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FirstMaster Master Giornalismo 2010 Antologia giornalismo letterario

Antologia per Master Giornalismo

P. 2 P. 5 P. 11 P. 14 P. 18 P. 21 P. 25 P. 29

Dino Buzzati, Il delitto di Rina Fort Oriana Fallaci, Lassassinio di Martin Luther King Alberto Moravia, Le nozze di Tabora Eugenio Scalfari, Da quel mariolo di un anno fa... Bernardo Valli, Maggio 68: un italiano a Parigi trentanni dopo Gianni Riotta, New York brucia Giorgio Bocca, La vittoria della Camorra Vittorio Zucconi, La lunga notte che ha cambiato lAmerica

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Dino Buzzati
Il delitto di Rina Fort

Il Dino Buzzati giornalista trasforma la cronaca nera, il reportage di guerra, e i fatti pi comuni o pi duri della quotidianit in pezzi di letteratura. Larticolo tratta la condanna allergastolo di Rina Fort, che aveva massacrato moglie del suo amante e i suoi tre figlioletti. http://it.wikipedia.org/wiki/Dino_Buzzati http://it.wikipedia.org/wiki/Rina_Fort

In quellistante ci siamo chiesti: e se fossimo noi, l, nella gabbia, che cosa faremmo? Era entrata poco prima, con un dondolio quasi spavaldo delle spalle, e con le mani tirava su, in modo da nascondersi la faccia, la sciarpa di lana canarino. (Quei guanti neri contro il giallo, quel gesto cos femminile di dissimularsi, diventato una specie di suo vezzo: tutte civetterie calcolate?). Poi aveva fatto, con la sinistra, al patrono del Ricciardi, un cenno scherzoso di minaccia, come si fa ai bambini piccoli: guarda che te le do, sai? La sciarpa si rilass, scoprendole la bocca. Sorrideva. Se ne stette quindi immobile, identica ai giorni precedenti, la testa un po china, le palpebre abbassate, solo che adesso si teneva sempre la sciarpa alzata. Entr la Corte, ci fu un ripetuto barbaglio di bengala, il presidente cominci subito a leggere. Ma quei preamboli formali non finivano mai, dunque? Colpevole, si ud. Lo si sapeva. Esclusa la premeditazione: le tre parole, bench Marantonjo leggesse senza la minima espressione, ebbero un suono intenso, sopravanzando tutto il resto. I cuori, anche ai pi vecchi e scettici cronisti giudiziari, anche nel petto degli avvocati avvezzi, come i medici, a contemplar sventure, battevano pi forte del solito. Quello della imputata no. Non alz gli occhi, n impallid, n vacillava di un millimetro. Atona e inerte. Ergastolo, si ud, poi delle represse grida, dietro, dove si accalcava il pubblico. Bene! Bravi!, e qualche rotto applauso. In lei nulla cambi. Ma non capiva? Andandosene, non si volt indietro a guardare quellultimo pezzetto di mondo che le era concesso di vedere, il mondo dove pure era vissuta fino allora e in cui mai pi sarebbe ritornata. Ma non capiva che queste stesse giornate di processo, pur atroci, un giorno lei le rimpianger come un paradiso? Non ci saranno mai pi per te, Rina Fort, giorni come i nostri, allegre cene in compagnia di amici, n andare e venir per la citt, n begli abiti nuovi, n sguardi di giovanotti, n corse in automobile, n gusto di mettere via i soldi, n baci, mai, n casa tua, n teneri risvegli nel tuo letto.

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Mai pi, capisci? Per te non nascer pi il sole, n piover, n scender la neve, n le piante metteranno le foglie, n la sera le vetrine si accenderanno di meravigliose luci e desideri. E non ci saranno pi per te neanche i lampi dei fotografi che ora fingi di aborrire n il ronzare intorno dei cronisti, n titoli sui giornali col tuo nome. Guardali, fin che sei ancora in tempo e rimane una frazione di secondo questi uomini, queste signore, venuti ad ascoltare la tua condanna. Ti sono odiosi, probabilmente, i loro sguardi da visitatori di zoo ti toglievano il respiro, vero. Ma sono liberi, capisci? E non li potrai pi vedere. Dellintera umanit che vive e che lavora sulla Terra, questo lultimo drappello venuto ad accompagnarti sulla riva. Guarda le pellicce delle donne, i cappellini, gli ori. Non ne vedrai pi. Guarda le facce. Ne incontrerai altre, ma come queste no, anche se ti sono odiose. Rina Fort per non si volta, senza tremiti scompare dalla porticina, luscio si subito chiuso. Rina Fort forse non capisce. Eppur si trova ormai di l del confine, in questo istante si staccata dalla nostra riva, ha gi cominciato il viaggio senza fine sullimmobile, grigio, deserto mare dellespiazione, cos simile alla morte. Oppure un giorno, chiss quando, fra trenta quarantanni, torner. Nella miseria suprema degli ergastoli, agli animi che di giorno in giorno si atrofizzano nella uniformit delle stagioni, palpita tuttavia lontano, simile a irraggiungibile lumino, il miraggio della grazia. Cos remoto che in pratica come se non esistesse neanche. Per esiste. E pu darsi che in un tempo futuro noi saremo ancora vivi? una vecchietta dalla faccia spenta avanzi a passi strascicati per corso Buenos Aires. Della famosa strada solo il nome rimasto. Tutto il resto irriconoscibile. Come mai i tranvai non si vedono pi? E cosa sono queste bianche torri che giganteggiano nel cielo? La vecchia non pu neanche vederle fino in cima, piegare indietro il capo, rattrappita com, non le riesce. I passanti, stupiti dal suo aspetto, la scansano. Dio, com vestita. Ha un curioso palt nero, alle mani guanti neri, e al collo una sciarpetta di lana color giallo canarino. Si avvicina a una ragazza: Per favore, signorina, la via San Gregorio? Ma l, signora! Quella, via San Gregorio? Possibile? Ah s, ecco il resto dellantico lazzaretto, rimasto tale e quale, coi suoi mattoni rossi. Un mattino daprile. Il sole allegro batte sugli incredibili palazzi bianchi che brulicano di vita. Avanza adagio adagio, la vecchietta, trascinando i piedi, e si ferma casa per casa a controllare il numero. Trentaquattro, trentasei, trentotto. Ecco il numero 40! Al quaranta c una casa altissima, nuova, tutta a loggiati, tendoni, fiori, costruita per gente felice; e davanti un giardinetto, dove tre bambini stanno giocando. La vecchia dalla sciarpa canarino si appoggia alla cancellata, stanca. Vede una donna uscire dalla casa. Scusi le chiede , scusi la domanda: ma qui che tanti anni fa successo un delitto? Qui?... Ma s... vero... un fatto del genere lho gi sentito raccontare... ma deve essere dei tempi antichi... S, s, adesso mi ricordo... una donna che ha

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ammazzato una mamma e tre bambini, un orribile fattaccio... Ma sar una storia sa?... Io non ci credo a queste favole! Grazie dice la vecchia. E resta l, sola, sopravvissuto e miserando rudere, guardando la gente che passa, e inutilmente cerca un volto conosciuto. Tutto cambiato, neppure una casa, un bar, un negozio di quelli dallora. E gli uomini, che lei conobbe, tutti scomparsi, o morti. Sprofondati nelle catacombe di qualche polveroso archivio gli atti del suo processo, ingialliti nelle biblioteche i giornali con le sue fotografie, svaniti anche i ricordi. I passanti si tirano di lato vedendo quella pietosa e strana vecchia. Guardatela come si aggrappa al cancello e come fissa i tre piccoli che giocano in giardino. Ma che le salta, adesso? Cosha da piangere in quel modo?
Corriere della Sera, 21 gennaio 1950

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Oriana Fallaci
Lassassinio di Martin Luther King

Il 4 aprile del 1968, nello Stato del Tennessee, nel Sud degli Stati Uniti, veniva ucciso da un colpo di arma da fuoco sparato da un killer, il reverendo Martin Luther King, leader della lotta degli afro-americani contro la discriminazione razziale e premio Nobel per la pace nel 1964. Anche questo assassinio, come gi quello del presidente John F. Kennedy a Dallas, cinque anni prima, avvenne in circostanze per molti aspetti misteriose. Oriana Fallaci interroga i testimoni e ricostruisce minuziosamente la dinamica del tragico pomeriggio, ricreandone la suspense, come in un racconto giallo.

Quando luomo buss, Bessie Brewer ebbe una smorfia di fastidio e rimase qualche secondo distesa sul letto. Erano le tre e un quarto del pomeriggio, ora in cui le piace fare un pisolino, e suo marito Frank non era l a difenderla da un eventuale tipaccio. Capita certa gente al numero 422 e mezzo di South Main Street. Vecchi drogati, ubriaconi, pezzenti. Devi riceverli col coltello in mano, ma chi altro vuoi che affitti quelle camere sporche che Bessie Brewer cede a cinque dollari la settimana, poco pi di tremila lire, luce elettrica inclusa? A parte il fatto che la pensione nel quartiere negro e la gente perbene non dorme mica fra i negri, ti pare? Vengo, brontol Bessie Brewer. Poi, lentamente, scese dal letto. Si avvi verso la porticina a vetri, la socchiuse tenendo la catena allinterno, alz uno sguardo ostile verso la sagoma scura che aspettava al di l dello spiraglio. E subito il volto le divenne cordiale. Aveva unaria pulita, elegante, e indossava un bel vestito nerofumo, con una bella cravatta nerofumo anche quella, di maglia le parve, e una camicia candida dal colletto stirato. Il volto era sano, austero, con la vaga abbronzatura di chi sta allaria aperta, e accuratamente sbarbato. I capelli folti, con qualche filo grigio ma scuri, erano tagliati bene e pettinati allindietro. Insomma sembrava proprio un signore e forse lo era. Posso avere una camera?, chiese, educato. Senza perdere lespressione cordiale, anzi sorridendo per la prima volta in chiss quanti anni, Bessie Brewer tolse la catena e lo fece entrare. Quando luomo fu dentro le venne spontaneo pensare: Non mica brutto. Infatti era alto, allincirca sei piedi come suo marito, forte ma snello e con lineamenti molto interessanti. Colpiva ad esempio per il naso lungo, stretto, appuntito come il becco di un uccello, le labbra ferme e sottili, il mento sporgente, imperioso, quadrato. S, una camera, certo, rispose Bessie Brewer e, svelta, raddoppi la cifra: Dieci dollari la settimana.

