). Secondo un sondaggio Doxa, tra il 1978 e il 1986 il nume ro di persone favorevoli allabolizione delle centrali nucleari aument dal 25,6 al 72,5 per cento (Biorcio 1987).

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carsi contemporaneamente dentro e fuori il sistema politico (Lodi 1984: 91). Gli enti locali hanno giocato, ad esempio, un ruolo im portante sin dallinizio della mobilitazione pacifista. Amministrazio ni comunali, provinciali e regionali hanno aderito o addirittura con vocato cortei contro larmamento, oltre a finanziare iniziative cultu rali sui temi della pace18, mentre importante dal punto di vista sim bolico stata anche la dichiarazione dei comuni di adesione al mo vimento della pace e lautoproclamazione come zona denuclearizza ta. Nella fase di riflusso della mobilitazione alcuni enti locali si fa ranno carico di iniziative - quali convegni, convenzioni e disegni di legge - che contribuiranno a tenere in vita il discorso pacifista19. Anche il movimento ecologista stato caratterizzato da frequen ti rapporti con gli enti locali. A livello locale, gli eletti nelle liste Ver di non hanno esitato a entrare in coalizioni di governo locale di vari colori, occupandovi spesso gli appena creati assessorati allAmbiente. Alleanze su singoli temi promossi dagli ecologisti (protezione de gli animali, detersivi senza fosfati, benzina senza piombo) hanno vi sto insieme politici di diversi partiti, sia di governo che di opposi zione (Diani 1990: 167-75). Soprattutto a partire dalla met del de cennio, numerose amministrazioni locali hanno formato Consulte per lambiente, mentre a livello nazionale veniva costituito, nel 1986, il Consiglio nazionale dellAmbiente, dove, insieme ai rappresen tanti delle forze politiche e sociali, sedevano esponenti dei gruppi ecologisti (in quello nazionale, Italia Nostra, W w f, Lega per lam biente, Greenpeace, L ip u , tra gli altri). Nello stesso anno, in paralle lo a quanto era gi avvenuto a livello locale con gli assessorati al

18 Una delle prime iniziative che contribu allemergere del movimento paci fista fu il meeting intemazionale contro gli armamenti nucleari organizzato dal co mune di Bologna nel 1980. Nel 1981 la Regione Umbria pubblic un appello per la pace e diede il suo sostegno alla III Marcia per la pace Assisi-Perugia, mentre rappresentanti dellamministrazione comunale e provinciale di Roma partecipa rono a manifestazioni. Nel 1982 il comune di Venezia organizz un convegno sul tema della difesa popolare nonviolenta, e molti enti locali - inclusa la giunta pentapartita di Napoli - diedero il loro sostegno alla marcia Milano-Comiso. 19 Ad esempio, nel 1987,50 enti locali organizzarono una convenzione nazio nale per la pace, cui segu un convegno con la partecipazione di 400 comuni smi litarizzati; lanno successivo, gli enti locali smilitarizzati indissero la marcia Camucia-Cortona sui temi di pace, fame e disarmo, mentre la Regione Toscana si im pegn a non erogare finanziamenti alle industrie di armi se non per riconversione ad altre produzioni. Nel 1988 il comune di Bari diede il suo patrocinio alla costi tuzione della Associazione per la pace.

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lAmbiente, venne creato un ministero per lAmbiente. Soprattutto per i gruppi ambientalisti e ecologisti, il rapporto con le istituzioni stato intenso:
I gruppi ecologisti svolgono sp esso una funzione suppletiva dei p u b blici poteri, tentando di ovviare ai gravi limiti dellazione p u bblica in fatto di tutela ambientale. A tal fine sviluppano attivit di volontariato com e la gestione di oasi naturalistiche, l organizzazione di cam pi di lavoro in zone esposte ai rischi di degrado, la gestione di ospizi p er animali, la raccolta di docum entazione. Sem pre in questa prospettiva si collocano le attivit di dattiche nelle scuole. D al canto suo listituzione offre - non sem pre, ed ov viam ente non nella m isura che gli ecologisti riterrebbero adeguata - risor se organizzative e finanziarie: patrocina iniziative, finanzia corsi, mette a di sposizione locali da utilizzare com e sedi, ecc. (D iani 1988: 169)

Significativamente, secondo una ricerca condotta a Milano, L atteggiamento complessivo delle organizzazioni ecologiste verso il sistema politico nettamente orientato a favore di una collabora zione con le istituzioni piuttosto che con i partiti (Diani 1988: 167), mentre gli enti locali e le assemblee elettive tendono ad es sere assunti come interlocutori piuttosto che come avversari (Dia ni 1988: 168). Anche sul nucleare, i movimenti sono riusciti ad al learsi con le istituzioni locali, allargando il conflitto al tema dei rap porti centro-periferia (Diani 1994). Un atteggiamento pragmatico rispetto alle controparti stato, inoltre, notato a proposito dei gruppi femministi. Negli anni Ottan ta, infatti, si cominci ad accettare il principio della delega e a criti care invece il separatismo; mentre si cercavano alleanze su obiettivi concreti, si apprezzava il rapporto con le istituzioni, soprattutto con le amministrazioni locali. Come stato osservato
O ggi ci siam o trasform ate in cooperative, centri culturali, centri di d o cum entazione, ci proponiam o di trovare udienza e sostegno nelle istituzio ni, di com unicare con il resto della realt femminile. [...] Il m ondo fem m i nile di queste nuove aggregazioni un m ondo di donne pragm atiche, da tem po inserite nei circuiti politici, che per la m aggior parte danno p oca im portanza al lato ideologico della contraddizione uom o-donna. Si dedicano con ardore alla questione della subalternit fem minile, m a loggetto dei lo ro entusiasm i non tanto il regno della differenza e dellidentit quanto la reale costellazione dei rapporti di potere in situazioni e contesti dati. (D A m elia 1985: 124-28, passim)

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Lo stesso vale per i movimenti urbani, il cui atteggiamento ri spetto alle istituzioni divenne, con leccezione di alcune organizza zioni, pragmatico e aperto al negoziato. Mentre la situazione poli tica si depolarizzava, i movimenti ritornavano, infatti, a unazione prevalentemente concentrata nella societ. A livello locale si sono moltiplicati, infatti, gruppi al confine tra associazione di volonta riato e movimento politico (cfr. ad esempio, Ranci, De Ambrogio e Pasquinelli 1991; Ramella 1994). Molte di queste associazioni han no interagito con lo Stato, e ci in almeno due modi. Il deficit di le gittimazione di alcune istituzioni pubbliche, ma anche dei partiti, ha spinto a cercare nelle associazioni volontarie nuove risorse di partecipazione, mentre la crisi del Welfare State portava a utiliz zarle come un canale pi economico per offrire alcuni servizi. M ol te associazioni hanno cominciato, quindi, a prendere parte alle de cisioni collettive e a ricevere contributi, talvolta ingenti, dalla am ministrazione pubblica. Sembra valere dunque anche per lItalia quanto stato osservato a proposito del caso tedesco;
I governi locali, forzati a trovare m odi nuovi e alternativi p er far fron te alle restrizioni fiscali im poste dalle conseguenze di ristrutturazione eco nom ica, disoccupazione, e crescenti costi dei servizi sociali, iniziarono a guardare alle potenzialit innovative di associazioni com unitarie e organiz zazioni alternative. C os, nel corso del decennio, si ebbe una transizione da movimenti sociali urbani che sfidavano lo stato a relazioni m eno conflit tuali tra gruppi di interesse e la burocrazia locale dello stato sociale, m es sa sem pre pi di fronte ai propri limiti. (M ayer 1993: 158)

Si sono ridotte infine, fin quasi a scomparire, le occasioni di con flitto violento tra movimenti e contromovimenti. Nonostante alcuni terroristi neofascisti fossero sospettati di partecipazione alle due stragi che insanguinarono lItalia nel corso di questo decennio - la strage alla stazione di Bologna il 2 agosto 1980 (85 morti e oltre 200 feriti) e quella sul rapido 904 il 23 dicembre 1984 (15 morti e 185 fe riti) - i contromovimenti della destra neofascista, insieme ai gruppi pi radicali della sinistra, decimati dagli arresti, entrarono in una faj se di latenza. Gli anni Ottanta coincidono, inoltre, con una graduaI le inclusione del Msi nel sistema politico (Ignazi 1994b: 65-69)20.
20 Le principali tappe simboliche di questo processo di legittimazione sono, allinizio del decennio, la partecipazione di esponenti radicali e socialisti a un con vegno organizzato dal M si sulle riforme istituzionali e le dichiarazioni di non chiu sura pregiudiziale verso la destra dellallora presidente del consiglio Bettino Craxi.

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Dal canto suo, il Msi annunci unopposizione costruttiva - il si gnificativo titolo del X IV congresso Dalla protesta alla proposta mentre la visita di Almirante e Romualdi alla salma di Enrico Ber linguer sanciva un clima di deradicalizzazione. Un altro gruppo che potrebbe essere definito come contromovi mento, Comunione e liberazione ( C l ) , entr solo raramente in inte-/ razioni dirette con i movimenti della sinistra libertaria. Anche quan do dalla organizzazione-madre si costitu il Movimento popolare (M p), con lobiettivo di diffondere una visione integralista del catto licesimo, il messianismo politico del gruppo non sfoci in azioni vio lente. Seppure forti di numerosi seguaci - si parla di alcune decine di migliaia di aderenti negli anni Ottanta - C l e M p raramente ado pereranno forme di protesta vere e proprie, entrando quindi in con tatto con gli attivisti del fronte opposto pi spesso nelle istituzioni che nelle piazze (Accattoli 1989). Se la loro mobilitazione ha proba bilmente indebolito le chances di successo dei movimenti della sini stra libertaria su alcuni temi, essa non ha prodotto per quelle spi rali di violenza che abbiamo osservato nel caso delle interazioni di rette tra movimenti e contromovimenti negli anni Settanta. I residui segnali di conflitto radicale, almeno sul piano simboli co, vennero dalle subculture giovanili. Soprattutto nelle metropoli le bande spettacolari - mods, rockabillies, punks, heavy metal kids, skinheads - si svilupparono tra la fine degli anni Settanta e la met anni Ottanta. In particolare a proposito dei punks stato osservato che: la politicizzazione latente della subcultura favorita dal con testo e dalla tradizione politica italiana; che tale politicizzazione fa cilita il riemergere di tradizioni politiche passate (nel nostro caso aree dellestremismo politico di sinistra); che le alleanze che posso no risultare da tali intrecci tendono a paralizzare lo sviluppo inno vativo della subcultura e a indirizzarla su binari di espressione gi noti e talora logorati (Beccalli 1986: 13). Tuttavia, anche le subcul ture giovanili degli anni Ottanta sono descritte come caratterizzate da realismo, pragmatismo, enfasi sul tempo libero, propensione al linnovazione (Calabr 1986: 272-73). Se lappartenenza a bande spettacolari era una identificazione negativa, essa era comunque una identificazione transitoria (Leccardi 1986: 215-21). Concludendo, alla fase di radicalizzazione degli anni Settanta se gu una fase di istituzionalizzazione, caratterizzata dal proliferare di associazioni di base, con una ideologia pragmatica. In questa fase la 125

zione collettiva non scomparve, ma si trasform notevolmente. In primo luogo, dal punto di vista organizzativo, la struttura relativa mente centralizzata dei gruppi della Nuova sinistra cedette il passo a una struttura reticolare, policfala e multiforme. Centinaia di co mitati, basati a livello di quartiere o luogo di lavoro, vennero costi tuiti su vari temi, e si coordinarono in maniera flessibile, spesso al linterno di strutture a ombrello, dotate di funzioni limitate allor ganizzazione di singole campagne. Mentre le unit di base speri mentavano forme di aggregazione, sperando di trovare soluzioni che permettessero di superare i limiti dellassemblearismo senza rinun ciare alla partecipazione, si costituirono anche associazioni formali, capaci di funzionare in maniera efficiente. Allinterno di un model lo prevalentemente laico e inclusivo, si sono comunque mantenute 'due formule organizzative: pi formale ed elitaria la prima, pi informale e partecipativa la seconda. Anche dal punto di vista ideo logico, i movimenti della sinistra libertaria si sono mossi sul doppio binario della utopia universalista e del perseguimento pragmatico di single issues, oscillando tra un ottimismo riformista e un pessimi smo minimalista. Spesso definiti come egoisti, autosufficienti e autoreferenziali, questi movimenti presentavano per rivendicazio ni universalistiche, mobilitandosi per riaffermare diritti negati. Prag matiche nel loro linguaggio, le organizzazioni dei movimenti collet tivi degli anni Ottanta hanno affermato una novit importante: il di ritto dei cittadini di intervenire, senza necessariamente la mediazio ne di partiti e gruppi di interesse, nelle decisioni pubbliche che ri guardano la loro vita quotidiana e il loro futuro. Forme di pressione pi tradizionali si sono combinate con i primi esempi di azione non violenta, ed ha avuto inizio un processo di de-escalation. La pi gran de innovazione nel repertorio della protesta stata, infatti, la preva lenza di azioni nonviolente, con il diffondersi sia di forme di disob bedienza civile che di tattiche ad alto valore simbolico, capaci di at trarre lattenzione dei media e di rafforzare la solidariet tra i parte cipanti. Seppure con diverse strategie, i partiti della sinistra hanno offerto al movimento dei canali di accesso nelle arene delle decisio ni pubbliche. Fra gli alleati, il Pei, ancora una volta allopposizione, era divenuto pi ricettivo alle azioni di protesta, aprendosi a colla borazioni in diverse campagne. Pi ancora che negli anni Sessanta, comunque, i movimenti della sinistra libertaria hanno dimostrato di temere una cooptazione nella vecchia sinistra, cercando di man 126

tenere, e sottolineare, la propria autonomia. Al contempo, le con troparti dei movimenti assumevano un atteggiamento pi aperto al negoziato, con concessioni frequenti alle richieste dei movimenti, mentre scomparivano quasi le occasioni di interventi coercitivi del la polizia nel controllo della protesta e di conflitti fisici fra movi menti e contromovimenti.

MOVIMENTI E PROTESTA IN ITALIA. ALCUNI SCENARI PER G LI ANNI NOVANTA

Abbiamo notato nei precedenti capitoli che i decenni a cavallo tra il 1960 e il 1990 hanno visto, in Italia, lemergere e listituziona lizzazione di una famiglia di movimenti sociali: i movimenti della sinistra libertaria. Nella storia dei movimenti sociali nel nostro pae se, gli anni Sessanta sono stati anni di speranze di grandi trasforma zioni, dentro unutopia rivoluzionaria; gli anni Settanta vengono ri cordati come il decennio della violenza, pessimista e radicale; gli an ni Ottanta hanno visto le attivit di movimenti pragmatici e mode rati. In una sommaria comparazione con i movimenti della sinistra libertaria in altre democrazie occidentali, quelli italiani sono stati ca ratterizzati da una struttura organizzativa pi formalizzata, da una minore rottura ideologica con il discorso della sinistra tradizionale e da un maggiore radicalismo nelle forme d azione (Della Porta 1995). Questi tratti peculiari hanno teso comunque a sfumare negli anni Ottanta, quando si sono sviluppati movimenti decentrati nella loro struttura organizzativa, pragmatici nella loro ideologia e mode rati nelle loro forme d azione. Nei primi anni Novanta sono emersi movimenti collettivi su te matiche nuove e diverse rispetto a quelle che avevano caratterizza to i movimenti dei decenni precedenti. Il 5 dicembre 1989, da unoccupazione delluniversit di Palermo, nascer il movimento della Pantera, che, a partire dal gennaio 1990, si estender su tutto il territorio nazionale, prima di declinare con la fine delle occupa zioni a met marzo. Allinizio del decennio, giovani delle piccole citt e delle metropoli occuperanno spazi in disuso per farne centri sociali autogestiti, luoghi di elaborazione di una controcultura gio vanile. Nello stesso periodo, organizzazioni politiche di base sono sorte per rivendicare il federalismo o il ritorno della legalit demo

cratica. A partire dal 1992, anno di stragi mafiose e di innumere voli arresti per corruzione politica, uno dei temi principali della protesta la questione morale, con campagne di sostegno ai giudi ci di Milano che indagano sulla corruzione e la criminalit organiz zata. In apparenza, dunque, stanno emergendo delle famiglie poli tiche estranee rispetto al cleavage destra-sinistra. Quali sono le caratteristiche dei movimenti degli anni Novanta? Il processo di istituzionalizzazione che abbiamo descritto per gli anni Ottanta continuer ancora negli anni Novanta? O ppure que sti ultimi testimoniano di una nuova svolta per quanto riguarda la protesta e lazione collettiva? Su queste questioni cercher di ra gionare nel corso di questo capitolo, guardando non solo ai movi menti della sinistra libertaria ma anche a quelli che sono stati tal volta definiti come nuovi movimenti antisistema, perch espri merebbero la delegittimazione di una classe politica sconvolta dagli scandali legati allo svelamento della corruzione politica e incapace di far fronte alla congiuntura economica negativa. Nel far questo, guarder allevoluzione di alcuni movimenti collettivi nei primissi mi anni del decennio, cercandovi degli indizi di future tendenze. Date le scarse conoscenze scientifiche sulla fase pi recente della storia italiana, il mio obiettivo non quello di fornire unimmagine esauriente della situazione dei movimenti sociali, ma piuttosto di proporre delle ipotesi interpretative e di argomentarle attraverso al cune illustrazioni.

1. Partitizzazione o dissoluzione?
L a struttura organizzativa dei movimenti degli anni Novanta apparsa, come nel decennio precedente, fluida, con una serie di as sociazioni prevalentemente autonome che convergono tempora neamente in alcune campagne. In confronto con gli anni Ottanta, comunque, la novit rappresentata dallemergere e dal rapido consolidamento di gruppi radicati a livello nazionale e centralizza ti che, pur partecipando alle elezioni e alla gestione delle istituzio ni, rifiutano di considerarsi partiti, rivendicando le loro origini nel la societ civile. Una struttura decentrata, con vari gruppi coordinati in campa gne di protesta ha, ad esempio, il movimento antimafia, iniziato con le manifestazioni spontanee seguite allassassinio del generale Car130

10 Alberto Dalla Chiesa, della moglie e dellautista. Nel gennaio 1984 rappresentanti locali di partiti e sindacati avevano formato in fatti il Coordinamento antimafia. Molto conflittuale allinterno per via della sua conformazione di intergruppo1, il Coordinamento si era per ben presto dissolto, ricostituendosi attraverso adesioni ri gorosamente individuali nel 1986. Alla fine degli anni Ottanta, que sto secondo coordinamento - guidato dal figlio di una delle vittime della mafia, Carmine Mancuso - aveva circa 300 firmatari e migliaia di seguaci. Esso sar per lungi dal rappresentare tutti i gruppi di varia natura che agiranno nel movimento: dal centro sociale di San Severio, costruito attorno a un gruppo di volontari cattolici, al pic colo nucleo di intellettuali, organizzati attorno al Centro di ricerca sulla mafia Giuseppe Impastato, o al Comitato dei lenzuoli, nato dalle iniziative spontanee di tre sorelle e delle loro figlie. Avvalen dosi di alcune risorse organizzative preesistenti - dalle reti di ex-mi litanti delle lotte contadine degli anni Cinquanta e Sessanta a quel le degli attivisti del movimento della pace, dagli studenti della Pan tera alle donne del movimento femminista - il movimento si co struir come reticolo denso di rapporti. Queste risorse preesistenti vengono filtrate attraverso un incontro concretizzatosi spesso nelle universit: gli antropologi americani Jane e Peter Schneider (1994: 24) hanno notato, infatti, la preponderanza di una intelligentia educata alluniversit - gente con carriere o aspirazione a carriere nel lavoro sociale, insegnamento, legge, governo, giornalismo, sa nit, e il clero - con densi reticoli, composti in particolare da ex compagni di scuola. In modo simile, nelle universit, il movimento della Pantera ha adottato forme organizzative di tipo partecipativo: lassemblea era la sede decisionale, le commissioni (su temi che andavano dalla di dattica alle barriere architettoniche, dal diritto allo studio allazio ne creativa) il luogo dove elaborare i contenuti del movimento. 11 coordinamento veniva garantito, oltre che dalle due assemblee nazionali di fine gennaio a Palermo e fine febbraio a Firenze, da una rete telematica che metteva in comunicazione via fax le facolt oc cupate. Se il modello organizzativo assomigliava a quello delle pre cedenti ondate di protesta nelle universit, vi era comunque anche
1 Nel Coordinamento antimafia vi erano, ad esempio, organizzazioni catto liche quali le A c li, Pax Christi, i Beati costruttori di pace e la Rosa bianca, ac canto al Comitato promotore referendum del 9 giugno e alla C gil .

