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E
LA DIGNITÀ UMANA
IL VALORE E LA MONETA
Re ali zza to d a
D o me ni c o Be vi lac q ua
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2 DI COSA PARLEREMO
PARTE I
V ALORE , M ONETA E P ROPRIETÀ DELLA M ONETA
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PARTE V
R ISPONDERE ALL ’ EMERGENZA CON LA MONETA LOCALE
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PARTE I
VALORE, MONETA E PROPRIETÀ DELLA MONETA
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3.1 Prefazione
Per mio conto - se non mi inganno - la
dottrina dell’immanenza, per la quale
non ha senso parlare di un ente posto
indipendentemente dal pensiero che lo
pensa ed esperimenta, si è rivelata come
assolutamente insostenibile e sbagliata
di sana pianta. E se - al dire degli stessi
idealisti - la cosiddetta «filosofia
moderna» post-cartesiana si assomma
in questa proposizione come quella che
ne rappresenta ed esprime ed esaurisce
l’intima anima e vitalità ed essenza, è per
mio conto indubbio che essa rappresenti
uno stadio del pensiero filosofico totalmente
polverizzato dalla critica e, di conseguenza,
assolutamente superato e sorpassato. Nuovi
cammini e nuove più ampie ed eccelse mète
si aprono alla speculazione, al di là
dell’assurdo vincolo di una dottrina che
aveva preteso di immobilizzarne e fermarne
il corso al ceppo di alcune false esigenze,
proclamate troppo frettolosamente per
insuperabili e ineliminabili: e chi non sentirà
l’infinita gioia della libertà
riconquistata e l’ebbrezza dell’ignoto
che resta ancora da tentare e da vincere? Poiché ben misera sarebbe stata la nostra vita se, già legata
al possesso eterno della verità, sempre presente allo spirito e da esso creata, si fosse trovata costretta a
proclamare tutti i problemi risolti, e interdetta ogni mèta da conquistare, con la speciosa
argomentazione che ciò che non si conosce non esiste e che, quindi, l’ignoto e il mistero (da cui
pur ci sentiamo circondati e avvinti fin nelle intime latebre dello spirito e della stessa autocoscienza)
sono banditi dall’universo. Se, infatti, è vero che nulla esiste che non sia attualmente pensato e
sperimentato, non può darsi alcun oggetto futuro dello spirito - ché sarebbe mero oggetto
dell’atto presente -, e la storia è fermata al «non plus ultra» del nunc, e la nostra povertà infinita
è diventata infinita ricchezza!
3.2 Capitolo I
Come a tutti è noto, la «filosofia dell’immanenza» o «filosofia dell’idealismo» poggia su un principio
fondamentale, che si formula nei termini seguenti: «Non ha senso parlare di realtà poste
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indipendentemente dal pensiero, cioè non attualmente pensate o sperimentate dal soggetto
pensante o pensiero pensante»1.
3.3 Conclusione
Le riflessioni svolte in questo libro portano tutte a una medesima conclusione: le nozioni stesse
fondamentali di soggetto (3° argomento), oggetto (4° argomento), atto di pensiero (5° argomento),
Io trascendentale (6° argomento), io come Assoluto o libero creatore del mondo (7° argomento), io
come prius absolutum (9° argomento), io come centro dell’immanenza (10° argomento), io come
coscienza in prima persona o cogito (11° argomento), di cui ogni sistema immanentistico non può
non fare uso, si rivelano prive di senso nell’idealismo e importate in esso dal realismo.
Un idealismo coerente, a parte la sua arbitrarietà (1° argomento) e gli assurdi a cui va incontro (2°
argomento), si riduce a una filosofia del nulla e dell’indeterminato.
La stessa pretesa di questa filosofia di valere come una «filosofia spiritualistica» è priva di
fondamento: l’io idealistico non può garantirsi dalla mutabilità, dalla corruzione, dalla possibilità
di un improvviso annullamento (8° argomento).
Cioè, anche l’io idealistico, come a dire l’intero universo idealistico, è contingente.
Ritorna la domanda posta sopra (cfr. § 55): «Da chi mai, allora, ha avuto origine?».
Una sola risposta è possibile: dal vero Assoluto, cioè da Dio.
4 DOMANDE… E LE RISPOSTE?
Confondere il soggetto con l’oggetto è salutare?
Ridurre l’essere umano a “cosa” è salutare?
Affermare che la storia «sia finita», come fa Francis Fukuyama, che sia finalistica (abbia un
fine) e che la storia universale direzionale dell'umanità abbia raggiunto il suo culmine con
le attuali democrazie liberali (cioè che questo sistema in cui viviamo è il migliore di sempre e
mai ve ne sarà uno migliore) cosa comporta?
Viviamo in una società schizofrenica, cioè affetta da una psicosi cronica caratterizzata dalla
persistenza di sintomi di alterazione delle funzioni cognitive e percettive, del comportamento e
dell'affettività, con forte disadattamento della persona o una gravità tale da limitare o
compromettere le normali attività di vita?
1
Cfr. Giorgio Berkeley, Trattato sui principi della conoscenza umana, trad. a cura di Adelchi Baratono, Ed. Mondadori,
Milano 1935, par. 3, p. 71: «Parlare di un’esistenza assoluta, di cose senza pensiero e senza alcun rapporto al loro venir
percepite, a me sembra del tutto inintelligibile. L’esse delle cose consiste nel percipi, e non è ammissibile che abbiano una
qualsiasi esistenza fuori delle menti, ossia delle cose pensanti che le percepiscono». Cfr. par. 6, p. 73: «Metto nel numero
(delle verità palmari) questa, importantissima: che tutto quanto il coro celeste e l’arredamento terrestre, ossia tutti i corpi
che compongono l’immenso ordinamento del mondo, non hanno sussistenza fuori di una mente; che il loro essere è l’esser
percepiti o conosciuti, e che perciò, fino a che non vengono attualmente da me percepiti e non esistono nella mia mente...,
non posson avere alcuna esistenza vera e propria». Cfr. inoltre par. 4, p. 71; par. 5, pp. 72-73; par. 15, p. 79; par. 20, p. 82;
par. 22, p. 83; par. 23, p. 84; par. 24, p. 85; par. 38, p. 94; par. 45, p. 101; par. 47, p. 102; par. 81, p. 125; par. 88, p. 131; par.