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Benissimo, annu luomo. Parlava con accento del Sud, ma non proprio laccento di Memphis. Bessie Brewer prese il mazzo delle chiavi e condusse luomo gi per le scale, poi verso il fetido corridoio dove si allineano le stanze. Era un po preoccupata per la reazione che lui avrebbe avuto dinanzi a quel sudiciume, quel puzzo: sicch apr la porta della stanza migliore, la numero 8, che guarda proprio su South Main Street. C anche una piccola cucina col frigorifero, si affrett a dire. Ma luomo, senza guardare n la cucina n il frigorifero n altro, si diresse verso la finestra, da cui non s vedeva il Motel Lorraine: il motel sta dalla parte opposta, su Mulberry Street. Scosse il capo, disse: No, no, questa troppo bella. E della cucina non ne ho bisogno, mi basta una camera per dormire. Non ne ha una con la finestra a nord?, Bessie Brewer rispose che cera la numero 5, certo non la stanza migliore. Poi lo precedette di nuovo lungo il corridoio e spalanc luscio di una camera inqualificabile, buia. Si scorgevano un lettino di ferro, un armadio, un divano con le gambe rotte, una specchiera senza lo specchio. Dal soffitto pendeva, ciondoloni a un filo nero per lo sterco delle mosche, una lampada da cinquanta watts. Luomo ignor tutto questo e si diresse verso la finestra che si apriva quasi contro il muro delledificio accanto, perpendicolarmente a Mulberry Street. Da quella, affacciandosi, si poteva vedere il Motel Lorraine, sia pure di sbieco e attraverso gli alberi. Fra la pensione di Bessie Brewer e Mulberry Street c infatti un boschetto di alberi, e di questa stagione sono ancora spogli di foglie. Luomo rest un poco affacciato, poi disse soddisfatto: Bene. Questa andr bene. Otto dollari e cinquanta, replic Bessie Brewer. Bene. Pagamento anticipato. Bene. Il bagno in comune con la stanza numero 6 e la numero 4. Posso vederlo?. Il pagamento avvenne in ufficio, testimone il vecchio Reeves: un pensionato settantaquattrenne che abita nella pensione da anni. Lo osservai, dice il vecchio Reeves, perch un vecchio osserva sempre i giovani e lui era giovane. Avr avuto al massimo trentadue, trentacinque anni. E poi perch pag Bessie con una banconota da venti dollari, pensa!. Bessie Brewer agguant i venti dollari prima ancora di dargli la ricevuta. A chi intesto la ricevuta, signor...?. John Willard. Mi chiamo John Willard, rispose luomo. Grazie, signor Willard. Ecco gli undici dollari e cinquanta di resto. Luomo prese il resto e si allontan. Si ritir nella camera numero 5, ne usc quasi subito percorrendo alla svelta il corridoio e le scale. Per strada, proprio di faccia al caff che sta accanto alla pensione di Bessie Brewer, aveva parcheggiato una Mustang bianca. Sollev il portabagagli della Mustang bianca e ne tir fuori una scatola lunga, rettangolare. Tenendola sotto il braccio risal le scale e rientr.

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Nel corridoio lo vide Willie Anchutz, il tipo che vive nella stanza numero 4. Willie Anchutz non molto acuto di mente, ma dice che pens: Sembra lo scatolone di un fucile, uguale a quello che aveva Oswald. Nella mano sinistra luomo teneva un pacchetto mezzo disfatto e Willie Anchutz dice che pens: Strano, quelli sembrano binocoli. Ma le valigie, questo qui, non ce lha?. Poi disse: ...sera. Luomo rispose: ...sera. Erano circa le quattro meno un quarto e nello stesso momento Martin Luther King stava rientrando nella sua stanza: la camera 306 del Motel Lorraine. Per chi tema dessere ucciso o rapito, i motel sono la cosa meno consigliabile che esista in America. Ogni camera, infatti, si trova direttamente sulla strada e prende luce dalla parete che d sulla strada: una parete tutta di vetro. I delitti pi facili degli ultimi anni sono avvenuti nei motel, che il viaggiatore americano si ostina tuttavia a prediligere perch il viaggiatore americano quasi sempre un automobilista, e ogni stanza di un motel corrisponde al parcheggio di unautomobile: chi sceglie il motel, insomma, pu lasciare la sua automobile proprio dinanzi alla camera. per questo che molti motel, ad esempio gli Holiday Inn, sono fatti come un quadrato, che quindi met delle camere guardano il cortile interno: assai pi sicuro. Il Motel Lorraine non ha cortile interno e tutte le stanze sono alla merc della curiosit, o della criminalit, di chi passa o abita in una casa di fronte. Il reverendo Martin Luther King non era solito scendere al Motel Lorraine: quando veniva a Memphis andava allHoliday Inn e anche la settimana precedente aveva fatto cos. Stavolta era sceso al Lorraine perch il Lorraine gestito da negri, frequentato quasi esclusivamente da negri, e si trova nel cuore del quartiere negro. Una ragione polemica, insomma, anzi politica: come quella del suo ritorno a Memphis. I negri a Memphis erano cosi impauriti, depressi: il 12 febbraio gli spazzini negri seran messi in sciopero, il sindaco Loeb aveva definito lo sciopero illegale, il tribunale gli aveva dato ragione, allo sciopero erano seguiti disordini, la guardia nazionale era stata chiamata, un ragazzo di sedici anni ci aveva rimesso la vita, insieme a lui molti eran rimasti feriti, moltissimi erano stati arrestati. E mentre i carri armati passavano rombando nelle strade del ghetto, lunica speranza si chiamava Martin Luther King, la grande marcia di protesta che Martin Luther aveva annunciato per luned 8 aprile. Con un verdetto incostituzionale, il giudice Bailey Brown aveva proibito la marcia: per Martin Luther King aveva annunciato che la marcia sarebbe avvenuta ugualmente, da qualche parte ho letto che ogni cittadino di ogni colore ha libert di parola, da qualche parte ho letto che ogni cittadino di ogni colore ha libert di espressione, da qualche parte ho letto che ogni cittadino di ogni colore ha diritto di manifestare, e per render pi forte la sua decisione era sceso al Lorraine. Bel problema per Frank Holloman, il capo della polizia. Holloman sapeva bene che la vita di King era in pericolo, che minacce di morte gli erano giunte a decine in quei

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giorni, che a Memphis non si scherza. Proprio un bianco di Memphis, alla periferia di Memphis, aveva tentato di uccidere James Meredith nel 1965: Memphis non lontana dallAlabama, Memphis si trova allincrocio di tre Stati che sono fra i pi razzisti dAmerica, il Tennessee, lArkansas, il Mississippi. Non appena Martin Luther King era sceso al Lorraine, Frank Holloman aveva mandato l trenta poliziotti, e William Huston, capo del dipartimento criminale, aveva inviato una decina di detectives in borghese: praticamente il Lorraine era difeso come il corteo di Kennedy a Dallas. Per, come a Dallas, tutti si erano dimenticati di controllare le finestre da cui qualcuno avrebbe potuto sparare. Le finestre di Bessie Brewer. Insieme al reverendo Martin Luther King cerano il reverendo Jessie Jackson e il reverendo Andrew Young: due negri molto attivi nella battaglia per i diritti civili. I tre entrarono nella camera 306 e subito King spost il tendone che copre la parete di vetro infrangibile. Poi ordin tre birre, tre pacchetti di patate fritte, e sedette sul divano-letto che sta accanto alla parete di vetro. Vera in lui quel giorno una misteriosa tristezza. Mentre aspettava le birre disse a Jackson e a Young: Be, ragazzi, come a chiunque anche a me piacerebbe vivere una vita lunga: ma in questo momento non devo pensarci. Sar quel che Dio vorr. E, qualsiasi cosa Dio vorr, mi rester sempre la soddisfazione di essermi guardato intorno e aver visto la terra promessa. Allora Jessie Jackson esclam: Ma che discorsi son questi, Mart?. Be, voglio dire che forse io non potr arrivare con voi alla terra promessa, spieg Martin Luther King, e per questo voglio che sappiate, stasera, che se io non ci arrivo, voi ci arriverete lo stesso. Oh, Mart..., protest Andrew Young. Subito dopo la cameriera entr con le birre. Dalla finestra della camera numero 5, luomo vide entrare la cameriera con le birre. La sua posizione era scomoda perch da questa finestra doveva sporgersi molto, poi girare il corpo di quarantacinque gradi. Per usava i binocoli e non perdeva un particolare, una mossa: ecco Martin Luther King che si versa la birra, ecco laltro che gli porge una sigaretta e gliela accende... ecco il gruppo che discute, discute... ecco che suona il telefono perch King si gira di scatto, si alza, risponde. Luomo, quasi certo, rest alla finestra per circa mezzora: il tempo che Grace Stephens non lud camminare. Naturalmente avrebbe potuto impiegar la mezzora stando disteso sul letto, ma pi tardi si vide che il letto non portava traccia di un corpo allungato: solo una lieve affossatura sul bordo, la stessa che rimane quando ci si appoggia un pochino. Accanto alla finestra invece fu trovata una sedia, e le tendine a fiori gialli e verdi erano state accuratamente scostate, poi fissate in alto. Dopo quella mezzora Grace Stephens gli ud spostare una sedia, come se si alzasse: e luomo cominci a camminare. Su e gi, su e gi, a passi regolari e ostinati. Infatti Grace Stephens disse al marito: Oh, perch non si ferma quel tipo? Digli di fermarsi, Charlie, senn divento nervosa e mi gratto la bolla sul naso. Charlie stava per

