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OPERE DI ROMANO GUARDINI

ROMANO GUARDINI

LO SPIRITO DELLA LITURGIA I SANTI SEGNI

MORCELLIANA

Titolo originale dell'opera: Vom Geist der Liturgie (1918) Von heiligen Zeichen (1922) Matthias Grnewald Verlag - Mainz 1927 Verlag Ferdinand Schningh - Paderborn Tutti i diritti d'autore sono della Katholische Akademie in Bayern

Traduzione di Mario Bendiscioli 1930 Editrice Morcelliana Via Gabriele Rosa 71 - 25121 Brescia

Decima edizione: settembre 2005

www.morcelliana. it

ISBN 88-372-1605-X Tipografia Camuna S.p.A. - Filiale di Brescia, Via A. Soldini 25

Lo spirito della liturgia

PREFAZIONE ALLA Q U A R T A EDIZIONE ITALIANA

Quando nel 1919 venne pubblicato in Germania questo saggio di Guardini su lo Spirito della liturgia, il movimento liturgico stava pericolosamente attraversando la sua crisi di adolescenza secondo le grandi leggi della vita: la legge della crescita, della complessit, della lotta con l'ambiente. Le opposizioni provenivano da ogni direzione: dall'interno del mondo religioso e dall'esterno, dalla cultura, dalla piet, dal mondo dell'azione. La natura e il serrarsi delle forze avverse indusse qualcuno a definire il movimento liturgico: primavera senza estate. Il contesto umano del primo ventennio del XX secolo concorreva fortemente a rendere pi probabile simile profezia di sterilit e di morte. In realt l'umanit stava generando nella pena un'epoca nuova nella quale l'uomo aveva cessato di guardare a Dio per concentrarsi esclusivamente sopra se stesso convinto di poter, in tal modo, meglio usufruire di tutte le sue possibilit in vista di un compimento del suo destino terrestre. L'uomo non pi Dio diveniva il centro d'interesse della vita; ma un uomo non pi rassegnato e alienato nella propria indigenza metafisica, ma deciso a diventare: autocreatore e autoredentore. Questa la nota specifica della nuova epoca: l'uomo si spogliava del divino e quindi dell'eterno. Difatti una nuova dimensione si era fatta strada fino a divenire predominante: l'istante: un 9

tempo nel quale il passato non definitivamente finito, n l'avvenire cos incerto, n il presente cos fluido. L ' istante divenne, nella febbre del vivere, un momento con valore e intensit esteme. In tale atmosfera invadente, quale senso e importanza poteva avere per l'ambita promozione dell'uomo, un mondo immobilista e crepuscolare di simboli e di riti? Quale comunicazione possibile tra un 'era specificata dalla velocit afferrante anime e corpi, e la liturgia gelosa non solo dell'immobilit del sacro, ma ancora della lingua, del gesto, del simbolo che lo esprimono? Tali interrogativi non provenivano da un mondo troppo radicato e deciso nella sua nuova esperienza laicizzatrice dell'universo, ma dallo stesso mondo credente dominato da un complesso d'inferiorit, ossessionato dalla statura e armatura del mondo contemporaneo troppo dimentico della propria fionda e delle cinque bianchissime pietre che brillavano nel torrente. Allora due correnti si delineavano, due correnti intercomunicanti e integrative l'una dell'altra, perch l'una forniva il braccio al regno di Dio e l'altra la coscienza. L'una e l'altra possedevano verit e forze ma avulse dal tutto. L'una vide una nuova sacralizzazione del mondo mediante l'azione, cio attraverso la compenetrazione graduale del mondo della potenza nei suoi vari settori: quello del denaro, della tecnica, del potere, del divertimento, della cultura l'altra invece cerc forza e rifugio in nuove forme di spiritualit. Si pensato: l'uomo che va in Chiesa trova nel culto un muro di nebbia: segni, parole, lingue del passato; e allora perch non cercare vie a Dio pi semplici, pi vicine alle umili esigenze dell'uomo della strada? Ne venne una germinazione spontanea di devozioni, di spiritualit, di paraliturgie, non tutte di eguale valore, n condannabili in s perch espressione della inalienabile libert delle anime nelle forme di accesso a Dio; ma tutte con-

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correvano ad allontanare dalla via maestra della liturgia, tutte si sovrapponevano a essa fino a soffocarla nel suo centro, nel suo ciclo, nel suo spirito, nei suoi insuperabili apporti di verit, di piet, di efficacia, di bellezza. Spesso tale devozionismo si spinse e si spinge secondo il rinnovato monito di Giovanni XXIII a mettersi in contrasto proprio con i tre primi precetti del decalogo. Solamente il rinnovamento degli studi biblici, storici, patristici, ecclesiastici, indusse molti studiosi, nella seconda met del secolo scorso, a riesaminare l'immenso patrimonio liturgico che le abbazie benedettine avevano non solo custodito, ma amorosamente tradotto in vita nel loro mirabile colloquio quotidiano con Dio. E di tale patrimonio si cominci a precisare il nucleo essenziale iniziale, gli sviluppi logici e vitali, le sovrapposizioni e deformazioni di uomini e di tempi pi intenti ad allargare il culto della personalit che il culto di Dio. Questo lavoro di indagine critica e di approfondimento della sapienza liturgica si incontr con la grande ansia pastorale del XX secolo. L'azione non radicata nella rivelazione disperdeva pecore e agnelli il devozionismo cresciuto fuori della grande tradizione orientale e occidentale creava un cristianesimo facile per il quale tutto diventa centro al di fuori del solo centro quod positum est nel quale l'io porta tutte le sue impurit a danno della vita ecclesiale impoverita ed esangue. Di qui nacque l'interrogazione accorata dei pastori: perch il grande culto tradizionale che ha formato, nutrito, cresciuto generazioni eroiche oggi arrivato a tal punto di estraneit e di opacit per gli uomini del XX secolo? Perch l'autentico mistero della Parola del Sangue di Cristo non realizza pi la salvezza del mondo? La risposta venne dallo studio e dall'esperienza, dall'universit e dalla parrocchia, dallo Spirito che non cessa di animare la Chiesa e dallo zelo per la casa di Dio che bruciava nel cuore 11

di pastori d'avanguardia: perch epoche di staticit e di stanchezza hanno rifiutato ogni fatica di adattamento del culto a un 'umanit che, pure restando identica a se stessa, non cessa di mutare e di evolversi secondo la legge del tutto perch troppi rubricismi chiusi in se stessi hanno soffocato il culto in ispirito e verit quale venne profetato a Sicar e precisato a Corinto da Paolo: Pregher con lo spirito ma pregher anche con l'intelligenza canter inni con lo spirito ma canter pure con l'intelligenza. Cos in ambiente turbato e polemico tra archeologi immobilisti e innovatori ignari del punto di arrivo delle loro riforme tra giocolieri e dilettanti del divino e spiriti sprezzanti e diffidenti d'ogni gesto esteriore tra individualisti che guardano al divino solo per mezzificarlo al servizio del proprio egoismo, egregaristi solo assertori di un 'assemblea ove ogni slancio personale a Dio eliminato, tra materialisti del rito e spiritualisti che non scoprono che impurit in ogni incarnazione in tale ambiente problematico e arroventato appare quest'opera di Guardini. Ora, dopo quarantanni se ne pu misurare la profondit e l'equilibrio, la preveggenza nel segnalare gli scogli del movimento liturgico, la sua capacit di centrare i problemi e di formulare nel linguaggio, e nelle inquadrature del nostro tempo. Guardini ha cos efficacemente concorso ad attirare l'elemento colto verso la lingua scoprendo in essa non qualche cosa di marginale ma di essenziale nel cristianesimo. La liturgia introduce l'intera ampiezza della verit nella preghiera; anzi essa non che dogma pregato, verit vissuta pregando. Quindi un ordine domina nella liturgia, ordine spesso violato e misconosciuto: il primato del Lgos sull'Ethos; non primato dell'estetico, ma del salvifico. La liturgia vita divina per Cristo affluente negli uomini e vita umana per Cristo affluente al Padre. Tutto l'anno li12

turgico segna, per la liturgia, tale duplice meditazione ascendente e discendente del Cristo: problema spietatamente serio della salute eterna. Ma tale salvezza viene realizzata mediante un continuo processo d'incarnazione e di espressione, cio di passaggio al mondo invisibile attraverso la ricchezza del mondo visibile. Di qui la difficolt, la delicatezza, il pericolo di ogni realizzazione liturgica: tutta la realt divina deve tradursi in apparenza espressiva: che sia detto tutto quanto deve essere detto e niente pi; che siano impiegati tutti gli elementi formali che necessitano e solo questi; che nulla di inespressivo, morto, vuoto rimanga nella figura esteriore bens tutto vi risulti animato e parlante, che ogni nota, ogni parola, ogni superficie, colore, movimento obbedisca a una esigenza interiore, contribuisca alla rivelazione del contenuto complessivo e costituisca con gli altri un'unit matura e senza suture. Ora il movimento liturgico entrato infuse di maturit: segno di disposizioni provvidenziali di Dio per il nostro tempo e della presenza dello Spirito Santo nella Chiesa (Pio XII). La sua maturit si misura dalla dimensione conferita alla liturgia nel Concilio Vaticano II in confronto ai precedenti concilii. Perch indagini ed esperienze hanno dimostrato il rapporto profondo tra liturgia e vita ecclesiale: la Chiesa si esprime nella sua liturgia che il suo atto salvifico per eccellenza ma soprattutto perch al movimento liturgico ha portato la sua adesione l'aristocrazia del mondo missionario. Nel grande congresso di studio della liturgia missionaria tenuto a Nimega nel '59 si affermato: Ci che importa di condurre il mondo a Dio: per conseguenza tutti gli sforzi devono essere orientati verso il culto del Padre che prende la sua forma concreta dalla Chiesa. Per questo il mondo missionario chiede una grande opera di adattamento che afferri non la superficie ma le profondi-

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t dell'anima dei vari popoli. Per questo la liturgia in cerca di vie di comunicazione tra Cristo e tutto ci che vi di autenticamente umano anche fuori della civilt occidentale. Un altro segno dei tempi uno dei pi specifici dell'epoca contemporanea mette in luce l'importanza della liturgia per la ripresa del colloquio degli uomini con Dio. Il nostro mondo il mondo che ha sostituito l'immagine al ragionamento. Non si tratta qui di giudicare ma di constatare. Oggi la concezione della vita, la sua effettiva orientazione deriva dall'immagine. Forse dopo orge di astrazioni, l'uomo ha creduto questa la sola via per ritornare al reale. Cos il cinema divenuto il pi formidabile strumento per la comunicazione universale delle idee, per la sua tecnica meravigliosa che fonde visione, suono, colore, ritmo, parola, che, attraverso il doppiaggio, comunica con tutte le razze. Vera arte che ha saputo realizzare la sintesi pi completa e accessibile alle mentalit pi diverse. La sapienza liturgica ha preceduto da secoli quest'arte di sintesi, non per esprimere la storia della perdizione ma la storia della salvezza. Sono finite le sue divine e umane possibilit? Guardini, tra i primi, i pi veggenti, non esita a rispondere: no; perch la liturgia Cristo operante nel tempo e nello spazio, e dove Cristo non vi perdizione. Brescia, luglio 1961 Giulio Bevilacqua

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CAPITOLO PRIMO LA PREGHIERA LITURGICA

Un antico detto teologico afferma: La natura e la grazia non fanno nulla indarno. La natura e la grazia hanno le loro regole. Vi sono, cio, alcuni presupposti determinanti che condizionano la sanit, la crescita, la fioritura della vita spirituale sia naturale che soprannaturale. Queste leggi possono essere violate in casi particolari, quando lo giustificano ovvero lo scusano una veemente emozione, una grave necessit, una costituzione psichica singolare, un grande scopo o qualcosa di simile. Ma, a lungo durare, questo non avviene impunemente. Allo stesso modo che la vita del corpo intristisce ed entra in crisi quando le condizioni preliminari del suo sviluppo vengono a lungo trascurate, cos avviene della vita dello spirito e della religione: essa intristisce, perde la sua freschezza, la sua forza, la sua unit. Questo vale poi specialmente nella vita religiosa di una comunit ordinata da una regola. Nella vita dei singoli l'eccezione ha ancora grande spazio per intervenire. Non appena, per, viene in questione l'attivit d'una collettivit di persone, non appena s'ha a che fare con concrete istituzioni, pratiche, preghiere, che disciplinano il complesso permanente degli atti di piet comuni, allora assurge a problema d'esistenza
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per la vita di questa comunit il fatto che le leggi fondamentali della sana vita naturale e soprannaturale vi vengano rispettate o no. Non sono pi, infatti, in questione forme d'atteggiamento religioso, che devono soddisfare un bisogno religioso soltanto momentaneo, bens istituzioni durature, che esercitano di continuo il loro influsso sull'atteggiamento religioso delle anime. Esse non devono tanto dar espressione a uno stato d'animo del tutto singolare, quanto soddisfare le esigenze della media vita religiosa quotidiana. Esse rappresentano la forma della vita spirituale non di una persona, che ha un determinato temperamento, bens di una comunit in cui sono rappresentati i pi vari temperamenti. Riesce pertanto chiaro che ogni errore costruttivo si far sentire con inesorabile necessit. Da principio esso pu ben essere nascosto dalle circostanze particolari, da emozioni, da esigenze speciali, che hanno suscitato la forma corrispettiva di atteggiamento religioso. Man mano, per, che queste vengono meno e si ristabilisce la condizione di spirito normale, anche quel difetto intrinseco emerge con forza progressiva, agendo, quale elemento perturbatore, in ampiezza e profondit. Quelle condizioni fondamentali appariranno nella maggiore limpidezza l dove la vita religiosa di una grande comunit pot svilupparsi in un lungo periodo di tempo. Qui le intime leggi della vita avranno quindi avuto il tempo necessario per potersi affermare pienamente. Nella vita comune di uomini dal temperamento pi diverso, appartenenti a differenti ceti sociali, forse anche di nazionalit diversa, nel corso di epoche storicamente e culturalmente differenti, ci ch' casuale, ch' singolare, sar fino a un certo grado 16

venuto meno, e l'universale, il necessario sar emerso: la forma adeguata dell'atteggiamento religioso si sar oggettivata. L'espressione perfetta di una siffatta disciplina della vita religiosa, offerta concretamente dalla liturgia della Chiesa cattolica. Essa si potuta sviluppare kat to lou, cio da ogni lato, secondo il tempo, il luogo e tutte le forme della civilt. In tal caso essa viene a costituire pure la migliore guida per la vita ordinaria, per l'ordine essenziale della vita religiosa comune 1 . Il significato della liturgia deve pertanto essere meglio definito. E innanzitutto da stabilire in quale rapporto esso stia con la vita religiosa non liturgica. Lo scopo prossimo e specifico della liturgia non quello di dar espressione al culto individuale di Dio: essa non deve edificare il singolo come tale, suscitare ed educare la sua vita religiosa. Nella liturgia non il singolo che agisce e che prega. E neppure il complesso di una molteplicit di persone, come potrebbe essere la riunione in una chiesa, di una comunit, quale mera unit nel tempo, nello spazio, nei sentimenti. Il
1. Non casuale che il Papa religioso abbia messo mano cos decisamente al riordinamento della liturgia. Il rinnovamento religioso generale non far passi in avanti fino a che la liturgia non avr riavuto il posto che le spetta. Anche il movimento eucaristico potr svolgere la sua auspicata efficacia solo se si manterr in stretto contatto con la liturgia. Lo stesso Papa che ha emanato il decreto per la comunione frequente ha pure detto: Voi non dovete pregare durante la Messa, voi dovete fare della Messa la vostra preghiera!. Solo quando la Comunione intesa e praticata nello stesso modo in cui l'intende e la pratica la liturgia, essa pu avere quell'efficacia che se ne riprometteva Pio X per il rinnovamento religioso del mondo. (Allo stesso modo che l'efficacia morale dell'Eucarestia pu essere dispiegata pienamente solo quando essa sia messa in relazione con i compiti concreti della vita sociale e familiare, della carit cristiana e del proprio lavoro professionale.)

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soggetto, l'io, della liturgia piuttosto l'unione della comunit credente come tale, qualcosa che trascende la semplice somma dei singoli credenti, insomma, la Chiesa. La liturgia il culto ufficiale e legale della Chiesa e viene praticato e diretto da ministri da essa scelti e incaricati appositamente di ci, i sacerdoti. In essa, Dio deve essere venerato dall'unit sociale religiosa come tale, e questa in tale venerazione e per tale venerazione deve essere edificata. assai importante intendere questo carattere essenziale e oggettivo della liturgia; qui infatti si distingue il concetto cattolico del culto comunitario dalla concezione protestante prevalentemente individualistica. Che poi il singolo credente, proprio dal suo immergersi in questa superiore unit, venga intimamente e specificamente liberato ed educato, questo ha il suo fondamento nella natura individuale e sociale insieme dell'uomo. Accanto alle forme di devozione strettamente rituali, del tutto oggettive, ve ne sono altre in cui il momento soggettivo si presenta con maggior forza. Queste sono le devozioni popolari, ad esempio le preghiere pomeridiane dei libri di Chiesa, le devozioni per luoghi, tempi, circostanze determinate, ecc. Esse portano assai pi l'impronta del tempo particolare e dell'ambiente, sono espressione immediata delle speciali caratteristiche della comunit. Per quanto in ogni caso pi universali e oggettive che le preghiere affatto private dei singoli, tuttavia sono pure a loro volta pi particolari, pi private della preghiera della Chiesa, della liturgia. In essa perci si fa sentire maggiormente il particolare bisogno di edificazione del singolo. Di conseguenza, le forme e leggi della vita 18

liturgica non possono senz'altro costituire regola per la preghiera extraliturgica. Mai si potr pretendere che la liturgia costituisca la forma esclusiva della vita religiosa comune. Questo significherebbe misconoscere le esigenze religiose del popolo credente. Piuttosto vi saranno sempre, accanto alle forme liturgiche, quelle della piet popolare variamente atteggiate in corrispondenza alle mutevoli condizioni storiche, nazionali, sociali, locali. Nulla sarebbe pi errato del voler sopprimere, per amore della liturgia, sane e preziose forme di vita religiosa popolare; oppure anche solo del voler adattare queste ultime alla prima. Quantunque, per, la liturgia e la piet popolare abbiano ambedue i propri presupposti e scopi legittimi, tuttavia il primato deve essere riconosciuto al culto liturgico. La liturgia e rimane la Lex orandi. La preghiera non liturgica deve sempre svolgersi sulle direttive di essa, e in essa sempre rinnovarsi, se vuol rimanere vitale. Non si pu certo dire che la liturgia stia di fronte alla preghiera popolare allo stesso modo che il dogma al ripensamento individuale della fede; ma una certa corrispondenza con quel rapporto normativo esiste. Mettendosi a confronto con la liturgia, ogni altra forma di piet pu sempre riconoscere nel modo pi facile le proprie manchevolezze e rimettersi cos sicuramente sulla via ordinaria. Le mutevoli esigenze dei luoghi, dei tempi, delle speciali circostanze si fanno sentire da s nella vita religiosa popolare; ma di fronte a essa c' la liturgia, da cui irraggiano chiaramente le leggi fondamentali, identiche sempre e dovunque, della sana e genuina devozione. In seguito verr fatto il tentativo di ricavare dalla liturgia alcune di queste leggi. Solo un tentativo, per, 19

il quale nei suoi risultati non vuol essere n definitivo n completo. La liturgia mostra innanzitutto che la vita di preghiera della comunit dev'essere sostenuta dal pensiero. Le sue preghiere sono intieramente dominate e compenetrate efficacemente dal dogma. Chi non abbia ancora ben capito la preghiera liturgica, prende tali preci spesso come delle abili formulazioni teologiche, fino a che per egli avverte che queste proposizioni ben levigate e ben combinate traboccano d'interiore emozione. Tali sono innanzitutto i mirabili Oremus delle messe domenicali. Anche dove la corrente della preghiera si effonde pi abbondante, essa sempre diretta e padroneggiata dalla chiarezza del pensiero. Messa e Breviario sono intessuti di brani presi dalla S. Scrittura oppure dalle opere dei Padri della Chiesa e costringono cos continuamente a pensare. Queste lezioni vengono spesso introdotte e concluse da brevi preghiere di carattere particolarmente meditativo (Responsori), nelle quali quanto stato udito o letto ha modo di riecheggiare nel cuore e di penetrarvi in profondo 2 . La Lex orandi, la liturgia, secondo l'antico detto, pure la Lex credendi, la legge della fede; quindi tutta sostanziata del tesoro di verit della Rivelazione. Con ci non deve essere certo detto che cuore e sentimento non abbiano alcuna importanza nella vita di preghiera. Pregare certamente un elevare 1 'animo a Dio. Ma l'animo deve essere diretto, sostenuto, rischia2. Vedi in proposito R. Guardini, Heilige Zeit, Mainz 1930.