91, p. 133; par. 133, p. 166.
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7 COS’È IL VALORE?
Il valore è un rapporto tra fasi di tempo:
così, ad esempio, una penna ha valore perché prevediamo di scrivere.
Quindi il valore è un rapporto fra il momento della previsione ed il momento previsto:
la prima fase di tempo è il momento strumentale, che attiene all’oggetto;
la seconda fase di tempo del valore è il momento edonistico (di godimento del bene), che
attiene al soggetto.
Questo fa comprendere come il valore in astratto non esista:
il valore esiste solamente quando c’è almeno un essere umano che prevede di poter usare
qualcosa in futuro.
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8 COS’È LA MONETA?
Per quanto questa domanda possa sembrare banale, ci stupiremo di quante risposte diverse ne
vengano fornite. Ecco un esempio:
“La moneta è la misura del valore” (Aristotele);
+
“La moneta è un IO VI DEVO (una cambiale)” (Modern Monetary Theory).
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La domanda “che cosa è la moneta?” comporta prioritariamente una definizione ontologica (cioè:
che tipo di ente è? Qual è la sua natura?):
• LA MONETA È UNO STRUMENTO.
Questo significa che la moneta non si trova in natura, non è una fantasia, non è un puro
oggetto linguistico, ma è un oggetto creato (inventato) dall’uomo per gli uomini.
Fa parte di quell’insieme di cose che Popper cataloga come “Mondo 3”, cioè tutte quelle
idee/invenzioni che nascono nella mente degli uomini, poi si concretizzano in oggetti che
acquistano una realtà fisica autonoma: le monete di metallo (che troviamo negli scavi
archeologici anche se tutti gli uomini che le hanno usate non ci sono più), la cartamoneta, i legnetti,
ecc.
Secondo i filosofi Maurizio Ferraris e Maria Grazia Turri, essa fa parte degli oggetti sociali cioè di
quella tipologia di oggetti che esistono perché esiste l’uomo (diversamente dall’albero che
sarebbe esistito anche senza la nostra comparsa).
Per Giacinto Auriti, la moneta è un bene immateriale di valore convenzionale e, inoltre, un bene
collettivo, poiché creato dalla collettività che accetta la convenzione monetaria. La moneta è un bene
immateriale perché la sua strumentalità non risiede nell’elemento materiale del simbolo, ma nella
realtà spirituale nella quale si consolida il valore monetario.
Tra le tante definizioni, quella che ci interessa ora è che la moneta è uno strumento di misura del
valore:
invece del baratto, che è scomodo, diciamo che una mela vale due conchiglie, due pezzetti di legno,
un pezzetto di metallo, due pezzetti di carta (tutti materiali usati in passato ed anche oggi).
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11 DI CHI È LA MONETA?
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«Credo sinceramente, con voi, che gli istituti bancari siano più pericolosi degli
eserciti in armi; e che il principio di spendere soldi che devono essere pagati dai posteri,
sotto il nome di finanziamenti, non fa che vanificare il futuro su larga scala».
Thomas Jefferson, “Lettera a John Taylor”, 28 maggio 1816
«Fin dalla nascita le grandi banche agghindate di denominazioni nazionali non
sono state che società di speculatori privati che si affiancavano ai governi e,
grazie ai privilegi ottenuti, erano in grado di anticipare loro denaro. Quindi
l’accumularsi del debito pubblico non ha misura più infallibile del progressivo
salire delle azioni di queste banche, il cui pieno sviluppo risale alla fondazione della
Banca d’Inghilterra (1694). La Banca d’Inghilterra cominciò col prestare il suo denaro al
governo all’otto per cento; contemporaneamente era autorizzata dal parlamento a
battere moneta con lo stesso capitale, tornando a prestarlo un’altra volta al pubblico in
forma di banconote. Non ci volle molto tempo perché questa moneta di credito
fabbricata dalla Banca d’Inghilterra stessa diventasse la moneta nella quale la Banca
faceva prestiti allo Stato e pagava per conto dello Stato gli interessi del debito pubblico.
Non bastava però che la Banca desse con una mano per aver restituito di più con l’altra,
ma, proprio mentre riceveva, rimaneva creditrice perpetua della nazione fino all’ultimo
centesimo che aveva dato».
Karl Marx, “Il Capitale”, 1885, Libro I, capitolo 24, paragrafo 6, Editori Riuniti, Roma
1974, pp. 817-818
«Nel nostro tempo è ormai evidente che la ricchezza e un immenso potere sono stati
concentrati nelle mani di pochi uomini. Questo potere diventa particolarmente
irresistibile se esercitato da coloro i quali, poiché controllano e comandano la
moneta, sono anche in grado di gestire il credito e di decidere a chi deve essere
assegnato. In questo modo forniscono il sangue vitale all’intero corpo
dell’economia. Loro hanno potere sull’intimo del sistema produttivo, così che nessuno
può azzardare un respiro contro la loro volontà»
Papa Pio XI, “Quadragesimus Annus”, 106-9, 1931
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«È assurdo dire che il nostro Paese può emettere $30.000.000 in titoli ma non
$30.000.000 in moneta. Entrambe sono promesse di pagamento; ma una promessa
ingrassa l’usuraio, l’altra invece aiuta la collettività».