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bussare e per dirgli: Scusi, sa, mia moglie malata, i rumori le danno fastidio, quando la porta della numero 5 si apr e luomo and nel bagno. Dopo un poco anche la porta della numero 4 si apr e Willie Anchutz tent di aprire il bagno che era chiuso a chiave. Bestemmi, torn indietro, aspett dieci minuti, riprov ma il bagno era ancora chiuso. Bestemmi di nuovo. Torn indietro di nuovo, ma il bagno era sempre chiuso e successe cosi quattro volte. Alla quarta volta Willie Anchutz buss alla porta degli Stephens e disse con voce abbastanza alta da essere udita dallaltro: Ma cosa crede, quel tipo, che il bagno sia suo? C chiuso dentro da almeno mezzora. Forse si sente male, sugger Grace Stephens. Allora Willie Anchutz agit la maniglia e grid: Ehi, tutto a posto? Bisogno di aiuto?. Nessuno rispose. Lunico suono fu un fruscio contro il muro, poi un piccolo colpo contro la vasca: come se luomo ci avesse inciampato. Luomo stava alla finestra e puntava il fucile. Il fucile era un Remington calibro 30, a cannocchiale. Neanche quarantotto ore prima un facile cos era stato rubato in Walnut Grove Road da un negozio di articoli sportivi. La polizia lo sapeva. Se uno solo dei poliziotti che circondavano il Lorraine avesse alzato lo sguardo oltre gli alberi, non avrebbe durato fatica a vedere il fucile appoggiato alla finestra del bagno. Tra quella finestra e il Lorraine c una distanza, in linea daria, di soli duecentocinque piedi e tre pollici, meno di settanta metri. Il fatto che la polizia proteggeva Martin Luther King con scarsa attenzione e ancor pi scarso entusiasmo. La polizia, a Memphis, non ha mai amato Martin Luther King. Lo amava ancora meno quella sera di gioved 4 aprile, verso le sei. Mancavano pochi minuti alle sei quando Willie Anchutz strill: Insomma, permesso fare i propri bisogni, s o no?. Grace Stephens lo ricorda bene perch, quando lui strill cos, lei cercava alla radio il suo programma favorito, che si chiama Il meglio di Broadway. Grace cercava alla radio II meglio di Broadtvay, Willie strillava, luomo puntava il fucile, quando Ben Branch, cantante negro e amico di Martin Luther King, entr nella stanza 306: Reverendo, mi hai fatto chiamare?. S, Ben. Entra, Ben, disse King, Avevo voglia di sentirti cantare. Cosa vuoi che ti canti, reverendo?. Cantami Oh, prezioso Signore. E cantala davvero bene, ti prego. Ben Branch annu e cant: Oh, prezioso Signore, dammi una mano. Sono cos debole, stanco. Sento di non farcela senza di te. Ma quando ebbe finito la prima strofa, Martin Luther King lo ferm, aveva le lacrime agli occhi. Per tutti i cieli, Ben. Non la sciupare per me. Questa canzone vale una preghiera. Devi cantarla luned alla marcia. Ben Branch promise e Jessie Jackson disse: Perch non vieni con noi, Ben, andiamo tutti a cena dal reverendo Samuel Kyles. Anzi, incomincia a esser tardi, preparati, Mart. Ok, rispose King, prima per voglio prendere una boccata daria. tutto il giorno che sono chiuso dentro questa stanza, mi fa male la testa. Apr la porta e usc sulla terrazza. Jessie

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Jackson lo segu. Due studentesse negre del Lemoyne College, ferme sotto la terrazza, squittirono: Eccolo, eccolo!. Una delle due, Clara Ester, esclam: Accidenti, non davvero un belluomo? E poi giovane! Non dimostra davvero trentanove anni. Accanto a loro era lautista di Martin Luther King, Salomon Jones. Stava spolverando lautomobile per portare il gruppo a casa di Samuel Kyles. Calme, ragazze, calme, scherz, il reverendo sposato. Poi Salomon Jones alz il viso verso Martin Luther King e gli grid: Dottor King, ha sentito come fa freddo, stasera? Si metta il cappotto!. Lo metter, rispose King. E si appoggi con le mani alla ringhiera della terrazza, tir una lunga boccata daria fresca: davvero freddo, Jessie. Guarda che cielo livido. Lo sai, Jessie, che.... Il colpo part e giunse prima che lui finisse la frase. Un colpo solo, violento come una bomba. Ehi, ci sono i fuochi di artificio, stasera?, disse Salomon Jones. Devesser scoppiata la gomma di unautomobile, disse Clara Ester. Poi entrambi cercarono con gli occhi Martin Luther King, ma lui non era pi appoggiato alla ringhiera della terrazza. Giaceva riverso allindietro e Jessie Jackson implorava: Mart! Mart! Mi senti, Mart?. Clara Ester e Salomon Jones si precipitarono su per le scale: qualcuno aveva appoggiato sotto la testa di Martin Luther King un asciugamano di spugna e lasciugamano era intriso di sangue. Il sangue usciva, gorgogliando, da una orrenda ferita tra il collo e la mandibola destra. Dice Jessie Jackson: Il colpo gli esplose tra il collo e la mandibola destra, squarciandola. Martin mi fiss con sguardo sorpreso, poi un sorriso strano gli mosse le labbra ed egli cadde allindietro. Aveva ancora quel sorriso strano quando arrivarono i poliziotti ma le pupille spalancate non vedevano pi e il respiro si faceva sempre pi fioco. Un poliziotto grid: Cosa gli avete fatto?. Una donna grid: Hanno ammazzato il re, morto il re!. Clara Ester grid: Laggi. Hanno sparato di l, oltre gli alberi!. Anche Jessie Jackson disse ai poliziotti che il colpo era venuto di laggi, oltre gli alberi, forse da una di quelle finestre. E anche Salomon Jones. E anche Andrew Young. E anche Ben Branch. Indicavano tutti col dito ma i poliziotti non si muovevano mica. Passarono almeno dieci minuti prima che uno di loro dicesse: Via, andiamo a vedere laggi. Erano le 6 e 16. Stavano portando via Martin Luther King con lambulanza.
LEuropeo, 18 aprile 1968.

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Alberto Moravia
Le nozze di Tabora

Alberto Moravia, oltre che notissimo scrittore, ha pubblicato anche centinaia di articoli, reportage e recensioni. Dotato di una inesauribile curiosit, ha scritto molti reportage di viaggio. In questo articolo racconta di Tabora, un antico centro schiavistico, e del matrimonio che vi si celebra.

Entebbe, marzo 1969. A Tabora abbiamo fortuna. Stiamo gironzolando tra le bancarelle del mercato che espongono, con africana indifferenza e non meno africana passione per il mercanteggiare, scatolame americano e australiano, banane, patate dolci, papaye e manghi, quando, laggi, in un angolo della piazza, scoppia un tumulto. Tutti corrono da quella parte; corriamo anche noi. Ci dicono che un matrimonio: la cerimonia nuziale gi avvenuta, adesso sposi e invitati vanno al banchetto che, inframmezzato da danze, da musiche e da canti, durer fino a notte alta. La folla ci impedisce di vedere; alzandoci sulle punte dei piedi scorgiamo di sfuggita, in prima fila, il gruppo dei suonatori che fanno un fracasso assordante coi tamburi, coi pifferi e con i fischietti. Quindi viene un secondo gruppo composto quasi esclusivamente di donne che, si direbbe, sono gi in uno stato di esaltazione prossimo al trance: ora gridano senzordine, con gioia selvaggia, ora intonano una nenia lamentosa punteggiata da un ritornello esclamativo e sempre eguale. Infine procede una lunga fila di funebri automobili nere dalle nichelature sfavillanti; gli sposi e gli invitati. La processione passa lentamente sotto gli alberi, lungo le rimesse, i padiglioni, le mezze case, i quarti di palazzine, le catapecchie dellinforme stradone. Si snoda nel frastuono, nellardore del sole, nel rimescolio febbrile della moltitudine, verso lontani sobborghi che il polverone nasconde. Mi tornano in mente i versi cos orientali, anzi cos africani di Rimbaud: Un bel mattino, presso un popolo dolce, un uomo e una donna bellissimi gridavano in piazza: Amici, voglio che essa sia regina; Voglio essere regina. La donna rideva e si estasiava. Luomo parlava agli amici di rivelazione e di prove superate. Luomo e la donna si abbracciavano. E infatti, essi furono re e regina tutta la mattinata quando le tende scarlatte furono rialzate sulle case; e tutto il pomeriggio allorch avanzarono in direzione dei giardini di palme. Meraviglioso Rimbaud! Ecco, infatti, le tende rosse delle finestre che danno sullo stradone, rialzate per meglio guardare alla processione; ecco, laggi, lontano, profilarsi nella polvere i palmizi smilzi che il vento agita e il sole fa scintillare. I due sposi, come nei versi di Rimbaud, saranno re e

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regina per un giorno intero. Domani saranno riassorbiti dallo squallore e dal torpore dellantica citt africana. Ci fermiamo, allombra di un grande mango, davanti a quello che sembra essere un ristorante o un albergo. La folla si addensa intorno la porta. Non arriviamo a vedere gli sposi; ma riusciamo ad assistere allesibizione rituale dei mobili della camera da letto. Da un camion, passando al di sopra delle teste, in cima a molte braccia alzate, viaggiano oscillando verso la porta del ristorante due poltrone rivestite di stoffa violetta e chiuse in un trasparente involucro di cellophane. Grida di ammirazione, di giubilo e di approvazione accompagnano il transito esitante di questi due importanti pezzi dellarredamento. Le poltrone non si sono ancora ingolfate nella porta, che gi, al disopra della folla, accolto da un frenetico clamore, comincia il tragitto del materasso, da due piazze, rivestito di una stoffa a fiorami azzurri, anchesso chiuso nel cellophane. Dopo il materasso, la volta delle due testate del letto, di metallo verniciato uso legno, incongrue in questo paese di foreste; della rete del letto; del comodino; di due vasi da notte di porcellana bianca; di un lume in forma di palla stile novecento. Tutti questi oggetti escono dal camion, passano traballanti e incerti, tra alte grida di gioia, al di sopra delle teste della folla, scompaiono nella porta. Infine, ecco, da unautomobile, scendono a fatica due enormi matrone, coi corpaccioni avvolti in vivacissime stoffe a grandi fiorami, ignude le braccia, grosse come cosce. Portano sul cercine, in cima al capo, due vassoi di grandezza mai vista sui quali si levano due montagnole chiuse in fazzolettoni annodati. Le montagnole sono il pilaf di riso e di montone che, probabilmente, costituir il nerbo del banchetto nuziale. I due vassoi trascorrono anchessi, applauditissimi, al disopra della folla, si ingolfano sotto la porta. La festa adesso pu cominciare. Un muro bianco circonda un piccolo cortile; degli alberi ne sporgono coi grandi rami fronzuti. Muro e rami sono gremiti di curiosi che guardano in gi, alla folla dei danzatori. I quali ballano pigiati e quasi fermi per mancanza di spazio; ma, in compenso, saltellano su e gi come fantocci sospinti da molle potenti e imprevedibili. La composizione dellorchestra accovacciata in terra rivela un compromesso tra la tradizione e la modernit: ci sono molti tamburi ma c anche un saxofono. La musica infine, quella del jazz americano; ma, curiosamente, questi ritmi inventati da negri americani per le balere degli Stati Uniti, qui a Tabora, nellAfrica pi profonda, sembrano tornare alle origini; vale a dire si palesano, non so come, autenticamente africani. Forse perch i suonatori vi aggiungono una frenesia bizzarra e arcaica che originariamente non avevano; forse perch i danzatori li danzano con spirito, diciamo cos, religioso, non come se fossero musica di consumo, quali in realt sono, ma rituale e celebrativa. E infatti, allorch due miei compagni si mettono a ballare anche loro, la folla fa subito cerchio intorno, rispettosa e incuriosita, come davanti a qualche