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una consapevolezza, maggiore che nei movimenti studenteschi del passato, dei rischi della democrazia partecipativa: non a caso, al lassemblea nazionale di Firenze si discuteva sul ruolo dei portavo ce delle 179 facolt in agitazione, da alcuni considerati come dele gati con capacit di decidere, secondo altri mero canale informa tivo. Si cercava, inoltre, di affrontare il problema della rappresen tativit attraverso la ricerca dellunanimit e la fissazione di un nu mero legale per il funzionamento delle assemblee, mentre lelezio ne di un presidente e due vice-presidenti di assemblea esprimeva la ricerca di garanzie di eguali possibilit di espressione per tutti. Estremamente decentrata anche la struttura dei centri sociali autogestiti, molti dei quali emergono proprio negli anni Novanta, rispecchiando le insoddisfazioni delle giovanissime generazioni per il sistema sociale e la cultura dominante. Pur costituendo un feno meno diffuso - una recente inchiesta ne ha contati oltre cento - i centri sociali autogestiti sono dotati di scarsissimi momenti di coor dinamento, tra i quali le riviste Autonomen (pi politica) e V i rus (di controcultura punk), cui si pu sommare il circuito della autoproduzione musicale (come lassociazione Lega dei furiosi) (Adinolfi 1994; Moroni 1994). Allinterno di ciascun centro, le de cisioni vengono prese dallassemblea. Come stato osservato di re cente: la forma politica da loro scelta trova le sue origini nella C o mune di Parigi, piuttosto che in rissosi e inutili comitati centrali (Vecchi 1994: 9). Il modello organizzativo teorizzato infatti la re te costituita da nodi tra loro indipendenti ma connessi da una ragnatela di conoscenza, e cio lappartenenza a uno stesso gruppo con medesime finalit politiche (Vecchi 1994: 9). Una struttura organizzativa decentrata ha adottato perfino una organizzazione che ha assunto poi la forma partito: il Movimento per la democrazia-La Rete. Nata a Palermo nel 1989 attorno al po polarissimo ex-sindaco democristiano Leoluca Orlando, protago nista di una stagione di mobilitazione contro la mafia, conosciuta come primavera di Palermo2, la Rete si aprir presto anche a non cattolici e si presenter come movimento e come lista elettorale. Come il movimento pacifista, anche la Rete sottolinea il principio della responsabilizzazione individuale degli aderenti: L atto di adesione ad esso - si legge nel manifesto costitutivo del gruppo 2
1994. Per la storia della Rete rinvio a Mastropaolo 1992; Pellizzari 1992; Totaro

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implica lassunzione di un impegno personale attraverso una firma e una sottoscrizione, comporta il rifiuto di ogni logica o pratica correntizia e non viene da alcuna tessera di iscrizione (Manifesto co stitutivo del Movimento per la democrazia - La Rete, 1991). Allassemblea nazionale a Roma, nel novembre 1991, i 355 de legati dei 15 mila firmatari del manifesto di fondazione del gruppo sceglieranno una struttura organizzativa decentrata. La Rete strut turata in organismi cittadini autonomi sul piano politico e organiz zativo, dotati di unit di lavoro e coordinati nellassemblea di citt secondo lo statuto, infatti, il livello fondamentale della Rete la citt (art. 10). A coordinamento regionale, comitato nazionale, ga ranti e coordinatori nazionali e regionali vengono riconosciute so lo funzioni di controllo, rappresentanza ed elaborazione delle linee generali del programma. Basato sullattivit volontaria, il gruppo cerca di mantenere una organizzazione leggera e flessibile: su 350 gruppi locali esistenti nel gennaio 1994, solo 100 dispongono di una sede propria; le pubblicazioni hanno diffusione prevalentemente locale (circa 60 a febbraio 1994); il compito di coordinamento as segnato a Retefax, inviato via fax a tutte le sedi locali e agli ab bonati (Totaro 1994:74). Ancora indicativo della ricerca di un nuo vo modello organizzativo Pinclusivit della partecipazione: se condo gli articoli 3 e 4 dello statuto, si possono iscrivere alla Rete anche i membri di altri partiti e associazioni pubbliche, purch non vi ricoprano incarichi direttivi. Lautofinanziamento dovrebbe es sere favorito dalla regola secondo la quale ciascun aderente deve contribuire con almeno il 5 per mille del proprio reddito. Il ruolo importante assegnato alle assemblee, locali e nazionali, testimonia dellattenzione alla partecipazione dal basso, mentre una serie di re gole (obbligo di rinnovo frequente degli organi direttivi, fissazione di un minimo di partecipanti per la formazione delle strutture di base, ecc.) dovrebbe garantire dai pericoli di manipolazione da par te dei leader. Il fatto che le assemblee siano sempre pubbliche d o vrebbe favorire la trasparenza; lapertura delle unit di lavoro an che ai non aderenti evitare la chiusura allesterno. Come per il movimento pacifista, comunque, anche per la Rete questi principi organizzativi non saranno facili da mettere in prati ca. G i durante la seconda assemblea nazionale, tenutasi a Perugia il 20 novembre 1992, sul tema LItalia delle citt, lEuropa delle re gioni, nel gruppo - che contava adesso 25 mila aderenti, con 250 delegati e un coordinamento nazionale con 30 membri - emersero 1.33

contrasti tra i nostalgici del partito e i sostenitori del modello leggero. Nonostante le dichiarazioni in senso contrario, le vitto rie elettorali rafforzavano infatti la strutturazione partitica e la fun zione della leadership, che si identificava spesso con gli eletti negli enti locali e in Parlamento. Man mano che il gruppo si radicava nel le istituzioni acquistavano peso anche le risorse umane e culturali provenienti dai partiti3. Nonostante queste tendenze, comunque, la storia pi recente della Rete, con la fuoriuscita di alcuni dei suoi lea der pi conosciuti, non sembra certo sfociare in un modello di par tito di massa, ma piuttosto in unaggregazione di dirigenti locali e opinion leader. Ancora pi marcato nel senso della centralizzazione il per corso dellaltro protagonista della scena politica dei primi anni N o vanta, la cui storia - seppure certamente non assimilabile alla sini stra libertaria - pu dare alcune indicazioni sulle traiettorie evolu tive dei movimenti negli anni Novanta: la Lega Nord. Nate nei pri mi anni Ottanta su rivendicazioni federaliste e di difesa delle iden tit regionali in Veneto, Lombardia o Piemonte, le varie Leghe si unificheranno allinizio degli anni Novanta nella Lega Nord. Dal punto di vista organizzativo, allinizio della loro storia, le Leghe avevano una struttura organizzativa debole, costituita prevalente mente da associazioni culturali. Il nucleo iniziale della Liga Veneta era, ad esempio, rappresentato da membri della Societ filologica veneta, unassociazione per la difesa di cultura, storia e lingua ve neta. Il grado di formalizzazione, come stato osservato per i gruppi veneti, era basso: non vi sono procedure precise e ricor renti nel processo decisionale, n tanto meno sono previste e codi ficate le carriere interne (Diamanti 1992: 237). La Unione nordoccidentale lombarda per lautonomia ( U n o p la ) , fondata da Um berto Bossi, seguiva, allinizio, percorsi organizzativi difficilmen te distinguibili dalle sue reti amicali, parentali e di vicinato (De Luna 1994: 45)4. La struttura della Lega Nord, che seguir alla U n o p l a , sar di tipo carismatico, con il potere effettivo nelle mani

3 Se prendiamo, ad esempio, i primi quindici parlamentari della Rete, ne tro viamo molti con esperienze di tipo associazionistico in vari gruppi sia della sini stra marxista che del volontariato cattolico, ma anche sette con precedenti espe rienze come politici di professione (tre nella De, due nel Pei, due in D p e Verdi). 4 Lo statuto della Lega lombarda verr sottoscritto da cinque soci fondato ri: Bossi, la sua amica Morone, il cognato Brivio e gli amici Leoni e Moroni.

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dei soci ordinari (127, di cui otto donne, tutti scelti dal fondatore). Tquaclri delle Leghe insistevano sul senso di dedizione e di appar tenenza, contrapponendolo al modello cinico del professionista p o litico. Soprattutto nella fase iniziale - come del resto per tutti i mo vimenti - le scelte di adesione sono maturate dentro gruppi amica li (Diamanti 1993: 81). Questa pratica organizzativa viene teorizza ta nei due programmi della Lega lombarda del 1982 e del 1983, d o ve si trova una esaltazione delle piccole comunit come elemento di autogoverno e sistema di valori. Dopo i primi successi elettorali, co me nella Rete, anche nella Lega vi sar un rifiuto di definire la pro pria formazione come partito, preferendo invece il termine di m o vimento. Slogan e messaggi insistono sullo stile diverso rispetto a quello burocratizzato dei partiti. Riutilizzando una formula ela borata in Germania dai Grnen, la Lega Nord si proporr come partito anti-partito, legato jdla societ civile. Lassociazionismo ha avuto infatti un ruolo importante non solo alle origini delle Leghe, ma anche nella loro successiva evoluzione, in particolare nella for mazione di un milieu di reclutamento. Molti quadri dellorganizza zione vengono, come ha osservato Diamanti, dalle fila dellasso ciazionismo locale cresciuto tra gli anni Settanta e Ottanta; dalla diffusa rete di gruppi operanti nellambito del tempo libero, delle attivit culturali, dello sport, luogo di formazione di unofferta di impegno fortemente pragmatica e lontana dalle culture politiche tradizionali: quella democristiana e quella di sinistra, anche perch da queste sostanzialmente ignorata (Diamanti 1993: 66; cfr. anche 1992). La struttura delle risorse organizzative del partito si per tra sformata con lingresso nelle istituzioni. Negli anni Novanta, so prattutto dopo i successi elettorali che hanno trasformato la Lega in partito di governo, anche il modello organizzativo viene rielabo rato. Il 22 novembre 1989 si costitu la Lega Nord, dove confluiro no Lega lombarda, Lega emiliano-romagnola, Alleanza toscana, Union ligure, Liga veneta e Piemont autonomista. Allinizio degli anni Novanta, sotto la spinta della crisi dei partiti tradizionali, il lea der della Lega lombarda Umberto Bossi propose la unione di pi movimenti in ununico strumento politico capace di vincere - un progetto che si attuer attraverso il riassorbimento nella Lega Nord (al congresso del febbraio 1991) di varie formazioni autonomiste con lunga esperienza alle spalle (come il Movimento del Friuli). D o po le elezioni amministrative del 1990 si complet, inoltre, il pas 135

saggio dalla spontaneit organizzativa al modello di partito di massa, dotato di centri di coordinamento, commissioni studio, se zioni comunali e provinciali, e un giornale, Lom bardia autonomi sta, dotato di numerose redazioni locali. Accanto alla organizza zione orizzontale, era prevista una struttura verticale distinta per comparti produttivi: Sindacato autonomista lavoratori (Sal), A sso ciazione lombarda agricoltori (A la), fino ad arrivare, nellaprile 1992, alla Unione culturale leghe italiane sportive (U c l is ). Nacque ro inoltre associazioni parallele, formalmente autonome, come il Sindacato autonomo lombardo e la Associazione di liberi impren ditori autonomisti o la Associazione lombarda agricoltori. Lingres so nelle istituzioni ha inoltre portato alla Lega Nord molti fuoriu sciti dai vecchi partiti: sia dalle fila della De, oltre che dai seguaci di Pino Rauti scontenti della segreteria Fini, che, in misura minore, dalla sinistra (per alcuni esempi, Pajetta 1994: capp. 2 e 3). Si co minciato cos a parlare di una nuova casta dei sindaci e degli as sessori, invitati di diritto a congressi e assemblee (Pajetta 1994: 94). Nonostante questi cambiamenti, comunque, la Lega Nord non riuscir a elaborare una struttura centralizzata. La presenza, tra i candidati delle Leghe, di esponenti di professioni caratterizzate da un forte legame con il territorio (artigiani, commercianti ma anche professionisti) port il rischio di una notabilizzazione (Segatti 1992). Dal punto di vista organizzativo ci ostacol il processo di centralizzazione, che del resto era gi reso difficile dalla costituzio ne della Lega Nord attraverso linglobamento di realt locali. Po che delle strutture di massa previste dagli statuti sembrano inoltre avere avuto successo. Il seguito di massa alle manifestazioni , inol tre, limitato. Come stato osservato, Certo nella Lega sopravvive, anzi rivive la militanza appassionata, ma dietro la schiera degli atti visti, invece dei classici simpatizzanti, appaiono direttamente gli elettori (Pajetta 1994: 94). Anche in questo caso, dunque, il modello organizzativo del partito di massa, pur auspicato, non sembra avere funzionato nella pratica.

2. Nuove famiglie di movimenti sociali?


Allinizio degli anni Novanta, troviamo dei movimenti che, al meno stando alle loro dichiarazioni esplicite, rifiutano di farsi assi milare alla sinistra cos come alla destra. A proposito del movimen t

to antimafia stato notato, ad esempio, che, se negli anni immedia tamente successivi alla guerra la mafia era stata considerata come uno strumento per lo sfruttamento sociale dei contadini senza ter ra, il movimento antimafia contemporaneo non adopera invece un linguaggio di classe. Negli anni Novanta, infatti, la mobilitazione contro la mafia viene presentata come un impegno morale e civile, prima ancora che politico - il pulito contro il corrotto (J. e P. Schneider 1994). Il movimento insiste a definirsi come unassocia zione di liberi cittadini, non-confessionale e anti-dogmatica. Non a caso, il Coordinamento antimafia ha preferito riunirsi in sedi di club sportivi invece che nelle sezioni del Pei, nonostante la maggior parte dei suoi membri fosse vicino a quel partito. Come hanno rile vato due sociologi americani: N ellenfatizzare la loro indipenden za dai sistemi di appartenenza, gli attivisti dellantimafia sono espliciti nellaffermare che la lotta contro la mafia non esprime pi le politiche secolari e anticlericali dellantagonismo di classe, come al tempo della riforma terriera. Piuttosto che appellarsi alla solida riet di classe, i leader dicono di rappresentare delle comunit (J. e P. Schneider 1994: 28). Anche i conflitti allinterno del movimento antimafia non sono articolati sulle tematiche tradizionalmente colle gate al continuum politico tra destra e sinistra, ma piuttosto alla d e finizione dei confini tra bene e male, alla distinzione tra puristi e non. Il movimento antimafia ha infatti un accentuato carattere cul turale, criticando quei valori che - come lonore e lomert - esso considera come incentivi allo sviluppo di poteri esterni allo Stato5. Anche le rivendicazioni del movimento degli studenti degli an ni Novanta sono state definite am bigue dal punto di vista politi co. Secondo un osservatore:
la richiesta degli studenti , da una parte, rivolta allautorealizzazione di s sul piano del sapere e quindi alla ricerca di una partecipazione al processo form ativo in m odo da non essere soltanto destinatari di inform azioni ma attori dellautoform azione di se stessi [...] M a, dallaltra parte, si pongono anche richieste di tipo adattivo, di carriera, di specializzazione, di com pe tenze, che rientrano nella lo g ica del su ccesso. (Barcellona 1991:207-208) Lattenzione alle trasformazioni culturali testimoniata, per fare un solo esempio, dalla pubblicazione, da parte del Comitato dei lenzuoli, di Nove con sigli scomodi al cittadino che vuole combattere la mafia, un documento in cui si in siste sulla necessit che i cittadini imparino a rivendicare i loro diritti contro lo Stato invece di chiedere favori, a educare i figli alla democrazia e al rispetto della legge, a denunciare le irregolarit sul lavoro e nei servizi alle autorit costituite.

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Il rapido declino della mobilitazione sarebbe derivato da un ec cesso di pragmatismo: il 90 non fu troppo riformista, ma semmai poco riformista - nel senso del proliferare delle proposte - in quan to gli mancava uno sguardo d insieme (Barcellona 1991: 209)6. Persino i centri sociali giovanili, strumento di una controcultura che trover ampi spazi nel mercato soprattutto musicale, saranno descritti come movimenti di defezione, irrappresentabili nelle forme date della politica (Bascetta 1994: 17-19). Non a caso, mol ti dei militanti dei centri si dichiarano fortemente critici rispetto a tutte le espressioni della sinistra, vecchia e nuova, accusata di ten denze alla normalizzazione, mentre uno degli slogan pi gridati nei cortei dei centri contro la mafia dei partiti, spazi sociali autoge stiti. Un ulteriore esempio di un rifiuto di schierarsi lungo le tradi zionali divisioni politiche si pu trovare nella Rete che, sin dalla sua fondazione, si dichiarata fuori e oltre la distinzione tra destra e sinistra. Nella sua prima uscita pubblica, il gruppo denuncer:
U no Stato costruito su antagonism i non pi attuali. U no Stato costrui to su llantifascism o in una realt dove i pericoli di fascism o hanno, sem pre pi , facce diverse da quelle tradizionalm ente indicate com e fasciste e sul l anticom unism o in una realt dove il com unism o in crisi di identit non si presenta pi con un volto irriducibilm ente alternativo. La vecchia centra

lit e i vecchi estremismi, le stesse collocazioni a destra e sinistra dello schie ramento politico sui quali si fondato il sistema politico di questo Stato per dono il loro significato: perdono quindi legittimazione le rendite di posizione fondate su antagonismi politici non pi attuali. (D ocum ento presentato il 27
agosto 1990 a un convegno dellassociazione cattolica L a R osa B ianca,

corsivo mio)
Il trasversalismo del movimento verr sottolineato in seguito nel manifesto costitutivo del gruppo, datato 24 gennaio 1991, dove la crisi della divisione sinistra-destra verr esplicitamente ricollega ta alla mutata situazione internazionale:

6 Dai fratelli maggiori il movimento degli studenti stato, infatti, accusa to di avere rinunciato a ogni prospettiva di contestazione globale, limitandosi ad esprimere, talora confusamente, una sorta di bisogno di esistenza [...] del tutto minimale e privo di prospettive politiche (Curi 1991: 228-30), e di inca pacit a delineare unanalisi dei rapporti di produzione che vanno a sostituire la centralit della fabbrica e lorganizzazione taylorista (Colombo 1991: 220).

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Q uesta com plessiva situazione si realizza nel contesto di rapporti in ternazionali profondam ente m utati, che pongono allordine del giorno in tutta E u ro p a il tem a storico della dem ocrazia e che non giustificano pi al cuna im punit politica in nom e della vera o presunta difesa dal nem ico esterno. E si realizza nel qu adro di un m utam ento culturale che porta m i lioni di cittadini ad avvertire in profondit i limiti non pi tollerabili im posti a ciascuno dal sistem a delle appartenenze partitiche e la decadenza dei tradizionali schemi di divisione tra conservatori e progressisti7.

Ne consegue il tentativo di ricostruire la politica al di l di schie ramenti considerati come precostituiti. Un simile rifiuto di collocarsi nellasse destra-sinistra stato os servato, infine, anche in un altro movimento, emerso invece nelle regioni settentrionali del paese, la cui espressione politica pi di retta sono state le Leghe. Proprio questi gruppi hanno infatti attac cato tutti i partiti, accusandoli di volere dividere artificiosamente il popolo del Nord (Biorcio 1991: 79). La Lega lombarda si infatti presentata come diversa e alternativa alla politica tradizionale. C o me stato osservato, Il pubblico della Lega lombarda si com pone di persone provenienti da tutti i settori dello schieramento po litico. Questo ovviamente leffetto della collocazione trasversa le della Lega rispetto alla dimensione sinistra-destra, che le per mette di attirare consensi da posizioni anche assai diverse e lonta ne (Mannheimer 1991: 135-36). Questo trasversalismo coltivato stato, infatti, per molto tempo una strategia vincente per ampliare il raggio del potenziale disponibile per la mobilitazione8. Sia per la Rete che per la Lega la nuova discriminarte politica, appunto trasversale rispetto alla destra e alla sinistra, la divisione tra onesti e disonesti. La Rete definisce i suoi principali obiet

7 Anche in seguito, il leader della Rete, Orlando, dir: Poco pi di tre anni fa - e sembra un secolo - caduto il muro a Berlino. E finito un mondo, il mon do di Yalta, il mondo dei blocchi contrapposti e delle appartenenze sterili. Il mon do delle speranze congelate, delle ideologie ossificate, dei chiusi serragli di parti to, di sindacato, di categoria (Canteri 1993: 5). 8 Appaiono interessanti i seguenti dati. Tra coloro che simpatizzano per la Lega, ma non hanno ancora deciso di votarla, il 9 per cento si autocolloca fra centro-destra e destra, il 39 a sinistra, il 52 al centro; fra gli elettori, il 22 per cento si autocolloca fra centro-destra e destra, il 35 a sinistra, il 43 al centro (secondo un sondaggio condotto a Milano nel 1990); fra i militanti, il 48 per cento si colloca a centro-destra, il 21 a sinistra, il 31 al centro (secondo un sondaggio condotto in aprile-giugno 1989) (cit. in Mannheimer 1991: 136).

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tivi come il recupero di condizioni di ordinaria legalit e la co struzione di una democrazia degli onesti. Nel manifesto di costi tuzione del movimento si legge, infatti:
Q u esto sistema, espressione nel dopoguerra delle libert riconquista te, diventato oggi una cap pa soffocante per le fondam entali libert dei cit tadini. in atto al suo interno una combinazione di spinte antidemocratiche

provenienti da oligarchie partitiche, da presenze crescenti di economia illega le e, in forme pi brutali, dai poteri occulti e criminali mafiosi, che assaltano pressocch indisturbati lo Stato di diritto [...] con rischi concreti di una sua
trasform azione in vero e p rop rio regim e della corruzione p assan d o per i consecutivi gradini di ununica scala di sopraffazione (dalla tangente alle lobbies illegali al dom inio m afioso). (M anifesto costitutivo del M ovim ento p er la dem ocrazia - L a Rete, corsivo mio)

Come scriver il leader del gruppo, Leoluca Orlando, la Rete si compone di


persone che lottano, hanno lottato, si im pegnano a lottare per i diritti civi li, per i diritti politici sociali, p er i diritti politici traditi, a com inciare da quelli della partecipazione e della responsabilit di ognuno. Persone che si sono incontrate venendo da strade diverse e hanno deciso di percorrere in siem e un tratto di cam m ino, con la consapevolezza che si p u e si deve co struire il futuro nel rispetto dei valori e nel segno della solidariet, della p a ce e dellonest. (Canteri 1993: 6)9

L a Rete sottolinea, infatti, la necessit di trasformazioni nella cultura, che possano incidere sulle caratteristiche della stessa de mocrazia. Uno dei suoi leader, Diego Novelli, dice a esempio del suo gruppo: Vogliamo mettere insieme idee e iniziative in modo trasversale, rompere le paratie stagne che separavano finora uomi ni con sentimenti e aspirazioni comuni. Ci misureremo sulle rifor me istituzionali, a partire dallopposizione al presidenzialismo; sui

9 In Parlamento, le proposte di riforma hanno rispecchiato questa aspirazio ne a fissare regole che possano contribuire alla trasparenza e al buongoverno, an dando dallabolizione della immunit parlamentare allautonomia della magi stratura, dalla riduzione del numero dei parlamentari alla pi corta durata della legislatura, dalla limitazione del numero dei mandati alla revisione del bicamera lismo, dal sistema di rappresentanza proporzionale articolato in piccoli collegi uninominali (per garantire un maggiore controllo degli elettori) alla elezione di retta dellesecutivo, dallautonomia impositiva al rafforzamento delle autonomie regionali.