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rato dal pensiero. In casi particolari e per temperamenti determinati pu essere possibile il preservare in un mero moto del cuore, che sorge spontaneamente oppure scaturisce da un felice impulso, e il trarne cos anche un reale vantaggio religioso. Una preghiera invece, che si ripeta di frequente, deve adattarsi ai pi diversi stati d'animo, giacch nessun giorno si eguaglia ai precedenti. Ora, se il contenuto di queste forme di preghiera prevalentemente sentimentale, esso porter in s l'impronta d'una conformazione spirituale del tutto determinata poich, tra tutti i processi psichici, il sentimento quello che pi tende verso l'individuale. Cos, tale preghiera riuscir sempre inadatta, quando la sua intonazione almeno in parte non si accordi con quella che domina nella persona che vuol pregare. Altrimenti essa riesce inutile oppure altera addirittura il sentimento. La stessa conclusione si raggiunge considerando che tale preghiera deve servire ai temperamenti pi diversi. Se pertanto una preghiera comune deve effettivamente valere per il suo scopo, essa deve essere sostenuta e dominata da chiare e ricche idee dogmatiche. Solo allora le riesce possibile servire a una comunit che risulta di tipi diversi ed agitata da sentimenti mutevoli. Solo il pensiero conserva sana anche la vita religiosa. Buona solo quella preghiera che viene dalla verit. Il che non significa soltanto che essa non pu procedere dall'errore, ma anche che deve scaturire dalla piena verit. La verit rende potente la preghiera, comunicandole quel vigore aspro, ma vivificante e preservatore senza del quale essa riesce debole e sdolcinata. Se questo vale per la preghiera dei singoli, vale ancor di pi per quella del popolo che sotto certi
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aspetti inclina alla sentimentalit. Il pensiero dogmatico ci scioglie dalla schiavit del sentimento, dalla sua vaporosit e inerzia. Esso rende la preghiera chiara ed efficace sulla vita. Ma codesto pensiero dogmatico, se vuol effettivamente soddisfare al compito che gli spetta nei riguardi della comunit, deve introdurre nella preghiera la verit religiosa nella sua integrale pienezza. Le singole verit della Rivelazione mostrano una certa affinit elettiva con determinati atteggiamenti spirituali e con determinate condizioni della vita interiore. facile osservare come persone dotate d'una certa natura e disposizione, mostrino un'accentuata preferenza per determinate verit della fede. Ci si manifesta ad esempio per il concetto dogmatico, da cui nelle conversioni le anime furono dapprima colpite e convinte, oppure per quello dal quale ricevettero la spinta definitiva; ci si palesa ancora per le verit che al sorgere del dubbio costituiscono il sostegno dell'intiero edificio della fede. E parimenti si pu osservare che anche il dubbio non sorge a caso, bens per lo pi investe le verit di fede che sono pi estranee ai temperamenti in questione. Se, pertanto, una preghiera desse valore esclusivo o anche solo eccessivo a una qualunque verit di fede, a lungo durare potrebbe riuscir adeguata solo alle nature che vi inclinano, e anche in queste susciterebbe col tempo il bisogno della verit integrale. Se, ad esempio, una preghiera si volesse occupare solo della misericordia perdonante di Dio, essa finirebbe col non soddisfare neppure un'anima incline alla tenerezza. Questa verit della misericordia fa appello a quella che ne il completamento: la maest e la giustizia di Dio. Cos dunque l'integrale pienezza delle veri22

t della fede deve dipingersi in quelle forme di preghiera che debbono soddisfare, a lungo andare, una comunit. Anche qui la liturgia maestra. Essa introduce l'intera ampiezza della verit nella preghiera; anzi essa null'altro che il dogma pregato, la verit rivissuta pregando. E invero sono le grandi verit fondamentali 3 quelle che innanzi tutto sostanziano la liturgia: Dio nella sua immensa realt, pienezza e grandezza, l'Uno e Trino; la creazione, la provvidenza, la onnipresenza divina; il peccato, la giustizia, l'anelito alla redenzione; la redenzione; il Redentore e il suo regno; i novissimi. Soltanto una verit cos ricca non stancher mai; solo essa potr essere realmente tutto a tutti e ogni giorno nuova. Una preghiera comune pertanto riuscir feconda, a lungo andare, solo quando non si limiter, con esclusione e con preferenza, a parti determinate della verit rivelata, bens includer, nel limite del possibile, l'intero contenuto dell'insegnamento divino. Questo ha particolare importanza nel popolo, che facilmente inclina a curare in modo unilaterale qualche verit preferita 4 . D'altra parte, come invece talvolta

3. Una nuova prova della sguardo acuto di Pio X l'abbiamo nel fatto che egli ha voluto valorizzare pi energicamente quelle parti della liturgia che lasciano emergere le realt fondamentali della fede: le domeniche, l'ufficiatura della settimana, in modo particolare anche le Messe dei giorni fenali della Quaresima. Sarebbe cosa deplorevole che il suo lavoro gradualmente venisse annullato. 4. Con il che non si vuol dire che i tempi determinati (ad esempio di guerra) oppure condizioni particolari (ad esempio gli speciali bisogni d' una popolazione di agricoltori o marinai e simili) non possano rendere di particolare attualit verit determinate. Qui si tratta di una regola generale che per duttile e deve tener conto delle speciali circostanze.

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avviene, la preghiera non deve essere sovraccarica e costretta cos a esprimere tutti i concetti possibili. Senza ampio respiro la vita religiosa intristisce: si fa gretta e meschina. La verit vi far liberi dalla servit dell'errore non soltanto, ma anche atti a penetrare l'infinita ampiezza del regno di Dio. E se il pensiero ha da essere messo in rilievo, ci non deve avvenire fino all'eccesso di un freddo cerebralismo. Le forme della piet richiedono piuttosto d'essere avvivate da una calda corrente di fervore. La liturgia anche a questo riguardo ha parecchio da dire. Sono pensieri vivi quelli che la pervadono, vale a dire pensieri che sgorgano da un cuore commosso e che a loro volta devono commuovere un cuore ben disposto. Il culto della Chiesa sovrabbonda di profonda sensibilit, d'una vita del sentimento vigorosa, anzi talvolta addirittura appassionata. Quanto di frequente e con che intensit, ad esempio, sono commossi i salmi! Con quale vigore s'esprime la nostalgia nel Salmo 41, la contrizione nel Miserere, il giubilo nei salmi di ringraziamento, lo sdegno per la giustizia offesa nei salmi di maledizione! Quale straordinaria intensit di emozione si manifesta tra la tragedia del venerd santo e l'esultanza del mattino di Pasqua! Ma questa emotivit liturgica straordinariamente istruttiva. Essa possiede certo momenti di altissima tonalit in cui tutti i vincoli vengono spezzati, come nella traboccante esaltazione gioiosa dell'Exsultet, nella veglia pasquale. Di regola, per, essa attutita. Il cuore parla forte; per, contemporaneamente s'afferma non meno vigoroso il pensiero; formule di preghiere sono riccamente articolate, contessute accuratamente nel rapporto delle parti. Cos, nonostante la profonda sensibilit dei salmi, si ha un'intonazione 24

generale contenuta. La liturgia, come tale, non ama l'esuberanza del sentimento. Questo arde in essa, ma come in un vulcano, il cui vertice si leva limpido e chiaro nella fresca atmosfera. La liturgia sentimento appieno dominato. E questo si percepisce particolarmente nella santa Messa, sia nelle parti fisse che nelle preghiere proprie dei singoli giorni; qui troviamo veri capolavori del pi nobile atteggiamento spirituale. Questo riserbo della preghiera liturgica talvolta cos rilevato, che alla prima impressione sembra una fredda costruzione concettuale; fino a che, per, non si sia vissuti pi a lungo in tale mondo e non si abbia avuto modo di constatare quale intensit di vita ferva nelle forme ben dominate. E come necessaria questa disciplina! In certi momenti, in determinate occasioni il sentimento pu effondersi pi generoso. Per una preghiera che destinata a ogni giorno e alla comunit deve rimanere misurata. Se invece si ammettono sentimenti assai tesi e non equilibrati, ci si espone a un doppio pericolo: o l'atteggiamento viene preso sul serio da chi prega, e allora pu succedere ch'egli debba esercitare su di s una coercizione interiore per provare sentimenti, che non ha mai avuto o che, almeno in codesto istante, non ha; e questo potrebbe rendere il suo sentimento religioso innaturale, insincero; oppure la natura si vendica; le frasi vengono accolte e ripetute freddamente, come formule indifferenti, e con ci la parola viene depauperata del suo valore. La preghiera scritta deve certo anche educare, elevare dunque a una sensibilit religiosa pi delicata. Ma la distanza dalla sensibilit della media dei fedeli non deve diventare troppo grande. Se una preghiera 25

deve riuscire efficace e feconda durevolmente e per una collettivit, deve essere dominata da una tonalit di sentimento vigorosa, s, e profonda, ma insieme anche calma e misurata. Tornano a proposito qui i mirabili versi d'un inno quasi intraducibili nella loro trasparente chiarezza:
Laeti bibamus sobriam Ebrietatem Spiritus ...5.

Certo, non si pu pretendere di fissare con precisione matematica al sentimento religioso la sua misura; ma dove basta l'espressione nuda e schietta, non si deve usare quella accesa, e la frase semplice sempre da preferirsi a quella sovraccarica. La liturgia, poi, ci fa intendere come debbano essere le emozioni religiose perch riescano durevolmente efficaci a una collettivit di persone. Non sentimenti troppo ricercati, che valorizzino speciali settori del patrimonio dogmatico, bens sentimenti fondamentali, umani e religiosi, quali, ad esempio, i salmi tanto chiaramente esprimono: adorazione, anelito a Dio, ringraziamento, preghiera, timore, rimorso, amore, sacrificio, rassegnazione, fede, fiducia e via dicendo. Non emozioni troppo raffinate, troppo tenere, troppo sdilinquite, bens forti, chiare, con la semplicit della natura. E proseguendo: la liturgia possiede un mirabile riserbo. Certo forme di abbandono essa le accenna appena, oppure le circonda e vela con tanta profusione di immagini che l'anima vi si sente quasi protetta e ce5. Breviario dell'ordine benedettino, Laudes cio, preghiera del crepuscolo mattutino del marted.

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lata. La preghiera della Chiesa non mette in pubblico i misteri del cuore. Essa si trattiene nella sfera del pensiero e del simbolo; suscita certamente profondissimi e delicatissimi moti e processi spirituali, ma li lascia, per, nello stesso tempo, nella loro segreta intimit. Certi sentimenti d'abbandono, certe parole che rivelano l'intimit pi sacra, ben di frequente non possono essere espresse senza pericolo per il pudore dell'anima. La liturgia ha compiuto l'opera magistrale e ha reso possibile all'uomo di esprimere in essa la sua vita religiosa interiore nell'intera sua pienezza e profondit, pur conservando occulto il suo mistero: Secretum meum mihi. Egli pu effondersi, pu esprimersi, eppur non sente portato in pubblico nulla di ci che deve rimanere nascosto 6 . Lo stesso vale per l'atteggiamento morale implicito nella preghiera. L'azione liturgica, la preghiera liturgica procedono da premesse morali: dall'anelito alla giustizia, dalla contrizione, dallo spirito di sacrificio ecc., e si concludono, spesso, a lor volta, in atti di carattere morale. Pure si pu anche qui osservare delicatezza di tatto. La liturgia non richiede facilmente azioni morali di grande impegno, specialmente quelle che impli6. La liturgia compie qui nel campo religioso la stessa funzione che ha nella vita quotidiana la nobile forma della cortesia, creata attraverso una lunga tradizione da persone delicate di sentire. Questa rende possibile all'uomo la familiarit con altri, garantendolo per da ogni illegittima violazione del suo intimo; egli pu essere cordiale senza perdere la propria dignit; ha un ponte verso il prossimo, senza perci avvilirsi nella massa. In modo analogo la liturgia assicura all'anima la libert dei movimenti religiosi mediante una mirabile combinazione di naturalezza e di raffinata delicatezza di tratto. Essa forma come urbanitas la pi bella antitesi alla barbarie, perch la barbarie si presenta quando naturalezza e civilt sono insieme andate perdute.

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chino una decisione interiore. Essa le esige l dove l'importanza della cosa lo giustifica realmente: ad esempio, l'abiura in occasione del Battesimo, il voto al ricevimento degli Ordini sacri. Quando per si tratta di esprimere nella preghiera quotidiana ordinaria i quotidiani propositi e sentimenti morali, la liturgia si mostra molto riservata. La liturgia non pronuncia facilmente una promessa solenne, un distacco assoluto e perpetuo dal peccato, una perpetua dedizione totale, una consacrazione che impegni tutto l'essere, un completo rinnegamento e una rinuncia al mondo, una promessa di amore esclusivo e simili. Tali pensieri certo si presentano, ma di regola nel senso che il credente prega per avere questi sentimenti, ovvero ne considera la nobilt e bont, oppure a essi esortato. La liturgia evita di usare preghiere, in cui siano contenuti addirittura impegni morali di questo genere, quali forme di devozione da ripetersi frequentemente. E com' giusto questo! Nelle ore dell'entusiasmo, in certi momenti decisivi, codeste espressioni possono essere giustificate, persino necessarie: ma appena si ha a che fare con la consueta vita spirituale d'una comunit, con la religiosit quotidiana, allora espressioni siffatte, spesso ripetute, mettono il credente di fronte a una scelta penosa. O egli prende la preghiera in questione sul serio e cerca di suscitare in s il sentimento morale da essa espresso, ed ecco ch'egli esperimenta di poterla compiere, con interiore veracit, solo di rado, oppure mai addirittura, esponendosi cos al pericolo di rendere insincera la sua vita interiore, di essere costretto a sentimenti e azioni che gli sono ancora troppo difficili, di abbassare alla ripetizione quotidiana processi morali, che di loro natura non si compiono di frequente. Oppure egli prende le 28

parole semplicemente come espressione d'una passeggera disposizione religiosa, e allora si affievolisce il significato morale di cui sono sostanziate quelle preghiere. Una formula siffatta pu ben essere usata di frequente con interiore veracit; essa rimane per svalutata nella sua significazione morale. Anche qui vale la parola del Signore: Il vostro dire sia: s, s; no, no7. La liturgia ha risolto il problema di spronare costantemente alle pi elevate mte morali e insieme di rimaner schietta e sincera non trascurando la realt d'ogni giorno. Un altro aspetto del problema della preghiera comune quello della sua forma. Lo si pu all'incirca formulare cos: quale forma di preghiera pu suscitare una emozione religiosa in un gran numero di persone, assicurandone un'adeguata persistenza? Il tipo d'ogni preghiera comune ci offerto dalla preghiera corale della Chiesa. Per essa ogni giorno numerose comunit si riuniscono a ore determinate. Se mai in qualche luogo, proprio qui veniva offerta la condizione preliminare perch le leggi formali della preghiera comune giungessero a espressione 8 . Soprattutto l'intera radunanza vi deve prendere parte viva. Se ad esempio, ci si limitasse ad ascoltare
7 . Mt 5,37.
8. A questo riguardo non da trascurare che la preghiera corale della Chiesa presuppone a sua volta speciali condizioni e circostanze, che non sono senz'altro implicate nella vita dei credenti; quali: un maggior agio che dia allo spirito il tempo di raccogliersi pi profondamente, una speciale formone spirituale che dischiuda il segreto della ricchezza dei pensieri, e via dicendo.

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chi dirige la preghiera, il movimento degli animi presto s'arresterebbe. Tutti i presenti perci vi debbono prendere parte. E invero non basta che la comunit risponda con parole sempre identiche a chi dirige la preghiera. Anche questa forma di preghiera accolta dalla liturgia, ad esempio, nelle litanie. Essa ha la sua piena giustificazione, e sarebbe misconoscere le esigenze dell'anima umana il volerla respingere. Nelle litanie la comunit risponde ai diversi appelli di chi dirige l'orazione con un atto religioso identico, cio con la supplica. In tal modo codesto atto deve ottenere ogni volta un nuovo contenuto e una nuova profondit. Nasce cos una intensit progressiva, la quale adatta come poche altre forme a esprimere una disposizione d'animo vigorosa, una dedizione a Dio che, per cos dire, raccoglie d'ogni lato, e, incalzante, impegna tutte le sue forze. La liturgia per non usa molto di frequente queste forma di preghiera; si potrebbe anzi dire che se ne vale di rado, se si considera l'intero ambito del culto divino. E ha ragione poich essa nasconde il pericolo di intorpidire il movimento dell'anima 9 .
9. Gi da quello che si detto pi sopra delle litanie emerge con sufficiente chiarezza che forme di preghiera quali il rosario hanno una funzione necessaria e insostituibile nella vita religiosa. In esse si esprime in modo particolarmente acuto la differenza tra la preghiera liturgica e quella popolare. La liturgia ha per principio Ne bis idem (nulla dev'essere ripetuto): esige un costante procedere del pensiero, del tono spirituale, della volizione. La preghiera popolare invece ha una tendenza fortemente contemplativa e si compiace di persistere, senza rapidi mutamenti di pensiero, in alcune semplici immagini, idee o sentimenti religiosi. Per essa le forme della devozione sono spesso soltanto mezzi per stare dinanzi a Dio, presso Dio. Perci essa ama la ripetizione. Le invocazioni sempre rinnovate del Pater noster, dell'Ave ecc. diventano per il popolo come vasi in cui si riversa l'esuberanza del suo cuore.

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La liturgia si vale piuttosto come di tipo fondamentale della preghiera comune, della forma drammatica. Essa divide i partecipanti in due cori e fa s che la preghiera si dispieghi in un movimento di dialogo. Ci attira la massa nella corrente e ve la mantiene, poich ciascuno obbligato a tener dietro per lo meno con una certa attenzione; ognuno sa che dipende da lui il procedere della comune recitazione della preghiera. Con ci la liturgia accenna a una legge fondamentale del movimento dell'anima che non pu essere trascurata impunemente 10 . Per quanto siano giustificate anche le forme di preghiera puramente responsoriali, la forma fondamentale della preghiera in comune quella che si svolge drammaticamente: questo c'insegna la Lex orandi. E il problema oggi tanto sentito del come riguadagnare alla vita ecclesiale gli uomini adulti, in strettissima relazione con quanto stiamo discutendo. Poich proprio l'uomo esige movimento che vitalmente progredisca, attiva partecipazione. Ma la massa fluente di questo movimento di anime richiede una forma, una disciplina. Ci deve essere un direttore che fissi il principio, le parti e la fine

10. Pi anticamente nella Chiesa fu preferita la cosiddetta forma responsoriale nella salmodia. L'antifonario recitava un verso dopo l'altro e il popolo rispondeva a ogni verso con la stessa formula integralmente o in parte ripetuta. Contemporaneamente si seguiva per anche un'altra form a: il popolo si divideva in due cori e recitava scambievolmente ciascuno un versetto del salmo. pertanto molto significativo per la sicurezza del senso liturgico che la prima forma sia stata del tutto eclissata dalla seconda. Cfr. L. Einsenhofer, Handbuch der katholischen Liturgik, vol. I, Freiburg 1 930, pp. 220 ss.