Thomas Edison. Da un commento alla politica monetaria di Henry Ford citato nell’articolo
“Ford sees wealth in Muscle Shoals”, New York Times, 6 dicembre 1921, p. 6.
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«E se la moneta è in affitto
L’affitto chi lo paga?
Chi ce l’ha o chi non ce l’ha
il giorno di paga?»
Ezra Pound. Canto XLVIII
«Dire che uno Stato non può perseguire i suoi scopi per mancanza di denaro è come dire che
un ingegnere non può costruire strade per mancanza di chilometri».
Ezra Pound. 1939
«Fino a quando non saprete chi ha prestato cosa A CHI, non potrete mai capire nulla di
politica, non potrete mai capire nulla della storia, non potrete mai capire nulla delle truffe
internazionali».
Ezra Pound, “Novità di Marzo, radiodiscorso indirizzato agli americani, 1941”. In “Pound
radiodiscorsi”, 1998, p. 45
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Benjamin Franklin
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PARTE II
IL DEBITO PRIVATO, IL DEBITO PUBBLICO E LA DISCIPLINA
BANCARIA
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Nell’economia moderna, la maggior parte della moneta assume la forma di depositi bancari. Ma come
quei depositi bancari vengono creati è spesso frainteso: il modo principale è attraverso le banche
commerciali che effettuano prestiti. Ogni volta che una banca effettua un prestito, crea
contemporaneamente un deposito corrispondente nel conto bancario del mutuatario, creando così
nuova moneta.
La realtà di come il denaro viene creato oggi differisce dalla descrizione trovata in alcuni libri di economia:
• Piuttosto che banche che ricevono depositi quando le famiglie risparmiano e che poi li
prestano, i prestiti bancari creano depositi.
• In tempi normali, la banca centrale non fissa la quantità di moneta in circolazione, né la
moneta della banca centrale ‘si moltiplica’ in più prestiti e depositi.
Sebbene le banche commerciali creino moneta attraverso il prestito, non possono farlo liberamente senza limiti. Le
banche sono limitate in quanto possono prestare se vogliono rimanere redditizie in un sistema bancario competitivo.
La regolamentazione prudenziale agisce anche come un limite alle attività delle banche al fine di mantenere la
resilienza del sistema finanziario. E le famiglie e le aziende che ricevono i soldi creati dai nuovi prestiti possono
intraprendere azioni che influiscono sullo stock di denaro: potrebbero rapidamente ‘distruggere’ denaro
utilizzandolo per rimborsare il debito esistente, ad esempio.
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Cambiali ai consumatori
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acquisto e vendita di oro o valute auree, di cambiali e di assegni sull’estero, e impiego di somme,
sia in conto corrente sia in valute di primo ordine, in quei Paesi nel quali vige il cambio dei
biglietti in oro.
L’oro o valute auree, le divise e i crediti della Banca su l’estero, attribuiti alla riserva di garanzia dei
biglietti e di altri debiti a vista, devono essere considerati a parte, e non possono essere oggetto di
operazioni, le quali non rispondano ai fini della garanzia.
La caduta del Fascismo non condusse ad una radicale modificazione del sistema bancario italiano.
Gli interventi legislativi si limitarono ad una redistribuzione dei poteri di controllo
sull’attività bancaria tra gli organi di governo.
L’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che enunciava agli artt. 41 e 47 principi in
materia economica e bancaria coerenti con le precedenti linee guida, non determinò un mutamento
d’indirizzo nella politica legislativa in materia bancaria.
L’ordinamento bancario continuò a svilupparsi secondo le linee tracciate dalla legislazione
dell’immediato dopoguerra:
estrema specializzazione,
assenza d’intermediari finanziari diversi dalle banche e
rigorosa protezione nei confronti del mercato internazionale.
Articolo 41 Articolo 47
L’iniziativa economica privata è libera. La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in
tutte le sue forme; disciplina, coordina e
Non può svolgersi in contrasto con l’utilità
controlla l’esercizio del credito.
sociale o in modo da recare danno alla sicurezza,
alla libertà, alla dignità umana. Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla
proprietà dell’abitazione, alla proprietà diretta
La legge determina i programmi e i controlli
coltivatrice e al diretto e indiretto investimento
opportuni perché l’attività economica pubblica
azionario nei grandi complessi produttivi del
e privata possa essere indirizzata e coordinata a
Paese.
fini sociali.
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19.4.4 Il D.Lgs. 7 maggio 1948, n. 544 (abrogato dall’art. 1 del D.Lgs. 13 dicembre 2010, n. 212)
Con la riforma del mercato dei BOT del 1975, Tesoro e Banca d’Italia siglarono un accordo in cui
la Banca Centrale si impegnava ad acquistare i titoli invenduti alle aste pubbliche, sul mercato
primario.
Fin qui la cronaca è assolutamente corrispondente alla realtà, ma la mitologia vuole che la banca si tenesse
i titoli “in pancia”, senza pretenderne il rimborso e tanto meno gli interessi, creando così un “finto
debito” per lo Stato, che si sarebbe finanziato gratuitamente attraverso la propria banca centrale.
Ma la realtà dei fatti è che Banca d’Italia non tenne mai i Titoli di Stato “in pancia”, ma li rivendette
tutti, e subito, sul mercato secondario ad altri investitori che, chiaramente, furono rimborsati dallo
Stato alla scadenza, oppure li rimisero sul mercato a loro volta, a seconda delle loro esigenze.
Chiaramente, alla scadenza, i titoli dovevano essere rimborsati, e non ci fu nessun “finto
debito” non rimborsato alla Banca d’Italia da parte della Repubblica italiana.
Questo risulta chiaramente dai dati forniti dalla Banca Centrale (e dalle logiche dei mercati
e regolamenti), e in particolare dall’articolo intitolato “Monetary policy and fiscal dominance in Italy
from the early 1970s to the adoption of the euro”, a cura di Eugenio Gaiotti ed Alessandro Secchi per
conto della stessa banca.
