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Si rialz a tentoni, trascinandosi lungo il muro.

Sentiva la testa come un


mattone, insensibile che pendeva un po a destra un po a sinistra, anzi non
era insensibile, gli doleva fottutamente. Sentiva come se ci fosse un buco,
lo sentiva pulsare battito dopo battito, costantemente, incessantemente.
Riusc a mettersi in ginocchio, si tast la tasca destra posteriore dei
pantaloni, incontr un pezzo si stoffa volante strappata, leggermente
attaccata con un lembo ai pantaloni. 'Fanculo'. Sentiva anche un dolore
tozzo alle costole destre, ma il peggio era il ginocchio con cui aveva
picchiato quando cadde. Non riusciva a poggiarvi peso, lo sentiva
traballare, quasi cedere, come se si potesse spezzare da un momento
all'altro, con un suono secco e legnoso. Si tir su con le braccia
appoggiandosi ad un bidone gettato la in un angolo. Butt le spalle contro
il muro, cerc nella tasca dei pantaloni, trov il pacchetto di sigarette
mezzo ammaccato. Delle otto sigarette rimaste cinque erano da buttare,
altre due erano piegate malamente e reggevano il tabacco all'interno a
stento. Prese la migliore delle tre e se la mise in bocca. Ovviamente non
trov l'accendino. Cerc con lo sguardo per terra ma niente. 'Fanculo'.
Inizi a seguire il muro poggiandosi pesantemente col braccio destro sul
muro. Cercava di poggiare meno peso possibile sul ginocchio ma era
comunque un supplizio quando vi si scaricava mezzo chiletto di peso. Per
ogni passo impiegava almeno trenta secondi, rendendola una via crucis
interminabile. Voleva solo il suo letto, quella stanza puzzolente in cui
stava, niente di pi. Poi pens che domani doveva anche andare a lavoro e
che erano almeno le due di notte. 'Fanculo'. Impieg una ventina di minuti
ad uscire dal vicolo. Sembrava che la testa pulsasse meno, o almeno la
sentiva pulsare meno, forse era un cattivo segno, ma non glie ne fregava.
Continu a seguire il muro. Per altri cento metri, poi si guard intorno.
Conosceva quell'incrocio, era non lontano da casa sua. Prese altri due
minuti per orientarsi poi riprese la claudicante marcia.
Ci volle almeno un'altra mezz'ora prima che arrivasse di fronte al portone
di casa sua. In quella mezz'ora era caduto due volte, inciampato il doppio
ed aveva usato a mo di stampella ogni auto parcheggiata. Salire i tre piani
di scale fu l'ultima tortura prima della liberazione del letto sfatto su cui si
lasci cadere come se stesse abbandonando questo mondo. Nonostante
l'enorme stanchezza che sentiva addosso il sonno non arriv subito, anzi, si
fece desiderare per quasi un ora, sentiva che il sangue che sgorgava dalla
ferita in testa si era fermato, cristallizzandosi in uno strano ammasso di
poltiglia densa e appiccicosa, che aveva formato con i capelli una specie di
pasta dalla consistenza strana e disgustosa. Ogni volta che andava vicino al