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e cos organizzi anche esteriormente l'intero svolgimento dell'azione. Ed egli la deve anche ordinare interiormente; cos, deve suggerire il pensiero direttivo, assumersi personalmente i brani pi difficili affinch essi risultino espressi con sufficiente cura, dare un'espressione sintetica al sentimento comune in certi momenti culminanti della preghiera, procurare soste di riposo mediante intermezzi di meditazione o letture e cos via. Questo il compito del direttore del coro che deve aver ricevuto nella liturgia una formazione accurata e graduale. Fu detto pi sopra come nella liturgia si dispieghi una vita di sentimento sempre vigorosa e ricca. Lo stesso si pu dire delle due potenze fondamentali della esistenza umana: della natura e della cultura. Nella liturgia la voce della natura parla con forza. Basta solo leggere i salmi dove l'uomo intero emerge cos com', senza attenuazioni. Qui l'anima si mostra coraggiosa e timida, lieta e triste, piena di nobili slanci, ma anche non ignara di conflitti interiori e di colpe, zelante per ogni cosa buona e, ancora, spossata e abbattuta. Oppure consideriamo le lezioni tolte dall'Antico Testamento. Come vi appare in piena luce la natura umana! Nulla inorpellato o mitigato. E altrettanto nelle parole di consacrazione della Chiesa, nelle preghiere che accompagnano l'amministrazione dei Sacramenti. In tutte domina una naturalezza vivificante. Qui le cose vengono chiamate con il loro nome. L'uomo pieno di difetti e debolezze e come tale accolto dalla liturgia; la sua natura intreccio di nobilt e di miseria, di aspirazioni elevate e di sentimenti volgari, e cos si presenta nelle preghiere della Chiesa. Non una figura d'uomo riveduta e corretta da cui sian stati can32

celiati prudentemente i tratti sconcertanti e men belli, bens l'uomo qual . D'altra parte, non meno ricco il tesoro di cultura nella liturgia. Vi si avverte il lavoro di pi secoli che vi hanno sedimentato quanto di meglio avevano. Riccamente elaborata la parola; riccamente sviluppato il mondo dei pensieri e dei concetti; suggestivamente combinate le forme della composizione, a cominciar dai corti versetti e dalla fine membratura degli Oremus fino all'artistica costruzione della giornata liturgica nell'ufficio oppure della santa Messa: il tutto culminante nell'opus complessivo dell'anno ecclesiastico. Forme drammatiche, epiche, liriche si combinano tra loro e tra loro reagiscono. Lo stile delle singole parti varia di continuo adeguandosi allo specifico contenuto: si ha cos lo stile semplice e chiaro dell'ufficio proprio del tempo, quello denso di mistero dei giorni della Madonna, le officiature suggestivamente delicate delle vergini martiri del cristianesimo primitivo. A questo punto s'aggiungono la ricchezza degli atteggiamenti e dei gesti liturgici, i vasi, gli arredi, gli utensili, i paramenti, le opere dell'architettura, della scultura, della pittura, il canto e l'organo. In tutto ci si nasconde un insegnamento assai importante per la vita spirituale. La religione si serve della cultura. Con questo termine noi intendiamo il complesso di ci che di buono e di significativo l'umanit ci ha procurato, creando, dando forma, ordinando: la scienza, le opere d'arte, le istituzioni sociali, e via dicendo. La cultura ha qui il compito di dischiudere, mediante un continuo lavoro, il tesoro delle verit, istituzioni, atti di culto, che Dio, mediante la sua Rivelazione, ha trasmesso all'umanit, di svelarne il 33

contenuto e metterlo in relazione con la vita nella sua molteplicit. La cultura non pu creare nessuna religione; le mette per a disposizione i mezzi opportuni affinch essa possa dispiegare appieno la sua efficacia benedetta. Questo il senso dell'antico detto: Philosophia ancilla theologiae, la filosofia ancella della teologia. Esso vale per l'intera cultura e a esso si sempre attenuta la Chiesa. Cos questa sapeva bene quello che faceva quando impose addirittura al generoso Ordine di S. Francesco, esuberante di forze e di impulsi religiosi, la cultura (la scienza, una certa distinzione nel contegno esteriore, un certo minimo di possesso, ecc.). La Chiesa ha assicurato con ci all'Ordine francescano la condizione necessaria della sua vita ulteriore sana e feconda. L'uomo singolo o un breve periodo d'entusiasmo possono fare a meno della cultura fino a un limite anche assai notevole. Lo provano gli inizi degli ordini eremitici d'Egitto, gli inizi degli ordini mendicanti; lo provano sante persone in ogni tempo. Ma per la media e a lungo andare una certa misura non piccola di beni genuini della civilt si rivela necessaria al fine di mantenere feconda la vita religiosa. Cos essa si conserva vivace, limpida, generosa e aperta; cos si premunisce da quanto non sano, dall'esagerato, dall'unilaterale che pu intaccarla. La cultura e la civilt forniscono alla vita religiosa i mezzi per esprimersi, l'aiutano a rendersi sempre pi consapevoli di se stessa, a distinguere l'importante dall'insignificante, il mezzo dallo scopo, la vita dalla mta. La Chiesa ha sempre condannato ogni tentativo di intaccare la legittimit della scienza, dell'arte o della propriet e simili. La stessa Chiesa che rivela tanto energicamente l'unum necessarium e, nella dottrina dei 34

consigli evangelici, insegna con la pi grande insistenza che si deve essere pronti a sacrificare per la salute eterna, dunque per il bene religioso, ogni cosa, ha pure voluto che la vita religiosa fosse nutrita sempre del sale preservatore d'una cultura autentica e nobile. Allo stesso modo la vita spirituale abbisogna delle basi d'una natura sana e vigorosa: La grazia presuppone la natura. Quel che pensa a questo riguardo, la Chiesa l'ha detto chiaramente nelle lotte gigantesche contro la gnosi e il manicheismo, contro catari e albigesi, contro i giansenisti e tutte le specie di fanatici. E questo lo ha fatto quella stessa Chiesa che cos potentemente, contro Pelagio e Celestio, contro Gioviniano ed Elvidio e contro ogni esagerata esaltazione della natura, ha richiamato alla grazia e al soprannaturale e ha riaffermato che il cristiano deve vincere la natura. Il difetto di una ricca e nobile formazione culturale condannerebbe la vita religiosa all'irrigidimento e alla grettezza; se essa perdesse il fondo di una sana natura dovrebbe cadere nella sdolcinatura, nell'insincerit, nell'innaturalezza, nella sterilit. E se si trascurano i valori culturali della vita di preghiera, ecco il pensiero impoverirsi, la lingua imbarbarire, le immagini irrigidirsi, i sentimenti farsi grossolani e monotoni; come pure, quando la natura non la irrora pi di sangue vivo e vigoroso, il pensiero si svuota, il sentimento s'impoverisce diventando artificioso; le similitudini e le metafore impallidiscono. Le due cose unite, il difetto di vigore naturale e la mancanza di schietta cultura, costituiscono ci che si deve chiamare barbarie; la perfetta antitesi di quella Scientia vocis che si manifesta nella pre35

ghiera liturgica e dalla stessa liturgia celebrata come lo splendido privilegio del santo Spirito creatore. Sana, semplice, vigorosa dev'essere, dunque, la vita di preghiera. Deve mantenere i contatti con la realt e non temere di chiamar le cose col loro nome. L'uomo deve ritrovare nella preghiera tutta la sua vita. D'altra parte, essa deve essere ricca di pensieri e d'immagini efficaci, deve possedere una espressione matura e colta, ma insieme ben dominata, riuscir chiara e trasparente nella composizione, comprensibile all'uomo semplice, ricca di eccitamenti e di linfa vivificante per la persona colta. Deve essere compenetrata di una cultura che in nessun modo riesca importuna, bens consista innanzitutto nell'ampiezza dell'orizzonte intellettuale, nell'interiore misura del pensiero e della dinamica della volont e del sentimento.

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CAPITOLO SECONDO LA C O M U N I T LITURGICA

La liturgia non dice io, bens noi, salvo il caso in cui l'azione liturgica esiga espressamente il singolare (ad esempio quando si tratta di una dichiarazione di volont personale, oppure in talune preghiere del vescovo, del sacerdote, e simili). La liturgia non opera del singolo, bens della totalit dei fedeli. Questa totalit non risulta soltanto dalla somma delle persone che si trovano in chiesa in un determinato momento, e non neppure l'assemblea riunita. Essa si dilata piuttosto oltre i limiti di uno spazio determinato e abbraccia tutti i credenti della terra intera. E travalica anche i limiti del tempo, in quanto la comunit che prega sulla terra si sente una cosa sola anche con i beati, che vivono nell'eternit. Solo, la nota dell'universalit non esaurisce ancora il concetto della comunit liturgica. Il soggetto, che compie l'azione liturgica della preghiera, non il semplice totale di tutti i singoli partecipi della stessa fede. l'insieme dei fedeli, ma in quanto la loro unit ha un valore autonomo, prescindendo dalla quantit dei credenti che la formano: la Chiesa. Qui si presenta qualcosa di analogo a quello che costituisce la vita dello Stato. Lo Stato qualcosa di pi che somma dei cittadini, delle autorit, delle leggi e istituzioni e simili. I membri dello Stato non si sen37

tono solo parti di un numero pi grande, bens in un certo modo membri d'una vivente unit superiore. Qualcosa di corrispondente, in un ordine essenzialmente differente, nell'ordine soprannaturale, presenta la Chiesa. Essa chiusa in s come un sistema compiuto: come un complesso organico di manifestazioni di vita straordinariamente varie, di mezzi e di scopi, di uomini, istituzioni, leggi e simili. Essa costituita di credenti; ma qualcosa di pi che la loro mera somma, nutrita dalle stesse convinzioni e abbracciata dagli stessi ordinamenti. I fedeli sono piuttosto stretti insieme da un reale principio comune di vita. Questa vita comune il Cristo vivente: la sua vita la nostra vita; noi siamo incorporati in Lui, siamo il suo corpo, Corpus Christi mysticum1. Vi una potenza reale che domina questa grande unit di vita, che incorpora in s il singolo, lo fa partecipe della vita comune, ve lo mantiene: lo Spirito di Cristo, lo Spirito Santo 2 . Ogni singolo credente una cellula di questa unit vitale, un membro di questo corpo. In molteplici occasioni il credente si rende consapevole di questa unit che l'avvolge soprattutto nella liturgia. In essa egli scorge che non sta di fronte a Dio come individualit a s stante, bens come membro di questa unit. la liturgia che parla a Dio, il fedele parla con essa e in essa. E da lui essa esige che sia consapevole d'essere suo membro e tale voglia essere. Nel rapporto liturgi-

1. Cfr. Rm 12,4 ss.; 1 Cor 12,4 ss.; Ef capp. 1-4; Col 1,15 ss. e altrove. 2. Cfr. 1 Cor 12, 4 ss.; M.J. Scheeben, Die Mysterien des Christentums (Freiburg 1912), pp. 814-508; cfr. tr. it. di I. Gorlani, Morcelliana, Brescia 1960 3 , pp. 359-604.

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co, il singolo sperimenta vitalmente la comunit ecclesiastica. Il credente qualora voglia celebrare con partecipazione viva l'azione liturgica deve rendersi consapevole che egli, come membro della Chiesa, e la Chiesa in lui, prega e agisce; deve sentirsi con tutti gli altri fedeli una cosa sola in questa unit superiore e con essi voler formare una sola cosa. Di qui scaturisce un problema assai delicato e assai avvertito, che si pu ricondurre alla questione pi generale dei rapporti tra il singolo e la totalit. La comunit religiosa, come ogni altra comunit, esige dal singolo due cose. In primo luogo un sacrificio: in quanto e finch membro attivo della comunit, egli deve rinunciare a ci che in lui vuol essere solo per s ed escludere gli altri. Deve dimenticare s per essere con gli altri, sacrificare alla comunit una parte della sua autonomia e indipendenza. In secondo luogo, un contributo positivo: si esige da lui che accolga come proprio un pi ampio contenuto di vita e precisamente quello della comunit; che vi dispieghi le sue energie, che lo porti nella coscienza, vi consenta e lo valorizzi. L'esigenza pu assumere aspetto diverso a seconda del temperamento spirituale del credente. Cos pu riferirsi particolarmente al contenuto oggettivo della vita religiosa della comunit: ai pensieri che permeano quest'ultima, all'ordine dei suoi mezzi e scopi, alle prescrizioni, regole, leggi stabilite; alle azioni da compiere, ai doveri e diritti e via dicendo. Rinuncia e contributo, come fu detto pi sopra, assumono di conseguenza un carattere oggettivo. Il singolo deve rinunziare a pensar a modo proprio e a percorrere vie proprie, giacch deve perseguire fini e intenti e seguire pensieri e vie, che la litur39

gia gli propone. Deve rinunziare per essa a disporre di s; deve pregare con gli altri anzich procedere per conto proprio; ascoltare, anzich riflettere tra s e s; attenersi alla norma, anzich muoversi secondo il proprio volere. Compito dell'individuo inoltre di realizzare il mondo delle idee liturgiche; deve uscire dalla cerchia consueta dei suoi pensieri e appropriarsi un mondo spirituale pi vasto e comprensivo; deve andar oltre i suoi scopi personali per accogliere le finalit formative della grande comunit liturgica umana. Cos vien da s che il credente debba partecipare a esercizi, che non corrispondono alle particolari esigenze da lui sentite in quel momento; ch'egli debba pregare per cose che immediatamente non lo toccano; accogliere ed esprimere a Dio nella preghiera istanze che gli sono estranee e che sono determinate dalle necessit della Chiesa universale, deve certo, infine, (e questo inevitabile in un organismo tanto riccamente dotato di preghiere, azioni, simboli) talvolta anche seguire cerimonie che non comprende nel loro specifico significato oppure non intende interamente. Qui si presenta effettivamente un grave problema, doppiamente sentito dall'uomo d'oggi, che tanto difficilmente rinunzia alla propria indipendenza. Giacch questi , s, pronto a inserirsi nel sistema dei vincoli dello Stato e della vita economica; per tanto pi suscettibilmente e appassionatamente rifiuta di regola la propria vita religiosa secondo norme, che non siano quelle delle esigenze pi personali. Quanto la liturgia richiede si pu pertanto esprimere con una sola parola: umilt. Umilt come rinuncia: cio sacrificio della propria autorit e indipendenza. E insieme 40

umilt come contributo: cio accettazione di un contenuto di vita religiosa gi dato, oltrepassante l'ambito di quella personale. L'esigenza sociale della liturgia assume un altro aspetto per quelle persone, che nella vita sociale vedono meno il lato oggettivo che quello personale o soggettivo: l'uomo vivo e operante. Il problema pi grave della comunit per costoro non gi quello del come far proprio il contenuto spirituale oggettivo e universale della vita associata e inserirsi in essa. Pi gravosa essi sentono l'esigenza della vita comune con altri uomini concreti, la necessit di dilatare l'intimit tutta personale del loro sentimento ammettendovi altre persone, condividendone i sentimenti e le aspirazioni, riconoscendosi e sentendosi tutt'uno con esse in un'unit superiore. L'unione invero, non con questo o con quello, oppure con una piccola cerchia di persone, a cui ci leghino uguali interessi o rapporti personali, bens con tutti, anche con persone che ci riescano indifferenti, antipatiche o addirittura ostiche. L'esigenza qui dunque di abbattere in certo qual modo i limiti, che proprio chi ha una sensibilit pi delicata ha segnato tanto nettamente intorno alla sua vita religiosa, di uscire da essi, entrare nella folla, prender parte alla sua vita. Mentre nella forma di rapporto esaminata pi sopra la comunit era sentita come un grande ordinamento oggettivo, qui invece essa sentita come un vasto tessuto di rapporti personali, come un intreccio infinitamente vario di rapporti tra io e tu. L era richiesto il sacrificio della rinunzia all'autonomia personale nell'attivit religiosa; qui il sacrificio del proprio isolamento, di quello stare a s che compete alla vita personale. L si trat41

tava di inserirsi oggettivamente in un ordine stabilito, qui di vivere insieme con altri uomini. L si richiedeva umilt, qui si esige carit, un generoso aprirsi agli altri. In quel primo caso occorreva far proprio il contenuto spirituale presentatoci dalla liturgia; in questo secondo occorre partecipare alla vita degli altri membri del corpo di Cristo, includere le loro preghiere nelle proprie, sentire i loro bisogni come propri. Nel primo caso il noi era espressione d'una oggettivit dimentica di se stessa, in questo caso significa che colui che lo pronuncia estende agli altri il suo sentimento accogliendo insieme questi ultimi nella sua vita personale. L bisognava vincere la superbia che vuol rimanere in se stessa, la grettezza del particolarismo, che inorridisce al pensiero di far proprio l'ampio mondo dei fini e delle concezioni della comunit; qui occorre superare l'avversione per la vita estranea, materiale, che si svolge attorno a noi, la ritrosia ad aprire la propria interiorit, il sentimento di aristocrazia spirituale, di chi vuol stare solo con coloro che personalmente ha scelto, a cui spontaneamente si aperto. Un costante spirito di rinunzia dunque qui richiesto all'anima, un permanente uscire da s per gli altri, un amore grande che sia pronto a partecipare alla vita altrui, a farla propria. Tuttavia questo inserimento di se stessi facilitato da una particolarit della vita della comunit liturgica. Essa forma l'antitesi che integra le peculiarit pi sopra esposte. Chiamiamo individualistico, per fissar dei termini, l'atteggiamento spirituale da cui abbiamo preso le mosse. A esso si contrappone l'atteggiamento spirituale sociale che ovunque spinge alla comunit, che vive nel noi, altrettanto spontaneamente che 42

quello nel chiuso io. Quando agisca nel campo religioso, questo atteggiamento sociale cercher d'istinto persone dello stesso sentire; e invero questa propensione per la comunit religiosa sar caratterizzata da un impeto che alla liturgia estraneo. Basta solo ricordare le forme dell'influsso religioso e lo spirito di conventicola di certe stte. Qui i limiti tra le singole persone sono abbattuti al punto da violare e il riserbo intimo e talvolta anche quello esteriore. Questo indica naturalmente solo un estremo, che mostra per la tendenza inerente all'istinto sociale-religioso di siffatti temperamenti. Costoro, perci, non si troveranno a loro agio nella liturgia; sentiranno nella comunit liturgica qualcosa di freddo e di compassato. Dal che segue che la socievolezza della liturgia, per quanto piena e sincera essa sia, ben lontana dall'esigere l'illimitato sacrificio della propria personalit. La tendenza che porta alla comunit , nella liturgia, investita da una vigorosa controcorrente che assicura l'inviolabilit di certi limiti. Il singolo certamente membro del tutto, ma non solo membro: egli non vi si disperde completamente. Vi inserito, ma in modo tale che egli tuttavia rimane quello che , sussistente per s, personalit che riposa su se stessa. Questo si manifesta particolarmente nel fatto che l'unione dei membri non ha luogo immediatamente tra uomo e uomo, bens si compie nell'orientamento degli spiriti verso la stessa mta, nel loro riposare nella stessa finalit ultima ch' Dio, nella medesima professione di fede, nel medesimo sacrificio, nello stesso sacramento. Del tutto eccezionali sono nella liturgia i casi in cui il parlare e il rispondere, il gesto o l'azione sono immediatamente diretti da un membro della comunit liturgi43

ca all'altro 3 . E quando ci ha luogo molto istruttivo osservare quanto riserbati siano tali atti e da quali severe prescrizioni siano disciplinati. Il singolo non mai tratto a contatti troppo famigliari col suo vicino. sempre riserbata a lui la misura in cui ricercare la comunione spirituale in ci che li unisce ambedue, vale a dire in Dio, che loro sovrasta. Questo assai importante. Non necessario descrivere ci che avverrebbe se il sentimento della comunit liturgica si esprimesse immediatamente, senza regole, tra fedele e fedele. La storia delle stte , a questo riguardo, assai ricca di esempi istruttivi. Perci nella liturgia sono fissati dei limiti rigorosi tra persona e persona, che diffondono sulla vita comune un sentimento sempre vigile di riserbo, e la moderano in un mutuo rispetto. Nonostante ogni comunanza, l'uno non pu mai violare l'intimit dell'altro, ottenere influsso sulla sua preghiera e sul suo agire, imporgli le sue peculiarit e la sua sensibilit. La comunanza sta nei sentimenti, nei pensieri, nelle parole, nel dirigere gli occhi e il cuore alla stessa mta; essa consiste nel credere tutti alla medesima verit, nell'offrire tutti il medesimo sacrificio, nel mangiare tutti dello stesso pane divino; nell'essere tutti stretti in una misteriosa unit da un unico Dio e Signore. Tra di loro, per, come personalit determinate e concrete, non si usurpano reciprocamente il campo della intimit. unicamente questo atteggiamento, alla lunga, che rende possibile la comunit liturgica, la quale al3. Diversa la questione nei riguardi delle relazioni tra i credenti e le persone costituite in autorit. In questo caso tale legame costante e immediato.

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trimenti non sarebbe sopportabile. Per esso vien tenuto lontano dalla liturgia ci che fa volgari. Esso non fa sorgere mai nell'anima il sentimento d'essere stretti a forza con altre persone, d'essere minacciati nella propria autonomia e intimit spirituale. Se dunque si esige dal temperamento individualistico ch'esso accetti il sacrificio di stare con altri, cos al temperamento socievole si chiede che si adatti al contenuto riserbo di questa vita collettiva veramente distinta. Mentre i primi debbono apprendere a frequentare gli uomini e a riconoscere che essi sono soltanto uomini tra uomini, i secondi imparino a comportarsi in quel modo distinto e contenuto, che si conviene nella casa dell'altissima Maest divina.

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CAPITOLO TERZO L O STILE L I T U R G I C O

La parola stile pu essere innanzitutto intesa in un senso generale. In tal caso essa indica la particolare caratteristica che ogni strutturazione genuina e significativa (opera d'arte, personalit, costituzione politica) come tale, porta in s: l'aperto contrassegno del fatto che un elemento determinato della vita ha trovato la sua espressione verace ed esauriente. Ma questa piena manifestazione di s deve aver tale carattere che l'essere particolare ottenga con essa e in essa anche un significato universale, oltrepassante la sua cerchia limitata. L'essere di ogni individuo include, infatti, in s due elementi: uno singolare, peculiare, irriproducibile; l'altro universale, che sta in relazione con tutti gli altri individui della sua specie e perci testimonia, nella sua costituzione ontologica, dei tratti che sono pure comuni ad altri. Una cosa particolare tanto pi significativa quanto pi originaria e ricca di energia spontanea e quanto pi comprensivamente in grado nello stesso tempo di esprimere l'essenza universale che propria della sua specie 1 . Quando dunque una personalit, una creazione
1. L'essenza del geniale, della persona geniale e, in genere, della grande opera d'arte, sta nel fatto che essa possiede una originalit incommensurabile e tuttavia offre una interpretazione della vita umana di valore universale.