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problemi della giustizia, del fisco, degli enti locali, dellinformazio ne. A l centro poniamo i valor^ delluomo (in Canteri 1993: 48, cor

sivo mio).
Su questi temi la Rete si trova a competere proprio con la Lega. Come riconosce lo stesso Orlando: N on si pu liquidare il feno meno leghista con una battuta. Ci sono tantissimi elettori leghisti che stanno nella Lega sostanzialmente per le stesse ragioni per cui nata la Rete: questione morale, lotta alla partitocrazia, battaglia per il cambiamento (in Canteri 1993: 89). Anche nel caso della L e ga, infatti, il tema della emergenza morale ha soppiantato, allinizio degli anni Novanta, alcune tematiche inizialmente preferite, come lo stesso federalismo - su cui il gruppo si era costituito - oltre che lantimeridionalismo e il controllo della immigrazione - su cui esso era cresciuto alla fine degli anni Ottanta. I risultati di un sondaggio condotto nel 1990 tra gli elettori della Lega sulle ragioni del voto al gruppo indicano infatti che se il 26,3 per cento pensa che essa di fenda la Lombardia da troppi immigrati e stranieri e il 21,9 defini sce il Sud come un peso allo sviluppo della nostra economia, un benN-pi alto 46,5 spiega il voto alla Lega come una protesta contro i po litici e i partiti e l80,7 lo considera principalmente uno strumento per opporsi allinefficienza e alla burocrazia di Roma (Mannheimer 1991: 144). In uno studio sui percorsi di avvicinamento alla Lega stato, inoltre, osservato che uno dei pochi punti in comune riscon trati nei profili multipli e disomogenei dei simpatizzanti la sfidu cia nei confronti delle istituzioni politiche e di governo (Diamanti 1991). Tornando alla nostra domanda iniziale, si potrebbe essere ten tati di concludere che lemergere di un tema trasversale, comune a diversi gruppi politici, indichi il costituirsi di nuove famiglie di mo vimenti sociali. Se si va per pi a fondo nellarticolazione proprio del tema trasversale della lotta contro la corruzione e il malgover no, e si confrontano i gruppi che abbiamo fin qui menzionato, emergono indizi della sopravvivenza della divisione destra-sinistra anche per i movimenti degli anni Novanta. Il nuovo tema delle mergenza morale stato infatti declinato allinterno di discorsi pi complessivi, talvolta di sinistra e talaltra di destra. Guardando di nuovo alla Rete, si pu rilevare che nel suo discorso sono fre quentissimi gli esempi di collegamento negli schemi di riferimento - quello che il sociologo americano David Snow ha definito frame bridging (Snow et al. 1986) - fra il tema della democrazia degli one141

sti e i temi pi classici della sinistra, vecchia e nuova. Nel presen tarsi ai suoi elettori, la Rete ha coniugato il bisogno di legalit con la difesa e attuazione dei principi e valori di pace, democrazia, li bert, uguaglianza e solidariet, e anche con la protezione del dirit to al lavoro, allo studio, alla salute, alla casa, alla qualit della vita. Soprattutto a partire dallestate del 1993, la collocazione a sini stra della Rete diverr sempre pi esplicita: non a caso, sar pro prio la Rete a convocare, insieme ai Verdi, la prima riunione del ta volo delle sinistre nel gennaio 1994. Il questa fase la Rete si defi nir, infatti, come lievito culturale di un polo progressista che do veva candidarsi a governare sulla base di valori quali pace, ambien te, solidariet, legalit, responsabilit. Come spiega Orlando, la Re te si colloca allinterno della sinistra dei valori:
U na presenza a termine; oggi chiaro. N on pi un tem po m isurato in anni, ma un tem po m isurato dallobbiettivo della costituzione di un sog getto politico progressista, di quella sinistra dei valori che altra cosa, ad dirittura alternativa rispetto ad angustie ideologiche e recinti d apparato. (Intervento introduttivo di O rlan d o alla terza assem blea nazionale; cit. in Totaro 1994: 280)

' Parallelamente, a proposito della Pantera, si pu osservare che, nonostante la continua ricerca di un minimo comune denominatore nellopposizione alla riforma del ministro Ruberti, la mobilita zione si estender anche ad altri temi quali la legge Russo-Jervolino sulla tossicodipendenza, il diritto di sciopero, il razzismo. Gli studenti stessi inquadreranno le loro rivendicazioni in un discorso pi amplio di difesa dello stato sociale, del diritto allo studio e del le libert democratiche (in particolare attraverso la richiesta di un maggiore potere della componente studentesca e non docente nel la gestione delluniversit). Come hanno spiegato gli studenti in un documento approvato dallassemblea della facolt di Statistica a Roma:
Un m ese di occupazione ha significato in prim o luogo partecipazione, discussione e confronto, produzione di cultura, socializzazione. [...] Per la prim a volta, forse, nella nostra facolt si parlato di problem i sociali, del larbitrariet espressa dal governo nellappoggio alla cosiddetta legge Jervolino-Vassalli, di speculazione edilizia, dei problem i econom ici che inve stono noi giovani in quanto privi di qualsiasi form a di salario, e degli enor mi problem i vissuti dai fuorisede. (Taviani e Vedovati 1991: 237)

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inoltre significativo il fatto che, se gli studenti avevano rifiu tato inizialmente di schierarsi, difendendo la loro indipendenza dai partiti politici, essi si erano comunque ben presto trovati a fianco come alleati i giovani comunisti della Fgci e si erano dovuti invece scontrare con lopposizione dei cattolici del Movimento popolare (Segatti 1992a). Anche dopo londata di occupazioni nelle univer sit, gli studenti della Pantera si rimobiliteranno, infatti, allinterno di uno schieramento di sinistra in occasione sia dello scandalo G la dio che della Guerra del Golfo. Perfino i centri sociali, spesso m o bilitati accanto agli studenti della Pantera, si richiameranno nei m o menti critici allalleanza della sinistra. Se questi movimenti possono essere considerati come parte del la famiglia della sinistra libertaria, diversa apparsa invece, sin dal linizio, la potenziale collocazione della Lega. Sin dal loro emerge re - e seppure con variazioni rilevanti - le Leghe hanno elaborato una identit etnica. In Veneto, la Liga ha adottato unidea di terri torio di tipo etno-regionale e ascrittivo, presentando il Veneto co me una nazione europea, e rivendicando lautonomia se non lin dipendenza. La Lega lombarda ha proposto invece una definizione di identit dove il territorio viene presentato non come nazione, ma come base di comuni interessi contro linefficienza dello Stato cen tralista, della Roma ladrona: la Lombardia dei produttori e dei lavoratori contro lo Stato dissipatore e il Sud assistito. Mentre per le Leghe veneta e piemontese la definizione delle etnie era ascrittiva, per la Lega lombarda invece essa era inclusiva ed elettiva: sin dalla bozza programmatica del 1983 si affermava, infatti, che van no considerati lombardi a tutti gli effetti coloro che risiedono nella regione da almeno cinque anni (Diamanti 1993: 60). In entrambi i casi, si prestata attenzione allelemento culturale: ad esempio, va lori come religiosit, laboriosit e volontariato sono stati definiti co me parte di un patrimonio genetico del popolo veneto cos come della cultura lombarda del lavoro. Man mano che lorganizzazione si consolidata, anche le pro poste sono divenute, comunque, pi politiche. Nel 1989, il primo congresso della Lega Nord ha sanzionato labbandono definitivo della valorizzazione del dialetto, con lallargamento del riferimento dal popolo lombardo al popolo delle regioni padano-alpine, defi nite come comunit multiregionali della stessa cultura (De Luna 1994:55). Lo stesso federalismo viene definito come una scelta non ideologica: Il federalismo non unideologia. Lideologia, infatti 143

[...] propone il paradiso per il futuro [...]. Il federalismo si basa su una filosofia antiideologica (Lega Nord, in Doneg 1994: 89). Le rivendicazioni concrete rispecchiavano infatti le insoddisfazioni della popolazione locale. Allinizio della sua storia, tra il 1981 e il 1983, la Liga veneta aveva lanciato iniziative contro il confino, i dis servizi della pubblica amministrazione, per la tutela del lavoro e dellimpresa nella regione. Gli slogan destinati a rinfocolare lo spi rito di comunit contro lesterno si concentravano sulla necessit di autodifesa e autotutela del Veneto; il rifiuto di distribuire soldi ve neti a chi non vuole lavorare, la richiesta di rinnovare lammini strazione con personale veneto, lintroduzione di un marchio vene to d origine controllata (da M ondo Veneto, in Diamanti 1993: 53). Dalla Lega lombarda lautonomia era presentata soprattutto come mezzo per affrontare i problemi concreti: Autonomia regio nale significa anche: Lombardia zona franca, servizio di leva in re gione, precedenza dei lombardi nei concorsi pubblici in Lom bar dia, tasse gestite dalla regione, pensionamento su base regionale (Diamanti 1993: 58). Nel programma del 1990 si parla di Stato fe derale e autogoverno della Lombardia, aggiungendo rivendicazio ni specifiche come il pensionamento su base regionale, la tassazio ne uguale per tutte le regioni, tasse lombarde controllate dalla Lom bardia, scuola e pubblica amministrazione in mano ai lombardi, precedenza ai lombardi in assistenza, casa, lavoro ecc. La stessa proposta leghista delle tre macro-regioni sar giustificata pragmti camente come necessit di delineare territori capaci di autoamministrarsi. Se la sua principale identit di tipo etnico e federalista, la L e ga stata comunque considerata, per diverse ragioni, come un m o vimento di destra. In primo luogo, molti hanno sottolineato luti lizzazione, almeno per una lunga fase, di un discorso fondamental mente razzista contro gli immigrati extra-comunitari. La gi de scritta struttura organizzativa del movimento, ruotante attorno alla leadership carismatica di Umberto Bossi, sembrata inoltre in netto contrasto con quella tipica dei movimenti della sinistra liber taria e pi simile, invece, a quella delle loro controparti alla destra dello schieramento politico. A fare pensare alla Lega come nuovo attore di destra, c infine la sua immagine - e autoimmagine - co me forza neoliberista, che difende il mercato dallo Stato corruttore ed esattore scriteriato. D opo avere dato il proprio sostegno alle inchieste giudiziarie come ai referendum istituzionali, una volta en 144

trata nel governo nazionale, nella primavera del 1994, la Lega si presentata come partito del rinnovamento, accentuando i toni neo liberisti, la propensione verso lintervento privato e il parallelo ri fiuto dellintervento pubblico. Non a caso, essa ha proposto una se parazione tra sfera individuale (e religiosa) e sfera politica, criti cando il sostegno dato alla De dalla Chiesa secolare. Dai rappre sentanti eletti nelle liste della Lega sono venute proposte quali la privatizzazione di ospedali, asili e scuole; labolizione delllNPS, uni ta a un taglio ai contributi per permettere la stipula di polizze pri vate; il blocco degli investimenti clientelari al Sud e il taglio di un milione di addetti nellimpiego pubblico. Al welfare state si con trapposta la welfare society, strano comunitarismo di base, fatto di asili nido, di caseggiato, ospedalizzazione domiciliare [...] (Pajetta 1994: 87). Lo slogan che unisce neoliberismo e lotta alla corru zione, indicando lobiettivo del ritorno allo Stato minimo, p o co Stato e poche risorse da fare amministrare a politici disonesti (De Luna 1994: 53). Da un certo punto di vista, si potrebbe quindi pensare che le voluzione delle nuove forme di protesta non sar il superamento della vecchia frattura tra sinistra e destra, ma piuttosto la creazio ne, nel settore dei movimenti sociali, di una nuova nuova sinistra e di nuova nuova destra. Questo scenario appare anche pi pro babile se si guarda alla struttura della cultura politica pi in gene rale. Se un temporaneo indebolimento delle identificazioni sullas se destra-sinistra un inevitabile riflesso a Ovest delle rivoluzioni dell89 a Est, sia la sinistra che la destra si mostrano per ben at trezzate per sopravvivere a questa crisi. Non solo infatti il sistema dei partiti crmtinua a essere strutturato principalmente lungo la di visione destra-sinistra, ma anche lopinione pubblica sembra trova re quelle''identificazioni come piuttosto congeniali (Fuchs e Klingemann 1990). Per quanto riguarda alcuni movimenti sociali emer genti, si pu dunque pensare che il rifiuto di allinearsi sia una scel ta temporanea e tattica, legata alla delegittimazione del sistema dei partiti. In primo luogo, alcuni temi sollevati sembrano legati a emergenze temporali - cos la stessa Rete ha fatto presente, gi nel suo manifesto costitutivo, che Il movimento si propone come esperienza valida per il tempo necessario alla risoluzione della gra vissima crisi politica, istituzionale e morale che pesa sul futuro del paese (corsivo mio). In secondo luogo, si pu ricordare che molti di quei movimenti che si erano inizialmente presentati come apoli 145

tici, siano poi stati forzati a collocarsi sullasse destra-sinistra dal bisogno di trovare degli alleati che potevano offrire loro sia risorse materiali necessarie alla mobilitazione che canali di accesso alle isti tuzioni. Pi complesso invece il discorso per quanto riguarda la collocazione delle formazioni a base etnica. Bisogna infatti dire che, seppure in una fase la sua partecipazione nel governo nazionale in sieme a Forza Italia e Alleanza nazionale abbia potuto favorire una sua evoluzione a destra, la Lega si mostrata per come molto flessibile - un grande camaleonte - e pronta ad alleanze di tipo diverso. Se le scelte amministrative nei 127 comuni (tra cui citt di notevoli dimensioni come Vercelli, Novara, Alessandria, Pavia, Va rese, Lecco e Monza, oltre naturalmente a Milano) nei quali, alli nizio del 1994, la Lega era al governo sono state varie, non sono mancati, inoltre, i riferimenti ai temi dei movimenti della sinistra li bertaria, in particolare alla difesa dellambiente. Non quindi escluso che anche la Lega possa temporaneamente allearsi con la vecchia sinistra e con i nuovi movimenti collettivi, come il ruolo at tivo della organizzazione nella caduta del governo di destra sembra testimoniare.

3. Ancora un decennio di violenze?


A prescindere dal numero e dal tipo di famiglie politiche che si affermeranno nel corso degli anni, unulteriore questione riguarda le forme di protesta che esse adotteranno e, in particolare, le pro babilit di nuove spirali di violenza. Pi di una volta, infatti, i reso conti giornalistici su recenti episodi di protesta hanno rievocato la violenza degli anni Settanta, mentre alcune condizioni che avevano in passato favorito la radicalizzazione sembrano ripresentarsi a di stanza di venti anni. A favore di unipotesi del riprodursi della violenza si potrebbe ro citare vari fenomeni di tipo ciclico. Per definizione dirompen te, la protesta si basa su forme d azione spesso illegali, seppure non necessariamente violente. Inventate nel corso di cicli di protesta, di verse forme di azione collettiva si sono a poco a poco istituziona lizzate, entrando a fare parte del repertorio dellazione collettiva. Prima di istituzionalizzarsi, per, i nuovi repertori hanno spesso in contrato reazioni dure, che hanno avviato processi di radicaliz zazione. Ma non solo questo: i sistemi politici tendono a essere ini 146

zialmente chiusi rispetto ai nuovi attori, rappresentanti di interessi emergenti e non ancora riconosciuti. A questo proposito, si po trebbe citare il fatto che, soprattutto nei tempi pi recenti, la Lega stata infatti rappresentata come il villano della politica italiana, ruolo un tempo riservato ai movimenti della sinistra libertaria. For me di protesta utilizzate dalla Lega - in passato, linvito al boicot taggio dei Buoni ordinari del tesoro o lorganizzazione di consulta zioni elettorali parallele in alcune citt; pi di recente la convo cazione di un parlamento del N ord - sono state definite come pe ricolosi attacchi alla democrazia. Da una stampa, in Italia come al trove, alla ricerca di notizie scandalistiche, alcuni momenti di ten sione tra gli attivisti della Lega e rappresentanti di altri partiti sono stati accostati alla violenza degli anni Settanta10. Ancora una dinamica ciclica che potrebbe portare a nuove spi rali di violenza quella legata alle periodiche crisi economiche. I periodi di crisi economica sono stati spesso associati a manifesta zioni di violenza, come disperata difesa di alcuni vantaggi materia li ottenuti nei periodi di benessere. In queste fasi, se atteggiamenti negoziali da parte del governo possono deradicalizzare i conflitti, la scorciatoia della repressione produce invece - come si visto negli anni Settanta in Italia - violenza, con risultati che possono diventa re esplosivi se i militanti dei gruppi radicali trovano dei seguaci fra i ceti impoveriti da una difficile congiuntura. Si pu a questo pro posito ricordare che gli anni Novanta si aprono, come gi gli anni Settanta, con una crisi economica: non a caso - ancora restando al le immagini presentate dalla stampa - il fantasma degli anni Set tanta stato evocato anche in occasione di/una ondata di scioperi che ha seguito i provvedimenti dei governi presieduti da Giuliano Amato e Carlo Azeglio Ciampi, volti a ridurre il deficit pubblico e a fronteggiare la crisi economica. Per fare un esempio, a proposito di una manifestazione tenutasi a Roma il 2 ottobre 1992, il quoti diano L a Repubblica titolava in prima pagina: Battaglia a Roma. Gli autonomi assaltano il corteo del sindacato. Sessanta feriti, .

10 Pi o meno il ritorn del fantasma degli anni del terrorismo ha rappre sentato, nella cronaca dei giornali, il morso del cane di un attivista leghista a un consigliere comunale milanese durante un raduno di protesta organizzato dalla Lega nel 1992, o, nel 1995, i fischi e le monetine tirati da attivisti di Lega e Rifon dazione comunista contro esponenti di Forza Italia che cercavano di entrare nel corteo di commemorazione del 25 aprile a Milano.