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cosa di straniero e di mal visto; mentre invece si tratta pur sempre della stessa danza ma interpretata e ballata con spirito diverso. Che lo spirito sia religioso e non meramente festivo lo dimostra anche il fatto che qui ballano tutti, contagiosamente, anche coloro che non prendono parte alla festa, anche coloro che ne sono esclusi. Ballano nei cortili delle case attigue; ballano fuori del ristorante, in strada. Dovunque un suonatore si accovaccia in terra e comincia a battere le palme contro le due estremit di un tamburo, la folla fa subito cerchio, i danzatori si mettono lun laltro le mani sulle spalle; e il girotondo tribale comincia a snodarsi, ritmato e selvaggio, simile ad un serpente che si morda la coda, nel sole, nella polvere e nel sudore. Tutti questi uomini e queste donne ballano per gusto, per sfogo, per spinta biologica; ma ci sono pure le professioniste del ballo, senza dubbio affittate per loccasione, cos come in Europa, in simili occasioni, si assoldano camerieri e cerimonieri. Queste professioniste se ne stanno in un cortiletto. Ora seggono in terra, immobili ed esauste; ora, galvanizzate dal tamburo, si esibiscono in travolgenti, infallibili danze. Vestite di giallo, inturbantate di giallo, la loro et stupisce; sono parche grinzose cui la nerezza della pelle conferisce qualcosa di infernale. Ma, alla riflessione, la vecchiaia si spiega e si giustifica: una festa religiosa richiede non gi danzatrici belle ma danzatrici brave. Cos, in Giappone, le gheisce non sono mai belle; ma sanno intrattenere professionalmente gli ospiti. uno dei caratteri principali della vita moderna il potersi trasportare nel giro di poche ore da una realt allaltra, da una dimensione allaltra. Due ore prima eravamo a Tabora, in un mondo che non deve essere molto cambiato da come era due o tre secoli fa; adesso, seduti nella cabina di un piccolo aeroplano di linea, gi voliamo al disopra di Tabora, in direzione di Mwanza. Dallaeroplano si capisce molto bene perch la vita a Tabora abbia aspetti cos tradizionali, cosi torpidi e cos arretrati. La boscaglia selvaggia circonda la citt dogni parte, folta, verde e ricciuta. Non un borgo, non una casa, non una coltivazione, non una strada. Qua e l lansa di un fiume, di un azzurro splendente, si incurva brevemente tra il verde e poi scompare. Tabora era un centro schiavistico importante fino allabolizione della tratta; e, infatti, non lontano da Tabora si possono ancora visitare le ignobili rovine di un caravanserraglio in cui i razziatori arabi facevano riposare il loro bestiame umano.
Corriere della Sera, 12 marzo 1969

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Eugenio scalari
Da quel mariolo di un anno fa...
Il Muro che separava Berlino Est da Berlino Ovest sempre stato considerato la vergogna dellEuropa. A quel Muro Eugenio Scalfari ha paragonato il vastissimo edificio di corruzione in cui si trasformata gran parte della politica italiana.

un anno da quando il nostro Muro ha cominciato a crollare sotto la spinta dei magistrati della Procura di Milano. Tutto ebbe inizio con larresto di quel mariolo di Mario Chiesa, presidente del Pio Albergo Trivulzio, sorpreso ad intascare una mazzetta di 7 milioni: unoperazione insignificante, cos sembr a prima vista; un comune ma non allarmante caso di disonest provinciale come pu accadere in tutti i paesi del mondo e anche nelle migliori famiglie, dove puoi trovare la mela bacata, il mariolo appunto, leccezione che conferma la regola della buona amministrazione, della moralit integerrima e della dedizione al bene comune, praticata con scrupoloso zelo da tutti gli altri membri delleletta compagnia. un anno, ma sembra un secolo, perch tutto il panorama italiano da allora cambiato. I leader dei due maggiori partiti della vecchia maggioranza, sia pure con diverse modalit, sono stati convinti alle dimissioni; gli avvisi di reato e i mandati darresto sono caduti come la grandine sulla nomenklatura politica, economica e amministrativa; migliaia di pagine di verbali hanno registrato una massa inesauribile di circostanze delittuose, di comportamenti illeciti, di soprusi, di complicit, di vilt pubbliche e di privati arricchimenti. Il paese ha assistito stupefatto ad una sorta di confessione collettiva della classe dirigente, resa in pubblico sotto i riflettori dei mezzi dinformazione, provocata dallevidenza degli accertamenti raccolti dai magistrati, motivata in molti casi dal bisogno di liberarsi di una colpa, di rompere unomert, di ribellarsi ad una servit. Quelli che hanno tentato di resistere allevidenza e di opporsi ad una verit ormai raggiunta e palese, sono infine stati travolti dai fatti, dalle testimonianze, dalla mole inconfutabile dei documenti raccolti. Dopo Milano hanno cominciato a muoversi le Procure di Venezia, Bolzano, Verona, Treviso, Padova, Torino, Genova, Ancona, LAquila, Chieti, Bari, Foggia, Reggio Calabria, Napoli. Infine si mossa anche Roma che per decenni era stata il sancta sanctorum, il porto delle nebbie, il sicuro riparo del crimine di Stato dove tutto veniva avocato quando

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diventava pericoloso per la gestione del potere e dove tutto veniva sopito, insabbiato, dimenticato. Dai 7 milioni di Mario Chiesa siamo arrivati alle centinaia di miliardi; dai marioli di periferia al sistema di potere, agli assessori, ai sindaci, ai leader dei partiti, ai ministri. Dopo la Baggina stata la volta delle aziende municipali e poi delle grandi aziende nazionali e poi dei grandi enti dello Stato e dellamministrazione centrale. Si spalancata una voragine, un immenso buco nero, un pozzo senza fondo dentro al quale stato trovato di tutto: appalti truccati, concussione, corruzione, conti clandestini su banche estere, fondi neri amministrati dagli enti di Stato al di fuori dogni controllo, elargizioni degli stessi enti e di grandi e medie imprese private in violazione della trasparenza dei propri bilanci e della legge sul finanziamento dei partiti, peculati enormi e continuati, violazione delle regole della concorrenza, turbative di aste pubbliche, operazioni di insider trading: una vera e propria cupola di stampo mafioso che aveva come membri permanenti i capi della Dc e del Psi e come membri aggiunti gli altri minori partiti di governo, con qualche marginale cooptazione del Pci nelle aree dove del suo potere bisognava in qualche modo tenere conto. I gruppi politici protagonisti di questo malaffare di Stato sono stati la banda dorotea, quella andreottiana e quella forzanovista della Dc; Craxi e la sua plebiscitaria maggioranza nel Psi con laggiunta cospicua della sinistra di Signorile. Iri, Enel e soprattutto Eni nellambito pubblico sono stati le grandi casse di mantenimento del sistema; nel campo dellimprenditoria privata il censimento appena agli inizi ma sembra di capire che in quella variegata area che va dai concussi ai corruttori fossero incluse le maggiori aziende di costruzioni e il pi grande gruppo chimico italiano. Ma lelenco destinato ad allungarsi e potr recarci non poche sorprese. Le varie cupole erano tutte collegate tra loro, sia direttamente che attraverso un perfetto sistema di faccendieri e portaborse che curavano la parte vile delle operazioni, esigevano, incassavano, spartivano, occultavano, non trascurando di metter via per i loro padrini qualche bel pacco di zucchero nonch, ovviamente, di inzuccherarsi essi stessi le dita. Nei giorni scorsi alcuni egregi studiosi e pensatori hanno lungamente discettato se un quadro siffatto meriti desser definito regime oppure no. Bisognerebbe definire prima che cosa sintenda per regime. Se si intende un sistema inamovibile, il nostro stato sicuramente un regime; se si intende un sistema irresponsabile, egualmente la risposta affermativa; ma meglio varrebbe, secondo me, adottare unaltra definizione pi pertinente e pi conosciuta nel diritto penale, quella cio di associazione per delinquere, della quale ricorrono tutti gli estremi. Un anno passato. La Prima Repubblica morta, la Seconda ancora non si vede, il terreno ingombro di macerie e tizzoni fumanti come dopo un terremoto o un bombardamento. Di quello che erano gli orgogliosi e

