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Relazione annuale Dottorato in Studi su Vicino Oriente e Maghreb

27 Ottobre 2010
Petrone Michele

Titolo: Ǧalāl al-Dīn al-Suyūṭī e la sua opera

Lo studio dell'opera di Suyūṭī mi ha condotto a soffermarmi sulla sua auto-bibliografia


intitolata Fihrist mu'allafātī. In una prima fase di ricerca, protrattasi fino ad alcuni mesi fa,
sembra va che questo testo fosse un unicum nella letteratura araba, affiancato solo dai testi di
al-Birūnī e Ibn ‘Arabī, che si pongono in contesti comunque diversi. Cercando di dare una
contestualizzazione a questo indice ho intrapreso due percorsi. Uno è stato quello delle
iǧāzāt, guardando alle liste di titoli come possibili auto-bibliografie. Un altro, più fruttuoso, è
stato quello dell'autobiografia. In questo genere di testi è abbastanza normale trovare una più
o meno lunga sezione dedicata alle opere. I caratteri diversificati e la circolazione non sempre
indipendente di questi testi hanno posto seri problemi a rintracciare i tratti di un genere. Quel
che emerge è una pratica comune, ma frammentata, che risponde a criteri formali simili ed
esigenze diverse.
I testi individuati rientrano in vere e proprie autobiografie, come quelle incluse nei grandi
dizionari bio-bibliografici dagli stessi autori, o sono opere che sono state composte a parte,
con finalità ben precise. L'individuazione e l'analisi di questi testi si sta rivelando proficua,
soprattutto quando sarà possibile incrociare i dati con quelli provenienti dalle iǧāzāt, che si
trovano in buona parte presso la Biblioteca Nazionale di Berlino.
Attraverso questo confronto si pensa di poter arrivare a definire una pratica quale quella
dell'auto-bibligorafia, tracciandone le caratteristiche principali, le varianti e sopratutto le
ragioni compositive. La domanda a cui non è stato ancora possibile rispondere è perché
Suyūṭī, presumibilmente attorno al 903 dell'Egira abbia deciso di mettere in circolazione un
indice delle sue opere.
Un indizio è venuto dalla polemica sul plagio, per ora presunto tale, posto in essere da al-
Qasṭallānī ai suoi danni. Difatti un certo al-Muhtār sarebbe tornato da Mecca proprio nel 903,
informando Suyūṭī che le opere plagiate erano effettivamente in possesso di al-Qasṭallānī1. In
questo caso è probabile che Suyūṭī abbia deciso di far circolare un indice delle sue opere per
chiarire la sua posizione, nonostante avesse già pubblicato la maqāma intitolata al-Fāriq

1. Cfr. Šarḥ maqāmāt al-Suyūṭī, ed. S. al-Durūbī, Bayrūt 1989, 2 voll., II p. 854. Per l’identificazione di questo
al-Ḥāǧǧ ‘Alī al-Muhtār cfr. Ibn Iyās, Badā‘i al-zuhūr fi waqā‘i al-duhūr, Wiesbaden 1960-62, 4 voll., III 442.
bayna al-muṣannif wa al-sāriq2. Il testo della maqāma ci informa che la polemica era in
essere già a quella data e che coinvolgeva non solo Suyūṭī, ma anche altri personaggi a lui
prossimi.
Quel che resta da stabilire è la realtà effettiva del plagio. Il confronto serrato fra i testi delle
Mawāhib al-ladūniyya, delle Ḫaṣā’iṣ al-kubrā e dell’Unmuḏaǧ al-labīb non ha portato a
nessuna conclusione di rilievo. Sembrerebbe, quindi, che la polemica sollevata da Suyūṭī sia
stata insabbiata (e con questo si spiegherebbe la virulenza della maqāma, volta a richiamare
l’attenzione sul plagio) e che al-Qasṭallānī abbia poi effettivamente corretto il testo,
espungendo quanto preso da Suyūṭī o occultandolo.
Per chiarire questo passaggio è necessaria un’indagine sui manoscritti delle Mawāhib al-
laduniyya che potrebbe (ed il condizionale a questo punto è d’obbligo) svelare due recensioni
del testo.
Se questo non dovesse emergere, oltre all’ovvia ipotesi che quei manoscritti siano
irrimediabilmente andati persi, va tenuta in conto anche quella che vede la polemica basarsi
su questioni marginali o tradizioni a cui è stata solo fatta allusione e che per questo sfuggono
ad un’analisi puramente testuale.
Rimane quindi una certa mole di lavoro da svolgere per poter presentare una tesi che non sia
solo la parziale rendicontazione di un lavoro svolto, ma l’analisi compiuta di uno spaccato
della storia intellettuale alla fine dell’epoca mamelucca.
Il punto nodale non riguarda solo la definizione del plagio in un ambito al di fuori di quello
propriamente letterario, a anche i meccanismi di trasmissione dei testi e di garanzia.
Da questo punto di vista lo studio del Fihrist di Suyūṭī si è rivelato una traccia proficua che
intendo seguire per approfondire, fin dove sarà possibile, quali sono le ragioni per cui autori,
distanti tra loro nel tempo e nella formazione intellettuale, abbiano deciso di redarre una lista
delle proprie opere. In questo senso ho già approntato uno studio dei precedenti latini3 e di
alcuni esempi moderni (Erasmo su tutti), per poi imbastire un confronto che tenga conto delle
differenze del contesto culturale, soprattutto della diversa modalità di circolazione dei
manoscritti. Con questo confronto possono essere evidenziati più facilmente i caratteri
peculiari della cultura manoscritta araba in epoca mamelucca e tracciati alcuni percorsi di
circolazione dei testi, dalla scrittura alla pubblicazione.

2. Esiste un testo, segnalato solo nel catalogo della collezione Landberg di Leida (cfr. Landberg, Catalogue des
Manuscrits arabes provenant d’une bibliothèque privée à el-Medìna et appartenant à la maison E. J. Brill,
Leiden 1883, pp. 108-9), che indica un titolo ulteriore, che potrebbe però essere di un’altra opera. Nel nuovo
catalogo redatto da J. J. Witkam (cfr. Inventory of the Oriental Manuscripts of the Library of the University of
Leiden, Leiden 2008, 23 voll., III 192) l’opera è stata correttamente identificata con la maqāma già nota.

3. Per i precedenti greci, l’unico riferimento individuato è quello di Galeno, riportato già da Ḥunayn.

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