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cento fermati. Nello stesso numero del giornale si leggeva an che: Stavolta non pi una metafora, ma una battaglia vera, con feriti che si contano a decine, sette arrestati e un centinaio di fer mati, e gente che alla fine piange non per i lacrimogeni ma perch non sa pi a quali bandiere affidarsi [...]. Sono i tanto temuti eredi deUAutonomia operaia che avvelen gli anni di piom bo? (p. 2). Simili reazioni hanno prodotto, inoltre, alcune manifestazioni dei centri sociali. Tra il 1987 e il 1988 unondata di okkupazioni, co me le definivano i protagonisti, fu seguita da denunce e perquisi zioni, spesso presentate dalla stampa come un ritorno dellAutonomia. La stessa forma d azione principale del movimento giova nile, loccupazione di spazi in disuso da trasformare in zone tem poraneamente autonome, ha portato i giovani dei centri ad alcuni scontri con le autorit e la polizia, inviata a eseguire mandati di sgombero (come avvenuto nella famosa vicenda del Leoncavallo di Milano, evacuato nel 1989 e poi nel 1994). Se si sono dunque innescate delle dinamiche di conflitto quasi rituale, ci non ha portato per che a sporadici episodi di violenza, che non bastano per accomunare gli anni Novanta agli anni Settan ta. Le dinamiche cicliche vanno infatti combinate con dinamiche di trend, che in Italia indicano lapprendimento di meccanismi di de escalation sia da parte dei movimenti che da parte delle istituzioni. Nel corso del ciclo di protesta iniziato negli anni Sessanta, lespe rienza storica ancora recente con il regime fascista si rispecchi in una limitata fiducia nel rispetto delle regole democratiche sia da parte dei movimenti che da parte dei partiti al governo, dando luo go cos a spirali di repressione e violenza. Durante levoluzione dei movimenti della famiglia della sinistra libertaria, per, si avuto in Italia un progressivo consolidamento della democrazia. Alla spira le di radicalizzazione cos seguito un benefico processo di ap prendimento, sfociato nella diffusione di forme d azione nonvio lenta e di un controllo tollerante della protesta. Negli anni Ottan ta, quindi, nuove tattiche sembrano essere entrate nel normale re pertorio di azione collettiva - utilizzato non pi solo dai rivolu zionari ma anche dai normali cittadini. Se guardiamo alle forme di protesta prevalenti nei primi anni Novanta, possiamo trovarvi molti indizi che sembrano confermare - nonostante le gi esamina te eccezioni - questa tendenza verso la moderazione strategica. Uno degli elementi pi importanti dei repertori degli anni Novanta sta ta, infatti, la nonviolenza, invocata da tutti i movimenti della sini 148

stra. Se la Rete considera tra i suoi compiti leducazione alla pace e alla nonviolenza, a proposito del movimento della Pantera stato osservato che: Vuoi per convinzione vuoi per opportunit, tutte le sue componenti, anche le pi radicali [...] non hanno mai fatto ve nire meno il carattere pacifico e nonviolento della mobilitazione (Taviani e Vedovati 1991: 254). Assolutamente pacifiche sono state anche le numerose campagne, da quella contro la mafia a quella contro lintervento armato in Irak. Il potenziale di notiziabilit, che in passato era legato-soprattutto alluso di repertori violenti, viene adesso mantenuto attraver so lalta teatralit e una frequente innovazione nei repertori simbo lici. I movimenti degli anni Novanta, infatti, come movimenti in una societ fortemente mediatica, investono molto sulle relazioni con i mezzi di comunicazione di massa. Per citare un caso per tutti, alla piccola Pantera, definita come movimento contro gli anni O t tanta, stata riconosciuta una grande dimestichezza con i media e lalta tecnologia, padronanza dei linguaggi delle comunicazioni di massa, in primo luogo quello pubblicitario, capacit di fungere da modello di precipitazione per tutte le sottoculture giovanili (Co lombo 1991: 223-24). I movimenti degli anni Novanta hanno infat ti ampliato luso di repertori altamente simbolici che affidano il lo ro effetto a innovazione, capacit di generare solidariet o poten ziale emotivo. Mentre mezzo e fine tendono ad avvicinarsi, vengo no elaborati moduli di protesta che devono servire al contempo a sensibilizzare e informare, ma anche dimostrare una partecipazio ne intensa, praticando lobiettivo da raggiungere. Prendiamo co me illustrazione di questi nuovi elementi il movimento antimafia. Nel corso del 1992 la mobilitazione contro la mafia si espressa in buona misura attraverso azioni dimostrative con unalta capacit di rappresentare simbolicamente lobiettivo da raggiungere, come, ad esempio, i fal di armi giocattolo. Altre azioni, quali le lenzuola bianche appese alle finestre delle case, hanno avuto un valore di te stimonianza, il cui peso simbolico accresciuto, nellesempio cita to, dallimportanza del lenzuolo, parte del corredo della sposa, nel la cultura locale. Reazioni emotivamente intense producono le fiac colate (come lannuale dimostrazione a lume di candela nellanni versario delluccisione del generale Dalla Chiesa); le catene umane (come quella che, formata da diecimila cittadini, ha unito lappar tamento del giudice Giovanni Falcone al Palazzo di giustizia, a un mese dalla strage di Capaci); o ancora le veglie con gli attivisti che 149

portano al collo cartelli con i nomi degli uccisi dalla mafia, o i pre sepi costruiti con i ritratti di altre vittime della criminalit organiz zata. Funzioni di denuncia e, al contempo, di rafforzamento della solidariet, assumono simboli come lalbero piantato davanti alla casa del giudice Falcone, dove i cittadini appendono bigliettini contenenti riflessioni e proteste. In tutte queste azioni, lespressio ne di coinvolgimento individuale prioritaria rispetto alla manife stazione di forza che prevale invece in forme d azione basate sul grande numero. Non a caso, per prendere un esempio diverso, anche per quan to riguarda la Lega, stato spesso sottolineato luso abbondante di azioni simboliche, su cui costruire una identit lombarda di per s debole (Ruzza e Schmidtke 1992). A creare un senso di apparte nenza etnico (e organizzativo) servivano, ad esempio, lelaborazio ne di un particolare linguaggio (le espressioni rudi, opposte al politichese) o le iniziative allapparenza folkloristiche come il giuramento di Pontida11. Una simile funzione aveva avuto, gi per la Liga veneta la
p rop agan da in form ale o sem iform ale svolta attraverso m anifesti e vo lantini scritti in dialetto, con il pennarello; il contatto diretto, il quale av viene durante una m olteplicit di iniziative di poche pretese, centrate su te mi m olto specifici, legati a problem i m olto sentiti dalla popolazione e pressocch rim ossi dal dibattito nelle sedi ufficiali: la presenza di m alavitosi in confino; il crescente prelievo fiscale dello Stato; l inefficienza della p u b b li ca am m inistrazione ecc. (D iam anti 1992: 234)

Oltre che con le azioni simboliche, lattenzione dei media viene comunque conquistata anche attraverso forme d azione pi tradi zionali, dalla pressione sullamministrazione alla partecipazione al le elezioni. La crisi dei partiti, di cui si gi detto, ha infatti favori to le affermazioni elettorali dei partiti nati nei movimenti, sia della

11 stato osservato che, con azioni come il giuramento di Pontida, la Lega ha anche accresciuto il suo potenziale di notiziabilit. Come ha scritto Mazzole ni: Certamente laffidare ad organi esterni il compito di informare e di formare lopinione pubblica e il potenziale elettorato sulle proprie idealit comporta il ri schio della distorsione se non addirittura linterpretazione ostile delle stesse. un rischio che possono benissimo sostenere movimenti e formazioni politiche anco ra nella fase carismatica, che si accompagna necessariamente a forte emotivit, \ a confrontazioni drammatiche con altre forze e gli stessi media, allirriducibilit delle posizioni o alle esasperazioni linguistiche (Mazzoleni 1992: 302).

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Rete sia della Lega. Al culmine del suo successo, alle elezioni re gionali del 1991 la Rete ottenne complessivamente il 7,3 per cento (e ben il 25,8 a Palermo); alle elezioni politiche dellanno successi vo, 728.661 voti alla camera (solo 1 1,9 a livello nazionale, ma un al to 9,9 in Sicilia), conquistando dodici seggi alla Camera e tre al Se nato. A livello locale, i risultati del 1991 furono migliorati ancora nelle elezioni del novembre 1993, quando la Rete ottenne a Paler mo il 32,6 per cento dei suffragi e Orlando venne eletto sindaco con un plebiscitario 75,2 per cento. Nelle elezioni politiche del marzo 1994, la Rete manterr il suo 1,9 per cento, conquistando nove seg gi alla Camera e sei al Senato. Per quanto riguarda le Leghe, sin dallinizio degli anni Ottanta le liste autonomiste avevano tentato la strada elettorale. Su pressio ne del leader storico della Union valdotaine (Uv), Bruno Salvadori, la Societ filologica veneta aveva presentato un proprio candidato alle elezioni europee del 1979 nelle liste di quel partito, ottenendo 8 mila preferenze. Nel gennaio 1980, la Societ filologica diede vi ta alla Liga veneta che partecip alle elezioni regionali dello stesso anno, ottenendo 14 mila voti. Sar comunque dopo qualche anno che la strategia elettorale riscuoter maggiori successi: il 4,2 per cento dei voti in Veneto nel 1983 (con la elezione di un deputato e un senatore), un deputato e un senatore eletti dalla Lega lombarda nelle elezioni del 1987, un 4 per cento (diviso fra due liste) in Pie monte alle stesse elezioni. Alle elezioni politiche del 1992, la Lega Nord ha ottenuto ben l8,8 per cento a livello nazionale (e addirit tura il 23 in Lombardia, divenendo primo o secondo partito in mol te grandi citt del Nord) guadagnando 80 seggi in Parlamento. Suc cessivamente, questo risultato stato confermato alle politiche del marzo 1994, dove la Lega ha ricevuto l8,4 per cento dei voti di li sta alla Camera dei deputati e il 6 per cento dei seggi proporziona li al Senato, conquistando 117 seggi alla Camera e 60 al Senato. Concludendo, una straordinaria apertura del sistema delle o p portunit politiche - di fronte al terremoto elettorale iniziato nel 1992 - ha quindi rafforzato la tendenza di alcune organizzazioni na te aHinterno di movimenti collettivi a trasformarsi in partiti sempre pi tradizionali.

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4. La protesta nelle istituzioni? Una spiegazione


Fin qui abbiamo presentato alcuni scenari possibili, argomen tando a favore di alcune ipotesi. Proporremo adesso delle spiega zioni per le caratteristiche osservate guardando, come abbiamo fat to in precedenza, sia alle trasformazioni sociali che a quelle di tipo pi prettamente politico.

4 .1 .

Nuovi cleavages?

Se guardiamo alle caratteristiche della societ, negli anni N o vanta come in precedenza, vi sono state tendenze contrapposte a considerare il fenomeno dei movimenti collettivi come, di volta in volta, espressione di residui del passato o anticipazione del futuro. Permane, innanzitutto, una spiegazione in termini di squilibri lega ti al mutamento sociale ed economico. Secondo alcuni osservatori, ad esempio, la principale caratteristica della Lega il suo populi

smo-.
Il successo della L ega com e nuovo attore politico popolare-subculturale - ha scritto R oberto Biorcio (1991: 70-71) - pu essere letto in questa prospettiva com e la versione italiana di quella che stata definita la rin a scita del p opu lism o in E u ropa. U na serie di movimenti politici em ersi nel lultim o decennio - e legati alle figure di Slobodan M ilosevic, Boris Eltsin, Jean-M arie L e Pen e (negli ultimi anni) Lech W alesa - sem brano presen tare al di l delle grandi differenze delle situazioni nazionali, una serie di tratti in comune: la rottura dei codici sim bolici tipici delle ideologie e del le form e politiche tradizionali, l appello al sen so com un e contro politici e intellettuali, il ritorno alle tradizioni com unitarie au ten tich e e il riferi m ento a personalit carism atiche. Q u esto tipo di fenom eno sem bra em er gere in relazione a una situazione in cui esistono, da un lato, una serie di inquietudini, incertezze e pau re diffuse a livello sociale, dallaltro una cri si p rofon da delle form e di rappresentanza politica esistenti. N ella Lega lom barda si ritrovano tutti i caratteri tipici dei movimenti populisti classi ci. Q uesti rappresentano infatti form azioni politiche in cui m ancano in ge nere una elaborazione teorica organica e che fanno sem plicem ente riferi m ento al p o p o lo com e unit sociale om ogenea e sede esclusiva di valori positivi e permanenti.

Dopo una fase caratterizzata da una logica di tipo etno-nazionalista - con il tentativo di costruire una identit collettiva fondata 152

sul riferimento alla cultura lombarda - si sarebbe avviata infatti una fase connotata invece da antistatalismo e antimeridionalismo, fino a giungere a una logica d azione populista che contrappone infat ti il popolo lombardo (laddove in questo caso prevale nettamente il primo termine rispetto al secondo) alle classi dirigenti global mente intese, e globalmente individuate come responsabili dello sfascio del sistema e delle vessazioni operate ai danni dei ceti me dio-bassi (Melucci e Diani 1992: 170)12. 11 fenomeno delle Leghe stato, comunque, collegato anche al rafforzamento della posizione sociale ed economica di nuovi ceti produttivi. G i nella storia della Liga Veneta era stato osservato il suo radicamento in comuni di medie dimensioni delle aree indu strializzate a forte subcultura bianca, soprattutto nelle zone carat terizzate da base industriale molto estesa sotto il profilo degli ad detti, diffusa sotto il profilo del tessuto aziendale, redditiva e in cre scita dal punto di vista del mercato (Diamanti 1993:38). Non un caso, si osserva, se il seguito elettorale delle Leghe particolar mente consistente - al punto da fare parlare di una nuova subcul tura territoriale - nelle aree a economia periferica della terza Ita lia, fra un elettorato di operai e piccoli imprenditori. Le origini della Lega sono state infatti collocate nella frustrazione di ceti emergenti, che vedevano accrescere il proprio status ma non il pro prio potere politico. La crisi economica e fiscale avrebbe aggravato il sentimento di privazione relativa diffuso in questi strati. In Vene to, lo scontento sarebbe stato accentuato dalla presenza di trasferi menti fiscali dello Stato inferiori rispetto ad altre regioni del Cen tro-Nord. Allinizio degli anni Novanta, la maggiore pressione fi scale conseguente ai tentativi di frenare la crescita del debito pub blico avrebbe provocato la protesta di quei gruppi sociali che era no abituati a un prelievo limitato. Il successo delle Leghe sarebbe, quindi, venuto dalla loro capacit dLtappresentare le nuove figure sociali delleconomia diffusa, cio quegli strati sociali rafforzatisi negli anni Ottanta allesterno del modello solidaristico ed egualita rio che aveva prevalso negli anni Settanta. Esse avrebbero organiz zato linsoddisfazione di aree e gruppi economicamente e social mente centrali, ma politicamente periferici. Come ha osservato Il vo Diamanti (1993: 12): L a secolarizzazione, la crisi delle ideolo\

12 II neopopulismo si sarebbe dimostrato, infatti, una strategia retorica pi vantaggiosa delletno-nazionalismo (Diani 1995).

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gie e delle organizzazioni ispirate ad esse, erodono i tradizionali si stemi di riconoscimento e di solidariet e provocano lallentamen to delle tradizionali fedelt partitiche che ancora negli anni O t tanta caratterizzavano la maggior parte dei cittadini italiani. Il lo calismo enfatizzato nei discorsi delle Leghe stato visto come une spressione, peraltro non solo italiana, di crisi dello Stato nazionale, di fronte alla globalizzazione dei mercati. In questo senso, il leghi smo avrebbe rappresentato la ostilit verso un pilastro dello svi luppo della societ europea moderna: la dialettica nazione-classe. Anche per quanto riguarda la Rete, la crescita del gruppo po trebbe essere interpretata come una resistenza a fenomeni di tra sformazione sociale - dal processo di laicizzazione alla crisi econo mica - oltre che come reazione difensiva del Mezzogiorno rispetto alle rivendicazioni autonomiste delle Leghe. Similitudini tra i per corsi di Rete e Lega sono state spesso osservate: sia la Lega che la Rete rappresenterebbero la mobilitazione della periferia, in una zione etico-simbolica, attraverso lappello ai sentimenti popolari, e la personalizzazione del movimento e del suo avversario (Manconi 1990b); entrambe esprimerebbero inoltre la tradizione religiosa lo cale dal cattolicesimo con venature anti-Stato tipico del Nord a quello dei santi taumaturghi proprio del Meridione (Magister 1993: 57). Come le Leghe, comunque, anche la Rete potrebbe esse re analizzata, in termini non di reazione di ceti tradizionali, ma di dif fusione di valori post-moderni. Lenfasi sulla comunit contro il mer cato e la ricerca di conquiste spirituali invece che materiali sono in fatti, come abbiamo gi osservato, caratteristiche di un nuovo siste ma di valori, tipico di una generazione che non ha vissuto le priva zioni materiali delle grandi depressioni economiche e della guerra. Le spiegazioni in termini di classi sociali o generazioni non so no per pienamente soddisfacenti. Si pu osservare, infatti, che nei movimenti collettivi degli anni Novanta vari gruppi sociali sono compresenti, talvolta con conflitti interni. Se i nuovi movimenti do vrebbero rappresentare le classi medie in ascesa - in particolare, le classi medie dei servizi - un movimento come quello contro la ma fia presenta pi volti: dagli intellettuali ai marginali. La presenza dei ceti emergenti non inoltre sufficiente a sostenere lipotesi dei mo vimenti come espressione di valori post-materialisti. A proposito della Lega si anzi parlato di valori neo-materialisti - sottolinean do lattenzione agli aspetti economici.

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4.2. 7 movimenti e la crisi della prima repubblica Per comprendere i connotati e le strategie dei movimenti socia li degli anni Novanta, dobbiamo partire dalle trasformazioni inter venute nel sistema politico allinizio del decennio. La generale cri si del sistema dei partiti, seguita agli avvenimenti che sono simboli camente sintetizzati nel crollo del muro di Berlino, ha avuto una particolare drammaticit nel caso italiano, caratterizzato da elevati livelli di malgoverno e corruzione politica (Della Porta 1992; Della Porta e Mny 1995). Venute meno le coperture ideologiche che ser vivano a giustificare loccupazione partitica della societ, i partiti tradizionali in Italia sono letteralmente crollati, aprendo oppor tunit politiche per i movimenti. La (relativa) quiete degli anni O t tanta precedeva infatti una tempesta, che si sarebbe sviluppata so prattutto a partire dal 1992 (per una analisi di questo periodo, Braun 1995). Nel 1989 era stata suggellata unalleanza - destinata a passare alla storia con il nome di C af - tra Bettino Craxi, segre tario del Psi, Giulio Andreotti, nuovo presidente del Consiglio, e Arnaldo Forlani, neoeletto segretario della De. Questa alleanza do veva avviare una fase di pacifica convivenza tra Psi e De, dopo i frequenti conflitti tra i due partiti durante la segreteria di Ciriaco De Mita. Mentre il crollo dei regimi del socialismo reale accele rava ulteriormente, a partire dal 1989, la crisi del Pei, un patto tra Psi e De sembr concludersi a partire dal reciproco riconoscimen to di un ruolo centrale nel governo, e di una spartizione, ancora pi spregiudicata che in passatoi, dei posti di sottogoverno. La po litica decisionista dei due governi Andreotti, che si susseguirono tra il 1989 e il 1992, si manifest nella rinuncia alla prassi passata della ricerca di ampi accordi con lopposizione (rinuncia visibile, ad esempio, nella formulazione della legge Mamm sulle telecomuni cazioni, e della legge Martelli-Jervolino sulla droga). Il potere del C af , rafforzato dal controllo di almeno due reti televisive pubbli che su tre e dal sostegno dei tre network nazionali di propriet di Silvio Berlusconi, sembrava allinizio degli anni Ottanta ben saldo. A rafforzarlo ulteriormente contribu, almeno apparentemente, la scissione, allinizio del 1991, della minoranza comunista che non aveva voluto seguire la maggioranza del Pei nella sua trasformazio ne in Partito democratico della sinistra (P ds ). Nel giro di poco tem po, comunque, limmagine di onnipotenza che la coalizione di go verno aveva voluto coltivare sfum. Le polemiche politiche si ac 155

centuarono dopo che, nellautunno del 1989, era stato ritrovato, in un covo delle B r , il memoriale scritto da Aldo Moro durante il suo sequestro. Le rivelazioni l contenute portarono, infatti, allammis sione della esistenza, a partire dagli anni Cinquanta, di una forma zione armata, chiamata Gladio, che addestrava militari e civili (fra loro, lallora presidente della Repubblica Francesco Cossiga) a una eventuale guerra civile. Al contempo, venivano al pettine i nodi di uno sviluppo che non aveva saputo risolvere alcuni problemi strut turali di una economia basata sulla conversione di materie prime importate in prodotti da esportazione, con una scarsa presenza di industrie ad alta tecnologia e un sistema finanziario debole. Mentre lutilizzazione di risorse pubbliche a fini di mobilitazione del con senso continuava a far aumentare la spesa pubblica, il deficit pub blico portava a un continuo indebitamento. La gravit di questa si tuazione era resa pi evidente dagli accordi di Maastricht, che fis savano per i paesi dellUnione europea dei limiti massimi per il de ficit pubblico (che non doveva superare il 60 per cento del prodot to interno lordo, mentre in Italia era addirittura superiore al 100 per cento) e per lindebitamento annuo netto (che non avrebbe do vuto superare il 3 per cento, mentre in Italia andava oltre il 10 per cento). La restrizione della spesa pubblica e linasprimento della pressione fiscale, necessari per far fronte alla situazione, rischiava no per di ridurre ulteriormente le limitate risorse di sostegno di cui godeva il governo. Questa strada, intrapresa dai governi di G iu liano Amato e di Carlo Azeglio Ciampi, tra la met del 1992 e lini zio del 1994, non riusc inoltre a evitare la continua svalutazione della lira e luscita della nostra moneta dallo Sme. Linsoddisfazione dei cittadini rispetto al funzionamento delle istituzioni divenne visibile soprattutto con il referendum del giugno del 1991 sul numero di preferenze esprimibili per i singoli candi dati. Nonostante P si e De si fossero espressi contro il quesito refe rendario, invitando i cittadini a non andare alle urne (in modo da non raggiungere il quorum del 50 per cento necessario perch una consultazione referendaria sia considerata valida), il 62,5 per cento dei cittadini si rec a votare nelle elezioni, e la riduzione delle pre ferenze da tre a una venne approvata con un plebiscitario 95,7 per cento dei suffragi. Le elezioni politiche del 1992 confermarono lin debolimento sia della De (che perse il 4,6 per cento) che del P si (che aveva sperato di superare il P d s , e perse invece lo 0,7 dei suoi elet tori). Sono state comunque le elezioni del marzo del 1994 a sancire 156