Un altro articolo che aiuta a far luce su quel periodo, è quello di Franco Passacantando, “La
creazione di un assetto istituzionale per la stabilità monetaria: il caso italiano”, in cui l’ex Managing
Director (consigliere delegato) dell’International Institutions & Fora e OECD per Banca d’Italia,
avanza anche altre motivazioni alle scelte della banca centrale italiana.
L’articolo di Secchi e Gaiotti è abbastanza chiaro sull’argomento, a pagina 13, quando inizia a
sviluppare le circostanze che portarono a quel periodo concluso con il divorzio:
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«Since 1969, it was decided that the Bank was empowered (not obliged) to subscribe the unsold
amounts of securities on the primary market and resell them on the secondary market.»
[Salvemini, 1989]
Dal 1969, fu deciso che la banca fosse incaricata (non obbligata) di sottoscrivere i titoli invenduti
sul mercato primario, per rivenderli sul mercato secondario.
Nelle pagine successive (pagg. 14 e 15), i due autori precisano anche il periodo a partire dal 1975:
«In 1975, a comprehensive reform of the placement system for Treasury bills was introduced, […]
The reform included a provision whereby the Bank of Italy, which previously had no obligation to
intervene on the primary market, would act as a residual buyer at auctions of government
securities. […] The control of the monetary base required the Bank’s continuous presence in the
form of outright interventions on the secondary market for government securities, with a view to
placing on the market the securities that were acquired at auctions. Outright operations in
Treasury securities, which were almost non-existent in the 1950s and 1960s, therefore acquired
prominence as the main tool of monetary policy to control the monetary base.»
Nel 1975, fu introdotta una esaustiva riforma del sistema di collocazione dei titoli del Tesoro
[…] La riforma includeva la condizione, secondo la quale, la Banca d’Italia, che prima non
aveva obblighi di intervenire sul mercato primario, sarebbe stata l’acquirente residuale
alle aste dei titoli pubblici. […] Il controllo della base monetaria richiese la continua presenza
della banca nella forma di interventi completi ed immediati sul mercato secondario dei titoli
governativi, con lo scopo di piazzare sul mercato, i titoli che aveva acquistato alle aste. Le
operazioni complete in titoli del Tesoro, che erano quasi inesistenti negli anni 50 e 60, acquisirono
il rilievo di principale mezzo di politica monetaria nel controllo della base monetaria.
Infine, a pagina 25:
«the Bank of Italy intervened heavily with sales on the secondary market and with refinancing
operations (both included in the “policy” channel) to counter the excessive growth in liquidity, fully
or partially offsetting monetary base creation by the Treasury. After 1975 outright secondary
market operations were used to regulate the monetary base and sterilise the effects of the Treasury
channel and were therefore primarily aimed at destroying liquidity.»
la Banca d’Italia intervenne massicciamente con vendite sul mercato secondario e operazioni
di rifinanziamento per rispondere all’eccessiva crescita di liquidità, compensando totalmente
o parzialmente la creazione di base monetaria del Tesoro [attraverso il finanziamento del debito,
NdA]. Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base
monetaria e sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, ed erano pertanto mirate
principalmente alla distruzione di liquidità.
Come è chiaro ed evidente, Banca d’Italia acquistava i titoli dal Tesoro, ma li piazzava,
immediatamente e completamente (outright), sul mercato secondario, indicando anche le
motivazioni che erano alla base anche del dibattito politico-economico di quegli anni.
I dati forniti da Banca d’Italia e riassunti nel grafico seguente, mostrano come la banca abbia sempre
piazzato subito, e interamente, sul mercato secondario, tutti i titoli acquistati dal Tesoro.
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Figura 1: Acquisti di titoli sul mercato primario e operazioni di mercato aperto immediate e complete
(miliardi di lire)
«Sebbene la Banca si fosse impegnata ad acquistare tutti i titoli invenduti, essa poteva poi
rivenderli sul mercato: il grafico 2 mostra una correlazione negativa quasi perfetta tra
sottoscrizioni nette della Banca d’Italia e acquisti netti di mercato aperto. […] In periodi di tassi
d’interesse in forte crescita la Banca d’Italia subiva perdite di bilancio dovute alla vendita di titoli a
prezzi inferiori a quelli di acquisto. Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie
potevano, in circostanze normali, raggiungere l’obiettivo di creazione di moneta desiderata […]»
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I motivi del collocamento sul mercato secondario dei titoli del Tesoro, acquistati alle aste
dalla Banca d’Italia, sono chiari scorrendo i due articoli, e possono essere evidenziati anche nelle
poche parole riportate sopra:
1. la Banca d’Italia prefiggeva come obiettivo della sua politica monetaria, il controllo
dell’inflazione, seguendo la logica bancaria secondo la quale l’inflazione è determinata da
un’eccessiva liquidità nel sistema. Per questo, come evidenziano Secchi e Gaiotti a pagina 25:
«Dopo il 1975, operazioni di mercato secondario furono usate per regolare la base monetaria e
sterilizzare gli effetti del canale del Tesoro, e erano per tanto mirate principalmente alla distruzione
di liquidità», la Banca d’Italia, vendendo i titoli sul mercato secondario, poteva ritirare liquidità
in circolazione e così sterilizzare gli effetti derivati dall’acquisto dei titoli del Tesoro con nuova
moneta, e al contempo avere liquidità per i nuovi acquisti. Questo appare chiaro anche in
Passacantando: «Intervenendo sul mercato secondario, le autorità monetarie potevano, in
circostanze normali, raggiungere l’obbiettivo di creazione di moneta desiderata».