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dell'arte, una forma della vita sociale nel proprio essere e agire non solo esprimono persuasivamente come esse siano se stesse nella loro irripetibilit, ma insieme in questa loro peculiarit non rappresentino un arbitrario capriccio dell'essere, bens abbiano relazioni con la vita nella sua universalit, allora possiamo dire ch'esse possiedono dello stile. In questo senso la liturgia possiede certamente stile; n necessario spendere molte parole per mostrarlo. Ma la parola pu essere presa anche in un senso pi ristretto. Perch mai percepiamo pi vivamente la presenza dello stile dinanzi a un tempio greco che dinanzi a un duomo gotico? L'intima efficacia delle due creazioni ha la stessa forza di convinzione. Ognuna costituisce l'espressione perfetta d'una forma determinata nel senso dello spazio e delle masse. Ognuna rivela la peculiarit di un popolo e offre contemporaneamente una profonda visione dell'anima e, in senso assoluto, della realt universale. Eppure noi sentiamo dinanzi al tempio di Segesta uno stile pi vigoroso che dinanzi al duomo di Colonia oppure alla cattedrale di Reims. Perch? Per qual motivo alla persona di sensibilit non colta Giotto presenta uno stile pi intenso a confronto di Gr newald, certo non meno potente, se non pi grande? Oppure una statua di re egiziana a confronto delle mirabili figurazioni donatelliane di San Giovanni? La parola stile ha qui un significato particolare, giacch intesa nel senso che nella figura considerata il singolare passa in seconda linea lasciando emergere l'universale. Ci ch' contingente, condizionato rispetto al tempo e allo spazio; quanto val solo per certi 48

uomini determinati, per certi esseri particolari, respinto sullo sfondo da ci ch' necessario, o almeno pi necessario, da quanto vale per molte epoche, per molti luoghi e persone. L'individuale cos assorbito in notevole misura da ci ch' tipico. In un'opera di tale genere una complicata situazione spirituale, che potrebbe trovare la sua espressione solo in un confuso grido dell'anima oppure in un'azione irripetibile, viene semplificata e ricondotta alle potenze fondamentali dell'anima 2 . Perci essa si resa comprensibile a tutti; quel confuso ribollimento di emozioni stato ridotto a una forma costante di motivazione psichica. E, divenuto cos trasparente, pu chiarire anche ad altri l'intreccio di cause ed effetti quale appare a ciascuno nella propria vita. Nell'avvenimento storico e singolare vien fatta emergere la significazione permanente e universale della vita. La personalit che s' presentata in un momento unico del tempo e dello spazio assurge a personificazione di caratteristiche comuni alla specie. L'emozione irrequieta e arbitraria nei suoi sviluppi vien disciplinata ed equilibrata. Mentre, per l'innanzi, essa era legata totalmente a condizioni date, a un determinato temperamento, ora essa pu fino a una certa misura essere rivissuta da ognuno 3 . Cose, arredi, utensili vengono spogliati dal loro aspetto casuale, liberati nelle forme essenziali, chiariti nella loro finalit pratica, potenziati nella loro capacit espressiva per determinati sentimenti o pensieri. In una parola: mentre l'una forma d'arte cerca di dar espressione

2. Cfr. ad esempio la psicologia di drammi moderni: Gli spettri con le tragedie antiche, per esempio l'Edipo. 3. Cos sorgono le forme di cortesia.

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proprio all'individuale, l'altra mira invece a far risaltare ci che ha un significato universale! La semplice realt che si presenta sempre particolare trasfigurata in modo da farne emergere il tipico, vale a dire, essa sublimata nella forma, stilizzata. E noi percepiamo lo stile, nello stretto senso della parola, l dove la confusa variet della vita ha subito tale semplificazione, dove la sua normativa interiore sottolineata e dove dal particolare tratta una significazione universale. Certo, una linea non facile a tracciarsi separa lo stile dallo schema. Se la trasvalutazione formale spinta all'eccesso, se la concezione viene elaborata in base a concetti e regole anzich scaturire da una necessit interiore, se infine la forma non nasce dalla vivida intuizione ma escogitata e calcolata, allora si ottiene una figura ch' solo generica e perci vuota e morta. Il vero stile, anche nelle sue forme pi severe, conserva la forza suggestiva di un'espressione matura. Solo ci ch' vivente ha stile: il mero cerebralismo, il nudo schema non ne possiede affatto. La liturgia (almeno nella gran parte dell'ambito suo) possiede stile nel senso stretto. Essa non l'espressione immediata di un atteggiamento spirituale determinato nei suoi pensieri e detti, e neppure nei suoi movimenti, nelle sue azioni, nei suoi arredi. Si confrontino gli Oremus delle Messe domenicali con le preghiere di un Anselmo di Canterbury ovvero di un Newman, il contegno del sacerdote all'altare con gli involontari movimenti di una persona in preghiera che si creda inosservata; si paragonino le prescrizioni della Chiesa sull'arredamento dell'altare, sugli oggetti di culto e i paramenti sacri col modo in cui il popolo adorna le sue Chiese oppure si abbiglia per sacre festi50

vita; il canto corale gregoriano con la canzone religiosa del popolo. Nell'ambito della liturgia la forma religiosa di espressione, si tratti di parole o di gesti, di colori e oggetti, sempre spogliata, fino a una certa misura, della sua particolarit individuale, intensificata, composta, elevata a una significazione universale. A questo hanno contribuito molte cose. Innanzi tutto il lungo trascorrer del tempo, che ha sempre meglio smussato, limitato, adeguato le forme liturgiche. In secondo luogo deve essere tenuta in conto l'azione fortemente generalizzatrice del pensiero teologico. Infine, pure l'influsso dello spirito greco-latino, la sua specifica propensione allo stile nello stretto senso della parola, ebbe particolare importanza. Se ora si riflette che queste forze creatrici di stile si esplicarono non nell'espressione della vita religiosa di un singolo individuo, bens in un'unit sociale della grandezza, compattezza e forza di coscienza sociale ch' propria della Chiesa cattolica; se si considera che la vita tanto multiforme di quest'ultima era tutta protesa verso l'Al di l, che essa si mise con decisione sulla via che conduce oltre questo mondo alla sfera del Soprannaturale e perci fin da principio si segn del sigillo dell'eterno, del sublime, del sovrumano; se si afferra tutto ci, si comprende come venissero poste e date in tal modo tutte le condizioni preliminari della creativit stilistica pi possente. Necessariamente qui doveva maturare uno stile sublime di vita religiosa. E in realt questo avvenuto. Se poi si considera la liturgia nel suo complesso e nei suoi elementi essenziali non invero nella forma trascurata in cui talora si presenta, ma cos come dovrebbe essere in momenti felici si potr percepire la meraviglia di uno sti51

le addirittura grandioso. Si vedr e sentir come un mondo interiore di un'ampiezza e profondit immensa si qui creato la sua espressione, una espressione cos ricca, di tale pienezza e insieme di tanta chiarezza e universalit, quale mai altrove si offerta. Stile pertanto, nel senso specifico della parola, chiaro discorso, movimento misurato, disposizione severamente elaborata dello spazio, degli oggetti, dei colori, dei suoni; derivazione di tutto (pensieri, parole, gesti, immagini) dalle forze elementari della vita spirituale, cos da assicurare all'espressione ricchezza, variet e insieme trasparenza. E la severit di questo stile ancor pi accentuata dal fatto che la liturgia della parola in una lingua che sottratta all'uso quotidiano; ed anzi classica4. Da tutto ci riesce evidente quale forza suggestiva possieda la forma liturgica d'espressione; come essa riesca, per il fedele che la comprende, una scuola di formazione religiosa e debba apparire anche all'esterno un prodotto culturale nobilissimo. Non si deve negare per, che queste propriet della liturgia presentano a ogni uomo, specialmente a quello d'oggi, grandi difficolt. Egli specialmente quando ha un temperamento indipendente vuole che la preghiera sia espressione immediata del suo stato d'animo. E invece egli deve accogliere un mondo di pensieri, preghiere, azioni religiose come espressione della sua vita interiore, espressione che nella sua universalit gli riesce troppo ampia, che perci non gli si conf. La sente di conseguenza fredda, quasi vuota. E di questo ha particolare consapevolez-

4. Prima del Vaticano II (n.d.r.).

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za quando la confronta con una preghiera che erompe con freschezza sorgiva dell'animo. Le formule liturgiche non conquidono immediatamente, come farebbero le parole di una persona spiritualmente affine; gli atti liturgici non parlano cos immediatamente come i movimenti irriflessi di commozione, in una persona dal temperamento simile al nostro; i moti del cuore nella liturgia non trovano una rispondenza cos facile come uno slancio religioso, che sale spontaneo dall'anima. Specie all'uomo moderno che cos sensibile a tutto ci che riguarda la vita individuale e che dovunque cerca il profumo della terra e in ogni cosa guarda al tono personale, proprio all'uomo moderno queste forme limpide susciteranno facilmente l'impressione del gelo. Costui facilmente trover schematiche le parole e i gesti freddamente regolamentari. Pu cos avvenire di frequente che egli si rifugi in preghiere e pratiche devote, che rimangono molto inferiori in valore religioso alla liturgia, ma che, per, ai suoi occhi sembrano presentare un pregio: quello di scaturire dal proprio tempo, oppure dall'anima di persone spiritualmente affini. Chi vuol poi abbracciare questo problema in tutta la sua ampiezza, deve rilevare come la figura del Signore si presenti nella liturgia e come invece si presenti negli Evangeli. In questi tutto vita individualizzata; il lettore respira il profumo della terra; avverte i segni di un determinato tempo, vede Ges camminare per le strade, muoversi tra la folla; ascolta le sue parole inimitabili e cos convincenti, le sente riversarsi da cuore a cuore. Tutto l'incanto di ci che storicamente vivo diffuso intorno alla figura del Signore: Egli veramente uno di noi, una determinata persona, pro53

prio Ges, il figlio del falegname, che abitava a Nazareth, in quella determinata contrada, portava quel certo vestito, parlava cos e cos. E questo proprio ci di cui l'uomo moderno assetato. Questo ci che lo allieta tanto profondamente: il fatto che in questa figura storica abita tuttavia la Divinit eterna e infinita in forma viva, personale, essenzialmente unita cos che Egli vero Dio e vero uomo nel senso pi pieno della parola. Quanto diversamente ci parla nella liturgia la figura di Ges! Qui Egli il Mediatore pieno di maest tra Dio e l'uomo, l'eterno supremo sacerdote, il Maestro divino, il giudice dei vivi e dei morti, Colui che celato nel Sacramento, Colui che nel suo corpo stringe in modo misterioso tutti i fedeli nella grande comunit di vita nella Chiesa, il Dio-Uomo, la Parola che si fatta carne. Cos Egli si presenta nella Messa, cos nelle preghiere liturgiche. L'umano involontariamente vien sulle labbra l'espressione teologica la natura umana certamente del tutto salvaguardata; le lotte contro Eutiche non vennero combattute invano. Egli vero e perfetto uomo, con anima e corpo, e realmente ha vissuto; ma del tutto trasfigurato in gloria dalla Divinit; investito dalla luce dell'eternit, sottratto alla storia, al di l del tempo e dello spazio. Egli il Signore che siede alla destra del Padre, il Cristo mistico, che continua a vivere nella sua Chiesa. Si obietter che nei vangeli delle Messe si legge pure l'intera storia della vita di Ges. Certamente. Se si cerca, per, di percepire con attenzione e di immedesimarsi nell'azione, questi racconti appaiono illuminati in una maniera particolare dal complesso in cui si trovano. Essi sono un brano della Messa, del My 54

sterium magnum, immersi nel sacro mistero, inseriti nel complesso della corrispondente officiatura domenicale del proprio tempo, nel grande sistema dell'anno liturgico, trascinati dal moto possente verso l'Al di l che pervade l'intera liturgia. Cos ci ch'essi contengono viene parimenti stilizzato; noi li udiamo nel linguaggio straniero e li sentiamo cantati in tono corale. Vien da s di badare non tanto ai tratti particolari ch'essi contengono quanto al significato eterno, sovrastorico che hanno. Con il che, per, la liturgia non ha falsificato la figura evangelica di Cristo, come per esempio il protestantesimo rimprovera alla Chiesa. Con questo essa non ha posto in luogo del Ges vivente una rigida immagine concettuale. Gi gli Evangeli lasciano emergere, ciascuno secondo lo scopo particolare della propria narrazione, pi vigorosamente, ora questo ora quell'aspetto della personalit e dell'azione di Ges. E di fronte alla figura dei sinottici, che lo rappresentano a preferenza nella sua realt umilmente umana, emerge gi nelle lettere di San Paolo il Signore che misticamente continua a vivere nella sua Chiesa e nell'anima dei credenti. Il Vangelo di San Giovanni mostra la Parola, che si fatta Carne e infine l'Apocalisse ci tratteggia il Signore nella sua gloria eterna. Ma neppur qui esclusa la sua realt umana e storica, bens sempre presupposta e abbastanza di frequente espressamente sottolineata 5 . La liturgia non ha dunque fatto nulla di diverso da quanto fece la stessa Sacra Scrittura. Essa, senza sacrificare neppure un
5. Cos, ad esempio, sin dalle prime parole del prologo dell'Evangelo giovanneo e della prima lettera di San Giovanni.

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piccolo tratto del Cristo storico, per i suoi speciali intenti religiosi, ha messo in rilievo maggiormente il sovratemporale nella sua figura. Poich la Liturgia non una semplice commemorazione di quanto un giorno fu, bens un vivo presente: la vita permanente di Ges Cristo in noi e dei credenti in Cristo, nel Cristo Uomo-Dio eternamente vivente. Ma appunto perci perdura la difficolt spirituale; ed bene metterla in chiara luce. Specialmente l'uomo d'oggi la sente in modo acuto. Pi di uno ubbidendo al suo primo impulso sacrificherebbe il pi luminoso concetto teologico pur di vedere Ges camminare per le strade, pur di percepire con quale accento si rivolgeva ai suoi discepoli. E rinuncerebbe alla pi splendida preghiera liturgica, qualora potesse udire come Ges gli rivolgerebbe il discorso e potesse dire allo stesso Ges una parola dal profondo del cuore in un vivo colloquio diretto. Dove si trova il motivo che permette di superare queste difficolt? Nella constatazione che non affatto permesso contrapporre la vita religiosa individuale con tutta la sua personale determinatezza alla vita liturgica con la sua stilizzazione. Non si pu imporre: questo o quest'altro, bens l'uno e l'altro in viva collaborazione. Nella preghiera individuale noi ci eleviamo a Dio con le peculiarit del tutto singolari del nostro essere, e usiamo le parole che proprio le nostre disposizioni e le nostre esperienze ci suggeriscono. Questo un nostro buon diritto che la Chiesa l'ultima a volerci contestare. Qui noi viviamo la nostra propria vita, noi siamo, per cos dire, soli con Dio. Qui Egli proteso verso di noi cos come verso nessun altro; qui vera56

m ente Egli per ciascuno proprio il suo Dio; poich questo appunto costituisce la infinita ricchezza di Dio, che Egli pu essere per ognuno il suo Dio, a ognuno nuovo, non appartenente all'uno allo stesso modo che all'altro. Il linguaggio che usiamo qui s'adatta perfettamente a noi, e molte delle sue parole verosimilmente valgono solo per noi. Le possiamo pronunziare tranquillamente perch Dio le comprende; e, all'infuori di Lui, non v' persona alcuna, che debba comprenderle. Ma noi non siamo soltanto esseri individuali: facciamo parte anche di una comunit. Non siamo solo storia; bens qualcosa di noi appartiene anche all'ordine intemporale. a quest'ultima esigenza che provvede la liturgia. In essa noi preghiamo come membri della Chiesa; in essa ci eleviamo al regno eterno che al di sopra dei singoli e, perci, a tutti accessibile; a tutti i temperamenti, a tutte le et, a tutti i luoghi. Ma per quest'ordine di cose lo stile della liturgia, oggettivo, limpido, accessibile a tutti , anche l'unico possibile. Ogni altra forma di preghiera che procedesse da una sensibilit speciale riuscirebbe di sicuro inaccessibile a chi possedesse una sensibilit diversa. Soltanto uno stile della vita e del pensiero che sia veramente cattolico, vale a dire universale, oggettivo, pu essere accolto da ognuno senza sospetti di violenza spirituale. Non certo con ci escluso ogni sacrificio; ognuno deve farsi violenza, deve superarsi. Ma in tal modo egli non si perde, bens al contrario si fa pi libero, pi ricco, pi versatile. Ambedue le forme di preghiera devono svolgersi in mutua armonia, giacch stanno in vivo rapporto scambievole. L'una riceve fecondit e luce dall'altra.
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Nella liturgia l'anima apprende a muoversi nell'ampio mondo delle realt religiose oggettive: e qui essa acquista se lecito il paragone quella libert, quella contenuta nobilt di atteggiamenti e movenze interiori che impara, nell'ambito delle relazioni puramente naturali, quando frequenta una societ veramente distinta di persone, che si comportano secondo un'antica tradizione di correttezza sociale. Si educa a quella ampiezza di sensibilit e limpidezza di espressione spirituale che il risultato di un intimo commercio con le grandi opere d'arte. In poche parole: l'anima nella liturgia acquista il grande stile della vita religiosa. Cosa questa che non si pu mai apprezzare abbastanza. D'altra parte proprio la Chiesa non si stanca mai di ammonire e lo mostra l'esempio dell'ordine vivente nella liturgia che accanto alla vita liturgica deve esplicarsi non meno fervida la devozione privata, nella quale l'anima si abbandona tutta, cos com', nelle sue disposizioni particolari. Il che col tempo conferisce anche alla sua vita liturgica calore e colorazione personale. Se la devozione personale mancasse, se la liturgia fosse l'unica forma della vita religiosa, questa rischierebbe facilmente di diventare un freddo sistema di cerimonie; ma se vien meno la liturgia, le conseguenze non devono essere meno fatali.