0 crollo dei due partiti: mentre il Psi non super il 2,2 per cento dei suffragi, il Partito popolare (P p ), nato dalle ceneri della De, si atte st all 11,1. Nel frattempo, nellaprile del 1993, gli elettori si erano espressi su nuovi quesiti referendari, abrogando tra laltro i vincoli allapplicazione del sistema maggioritario alle elezioni per il Senato (con l82,7 per cento) e il finanziamento pubblico ai partiti (con il 90,3). Il crollo elettorale dei vecchi partiti ha coinciso con lo scompa ginamento organizzativo seguito alle indagini giudiziarie. Dal 1992 in poi, infatti, unondata di scandali politici senza precedenti, in cui sono stati coinvolti i maggiori partiti sia di maggioranza che di o p posizione, ha fatto parlare di una inarrestabile crisi di regime. A partire da una serie di indagini su episodi di corruzione e concus sione legati a numerosi organi del governo locale a Milano, un pool di giudici milanesi era riuscito a poco a poco a svelare i meccanismi di un sistema basato su scambi occulti di tangenti per accesso pri vilegiato alle decisioni pubbliche. In seguito a una catena di con fessioni di imprenditori e amministratori, le indagini si erano ben presto ampliate al di l della regione lombarda, fino a investire il go verno nazionale. Nel giugno del 1992, il neoeletto presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, la cui immagine di rigore morale doveva aiutare a rilegittimare le istituzioni gi scosse dallinizio del le indagini, aveva affidato lincarico di formare il governo al socia lista Giuliano Amato, il quale avrebbe dovuto impegnarsi in un pro gramma di risanamento. Nellaprile del 1993, Amato era per co stretto alle dimissioni dopo che, coinvolti nelle indagini, avevano ri nunciato alla loro carica i ministri Carlo Martelli, Giovanni Goria, Francesco De Lorenzo e Giorgio La Malfa. Le investigazioni giu diziarie non risparmiarono i leader dei partiti politici di governo, da Bettino Craxi a Giulio Andreotti, da Gianni De Michelis ad Arnal do Forlani. Da questo punto di vista, si pu dire che le mobilitazioni degli anni Novanta rispecchiano lacuirsi di quella insoddisfazione ri spetto alla occupazione partitica della societ civile che aveva, gi nei decenni precedenti, spinto i movimenti a trovare spazi o nella societ o nel rapporto diretto con lamministrazione pubblica agendo come associazioni volontarie nel primo caso, come gruppi di pressione nel secondo. Gli anni Novanta rappresentano comun que anche un cambiamento rispetto al decennio precedente. Se ne gli anni Ottanta i movimenti avevano cercato di sottrarsi alla tutela 157

dei sempre meno legittimati partiti, negli anni Novanta essi trova no gli spazi istituzionali aperti da una profonda crisi di legittima zione. Dal punto di vista del sistema delle opportunit politiche, si assiste cio a un de-allineamento, che si rispecchia in un terremoto elettorale, i cui indizi si trovavano gi nelle tre tornate elettorali del 1989, e che diventer poi inarrestabile a partire dalle elezioni poli tiche del 1992. Lesitazione dei movimenti collettivi degli anni Novanta nel col locarsi sullasse destra-sinistra pu essere meglio spiegata a partire dalle trasformazioni nel sistema politico, pi esattamente dal matu rare di una tendenza in atto da un certo numero di anni. Se la poli tica italiana nel secondo dopoguerra stata caratterizzata da una forte polarizzazione ideologica fra cattolici e comunisti, questa anomalia si per progressivamente ridotta a partire dagli anni Settanta. Come mostrano gli studi elettorali, un indicatore della lai cizzazione di entrambe le subculture - sia la cattolica che la comu nista - il progressivo ridursi, nel corso degli anni Ottanta, del pe so di quello che stato chiamato voto di appartenenza, cio del voto per affiliazione ideologica (Sani e Segatti 1991). Come era sta to previsto da alcuni osservatori (in particolare, Dahrendorf 1990), il crollo dei regimi del socialismo reale allEst si rispecchiato allOvest nella crisi del sistema dei partiti, che ha investito non solo la sinistra, ma anche la destra. Arriviamo cos a una interpretazione pi politica dei movimen ti collettivi degli anni Novanta - interpretazione che potrebbe spie gare meglio se non il loro emergere, almeno le loro scelte strategi che. Tornando ancora al leghismo, non si pu dimenticare che esso stato analizzato prevalentemente come effetto di una crisi della subcultura bianca. Da pi parti le Leghe vengono definite come un fenomeno post-industriale, che segnala la crisi delle solidariet po litiche tradizionali fondate su fratture di classe o di religione. Non a caso, stato osservato, la Lega lombarda ha mietuto i suoi primi successi elettorali nelle aree tradizionalmente bianche (Varese, C o mo, Sondrio, Bergamo), drenando dalla D e la maggior parte dei suoi voti. Come ha notato Diamanti (1993), la piccola propriet contadina e la piccola impresa con struttura territoriale diffusa era stata sostenuta grazie a unopera di mediazione (di servizi, regola zione ecc.) da parte della Chiesa, che aveva anche offerto legittima zione alla De. La secolarizzazione (con la riduzione della parteci pazione associazionistica cattolica) aveva messo in crisi questo si 158

stema di legittimazione, spingendo una parte della De a cercare di sostituire al modello di integrazione^cattolica il doroteismo, come tutela particolaristica di interessi locali, presentandosi come me diatore tra centro e periferia. Mentre entrano in crisi i valori tradi zionali,7 \
lo stemperarsi dellidentit religiosa fa s che orientamenti di valore tradi zionalmente radicati, in queste aree, quali il localismo, il particolarismo familista e individualista, la sfiducia verso lo Stato, riemergano in una forma autonoma, non pi legata alla mediazione della Chiesa [...] L a subcultu ra territoriale, in altri termini, tende a scindersi da quella cattolica e a per dere, cos, la connotazione bianca. (Diamanti 1993: 46-47)

In maniera simile nel caso della Rete, le origini del gruppo al linterno del mondo cattolico potrebbero riflettere la crisi della ge rarchia ecclesiastica e, in particolare, dellunit politica dei cattoli ci, una strategia che tender a sfumare fino a scomparire nel corso della prima met degli anni Novanta con gli stravolgimenti legati al la dissoluzione della De. In una situazione di blocco del ricambio generazionale della leadership partitica, i movimenti sembrano rap presentare anche un canale di rinnovamento dei quadri dirigenti. Non a caso, si osservata la giovane et sia dei parlamentari della Lega che dei suoi eletti nelle amministrazioni locali - con ben il 30 per cento al di sotto dei 30 anni, dato superiore addirittura a quel lo dei Verdi. Ancora una volta in modo simile, let di attivisti ed eletti della Rete riflette laffermarsi di una nuova generazione.

4.3. La violenza razzista come contromovimento Si pu aggiungere che i movimenti degli anni Novanta si sono trovati di fronte a un sistema politico delegittimato, ma aperto. Le reazioni ai movimenti sociali emergenti sono state infatti moderate. Anche se - come si gi detto - allinizio la Lega aveva incontrato una stigmatizzazione dallesterno, ci aveva pi che altro aiutato la costruzione dellidentit del gruppo. La radicalizzazione era stata comunque solo verbale, e anche le proposte pi estreme - come il boicottaggio dei titoli di Stato o lobiezione fiscle - non solo era no di tipo nonviolento, ma non vennero neanche attuate. Cos, no nostante i suoi sindaci abbiano spesso lamentato il boicottaggio da parte della burocrazia e dei mass media, la Lega riuscita a entra 159

re nel governo nazionale, occupandovi ministeri importanti. Se pi violenta stata invece la reazione contro il movimento antimafia, i cui attivisti hanno subito continue intimidazioni13, anche qui co munque la cultura non violenta del movimento apparsa tanto ra dicata da impedire una escalation, mentre il rapporto di fiducia con almeno una parte della magistratura legittimava le istituzioni agli occhi degli attivisti, facendoli propendere per la collaborazione con le istituzioni piuttosto che per il farsi giustizia da s. Per quanto riguarda le forze di polizia e magistratura, gli inter venti repressivi riguarderanno prevalentemente i centri sociali au togestiti. In alcune situazioni lintervento di polizia e carabinieri per rendere esecutive ordinanze di sfratto sfocier in scontri che ben presto assumeranno dinamiche quasi rituali. Se prendiamo ad esempio il caso che ha avuto maggiore eco sulla stampa nazionale e internazionale, quello del centro sociale Leoncavallo di Milano, oc cupato dal 1976, vediamo che le scaramucce con le forze di polizia escaleranno fino allo sgombro - eseguito con un massiccio inter vento coercitivo - nel 1989. In quelloccasione accuse di brutalit si incroceranno da entrambe le parti. Anche in questo caso, si pu comunque osservare che entrambe le parti impareranno successi vamente a evitare scontri violenti. Nonostante ancora momenti di escalation, in particolare nellestate del 1994, il nuovo sgombro av verr in maniera pacifica, e il lavoro di molti mediatori - incluso PArcivescovado - sfocier nellassegnazione al centro sociale di nuovi locali. Gi nel corso del processo contro gli occupanti eva cuati nel 1989, del resto, erano chiaramente visibili gli indicatori di un clima profondamente mutato rispetto al decennio dellemer genza. Basti ricordare che il processo si concluse con alcune asso luzioni, richieste dallo stesso pubblico ministero, e con il ricono scimento agli imputati, da parte del collegio giudicante, della cir costanza attenuante dellaver agito per motivi di particolare valore morale e sociale. Dopo che il presidente della Corte aveva chiesto e ottenuto di visitare i locali del Leoncavallo per rendersi conto di persona delle attivit che vi si svolgevano, i giudici riconobbero limportanza sociale dei centri:

1 3 Ad esempio, nel 1988, in una manifestazione di dipendenti comunali di Palermo in sciopero, vennero portate due bare vuote con scritto sindaco (men tre si gridava la mafia da lavoro); nel 1994 si allungata la lista degli attentati contro i sindaci impegnati nel movimento.

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Linterrogatorio degli imputati e il sopralluogo al c.s. [centro sociale] - si legge nella sentenza - sono stati molto utili al Collegio per avere una visione realistica e diretta di una fascia sociale diversa in senso lato da quel la borghese, dai cui ranghi in buona parte proviene la magistratura [...] ap pare evidente la necessit e lutilit di apprestare dei centri dove i giovani si sentano a proprio agio [...] il sopralluogo ha consentito al Collegio di avere unidea delle attivit culturali e ricreative che nel centro si svolgono e la cui utilit sociale giustificherebbe una concreta attivit di sostegno eco nomico e morale da parte delle autorit, (in Ibba 1995: 121-22)

La stessa conclusione della vicenda, con lassegnazione al cen tro sociale di una nuova sede in uso gratuito, dopo un lungo brac cio di ferro durante il quale prefettura e questura si opponevano a un intervento di forza, insieme alla scelta degli occupanti di utiliz zare metodi di resistenza nonviolenta, testimoniano di una pratica di de-escalation. Possibili spirali di radicalizzazione potrebbero essere innesca te, invece, dalla destra neofascista, anche in Italia infiltrata negli ambienti dellhooliganismo calcistico e della subcultura giovanile degli skinheads. Londata di xenofobia e razzismo manifesto che si sviluppata nel paese proprio allinizio degli anni Novanta stata infatti accompagnata da un crescente numero di azioni di violenza: dalle aggressioni, talvolta mortali, a immigrati e altri emarginati, agli attentati a luoghi di culto ebraico o a propriet di cittadini italiani di religione ebraica, agli scontri con i giovani dei centri sociali o con i punks. La maggior parte di questi crimini sono stati perpetrati da bande di skinheads di destra, i cos detti naziskins, emersi alla met degli anni Ottanta14. Dalle poche informazioni disponibili,

1 4 La politicizzazione inizier con il Veneto front skinhead e si svilupper an che negli ambienti ultra, con gruppi quali i Boys S an (Squadre armate neroaz zurre) nella tifoseria interista, i Vikings della Lazio, e Opposta fazione romanista (Marchi 1994: 166-67), spesso coinvolti anche in attacchi contro attivisti di sini stra, insulti a giocatori di colore o ebrei, cori e striscioni razzisti. Ancora alla met degli anni Ottanta sorsero gruppi quali Base autonoma, con due o tremila adep ti; Meridiano zero con due o trecento. La componente giovanile di Base autono ma, disciolta nel 1993 a seguito della legge Mancino, era un punto di riferimen to per Skinhead dItalia, fondato nel febbraio 1990 da Veneto front skinhead, Azione skinhead di Milano, Movimento politico di Roma, S pq t di Roma e Azio ne Skinhead-Colli Albani (Marchi 1994: 170). Allinterno di questarea, ha cer cato di reclutare il gruppo politico Movimento politico occidentale, che ha fra i suo leader il figlio di un dirigente di Ordine Nuovo. Almeno fino al 1992 il grup po aveva contatti con il Msi, partecipando ad alcune delle sue manifestazioni.

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sembra che i naziskins combinino alcuni tratti della destra neofa scista degli anni Settanta con altre caratteristiche simili a quelle dei loro omonimi in altri paesi europei. Come i neofascisti del passato, i naziskins italiani definiscono il pugno e lusura - comunisti ed ebrei - come i loro principali nemici, acclamano Mussolini ed Hitler come eroi, e i terroristi di destra degli anni Settanta come de gli esempi di veri rivoluzionari. Diversamente dai neofascisti della generazione precedente, i naziskins si identificano per pi con la musica heavy-metal che con la destra tradizionale; hanno i loro luo ghi d azione pi negli stadi che nelle scuole e nelle universit; pro vengono in maggioranza dai ^quartieri popolari delle grandi citt e sono molto giovani (Gallucci 1992). Il loro livello di elaborazione politica inoltre primitivo. A proposito dei loro bollettini dei fan s (fanzine) stato osservato che:
In sintonia con il livello di istruzione della base, il contenuto di questi materiali non propriamente raffinato sul piano ideologico o concettuale, consistendo esso prevalentemente nel resoconto entusiastico di incontri con gruppi di amici, grandi bevute di birra, scontri con bande rivali, mes saggi di insulti o solidariet, esaltazione di episodi di violenza. Manca visi bilmente ogni cognizione elitaria, differenziata dellimpegno politico, per non dire dei principi metapolitici. Insomma, fra lo spirito legionario del soldato politico e le risse delle bande skinhead sembra che la distanza sia considerevole. (Ferraresi 1994: 150)

La potenzialit di reclutamento della destra radicale in queste aree sarebbe infatti legata pi alla presenza di un sistema di valori caratterizzato da machismo e brutalit, che a una elaborazione ideologica:
Questo fenomeno dai toni tribali si manifesta come una sorta di movi mento xenofobo spontaneo, impolitico, che sembra coinvolgere a vari li velli decine di migliaia di giovani. Vi sono stadi in cui intere curve intona no cori xenofobi ed antisemiti, ed in cui la simbologia nazista tracima oltre ogni soglia di tolleranza. Laggressione contro lomosessuale, il pestaggio del lavavetri, la battaglia tra ultras, lassalto allostello divengono parte di un codice ludico sempre pronto a manifestarsi, cadenzato dalle festivit settimanali. (Marchi 1994: 157-58)

L a convivenza tra anima politica e anima teppista, tra pestag gio del sabato sera e volantinaggio appare comunque - come av viene a sinistra nellAutonomia - precaria e burrascosa, mentre si 162

sviluppano conflitti interni sul tema dellimmigrazione, tra Orion e Avanguardia, pro-islam, e i cos detti bonehead con il loro razzi smo anti-immigrati (Marchi 1993; 1994). Atteggiamenti e compor tamenti appaiono cos caratterizzati da elementi spesso contraddit tori: il bonehead condanna gli stupefacenti che spesso assume, stigmatizza la violenza hooligan che pratica abitualmente, si pro pone come momento di impegno praticato nelle forme e con i rit mi del disimpegno (Marchi 1993: 161). La fragilit organizzativa degli skinheads rende inoltre poco probabile un loro coordinamen to a livello internazionale (Castellani 1994: 14). Il fatto che i naziskins si presentino con connotati pi subcul turali che chiaramente politici non vuol dire che essi siano meno pe ricolosi dal punto di vista di un potenziale di violenza che si anzi gi, come abbiamo osservato, pi volte manifestato. Improbabile per linnescarsi delle spirali di violenza che avevano drammaticamente caratterizzato gli anni Settanta. Non solo lidentit politica di questi gruppi subculturali resiste difficilmente alle tentazioni di commercializzazione, ma i loro potenziali avversari politici, soprat tutto i movimenti giovanili della sinistra, non sembrano tentati ad abbandonare le pratiche di azione nonviolenta. Nonostante molti rituali degli ultr abbiano radici nel radicalismo politico degli anni Settanta? e nel modello di controllo massiccio dellordine pub blico diffusosi in quegli anni (Dal Lago e De Biasi 1994), lambien te degli hooligans sembra restio a una duratura politicizzazione. Cos,
la germinazione dellestrema destra nelle curve sembra pi frutto di una adesione sempre maggiore ai tem i pi deteriori dello stile sessista, violen to e xenofobo che spesso contraddistingue i giovani ultras che agli effetti vi successi della propaganda neofascista, e nella maggioranza dei casi non porta ad un conseguente impegno politico. Si conferma insomma quella tendenza, gi osservata in Inghilterra, e che vede l 'Hooligan in molti casi sensibile ai temi propagandati dalla destra radicale, ma quasi mai disponi bile al tanto richiesto salto di qualit. In questa area di spontaneismo xe nofobo si manifestano tutte le caratteristiche pi deteriori della sottocul tura hooligan: rasato o no che sia, lultras xenofobo violento, sessista, dichiaratamente razzista, ma anche poco disponibile ad ogni forma di or ganizzazione o di attivit politica. (Marchi 1994: 168-69)

Il potenziale di espansione della destra radicale dipender pro babilmente soprattutto dagli appoggi politici che i naziskin riusci 163

ranno a trovare. Per il momento stato osservato che la politiciz zazione delle aggressioni razziste stata in Italia minore che in altri paesi. Per varie ragioni infatti, il principale partito della estrema de stra italiana, il Msi, stato molto titubante a imboccare la strada della violenza razzista. Eletto segretario nazionale del partito nel 1990, Pino Rauti propose un insieme di elementi derivanti dalla tra dizione del fascismo-movimento insieme a elementi della nuova de stra, cercando di attrarre almeno una parte dellelettorato di un Pei in crisi attraverso la ricollocazione fuori dalla destra del suo par tito, con slogan anti-occidentali e anticapitalisti, ma anche con
elementi inediti (e non conciliabili con la tradizione culturale missina) qua li la tolleranza e il diritto al dissenso, la plausibilit delle differenze e la di fesa dellambiente [...] Grazie a queste acquisizioni culturali il Msi, contra riamente agli altri partiti della estrema destra europea, rifiuta decisamente il razzismo (anche se alcune frange giovanili indulgono ad atteggiamenti am bigui soprattutto nei confronti degli ebrei pi che verso gli immigrati di co lore). (Ignazi 1994a: 183)

Almeno per quanto riguarda questultimo punto, la segreteria Fini non torner indietro rispetto a un approccio non xenofobo. Ci sono comunque, in questo campo, segnali contrastanti. Se ri cerche sociologiche hanno dimostrato che la partecipazione agli or ganismi rappresentativi ha un effetto di moderazione sullidentit degli attivisti del principale partito della destra, il suo bacino di re clutamento sembra essere stato per soprattutto in aree profonda mente anti-democratiche. Nel 1990, ad esempio, circa il 20 per cen to dei delegati al XV I Congresso del Msi si dichiarava d accordo con luso di forme estreme di protesta come gli scontri con gli altri dimostranti e la polizia; il 46 per cento approvava laffermazione che ci sono razze superiori e inferiori; il 44 sosteneva che il p o tere finanziario nelle mani degli ebrei (Ignazi 1994b: 82-84). Nel 1991 un terzo dei militanti del Fronte della giovent era d accordo con luso della lotta armata e due terzi riteneva che fare a botte fosse un mezzo adeguato per fare valere le proprie ragioni; mentre solo il 13 per cento degli intervistati si definiva democratico, un quarto si dichiarava antisemita (Ignazi 1994b: 88-89). Come ha os servato Piero Ignazi, il reclutamento giovanile avviene sulla base di temi come lostilit alla democrazia, alleguaglianza, alla tolle ranza, alla diversit: questo il punto di partenza, il cemento iden164

titario (1994b: 89)15. Non ci sono, per il momento, indicazioni che la trasformazione del Msi in Avanguardia nazionale abbia mutato la struttura dei valori degli attivisti del partito, anche se possibile che lesperienza, pur breve, di partecipazione al governo presieduto da Silvio Berlusconi possa avere rafforzato le componenti pi prag matiche del partito.

Riassumendo, negli anni Novanta i movimenti collettivi manten gono, in generale, una struttura organizzativa flessibile e decentrata, con una miriade di piccoli gruppi, raramente coordinati in comuni campagne di protesta. Organizzazioni meglio strutturate offrono al cuni servizi, facilitando soprattutto lo scambio di informazioni. Le strema apertura della struttura delle opportunit politiche facilita an che la trasformazione di alcuni di questi gruppi in partiti politici, con una forzata centralizzazione dei processi decisionali. A proposito della natura dei movimenti collettivi emergenti, si osservata la mo bilitazione, in una situazione di grave crisi di legittimazione dei par titi politici, di movimenti e campagne di protesta su temi trasversa li rispetto alla tradizionale frattura destra-sinistra - quale la dem o crazia degli onesti contro il malgoverno e la malamministrazione. Si comunque argomentato che queste nuove tematiche non sembra no soppiantare la divisione in destra-sinistra ma piuttosto, tenden zialmente, vi si sovrappongono. A proposito delle forme di protesta, nonostante la presenza di gruppi radicali nelle subculture giovanili soprattutto di destra, sembra molto improbabile che si avviino spira li di violenza paragonabili a quelle degli anni Settanta. Il compimen to del processo di consolidamento democratico ha infatti portato a una maggiore tolleranza istituzionale per forme di azione politica non convenzionali, aiutando in questo modo il prevalere delle tendenze ponviolente fra i movimenti sociali della sinistra libertaria, e al con tempo sottratto potenti alleati allestrema destra. I continui terremoti elettorali hanno, inoltre, facilitato laccesso alle istituzioni, stimolan do anche gli attori meno ricchi di risorse di potere ad ampliare il pro prio repertorio fino a includere le strategie pi istituzionali. Episodi di violenza allinterno delle subculture giovanili, soprattutto di de stra, non sembrancy potere invertire questa tendenza.
15 Si pu ricordare, del resto, che ancora nel 1992, il Msi ha festeggiato il 70 anniversario della marcia su Roma con una manifestazione con inni fascisti e sa luti romani.