2. leggendo Passacantando, si evidenzia come vi fossero degli squilibri di bilancio per Banca d’Italia,
in quanto, in un periodo di bassa richiesta di titoli, come dimostrato nel suo grafico n.2, via
Nazionale fosse costretta a delle perdite per il collocamento sul mercato secondario a prezzi
inferiori di quelli di acquisto fino al 1981. Per questo motivo, non solo la Banca d’Italia doveva
collocare i titoli sul mercato secondario, ma nel caso non fosse riuscita a rivendere quelli in
eccesso detenuti nel suo portafoglio (ad eccezione di quelli detenuti per politiche monetarie),
sarebbe dovuta essere rimborsata dal Tesoro alla scadenza, interessi compresi. Neanche
le banche centrali possono permettersi degli squilibri di bilancio, e non a caso, anche i QE,
avvengono sempre a fronte di acquisti di obbligazioni.
In conclusione:
1. Se prima del 1969 (in via volontaria) e del 1975 (in via obbligatoria), la Banca Centrale non era
ammessa alle aste sul mercato primario (e agiva solo su quello secondario), successivamente,
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fino al 1981, e anche oltre (in via di nuovo volontaria), la banca fu obbligata a finanziare il debito
dello Stato, ma essa rivendeva subito tutti i titoli sul mercato secondario, per motivi di bilancio
e politica di controllo dell’inflazione. Il debito era assolutamente reale, poiché agli investitori
del mercato secondario non si poteva certamente negare il rimborso dei titoli (e nemmeno a
Banca d’Italia), pena il fallimento.
2. Lo Stato trovò semplicemente una scorciatoia per collocare immediatamente tutti i titoli (a
Banca d’Italia) ad un tasso da lui scelto, “scaricando” sulla banca l’onere del collocamento agli
investitori secondari a prezzi inferiori per la stessa banca. In questo modo lo Stato aumentava
comunque il proprio debito pubblico.
Lite delle comari, o affare delle comari, è il nome di uno scontro politico che, nel 1982, oppose
il ministro del Tesoro Beniamino Andreatta al ministro delle Finanze Rino Formica.
L’evento, che aveva portato a un duro scambio di battute a distanza tra i due, e le cui ragioni
riguardavano la contestuale separazione in atto tra Tesoro e Banca d’Italia (avviata nel luglio
del 1981), ebbe conseguenze tali da culminare nella caduta del secondo governo Spadolini e nella
formazione del quinto governo Fanfani.
La polemica tra Andreatta e Formica giungeva alla fine di una dura contrapposizione politica tra i
due ministri in merito alla recente questione della “separazione dei beni” tra Tesoro e Banca d’Italia,
consistente nel sollevamento della Banca d’Italia dall’obbligo, stabilito nel 1975, della
garanzia del collocamento integrale in asta dei titoli pubblici offerti dal Ministero del
Tesoro.
La “separazione consensuale” avvenne senza il minimo coinvolgimento, quantomeno formale,
del Parlamento, e provocò non pochi problemi ai governi Spadolini I e II, soprattutto per il
repentino aumento del fabbisogno finanziario dello Stato (e del conseguente
indebitamento dello Stato) che essa aveva determinato.
Formica, per far fronte all’emergenza dei conti pubblici, propose (nelle parole di Andreatta) «di
rimborsare una quota soltanto del debito del Tesoro con una specie di concordato extragiudiziale».
Alla proposta di Formica, Andreatta rispose “a rime baciate”, paventando il panico che da tale
decisione sarebbe derivato sullo stato di salute delle finanze statali.
Si parlò anche della possibilità, sostenuta da Formica, di giungere in tempi brevi a una tassazione
delle rendite finanziarie e, in particolare, di BOT e CCT.
La contrapposizione fu all’origine del duro scambio di battute successivo.
La decisione del 1981, per quanto sopra, NON può essere la responsabile della crescita
esponenziale del debito pubblico in Italia. Osservando i grafici e le tabelle che seguono, infatti,
è evidente come l’andamento del debito pubblico:
sia fortemente al rialzo sin dall’istituzione delle Regioni a Statuto Ordinario (1970);
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sia stato influenzato dal rimborso dei titoli del debito pubblico emessi quando l’inflazione
era a due cifre e, quindi, anche i tassi di interesse erano a due cifre (tasso reale = tasso nominale
– inflazione);
sia stato influenzato dalle politiche deflazionistiche intraprese a partire dai tagli alla Scala
Mobile iniziati con il decreto di San Valentino 1984;
andrebbe correlato con le decisioni del Ministero delle Partecipazioni Statali e dell’IRI.
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Altro che vendere Enel, Eni, Finmeccanica, l’Isola d’Elba, i Faraglioni di Capri ed il Colosseo: se non
si capisce l’errore non c’è rimedio alla distruzione provocata dall’interesse e dal debito.
Purtroppo però, nonostante questi dati, grafici e tabelle, agli integralisti della lotta alla corruzione,
dell’invidia per la “casta” ed i suoi privilegi, ai novelli inquisitori dell’evasione fiscale causa di tutti i
mali, nulla servirà a scalfire le loro convinzioni!
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A parziale scusante di costoro, dobbiamo tener conto che basano le loro granitiche convinzioni su
quello che leggono sui giornali e seguono in televisione, prigionieri di un’informazione superficiale
ed asservita al potentato di turno.
Siamo condannati ad un lento, inesorabile, drammatico declino industriale e sociale. Altro
che ripresa!
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La legge bancaria del 1936 continuò a regolare il sistema bancario italiano fino all’entrata in vigore del
Testo Unico del 1993, emanato con la falsa giustificazione che la vecchia normativa non permetteva
alle banche di mantenere un sufficiente grado di competitività sul piano europeo, anche a causa della
liberalizzazione dei mercati creditizi prevista dai Trattai europei.
Dalla legge del 1936, infatti, derivavano troppi limiti all’attività delle banche, costrette dalla
specializzazione temporale e operativa a restringere notevolmente il loro campo d’azione.