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fastosi palazzi del Potere non restano che spezzoni anneriti; i loro arroganti inquilini fanno la fila in attesa desser convocati dai giudici. Tutti (o quasi tutti) ora applaudono Di Pietro e i suoi compagni; tutti (o quasi tutti) si augurano in cuor loro che una potenza misteriosa intervenga a bloccarne lopera; tutti infine, e senza eccezione alcuna, tentano di consolarsi e occultarsi indicando lestensione del malaffare e della colpevolezza: se la colpa generale, nessuno sar colpevole. diventata questa loccupazione principale dei sicofanti assoldati un tanto a serata dai vari canali televisivi, pubblici e privati. S formata una compagnia di giro specializzata in questo tipo di recite, magistralmente descritta qualche giorno fa da Nello Aiello sul nostro giornale; una compagnia di guitti dove fanno la loro figura lincallito lestofante, il vecchio profeta gigione, luomo cannone, il picconatore delirante, il portavoce senza pi voce da riecheggiare, qualche Brighella, qualche Pulcinella e un Arlecchino servo di molti padroni. Ma al di l di questa grottesca e sinistra carnevalata c il paese reale ed esso si sente al tempo stesso liberato e preoccupato. Vorrebbe riprendere a lavorare, a produrre, a costruire, ma non vede guide morali, non percepisce iniziative politiche, diffida dei volti improvvisati e riverniciati, teme la paralisi economica e le tensioni sociali che possono derivarne. Che fare, si domandano tutti, forse senza ricordare che la stessa domanda se la pose Lenin dinanzi al crollo repentino dellimmenso impero zarista. Che fare? Due parole ripetute da una folla immensa tutti i giorni, in ogni casa, in ogni strada, in ogni ufficio e fabbrica con un crescente e angoscioso brusio, mentre gli ultimi pezzi della sconvolta nomenklatura continuano a snocciolare le loro confessioni davanti ai Procuratori della Repubblica. Che fare? La democrazia repubblicana nata nel 1945 si proponeva come un giovane albero robusto e colmo di rami e di fronde, destinato a una ricrescita vigorosa. Col passare degli anni esso stato cinto e allacciato da un viluppo di liane velenose e parassitarie che lhanno soffocato togliendogli laria e succhiandogli le linfe vitali. Oggi siamo a questo: o riusciremo in un tempo ragionevolmente breve a recidere quelle liane e a liberare il tronco della democrazia, oppure lintero albero verr gi. Il tempo a disposizione assai poco perch se la democrazia non riprende a funzionare presto e bene, entreremo in una zona di grave rischio e di estrema avventura. Recidere le liane e liberare lalbero della democrazia significa, fuor di metafora, che la vecchia nomenklatura devessere licenziata in blocco e rispedita a casa. Ai veri colpevoli penser la giustizia penale, ma la culpa in vigilando, quella s, fu comune a tutti coloro che ebbero parte nelle strutture dirigenti dei partiti e dello Stato. Non vollero vedere e non vollero ascoltare, tacquero. Non esercitarono diritti di protesta e di opposizione che

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erano altrettanti doveri. Non possono dunque esser loro a rifondere quello Stato del quale con la loro pavida acquiescenza permisero il saccheggio e la decomposizione. Questa operazione di potatura non pu esser fatta dai tribunali ma dal corpo elettorale. Ecco perch, a questo livello di crisi e di corruttela, non c altro da fare che tornare presto alle urne e rinnovare la rappresentanza nazionale. Naturalmente bisogner che una nuova legge elettorale aiuti i cittadini a seppellire le vestigia e il lezzo della nomenklatura. C unultima ma non secondaria questione cui rispondere: che fare dei colpevoli di Tangentopoli? Ebbene il sentimento pubblico chiede alcune cose molto chiare e molto ragionevoli: 1) I giudici portino in fondo il loro lavoro. 2) Limmunit parlamentare sia abolita. 3) Linterdizione dei colpevoli dai pubblici uffici sia totale e perpetua. La gente non credo che li voglia in prigione; li vuole a casa loro e vuole che restituiscano il maltolto. Ma poich le cifre sono enormi e nessuno, persona fisica o partito, sar mai in grado di restituirle, si sospenda almeno il finanziamento pubblico ai partiti i cui segretari amministrativi nazionali hanno sistematicamente violato la legge. Questo ci sembra il minimo, se il concetto dei delitti e delle pene non devessere ridotto alla farsa. Un anno passato. Allora eravamo quasi soli a sostenere queste verit e a denunciare questo stato di cose. Adesso siamo in tanti, siamo tutti. Questo comunque un buon segnale: vuol dire che, dopo aver perso parecchie battaglie, la gente perbene e la libera stampa hanno per vinto la guerra contro il malaffare. Ora bisogna ricostruire e questa la nuova guerra che comincia domani.
la Repubblica, 17 febbraio 1993

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Bernardo Valli
Maggio 68: un italiano a Parigi trentanni dopo

Parigi Sul Quai Voltaire quasi deserto, davanti alla Senna e al Louvre, vidi Annette che correva verso Rou des Saints-Pres. Fu un incontro fortunato. Mi disse che lavorava per LEnrag (LArrabbiato). Come, non lo sai? il giornale. Gli altri non contano pi. Esagerava ridendo. Mi invit a seguirla. Pi che dalla vecchia amicizia nata in Algeria, la sua cordialit era ispirata dalla mia automobile. Unautomobile assai pi preziosa delle migliaia di automobili col serbatoio vuoto accostate ai marciapedi nella Parigi senza traffico, spogliata di tutti i mezzi di trasporto, pubblici e privati. Nuda, quindi. In preda a un dramma visibile soltanto sul palcoscenico del Quartiere Latino. Altrove la capitale era avvolta da una calma sconcertante, stupita, come pu essere una pausa improvvisa, imprevista, che si spalanca per incanto nella vita di tutti i giorni. Annette aveva sbirciato con avidit i bidoni di benzina accatastati sui sedile posteriore, Sei matto! Nascondili. roba che fa gola. Ero appena arrivato da Bruxelles, la via pi rapida per entrare nella Francia paralizzata, senza treni e senza aerei. Dal confine, senza pi controlli, al Quai Voltaire, nel cuore di Parigi, non avevo visto un solo distributore aperto. E avevo incrociato qualche decina di automobili. Non di pi. Sarai il mio autista, decise soddisfatta Annette che abitava a Neuilly, a due ore di marcia. E si diresse verso la Sorbona, come se il brontolio che proveniva dal Quartiere Latino fosse una calamita alla quale non si poteva resistere, [] LOld Navy fu la prima tappa. Quel caf tra Saint-Germaindes-Prs e lOdeon era un punto dincontro. Da l si dominava la situazione. Era lepicentro. Nel raggio di neppure un chilometro accadeva (quasi) tutto: cera la Sorbona occupata e il teatro dellOdon in cui chiunque poteva prendere la parola 24 ore su 24, per raccontare i propri guai, esporre le proprie utopie, rievocare i propri sogni tra gli applausi, le risate, i fischi di un pubblico insonne, immerso in una ininterrotta psico-terapia di gruppo; cerano le barricate fatte disfatte e rifatte; cerano le automobili bruciate, le strade disselciate, le vetrine infrante, i cortei degli studenti borghesi al servigio della rivoluzione e i controcortei dei poliziotti, i CRS, sottoproletari al servizio del potere borghese, dei quali nessun Pasolini francese prese mai le difese. Su di loro ricadeva uno slogan infamante ed eccessivo: CRS-SS. Su un muro della Sorbona cera persino scritto: Se vedi un CRS ferito, dagli il colpo di grazia []. Tutte le istituzioni erano prese a partitto. Quelle pubbliche, ben inteso. Ma anche la famiglia che uno slogan tra i pi ripetuti definiva un

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inquinamento. Il sesso era dichiarato ovviamente libero. E in definitiva lo rimase. Fu una delle conquiste del Maggio. Il dialogo tra Jean-Paul Sartre e Daniel Cohn Bendit, in quei giorni, nella redazione del Nouvel Observateur era rivelatore. Chiedeva il filosofo: In qualche giorno, senza che sia stato decretato lo sciopero generale, la Francia stata praticamente paralizzata dalloccupazione delle fabbriche o dallarresto spontaneo di larga parte delle attivit. Tutto questo accade perch gli studenti controllano le strade del Quartiere Latino. Che tipo di movimento avete scatenato? Fin dove potete andare?. Rispondeva il giovane tedesco, capo dellinsurrezione parigina. Allinizio non avevamo previsto che gli avvenimenti avrebbero assunto queste dimensioni. Adesso lobiettivo di rovesciare il regime. Ma non dipende da noi se riusciremo a raggiungerlo o no. Dipendeva infatti dai sindacati dal pc che stava dietro il pi importante di quei sindacati, la Cgt. E i dirigenti comunisti non avevano alcu-na intenzione di cavalcare la rivolta di giovani pi anarchici che bolscevichi e pi piccoli e medi borghesi che proletari. Era una verit gi abbastanza chiara in quei giorni confusi. Ma non tutti riuscivano ancora a leggerla. In quella stagione facevo la spola tra il Maggio francese e la Primavera di Praga. Erano due opposti universi in cui mi immergevo dimenticando ogni volta quello che avevo appena abbandonato. AllOld Navy incontrai Goffredo Parise. Mi disse che dormiva in automobile perch lalbergo costava troppo. E mi gett uno sguardo, che sentii severo, perche stavo allHotel Voltaire. Ma il suo era un rimprovero ideologico. Parise era un curioso, non un militante. Altri italiani erano alla Sorbona. Ma loro non erano venuti a curiosare. Loro partecipano al movimento mi disse Annette []. Adesso, trentanni dopo, quando a Saint-Germain-des-Prs mi imbatto in una pubblicit riuscita, quando leggo una battuta divertente in una vetrina, una frase furba, geniale, che esalta le qualit di un libro o di un paio di scarpe, o pi genericamente il mio sguardo si posa su unimmagine che pu anche essere oleografica rispetto a quelle del 68, ad esempio una coppia, giovane e sciolta, nellespressione e nei gesti su un marciapiede di Boulevard Saint-Germain e Boulevard Raspeil, ritorno con la memoria agli avvenimenti del Maggio, come per riflesso condizionato []. Trentanni fa prevaleva la provocazione, leffetto dissacrante, che oggi non funziona pi. Quel tono oggi lo si usa anche per pubblicizzare, appunto, un prodotto: un profumo o un film o un CD. Quella rivoluzione senza programma si scagliava contro il consumismo, ma era come se al tempo stesso ne proponesse un altro pi aggiornato, pi spigliato, insomma qualcosa di simile a quello in cui viviamo. Il Maggio fu uno svecchiamento dei costumi. In questo senso fu salutare. La borghesia francese ha poi recuperato tutto: come sempre ha scritto Althusser nel suo Pour Marx []. Ci fu allora una ventata libertaria ed edonista alimentata da giovani che si richiamavano alla purezza iniziale del marxismo-leninismo o che sognavano di imitare la Cina