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VI

PROTESTA E MOVIMENTI SOCIALI: ALCUNE CONCLUSIONI

Abbiamo fin qui ricostruito levoluzione della famiglia dei mo vimenti della sinistra libertaria in Italia, dagli anni Sessanta agli an ni Novanta guardando anche, allinterno di ciascun periodo, ai mu tamenti sociali e alle interazioni con alleati e oppositori. In questa parte conclusiva, prover a riassumere alcuni risultati del nostro ex cursus storico, collocando il caso italiano in una prospettiva com parata. Come vedremo, caratteristiche del caso italiano sembrano essere la maggiore durata e intensit del ciclo di protesta tra la fine degli anni Sessanta e linizio degli anni Settanta; il maggiore radi- calismo degli anni Settanta con predominio di un discorso fonda mentalista; la minore visibilit e il maggiore pragmatismo dei mo vimenti nei decenni successivi. Queste peculiarit possono essere in parte spiegate a partire dalle risorse esistenti per i movimenti, sia al loro interno che al loro esterno. Per quanto riguarda le risorse in terne, guarderemo in particolare allevoluzione della famiglia dei movimenti della sinistra libertaria e al potenziale di mobilitazione di volta in volta disponibile. Per quanto riguarda le risorse esterne, accenneremo alle risorse provenienti dal sistema internazionale, concentrandoci poi su quelle che sono state definite, nel capitolo introduttivo, come caratteristiche stabili della struttura delle o p portunit politiche, cio quegli elementi delle istituzioni e della cul tura che pi incidono sulla struttura del conflitto sociale.

1. Protesta e movimenti: il caso italiano in prospettiva comparata


* In Italia come in altri paesi, il periodo che va dalla met degli 167

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anni Sessanta agli anni Novanta ha visto lo sviluppo di una serie di movimenti sociali. Una prima fase, che va fino allinizio degli anni Settanta, stata caratterizzata da un livello piuttosto alto di mobi litazione in diversi settori della societ - quello che Tarrow (1990) ha definito come un ciclo di protesta. La mobilitazione declinata nel corso degli anni Settanta, lasciando dietro di s movimenti,pic coli e radicalizzati. Senza che la protesta raggiungesse i picchi di drammaticit e visibilit del decennio precedente, gli anni Ottanta hanno visto la crescita e la istituzionalizzazione dei nuovi movi menti sociali. Negli anni Novanta, in una situazione di grande aper tura della struttura delle opportunit politiche, nuove mobilitazio ni hanno preso a oggetto il tema della moralit pubblica. Se confrontiamo lItalia con altre democrazie occidentali, possia mo innanzitutto osservare notevoli somiglianze nello sviluppo com plessivo dei movimenti della sinistra libertaria. In Italia come in G er mania o in Francia il primo movimento ad apparire sulla scena fu il movimento degli studenti, che raggiunse lapice nel 1968, sopravvi vendo pi a lungo in Italia che in altri paesi. Interagendo con i movi menti studenteschi di altri paesi, il movimento studentesco italiano import tecniche di protesta inventate durante la mobilitazione per i diritti civili negli Stati Uniti. Il movimento delle donne segu a quel lo degli studenti, raggiungendo - in Italia come anche in Germania o in Francia - la massima visibilit alla met degli anni Settanta con le campagne per la liberalizzazione dellaborto. Levoluzione nei reper tori d azione procedette dalluso della disobbedienza civile nella pri ma met degli anni Settanta alla creazione di gruppi di auto-coscien za nella fase del ritorno al privato, nella seconda met del decen nio. Le proteste anti-nucleari si svilupparono alla fine degli anni Set tanta - sebbene con una minore intensit che in Francia o in Germa nia - favorendo lemergere di un movimento ecologista. Fra il 1981 e il 1983 il movimento per la pace, in Italia cos come in Germania e in Olanda, si mobilit in azioni prevalentemente nonviolente di sensibi lizzazione e in alcune grosse manifestazioni nazionali contro linstal lazione dei missili Cruise. Nella seconda met degli anni Ottanta, il movimento ecologista si svilupp in Italia come in altri paesi, insieme a una serie di associazioni sui temi pi vari, dal diritto alla casa allas sistenza ai gruppi emarginati. I movimenti degli anni Ottanta furono infatti caratterizzati da un ampio numero di azioni a livello locale, che miravano ad attrarre lattenzione del pubblico con creativit e fanta sia, piuttosto che attraverso un alto livello di radicalismo. 168

Per quanto riguarda i comportamenti prevalenti nei movimenti della sinistra libertaria, il movimento studentesco fu caratterizzato da un atteggiamento antagonista, con frequenti episodi di violen za di massa. I conflitti erano inseriti in una prospettiva rivoluzio naria, con unimmagine ottimista del futuro e speranze di radicali mutamenti politici. Negli anni Settanta prevalse un comportamen to di scontro frontale. Sebbene una prospettiva ottimista ed emancipatoria fosse ancora dominante allinizio del decennio, le forme dazione gradualmente escalarono nella violenza. Nella seconda met degli anni Settanta, comportamenti radicali di scontro preval sero, con atteggiamenti crescentemente pessimistici. Allinizio de gli anni Ottanta, il movimento per la pace contribu a deradicalizzare i conflitti con la scelta di forme d azione nonviolente. Nel cor so di questo decennio e di quello successivo i comportamenti di vennero pi moderati, la nuova sinistra perse di influenza, e si pre sentarono sulla scena nuovi movimenti sociali, che spesso rifiutaro no di allinearsi lungo il tradizionale asse destra-sinistra. Riprendendo le tipologie elaborate nel capitolo introduttivo, possiamo dire che nella fase di emergenza della famiglia della sini stra libertaria, la struttura organizzativa del movimento studentesco era di tipo spontaneo - si enfatizzavano gli aspetti informali, il de centramento e la partecipazione - ma anche totalizzante, con una adesione fortemente emotiva ed esclusiva. Lideologia era ottimista e rivoluzionaria, impregnata di utopie di trasformazioni radicali. Le forme d azione erano perturbative ma, allinizio, pacifiche, mentre la violenza emerse nel corso di una escalation non pianificata. La fase della radicalizzazione port con s trasformazioni in par te contraddittorie. Dal punto di vista della struttura organizzativa, i movimenti degli anni Settanta furono caratterizzati da una evolu zione in due diverse direzioni: dal processo di decentramento dei molti gruppi informali del movimento femminista e giovanile alla strutturazione crescente della Nuova sinistra, ma anche dei piccoli nuclei semimilitari e delle formazioni terroriste. Lideologia conti nuava a essere massimalista nelle richieste, ma anche pessimista sul le possibilit di raggiungere i mutamenti desiderati. Dal punto di vi sta delle strategie d azione abbiamo la prevalenza delle azioni rdicali a livello di azione visibile, insieme a un riflusso nelle strategie di rivolta a livello di controcultura. Gli anni Ottanta coincisero con processi di istituzionalizzazio ne nella famiglia della sinistra libertaria. A livello organizzativo si 169

diffuse una combinazione di associazioni strutturate e centralizza te e di gruppi autonomi, basati sul principio della responsabilit in dividuale; in entrambi i casi, il principale mutamento rispetto alla fase della radicalizzazione fu un approccio di tipo laico - inclu sivo e non-totalizzante. Unideologia riformatrice univa una scelta minimalista di rivendicazini concrete con la fiducia nella possibi lit di incidere sulla realt esterna. Per quanto riguarda i repertori della protesta, le campagne di mobilitazione combinavano azioni di massa e azioni ad alta intensit simbolica, azioni istituzionali e azio ni dirette - rifiutando comunque ogni tattica violenta. Sintetizzando, si avuto un passaggio da domande di cambia menti radicali, a una separazione fondamentalista, a mutamenti di tipo riformista. La struttura organizzativa si evoluta da strutture formali, centralizzate, ampie ed esclusive, a piccoli gruppi informa li, decentralizzati e non coordinati, fino a giungere a una struttura differenziata con piccoli gruppi informali, decentralizzati e inclusi vi, con coordinamenti ad hoc, e organizzazioni professionali (sia gruppi di pressione che cooperative di produzione). Lideologia si trasformata dal radicalismo offensivo coniugato con ottimismo ri voluzionario, a un pessimismo fondamentalista difensivo, e quindi a un riformismo pragmatico. Il repertorio della protesta si svilup pato da una combinazione di forme non convenzionali e conven zionali, a forme non convenzionali e violente, e, infine a forme con venzionali e nonviolente. Gli anni Novanta si sono aperti con una specializzazione del set tore dei movimenti sociali. Associazioni strutturate e partiti convi vono con piccoli gruppi organizzati a livello locale e quasi privi di strutture di coordinamento. Nuove categorie ideologiche si so vrappongono alle vecchie, in un discorso che enfatizza valori quali la legalit e lonest. Le strategie d azione combinano aspetti sim bolici e pressioni istituzionali.

2. Le risorse interne ai movimenti collettivi


Cosa spiega le caratteristiche assunte dai movimenti della sini stra libertaria? Possiamo iniziare con losservare come le risorse or ganizzative presenti nel settore dei movimenti sociali abbiano in fluenzato levoluzione dei singoli movimenti e delle forme di pro testa pi in generale. Nel corso dei tre ultimi decenni vari movi 170

menti sociali sono succeduti luno allaltro o hanno convissuto, in fluenzandosi reciprocamente. Ogni movimento ha fornito risorse organizzative per le mobilitazioni successive, contribuendo a defi nirne le strategie. Organizzazioni di movimento sociale nate nel corso di una fase di mobilitazione hanno prodotto risorse per le m o bilitazioni future - influenzando quindi, o almeno cercando di in fluenzare, le caratteristiche dei successivi cicli di protesta. In Italia come in altri paesi, le prime risorse organizzative per il movimento degli studenti vennero dai partitini presenti negli organi di auto governo studentesco nelle universit, e da gruppi marxisti, con pre valenti attivit di elaborazione teorica. Ci port a una continuit tra organizzazioni della vecchia sinistra e organizzazioni di mo vimento. Con lo sviluppo della mobilitazione, gli attivisti cercaro no quindi formule organizzative che potessero aiutarli a coordina re le attivit di protesta nelle varie universit. I nuclei universitari locali confluirono cos con gruppi operaisti attivi nelle fabbriche, fondando le organizzazioni della Nuova sinistra - organizzazioni caratterizzate da una struttura organizzativa ancora precaria, da un forte dogmatismo e da unattenzione rivolta prevalentemente alle sterno delluniversit. Queste caratteristiche possono, ancora una volta, spiegare il radicalismo ideologico dei gruppi italiani, ma an che la loro maggiore vicinanza ai temi della vecchia sinistra. La pro testa fu guidata da organizzazioni con una ideologia di sinistra che fornirono al movimento studentesco visioni utopiche di grandi tra sformazioni sociali e politiche. Si pu aggiungere, inoltre, che, nel la fase di espansione del movimento, questi gruppi cominciarono a mettere in pratica le loro teorizzazioni sulla legittimit della violen za come difesa rispetto agli attacchi delle forze capitalistiche. Cambiamenti organizzativi avvennero anche dopo il declino della mobilitazione studentesca, quando molti gruppi sparirono e altri cercarono invece di esportare la protesta in altri settori so ciali. In molti paesi gli attivisti andarono in parte a ingrossare le fi la di altre organizzazioni politiche o sindacali, si sparpagliarono in piccoli gruppi locali, o si aggregarono in organizzazioni pi strut turate. Anche in Italia, le organizzazioni di movimento sociale che sopravvissero alla disgregazione del movimento studentesco subi rono un processo di istituzionalizzazione. Le organizzazioni del movimento degli studenti erano state, al loro inizio, inclusive, cio esse avevano confini flessibili, la membership era definita pi da sentimenti comuni che dal possesso di una tessera, le identit col 171

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lettive erano basate sul movimento piuttosto che sulla singola orga nizzazione e la partecipazione in pi di una organizzazione era non solo permessa ma anche incoraggiata. Mentre le formazioni pi in clusive non sopravvissero alla crisi della mobilitazione, alcune di quelle esclusive cominciarono a sviluppare precise identit orga nizzative. Con alcune eccezioni, i confini organizzativi divennero pi chiaramente definiti, la partecipazione in una organizzazione cominci a escludere quella in altre e i militanti tesero a identificarsi pi strettamente con la loro organizzazione che con il movimento nel suo insieme. Quando la protesta si diffuse ad altri settori, strut turandosi - nuovamente in modo decentrato - in vari collettivi e co mitati, furono le organizzazioni della Nuova sinistra a fornire una parte delle risorse organizzative ai movimenti che seguirono, occu pando un posto rilevante in molti comitati di base e centri sociali, e diffondendovi unideologia e pratiche radicali. Le organizzazioni radicali sopravvissute alle precedenti fasi di escalation del conflitto non solo insegnarono alle nuove genera zioni di militanti luso della violenza, ma contribuirono anche alla polarizzazione politica e a un clima repressivo che favor poi, a sua volta, lo sviluppo della violenza. Se fin qui abbiamo c o n sid e rai le organizzazioni come soggetti razionali capaci di influenzare il Jpro ambiente, questultima osservazione sposta invece lattenzione ai ri sultati imprevisti di scelte strategiche compiute da diversi attori, sia istituzionali che di movimento. Come abbiamo osservato, i proces si di radicalizzazione derivarono da una serie di decisioni strategi che sul tema della violenza e produssero continue scissioni allin terno delle organizzazioni di movimento fino - in alcuni casi - alla autonomizzazione dei settori pi militanti. Se le varie scelte deri vavano in parte dalle risorse organizzative e ambientali esistenti, i loro effetti non erano comunque del tutto prevedibili. La crescita della violenza fu cos, in parte, una conseguenza imprevista di spe rimentazioni, organizzative, e segu dinamiche interne non pro grammate. Specialmente quando la mobilitazione declin, le orga nizzazioni dei movimenti sociali sperimentarono varie formule or ganizzative e varie strategie, con contemporanei processi di radica lizzazione e di istituzionalizzazione. Per capire levoluzione della violenza politica occorre, quindi, tenere conto innanzitutto di un fenomeno di competizione allin terno dei movimenti collettivi, che contribuisce a differenziare le strategie delle organizzazioni dei movimenti. Come hanno osserva172

to i sociologi americani Mayer N. Zald e John McCarthy (1980: 6), la competizione tra le organizzazioni esclusive di una industria prende la forma di una limitata differenziazione dei prodotti (cio di offerta di beni parzialmente diversi) e, soprattutto, di differen ziazione tattica. Anche dalla nostra descrizione emerso che la competizione interna tra le varie organizzazioni del movimento produsse, attraverso un processo di adattamento differenziato al mutevole ambiente esterno, contemporaneamente la istituzionaliz zazione di alcune di esse e la radicalizzazione di altre. Si pu ag giungere che la storia dei gruppi radicali dei movimenti collettivi conferma anche unaltra ipotesi gi avanzata da McCarthy e Zald: che, cio, la competizione tende a crescere durante i periodi di smo bilitazione. Fu infatti durante la fase declinante della mobilitazione studentesca che organizzazioni di movimento, divenute pi esclu sive, accentuarono la loro competizione per risorse scarse. Per de finire le loro aree di reclutamento, o nicchie nellambiente in cui es se potevano meglio competere, le varie organizzazioni sottolinea rono le loro caratteristiche pi distintive, formulando elementi ideologici e adottando prassi lievemente differenti. Nella loro ri cerca di una specifica identit politica, gruppi diversi sperimenta rono varie strategie: quei gruppi che possedevano pi competen ze tecniche per luso della violenza - e che mancavano, invece, di altre risorse - radicalizzarono il loro repertorio e compartimentarono le loro strutture (Tarrow 1990; Della Porta 1990; Della Por ta 1995). Eventi precipitanti, spesso imprevisti, portarono alcuni gruppi a praticare forme d azione sempre pi violente, fino allin gresso in clandestinit, considerato come una soluzione che per metteva di sottrarsi, almeno nellimmediato, a denunce e arresti. Possiamo concludere, quindi, che il processo di radicalizzazio ne - che pure richiese una serie di risorse org'anizzative e ambien tali - si evolse attraverso una serie di circoli viziosi, cio spirali di feedbacks negativi dai risultati non previsti. La violenza ha prodot to isolamento e repressione, e lisolamento e la repressione hanno prodotto violenza. Alcune organizzazioni radicali sono rimaste co s intrappolate nel modello adottato che le ha portate alla dissolu zione o alla clandestinit. Come stato suggerito in una ricerca sul la formazione della Rote Armee Fraktion in Germania (Neidhardt 1981), lemergenza dei gruppi pi radicali deriva da processi a s surdi nel corso dei quali le parti coinvolte - manifestanti e polizia in particolare - interagiscono luqo con laltro, facendo radicalizza173

re il conflitto in una serie di circoli autosostenuti. In queste situa zioni i vari partecipanti agiscono sulla base di una immagine auto costruita della realt, scommettendo sui risultati delle loro scel te. Conseguentemente, le loro azioni sono il prodotto di calcoli sba gliati. Questo circolo di azioni e reazioni forma delle routine, fino a che un evento pi o meno casuale non produce un salto qualita tivo nei livelli di violenza. Confrontate con le conseguenze critiche dellevento precipitante, alcune organizzazioni di movimento si di vidono allora sulle possibili scelte^ indirizzandosi ora verso una maggiore moderazione e ora verso una maggiore militanza, fino alla clandestinit. Seppure la decisione di andare in clandestinit ri duce i rischi per i militanti di essere arrestati, essa limita comunque enormemente le loro possibilit d azione. I gruppi clandestini ten dono infatti a divenire dei sistemi chiusi, privi di contatti e media zioni con il mondo esterno. I loro membri hanno sempre meno pos sibilit di uscita, cos che le loro scelte prendono una vita propria, indipendentemente dai loro motivi iniziali. cos che organizza zioni che nascono allinterno di movimenti sociali si trasformano in sette criminali. Anche questultima tappa del processo di radicalizzazione organizzativa stata osservata in Italia, con la costituzione delle organizzazioni clandestine - la cui stessa esistenza contribuir poi a riavvitare il circolo di violenza e repressione. Se fin qui abbiamo guardato alla radicalizzazione dei compor tamenti, uno sguardo alle variabili interne ai movimenti pu aiu tarci a spiegare anche la successiva moderazione. Guardando alle interazioni tra i diversi movimenti, sembra infatti di potere indivi duare dei cicli di vita ricorrenti, che portano gradualmente a un ac cumulo delle risorse disponibili per lazione non istituzionale. A maggiori risorse corrisponde poi una maggiore disponibilit al ne goziato, sia da parte dei movimenti che da parte delle loro contro parti. Nel corso della nostra descrizione abbiamo osservato che, nel la fase aurorale dei movimenti, il tema destinato a essere messo al centro di vaste campagne di mobilitazione viene tenuto in vita al linterno di piccoli circoli intellettuali, culturali pi che politici. La issue conflittuale ancora in una fase prepolitica, discussa preva lentemente come oggetto etico, culturale o artistico. I gruppi sono piccoli ed eterogenei, e funzionano piuttosto come forum di di- v scussione - un ruolo ricoperto, come abbiamo visto, dal Grimau per il movimento delle donne, o da Pax Christi e dalla Lega obiet174

tori di coscienza per il movimento della pace. Questi nuclei orga nizzativi criticano la cultura dominante, ma non riescono ad attrar re lattenzione dei media o del pubblico. Si pu dire che, in questa fase iniziale, i movimenti appaiono preoccupati soprattutto di crea re una identit collettiva. In seguito, le nuove identit collettive si rafforzano nelle mo bilitazioni di massa e nello scontro con la controparte, che tende al linizio a reagire in modo conflittuale alle domande emergenti. Nel la fase di formazione di un movimento collettivo si mobilitano quel le risorse necessarie a mettere uno specifico tema al centro del di battito politico. Fattori precipitanti - quali ad esempio il referen dum sul divorzio o la decisione sullo stanziamento dei missili nu cleari in Europa - possono produrre una suddenly imposed grievance (Walsh 1981), cio una insoddisfazione imposta allimprov viso. Alla base della mobilitazione, accanto ai fattori reattivi, vi so no comunque anche meno visibili, ma forse pi importanti fattori proattivi. La protesta si sviluppa quando si costituiscono le risorse necessarie al passaggio da una proposizione etico-culturale (prepo litica) alla elaborazione socio-politica di un tema. In un primo mo mento, comunque, lidentit del movimento ancora in formazio ne: esso privilegia dunque domande non negoziabili e strategie espressive, finalizzate pi alla presentazione della propria iden tit che alla trasformazione nelle politiche pubbliche. I piccoli gruppi costituitisi nelle fasi pre-politiche in genere tendono a giocare un ruolo rilevante allinizio, ma a perdere a poco a poco pre sa sulla mobilitazione - rimanendo semmai come coscienza critica del movimento. Pi ampie organizzazioni sono create, o precedenti organizzazioni entrano allinterno di coordinamenti ad hoc per for nire le risorse necessarie alla mobilitazione. In una terza fase il movimento ha definito la sua identit. Con il passare del tempo si ha un aggiustamento reciproco tra movi menti e loro ambiente: nuovi canali di accesso al sistema politico si aprono, mentre si rarefanno le espressioni pi aspre di conflitto. Peiv varie ragioni le campagne di mobilitazione declinano, ma la scian e un residuo importante: una nuova identit di movimento, composta da un sistema di valori, materializzato in associazioni e re ticoli di relazioni1. La forza delle identit collettive pu variare: al
1 In termini generali, si pu dire che unidentit collettiva ci che fornisce una base di riconoscimento agli individui nella collettivit. Su questo tema cfr. Pizzorno 1977; 1988.