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CAPITOLO QUARTO

IL SIMBOLISMO L I T U R G I C O

Nella liturgia il credente incontra un mondo ricco di segni e immagini dense di contenuto: gesti, movimenti, azioni, oggetti, luoghi e tempi significativi e via dicendo. Dinanzi a essi sorge il problema: quale significato ha mai tutto questo nelle relazioni tra l'anima e Dio? Dio al di l di ogni spazio; cosa ha Egli a che fare con minute prescrizioni riguardanti lo spazio? Dio al di sopra di ogni tempo; che valore ha per le relazioni con Lui tutta la divisione e distribuzione del tempo, a cominciare dalle ore liturgiche fino all'anno ecclesiastico? Dio assoluta semplicit: come lo possono riguardare movimenti, azioni, oggetti rituali? Ma rinunciando ad approfondire oltre la questione, e accontentandoci di riaffermare che Dio Spirito, non possiamo elevare questo dubbio: pu, in genere, quanto materiale avere un significato nelle relazioni tra l'anima e Dio, puro spirito? Non fatale che codesto elemento materiale falsi e abbassi tali relazioni? E, pur concedendo che l'uomo costituito di anima e di corpo, ch'egli pertanto non essendo puro spirito, deve subire influssi da parte del corpo nella sua vita spirituale, non costituisce questo una deficienza, cui opporsi? Non deve essere compito del vero culto di elevarsi a una adorazione di Dio in spirito e verit e di tende59

re, per lo meno nei limiti del possibile, a eliminare il corporeo e il materiale? Anche tale problema conduce al cuore di ci ch' la liturgia. Che valore ha mai per noi l'elemento materiale come mezzo di ricezione e di traduzione di realt spirituali, come mezzo di impressione ed espressione spirituale? Il nucleo pi intimo della questione sta nel modo in cui l'io vive nell'ambito del proprio essere spirituale materiale, nel rapporto tra anima e corpo. In una forma determinata di questa esperienza di s lo spirito si presenta fortemente distinto dal corporeo. Lo spirituale appare un mondo in s chiuso, che si trova al di qua, o meglio, al di l del corporeo e con questo ha poco o nulla a che fare. Spirituale e corporeo sono sentiti come due ordini di realt, che stanno l'uno accanto all'altro, fra i quali esiste, s, un commercio, ma tale soltanto, che sembra pi un passaggio o trasposizione dall'uno all'altro che una immediata collaborazione reciproca. una concezione spiritualistica che ha ricevuto la sua espressione metafisica estrema per esempio nella monadologia di Leibniz e quella psicologica nella dottrina del parallelismo psicofisico. chiaro che, su queste basi, all'elemento corporeo pu essere attribuito solo un significato pi o meno contingente nei riguardi dello spirito. Il corporeo s unito con lo spirituale, questo ha s pure bisogno di quello, ma, per la specifica vita del secondo, il corporeo non deve assumere importanza. Lo spirito deve sentirlo come un impedimento e una contaminazione. Ci che esso cerca la verit, l'impulso morale, il bene religioso, Dio e il divino esso si sforza di rag60

giungerlo per via meramente spirituale. E anche se non ignora che ci gli irraggiungibile, s'affatica tuttavia ad avvicinarsi alla pura spiritualit, almeno quanto possibile. Il corporeo per un uomo siffatto una tara, un'imperfezione che fatalmente trova in s e cerca di eliminare. Nel caso migliore egli attribuisce al corporeo una certa importanza esteriore, lo accoglie quale mezzo di spiegazione dell'elemento spirituale, come esempio, come allegoria; ma sempre con la piena consapevolezza di far propriamente una concessione inammissibile. E coerentemente il corpo non sar per lo spirito neppure organo adatto a esprimere adeguatamente la sua vita interiore. Anzi, esso non avr neppure l'esigenza di esprimere in forme sensibili il contenuto della sua vita spirituale, giacch per esso lo spirituale riposer in se stesso, oppure s'esprimer nella semplicit dell'atto morale o della nuda parola. La persona che ha tale disposizione deve incontrare grosse difficolt nella liturgia. Essa inclina naturalmente a una piet severamente spiritualistica che cerca di respingere il corporeo, di dare una forma al possibile semplice e nuda a ogni manifestazione dell'animo, e attribuisce il massimo valore alla mera parola come alla forma spirituale della comunicazione. A questo temperamento spirituale se ne contrappone un altro. Per questo spirituale e materiale si trovano intimamente uniti; anzi esso inclina a una fusione dei due domini. Se quello tende a separare il corporeo lo spirituale, questo si sforza invece di ridurli all'unit. Per codesto tipo l'anima diventa facilmente il semplice aspetto interiore del corpo; il corpo l'aspetto esteriore, la condensazione, la sensibilizzazione dell'anima. Ogni realt spirituale trapassa immediatamente e si traduce in condizioni o movimenti cor61

porei; ogni azione esterna sentita immediatamente anche come qualcosa di spirituale. Questo sentimento dell'unit fondamentale di corpo e spirito pu dilatarsi anche oltre l'ambito della propria personalit e accogliere in s anche le cose esteriori. Allo stesso modo che queste vengono facilmente considerate quali rivelazioni di un contenuto spirituale, cos possono anche essere valorizzate quale mezzo di espressione per la propria vita interiore. In tal maniera si possono vedere espresse negli oggetti, nelle vesti, nelle istituzioni sociali, nelle cose della natura, anzi nella realt universale, condizioni, desideri, aspirazioni, lotte del proprio intimo essere. Una concezione spirituale di questo tipo sembra a prima vista avere relazioni pi strette con la liturgia. Essa infatti sente assai pi immediatamente la forza comunicativa del movimento e dell'azione liturgica come pure degli oggetti liturgici e riesce assieme con facilit a servirsi di questi fenomeni esteriori quali espressioni della propria vita interiore. Eppure anche a essa la liturgia presenta le sue difficolt. Dove lo spirituale e il corporeo sono sentiti come qualcosa che trapassa l'uno nell'altro, che si presenta ora nell'una e nell'altra forma, riesce difficile legare la manifestazione del proprio intimo a forme d'espressione determinate, collegare certe forme, azioni, oggetti e significati espressivi nettamente definiti. La vita interiore un perpetuo fluire, si muta a ogni istante. Codesta mentalit non pu creare nessuna forma espressiva chiaramente e nettamente definita, giacch per essa manca una vera e propria separazione tra spirito e corpo. E non meno difficile riesce a una persona cos orientata leggere in date forme di comunicazione sempre gli stessi contenuti; essa sente piuttosto il loro messaggio come cosa 62

sempre nuova e diversa, in dipendenza dalle proprie disposizioni del momento 1 . In altre parole: nonostante la stretta relazione in cui stanno, in questo tipo psichico, il corporeo e lo spirituale, a esso manca tuttavia la capacit di legare certi contenuti spirituali a forme esteriori determinate: si tratti di esprimere il proprio intimo o di accogliere e comprendere un pensiero o stato d'animo altrui che venga dal di fuori. Il che significa che a esso difetta un elemento necessario della potenza simbolizzatrice. Quel temperamento spirituale che abbiamo descritto per il primo (lo spiritualistico) non sapeva raggiungere il simbolo, per la propria incapacit di cogliere l'intima relazione che stringe insieme lo spirituale e il materiale. Esso sapeva, s, distinguere, delimitare, ma lo faceva in misura troppo grande, al punto che le relazioni andavano perdute. Il secondo tipo di sensibilit descritto possiede la capacit di questa relazione; giacch per esso l'interiore si riversa immediatamente nella forma esteriore. Gli manca, per, il senso della distinzione e della distanza. Invece, relazione e distinzione sono ambedue necessarie a creare un simbolo 2 .

1. Di qui la tendenza propria di siffatti temperamenti a evadere dalla Chiesa con le sue forme nettamente definite e a rifugiarsi nella natura, per cercarvi una espressione adeguata alla loro sensibilit indeterminata e cangiante e per trarre dalla natura quell'eccitamento di cui sentono l'esigenza. 2. Per tutta la questione cfr. R. G uardini, Liturgische Bildung, Rothenfels 1929 [tr. it. Formazione liturgica, OR, Milano 1988]. Su tutta l'analisi del simbolo presentata qui, debbo dire ora che essa rimane totalmente sul piano psicologico-razionale. La pi recente indagine storica e sistematica sul simbolo offre importanti indicazioni per il lavoro da svolgere. Certo non si dovrebbe dimenticare che quest'ultimo tipo d'analisi completamente naturalistico e non ha alcuna notizia n della persona autentica n dello pneuma. Il compito dovrebbe essere contemporaneamente critico e costruttivo.

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Un simbolo sorge quando qualcosa d'interiore, di spirituale, trova la sua espressione nell'esteriore, nel corporeo; non quando, come nell'allegoria, qualche realt spirituale arbitrariamente collegata dall'esteriore corrispondenza a qualcosa di materiale, come ad esempio la giustizia alla figura della bilancia. Ci ch' interiore deve piuttosto tradursi nell'esteriore vitalmente, con necessit che scaturisce dalla sua essenza. Cos il corpo il simbolo naturale dell'anima, cos un movimento spontaneo simbolo di un fatto psichico. Inoltre il simbolo nella pienezza del suo significato richiede d'essere chiaramente definito, cos che la sua forma espressiva non possa valere anche per qualcosa d'altro. Esso deve parlare un linguaggio limpido e ben determinato e perci tale che, presupposte le condizioni normali, riesca a tutti comprensibile. Il vero simbolo sorge quale espressione naturale di uno stato d'animo reale e specifico. Cos, una volta configurato, possiede contemporaneamente una validit generale non di rado assai ampia, a tutti comprensibile e piena di significato ma insieme, come l'opera d'arte, deve innalzarsi al di sopra del puramente individuale. Deve esprimere non contenuti psichici unici e irripetibili, ma dire qualcosa sull'anima in universale, sulla vita dell'uomo in se stessa. Affinch sorga pertanto un simbolo genuino, debbono, al momento giusto, collaborare ambedue le complessioni psichiche che abbiamo pi sopra descritte. L'accordo perfetto pu risultare solo dal vitale intreccio dei due motivi: dello spirituale e del materiale. Contemporaneamente lo spirito deve dominare con sguardo vigile e chiaroveggente ogni linea della sua creazione, discernere con sicurezza, delimitare
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con fine sensibilit, ponderare illuminatamente, affinch determinati contenuti spirituali ottengano la loro inequivocabile espressione sensibile. E questa figurazione simbolica ha tanto maggior valore e tanto pi merita il suo nome, quanto pi universalmente valida, pura, limpida, esauriente riuscita la compenetrazione della forma sensibile da parte del rispettivo contenuto spirituale. Allora si svincola dalla creatura singola, da cui era scaturita dapprima, e diviene patrimonio della comunit; e ci accade in tanto maggior misura, quanto pi profonda la vita da cui sorta e quanto pi chiara, per cos dire, necessaria, la forma che ha assunta. Questa forza simboleggiatrice si manifestata ad esempio nella creazione delle forme fondamentali di tatto. In esse rientrano le maniere in cui l'uno manifesta all'altro la sua riverenza o simpatia, quelle con cui si esprime il mondo interiore della vita sociale e simili. Vengono poi cosa particolarmente significativa per il nostro assunto i gesti religiosi: il fatto, cio, che l'uomo nell'emozione religiosa si inginocchia, si inchina, congiunge o stende le mani, allarga le braccia, si batte il petto, offre qualcosa, e via dicendo. Questi gesti elementari possono svilupparsi pi riccamente oppure intrecciarsi e combinarsi l'un con l'altro. Sorgono cos molteplici gesti cultuali, ad esempio il bacio della pace o la benedizione. Oppure pensieri determinati trovano la loro espressione in movimenti adeguati, come la fede nel mistero della redenzione, nel segno della croce. Da ultimo un'intera serie di tali movimenti pu combinarsi, dando luogo all'azione rituale, in cui una realt spirituale riccamente sviluppata ottiene un'espressione concreta, plastica: per
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esempio un sacrificio. Nell'atto, pertanto, in cui si compie quell'estensione del sentimento di s alle cose che stanno fuori dell'ambito personale di cui gi parlammo, emerge nel simbolo il momento materiale. Le cose intensificano la forza espressiva del corpo e dei suoi movimenti; sono, per cos dire, un ampliamento dell'ambito del corpo oltre i suoi confini naturali. Cos avviene quando in un'azione di offerta il dono presentato non sulla semplice mano bens sopra un piatto. La superficie del piatto accentua l'effetto espressivo della palma della mano, e ne risulta per cos dire un piano dilatato e aperto verso l'alto, verso la Divinit, che spicca potentemente di contro alla linea verticale del braccio. Oppure si consideri la nuvola d'incenso che sale ondeggiando; essa accentua l'espressione del protendersi verso il cielo, che insita nelle mani dei fedeli e nei loro sguardi drizzati verso l'alto. La colonna del cero che si drizza snella, verso la cima lievemente si assottiglia, sul cui vertice brilla la fiamma, e che bruciando si consuma, personifica il sentimento dell'offerta, presentata volontariamente con nobile disposizione dell'animo. A codesta creazione del simbolo hanno dunque parte ambedue i temperamenti considerati. L'uno, mediante il suo sentimento dell'affinit esistente tra spirituale e corporeo, offre, per cos dire, la materia, quale prima condizione preliminare della creazione simbolica. L'altro vi contribuisce con la sua capacit di distinzione e la sua consapevolezza della distanza tra i due domini, assicurando chiarezza e determinazione formale. Pure ambedue incontrano nella liturgia difficolt che contrastano con la loro natura. Ma poich ambedue hanno collaborato alla creazione dei simbo66

li liturgici, essi possono anche superare queste difficolt, appena il credente si sia convinto della dignit obbligante, almeno in certo modo, della liturgia. Per temperamenti della prima categoria si tratta di limitare una spiritualit esagerata, di riconoscere l'effettiva affinit del corporeo con lo spirituale, di aprire l'animo proprio alla ricchezza che si cela nei simboli liturgici. Essi devono uscire dal loro riserbo, vincere la ritrosia con cui si cautelano da ogni espressione dello spirituale nel materiale, accogliere infine realmente quest'ultimo quale organo capace di rivelare la vita interiore. Questo sacrificio assicurer un arricchimento e un calore tutto nuovo alla loro sensibilit. I tipi dell'altra specie devono invece sforzarsi di arginare l'esuberanza della loro sensibilit, di contenere in limpide forme quanto v', in loro, d'indeterminato e di fluido. Per costoro, assai importante riconoscere che la lingua nei suoi simboli immune da ogni materialismo 3 , che le forme naturali spontanee nella liturgia appaiono tutte trasformate (si riveda quanto si disse pi sopra intorno allo stile) in forme riflesse di cultura. Cos per tali temperamenti il mondo di immagini proprio della liturgia assurge a una scuola di misura e di disciplina spirituale. Chi partecipa con vera dedizione alla liturgia pu sperimentare che in genere il materiale, movimento e azione corporea, possiede effettivamente un grande
3. Come invece non accade nei culti naturalistici, le cui cerimonie si svolgono immediatamente nella stessa natura, nella foresta, sulla riva del mare, e via dicendo. La liturgia, al contrario si dispiega in edifici elevati dalla mano dell'uomo. Sarebbe compito di una ricerca particolare e assai interessante l'investigare come i suoni, le forme, le cose naturali siano assurti a elementi cultuali.

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significato. Esso ha grandi possibilit di suscitar impressioni, suggerir conoscenze, intensificare l'esperienza religiosa, rendere una verit pi efficace e convincente della semplice parola. Possiede esso, quindi, anche un'efficacia liberatrice, in quanto permette alla vita interiore un'espressione pi adeguata di quel che lo possa la mera parola 4 .

4. (La concreta applicazione di questi princpi alle cose e ai riti della liturgia Guardini ce l'ha offerta nel breve saggio I santi segni, che segue in questo volume: essi sono lo sviluppo degli accenni ai gesti cultuali di cui pi sopra a pp. 65-66.)

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CAPITOLO QUINTO

LA LITURGIA C O M E G I O C O

Certe nature gravi e serie, tutte rivolte alla ricerca e alla contemplazione della verit, che in ogni cosa vedono il compito morale e dovunque cercano il fine, incontrano facilmente nella liturgia una difficolt singolare. La liturgia appare loro facilmente come qualcosa senza scopo, un cumulo superfluo di cose, una realt inutilmente complicata, artificiosa. Costoro si scandalizzano che la liturgia fissi con tanta minuziosit ci che si deve compiere prima e ci che deve avvenire dopo, se a destra o a sinistra, ad alta voce o piano. A che scopo tutto ci? L'essenziale nella Santa Messa, l'offerta e la consumazione del cibo divino, pu essere compiuto cos semplicemente: perch tale grande spiegamento di un rituale levitico? Le necessarie consacrazioni potrebbero essere fatte cos semplicemente con poche parole, i sacramenti essere amministrati senza complicazioni rituali: a che pr o ' tutte quelle preghiere e cerimonie? La liturgia pu avere per costoro un carattere di gioco e di teatralit. Questo problema si deve prendere sul serio. Esso non si presenta a tutti; ma non appena affiora, costituisce sempre la rivelazione di un temperamento spirituale inteso all'essenziale. Esso sembra aver stretta relazione con la questione dello scopo in assoluto. Scopo, in senso proprio, noi denominiamo quel principio d'ordine, per cui cose e azioni si subordinano le une alle altre, in modo che l'una serva all'altra, l'una si presen69

ti in funzione dell'altra. Ci ch' subordinato, il mezzo, ha significato solo in quanto in grado di servire a ci ch' sopraordinato, allo scopo. Chi agisce non s'indugia spiritualmente in esso, giacch per lui costituisce solo un passaggio ad altro, via che conduce allo scopo, dove propriamente stanno la mta e il riposo. Da questo punto di vista ogni mezzo deve saperci assicurare se e in che limiti in grado di portarci allo scopo. Questo esame ha per intento di escludere tutto ci che non appartiene alla cosa, ci che marginale, superfluo. Domina qui il principio economico di raggiungere il fine nel modo pi perfetto possibile col minore impiego di forza, tempo e materia. Il corrispondente stato d'animo caratterizzato da una certa febbrilit, da una tensione senza riguardo e da una rigida oggettivit. Questo atteggiamento spirituale legittimo e necessario nella totalit della vita. Le assicura seriet e salda direzione. Corrisponde anche alla struttura della realt nella misura in cui ogni cosa in certo modo cade sotto il punto di vista dello scopo. Molti dati di fatto possono essere giustificati quasi totalmente dal punto di vista dello scopo, come ad esempio, la vita economica e i processi della tecnica; tutti poi possono esserlo almeno in parte e per qualche riguardo. Nessun fenomeno, per, cade esclusivamente sotto questo concetto; di molti, anzi, solo una piccola parte. Ovvero, per dir meglio: ci che assicura alle cose, ai processi il diritto dell'esistenza e la giustificazione della loro peculiarit , per talune, non solamente, per altre, non certo in prima linea, la loro attitudine a uno scopo. Le foglie e i fiori hanno uno scopo? Certamente, giacch sono organi delle piante; ma a tale scopo essi non devono assumere proprio quella forma, quel colore, quel profumo determinato. A che 70

scopo pertanto la prodigalit di forme, colori, profumi della natura? A che pr o ' la molteplicit delle specie? Le cose potrebbero andare anche con maggior semplicit. L'intera natura potrebbe essere piena di esseri, la cui riproduzione potrebbe essere ottenuta in una maniera assai pi rapida e funzionale. L'indiscriminata applicazione del finalismo alla natura non rimane per nulla immune da contestazioni. E per approfondire maggiormente il problema: quale scopo deve avere in genere l'esistenza di questa o quella pianta, di questo o quell'animale? Forse quello di servir da nutrimento ad altri? Certo no! Se noi applichiamo soltanto il criterio dell'esteriore funzionalit, troviamo che molte cose della natura sono funzionanti solo in parte, e nessuna utile in tutto e per tutto. Molte cose anzi, alla luce di questo criterio, appaiono senza scopo. In una creazione della tecnica, sia una macchina o un ponte, tutto risponde a uno scopo: altrettanto in un'impresa commerciale, nella burocrazia d'uno Stato; eppure neanche per queste cose il concetto della finalit basta a risolvere tutti i problemi relativi al loro diritto di esistere 1 . Se, pertanto, vogliamo renderci pieno conto della cosa, dobbiamo assumere un angolo visuale pi ampio. Il concetto di scopo pone il centro di gravit d'una cosa al di fuori e al di l di essa; tale concetto la considera quale tramite per un movimento che va oltre e precisamente si dirige alla mta. Ogni cosa, pertanto, anche e taluna lo quasi del tutto un quid a s stante, uno scopo a s, nella misura in cui si pu applicare ancora questo concetto in tale pi ampia significazione, cui si adatta

1.

Cfr. R. Schwarz, Wegweisung der Technik, Potsdam 1929.

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meglio il concetto di senso. Tali cose non hanno scopo nella stretta accezione della parola; hanno per un senso. E questo senso mostrato, non dal fatto ch'esse producono fuori di s un effetto ovvero contribuiscono alla costituzione o alla modificazione di qualcosa d'altro, bens il loro significato consiste nel loro essere quello che sono. Nella rigorosa accezione dei vocaboli, esse sono senza scopo, ma piene di senso. Scopo e senso sono i due modi di presentarsi del fatto che una cosa esistente ha motivo e diritto al proprio essere. Dal punto di vista dello scopo, una cosa si inserisce in un ordine che va oltre di essa; nei riguardi del senso, essa riposa in se stessa. Qual ora il senso di ci che ? D'esistere e d'essere un riflesso del Dio infinito. E qual il senso di ci che vive? Di vivere, esplicare l'intima essenza propria, di fiorire quale rivelazione naturale del Dio vivente. Questo non vale solo per la natura, ma anche per la vita dello spirito. La scienza ha forse uno scopo nel senso proprio della parola? No. Il pragmatismo vuol attribuirgliene uno: quello di incitar gli uomini a migliorarsi moralmente. Ma questo significa misconoscere la dignit sovrana della conoscenza. Essa non ha alcun scopo, ha per un senso, che riposa in se stesso: la verit. L'attivit legislativa di un parlamento ad esempio ha uno scopo; essa intende far valere nella vita statale una direttiva nettamente determinata. La scienza del diritto invece non ne ha, mirando solo a conoscere la verit nelle questioni giuridiche. E cos di ogni autentica scienza, che , in base alla sua essenza, conoscenza della verit, servizio della verit. Neppur l'arte ha uno scopo. Si dovrebbe altrimenti pensare che la sua ragione d'essere sia la necessit 72

dell'artista di procurarsi con essa di che nutrirsi e di che vestirsi. Oppure, come pensava l'illuminismo, che l'arte sia destinata a offrire esempi intuitivi della verit di ragione e a insegnare la virt. L'opera d'arte non ha scopo, bens ha un senso, e precisamente quello ut sit, d'essere concretamente, e che in essa l'essenza delle cose, la vita interiore dell'uomo-artista ottenga un'espressione sincera e pura. L'opera d'arte deve essere soltanto splendor veritatis. Quando la vita si sottrae al rigoroso ordine dei fini, allora diventa un gioco di dilettanti. Muore, per, anche quando la si vuol costringere nella rigida armatura di una dottrina puramente utilitaria. I due elementi si integrano reciprocamente. Lo scopo il fine dello sforzo, del lavoro, dell'ordine; il senso il contenuto dell'esistenza, della vita che fiorisce e matura. I due poli dell'essere pertanto sono: scopo e senso, sforzo e crescita, lavoro e produzione, ordinamento e creazione. Anche la vita della Chiesa universale si svolge tra queste due direzioni. Ecco la possente struttura degli scopi nel diritto canonico, nella costituzione e nell'amministrazione della Chiesa. Qui tutto mezzo ordinato a un unico scopo, quello di mantenere in efficienza la grande macchina della amministrazione ecclesiastica. Decisivo qui il criterio, se l'istituzione o l'ordinanza considerata risponda alla finalit generale, se essa la raggiunga col minor impegno di forze e tempo 2 . Lo spirito della pra2. Quantunque l'organismo della Chiesa debba essere considerato pure qui da un altro punto di vista, quale creazione di Dio. Cfr. F. Pilgram, Fisiologie der Kirche, nuova ed. a cura di W. Becker, Mainz 1932.

