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Pensieri sul titolo del romanzo Il giorno della civetta

Il titolo di un’opera letteraria non è qualcosa di secondario: è propriamente


l’intrata e –secondo me- anche “l’uscita” del testo. Infatti, non ci capita spesso di
ritornare al titolo dopo aver finito la lettura del testo? In quei momenti, lo
guardiamo sotto un’altra luce; facciamo, se si vuole, un viaggio di 360º partendo
cioè dal titolo e arrivandovi di nuovo, ma noi non siamo all’arrivo gli stessi che
eravamo alla partenza, perchè siamo in grado di comprendere di più.

Eppure, il titolo non è un’opera del tutto chiusa. Ci sono autori (come Eco nel
suo Il nome della rosa1) che invece cercano di farlo tanto aperto che il lettore
possa desteggiarsi tra diverse interpretazioni man mano che legge e pure prima
e dopo la lettura. Mi sembra che questo sia il caso di Il giorno della civetta, un
romanzo di Leonardo Sciascia edito nel 1961.

La prefazione ci indica, certamente, una certa strada interpretativa; in questo


caso si tratta delle battute tratte dal Enrico VI (parte III) di Shakespeare:
“...come la civetta quando di giorno compare.” Vediamo tuttavia che il titolo non
si fa ancora chiuso con questo: c’è un aiuto, una direzione, però restano ancora
molti elementi da interpretare alla luce del testo e dei nostri bagagli.

Brevemente: il romanzo segue l’inchiesta del capitano Bellodi –proveniente dal


Nord in Sicilia- per trovare quello che ha ucciso un tale Colasberna, socio di
una cooperativa edilizia. Un altro omicidio verrà fuori dopo, intrecciandosi con il
primo e tutti e due con un’organizzazione e degli atteggiamenti che fanno
pensare a quelli della mafia. Un confidente –detto Parriniedu- offre senza molta
volontà delle piste sugli omicidi. Seguendole con ingegno il capitano Bellodi
riesce a catturare un cosiddetto capomafia e due “seguaci”. Infine questi
rimangono liberi mentre Bellodi è già ritornato a Parma.

Cosí descritto il romanzo non sembra che un giallo, e invece secondo me si


tratterebbe di un’opera molto impegnata che riesce a parlare di un tema tabù
esponendo non soltanto i suoi aspetti più evidenti ma anche quelli più elusivi e
umani.

E allora il titolo dove c’entra? C’è veramente un giorno per la civetta? La civetta,
chi sarebbe? Dal mio punto di vista ci sarebbero due importanti candidati: il
capitano Bellodi e il confidente Parriniedu (Calogero Dibella).

Ci sono due linee da prendere: da una parte, la civetta “della natura”, come
uccello ammaestrato per attirare altri uccelli, e dall’altra, la civetta “letteraria”
delle battute shakespeariane. Il Dibella non è ammaestrato, ma certamente
serve ad “attirare” altri della sua stessa “classe” (delinquenti); il Bellodi invece è
stato ammaestrato (ha studiato per diventare capitano) ma attira quelli di una
classe diversa alla sua. E, se ci incliniamo verso il capitano, significherebbe
dunque che forse i limiti tra sbirri e mafiosi fossero un po’ più diffusi di quello
che pensiamo, che la mafia si potrebbe incontrare d’appertutto, senza
1
Umberto Eco spiega la sua posizione rispetto al titolo del suo romanzo nelle Postille a Il nome
della Rosa
distinzione di classe? Entrambi hanno il loro “giorno” secondo questa prima
linea: il Dibella quando dà l’informazione che sarebbe cruciale per la scoperta
degli omicidi, e il capitano quando fa tutta la drammatizzazione che finisce con
le confessioni dei “seguaci”.

Secondo l’altra linea, quella letteraria, la civetta sarebbe qualcosa di strano,


fuori di luogo: le battute ampliate infatti, dette dal personaggio Somerset in
Enrico VI, dicono: “e colui che non vorrà oggi combattere per una simile
speranza, se ne torni alla propria casa; si ponga a letto, e, se ardirà mostrarsi
alla luce del giorno, sia fatto oggetto di scherno e di meraviglia, come avviene
alla civetta quando fuor d’ora si mostra”. La speranza in quel caso è che il figlio
del re sconfitto sia così grande com’era stato suo nonno. Nel romanzo, mi
sembra che la speranza sarebbe che il male non trionfi, che si riesca a
disperdere la rete corrotta fino all’ultimo dei partecipanti. Il Bellodi durante quasi
tutto il romanzo ha questa speranza; sembra la civetta di giorno anche perchè
viene dal Nord e quindi non conosce bene nè condivide sempre le
caratteristiche e il pensiero del Sud. Però c’è un altro significato per questa
civetta letteraria: risale perchè la sua scelta le porta vergogna –sarà oggetto di
scherno-, e il Dibella si sente così; si sentiva così da molto tempo perchè non
gli piaceva essere un confidente. Veramente ha il suo giorno secondo questa
seconda linea: le 24 ore prima della sua morte risale per il suo atteggiamento
cobarde e strano.

Infine, tutta la frase del titolo del romanzo mi sembra richiamare per sonorità
un’altra frase appropriata al argomento: il giorno della civetta mi fa pensare a
quello della vendetta, cioè del giudizio universale. La parola vendetta ha anche
stretti legami con la mafia e, infatti, uno dei seguaci accusa all’altro di aver
ammazzato mosso dalla sete di vendetta. La speranza shakespeariana si perde
anche pensando al giorno della vendetta, giacchè alla fine tutti e due, il Bellodi
e il Dibella, dovranno aspettare quel giorno perchè si faccia giustizia.

Beatriz Lupiano, 5º”A”

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