Con la legge del 30 luglio 1990, n. 218 (legge Amato) e il successivo decreto legislativo di
attuazione, si è avuto un primo superamento del principio di specializzazione bancaria.
La legge ha previsto e disciplinato la trasformazione delle banche pubbliche in società per
azioni, ha consentito la fusione tra banche e, soprattutto, ha introdotto il gruppo bancario
polifunzionale.
La riforma del 1993 ha sostituito alla tripartizione prima esistente (Banca Centrale, Banche di
credito ordinario e Banche di credito speciale) una bipartizione: Banca Centrale e banche di credito
ordinario. In pratica, quindi, sono stati soppressi gli istituti di credito speciale.
Fino all’introduzione dell’Euro, la Banca Centrale - in Italia la Banca d’Italia - svolse innumerevoli
funzioni riguardanti soprattutto l’emissione di banconote e la relativa quantità di moneta da
immettere sul mercato, anche qui con la falsa scusante che un’eccessiva quantità di moneta in
circolazione provoca la perdita di valore della moneta stessa e genera inflazione.
Con l’introduzione dell’Euro, la Banca Centrale non ha più il compito di emettere carta–
moneta perché questa funzione spetta alla BCE.
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Si tratta, come è ovvio, di tamponare con un tappo di sughero una falla che ha dimensioni
tali da far crollare tutta la diga.
Le privatizzazioni, del resto, non sono affatto una scelta del governo. Sono una necessità per
due motivi:
1. perché le vogliono i “grandi elettori” dei governi, desiderosi di spolpare l’osso;
2. perché, finché non si ha il coraggio di uscire dalla economia del debito, la ricerca dei
fondi sarà un’impresa sempre più disperata, folle e destinata a rincorrere eternamente se
stessa.
Le privatizzazioni degli anni ’90 hanno solo attenuato la crescita del debito, tant’è che nel
ventennio 1982-2001 il debito pubblico in valore assoluto non si è ridotto ma anzi si è triplicato
in termini reali (passando da € 580 miliardi del 1982 a € 1.620 miliardi del 2001) nonostante:
a) il PIL reale sia cresciuto mediamente del 2,5% anno su anno;
b) durante gli anni ’90 il massiccio processo di privatizzazione abbia generato ricavi straordinari
allo Stato per un valore pari a circa €90 miliardi (pari a circa l’8% del PIL reale del 1992).
Ovviamente il piano di svendita arriva sempre dopo anni di propaganda contro le aziende
partecipate, definite carrozzoni corrotti e parassitari anziché essere interpretate come
fondamentali strumenti di politica economica, tra i pochi che si sarebbero dovuti
mantenere saldamente in mano statale proprio mentre si abbandonavano le leve monetarie e
finanziarie a causa del sopraggiungere dell’Euro…
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rappresentanti del Governo di allora e personaggi che poi sarebbero diventati ministri o direttori
generali nei Governi Amato, Dini, Ciampi, Prodi, D’Alema (ma anche Berlusconi, per quanto
riguarda la centrale figura di Mario Draghi). Oggetto di discussione: le privatizzazioni. Questa
riunione si tenne a bordo del panfilo della Corona inglese, il “Britannia”.
«È curioso notare che i parlamentari che fecero interrogazioni su quell’inchiesta e chiesero
notizie, non furono più ricandidati. Me lo diceva uno di loro, Michele Rallo di AN, all’epoca
deputato e componente della commissione parlamentare finanziaria. Si vede che
occuparsene portava sfiga.» Marcello Veneziani, Libero, 30 gennaio 2006
Alla luce di quanto il complesso finanziario-mediatico-politico va oggi chiedendo – le
liberalizzazioni-privatizzazioni appunto – possiamo individuare almeno due fasi di questo progetto
che possiamo chiamare “Operazione Britannia”:
1. la prima fase si occupò della svendita dell’IRI, di Telecom Italia, ENI, ENEL, Banca
Commerciale Italiana, Istituto Mobiliare Italiano, Istituto Nazionale Assicurazioni,
Credito italiano, Autostrade, l’industria siderurgica ed alimentare pubblica;
2. la seconda fase – in corso di attuazione – punta invece al settore della previdenza, della sanità,
dei trasporti (ferrovie, trasporto pubblico di linea, trasporto navale, taxi), a quello delle utilities
(aziende municipalizzate nei settori acqua, elettricità, gas) e ad altre funzioni di rilievo
pubblico.
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20.1 Versione consolidata del trattato sull’Unione Europea e del trattato sul
funzionamento dell’Unione Europea 2012/c 326/01
[…]
Articolo 127 (ex articolo 105 del TCE)
1. L’obiettivo principale del Sistema europeo di banche centrali, in appresso denominato
«SEBC», è il mantenimento della stabilità dei prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità
dei prezzi, il SEBC sostiene le politiche economiche generali nell’Unione al fine di contribuire
alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti nell’articolo 3 del trattato sull’Unione
europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di un’economia di mercato aperta e in
libera concorrenza, favorendo una efficace allocazione delle risorse e rispettando i principi di
cui all’articolo 119.
2. I compiti fondamentali da assolvere tramite il SEBC sono i seguenti:
definire e attuare la politica monetaria dell’Unione,
svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219,
detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri,
promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
[…]
Articolo 130 (ex articolo 108 del TCE)
Nell’esercizio dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai
trattati e dallo statuto del SEBC e della BCE, né la Banca centrale europea né una banca
centrale nazionale né un membro dei rispettivi organi decisionali possono sollecitare o
accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell’Unione, dai
governi degli Stati membri né da qualsiasi altro organismo. Le istituzioni, gli organi e gli
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organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati membri si impegnano a rispettare questo
principio e a non cercare di influenzare i membri degli organi decisionali della Banca
centrale europea o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro compiti.