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ticit deve costituire la forza determinante in questa ampia organizzazione del lavoro. La Chiesa, per, ha pure un altro aspetto. La sua vita abbraccia un campo in cui essa rimane libera dallo scopo nel senso proprio della parola. Questo campo la liturgia. Anche questa certo include un complesso di scopi, i quali costituiscono, per cos dire, l'armatura che la sostiene; cos i Sacramenti hanno il compito di comunicare determinati doni di grazia. Ma questa comunicazione, presupposte le condizioni richieste, pu anche aver luogo in forma assai semplificata. L'amministrazione d'urgenza dei Sacramenti offre l'esempio di un'azione liturgica rigidamente limitata al suo mero scopo. Si pu anche affermare che la liturgia, ogni sua azione e ogni sua preghiera, ha lo scopo di educare religiosamente. E questo pur vero. Per essa non ha un piano d'educazione preordinato e voluto di proposito. Per comprendere la differenza, si confronti il discorso di una settimana dell'anno ecclesiastico con gli esercizi di Sant'Ignazio. In questi ultimi tutto consapevolmente pesato, tutto organizzato allo scopo di raggiungere un determinato effetto pedagogico sulla vita spirituale; ogni esercizio, ogni preghiera, anzi le stesse ore di riposo sono indirizzate allo scopo fondamentale di determinare la conversione della volont. Non cos avviene nella liturgia: gi abbastanza significativo che la liturgia non abbia posto alcuno negli esercizi3. Anch'essa vuole formare, ma non attraverso un sistema di influssi educativi calcolato apposita3. I Benedettini, e anche i tentativi d'altri, ve lo assegnano, per vengono cos a praticare manifestamente un altro tipo di esercizi spirituali, diverso da quello che si proponeva Sant'Ignazio.

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mente in vista del fine, bens creando semplicemente una perfetta atmosfera religiosa in cui l'anima si dispieghi religiosamente. Vi una differenza simile a quella che passa tra una palestra ginnica, dove ogni attrezzo, ogni esercizio calcolato, e l'aperta campagna o la foresta. L tutto sviluppo consapevole delle forze, qui tutto vita naturale, crescita delle intime energie nella natura e con la natura. La liturgia crea un ampio mondo esuberante di intensa vita spirituale e fa s che l'anima vi si muova e vi si sviluppi. Questa ricchezza di preghiere, pensieri, azioni; questo intero ordinamento di tempi rimane incomprensibile, se lo si commisura all'unit lineare della funzionalit rigorosamente oggettiva. La liturgia non ha scopo, o almeno non pu essere ridotta soltanto sotto l'angolo visuale della sola finalit pratica. Essa non un mezzo impiegato per raggiungere un determinato effetto, bens almeno in una certa misura fine a s. Essa, secondo le vedute della Chiesa, non una tappa sulla via che conduce a una mta che sta fuori di essa, bens un mondo di realt viventi che riposa in se stesso. Questo l'importante: se lo si trascura, ci si sforza di trovare nella liturgia intenti pedagogici d'ogni specie, che possono in qualche modo esservi introdotti, ma che non vi occupano per un posto essenziale. La liturgia non pu avere scopo alcuno anche per questo motivo: perch essa, presa in senso proprio, ha la sua ragione d'essere non nell'uomo, ma in Dio. Nella liturgia l'uomo non guarda a s, bens a Dio; verso di Lui diretto lo sguardo. In essa l'uomo non deve tanto educarsi, quanto contemplare la gloria di Dio. Il senso della liturgia pertanto questo:
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che 1'a n i m a stia dinanzi a Dio, si effonda dinanzi a Lui, si inserisca nella Sua vita, nel m o n d o santo delle realt, verit, misteri, segni divini, e cos si assicuri la vera e reale vita sua propria 4 . Ci s o n o d u e passi m o l t o p r o f o n d i nella Sacra Scrittura che avviano alla soluzione definitiva di questo p r o b l e m a , p e r n o n dire che p r o n u n z i a n o la parola liberatrice. L ' u n o sta nella visione d'Ezechiele 5 . Questi fiammeggianti C h e r u b i n i andavano diritti dove il vento li spingeva [...], n si voltavano nell'andare [...], andavano e venivano come la vampa della folgore [...], andavano [...] e stavano [...] e si alzavano dal suolo [...]; il fruscio delle loro ali assomigliava al murmur e di molt'acqua [...], e quando si fermavano abbassavano nuovamente le ali.... C o m e s o n o senza scopo codeste creature! C o m e s o n o addirittura sconfortanti p e r u n o zelatore della funzionalit raziocinata! Essi sono soltanto m e r o m o v i m e n t o possente e maestoso che si dispiega c o m e lo spirito lo sollecita; che null'altro vuole se n o n esprim e r e l'intimo essere dello spirito, rivelarne esteriorm e n t e l'intimo fervore e l'impetuosa forza; ecco u n a viva i m m a g i n e della liturgia! E in un altro passo 6 parla l'Eterna Sapienza e dice: Io stavo presso di Lui intenta ad ordinare le cose tutte, ed

4. appunto in stretta relazione con questo il fatto che la liturgia moralizza cos poco. In essa l'anima si forma; ma non attraverso una elaborata dottrina della virt o un esercizio sistematico, bens vivendo nella luce dell'eterna Verit, nell'ordine genuino naturalmente e soprannaturalmente sano. 5. Ez 1,4 ss., e specialmente i versetti 12, 17, 20, 24, e 10,9 ss. 6. Prv 8, 30-31.

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ero tutta compiacenza giorno per giorno, ricreandomi (ludens) in sua presenza ogni momento, ricreandomi sul globo terrestre ....

Questa la parola decisiva! Il Padre eterno si compiace che la Sapienza, il Figlio, la Pienezza assoluta d'ogni verit, dispieghi dinanzi a Lui in un'inesprimibile bellezza questo contenuto infinito senza alcuna mira a che dovrebbe Egli mirare? ; ma nella pienezza pi definitiva del senso, in mera e schietta gioiosit di vita: Egli gioca dinanzi a Lui. E questa la vita degli esseri pi elevati, degli Angeli; essi, senza scopo, come lo Spirito li sollecita, si muovono dinanzi a Dio in un senso misterioso, sono dinanzi a Lui un gioco e un canto vivente. Anche nell'ambito delle cose terrene vi sono due fenomeni che accennano alla stessa tendenza: il gioco del bambino e la creazione dell'artista. Nel gioco il bambino non si propone di raggiungere nulla, non ha alcun scopo. Non mira ad altro che a esplicare le sue forze giovanili, a espandere la sua vita nella forma disinteressata dei movimenti, delle parole, delle azioni, e con ci a crescere, a diventar sempre pi perfettamente se stesso. Senza scopo, ma piena di significato profondo questa giovane vita; e il senso non altro che questo: che essa si manifesti senza impedimenti, nei pensieri, nelle parole, nei movimenti, nelle azioni, si renda padrona dell'essere suo, sempliceniente esista. E giacch non mira a nulla di particolare, giacch si dispiega cos spontaneamente e senza coercizioni, appunto perci anche l'espressione riesce armonica, la forma limpida e suggestiva: il suo gesto si tramuta da s in ritmo e immagine, in rima, melodia, canto.

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Questa gioco: espandersi disinteressato della vita che prende possesso della propria pienezza, e ch' piena di senso anche nella sua mera esistenza, ed bella quando la si lascia a s, quando non vi vengono introdotti intenti riflessi con precettistica mal illuminata pedagogizzante, rendendola in tal modo innaturale. Con l'avanzare degli anni, si presentano anche le lotte: la vita si sente agitata da conflitti e odiosa. L'uomo si pone dinanzi agli occhi ci che egli vuole, ci che egli deve, e cerca di realizzarlo nella sua vita e nell'essere suo. Ma qui esperimenta quante forze vi contrastino, e constata quanto di rado egli veramente ci che dovrebbe e vorrebbe essere. Questa contraddizione tra ci ch'egli potrebbe essere e quello ch' in realt, cerca di superarla in un altro ordine di realt, nel mondo irreale dell'immaginazione, nell'arte. Nell'arte l'uomo cerca di ristabilire l'unit tra ci che vuole e ci che ha; tra ci che dev'essere e ci che ; tra l'anima ch' dentro di noi e la natura ch' fuori di noi; tra il corpo e lo spirito. Tali sono le creazioni dell'arte. Non hanno dunque alcuno scopo istruttivo, non mirano a insegnare determinate verit o virt. Nessun artista si mai proposto questo. Nell'arte l'artista non mira ad altro che a risolvere questa tensione interiore, a dar espressione nel mondo dell'immaginazione a quella vita superiore a cui anela e che nella realt raggiunge solo approssimativamente. L'artista non vuol altro se non dare una realt esteriore al suo essere intimo e al suo anelito, assicurare alla verit interiore forma concreta. E anche chi contempla l'opera d'arte non deve proporsi nul l 'altro che di soffermarsi in essa, respirarvi, muoversi liberamente, prendere consapevolezza della parte migliore del suo essere, anelare al compimento del78

la propria brama intima. Non deve perci riflettere sopra con imbronciata critica raziocinante o cercarvi dottrina o sav ammonimenti. Ora la liturgia fa qualcosa di ancor pi elevato. In essa viene offerta all'uomo l'occasione di realizzare, sostenuto dalla grazia, il senso pi singolare e proprio del suo essere, d'essere quale egli dovrebbe e vorrebbe essere in conformit alla sua vocazione divina: un figlio di Dio. Nella liturgia, dinanzi a Dio, egli deve allietarsi della sua giovinezza. Questa certamente una cosa del tutto soprannaturale, corrispondente per, nello stesso tempo, alla natura intima dell'uomo. E poich questa vita pi elevata di quella a cui d occasione ed espressione la realt consueta, essa trae forme e immagini adeguate da quel dominio nel quale soltanto le pu trovare, vale a dire nell'arte. Essa parla in ritmi e melodie; si muove con gesti solenni e misurati; si riveste di colori e paludamenti che non appartengono alla vita consueta; si svolge in luoghi e momenti che sono stabiliti e organizzati secondo leggi superiori. Diventa cos, in un senso pi elevato, una vita filiale e infantile in cui tutto immagine, ritmo e canto 7 . Questo pertanto il fatto mirabile che si offre nella liturgia: arte e realt diventano un'unica cosa nella condizione soprannaturale del figlio e fanciullo insieme, sotto lo sguardo di Dio. Ci che altrimenti dato solo nel regno dell'irreale, nell'immaginazione artistica, vale a dire le forme dell'arte come espressione della vita umana pienamente consapevole, qui realt. Le forme
7. Pur qui vale quanto s' detto alla nota 2 del cap. Il simbolismo liturgico, p. 63. In realt la liturgia non desume le sue forme dall'arte, ma invece il culto che sta al principio e l'arte della nostra epoca moderna una cr eazione culturale che si staccata e isolata da esso.

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dell'arte diventano la traduzione espressiva di una vita reale, sia pur soprannaturale. E anche questa ha un elemento comune con quella del bambino e dell'artista: libera da ogni scopo, e perci appunto piena del senso pi profondo. Non lavoro, ma gioco. Fare un gioco dinanzi a Dio, non creare, ma essere un'opera d'arte, questo costituisce il nucleo pi intimo della liturgia. Di qui la sublime combinazione di profonda seriet e di letizia divina che in essa percepiamo. E solo chi sa prendere sul serio l'arte e il gioco pu comprendere perch con tanta severit e accuratezza la liturgia stabilisca in una moltitudine di prescrizioni come debbano essere le parole, i movimenti, i colori, le vesti, gli oggetti di culto. Hai tu veduto mai con quale seriet i bambini stabiliscono le regole nei loro giochi, in che modo deve svolgersi il loro girotondo, come tutti debbano tenere le mani, che significhi questo bastoncino o quell'albero? Tutto ci appare sciocco solo a chi non avverte il suo significato o senso e sa vedere la giustificazione d'un atto soltanto negli scopi che se ne possono addurre. E non hai letto mai, oppure direttamente sperimentato, con quale spietata seriet l'artista stia al servizio dell'arte, come egli soffra sotto la parola che non si presenta adeguata all'idea, quale padrona esigente sia la forma? E tutto ci per qualcosa che non ha scopo! No, l'arte non ha nulla a che fare con gli scopi. Qualcuno crede seriamente che l'artista si assoggetterebbe alle mille emozioni, alla febbre ardente della creazione, se con l'opera sua non mirasse ad altro che a dar ai lettori o agli spettatori un insegnamento che avrebbe potuto esprimere non meno bene in un paio di 80

frasi trovate senza fatica, oppure in qualche esempio tratto dalla storia, ovvero con alcune fotografie ben azzeccate? Certo no! Essere artista significa lottare per esprimere la vita profonda, affinch, espressa che sia, essa possa esistere. E null'altro: ma non gi molto questo? niente di meno che un'imitazione della creativit divina, della quale si dice che abbia fatto le cose ut sint, perch semplicemente esistano. La stessa cosa fa la liturgia. Anch'essa ha cercato con cura infinita, con tutta la seriet del bambino e la coscienziosit rigorosa del vero artista, di dar espressione in mille forme alla vita dell'anima, vita santa alimentata da Dio, mirando a null'altro se non a che essa vi possa dimorare e vivere. Con severissime leggi essa ha regolato il santo gioco che l'anima svolge dinanzi a Dio. Se vogliamo attingere il nucleo intimo di questo mistero, dobbiamo riconoscere: lo Spirito Santo, lo Spirito del fervore e della santa disciplina, che ha potere sulla parola 8 ; esso che ha regolato il gioco, che l'eterna Saggezza dispiega dinanzi al Padre celeste nella Chiesa, il suo regno sulla terra. E la sua delizia, pertanto, sta nell'essere tra i figli degli uomini. Pu comprendere la liturgia solo chi non si scandalizza di questo, come ha fatto innanzitutto ogni razionalismo. Agire liturgicamente significa diventare, col sostegno della grazia, sotto la guida della Chiesa, vivente opera d'arte dinanzi a Dio, con nessun altro scopo se non d'essere e vivere proprio sotto lo sguardo di Dio; significa compiere la parola del Signore e diventare come bambini; rinunciando, una volta per

8.

Terza della Ufficiatura di Pentecoste, responsorio.

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sempre, a essere adulti che vogliono agire sempre con finalit determinate per decidersi a giocare, come faceva Davide quando danzava dinanzi all'Arca dell'alleanza. Pu certo avvenire che persone troppo assennate, le quali, con la piena maturit, hanno perduto la libert e la freschezza dello spirito, non lo comprendano e ne facciano argomento di scherno. Ma anche Davide dovette sopportare che Michol ridesse di lui. Il compito, pertanto, della educazione liturgica comprende anche questo aspetto: l'anima deve apprendere a non vedere dovunque scopi, a non essere troppo sensibile ai motivi utilitari, troppo prudente, troppo adulta, bens deve sapere anche vivere semplicemente. Essa deve apprendere a liberarsi almeno nella preghiera dalla irrequietudine dell'attivit utilitaria, imparare a essere prodiga di tempo per Dio; deve trovar parole e pensieri e gesti per il santo gioco, senza domandarsi a ogni momento: a che scopo e perch? Non voler far sempre qualche cosa, raggiungere qualche cosa, qualcosa produrre od ottenere di utile, bens apprendere a fare in libert, bellezza, santa letizia dinanzi a Dio il gioco da Lui regolato della liturgia. Da ultimo, anche la vita eterna non sar che il compimento di questo gioco. E chi non comprende questo, potr afferrare poi che il compimento celeste della nostra vita un cantico eterno di lode? Non finir costui per rientrare nella categoria delle persone attive, che trovano inutile e noiosa tale eternit?

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CAPITOLO SESTO LA SERIET DELLA LITURGIA

La liturgia arte divenuta vita. Quanto siano elaborate le sue forme, quanto proporzionati i suoi rapporti, quanto ricchi i suoi mezzi d'espressione, lo avverte chiaramente chiunque abbia un po' di sensibilit. Sorge cos il pericolo che costui apprezzi il culto della Chiesa soltanto nei suoi valori estetici. Si pu, infine, comprendere che la letteratura poetica colga della liturgia prevalentemente il lato artistico; pi preoccupante riesce la cosa, se questo lato viene messo troppo in rilievo anche in scritti che si occupano in modo particolare del culto liturgico. Basti ricordare ad esempio libri di valore come Geist des Christentums (Spirito del cristianesimo) dello Staudenmaier, oppure L'oblat dell'Huysmans. L'autore, temendo che il suo libretto contro le sue intenzioni possa agire nella stessa direzione, si sente costretto a riprendere la questione nel presente capitolo. Anche il solo considerare esteticamente l'opera d'arte le fa torto. Ci che essa significa dal punto di vista puramente estetico, pu essere valutato pienamente solo se lo si mette in relazione con la vita intera. Il puro logico o il moralista riesce meno pericoloso all'opera d'arte, perch egli non ha nessun rapporto con essa in linea di principio. Realmente rovinoso le riesce invece proprio chi la vuol concepire solo esteticamente; l'esteta, prendendo la parola e la cosa nel 83

significato estremo e deteriore che essa ha assunto da Oscar Wilde in poi. Questo vale ancora pi quando s'ha a che fare non col mondo fantastico dell'opera d'arte, bens con l'uomo reale, ovvero addirittura con quella possente unit a cui lo stesso Creatore-Artista, lo Spirito Santo, ha dato realt di vita e forma d'arte, vale a dire l' Opus Dei della liturgia. Gli esteti sono dovunque dei cattivi ospiti, scrocconi che partecipano da parassiti alla vita; ma in nessun luogo suscitano maggior sdegno che nel santuario. L'uomo di ristretti orizzonti che nella messa cantata non vuol altro che compiere il debito servizio al suo Dio; la donna affaticata che viene in chiesa per alleggerirsi un poco del peso delle sue sofferenze; l'amusica moltitudine rozza che non percepisce nulla di tutta la bellezza che attorno le parla, le canta, le risplende, bens cerca soltanto un po' di forza per la sua fatica quotidiana tutti costoro comprendono la peculiare essenza della liturgia meglio del conoscitore, il quale gusta dopo la pienezza sonora di un Graduale la sobria bellezza del Prefazio. Tutto ci conduce a formulare la questione specifica: cosa significa la bellezza nel complesso dell' Opus liturgico? Innanzitutto una breve digressione che, per, non inutile. Si ebbe gi occasione di rendere attenti sul fatto che la vita della Chiesa si svolge in due direzioni. In primo luogo essa costituisce una vita sociale operante, un possente tessuto di attivit consapevolmente funzionali, che trovano la loro unit nella medesima costituzione ecclesiastica, avente s molte membra, ma anche una struttura unitaria. 84