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di Mao. Le parole dordine erano: proibito proibire, o godete senza limiti. E non centravano proprio niente con quei richiami a rivoluzioni tanto severe e tanto poco permissive. Si sventolavano allora tante ideologie: e pochi sapevano che si trattava in realt di una cerimonia funebre delle ideologie esaurite. Fu uno dei riti funebri meno funebri che siano mai stati celebrati. Qualcosa di simile a un allegro funerale. Un funerale, in cui venivano rievocate ed esaltate le ideologie come si rievoca ed esalta il caro estinto. Le ideologie sarebbero defunte del tutto soltanto una ventina danni dopo: in questo senso il Maggio 68 fu dunque una profezia azzeccata, espressa in modo stravagante e con molto anticipo. [] da un pezzo che Saint-Germain-des-Prs non pi Saint Germaindes-Prs; da tempo che non pi quel che era trentanni fa. I quartieri di Parigi cambiano natura. Quel che era Saint-Germain-des-Prs nel 68 lo si trova, in parte adesso, a Balleville, o a Barbs, dove molti giovani preferiscono vivere e i turisti non vanno ancora Non so che fine abbia fatto Annette. La vedo ancora il giorno in cui si tolse e gett via con rabbia le scarpe con i tacchi alti che le facevano perdere lequlibrio sui ciottoli. Rest scalza. Ma continu imperterrita ad avanzare sul boulevard con la macchina fotografica spianata. Trov subito chi le prest calzature adatte al selciato tormentato. Erano momenti esaltanti. Sembrava vicina una svolta. Si era nelle ultime ore di Maggio, il 29, e avevamo appena saputo che de Gaulle era scomparso. Fu un brevissimo giallo carico di suspense!... Il presidente della Repubblica, preso dal panico, se lera svignata. [] Quella sera andai a letto convinto che il giorno dopo avrei dovuto fare la cronaca di una giornata storica. In effetti lo fu. Ma nel senso opposto di quel che pensavo. De Gaulle era stato a Baden Baden in Germania a trovare il generale MassuIl colloquio con Massu gli aveva tirato su il morale. Il vecchio generale si era ripreso. Quella stessa sera disse ai francesi: Sono qui e ci resto. La grande controffensiva gollista, su cui contavano Malraux e il suo amico Gary, avvenne sugli Champs-Elyses alle sei del 30 maggio. la Repubblica 14 maggio 1998

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Gianni Riotta
New York brucia

L11 settembre del 2001 il giorno dellattacco alle due Torri. Limmagine dei due aerei che colpiscono delle Twin Towers segner questa generazione. In una serie di articoli il cronista racconta quelle ore disperate. La paura e langoscia di sentirsi vulnerabili nel cuore del proprio Paese.

Si parte da Manhattan nel pomeriggio caldo di luned, il taxista multato per eccesso di velocit, speeding, 40 miglia lora anzich 30. C tempo per unocchiata allo skyline, il panorama dei grattacieli di New York. LEmpire State Building, rigido sulle sue putrelle dacciaio che gli permisero di resistere al cozzo di un bombardiere, a guerra appena finita. Lelegante Chrysler, con la cima liberty, qualche anno fa hanno ritrovato in un cassetto il progetto perduto, con le luci e la notte brilla vezzoso. Lex At&T, lo sponsor mutato, il maestoso foro Chippendale a ricordarci che il moderno finito e siamo tutti nel postmoderno. Il Citicorp, con la ghigliottina da cui cadeva la neve a valanghe e la chiesetta dolce disegnata dai Vignelli. Il poderoso Pan Am, che tutti chiamano cosi anche se quella linea aerea, che salv Berlino, non esiste pi. E infine loro, le due Torri Gemelle del World Trade Center. Dalla cima, vista tante volte con i bambini alla domenica, si domina la baia, la Statua della Libert e gli edifici di Ellis Island, da dove gli emigranti si facevano largo in America. Le Torri Gemelle. Allultimo piano cera la macchinetta che allungava i centesimi in monete bislunghe, bizzarro souvenir. Cerano tutti i turisti, sempre, i russi neoricchi, gli italiani caciaroni, gli asiatici felici, le scolaresche a guardare gi dalle finestre a precipizio, che brivido di vertigine, che brivido di paura. Si guardano le Torri e ci si gira, gli aerei per lEuropa partono al tramonto, la luce e lafa brillano sui vetri e sul cemento dei colossi che ogni giorno ospitano 150 mila persone, una citt nella pi grande citt del mondo. Chi avrebbe potuto convincermi che quello sguardo era lultimo alle Twin Towers? Gi scampate a un attentato islamico, scena di miracoli di solidariet dei pompieri e dei volontari newyorkesi ricordo una nonnetta portata a braccia, rampa dopo rampa, nel fumo, nellangoscia, e infine salva sono finite ieri dai colpi di ariete di terroristi organizzati, perfetti militarmente, capaci di grande maestria nella guerra psicologica. Brucia New York, la citt pi aperta del mondo, dove ogni strada ospita sushi giapponese, spaghetti e pizza, riso cinese, bistecche texane, borsch russo, dove non c comunit o etnia che non abbia la sua festa e i suoi

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cerimoniali, decine di giornali in urdu, arabo, mandarino, cantonese, italiano. E per chi vive nella metropoli, o ha i familiari che l vivono comincia il giorno pi lungo. Tutto fermo. I telefonini, Wap, Internet, i cellulari che uniscono il business, gli amori, le comunit, i pettegolezzi, il lavoro della capitale del mondo, si fermano. A ogni telefono pubblico, quelli che vanno con le monete da 25 centesimi, le prime code, dieci, venti persone, per cercare un nome, una voce, farsi rassicurare. I siti Internet si bloccano. La metropolitana, la subway cos fiera di avere dato i natali ai graffitisti alla Keith Haring, ripulita dai teppisti dal sindaco Giuliani, rumorosa nel suo essere attiva 24 ore su 24, si arresta. Chambers Street, la stazione dei business-men in camicia bianca, bretelle a colori sgargianti e cravatta Cucci, sepolta sotto la cenere del World Trade Center. Pompei Down-town. Era il giorno delle elezioni a New York. Il miliardario repubblicano Bloomberg. I democratici vogliosi di riprendersi la Grande Mela dopo il regno di Re Giuliani; Ferrer, lispanico del Bronx, voce dei neri e dei latini; Green, il cocco del New York Times, ecologo e fotogenico; Hevesi, cerebrale e discusso. Si va a votare senza un documento, un sorriso e il click alle leve. Poi seggi chiusi e voto rinviato. Ognuno lascia la commedia, la vita quotidiana e entra nella tragedia, nella storia. [...]. A Times Square, sui nastri colorati dove scorrono le immagini e i titoli delle notizie, appare la scritta lugubre: Due aerei si schiantano contro il World Trade Center, crollano le Torri gemelle, attentato al Pentagono con un aereo Kamikaze, altri velivoli abbattuti intorno a Pittsburgh. I turisti giapponesi, che vanno a frotte verso Espn Zone, il salone della realt virtuale, dove si fa a pugni contro un robot, si va in canoa pagaiando dentro uno schermo e si cavalcano i destrieri robotizzati, non capiscono: un film? pubblicit? Lennesimo gioco virtuale? No, la verit, la dura, semplice, crudele verit della storia che diventa cronaca e sangue. Si ferma il Palazzo di Vetro dellOnu. Si fermano gli aeroporti. Si evacua la Casa Bianca, come ai tempi della Guerra Rivoluzionaria il potere americano in fuga. Come ai tempi della Guerra Civile la capitale Washington assediata. Chiude laeroporto di Los Angeles, Hollywood isolata, e stavolta non per lo snobismo dei soliti cineasti di provincia come a Venezia, ma per la guerra. Chiss cosa pensano adesso i boicottatori di pellicole Usa, i lapidatori dei MacDonalds, quelli che non vanno in America perch c la pena di morte e non un paese civile, quelli che trovano gli yankee tutti mangiahamburger, tutti stupidi, tutti ignoranti? Festeggeranno come i palestinesi sciocchi che si fanno riprendere dallamericana Cnn a applaudire la strage? Chiama un amico, trova una miracolosa e precaria linea telefonica. Sa tutto di politica estera, ha passato la vita a mediare per la pace, e non resiste: Se gli Usa si ritirassero del tutto dal Medio Oriente, quei dimostranti

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finirebbero spazzati via da Israele in due ore. Fanno chiasso grazie al freno che Washington mette, comunque, a Israele. Sera detto tante volte: o mondo globale, che discute, commercia, si integra, media, prova a svilupparsi insieme, o guerra. E la guerra arrivata. Allamico che, in preda allangoscia, detta la sua analisi, si chiede un piacere personale: pu provare a cercare una persona cara, due bambini, qualche telefonata? Allasilo Chapin, la scuola storica delle ragazze di Manhattan, Jackie Kennedy indoss quelle divise verdi severe, le bambine vengono avvisate che accaduto qualcosa di grave: arriveranno le mamme, i pap a prendervi: Ci hanno attaccato. Al liceo Collegiate, dove ha studiato il povero John Kennedy junior, i ragazzi sono in chiesa, giacca e cravatta per una funzione: il preside parla a lungo, li invita a non cedere, a stare insieme. Giuliani sa che ci sono orfani, quanti? Cinquemila? Diecimila? Dove sono i bambini della sagoma che abbiamo visto volare gi dalle due Torri? Dove i familiari della vittima che sventolava la sua bandiera da un vetro rotto, chiedendo un aiuto che non arrivava? Evacuare, evacuare. Il ponte di Brooklyn, quello felice delle gomme e dei film di Woody Allen, diventa Sarajevo o Mostar. Profughi stavolta sono i broker di Wall Street, i sacerdoti della pi grande ripresa economica nella storia dellumanit, anche loro in fuga, come i kosovari, come i bosniaci, come i palestinesi, i curdi. Pearl Harbor era un polpettone: diventa la sceneggiatura dei telegiornali, da Central Park. Fermi gli autobus, svaniti i taxi gialli. Si va a piedi. Lungo i prati del giardino di Manhattan, le mamme mettono i bambini a cavalcioni e scalciano via i tacchi, il solo modo di spostarsi nella citt frenetica. Un telefonino che funziona scatena preghiere, implorazioni: mi faccia fare solo una chiamata, please. AllOspedale Saint Vincents, la clinica del Greenwich Village delle avanguardie, dove il Cardinale OConnor visitava in segreto, la notte, gli agonizzanti per lAids, i medici e le ambulanze si affrettano: preoccupano gli ustionati, centinaia e centinaia. Il diplomatico Holbrooke, che ha mediato la pace e la tregua nei Balcani, dice alla Cnn: se dietro questo attacco militare c uno Stato e siamo in grado di identificarlo la risposta deve essere durissima. Dalla caserma della Guardia Nazionale su Park Avenue, il fortino di mattoni rossi che ospita lesercito pi domestico del mondo, dedito di solito ad ospitare mostre di antiquariato e libri pregiati, affluiscono i guerrieri della domenica, per salvare qualche vittima, regolare il caos, se possibile. Al Pentagono sono morti molti pompieri, si dice. Anche a Manhattan vigili del fuoco, infermieri, volontari sarebbero caduti. Finalmente laereo del presidente George W. Bush riesce ad atterrare, in Louisiana, lontano dai luoghi del potere, sulle rive del Mississippi. Ma lAmerica non atterra dal volo della paura. Che fare? Chi mette in azione il suo benedetto cellulare chiede: Blitz militare? E contro chi? Talebani, Bin