sonno qualcosa lo destava, il dolore alla gamba, un forte rumore per il


corridoio del palazzo, sembrava una maledizione, e pi ci pensava pi
puntualmente arrivava lo spezza sonno, ma alla fine divenne cos stanco da
non avere nemmeno pi la forza di pensare e si addorment.
La sveglia del mattino suon come le trombe della fine del mondo. E lui
era li, in un letto, sanguinante, pesto e derubato. Ed ancora peggio doveva
alzarsi ed andare a lavoro. Aveva pensato per tutto il tempo di non andare,
ma alla fine in uno slancio di masochismo si alz, appoggiandosi ad una
sedia e si mise a raccattare qualche vestito che sembrava pulito. Non
mangi niente, aveva lo stomaco gi abbastanza sotto sopra di suo. Prese
le chiavi ed usc, almeno quelle glie le avevano lasciate, grazie.
Fortunatamente era uscito senza auto la sera prima, altrimenti adesso non
avrebbe nemmeno quella, pens. L'auto era ne vecchia ne nuova, era
qualcosa a met, ma di sicuro non sembrava nuova, era come
dire...trasandata. Erano le 7.43, doveva essere a scuola per le 8, pensava di
non farcela, di trovare traffico e magari qualche incidente, visto che la sua
fortuna era in vena di scherzi, invece le strade erano aperte e semi vuote.
La sua auto andava sostenuta, con gli alberi piantati nella divisione tra i
due sensi di marcia che gli scorrevano a fianco. Guardando di lato dal
finestrino si aveva una strana sensazione di deja-vu, come se fosse lo
stesso albero che passava ancora ed ancora, in uno stillicidio ipnotico di
immagini ripetute. La sua mente quasi si addorment, ma quel rilassante
susseguirsi di alberi fu spezzato dal pensiero che non si era dato una pulita
a casa. Si tast la testa e sent una dura crosta a contatto con le dita. Un
professore che arrivava a lezione pesto e sanguinante. Rise. Vi trovava del
comico, ma non lo era, soprattutto per lui. Doveva per prima cosa andare
in bagno a darsi una pulita, solo dopo sarebbe potuto andare in classe.
Doveva comunque stare attento a non essere intercettato da qualcuno
lungo il tragitto, altrimenti lo avrebbero saputo tutti automaticamente.
Parcheggi sul retro, non c'era nessuno, iniziava a temere che il fato avesse
qualche scherzo in serbo per lui. And nel bagno dei professori e butt la
testa sotto il rubinetto, facendo scorrere l'acqua gelida. Sentiva che quel
gelo lo stava pian piano ripulendo, mentre vedeva scorrere gi l'acqua
rossastra. Staccava i grumi appiccicati ai capelli facendoli poi trascinare
gi dall'acqua.
Per la prima volta ebbe la reale consapevolezza dell'entit della ferita. Era
profonda, temeva quasi di poter toccare l'osso, era larga quanto un pollice.
Si asciug con la carta igienica. Aspett qualche minuto che il sangue
smettesse di sgorgare da quel buco ed usc dal bagno.

L'inserviente gli disse qualcosa, non cap, fece finta di ridacchiare e


continu per il corridoio. Coglione.
Il dolore al ginocchio andava e veniva, per lo pi dava rapide fitte, per poi
sparire per qualche minuto, era grato almeno di questo, ma comunque
conservava una cera di merda.
Era una scuola superiore di quella un po per fighettini, la odiava, ma
tuttavia gli permetteva di vivere e ubriacarsi, cosa che non avrebbe di certo
potuto fare senza lavoro. L'unica cosa che doveva fare era dire qualche
vago cenno su Hegel, Schopenhauer, Kant, Nietzsche, Descartes, e via
discorrendo. Tanto alla fine sapeva che uno su cento di quegli asini erano
davvero interessati a quel che diceva, e tantomeno interessava a lui che lo
facessero. La filosofia non era per tutti, fortunatamente, era una di quelle
poche cose che ancora non si era globalizzata, che non era stata presa dal
clich, dalla moda. Qualcuno ci tentava, eh, ma se ne annoiava dopo poco.
Grazie Kant.
And in classe, era semivuota. Salut vagamente, ricevette il buongiorno
da quei... dieci? Alunni e si mise a scrivere qualcosa sulla lavagna, non
ricordava bene dove fosse arrivato l'ultima volta, ma il bello di essere sulla
cattedra e non sotto era che potevi inventare qualsiasi stronzata, e quelli
sotto, per quanto non credessero a ci che dicesse quello che stava sopra,
erano costretti comunque a subirne le scelte. Decise allora che l'ultima
volta erano arrivati alla filosofia del 600', e si mise a spiegare per vaghi
cenni Hobbes, Locke e Descartes. Passarono cos le due ore.
Alla fine, mentre raccoglieva le sue cose, arriv la solita ragazza... Adriana
si chiamava, forse, a fargli la solita carrellata di domande sulla lezione. Si,
era l'un percento a cui mi riferivo prima.
Disse qualcosa di evasivo e fugg. Fortunatamente non aveva altre lezioni
per quel giorno, ed assaporava gi il sapore del letto che lo inghiottiva. A
quel pensiero il ginocchio ricominci a scricchiolare. Venne intercettato da
due colleghi, il piccolo professorello di italiano che lo aveva ad odio, sia
perch odiava la filosofia, per lui era solo un inutile appendice della
letteratura, sia per lui, sentiva qualcosa in lui di intimamente cattivo.
Aveva ottimo fiuto il vecchio. L'altro era il professore di inglese, uno con
la faccia sorniona, che a vederlo sembra che dorma in piedi, e poi quando
ci parli ne hai la conferma. Dissero qualcosa di inintelligibile, lui li schiv
abilmente di lato e and in salvo, verso l'auto. Sentiva il farfugliare
confuso del vecchio nano che berciava contro di lui. Si fotta, il letto mi
aspetta. Fuori faceva abbastanza freddo, era inizio dicembre, ci saranno
stati quasi zero gradi. Sal in auto e part verso il paradisiaco letto.