Tale unit presuppone potenza e rappresenta essa stessa una potenza. Il che a sua volta suscita la questione: che significa potenza nel campo religioso? La questione si presenta a ciascuno, a seconda del suo temperamento, in modo diverso. Per l'uno essa significa riconoscere che ogni comunit, quindi anche la comunit religiosa, abbisogna di potenza, se vuol vivere. Essa non tradisce l'idea, se, dietro l'insegnamento, l'esortazione, l'ordinamento, pone la potenza. Questa forza esteriore non pu mettersi al posto della verit e del diritto, n voler coartare i sentimenti: ci indiscusso. Non appena, per, si tratta di una religione che non si limita alle idee e ai sentimenti, bens mira a elevare la personalit reale e l'umanit reale al regno di Dio, pur esso reale, la religione deve aver anche della potenza. questa che fa di una verit, di un ordinamento di vita religioso-morale, una forma concreta d'esperienza e convivenza sociale. Ma se si danno temperamenti che sopportano a fatica che cose quali il diritto e la potenza, vengano senz'altro nominate assieme con realt cos intime e spirituali come le convinzioni religiose o la vita religiosa, ve ne sono pure altri dal carattere tutto opposto. Un'immensit di potenza, qual quella offerta dalla Chiesa cattolica, agisce su costoro con tale immediatezza che trascurano con facilit quello che a tutta codesta potenza d il suo significato. Essa infatti solo mezzo inteso allo scopo, strumento per elevare il mondo reale a vero regno di Dio, ancella della verit e della grazia divina. Se si volesse una comunit spirituale senza una disciplina dotata di potere, essa finirebbe per svanire in schemi e ombre. Se, per, uno elevasse l'ancella a signora, il mezzo a scopo, lo strumento a spirito determinante, allora la religione fini85

rebbe per soffocare nel meccanismo e nella servit. Allo stesso modo che la potenza della Chiesa risiede nella sua vita attiva, la sua bellezza sta nella sua vita contemplativa. Questa non soltanto una struttura funzionale per se stessa, bens anche realt, piena di senso, la quale diventa arte. Tale essa quando prega: nella liturgia. Il capitolo precedente ha cercato di mostrare in che cosa consista codesto valore d'arte e di finalismo autonomo della liturgia. Solo un gretto cerebralismo pu cercare la giustificazione di una forma di vita esclusivamente negli scopi di carattere istruttivo o pratico, che se ne possono addurre. A questo riguardo non si deve per dimenticare che il valore artistico, la bellezza, costituisce, per chi ne possiede una sensibilit particolare, un pericolo allo stesso modo che la potenza nel campo della vita sociale attiva. Il pericolo della potenza superato solo da chi sa rendersi chiaro conto di ci ch'essa e dello scopo al quale serve. Allo stesso modo il fascino ingannatore della bellezza pu essere spezzato soltanto da chi si sforza di coglierne il senso. Una cosa che sta a s quella donde un valore spirituale trae la sua validit, sia che l'abbia per s sia che la debba a un'altra superiore, sopraordinata. Del tutto differente da questa l'altra questione, in quale relazione, cio, stia una validit riconosciuta come autonoma rispetto agli altri valori pure autonomamente validi. Il primo problema cerca di ricondurre un'idea all'altra, ad esempio la validit della giurisprudenza al diritto in s. Il secondo si preoccupa di chiarire se tra valori, la cui forma di validit uguale, esista un ordine determinato, che non possa essere sconvolto. 86

La verit vale in s, perch verit, il diritto perch diritto, la bellezza perch e nella misura in cui bellezza. Nessuna cosa che rientri in questo ambito pu ottenere la sua validit da una cosa che appartenga a un'altra cerchia, bens non pu averla che da se stessa. Il pensiero pi profondo e vero non rende bella un'opera, e il migliore sentimento dello scultore ancor meno, se ci ch'egli ha creato non ha inoltre preso corpo, non s' fatto immagine, non ha vigoria di forma, vale a dire, non bello. La bellezza, come tale, valida per s, indipendente da ogni verit e simili. Bella un'opera d'arte oppure una cosa reale, se l'intima sua essenza e significazione risulta perfettamente espressa nelle sue fattezze esteriori. Il fatto della bellezza implica questo essere espressi in modo perfetto. Che tutto l'essere della cosa o dell'azione, quindi anche la sua relazione con la realt tutta e col mondo spirituale, al primo sguardo, assuma forma dai limiti intimi del suo essere, che questa struttura interiore sia entrata pure in un'apparenza, in un fenomeno dotato di forza espressiva e si sia chiusa in una compiuta unit plastica; che sia detto tutto quanto dev'essere detto e niente di pi; che siano impiegati tutti gli elementi formali che necessitano e solo questi; che nulla di morto e di vuoto rimanga nella figura esteriore, bens tutto vi risulti animato e parlante; che ogni nota, ogni parola, ogni superficie, colore, movimento ubbidisca a una esigenza interiore, contribuisca alla rivelazione del contenuto complessivo, s'articoli con gli altri a comporre un'unit matura e senza suture, questa espressione piena, limpida, necessaria della verit della vita interiore nell'apparenza esterna costituisce la bellezza. Pulchritudo est splendor veritatis 87

est species boni, dice l'antica filosofia: la bellezza lo splendore di perfezione nel rivelarsi dell'intima verit essenziale e della bont dell'essere. Essa dunque un valore a s, non n verit n bont, e neppure pu essere dedotta da queste. Tuttavia sta in uno strettissimo rapporto con codeste due cerchie di valori. Il che significa: deve esserci qualcosa che possa rivelarsi all'esterno, una verit essenziale che urga all'espressione, un fatto intimo che voglia tradursi in forme concrete, perch la bellezza possa aver luogo. Il primo dato perci non per dignit n per validit, bens per ordine la verit, non la bellezza, per l'artista forse non senz'altro, sebbene nella profondit intima lo sia anche per lui; certamente lo per la totalit della vita umana. Il bello lo splendore del vero, dice la scolastica. A noi uomini d'oggi questa affermazione sa di freddo intellettualismo. Se riflettiamo, per, che questa sentenza scaturisce dallo spirito di uomini, che furono architetti incomparabili di pensieri, che disciplinarono concetti, fissarono conclusioni, elevarono sistemi audaci come le loro cattedrali, tutto questo ci ammonisce a penetrar pi addentro il significato di queste parole. Verit non significa arida precisione di concetti, bens adeguato inserimento nell'essere, interiore validit vitale; significa la forza e pienezza integrale di un'esistenza ricca di contenuto. E la bellezza il gioioso splendore che ne promana, quando la verit nascosta all'ora giusta pu rivelarsi, quando l'apparenza esteriore in ogni suo particolare la pura e piena espressione della realt interiore. Dunque, perfezione espressiva e non solo in superficie, ma dall'inizio primo dell'attivit formante: si pu forse definire con maggior profondit e insieme brevit l'essenza del bello?
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Al bello, pertanto, rende giustizia solo chi rispetta questo ordine e lo intende come lo splendore della verit ontologica perfettamente espressa. Ma si presenta un grande pericolo, tale da essere difficilmente evitabile per molte nature: il pericolo di invertire l'ordine stabilito, di anteporre la bellezza alla verit, oppure di rendere del tutto indipendente la prima dalla seconda: la perfezione formale dal contenuto, l'espressione dall'anima e dal senso. appunto questo il pericolo della visione del mondo estetica, che finisce poi in snervato estetismo. Il suo rischio di scivolare con maggior o minore rapidit dal quid dell'oggetto considerato al quomodo, dal contenuto al modo della sua rappresentazione, dal valore reale al valore formale, dalla verit nella sua seriet, dall'esigenza morale inflessibile, all'armonia dissolvente del bello. La qual cosa pu avvenire con maggiore o minore consequenzialit, con maggior o minore consapevolezza; ma alla fine codeste nature concludono a un atteggiamento spirituale che ignora tanto la specifica verit del contenuto col suo rigoroso Questo e non altro, quanto l'idea morale col suo incondizionato dilemma O questo o quello; bens ricerca la pienezza del significato soltanto nella forma e nell'espressione. Il reale, si tratti di una cosa della natura o di un fatto della storia, d'un uomo, d'un dolore, d'una simpatia, di un lavoro, di questioni di diritto, di conoscenze, di idee tutto fino alla realt pi elevata riesce, come cosa concreta, insignificante. Ci vale solo come presupposto del fatto espressivo 1 .
1. Le Intentions (1891) di Oscar Wilde parlano a questo riguardo in tutta la chiarezza desiderabile.

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Sorge cosi l'ombratile struttura della forma assoluta, un quomodo senza quid, uno splendore senza fiamma, un'azione in cui non pulsa alcun vigore 2 . A chi pensa cos riesce inafferrabile la profondit dell'opera d'arte e il criterio per misurarne la vera grandezza. Egli non la concepisce pi ormai quale essa intrinsecamente: superamento e confessione. E non riuscir neppure a render giustizia alla stessa forma alla quale soltanto egli pure inteso, poich il senso della forma sta nell'essere espressione di un contenuto, modo di esistere di un essere. L'anima della bellezza la verit. Chi non guarda a questa luce, alla luce di ci che realmente e realmente vale, costui degrada il suo gioco gioioso e pure tanto profondamente serio a vano dilettantismo. In ogni creazione schietta e grande v' qualcosa d'eroico, perch qui un fatto interiore si conquistato, nonostante ogni resistenza, la sua espressione verace. Qui stata combattuta una buona battaglia, qui un essere consapevole della sua parte migliore ha respinto da s tutto ci che di estraneo gli si era abbarbicato, ha ridotto in chiara disciplina tutti gli elementi confusi che vi turbinavano, si sottomesso alla propria legge fondamentale. Un mondo interiore ha cos dato testimonianza di ci ch'esso era e doveva essere, e di ci che in esso si celava quale sua verace missione e funzione essenziale. Ma tutto questo diventa per l'esteta vano divertimento (Spielerei). E c' ancora dell'altro. L'estetismo, nel suo fondo, senza pudore, mentre la vera bellezza casta. Que2. Pure queste determinazioni e contrapposizioni sono troppo semplici; possono comunque servire sempre a un'ulteriore elaborazione.

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sta parola non deve essere presa in un senso superficiale. Essa non riguarda la questione se questa o quella cosa si possa fare, dire, rappresentare; bens significa piuttosto quest'altro: ogni manifestazione del proprio intimo deve essere sostenuta da un imperativo interiore, giustificata da valori eterni, da essi permessa, anzi comandata. Ma il criterio di questa liceit e obbligatoriet si radica soltanto nella verit, nella verit oggettiva del contenuto ideale e in quella soggettiva della schietta esperienza interiore. Al contrario, una manifestazione di s che cerchi il suo fondamento nel mero fatto di rivelarsi, nella stessa forma ed espressione, non ha pi dignit. Siamo condotti ancor pi oltre da queste riflessioni. Nonostante l'impulso pi autentico e la giustificazione nella pi schietta verit spirituale, ogni vera interiorit rifugge dal manifestarsi, proprio quando essa ridonda di ogni dote positiva. anzi questa la dolorosa necessit di ogni vita interiore: di potersi liberare dall'oppressione del proprio mutismo solo esprimendosi, e, tuttavia, di ripugnare a codesto uscir da se stessa, per tema di perdere con ci quanto di pi nobile possiede. La pienezza di ogni vita interiore sta nell'attimo in cui essa, lievitando, si dischiude in forma adeguata al suo essere. Ma subito essa sente, come in un contraccolpo doloroso, che qualcosa di ineffabilmente prezioso s' perduto irrimediabilmente. Questo fatto avviene in ogni creazione artistica genuina. Come un rossore per la parola certo pronunziata volentieri, a cui per segue, quale segreto rimprovero, un disagio spesso indefinibile, sorgente da lontananze mai conosciute fino a quel momento, come un rapido rinserrarsi delle labbra che vorrebbe91

ro riprendersi la confessione fatta. E chi intende davvero intra vv ede abissi ancora inespressi e ricchezze castamente serbate dietro a ci che, abbandonandosi, ha preso forma. Proprio questo dare e possedere ancor altro, questo apparire e ritrarsi di luminose profondit, questo lottare per l'espressione, questo vittorioso e giubilante prorompere insieme con un rinchiudersi pudicamente doloroso proprio tutto ci costituisce il fascino pi delicato del bello. Ma tutto questo, tutta la bellezza contenuta quasi gemma primaverile nella creazione genuina, va perduta per l'esteta senza reverenza, e riesce impercettibile agli occhi miopi di chi cerca la bellezza per la bellezza, l'espressione per l'espressione. Chi aspira a una vita in bellezza, innanzi tutto non pu voler null'altro che essere vero e buono. Se la sua vita vera, essa riesce anche bella di per s, allo stesso modo che la luce irraggia, non appena la fiamma accesa. Ma se uno cerca per prima cosa il bello, in tal caso gli accade come a Edda Gabler, di rimanere, cio, alla fine soprattutto nauseato. Allo stesso modo, per quanto strana possa suonare l'affermazione, neppure l'artista nell'atto di creare pu cercar la bellezza come tale, quando almeno sotto il nome di bellezza intenda qualcosa di pi profondo che una certa grazia delle forme esteriori o un orpello piacevole. Egli deve piuttosto impegnare tutte le forze dell'anima sua nel diventare vero e giusto, nel cogliere in schietta veracit e nel vivere personalmente quanto riempie il mondo interiore ed esteriore. E di conseguenza egli, nemico com' di ogni effetto appariscente e di ogni verit deve esprimersi cos come deve essere, senza neppure una linea di pi. Allora
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anche la sua opera, nel caso c h'egli sia veramente un artista, riesce bella, deve riuscire bella. Ma se l'artista cerca di evitare codesta via certamente faticosa della verit e vuol conquistare la forma partendo dalla forma, in tal caso il suo prodotto sar un'opera vana capace solo di abbagliare. E chi vuol cogliere un uomo, o una creazione artistica nella sua bellezza, non diciamo gustare, parola antipatica, che pone la bellezza allo stesso livello di una leccornia e trae la sua origine da quel mondo senza dignit che combattiamo, chi dunque vuol penetrare nel loro intimo segreto, deve partire dalla loro anima. Innanzitutto e in linea di principio, far bene a non soffermarsi troppo sull'espressione e sull'armonia dei suoni e dei colori, bens piuttosto a cercare di cogliere l'interiore verit di questo organismo vivente. Per questa via al momento giusto egli avvertir come questo mondo si tradotto nella sua forma, nel complesso e nei particolari, e sperimenter il lieto prodigio di questa fioritura. In tal modo egli sar penetrato nell'intimo nucleo della bellezza, forse senza riconoscerla fosse pure soltanto perch gode la felicit di sentire un'esistenza piena e chiara. Chi invece persegue la bellezza per se stessa, se la vede sfuggire, e insieme sconvolge la propria vita e la propria opera, perch ha peccato contro l'ordine fondamentale dei valori. Quando invece uno non vuol che vivere sinceramente nella verit, esser cio vero, e dire la verit, e a essa tiene aperta la propria anima, costui incontra la bellezza senza che la cerchi, insperatamente, come il luminoso evento di una vita ricca, casta, compiuta nella sua forma. Colleghiamo adesso quanto finora dicemmo alla 93

liturgia. Incombe il pericolo che anche qui si affermi l'estetismo, che la liturgia sia prima esaltata, poi apprezzata esteticamente, particolare per particolare, nelle sue preziosit, infine che la santa bellezza della casa di Dio venga gustata con raffinatezza da competenti, fino al punto da ridurre la casa della preghiera, sia pur in modo nuovo, a spelonca di ladroni. Ma questo non pu essere e a motivo di Colui che abita in essa, e a motivo dell'anima nostra! Non per creare delle immagini, frasi armoniose, cerimonie suggestive e solenni la Chiesa ha edificato l'Opus Dei bens poich non si prefiggeva altro scopo all'infuori dell'onore di Dio per i bisogni pi seri delle nostre anime. Qui s' dovuto esprimere ci che costituisce la vita intima dell'umanit cristiana: la vita divina, nella persona del Cristo, nell'atto in cui si inserisce nella creatura per opera dello Spirito Santo, la rinascita di questa creatura a un'esistenza nuova, realmente e veramente rinnovata nell'essere e nella vita; la crescita, lo sviluppo, il dispiegamento di questa vita nuova per virt di Dio nel sacramento e nella grazia e per contributo dell'uomo nel sacrificio e nella preghiera; e tutto questo nel rinnovamento costante, misteriosamente reale della vita di Cristo nel decorso dell'anno ecclesiastico. Liturgia appunto il fatto complesso per cui tutto ci si compie, si manifesta, viene insegnato, comunicato, accolto in forme determinate della parola, del gesto, degli oggetti di culto, del simbolo. Di realt, pertanto, dell'avvicinamento della creatura reale al Dio vero, della questione spietatamente seria della salute eterna di questo si tratta qui anzitutto e soprattutto. Nessuna bellezza qui doveva essere rivelata, bens l'umanit perduta del pec94

cato doveva trovare la sua salute. della verit che qui si tratta, del destino delle anime, della vita vera, anzi, in ultima analisi, dell'unica vita reale. Questo doveva essere manifestato attraverso ogni mezzo e forma d'espressione. Ed ecco, che tutto ci assurto a bellezza3. Nessuna meraviglia giacch colui che qui ha agito lo Spirito insieme della verit e della potenza espressiva. Ci che dentro ferveva, si espresso nella pi schietta veracit; tutta la pienezza di vita qui si tradotta adeguatamente; le profondit abissali sono emerse in limpide forme. Uno splendore di eccelsa maest cos irradiato da questa nascita della verit: e non poteva essere altrimenti. Ma per noi la liturgia dev'essere innanzitutto questione di salvezza. La sua verit e il suo significato vitale devono occupare per noi il primo piano. Quando recitiamo le preghiere e i salmi, dobbiamo lodare Dio e pregarlo, e nulla pi. Quando partecipiamo alla Santa Messa, dobbiamo saperci vicini alla fonte della grazia. Quando assistiamo a una consacrazione sacerdotale, non dobbiamo vedere nella cerimonia null'altro che un elemento dell'umanit investito dalla grazia di Dio. Non si tratta dunque per noi di riti intensamente espressivi e di parole possenti per stile, quasi stessimo dinanzi a un palcoscenico dello spirituale, bens di avvicinarci un po' di pi con la realt della nostra anima
3. Giustamente perci l'ab. Idelfons H e r w e g e n dice: Io insisto, la liturgia divenuta o p e r a d'arte, n o n stata c o n s a p e v o l m e n t e foggiata dalla Chiesa c o m e opera d'arte. La liturgia portava in s tanto dell'essenza del bello, c h e di per s doveva maturare a opera d'arte. Il principio p e r c h e dall'interno dava forma e figura era l'essenza del cristianesimo. Cfr. Das Kunstprinzip der Liturgie, Paderborn 1916, p. 18.

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alla realta di Dio per esigenze nostre, spietatamente serie, che promanano dalla nostra intima personalit. Solo quando agiamo cos, ci viene elargita anche la sua bellezza. Solo quando viviamo la realt liturgica con la seriet della pi intima partecipazione, ci si rende manifesto se, e come, e con quale perfezione questo contenuto di vita si sia espresso. Solo quando moviamo dalla verit della liturgia, ci si aprono gli occhi, cos da permetterci di percepire quanto essa sia bella. Questo pu avvenire in gradi diversi, a seconda della nostra sensibilit maggiore o minore per il mondo estetico. Forse solo una sensazione di compiacenza non per altro molto consapevole per la profonda rispondenza di tutte le parole e dei riti alle esigenze del mondo interiore, il senso di una tranquilla naturalezza, la coscienza che tutto in ordine ed proprio come dovrebbe essere. Sopra e oltre questa coscienza indistinta, ecco rifulgerci un bel giorno un Offertorio che nella cerimonia incastonato come un gioiello. La struttura di un Oremus diventa trasparente e noi sperimentiamo la preziosa meraviglia di una profondit assieme limpidissima e abissale. Oppure, una parte dopo l'altra, ci si rivela la possente successione delle alte cime della Santa Messa, come emergono dalla nebbia diradantesi e pareti e dossi e vette d'una montagna, pure e luminose, cos che a noi sembra di vederle per la prima volta. Ci pu accadere allora di lasciar cadere il libro e di indugiare in una lunga sosta, ravvivata di letizia, ma anche pervasa dal brivido della reverenza, quando intuiamo come le verit supreme che compiono tutte le nostre aspirazioni hanno trovato qui la loro parola. Ma codesti sono brevi momenti, che noi dobbia96

mo prendere, quando vengono, come trovati, come donati. Al contrario per la vita quotidiana vale anche in questo caso la regola: Cercate innanzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia, e tutto il resto vi sar dato in sovrappi; tutto, quindi anche l'esperienza del bello.

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CAPITOLO SETTIMO IL P R I M A T O DEL LGOS SULL'ETHOS

La liturgia mostra un'altra caratteristica che la rende estranea ai temperamenti attivistici dalle disposizioni particolari alla gravit morale: la sua posizione particolare rispetto all'ordine morale. Anzitutto, codesti temperamenti sentono nella liturgia questa mancanza: che la sua etica non ha rapporti molto immediati con la vita reale di ogni giorno. Essa non offre allo sforzo e alla lotta quotidiana alcun impulso traducibile immediatamente in azione e neppure pensieri immediatamente valorizzagli. Le proprio un certo riserbo, un certo distacco dalla vita concreta; essa si compie nell'ambito del santuario, solenne e sempre alquanto appartato dal mondo. C' un contrasto tra lo studio, la fabbrica, l'officina dell'organizzazione scientifica odierna, tra le arene della vita politica e sociale e i santi luoghi consacrati al culto solenne di Dio; tra il robusto realismo d'oggi e il mondo di pensieri e d'intenti nobilmente misurato della liturgia, nelle sue forme limpide e distinte. Non si pu tradurre senz'altro nell'azione quello che la liturgia presenta. Cos saranno sempre necessarie delle forme di devozione, sorte da una relazione pi stretta con l'attuale realt esteriore della vita; devozioni popolari, in cui la Chiesa risponde ai bisogni particolari dell'esistenza d'oggi, con cui essa afferra
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immediatamente l'anima contemporanea e la conduce a conclusioni pratiche. Alla liturgia spetta invece, prima di tutto, di suscitare i fondamentali sentimenti cristiani. Essa vuol condurre l'uomo a inserirsi nell'ordine esatto ed essenziale che s'accentra in Dio, a divenire intimamente giusto nell'adorare Dio e nel rendergli i dovuti omaggi, nella fede e nell'amore, nello spirito di penitenza e di sacrificio. Quando verr posto nella condizione di agire, egli far certamente ci ch' giusto, in conformit a quello stesso orientamento. La questione, per, conduce oltre. Che atteggiamento tiene in genere la liturgia di fronte all'ordine morale? In quale rapporto sta in essa il volere rispetto alla conoscenza, il valore di verit rispetto al valore di bont? In che relazione, per formulare in due parole il problema, stanno in essa Lgos ed Ethos? Ci sia permesso, per rispondervi, di rifarci alquanto indietro. Il Medioevo, lo si pu ben affermare, ha prevalentemente risolto la questione dei due valori fondamentali, ponendo, almeno teoricamente, la conoscenza al di sopra dell'azione. Per esso il Lgos aveva il primato sull' Ethos. Prova ne il modo in cui certe questioni frequentemente discusse vennero risolte 1 , l'incondizionata superiorit riconosciuta alla vita contemplativa rispetto a quella attiva2; ci emerge infine quale
1. Cfr. le discussioni sulla funzione della teologia, sul suo carattere di scienza pura ovvero orientata verso il miglioramento morale; sull'essenza dell'eterna beatitudine, se questa consista nella visione di Dio oppure nell'amore; sulla dipendenza della volont dalla conoscenza e simili. 2. significativo che gli ordini attivi femminili cominciarono a sorgere solo nel secolo XVII, e tra l'avversione universale. Istruttiva a questo riguardo in particolare la storia dell'ordine della Visitazione.