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Laden, ogni estremista che Dio abbia messo al mondo si sforza di dichiararsi estraneo al raid totale. Contro chi? Nelle vetrine di Manhattan brillano i volumi di Empire, un tomo scritto dal filosofo italiano Antonio Negri: limpero americano da solo non pu governare, la globalizzazione apre spazio alla libert, non solo al profitto. Chi ha colpito Manhattan, Washington e lAmerica, spargendo sangue innocente, non la pensa cos. Tanti oggi festeggiano, e non solo irresponsabili o terroristi. Lalternativa resta piana: o il mondo progredisce insieme o la guerra. Finalmente squillano i telefonini anche a Washington, risponde la voce gentile dellamico che da anni si sforza di spiegarci la politica estera degli Usa. Ha lasciato il Dipartimento di Stato. Anche lui evacuato. Che farete adesso voi europei chiede aspro, la prima volta dopo tante crisi che gli sento alzare la voce vi assumerete le vostre responsabilit o cercherete di farci litigare da soli, per poi chiedere pi spazio al tavolo delle trattative? Per esempio, voi italiani, continuerete a fare i capricci con i vertici Fao e Nato o li ospiterete come vostro dovere? Non so rispondere, la linea cade provvidenzialmente a togliermi dimpaccio. Ma capisco dove erra la strategia dei terroristi quando trovo finalmente lamico americano che lavora proprio al World Trade Center. via, salvo. Sono in coda, dice. In coda? Dove? A donare il sangue, siamo gi in centinaia nella strada che tutta coperta da polvere e detriti. Ci vorr tempo ma sar New York a spiantare i terroristi e non viceversa. Scommetteteci pure, il mio sguardo di luned non stato lultimo.
La Stampa, 12 settembre 2001

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Giorgio Bocca
La vittoria della Camorra
Giorgio Bocca si sempre della societ italiana, in approfondite inchieste e in molti libri, cercando di individuare le cause, le responsabilit dei suoi guasti, delle sue contraddizioni, dei suoi mali endemici. In questo articolo spiega le ragioni per le quali la camorra ha messo radici tanto profonde e ramificate in questa citt da renderle inestirpabili. Anche perch la malavita, assicura la sopravvivenza alla massa dei marginali.

Mi scrivono da Napoli: lei si domandato se una grande citt pu accettare unoccupazione delinquenziale? La risposta s: la grande citt che dovrebbe ribellarsi alloccupazione purtroppo composta da troppi cittadini impigliati nei vizi della camorra. Napoli dovrebbe ribellarsi contro se stessa e questo francamente impensabile. In definitiva noi crediamo che almeno per ora la criminalit abbia vinto. Napoli ha toccato il fondo. arrivata al limite oltre il quale la convivenza impossibile? Difficile dirlo perch Napoli ha due cose che a gran parte delle citt italiane sono sconosciute: la plebe e la metropoli antica come Alessandria, come Calcutta, come Bombay, dove un numero sterminato di persone sopravvivono prima di vivere, dove ogni giorno folle enormi si mettono in moto cercando la sopravvivenza senza sapere bene dove trovarla. A Milano, a Torino persino a Palermo ci sono dei poveri ma a Napoli c la plebe che la naturale alleata della delinquenza anarcoide. Siamo oltre il limite? Chi pu dirlo! Durante la rivoluzione liberale del 700 si arriv allantropofagia, nei giorni delloccupazione americana e francese di colore nellultima guerra tornarono commerci umani terrificanti descritti da Malaparte, Non a caso un ministro come Cirino Pomicino impreca ancora contro il giacobinismo di alcuni imprenditori che hanno il solo torto di essere napoletani. Le forme di complicit con la camorra sono innumerevoli e spesso inconsapevoli. Si vede semplicemente entrando nei negozi, negli uffici, guidando lautomobile, in questa lotta di tutti contro tutti che cerca la protezione dei pi violenti. La camorra ha avuto nella grande citt una funzione decisiva: assicurare la sopravvivenza dei marginali ma impedire che essi dessero lassalto ai regolari. I marginali sono massa, centoquarantaseimila famiglie hanno fatto domanda per il sussidio di povert, solo ventimila lhanno ottenuto, un esercito permanente di poveri di fronte ai quali sta la grossa minoranza dei ricchi che fanno politica, accumulano enormi patrimoni senza produrre sviluppo, senza cambiare i rapporti sociali.

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La prima grande complicit di questa Napoli nella appropriazione se non di tutti, di moltissimi dei beni pubblici. Racconta Amato Lamberti: Sono stato presidente della provincia e in sei mesi ho cancellato i parcheggi abusivi, poi ho cercato di combattere labusivismo degli ambulanti ma ho capito che la camorra non avrebbe mai permesso che si abolisse qualcosa per Napoli di naturale, di obbligatorio. Ho fatto tracciare delle righe nel mercato di San Gregorio Armeno per far rispettare le licenze ma scoppiata la rivoluzione a capo della quale cerano gli impiegati del comune che tenevano i loro mercatini negli scantinati. I dipendenti della provincia erano il quadruplo, il quintuplo del necessario. Che dovevo fare? Dare a ciascuno una scrivania, un computer? A che sarebbe servito far passare una pratica per trenta, per cinquanta scrivanie? La corruzione dei politici pi che dei camorristi, io pensavo al funzionamento degli uffici, loro alla clientela elettorale. Nel 1993 mi hanno affidato lassessorato allordine pubblico ma per non offendere i napoletani lo hanno chiamato assessorato alla Normalit. Poi mi hanno dato lassessorato allAnnona. In due giorni capii che era un covo di ladri, gli impiegati si portavano a casa le licenze per rivenderle agli amici. Adesso faccio il professore. Losservatorio della camorra diventato una rivista. Le forme di complicit sono infinite. I pescatori di Pozzuoli si fanno dare dallo Stato il gasolio a prezzo politico, basso, e poi lo rivendono a borsa nera. Il camorrista Pasquale Cirillo di Pompei ruba un tir carico di salumi della ditta Citterio e pubblica un annuncio sui giornali Fiera del salame a Pompei. E per lintera giornata arrivano ristoratori, commercianti, ambulanti, privati, felici di acquistare merce rubata. Da Napoli gli ammalati di cancro fuggono. Ci sono grandi ospedali con centinaia di posti che per figurano sempre occupati. Gli ammalati ricchi vanno nelle cliniche milanesi o svizzere, i poveri muoiono. Nella citt dove il massimo valore il denaro, il profitto, si occupava di ricette mediche false una certa Amalia che ne passava centinaia, ai laboratori, di medicine inutili, un giro di cinquemila prescrizioni false, centoquaranta arrestati. La procura stima che le ricette false degli ultimi tre anni siano state trecentomila ed di pochi anni fa lo scandalo delle fustelle false in cui furono implicati centinaia di medici. La complicit da rassegnazione funziona in tutta ledilizia, il pizzo sulle costruzioni inevitabile. Si apre un nuovo cantiere e passano gli ispettori della camorra che chiedono di parlare con o masto, il direttore dei lavori, se non c dicono di fargli lambasciata. Se il direttore dei lavori rifiuta di trattare sparano a lui e ai muratori. A Napoli come in Calabria c chi chiede lintervento dellesercito, ma che pu fare lesercito se quelli che deve proteggere dalla corruzione sono i primi a chiedere sussidi inutili, favori immeritati, esenzioni illecite?

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Lesempio pi lampante della complicit napoletana, la storia della linea uno della metropolitana. Non c un pezzo sia pur piccolo di quellopera pubblica che non sia stato concertato fra le ditte costruttrici, le autorit municipali, gli abitanti, e la camorra, che ha partecipato allopera con la complicit dei tecnici, municipali e statali, talch si arriva allincredibile che le prove delle truffe sono scritte con i computer del Municipio e della Provincia, che le riunioni per mettersi daccordo sui profitti illeciti sono state tenute nei palazzi del potere. Napoli il luogo in cui dovendo ognuno pagare i favori concessi dagli altri, dovendo bussare a tante porte, ricorrere a tante protezioni, tutti fanno una vita grama, carica di ansia, umiliante in questa citt che secondo i retori dovrebbe essere la citt natura. Una complicit generale si accompagnata alla generale permissivit. Sino a forme che sfidano il credibile. Una ditta per lo sgombero dei rifiuti ha fatto affari miliardari scavando buche nellhinterland per seppellirvi limmondizia. I padroni del terreno non lo sapevano? Dicono: Noi avevamo creduto alla storia che i nostri terreni avevano una natura interessante che doveva essere esaminata. Solo tempo dopo abbiamo capito, solo dopo aver sentito le terribili puzze che arrivavano dallimmondizia. Nelle terre del Casertano sono state sepolte montagne di residui ferrosi. I fratelli Perillo, padroni della Italmetalli, non ci avevano spiegato. Il mistero dei rifiuti che periodicamente sommergono la citt, un mistero di Pulcinella. Tutti collaborano allo scempio. Nel centro direzionale le maestranze hanno subito imparato a fare pulizia: gettano dallalto dei grattacieli cartoni e carte nelle strade sottostanti. Ci sono quartieri costruiti, negli anni delle Mani sulla citt, sullorlo di frane e burroni. La camorra vi getta i rifiuti, gli abitanti respirano aria puzzolente, ma non c rimedio, chi raccoglie le immondezze in quei precipizi, se non si trova neppure il tempo e il modo di togliere quella attorno alla stazione centrale dove ogni giorno passano centinaia di migliaia di viaggiatori? Tutti sanno perch i rifiuti seppelliscono la citt: la camorra impedisce di raccoglierli, fa scioperare i netturbini, corrompe i funzionari dei controlli. Avviene limpensabile. A Montagna Spaccata, che nella sua povert era un eden di fiori e di piante, la camorra ha messo una discarica puzzolente per convincere i proprietari delle ville a svenderle. La camorra ti avvelena la terra e laria e se non basta ti uccide, ma sempre pi numeroso il popolo che la imita, la serve e ci racconta le sue leggende metropolitane. A Napoli tutto possibile: per dire che una giustizia incapace di arrestare ladri e assassini faccia scoppiare lo scandalo del calcio che riguarda le grandi squadre del Nord e che difende accanitamente le sue indagini come se a Napoli non ci fosse nulla di pi interessante. La storia e i suoi accumuli portano altri rebus alla sventura napoletana, come il culto