Ebbe a vedersela con quarantacinque minuti di interminabile e snervante


traffico, ma alla fine ci era riuscito. Era a casa. Si prepar una vodka con
acqua bollita per conciliare il sonno e sconfiggere il freddo che aleggiava
in casa sua. Non aveva ne camini ne riscaldamento, quindi era l'unica
salvezza. Port la bottiglia di vodka vicino al letto e si tuff, morente.
Sentiva la testa girargli vagamente, questo lo aiut a prendere sonno.
Cadde in letargo.
Dorm per qualcosa come due ore, ma a lui sembrarono anni. Si svegli
completamente rintronato, gli servirono tre minuti per riuscire a
riacquistare la facolt di camminare. Si ricord della bottiglia di vodka, ne
ingurgit un ampio sorso. Ebbe l'impressione che questo aiut il suo
cervello a svegliarsi un po. Buono a sapersi. Guard l'ora, erano le 17:34.
Fuori era gi buio, e lui moriva di fame. Si and a preparare del cibo
precotto al micronde, mise a bollire l'acqua per il t e si mise sulla sedia ad
attendere. Ripens alla notte precedente, ai figli di puttana che lo avevano
fatto ubriacare per poi pestarlo e derubarlo. Aveva evidentemente la cattiva
abitudine di fidarsi troppo quando era brillo. Pens che non dovesse mai
pi accadere una cosa del genere, facile a dirsi.
Dopo tutto non abbiamo che l'illusione di avere il pieno controllo di noi, in
realt la maggior parte delle cose in noi sono fuori dalla nostra portata, le
possiamo osservare, analizzare, pensare, ma non possiamo influirvi.
Tuttavia ci serve l'illusione di poterlo fare, altrimenti come si andrebbe
avanti, sapendo che continueremo a fare gli stessi errori, in modo
vagamente diverso, ma con le stesse modalit? Einstein diceva 'Follia
fare sempre la stessa cosa, aspettandosi risultati differenti'
Caro Albert, viviamo in un mondo pazzo, evidentemente, ed era
effettivamente vero, tutto quadrava.
Il micronde ticchett, era pronto il suo pranzo. L'acqua invece ancora non
bolliva, prese il contenuto del piattino dal micronde e lo mise davanti. Sul
tavolo della cucina erano buttati alla rinfusa alcuni vecchi libri, tutti letti,
ma che rileggeva spesso. Si trovava nell'ardua situazione di non sapere
cosa leggere. Tutte le cose moderne ormai erano merdate senza confine, e
le cose vecchie meritevoli d'esser lette le aveva gi. Si era messo anche ad
esplorare gli autori pi strani e sconosciuti, ma non vi aveva trovato nulla
di che di nuovo. Risalt ai suoi occhi un titolo.
'Pulp' del suo amico Hank. Si, era suo amico, spesso si diceva che gli unici
amici degni di questo nome che avesse, fossero persone morte. Erano
quegli autori buttati alla rinfusa in mezzo agli scarti di cene precotte,