20.2 Protocollo (n. 4) – Sullo statuto del Sistema Europeo di Banche Centrali e
della Banca Centrale Europea
[…]
CAPO II – OBIETTIVI E COMPITI DEL SEBC
Articolo 2 – Obiettivi
Conformemente agli articoli 127, paragrafo 1 e 282, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento
dell’Unione europea, l’obiettivo principale del SEBC è il mantenimento della stabilità dei
prezzi. Fatto salvo l’obiettivo della stabilità dei prezzi, esso sostiene le politiche economiche
generali dell’Unione al fine di contribuire alla realizzazione degli obiettivi dell’Unione definiti
nell’articolo 3 del trattato sull’Unione europea. Il SEBC agisce in conformità del principio di
un’economia di mercato aperta e in libera concorrenza, favorendo un’efficace allocazione delle
risorse, e rispettando i principi di cui all’articolo 119 del trattato sul funzionamento dell’Unione
europea.
[…]
CAPO III – ORGANIZZAZIONE DEL SEBC
Articolo 7 – Indipendenza
Conformemente all’articolo 130 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, nell’esercizio
dei poteri e nell’assolvimento dei compiti e dei doveri loro attribuiti dai trattati e dal
presente statuto, né la BCE, né una banca centrale nazionale, né un membro dei rispettivi
organi decisionali possono sollecitare o accettare istruzioni dalle istituzioni, dagli organi
o dagli organismi dell’Unione, dai governi degli Stati membri né da qualsiasi altro
organismo. Le istituzioni, gli organi e gli organismi dell’Unione nonché i governi degli Stati
membri si impegnano a rispettare questo principio e a non cercare di influenzare i membri degli
organi decisionali della BCE o delle banche centrali nazionali nell’assolvimento dei loro
compiti.
Articolo 8 – Principio generale
Il SEBC è governato dagli organi decisionali della BCE.
[…]
Articolo 3 – Compiti
3.1. Conformemente all’articolo 127, paragrafo 2, del trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, i compiti fondamentali assolti tramite il SEBC sono:
definire e attuare la politica monetaria dell’Unione;
svolgere le operazioni sui cambi in linea con le disposizioni dell’articolo 219 di detto trattato;
detenere e gestire le riserve ufficiali in valuta estera degli Stati membri;
promuovere il regolare funzionamento dei sistemi di pagamento.
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[…]
Articolo 10 – Il consiglio direttivo
10.1. Conformemente all’articolo 283, paragrafo 1, del trattato sul funzionamento dell’Unione
europea, il consiglio direttivo comprende i membri del comitato esecutivo della BCE
nonché i governatori delle banche centrali nazionali degli Stati membri la cui moneta è
l’euro.
[…]
10.4. Le riunioni hanno carattere di riservatezza. Il consiglio direttivo può decidere di rendere
pubblico il risultato delle proprie deliberazioni.
[…]
Articolo 14 – Banche centrali nazionali
14.1. Conformemente all’articolo 131 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ciascuno
Stato membro assicura che la propria legislazione nazionale, incluso lo statuto della banca
centrale nazionale, sarà compatibile con i trattati e con il presente statuto.
14.2. Gli statuti delle banche centrali nazionali devono prevedere in particolare che la durata del
mandato del governatore della banca centrale nazionale non sia inferiore a cinque anni.
Un governatore può essere sollevato dall’incarico solo se non soddisfa più alle condizioni
richieste per l’espletamento delle sue funzioni o si è reso colpevole di gravi mancanze. Una
decisione in questo senso può essere portata dinanzi alla Corte di giustizia dal governatore
interessato o dal consiglio direttivo, per violazione dei trattati o di qualsiasi regola di diritto relativa
all’applicazione dei medesimi. Tali ricorsi devono essere proposti nel termine di due mesi, secondo
i casi, dalla pubblicazione della decisione, dalla sua notificazione al ricorrente ovvero, in mancanza,
dal giorno in cui il ricorrente ne ha avuto conoscenza.
[…]
CAPO VI – DISPOSIZIONI FINANZIARIE DEL SEBC
[...]
Articolo 27 – Revisione dei conti
27.1. La contabilità della BCE e delle banche centrali nazionali viene verificata da revisori
esterni indipendenti proposti dal consiglio direttivo ed accettati dal Consiglio. I revisori
hanno pieni poteri per esaminare tutti i libri e documenti contabili della BCE e delle banche centrali
nazionali e per essere pienamente informati sulle loro operazioni.
27.2. Le disposizioni dell’articolo 287 del trattato sul funzionamento dell’Unione europea si
applicano soltanto ad un esame dell’efficienza operativa della gestione della BCE.
[…]
Articolo 33 – Ripartizione dei profitti e delle perdite netti della BCE
33.1. Il profitto netto della BCE deve essere trasferito nell’ordine seguente:
a) un importo stabilito dal consiglio direttivo, che non può superare il 20% del profitto netto, viene
trasferito al fondo di riserva generale entro un limite pari al 100% del capitale;
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b) il rimanente profitto netto viene distribuito ai detentori di quote della BCE in proporzione alle
quote sottoscritte.
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20.3 In sintesi
Il Consiglio direttivo è composto solo da banchieri
Il Governatore della BCE:
non è tenuto a prendere ordini o ascoltare pareri da nessuno, mentre lui può esprimere
pareri e anche ordini, dato che può infliggere punizioni;
non è dato sapere come maturano le sue scelte, visto che le sue riunioni sono secretate;
non risponde davanti ai cittadini (è nominato);
gli unici casi in cui può essere rimosso sono l’impossibilità fisica (malattia–morte) di
svolgere le sue mansioni, o “gravi colpe” che riguardano solo i termini del trattato e non i
risultati del suo governo.