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della furbizia e del raggiro, la arroganza del pi forte. Sembra che alle origini della camorra ci sia stata unassociazione spontanea di delinquenti dediti alle estorsioni. Se cos la camorra pi spontanea, pi naturale della mafia siciliana, della sacra corona pugliese e della ndrangheta calabrese che in casa Alvaro veniva chiamata la societ, come ora a Napoli la camorra viene chiamata il sistema.
la Repubblica, 2 novembre 2006

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La lunga notte che ha cambiato lAmerica


Vittorio Zucconi
Il 4 novembre del 2008 una data che gi entrata nella storia: un afroamericano, Barack Obama,viene eletto Presidente. Un evento che ha cambiato gli Stati Uniti e quindi gran parte del mondo. Vittorio Zucconi che dellAmerica un attento racconta il clima in cui si sono svolte le elezioni e ne analizza il significato.

La notte che ha cambiato tutto si stempera in un giorno di esausta, civile normalit, che produce in noi ammirazione, stupore e qualche invidia. cambiato tutto. Si sono rovesciati 40 anni di storia, tra le rivolte dei ghetti del 1968 e lannuncio della vittoria del figlio di un kenyano, nelle tre ore passate fra i primi risultati incerti dalla Florida, dalla Virginia, dallOhio, fino alla valanga di voti del West alle 23 e un minuto, ora della capitale. Ma sulla nuova America che ha stravinto, come su quella vecchia che ha straperso, sulla insurrezione elettorale dei giovani che hanno respinto la tentazione della protesta e hanno trovato lo strumento politico per manifestare la loro voglia di antipolitica, dei neri, dei bruni, delle donne, gi scesa la pace. Sotto la coperta rassicurante della Costituzione, delle regole da rispettare e rispettate, della civilt politica, dellaccettazione di vittorie come di sconfitte, lAmerica oggi riposa esausta e si distende. Gli americani hanno fatto una rivoluzione e tutto quello che posso raccontare di scomposto la folla che spontaneamente si era raccolta attorno alla Casa Bianca a mezzanotte, per cantare Bye Bye George e fare la serenata a un presidente detestato da 3 americani su 4, senza che volasse un ciottolo. Perch rivoluzione stata e la nuova carta politica dellAmerica, che i pennelli elettronici delle network andavano disegnando, i messaggi frenetici dei blog e dei siti internet raccontavano e le ricerche sui voti confermavano, un continente umano e politico che sembrava scomparso ed invece riemerso. Non unaltra America, come vogliono i luoghi comuni, ma unAmerica che non aveva trovato il messaggio e il messaggero per uscire dallincantesimo dei falsi valori, del moralismo, della xenofobia, dei miti fiscali spacciati da coloro che avevano tutto da guadagnare e nulla da restituire, e ora lha trovato. sbalorditivo che tutti gli stracci agitati per un decennio dalla destra, nessuno, neppure la questione dellaborto che ormai vissuta come una storia conclusa e acquisita, abbiano fatto la loro comparsa in questa elezione. Forse questo, il mancato ricorso agli spettri delle paure, spiega la quiete dopo la notte.

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Barack Obama ha vinto ovviamente perch i suoi fratelli di sangue hanno votato come mai avevano fatto prima, fino al 95% con lui, dopo che si era insinuato che lui non fosse abbastanza nero, per non essere cresciuto nei casermoni delledilizia popolare. Ma ha vinto perch le donne lo hanno scelto, nella speranza che lui sia colui che finalmente dar sicurezza sanitaria a quelle madri single che allevano figli senza alcuna protezione assicurativa e hanno visto in lui, bambino allevato da donne, la madre sola e la nonna, la rivincita della loro fatica quotidiana. Ha vinto con i latinos, stanchi di essere trattati come usurpatori di terre nelle quali fanno i lavori che permettono ai bianchi di farne di migliori. Ha vinto fra quei colletti blu delle acciaierie in agonia, delle fabbriche dauto che oggi vendono un terzo meno dellanno scorso, quei democratici di Reagan che la strategia repubblicana era riuscita a sedurre agitando le bandierine dei valori, morali, patriottici, militari. Ha vinto addirittura nel West, dove il rude cowboy immaginario ha da tempo lasciato la prateria ai nuovi americani dei sobborghi, della tecnologia, dei diritti. Ha vinto perch il segno, e il volto, dellAmerica nuova, contro un partito vittima del proprio successo con unAmerica Vecchia che esiste sempre meno, persino nella Florida dei vecchi. Ci sarebbero infinite ragioni di rancore, voglie di conti da saldare, paure per limmaginario radicalismo marxista di un ultra liberal, che si riveler molto pi probabilmente come un centrista moderato al massimo con qualche istinto blandamente socialdemocratico, ma se ci fossero state voglie di rese di conti, le avrebbero spente, prima che la notte degenerasse in un giorno di mazzieri, le avrebbero subito spente le parole proprio dei due protagonisti, uniti da uno stesso filo: io ho perso, ora deve vincere lAmerica e lAmerica colui che stato eletto. Io ho vinto ma dovr governare anche per coloro che hanno perso, come ha detto Obama. E le braci accese da secoli si sono spente e raffreddate anche in quel parco di Chicago dove i figli degli hippies e dei sessantottini piangevano abbracciando i vecchi poliziotti in pensione che il sindaco Daly aveva mandato a sprangare a sangue i loro padri e le loro madri, nellestate del 1968. Non c niente di diverso, nella Washington dove esco dopo il voto. I giovanotti di colore che mi riempiono il sacchetto del supermercato sono gli stessi di ieri e non sono diventati presidenti degli Stati Uniti n direttori del negozio alle 23 e 30 di marted, quando uno come loro diventato il Capo dello Stato ed probabilmente soltanto la mia immaginazione di cronista che vede nei clienti che spingono il carrello e li ringraziano unombra di rispetto in pi, come se trattarli male, da oggi, potesse scatenare sulluomo

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bianco sgarbato con il garzone nero la furia del nuovo governo federale e un immediato accertamento fiscale. Eppure tutto diverso, come se vivessimo in una primavera americana che ancora non si vede, ma si sente. Guido lauto nel centro di Washington, la capitale molto romana, molto sorniona e cinica, che aspetta larrivo del nuovo Cesare, il 20 gennaio prossimo, e delle sue centurie, senza scomporsi, sapendo che sopravviver anche a questo ribaltone storico, culturale, morale come ha saputo sopravvivere ai sudisti che la bombardavano, ai mercenari inglesi che la invasero e ai dementi di Al Qaeda che le schiantarono un Boeing 757 di linea contro il Pentagono, senza che il cuore della citt perdesse un colpo. questo, il momento della transizione da un imperatore allaltro, avvenuto 41 volte in 220 anni per 43 presidenze, nel quale si vede la magnificenza civile della nazione. Non si sentono urla e grida, non ci sono vincitori che insolentiscono i trombati, o sconfitti che digrignano i denti, anche grazie alla stangata senza equivoci di Obama, e del partito democratico, che ha conquistato seggi e allargato la maggioranza al Congresso, Camera e Senato, costruendo un monocolore democratico nel cuore del governo nazionale come non si vedeva da decenni. Chi oggi attraversa questa capitale lubrificata dallesperienza delle transizioni e dal senso di responsabilit nazionale e internazionale che porta sulle spalle, non pu non ricordare come la trov trentanni or sono e cerca invano i segni delle lingue di fuoco che annerivano la facciata degli edifici del centro, allincrocio della 14esima strada e della F Street, a cento metri dalla Casa Bianca, dove linsurrezione del ghetto nero arriv con le armi, le fiaccole, le spranghe in mano, fermato dalla Guardia Nazionale in assetto di guerra, dopo la notizia dellassassinio di Martin Luther King, nel 1968. Gli edifici affumicati che contemplavo dalla finestra dellufficio nel palazzo della stampa, sono stati abbattuti, ci sono shopping center, caffetterie, condomini di lusso, negozi di chincaglieria costosa. Soltanto i vecchi, gli ultimi lustrascarpe ricordano ancora la sommossa di Washington e lustrascarpe rimangono, anche ora che un brother, un fratello di sangue, dormir nella casa che loro avrebbero voluto mettere a sacco. Il primo giorno del resto della nostra vita, come vuole un detto americano, un giorno normale, pacifico, qualsiasi, dopo una notte che avrebbe potuto, altrove, scatenare piazze e furori. Questa primavera di Washington, che fiorisce in autunno, fa piangere in silenzio, compostamente, come ha pianto ieri notte Colin Powell, che si era esposto per dare la propria investitura a Obama e fa piangere coloro che in buona fede, avendo ascoltato le farneticazioni della cacciatrice di alci, rivelatasi una prevedibile zavorra dopo la fiammata di curiosit iniziali, davvero crede che dal 20 gennaio prossimo gli Usa diverranno gli Ussa, gli Stati Uniti Socialisti dAmerica e Obama porter via il negozio di

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souvenir o la cassetta delle spazzole ai lustrascarpe, mentre i neri la faranno da padroni, vendicandosi dei padroni. E tutto quello che successo che la mappa elettorale dellAmerica torna finalmente a corrispondere alla propria diversit, come la faccia di chi lha disegnata, ha il volto di una nazione che riassume in s il dna del mondo. E se la nonna di Obama non lo ha visto vincere per 24 ore, Ted Kennedy riuscito a resistere al male che lo sta uccidendo, per vedere il ritorno dellAmerica che finalmente i suoi fratelli avrebbero riconosciuto.
la Repubblica 6 novembre 2008

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