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cune sembrano pi pregnanti (come nel movimento delle donne), altre pi deboli (come nel movimento giovanile); alcune sono pi visibili (come nel movimento ecologico), altre pi nascoste (come nel movimento della pace); alcune sono presenti anche a livello na zionale (come nel movimento anti-nucleare), altre solo a livello lo cale (come in alcuni movimenti territoriali); alcune sono pi politi che (come nel movimento federalista), altre pi culturali (come nei centri sociali autogestiti). Raramente, comunque, un movimento scompare senza lasciare tracce culturali e organizzative dietro di s. Le organizzazioni del movimento possono essere a questo punto partiti, imprese economiche, gruppi culturali, associazioni volonta rie - o insiemi variabili delle quattro forme. Questi gruppi, che in diverse arene continuano la loro azione sul tema centrale del movi mento, possono in ogni momento rimobilitarsi attraverso la prote sta. Come risultato del riconoscimento della fase precedente, si pu avere anche la costituzione di policy arenas e policy networks, cio di luoghi e comunit che decidono su alcune aree di politiche pub bliche - si pensi ai giovani, alle donne o allambiente. Le identit di movimento vengono quindi spesso rimobilitate in modo reattivo, in genere in seguito a progetti di legge che minano le risorse o le conquiste del movimento; o in modo proattivo, al linterno di pi generali campagne di protesta. Durante le fasi di ri mobilitazione, alcune frange possono radicalizzarsL Nel lungo pe riodo, comunque,-^'movimenti tendono ad assumere atteggiamenti pi pragmatici e di cooperazione. Mentre la campagna iniziale ave va infatti il compito di formare lidentit, le campagne successive sono, generalmente, pi strumentali, e quindi pi orientate al ne goziato. Se allinizio bisognava accumulare risorse, in seguito risor se gi esistenti possono essere investite nellarena politica. Come abbiamo infatti notato, diversi movimenti si sono svilup pati in una direzione simile: dalla formazione dellidentit colletti va allutilizzazione dellidentit collettiva sul mercato politico. D u rante questo processo la strategia si evoluta verso il negoziato, sfo ciando nella coesistenza di gruppi di interesse pubblico (dal mo mento che nuovi canali di accesso sono stati creati) e di gruppi che elaborano una nuova cultura (dato che nuovi codici culturali sono creati e tenuti in vita dai reticoli di movimento). Questo processo, che pu essere spiegato a partire dai diversi passaggi necessari alla formazione di un movimento, ha effetti importanti sulla famiglia di movimenti sociali. Oscillando tra fasi di visibilit e fasi di latenza 176

(Melucci 1992), la maggior parte dei movimenti sopravvive allin terno di una pi grande famiglia di movimenti, contribuendo a espanderne le infrastrutture organizzative e il potenziale di mobili tazione. In conclusione, le risorse per i movimenti sociali aumenta no nel tempo e si istituzionalizzano, si costituiscono canali di ac cesso ai policy makers, e si stabilizzano le alleanze. Tutto ci contri buisce alla deradicalizzazione della protesta. Si pu dire quindi che, attraverso questa continuit organizza tiva, le esperienze dei movimenti precedenti si presentano come ri sorse e vincoli per quelli successivi. Processi di imitazione e diffe renziazione, di coazione a ripetere e di apprendimento sono allo pera contemporaneamente. Gli attivisti della fase di mobilitazione successiva ereditano strutture e modelli dai loro predecessori, ma nello stesso tempo essi imparano dagli errori di coloro che li hanno preceduti, cercando di superarli. probabile che tanto pi nume rosi sono i nuovi attivisti e tanto meno successo ha avuto un movi mento, tanto minori saranno i processi di imitazione. Questo p o trebbe aiutare a capire la cesura tra la fine degli anni Settanta e li nizio degli anni Ottanta, quando la drammaticit degli errori che avevano portato al terrorismo e lallontanamento forzato di una ge nerazione dalla politica spinsero a innovare rispetto al passato. Il fatto che le organizzazioni della Nuova sinistra fossero presenti e bene organizzate pu spiegarne invece linfluenza penetrante anche negli anni Settanta. Questo trend verso la istituzionalizzazione e la diffusione di mo vimenti sociali come forma di organizzazione e mediazione di inte ressi pu essere spiegato dalla diffusione delle capacit necessarie allazione collettiva a ogni successiva ondata di mobilitazione. La mobilitazione facilitata infatti dal riaggregarsi di precedenti m o vimenti su tematiche nuove, naturalmente compatibili con li dentit iniziale. Si pu dunque concludere che limportanza dei mo vimenti collettivi tende a crescere nel senso che sempre pi risorse - culturali e materiali - sono disponibili per lazione collettiva.

3. Risorse esterne e mobilitazione della protesta


Se dunque le se lite strategiche dei movimenti sono influenzate dalle loro risorse interne, levoluzione comunque influenzata an che dalla presenza di risorse al loro esterno. Pressioni internazio 177

nali, struttura dei conflitti politici, caratteristiche delle istituzioni e della cultura politica, strategie di alleati e oppositori sono tutti ele menti che hanno - si visto - influenzato lo sviluppo dei movimenti della sinistra libertaria, contribuendo ai processi di radicalizzazione cos come a quelli di deradicalizzazione. In primo luogo, abbiamo ripetutamente notato che la presenza di una famiglia di movimenti della sinistra libertaria era lungi dal rappresentare un fenomeno esclusivamente italiano. I paralleli nel lo sviluppo dei movimenti in vari paesi sono in parte spiegabili da

processi ed eventi di tipo internazionale e da fenomeni di diffusione cross-nazionale. Il flusso costante di informazioni attraverso mezzi
di comunicazione che sorpassano i confini tra gli Stati ha infatti "contribuito a ridurre le specificit nazionali, favorendo la diffusio ne internazionale di repertori d azione e discorsi politici. Anche la "comunicazione diretta tra movimenti sociali di numerosi paesi - at traverso rapporti organizzativi sovranazionali o amicizie personali - ha fatto crescere le somiglianze tra le ondate di mobilitazione a li vello internazionale. Oltre al processo di imitazione, comunque, la somiglianza deri va anche dal fatto che i diversi movimenti hanno reagito a cambia menti simili nella sfera produttiva e nella congiuntura economica. Il movimento studentesco si sviluppato, in vari paesi, in una fase di passaggio da una universit di lite a una universit di massa. Li struzione di massa ha mutato la condizione della donna sul merca to del lavoro, contribuendo allo sviluppo dei movimenti femmini sti. La crisi economica della met degli anni Settanta ha prodotto non solo disoccupazione giovanile, ma anche investimenti in pro getti nucleari: movimenti giovanili e antinucleari si sono sviluppati in reazione ai due fenomeni. All'inizio degli anni Ottanta i movi menti pacifisti si sono mobilitati contro le conseguenze della double-track decision della N ato . Rispetto alle caratteristiche dei movimenti, comparazioni cross nazionali hanno sottolineato la sensibilit degli attori collettivi al landamento ciclico della congiuntura economica internazionale, filtrata attraverso i cicli culturali, con la prevalenza di un clima fondamentalistico pessimista nelle fase di declino economico (in parti colare, negli anni Settanta), di ottimismo riformista nelle fasi di ascesa (negli anni Sessanta e Ottanta) (Brand 1990). Da questo pun to di vista sembra confermata lesistenza di differenze tra movi menti di periodi di affluenza e movimenti di periodi di crisi: 178

con i primi caratterizzati da strumentalismo e ottimismo; i secondi da espressivismo e pessimismo (Kerbo 1982). Ma se le dinamiche cicliche spiegano alcune trasformazioni congiunturali, esse non ci aiutano per a comprendere n i feno meni di trend - come levoluzione verso una crescente moderazio ne dei repertori d azione - n le differenze cross-nazionali e cross temporali nelle caratteristiche dei movimenti in fasi simili del ciclo economico o culturale. Se la negativa congiuntura economica e il conseguente pessimismo culturale possono contribuire a spiegare, ad esempio, il radicalismo degli anni Settanta, essi non ci dicono per come mai negli anni Settanta il pessimismo produce nuclei radicalizzati, mentre negli anni Novanta si formano nuovi partiti; di converso, se il benessere economico tende a produrre moderazio ne, non sappiamo per perch mentre gli anni Sessanta sono stati definiti come anni rivoluzionari, gli anni Ottanta sono caratte rizzati dal loro pragmatismo. Nel corso dei capitoli precendenti abbiamo spiegato alcune tra sformazioni cicliche nei repertori dei movimenti collettivi cos co me la tendenza verso una complessiva deradicalizzazione delle for me d azione con gli atteggiamenti e i comportamenti dei potenzia li avversari e oppositori dei movimenti. Questo assunto non nuo vo nella letteratura. Mentre levoluzione delle forme d azione sta ta collegata alle strategie di controllo delle loro controparti (per esempio, Tilly 1978: 98-115), la disponibilit di potenziali alleati una variabile gi presente nelle prime definizioni della struttura del le opportunit politiche (Tarrow 1983: 28). Per quanto riguarda il ruolo degli oppositori dei movimenti, un alto livello di repressione stato di solito associato con comporta menti radicali da parte degli sfidanti. Unanalisi comparata sullE u ropa del X IX secolo ha concluso che quei paesi che erano coe rentemente,pi repressivi, brutali e ostinati nellaffrontare le con seguenze dejla modernizzazione e la crescita del dissenso operaio hanno raccolto i frutti del loro comportamento, producendo unopposizine che fera esattamente altrettanto rigida, brutale e ostinata (Goldstein \^83: 340). I risultati empirici in qualche mo do contraddittori - che indicando, come conseguenza della repres sione, talvolta una radicalizzazione dei gruppi pi esposti alla vio lenza della polizia, e in altri casi, invece, la rinuncia alle forme d a zione meno convenzionali (Wilson 1976) - hanno spinto a conclu dere che la relazione tra violenza della protesta e repressione da 179

parte delle autorit probabilmente di tipo curvilineare, cio che lescalation sia prodotta sia da livelli troppo alti che da livelli trop po bassi di repressione (Neidhardt 1989). La nostra analisi del caso italiano conferma lalto grado di sen sibilit dei movimenti collettivi alle strategie dei loro oppositori. Il radicalismo nei comportamenti e negli atteggiamenti dei movimen ti collettivi pu essere spiegato, almeno in parte, dal fatto che in Ita lia il controllo della protesta stato pi duro che in altre democra zie avanzate. Non solo luso della forza ha prevalso per lungo tem po rispetto alla prevenzione, ma le strategie repressile sono state poco)selettive mentre gli apparati dello Stato sono stati accusati di avere fatto ricorso a tattiche sporche, come lusq di agents pro vocatem i o la protezione della destra neofascista. In un confronto tra i diversi periodi abbiamo infatti notato che questi modelli re pressivi furono particolarmente presenti negli anni Settanta, con quasi un ritorno alla tradizione degli anni Quaranta e Cinquanta dopo linversione di tendenza del decennio precedente. Solo negli anni Ottanta il controllo di polizia della protesta cominci a foca lizzarsi sui gruppi violenti, e a sperimentare tattiche di de-escalation. I momenti di maggiore repressione hanno coinciso con la pola rizzazione del sistema politico e lo spostamento a destra dei gover1 ni, cui seguita una radicalizzazione dei movimenti. Dopo la crisi del centro-sinistra, livelli pi alti di repressione hanno portato a un restringimento della base politica della protesta, aiutando indiret tamente il prevalere delle frange pi radicali. Un ritorno verso il centro dei partiti di governo non ha comunque moderato automa ticamente i comportamenti degli attori della protesta. Infatti, nella seconda met degli anni Settanta i governi di unit nazionale - aper ti allappoggio del Pei - non ebbero, in un ambiente politico gi radicalizzato, effetti di moderazione. Dopo le parziali aperture degli anni Sessanta e la polarizzazione degli anni Settanta, una inversio ne di tendenza si ebbe negli anni Ottanta: essa non fu per inserita allinterno- di un programma riformatore, ma piuttosto caratteriz zata dallabbandono da parte dei partiti politici di molte arene do ve venivano decise le politiche pubbliche. Leffetto sui movimenti ' fu lallontanamento dalle zone visibili della politica, attraverso la sopravvivenza nella controcultura o la trasformazione in gruppi di pressione. Negli anni Novanta, nonostante la negativa congiuntura economica, la dissoluzione del partito di maggioranza relativa non 180

ha portato una radicalizzazione dei repertori, ma unaccentuata at tenzione dei movimenti per larena elettorale e le istituzioni rap presentative. Ancora guardando agli oppositori della_sinistra libertaria, la ra>dicalizzazione dei comportamenti dei movimenti negli anni Settan ta e la loro successiva moderazione pu essere collegata alle carat teristiche di quelli che abbiamo chiamato contromovimenti. La re lazione tra movimenti e contromovimenti stata definita come un conflitto loosely coupled, dove le due parti raramente si incontrano (Zald e Useem 1987). Riferendosi alla tipologia di Rapoport (1960), si pu dire che le interazioni conflittuali tra movimenti e contromovimenti assomigliano in genere a dibattiti, nella misura in cui es se si basano sulla persuasione per convincere gli oppositori e le au torit, e a giochi, nella misura in cui le parti utilizzano un calcolo razionale di costi e benefici. In Italia comunque, per una lunga fa se, queste interazioni hanno assomigliato piuttosto a battaglie, do ve lobiettivo era la distruzione del nemico. Se la presenza di con tromovimenti non violenti ha influenza soprattutto sulle chance di successo dei movimenti, la presenza di contromovimenti violenti ha invece favorito la radicalizzazione delle forme d azione. Unaltra variabile pu contribuire a spiegare lalto livello di vio lenza degli anni Settanta e la successiva moderazione: la posizione dei (potenziali) alleati. Rispetto alla sinistra istituzionale, alcuni au tori hanno sottolineato Vimpatto dei cleavages ideologici nel siste ma dei partiti stillo sviluppo dei movimenti sociali, ipotizzando che un allineamento sullasse destra-sinistra ritardi levoluzione dei nuovi movimenti sociali (Brand 1985: 319), e che una divisione nel la sinistra tra socialdemocratici e comunisti ostacoli la crescita dei nuovi movimenti (Kriesi 1991: 18)2. Per contro, c stato chi ha en fatizzato il ruqlo di stimolo ai movimenti che i partiti comunisti (pi a sinistra e pi aperti alla protesta) possono giocare. Ad esempio, Tarrow (1990aT 254) ha argomentato che il Pei ha agito come un suggeritore, creativcS^nche se fuori campo, rispetto alle origini, le dinamiche, e la finale istituzionalizzazione dei nuovi movimenti. Lanalisi del caso italiano conferma innanzitutto il ruolo importan te svolto dalla sinistra tradizionale - in particolare dal Pei e dal mo
2 Aumentando la rilevanza del voto operaio, e quindi luso del discorso di classe e della terminologia marxista, la divisione nella sinistra allontanerebbe i ce ti medi, che rappresentano la base dei nuovi movimenti (Kriesi 1991).

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vimento operaio - come alleato dei movimenti. Come effetto di questa alleanza, i movimenti si sono trovati in una coalizione am pia, seppure minoritaria. Un forte partito comunista ha aumentato le risorse di mobilitazione dehmovimenti, ma anche li ha attirati nel la propria orbita, con una tendenza alla cooptazione delle campa gne di protesta. Gli effetti di queste alleanze sono stati contraddit tori: se da un lato i movimenti non si sentivano isolati, dallaltro per essi tendevano a essere identificati con una sinistra minorita-* ria e ancora non pienamente legittimata. Unaltra osservazione pu essere fatta a questo proposito: la si nistra tradizionale non sempre appoggia i movimenti della sinistra libertaria. Come stato gi notato nella letteratura sulla protesta, i rapporti tra la vecchia sinistra e i movimenti della sinistra liber taria oscillano tra la cooperazione e-la competizione. Cosa influen za la posizione della sinistra tradizionale rispetto ai movimenti del la sinistra libertaria? Fra coloro che hanno prestato attenzione alle relazioni fra i partiti di sinistra e la protesta, Hanspeter Kriesi ha suggerito che
se i socialdemocratici sono allopposizione, essi approfittano delle sfide dei N ms [Nuovi movimenti sociali, N.d.A.] dirette al governo. [...] Se al gover no, i socialdemocratici non solo si trovano di fronte a vincoli elettorali, ma operano anche sotto i vincoli della politica istituzionale e sotto le pressioni delle forze sociali dominanti [...] Per massimizzare le loro possibilit di es sere rieletti, essi cercheranno di realizzare compromessi che favoriscono la parte centrale del loro elettorato. (Kriesi 1991: 19; cfr. anche 1989: 296-97)

Il caso italiano aiuta a specificare queste previsioni: nella secon da met degli anni Settanta, infatti, il Pei, nonostante non fosse al governo, esprimeva una forte .diffidenza rispetto ai movimenti. I movimenti della sinistra libertaria erano cos privi di canali di ac cesso al sistema decisionale, e ci ha favorito sia la radicalizzazione che il riflusso. Viceversa, quando il Pei - e in seguito il P ds - si so no dimostrati nuovamente disponibili verso gli attori emergenti, ab bracciando programmi di riforme, le forme di protesta sono nuo vamente divenute pi moderate. f Una conclusione deriva dal nostro discorso su oppositori e al leati. Nonostante i movimenti collettivi contribuiscano allemergere di tematiche nuove, trasversali rispetto ai partiti, essi tendono al contempo ad allinearsi sullasse destra-sinistra. Tra i movimenti del la sinistra libertaria e i partiti tradizionali della sinistra si realizza

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una sorta di divisione del lavoro, dove la sinistra tradizionale offre canali di accesso al sistema politico mentre i movimenti contribui scono con il loro stimolo a ricreare risorse di militanza per la vec chia sinistra/Mentre lalleanza con i partiti serve ai movimenti a ovviare alla loro povert di nsorse istituzionali, lalleanza con i mo vimenti porta ai partiti delle iniezioni di entusiasmo (e di attivisti). Ci vuol dire che non si pu parlare di una vera e propria compe tizione tra partiti e movimenti, dal momento che essi hanno biso gno di risorse diverse e giocano ruoli differenti. Si pu aggiungere comunque che, in alcune circostanze, questo tipo di divisione dei /compiti pu indebolirsi e i movimenti possono svolgere effettiva' mente un ruolo di supplenza rispetto ai partiti, cercando canali au tonomi di accesso ai centri decisionali e penetrando le istituzioni rappresentative. Il processo di autonomizzazione dei movimenti collettivi pu essere spiegato in Italia da due processi, entrambi divenuti partico larmente visibili negli anni Novanta. Da un lato, il sistema dei par titi entrato in crisi di fronte agli scandali legati alla esposizione di una corruzione generalizzata che lopposizione aveva in qualche modo tollerata. In secondo luogo, negli anni Novanta si sono con solidati cariali di accesso diretto al sistema politico. In altre parole, come effetto dellazione degli stessi movimenti della sinistra liber taria si sono trasformate nche le opportunit politiche tendenzial mente pi stabili. Se guardiamo in prospettiva storico comparata, le caratteristiche istituzionali del sistema politico nei primi decenni della Repubblica italiana identificavano una struttura delle oppor tunit di tipo chiuso, in cui laccesso alle arene delle decisioni pub bliche ra reso difficile dalla struttura centralizzata del nostro pae se. Mentre, inoltre, la "divisione funzionale dei poteri era piuttosto - accentuata.il ruolo pervasivo dei partiti tendeva a ridurre nei fatti lindipendenza reciproca di potere legislativo, esecutivo e giudizia rio. A livello della struttura^stituzionale, stato osservato nel caso italiano un assetto istituzionMe contraddittorio, caratterizzato da una Costituzione avanzata ma soltanto in parte attuata e nello stes so tempo da una legislazione ordinaria formulata nel ventennio fa scista o addirittura nellItalia pre-fascista ed essenzialmente autori taria soprattutto nel rapporto tra Stato e cittadini (Tranfaglia
1 9 9 1 :3 2 9 ).