bottiglie vuote e cartacce. Bel modo di trattare gli amici. 'Buk sarebbe
orgoglioso di me'. Lo prese un'improvvisa tristezza, lampante e cocente.
Che cosa triste era rifarsi a gente morta, cercare di emulare qualcosa che
gi successo, qualcosa di gi visto. Voleva mettersi a piangere, ma venne
interrotto dal fischio della teiera. Prese il filtro di t, lo mise nella tazza e
vi vers sopra l'acqua bollente. Fece arrivare l'acqua a poco pi di met,
poi prese lo scotch e lo vers nello spazio restante.
Si mise a sorseggiare tranquillamente, avidamente dalla tazza. Allung la
mano e prese un altro libro dal mucchio. 'Saggi', M. de Montaigne. Prese
una pagina a caso e lesse, mentre sorseggiava.
Finito il t, si trov di fronte un immagine che lo colp. Quel libro mezzo
aperto, quel piatto preconfezionato, vuoto, quella tazza, vuota.
Era patetico.
Vita vuota, nessuna donna, nessun sogno, nessun aspettativa, era solo un
manichino che andava in giro, si sbronzava, pensava, pensava, pensava
troppo.
Era una fregatura pensare troppo, lo sapeva, specialmente se capisci quel
che pensi, e pensi ci che capisci. La maggior parte della gente era
sorridente per le strade perch mancava loro una delle due parti. O capiva
quel che pensava, o pensava quel che capiva, alcuni nessuna delle due,
altri, gli stronzi, i pochi, quelli inculati, le facevano entrambe, e poi se ne
stavano costretti a casa a ubriacarsi per cercare di eclissare una delle due, e
far perdere di spessore questa pagliacciata chiamata Vita.
Lui era sempre stato uno degli stronzi, da quando da piccolo sua madre lo
lasciava a casa da solo, con un padre che dire evanescente un eufemismo.
La cosa era peggiorata quando fu costretto al trasferimento per seguire sua
madre in seguito al divorzio. Infatti si era scoperto che la poca presenza
del padre era anche dovuta al fatto che aveva altre due famiglie, non una,
due. Non c' che dire, un tipo intraprendente. Non lo rivide da quel
periodo, e la cosa non sembrava pesargli pi di tanto. In realt aveva letto
da qualche parte di qualche turba psichica riguardante proprio la mancanza
del padre o qualcosa del genere. Beh, chi non aveva turbe psichiche di
questi tempi? Ormai di Sano c' solo l'apparenza che ci si sforza a
mostrare, con cui si cerca di celare i mostri che cresciamo dentro. Lui forse
era diverso, o perlomeno non si sforzava troppo di velare i suoi demoni,
erano l in bella vista, e per questo era spesso biasimato e ritenuto uno
strano. Certo, aveva anche dei vantaggi, uno era di sicuro che si sentiva
in pace con se stesso, non si odiava, cio, non che si amasse
particolarmente, ma odiava piuttosto il mondo in cui era costretto, odiava i