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http://www.economist.com/content/global_debt_clock
Importa? Dopotutto, i governi mondiali devono i soldi ai propri cittadini, non ai marziani. Ma il
totale crescente è importante per due ragioni. In primo luogo, quando il debito aumenta più
rapidamente della produzione economica (come è successo negli ultimi anni), un debito pubblico
più elevato implica maggiori interferenze statali nell’economia e maggiori imposte in futuro. In
secondo luogo, il debito deve essere rinnovato a intervalli regolari. Questo crea un test di
popolarità ricorrente per i singoli governi che, come concorrenti nei reality show televisivi,
affrontano un voto telefonico pubblico ogni settimana. Fallisci quel voto, come hanno fatto diversi
governi della zona euro, ed il paese (ed i suoi vicini) possono essere gettati in una crisi.
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Il debito è eterno
Schiavi di un debito che aumenta sempre e con esso il
tempo dedicato a ripagarlo
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PARTE III
I TRIBUTI: IMPOSTE, TASSE, ACCISE…
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22.2 In sintesi
Dal 1992 al 2018 IL DEBITO È PASSATO DA CIRCA €1.750 A 2.300 MILIARDI (valori 2018)
RESTANDO SOPRA AL 120% DEL PIL nonostante il fatto che:
ABBIAMO PAGATO QUASI 4.000 MILIARDI DI INTERESSI (valori al 2018)
ABBIAMO REALIZZATO SALDI PRIMARI ATTIVI PER QUASI 700 MILIARDI (valori al
2018), CIFRA CHE NON HA EGUALI IN EUROPA
L’Italia ha quindi fatto ENORMI sacrifici, con risultati sul fronte del risanamento NULLI e
straordinariamente NEGATIVI sul fronte della crescita.
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PARTE IV
COSA POSSIAMO FARE?
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23 CONSIDERAZIONI DI SFONDO
L’ultima intervista di Licio Gelli - 23/05/2014
Per concludere, che ne pensa dell’Italia e del suo futuro?
«Non le nascondo che vedo, con una certa
soddisfazione, il popolo soffrire. Non mi fraintenda:
non sono felice di questa situazione. Sono felice, invece,
che vengano sempre più a galla le responsabilità della
cattiva politica.
Perché, probabilmente, solo un tributo di sangue
potrà dare una svolta, diciamo pure rivoluzionaria,
a questa povera Italia.»
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PARTE V
RISPONDERE ALL’EMERGENZA CON LA MONETA LOCALE
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Un valido strumento d’azione potrebbe essere ad esempio quello dell’emissione, da parte dei
Comuni, di uno strumento monetario alternativo e complementare all’Euro, pervenire
incontro alle esigenze vitali di sopravvivenza economica della popolazione.
A questa ipotesi viene comunemente contrapposta la norma enunciata dal Trattato sull’Unione
Europea per cui solo alla BCE è consentita l’emissione monetaria.
Ma è proprio quanto inizialmente esposto che dovrebbe indurre la autorità a ritenere di dover
derogare da questa disposizione internazionale in virtù di una situazione di necessità ed
estrema urgenza, una situazione di emergenza sociale.
I Comuni hanno teoricamente il potere di imporre questa linea?
«Spettano al comune tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione ed il territorio
comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona e alla comunità, dell’assetto
ed utilizzazione del territorio e dello sviluppo economico, salvo quanto non sia espressamente
attribuito ad altri soggetti dalla legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze.»
(articolo 13 T.U.E.L)
A conferma di quanto sopra, l’articolo 112 del T.U.E.L. enuncia che: «Gli enti locali, nell’ambito delle
rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto
produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico
e civile delle comunità locali».
L’art. 119 Costituzione prevede:
per i Comuni (Province, Città Metropolitane e Regioni) autonomia finanziaria di entrata e di
spesa, tributi ed entrate propri, compartecipazione al gettito di tributi erariali riferibili al loro
territorio nonché un fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante;
altresì, che le risorse di cui sopra consentano al Comune di finanziare integralmente le funzioni
pubbliche loro attribuite.
Oltre a ciò, l’art. 7 del Decreto Legislativo 112/1998 prevede la «devoluzione alle regioni e agli enti
locali di una quota delle risorse erariali tale da garantire la congrua copertura […] degli oneri derivanti
dall’esercizio delle funzioni e dei compiti conferiti nel rispetto dell’autonomia politica e di
programmazione degli enti; in caso di delega regionale agli enti locali, la legge regionale attribuisce
ai medesimi risorse finanziarie tali da garantire la congrua copertura degli oneri derivanti
dall’esercizio delle funzioni delegate, nell’ambito delle risorse a tale scopo effettivamente trasferite
dallo Stato alle Regioni».
Dal dettato dell’art. 54 T.U.E.L. emerge, inoltre, che il Sindaco, sempre nella sua funzione di
ufficiale di Governo: emana atti in materia di ordine e sicurezza pubblica, svolge funzioni in
materia di polizia giudiziaria, vigila sulla sicurezza e l’ordine pubblico, adotta Ordinanze
contingibili ed urgenti in caso di pericolo per l’incolumità dei cittadini.
È necessario ricordare, inoltre, che il Sindaco opera come Ufficiale di Governo anche relativamente
ad altre funzioni sulla base di norme di settore (ad es. in base alla Legge 833/78 in materia di sanità).
Il Sindaco che esercita le funzioni di Ufficiale di Governo o di autorità sanitaria non è un organo
del Comune, ma dello Stato.
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PARTE VI
CANTO XLV – CONTRO L’USURA – EZRA POUND
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N.B.
Usura: una tassa prelevata sul potere d’acquisto senza riguardo alla produttività, e sovente senza
riguardo alla possibilità di produrre. (Onde il fallimento della Banca dei Medici.)
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