Le reazioni alle proteste sono state inoltre caratterizzate da stra tegie di esclusione, riflessesi in una legislazione che ha definito i po183

;
teri e le strutture delle forze di polizia considerando come loro com pito prioritario lordine pubblico, e come nei fatti secondaria la lot ta alla criminalit. Non a caso, molte delle leggi che regolavano lor dine pubblico e i diritti di manifestazione - tra cui lo stesso Testo unico di pubblica sicurezza - erano un pesante residuo della storia pre-repubblicana. Una polizia militarizzata e addestrata alla re pressione dura delle manifesta^joni di massa non aveva molti stru menti per opporsi ai processi di radicalizzazione della protesta. La concezione tradizionale della polizia come longa manus del potere esecutivo sopravvisse inoltre anche dopo la seconda guerra mon diale. Come ha giustamente sottolineato uno studioso inglese:
Nel 1949, il rifiuto dei ministri democristiani di smilitarizzare la poli zia riflesse limmagine che la principale funzione della polizia era la sicu rezza interna dello stato - il mantenimento dellordine pubblico - piutto sto che la prevenzione e la lotta contro il crimine. E in questi ultimi due campi il corpo di polizia (Corpo delle guardie di pubblica sicurezza) ri masto a lungo sottosviluppato, mancando sia di esperienza che di equi paggiamento. (Furlong 1981: 81)

Un sistema istituzionale tendenzialmente chiuso si intrecci con una concezione dei diritti di manifestazione come subordinati allordine pubblico. In una immagine machiavellica dello Stato, il fine del mantenimento dello status quo giustificava luso di mezzi anche illeciti - quasi da sporca guerra. La polarizzazione ideolo gica serviva a giustificare politiche selettive di accesso alle istituzio ni. L a conventium ad escludendum nei confronti del Partito co munista si riflesse in strategie di esclusione anche nei confronti dei sindacati, portando alla spaccatura della confederazione e rinvian do fino al 1969 ogni riconoscimento del sindacato come attore le gittimo del sistema delle relazioni industriali. In queste condizioni, la radicalizzazione dello scontro risultata da un intreccio di so spetti reciproci tra i principali attori sulla affidabilit democrati ca dellawersario. Cos, le istituzioni percepirono la protesta come un grave pericolo per la sopravvivenza della democrazia, mentre gli attivisti dei movimenti si convincevano che il sentiero delle riforme sarebbe stato ineluttabilmente interrotto da un colpo di stato della destra, appoggiato dalla C ia . Guardando al processo di evoluzione dagli anni Sessanta agli anni Novanta, abbiamo comunque potuto osservare delle trasfor mazioni profonde anche in quegli aspetti delle istituzioni e della 184

s
cultura che definiscono le opportunit politiche per un movimen to. Se le strategie tradizionali sjjlproducono attraverso i processi di socializzazione e la creazione di istituzioni, eventi traumatici pos sono comunque mettere in discussione regole interiorizzate e le isti tuzioni si possono trasformare in maniera anche profonda. Cos in Italia, mentre vari attori politici sfruttavano le pressioni provenien ti dai movimenti per avviare processi di riforme, lesperienza trau matica del terrorismo accelerava il ripensamento sulle tattiche di controllo della protesta. I movimenti della sinistra libertaria hanno infattlfontribuito a produrre rilevanti mutamenti sia in termini legislativi che in termi ni culturali. Guardando alle domande specifiche avanzate dai mo vimenti collettivi, gli esiti della protesta sono stati spesso giudicati insoddisfacenti/una riforma organica delluniversit ancora aspet ta di vedere la luce; le donne continuano a essere discriminate, se non formalmente nei fatti, sul mercato del lavoro; i servizi urbani sono sempre pi carenti; i missili nucleari sono stati installati a Comiso; i problemi dellambiente si aggravano. Le pur importanti riforme in relazione a famiglia, lavoro, aborto, carcere, malattia mentale, sanit e casa hnno avuto una difficilissima implementazione'lMelle fasi di bassa congiuntura economica, le donne e i gio vani hanno continuato a pagare per primi in termini di disoccupa zione e sottoccupazione. Tuttavia, i movimenti sono riusciti a pro durre importanti riforme in termini di accesso al sistema delle de cisioni. Mentre lo Statuto dei lavoratori portava al riconoscimento della presenza sindacale in fabbrica, altre leggi hanno trasformato la struttura-delle;.opportuhit politiche per i nuovi attori collettivi. Nuovi canali d accesso sono stati aperti attraverso limplementazione - seppure parziale', in assenza di autonomia tributaria - del lordinamento regionale; il decentramentoNwqjrninistrativo (con le lezione di consigli scolastici e di quartiere); lintroduzione del refe rendum; la progressiva autonomizzazione della magistratura dal potere politico (in particolare con lampliamento del ruolo del Consiglio superiore della magistratura e gli automatismi nella car riera). Ma oltre allapertura formale del sistema delle opportunit isti tuzionali, si avuta una trasformazione culturale, con una tenden za a sostituire le strategie esclusive con strategie integrative. Il Ses santotto ha prodotto, nel lungo periodo, un ampliamento dei con fini della politica. Come ha osservato Pasquino (1991: 352), a par 185

tire dal movimento degli studenti si avuto un cambiamento nei modi di fare politica dei cittadini:
Tecnicamente si deve sostenere che si ampliato e differenziato il re pertorio degli strumenti di partecipazione politica e di comunicazione po litica. Dalla politica convenzionale, che si dipanava quasi tutta dentro le istituzioni e in rapporti interorganizzativi, si passati a una politica che talvolta extra-istituzionale, talvolta anti-istituzionale, ma soprattutto che fa ricorso a forme di espressione eterodosse (che non significa necessaria mente violente) e a forme di comunicazione che saltano spessissimo la me diazione politica e sindacale.

Per quanto riguarda la concezione della protesta, abbiamo assi stito, in particolare, a un processo di normalizzazione di molte for me di azione collettiva, insieme a una contemporanea crescente criti ca delle forme di azione pi radicali. Mentre la protesta pacifica sta ta legittimata come forma di pressione politica, i repertori violenti tendono ad essere sempre pi stigmatizzati come criminali.

4. Osservazioni conclusive
Tra gli obiettivi di questo saggio vi stata lelaborazione di un modello esplicativo dellevoluzione dei comportamenti delle fami glie di movimenti sociali, attraverso lidentificazione di variabili in dipendenti (quali i fattori interni e il contesto strutturale) e di un insieme di variabili intervenienti. Queste ultime sono state concettualizate come i comportamenti del sistema di alleanza e del siste ma di conflitto interagenti con una famiglia di movimenti sociali. Senza potere valutare il peso relativo di questo complesso di varia bili sui movimenti libertari di sinistra, abbiamo tuttavia proposto alcune ipotesi, argomentandole sulla base dellanalisi dello svilup po dei movimenti della sinistra libertaria in Italia. Per quanto riguarda il contesto strutturale, abbiamo rilevato che i comportamenti dei movimenti divengono pi moderati man mano che migliorano le possibilit di accesso al sistema politico da parte degli sfidanti e si attenua il conflitto di classe. Variabili in terne, come le risorse organizzative e culturali disponibili per i mo vimenti, sembrano favorire la tendenza dei movimenti a sopravvi vere anche in condizioni esterne sfavorevoli e, nel lungo periodo, spingono ad atteggiamenti e forme di protesta pi moderate. G uar 186

dando ancora al contesto esterno, la tendenza al maggiore pragma tismo nei comportamenti dei movimenti e dei loro interlocutori ap pare accentuata da trasformazioni istituzionali e culturali di lungo periodo. I^a diffusione dei movimenti pu essere una risposta alla complessita\:rescente delle democrazie, dove partiti e gruppi di pressione non offrono forme di rappresentanza sufficienti. La pre senza di canali di accesso al potere politico e la istituzionalizzazio ne del conflitto di classe, con lo sviluppo del welfare state, sembra no avere moderato i comportamenti dei movimenti sociali. L a nastra attenzione si concentrata, cofnunque, sul ruolo dei sistemi di alleanza e di conflitto sui comportamenti delle famiglie di movimenti sociali. Lanalisi di u n ^ n g o arco di tempo ha permesso di andai oltre quelle interpretazioni che attribuiscono caratteristi che tendenzialmente stabili - complessivamente moderate o com plessivamente radicali - alle famiglie nazionali di movimenti collet tivi (ad esempio, Kitschelt 1986). I cambiamenti osservati nel tem po devino essere invece, ovviamente, spiegati attraverso fattori che, anchessi, mutano nel tempo. La nostra analisi sembra indicare che tra le variabili che pi influenzano le scelte strategiche dei movi menti della sinistra libertaria vi latteggiamento del maggiore par tito della sinistra verso le riforme e verso la protesta, prescindendo dal fatto che questo partito sia aT governo o allopposizione. Pi ostile il suo atteggiamento rispetto ai movimenti della sinistra liber taria, pi questi ultimi tendono a radicalizzarsi. Per quanto riguar da il sistema di conflitto, i movimenti contemporanei - cos come per quelli del passato - tendono a reagire ad un aumento della tol leranza per le azioni di protesta con comportamenti pi moderati. Ma soprattutto, abbiamo osservato la nascita di una societ di movimenti. In quanto nuovo attore della rappresentanza, i movi menti sociali si sono rafforzati strutturalmente e hanno conquista to canali autonomi di accesso al sistema delle decisioni. In un mon do sempre pi complesso, i movimenti sono apparsi come una for mula indispensabile per la difesa di beni pubblici. In questo senso, lanalisi del caso italiano insegna che essi non sono una reazione si stemica a patologie passeggere, ma una nuova forma di espressione di domande collettive. Al di l delle forme congiunturali che i mo vimenti hanno acquisito e acquisiranno nel tempo, il diffondersi delle risorse e competenze necessarie alla protesta fa sperare in un rafforzamento della nostra democrazia, nonostante i pericoli che al tre trasformazioni sociali e tecnologiche portano con s^

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INDICE DEI NOMI

Accattoli, Luigi, 125. Accornero, Aris, 42, 83, 84n, 117 e n. Addis, Elisabetta, 118n. Adinolfi, Francesco, 132. Almirante, Giorgio, 125. Amato, Giuliano, 147, 156-7. Andreotti, Giulio, 81, 84-5, 155, 157. Balducci, padre, 39. Barbagallo, Francesco, 31. Barbagli, Marzio, 26 e n. Barcellona, Pietro, 137-8. Barone, Cinzia, 97, 102. Bascetta, Marco, 138. Battistelli, Fabrizio, 93-4, 102, 104-5, 108, 113, 115, 121n. Beccalli, Bianca, 80, 125. Beckwith, Karen, 81. Benford, Robert D., 10. Berlinguer, Enrico, 125. Berlusconi, Silvio, 4, 155, 165. Bernocchi, Piero, 78. Bianchi, Marina, 103. Bianconi, Giovanni, 68. Biorcio, Roberto, 97n, 112 e n, 113n, 118n, 121n, 139, 152. Bobbio, Luigi, 25-6, 58, 60. Boccia, Maria Luisa, 54, 64. Bongiovanni, Bruno, 38. Boschi, 67. Bossi, Umberto, 134 e n, 135, 144. Boucher, David, 63. Brand, Karl-Werner, 6, 10, 13, 178, 181. Braun, Michael, 155. Brivio, 134n.

Calabr, Anna Rita, 125. Canosa, Romano, 45-6, 86. Canteri, Raffaello, 139n, 140-1. Capanna, Mario, 73. Caselli, Giancarlo, 59. Cassola, Carlo, 108. Castellani, Alessandra, 163. Castellano, Luciano, 61. Castells, Manuel, 65. Ceri, Paolo, 114. Chiaromonte, Franca, 99. Ciampi, Carlo Azeglio, 147, 156. Ciuffreda, Giuseppina, 55, 72. Colombo, Andrea, 138n, 149. Corbetta, Piergiorgio, 26 e n. Cossiga, Francesco, 156. Craxi, Bettino, 11^7, 120, 124n, 155, 157. Curi, Umberto, 138n. D Amelia, Marina, 123. Dahrendorf, Ralph, 158. Dal Lago, Alessandro, 163. DiHp Chiesa, Carlo Alberto, 131, 149. De Ambrogio, Ugo, 124. De Biasi, Rocco, 163. De Giorgio, Michela, 192. De Lorenzo, Francesco, 157. De Lorenzo, generale, 48n. De Luna, Giovanni, 31, 35, 46, 134, 143, 145. De Lutiis, Giuseppe, 48n. De Michelis, Gianni, 157. De Mita, Ciriaco, 155. Della Porta, Donatella, 5n, 6-7, 12-3, 14n, 15, 20n, 36-7, 47, 59-60, 74,

207

77,88,111,119,121,129,155,173. Della Seta, 70n. Dente, Bruno, 81. Diamanti, Ilvo, 134-5, 141, 143-4, 150, 153, 158-9. Diani, Mario, Vn-Vill, 4, 5n, 73, 82, 96, 97 e n, 98, 101, 116, 122-3, 153 e n. Donati, Pierpaolo R., 96, 98. Doneg, Claudio, 144. Eisinger, Peter, 13. Eltsin, Boris, 152. Ergas, Yasmine, 63n, 64, 73. Falcone, Giovanni, 149-50. Fanelli, Costanza, 99. Fanfani, Amintore, 21. Farro, Antimo, 73. Ferraresi, Franco, 48n, 87n, 162. Fiasco, Maurizio, 69. Fillieule, Olivier, 5n. Fini, Gianfranco, 136, 164. Flamigni, Sergio, 87. Forlani, Arnaldo, 155, 157. Frabotta, Biancamaria, 55,72. Fraser, Ronald, 43-4. Fuchs, Dieter, 145. Furlong, Paul, 184. Gallucci, Carlo, 162. Gamson, Bill, Vili. Garner, Roberta, 6, 14n. Gerlach, Luther P., 9. Ginsborg, Paul, 21, 86, 120. Giovannini, Paolo, 117. Goldstein, Robert J., 179. Goria, Giovanni, 157. Grazioli, Marco, 56, 65, 71, 78, 112. Grevi, Vittorio, 47. Grispigni, Marco, 30, 48. Guarnieri, F., 55. Hellman, Judith, 81. Hitler, Adolf, 162. Hunt, S.A., 10. Ibba, Alberto, 161. Ignazi, Piero, 124, 164. Impastato, Giuseppe, 131. Inglehart, Ronald, 113. Irvin, Cynthia, 26, 81.

Jervolino, 142, 155. Jotti, Nilde, llOn. Kennedy, John F., 21. Kerbo, H.R., 179. Kitschelt, Herbert, 7, 13, 187. Klandermans, Bert G., Vili, 13-4. Klingemann, Hanns-Dieter, 145. Kriesi, Hanspeter, Vii, 6, 9, 13-4, 111, 181 e n , 182. LAbate, Alberto, 120n. La Malfa, Giorgio, 157. La Pira, Giorgio, 39. Lama, Luciano, 86. Lange, Peter, 26, 81. Le Pen, Jean-Marie, 152. Leccardi, Carmen, 125. Leoni, 134n. Leoni, Diego, 33 e n. Lo Russo, Francesco, 88. Lodi, Giovanni, 56, 65, 71, 78, 93-5, 99, 102, 104, 112, 122. Lumley, Robert, 30. Magister, Sandro, 154. Mamm, 155. Mancino, 161n. Manconi, Luigi, 44, 80, 101, 112, 154. Mancuso, Carmine, 131. Manghi, Bruno, 41. Mannheimer, Renato, 139 e n, 141. Marchi, Valerio, 161n, 162-3. Martelli, Carlo, 155, 157. Marx, Gary T., 15. Masi, Giorgiana, 88. Masi, Paola, 98. Mastropaolo, Alfio, 132n. Mattei, Stefano, 60n. Mattei, Virgilio, 60n. Mayer, Margit, 124. Mazzi, don, 56. Mazzolari, Primo, don, 39. Mazzoleni, Gianpietro, 150n. McAdam, Doug, Vili, 5n, 12-3. McCarthy, John, Vm, 5n, 9, 14n, 173. Melucci, Alberto, Vili, 8, 38, 47, 70, 106, 112, 153, 177. Mny, Yves, 155. Miccich, 67. Migaie, Lia, 98. Migone, Gian Giacomo, 45.

208

Milani, don, 39. Milosevic, Slobodan, 152. Monicelli, Mino, 26. Mormino, Maria, 55, 96, 98, 103. Moro, Aldo, 21,52, 76, 84, 87, 156. Morone, 134n. Moroni, 134n. Moroni, Primo, 132. # Moscovici, Serge, 11. Muller, Lothar, 37n. Mussolini, Benito, 162. Neidhardt, Friedhelm, Vii-Vm, 5n, 173, 180. Novelli, Diego, 67-9, 140. Orlando, Leoluca, 132, 139n, 140-2, 151. Ortoleva, Giuseppe, 22, 28, 33, 43. Pagano, Alessandro, 81. Pajetta, Giovanna, 136, 145. Palombarini, Giovanni, 61. Paolo VI, papa, 40. Pasquinelli, Sergio, 124. Pasquino, Gianfranco, V ii, 77, 88, 185. Passerini, Luisa, 43, 63n. Pellizzari, Tommaso, 132n. Pertini, Sandro, 120. Pisetta, Enrico, 59, 68-9, 76. Pizzorno, Alessandro, Vili, 51, 175n. Pomeranzi, Bianca, 99. Putnam, Robert D., 114. Ramella, Francesco, 124. Ranci, Costanzo, 124. Rapoport, Anatol, 181. Rauti, Pino, 136, 164. Reagan, Ronald, 107, 109. Regini, Marino, 75. Regonini, Gloria, 81. Reiter, Herbert, Vili. Revelli, Marco, 29, 35, 87n. Romualdi, Pino, 125. Ronci, Donatella, 99. Rootes, Chris, 37n. Rovelli, Cesare, 99. Ruberti, 142. Rucht, Dieter, Vii, 5n, 6-7, 10, 12-3, 14n, 111. Rumor, Mariano, 84.

Russo, 142. Ruzza, Carlo E., 150. Salvadori, Bruno, 151. Sani, Giacomo, 158. Sartori, Giovanni, 8. Scalfaro, Oscar Luigi, 157. Schmidtke, Oliver, 150. Schmitter, Philippe, Vili. Schneider, Jane, 131, 136. Schneider, Peter, 131, 136. Segatti, Paolo, 136, 143, 158. Seidelman, Raymond, 81-2. Smelser, Neil J., 10. Snow, David A., Vili, 10, 141. Sorlini, Claudia, 73. Spadaccia, 72n. Spadolini, Giovanni, 120. Staderini, Michi, 98. Statera, Gianni, 23. Tambroni, Fernando, 21. Tarrow, Sidney, Vii-Viii, 4, 6, 10, 13, 23,24n, 25-6,31-2,34,36-7,40,49, 56, 57 e n, 74, 81, 168, 173, 179, 181. Taviani, Ermanno, 142, 149. Teodori, Massimo, 26. Tiliacos, Nicoletta, 118n. Tilly, Charles, 11, 14, 179. Torres, Camillo, 40. Totaro, Lorenzo, 132n, 133, 142. Touraine, Alain, Vii-Vm, 38. Tranfaglia, Nicola, 67-9, 183. Turnaturi, Gabriella, 99-100, 103n, 106, 113, 119^ Useem, Bert, 181. Vannucci, Alberto, 121. Vassalli, 142. Vecchi, Benedetto, 132. Vedovati, Claudio, 142, 149. Verucci, Guido, 40. Walesa, Lech, 152. Walsh, E.J., 175. Wieviorka, Michel, Vm. Wilson, John, 179. Zald, Mayer N Vm, 5n, 6, 9, 14, 173, 181. Zibecchi, 67.

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INDICE DEL VOLUME

Premessa &
Movimenti della sinistra libertaria e protesta. Una in troduzione
1. Cosa sono i movimenti sociali e perch ce ne occupiamo, p. 4 - 2. Cosa spiega levoluzione dei movimenti: dove guar dare, p. 11 - 3 . 1 temi affrontati in questo libro, p. 16.

II.

La protesta studentesca e lemergere di nuovi movi menti sociali negli anni Sessanta
1. Le strutture organizzative: dallassemblearismo alla Nuova sinistra, p. 22 - 2. Lideologia: dal rivendicazionismo studen tesco alla rivoluzione proletaria, p. 26 - 3. Le forme d azione: dalla resistenza passiva alla violenza difensiva, p. 32 - 4. Am biente esterno ed emergere di una nuova famiglia di movi menti sociali, p. 37 - 4.1. Sintomo di crisi o nuovo movimen to sociale?, p. 37 - 4.2. Il movimento studentesco e la vec chia sinistra, p. 39 - 4.3. Il movimento studentesco e lo Sta to, p. 44.

III.

Movimenti collettivi e violenza politica: la radicalizzazione della protesta


1. La struttura organizzativa: frammentazione e settarismo, p. 53 - 2. Ideologia: fondamentalismo e riflusso, p. 62 Q ) Cicli di protesta e violenza politica, p. 70 - 4. Marginalit o marginalizzazione? Alcune spiegazioni della violenza politica, p. 77 ( O L a seconda societ, p. 77 - 4.2. Isolamento e radicalizzazione, p. 80 - 4.3. Repressione e radicalizzazione, p. 84.

IV.

Un decennio pragmatico? I movimenti collettivi negli anni Ottanta


1. Organizzazione: tra gruppi di base e associazionismo, p. 92 2. Ideologia: tra single issue e utopia, p. 100 - 3. Repertori: tra azione esemplare e pressione politica, p. 107 \ i) F in e dei movimenti o societ di movimenti?, p. I l i - 4.1. Cleavages: individualismo postm oderno?, p. I l i - 4.2. Sistema di al leanze: cooperazione a term ine^T lT?)- 4.3. Assimilazione e pragmatismo, p. 119. ^

91

V.

Movimenti e protesta in Italia. Alcuni scenari per gli anni ovanta anni N Novanta
1. Partitizzazione o dissoluzione?, p. 130 - 2. Nuove famiglie di movimenti sociali?, p. 136 - 3. Ancora un decennio di vio lenze?, p. 146 - 4. La protesta nelle istituzioni? Una spiega zione, p. 152 - 4.1. Nuovi cleavages?, p. 152 - 4.2. I movi menti e la crisi della prima repubblica, p. 155 - 4.3. La vio lenza razzista come contromovimento, p. 159.

129

VI.

Protesta e movimenti sociali: alcune conclusioni


1. Protesta e movimenti: il caso italiano in prospettiva com parata, p. 167 - 2. Le risorse interne ai movimenti collettivi, p. 170 - 3. Risorse esterne e mobilitazione della protesta, p. 177 - 4. Osservazioni conclusive, p. 186.

167

Riferim enti bibliografici Indice dei nomi

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