binari su cui si doveva andare, odiava la societ, i sorrisi falsi, i lavori


tedianti, questo odiava, non se stesso perch non gli piacessero queste
cose.
Interruppe quello strano stato di trance in cui era caduto, non sapeva per
quanto tempo era stato li immobile a fissare quel tavolo, di sicuro meno di
quanto credesse, purtroppo.
Si perch la lentezza con cui scorreva il tempo nella sua vita era una delle
cose che pi odiava di essa. Un paradosso, essendo il tempo limitato in s,
preghiamo scorra il prima possibile, lo rimpiangiamo, dopo.
Erano le 18:41. Ebbe un repentino, quanto poco duraturo istinto di
accendere la TV, svanito istantaneamente. L'ultima volta che lo aveva fatto
era stato non meno di due settimane di prima, testimone del fatto c'era quel
mezzo centimetro di polvere sul telecomando, e ricordava di essersene
pentito. And invece verso l'interruttore e lo accese. Prov a contare i
secondi che impiegava la luce ad accendersi, ma non ci riusciva mai, finiva
sempre per mozzare il conto prima dell'uno, per questo preferiva le luci a
neon, con i loro colori freddi e discreti e la loro lentezza nell'accendersi
che gli lasciava il tempo di contare, con l'illusione di averne il controllo.
Solitamente amava stare al buio, leggere al buio con solo una piccola
lampada ad illuminare le pagine, ma in quella situazione, con quel
ginocchio mezzo devastato, che dava alla sua camminata un che di
grottesco, aveva preferito non rischiare di finire col culo per terra.
Raccolse tutta tutti i rifiuti dentro al piattino di plastica e gett tutto nella
pattumiera, che emanava uno strano e raccapricciante fetore. Erano rimasti
solo i libri ed il bicchiere di te vuoto, illuminati da quella giallastra luce.
Adesso si trovava di nuovo in quell'odiata situazione, quando si chiedeva
'E adesso?'. Adesso non sapeva cosa fare.
Fin con l'intaccare quel velo vacuo dal telecomando ed accese la TV.
Inizi a guardare un programma culturale, un documentario che parlava
dei fiordi norvegesi.
Per qualche motivo gli venne in mente Kierkegaard... No lui era danese...
Non era quello, forse era lo strano velo di tristezza che gli fecero calare
addosso quelle immagini cos suggestive, tuttavia incomplete e contrastate
del sole che tramontava tra quelle distese di acqua buia, illuminata
d'arancio, racchiusa ed intrappolata tra quelle scure montagne che tuttavia
lasciavano uno spiraglio, una speranza. Prov ad immaginare che
quell'immagine fosse una metafora della sua vita, ma non lo era, non
riusciva a trovare spiragli, ne luci, ne speranza. Era un fiordo notturno.
Appoggi la testa al divano, la sentiva girare piano, merito della vodka e

dello scotch. Piccole fitte di dolore venivano dal basso, piccole ma


insistenti. Non se ne cur, e si abbandon a quel lieve, lento roteare, a
quella voce profonda e paternale, fin quando il dolore non svan e non
sent pi nulla.
Si risvegli in piena notte. Erano le 3:13. Aveva una fame incredile. E
aveva anche un incredibile voglia di vomitare. Osserv il suo corpo disteso
su quel divano, quelle gambe mezze scheletriche nella semi oscurit di
quella notte stanca e spenta quelle braccia cadenti sul pavimento.
Vomit. Sentiva la bocca, la gola e tutto il petto bruciargli. Si alz
reggendosi al divano e qualche sedia. Urt qualcosa con la gamba sana e
cadde. Impatt col ginocchio dolente e dovette urlare.
Rimase in posizione fetale, sentendo le calde vampate di dolore lancinante
venire da sotto, con in bocca l'acre sapore del vomito fresco che si seccava.
Si mise a piangere. Forse per il dolore, forse per quell'acido in bocca, o
forse, pi probabilmente per la pateticit del tutto, di quell'immagine nel
buio, di quell'essere, di quella vita, nera ed incolore.
Versava in quello stato ormai da mesi, anni forse, uno stato in cui nessuno,
sano di mente, avrebbe mai potuto sopravvivere pi di un tempo molto
limitato, nell'ordine della settimana diciamo, invece lui era ancora li, che
combatteva contro tutto, contro se stesso, soprattutto.
Spesso aveva pensato al suicidio, ma mai seriamente, non faceva per lui,
troppo facile, troppo codardo. Quando passavano questi momenti di
depressione apatica, sorgeva in lui una nuova sensazione, ancora pi
impellente, ancora pi bruciante, era come fuoco, lava nelle vene, era odio.
Non era un odio comune, era odio verso tutto e tutti, la societ il suo
lavoro, i bastardi della notte prima, il piccolo insulso professore di italiano,
soprattutto, s stesso.

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