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aspirazione fondamentale da tutta la mentalit medioevale orientata verso l'al di l. L'et moderna port a questo riguardo una profonda mutazione. I grandi organismi politico-sociali: associazioni di ceto e di mestiere, comuni, impero, s'incrinarono. L'autorit ecclesiastica non ebbe pi l'incondizionata validit, anche temporale, di prima. Dovunque emerse il singolo sempre pi vigorosamente e si assicur un'indipendenza sempre maggiore. Questo carattere individualistico gener innanzitutto la critica scientifica, e in modo particolare la critica alla stessa conoscenza. Il problema dell'essenza del conoscere, prima posto a preferenza in modo costruttivo, assunse ora, in conseguenza di profondi sconvolgimenti spirituali, la sua forma propriamente critica. Il conoscere divenne problematico, di conseguenza il punto di sostegno e il baricentro della vita spirituale pass poco alla volta nel volere . L'azione della persona, che si fondava su se stessa, divenne sempre pi importante. Cos la vita attiva venne anteponendosi a quella contemplativa, la volont alla conoscenza. Nello stesso ambito dell'attivit scientifica, che pure essenzialmente impostata sul conoscere, venne attribuito alla volont uno specifico significato. Dall'antica indagine intesa a penetrare la verit data come tale e sicura, si pass ora all'insonne investigazione della verit ignota e incerta. Al posto della rielaborazione ed esposizione scolastica si generalizz sempre pi l'educazione alla ricerca autonoma. L'intero mondo scientifico assunse un carattere di intrapresa e di conquista violenta. Esso divenne una possente comunit di lavoro, che crea senza posa. Questa caratteristica fondamentale attivistica fu 101

anche affermata dottrinalmente, come principio. E questo avvenne nel modo pi rigorosamente logico da parte di Kant. Egli pose accanto al mondo della rappresentazione, della natura, il solo accessibile all'intelletto, il mondo della realt, della libert, in cui agisce il volere. Dai postulati della volont egli fa scaturire un terzo mondo, il mondo noumenico di Dio e dell'anima contrapposto all'esperienza. E mentre l'intelletto per conto proprio non pu affermare nulla intorno a questi ultimi oggetti, poich esso chiuso nell'ordine della natura, tuttavia, dalle esigenze della volont, impotente a vivere e ad agire senza quelle realt superiori, riceve la fede nella loro realt e il supremo orientamento per la sua visione del mondo. Con ci data la giustificazione del primato della volont. La volont e con essa la gerarchia dei valori morali del bene che le appartiene ha il primato sull'intelletto e sulla gerarchia dei valori che gli propria: L'Ethos ha ottenuto il primato sul Logos. Il ghiaccio rotto; ora tien dietro tutta quella linea d'evoluzione filosofica che, al posto del puro volere, concepito da Kant logicamente, pone il volere psicologico e fa di questo l'unico padrone della vita; Fichte, Schopenhauer, von Hartmann, fino a che essa trova la sua estrema espressione in Nietzsche. Questi proclama la volont di potenza: per lui vero ci che rende sana e nobile la vita, ci che fa progredire l'umanit sulla via che conduce al superuomo. In tal modo pure dato il pragmatismo: la verit nel campo filosofico e religioso non costituisce un valore autonomo, bens l'espressione concettuale del fatto che una proposizione o un modo di pensare promuove la vita attiva, nobilita il carattere, l'intero 102

atteggiamento della volont 3 . La verit nella sua sostanza un fatto morale. Questa preminenza del volere e dei suoi valori comunica all'epoca presente la sua peculiarit. Di qui la sua insonne spinta in avanti, la folle velocit del suo lavoro, la furia del suo godere; di qui la venerazione del successo, della forza, dell'azione; di qui la sua aspirazione alla potenza; di qui, in genere, lo spiccato senso per il valore del tempo e la tendenza a sfruttarlo attivamente fino all'ultimo. Da qui viene anche che istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, gi viste come qualcosa di ovvio nel complesso della vita religiosa, oggetto di predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici dalla taccia di ozioso perditempo. E se questo atteggiamento spirituale gi tanto spiccato in Europa, la cui cultura ha profonde radici nel passato, nel nuovo mondo esso si manifesta completamente, senza attenuazioni n compromessi. Un accentuato attivismo domina tutto; l' Ethos ha la netta preminenza sul Lgos, l'aspetto attivo della vita su quello contemplativo. Che atteggiamento tiene la religione cattolica di fronte a questo sviluppo? Bisogna riaffermare subito il principio che il bene di ogni et e di ogni conformazione spirituale pu trovare il suo compimento in quella religione, che sa essere veramente tutto a tutti.
3. Questa corrente ha avuto il suo influsso anche sul pensiero teologico cattolico. Qualche teor i a modernista rappresenta il tentativo di far dipendere il dogma, la verit teologica, dalla vita cristiana e di cercare il suo significato non nel suo valore di verit, bens esclusivamente nel suo valore di vita.

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Anche il possente dispiegamento di forze che caratterizza l'ultimo mezzo millennio ha potuto essere accolto dalla Chiesa e dalla vita cattolica, che ha cos potuto manifestare nuovi aspetti della sua inesauribile pienezza. Occorrerebbe una lunga ricerca per mostrare quante significative personalit, istituzioni, fatti, dottrine siano state suscitate nella vita cattolica da questa tendenza del tempo. Deve essere anche detto, per, che questa spiccata preminenza della volont sulla conoscenza, dell' Ethos sul Lgos, contraddice allo spirito del cattolicesimo. Il protestantesimo nelle sue forme diverse, dalla tendenza ortodossa all'estremo appiattimento della libera critica, rappresenta l'espressione pi o meno religioso-cristiana di questo spirito; e con pieno diritto Kant detto il suo filosofo. Questo spirito ha progressivamente sacrificato la salda verit religiosa, e ha fatto della convinzione religiosa, sempre pi di giorno in giorno, un mero oggetto del giudizio, del sentimento, dell'esperienza personale. La verit scivol cos dal dominio dell'oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante. In tal modo venne da s che la volont assumesse la funzione direttiva. Dal momento che il credente in fondo non aveva pi una vera fede, bens solo un'esperienza della fede del tutto personale, l'unica cosa salda diveniva logicamente non pi un contenuto di fede professabile e insegnabile, bens la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell'azione. Qui non si pu pi parlare ormai di una cristiana affermazione dell'essere in senso proprio. Il credente si era radicato non pi nell'eternit, ma nel tempo, e l'eternit prendeva figura ed entrava in relazione col tem104

p o solo per la mediazione del sentimento, non in via immediata. In tal modo la religione prese un orientamento sempre pi mondano (weltfreudig). Essa divenne sempre pi la consacrazione dell'esistenza umana temporale nei suoi aspetti pi vari, una santificazione dell'attivit terrena: del lavoro professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa spiritualit, quanto contraddica alle leggi supreme dell'esistenza e dell'anima. Essa falsa e perci innaturale nel pi profondo significato di questa parola. Qui sta la fonte specifica dell'angustia dell'et nostra. Essa ha infatti invertito il santo ordine della natura. Goethe ha realmente toccato l'intimo nucleo della situazione quando fece scrivere al suo Faust, preso dal dubbio, le parole: In principio era l'azione al posto della frase: In principio era il Verbo. Passando il centro di gravit della vita dalla conoscenza al volere, dal Lgos all'Ethos, la vita si fece sempre pi instabile. Alla persona singola si richiese di reggersi su se stessa. Ma questo pu farlo solo una volont che sia realmente creativa nel senso pi assoluto della parola; propriet questa che soltanto della volont divina4. Si pretese dall'uomo un contegno che presuppone l'uomo essere Dio. E siccome egli non lo , s'insinua nel suo essere una specie di convulsione
4. La stessa ragione anzi ci dice che Dio assieme verit e bont, non mera volont assoluta; la Rivelazione ha suggellato anche questa come ogni conoscenza di realt religiose, mostrandoci come il primo momento della vita trinitaria divina sia la generazione del Figlio dalla conoscenza del Padre, e come solo secondo sia il momento dello spirare dello Spirito Santo dall'amore d'entrambi.

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spirituale, un atteggiamento di violenza impotente che talvolta appare tragico, ma negli spiriti dalle piccole proporzioni riesce strano, anzi ridicolo. Su questa mentalit ricade la colpa del fatto che l'uomo d'oggid assomiglia tanto spesso a un cieco che brancola nel buio; giacch la forza fondamentale su cui egli ha poggiato la sua vita, vale a dire il volere, cieca. La volont pu volere, agire e creare, non, per, vedere. Di qui procede anche tutta quella irrequietudine che non trova riposo in nessun luogo. Nulla perdura, nulla rimane saldo, tutto si muta, e la vita un perenne divenire, un anelare, un ricercare, un pellegrinare senza posa. La religione cattolica si oppone con tutta la sua forza a questa mentalit. La Chiesa perdona ogni altra mancanza pi facilmente che un attentato alla verit. Essa sa bene che, se uno manca ma non intacca la verit, egli pu ritrovarsi e riprendersi. Ma s'egli intacca il principio, in tal caso lo stesso santo ordine della vita che levato dai cardini. La Chiesa ha pure guardato sempre con profonda diffidenza a ogni concezione moralistica della verit, del dogma. Ogni tentativo infatti di fondare il valore di verit del dogma sul suo valore per la vita, nel suo intimo, anticattolico. La Chiesa pone la verit, il dogma come un dato assoluto, riposante su se stesso, che non abbisogna di nessuna fondazione sulla base dell'ambito morale o pratico. La verit verit, perch la verit. in s e per s indifferente ci che la volont le dice o se essa possa dare inizio con la verit a qualche intrapresa. Il volere non deve giustificare la verit, n essa ha bisogno di giustificarsi dinanzi a esso, bens quello deve riconoscersi del tutto incompetente di fronte a questa.
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Il volere non crea la verit, ma la trova; deve riconoscersi cieco e perci bisognoso di luce, della guida, della potenza ordinatrice e formatrice della verit. Il volere deve fondamentalmente riconoscere il primato della conoscenza sulla volont, del Lgos sull' Ethos5. Questo primato stato frainteso. Non questione qui di una preminenza di valore o di dignit, e neppur si vuol dire che il conoscere sia per la vita umana pi importante che l'agire. E ancor meno si son volute dare indicazioni, se una cosa debba essere colta con il pensiero o con l'azione. L'uno ha tanto valore, dignit, importanza per la vita complessiva quanto l'altra. Dipende dalle disposizioni individuali il fatto che nella vita di una persona l'accento cada sul conoscere piuttosto che sull'agire; e una disposizione vale quanto l'altra. Si tratta qui piuttosto di una delle questioni supreme della filosofia della cultura e precisamente: a qual valore, nel complesso della civilt e della vita umana, spetta la funzione direttiva? Si tratta dunque di un primato d'ordine, non di dignit, significato o frequenza d'uso. Se per si esamina pi da vicino e pi a lungo la questione, si avverte facilmente che la formula primato del Lgos sull' Ethos potrebbe anche non essere la decisiva e suprema. Forse si deve dire piuttosto: nell'ambito complessivo della vita il primato definitivo deve averlo non l'agire, bens l'essere. In fondo non si tratta dell'agire, ma del divenire: non ci che si
5. Si parla di conoscenza, non del concetto; del primato della vita conoscitiva sulla pratica, della contemplativa sulla attiva, nel senso in cui l'ha intesa il Medio Evo, sia pur senza le sue peculiarit storico-culturali. Dalla signoria del mero concetto invece, quale esso se l' assicurata da un mezzo secolo, non possiamo mai svincolarci abbastanza radicalmente.

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fa, bens ci che costituisce il valore supremo. E il valore definitivo non sta nella visione del mondo moralistica, ma in quella metafisica, non nel giudizio sul valore, ma in quello sull'essere, non nello sforzo, ma nell'adorazione. Questi pensieri per conducono fuori dell'ambito di questo libretto. La questione ulteriore, se non debba essere riconosciuto un supremo primato dell'amore, sembra rientrare in un'altra serie di considerazioni. La decisione relativa forse tale che pu ritrovarsi nelle possibilit esaminate pi sopra. Ammesso infatti che la verit sia il valore decisivo, non con ci ancora stabilito se essa sia la verit cercata nell'amore oppure una fredda maest; l'Ethos pu essere un dovere della legge, come presso Kant, oppure un dovere che scaturisce dall'amore creativo. E anche rispetto all'essere rimane aperta la questione se esso ci stia dinanzi come alcunch di inesorabilmente incombente, in suprema istanza, oppure esso stesso costituisca l'amore che supera ogni misura, in cui anche l'impossibile diventa possibile, a cui la speranza pu appellarsi contro ogni speranza. Tutto questo vuol significare il problema, se l'amore non sia la realt pi grande. E in verit lo . Niente altro infatti che questo ci ha annunziato la lieta novella. In questo senso dunque, per il primato della verit ma nell'amore, deve essere risolta la questione della quale ci siamo occupati. Non appena questo primato venga ristabilito, si offre anche il fondamento della sanit spirituale. L'anima infatti abbisogna di un terreno assolutamente saldo su cui reggersi. Essa abbisogna di un appoggio da 108

cui possa spingersi oltre se stessa, di un punto sicuro fuori di essa, e questo punto non pu essere che la verit. Il riconoscimento della verit oggettiva il fatto fondamentale della liberazione spirituale: la verit vi far liberi6. L'anima abbisogna di quella liberazione interiore in cui la concitazione del volere si placa, l'irrequietudine dell'anelito si calma, il grido della brama tace; e questo si verifica fondamentalmente e in prima linea nell'atto intenzionale in cui il pensiero riconosce la verit, lo spirito ammutolisce dinanzi alla maest sovrana della verit. Il dogma, il fatto della verit incondizionata, che sussiste indipendentemente da ogni giustificazione d'utilizzabilit pratica, immobile ed eterna, davvero qualcosa di ineffabilmente grande. E se esso in un'ora fortunata s'accosta un poco pi da vicino allo spirito, quest'ultimo sente come di toccare la garanzia misteriosa della sanit del mondo, intuisce che il dogma in certo modo il guardiano dell'essere tutto, che esso veramente e realmente la roccia su cui tutto riposa. In principio era il Verbo, il Lgos!. Perci il tono di fondo della vita genuina e sana contemplativo. L'energia della volont, dell'azione, della ricerca, per quanto intensa possa diventare, deve riposare sopra una profondit che calma, che s'affisa nelle immutabili verit eterne. Questo il sentire che ha le sue radici nell'eternit. Esso ha la pace; possiede quella serenit immune da tensioni che rappresenta la vittoria sopra la vita. Non ha fretta, ha tempo: pu pertanto attendere e lasciar crescere 7 .
6. Gv 8, 32. 7. Cfr. in proposito R. Guardini, Wille und Wahrheit (Esercizi spirituali), Mainz 1934; tr. it. Volont e verit, Morcelliana, Brescia 1978.

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Questo atteggiamento spirituale veramente cattolico. E se pur vero che, per qualche riguardo, il cattolicesimo arretrato rispetto alle altre confessioni, transeat! Esso non poteva partecipare alla furiosa caccia a cui si abbandonata la volont sciolta da ogni pastoia dopo aver spezzato le leggi eterne. Esso ha, per, conservato qualcosa di insostituibilmente prezioso: il primato del Logos sull' Ethos, e in tal modo l'accordo con le leggi immutabili d'ogni vita. Quantunque in tutto questo discorso non si sia ancora parlato della liturgia, tuttavia tutto fu detto per essa. Nella liturgia il Lgos ha la preminenza, che gli spetta, sulla volont. Di qui la sua mirabile placidit, la sua calma profonda. Di qui s'intende com'essa sembri totalmente risolversi in contemplazione, adorazione, esaltazione della verit divina. Di qui la sua apparente indifferenza alle piccole miserie quotidiane. Di qui la sua scarsa preoccupazione di educare immediatamente e di insegnare la virt. La liturgia ha in s qualcosa che fa pensare alle stelle, al loro corso eternamente uguale, alle loro leggi inviolabili, al loro fondo silenzio, all'ampiezza infinita in cui si trovano. Sembra, per, soltanto che la liturgia si preoccupi cos poco delle azioni e delle aspirazioni, e della condizione morale degli uomini. Poich in realt essa sa assai bene provvedervi: chi infatti vive realmente in essa, si assicura la verit, la sanit e la pace nell'intimo dell'essere.

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I santi segni

PREFAZIONE D E L L ' A U T O R E

I capitoletti di questo libro sono venuti alla luce nel corso di dieci anni e hanno voluto contribuire alla comprensione del mondo liturgico. Me li andava suggerendo la sensazione che tale risultato non si poteva ottenere chiarendo semplicemente in quale periodo storico e sotto quali influssi abbia avuto origine questo rito o quella preghiera. E neppure con un commento che spiegasse il significato dei diversi riti, attribuendo in tal modo alle cerimonie liturgiche un senso che pu essere certo profondo ma non viene ricavato da esse direttamente e personalmente, bens soltanto dedotto da un concetto didattico. Nella liturgia non si tratta precipuamente di concetti, bens di realt. E non di realt passate bens di realt presenti, che si ripetono costantemente in noi e per noi; di realt umane in figura e gesto. E a esse non ci si avvicina dicendo semplicemente: son sorte in quel certo tempo e si sono sviluppate cos e cos. E neppure attribuendo loro qualche occulto significato, bens cercando di cogliere nella forma corporea l'elemento interiore: nel corpo l'anima, nel processo materiale la recondita forza spirituale. La liturgia un mondo di vicende misteriose e sante divenute figura sensibile: ha perci carattere soprannaturale. dunque necessario innanzitutto apprendere l'atto di vita con cui il credente intende, riceve, compie i santi segni visibili della grazia invisibile. Si tratta in primo luogo di educazione liturgica, non di insegnamento liturgico che naturalmente non da disgiungersi dalla prima: di un av113

viamento, o almeno di una sollecitazione a vedere e compiere, in pienezza di vita, i santi segni. E a questo scopo mi parve giusto ed efficace prendere gli inizi dalle cose pi semplici; dagli elementi da cui si svolgono poi le creazioni superiori della liturgia. Doveva essere scosso ci che nell'uomo corrisponde a quei segni elementari. Doveva venir portato a consapevolezza dell'uomo che questi sono segni, simboli. Se siffatti segni venissero colti dalla viva forza espressiva con cui l'uomo attinge in modo sempre nuovo l'intimo delle figure che gli si presentano, ed esprime negli atteggiamenti della sua persona il proprio intimo; se essi si liberassero dalle forme convenzionali assurgendo nuovamente a simboli genuini: allora s che ci sarebbe veramente da sperare che essi vengano pure intesi dalla coscienza cristiana quando dispiega o contempla le forme liturgiche. L'uomo infatti a cui esse si rivolgono, battezzato nell'anima e nel corpo: in tal modo e questo era l'intento esse verrebbero intese quali simboli santi, quali elementi dei sacramenti e dei sacramentali. Quel che s' tentato praticamente in questi brevi schizzi senz'alcuna pretesa di compiutezza ha ottenuto poi la sua pi profonda giustificazione nello scritto dell'autore dal titolo: Liturgische Bildung (Magonza 1923)1. Ma sempre una cosa di dubbia efficacia il ripresentare dopo qualche tempo ci ch' scaturito da motivi determinati ed cresciuto col maturare della vita di determinate persone. E io so fin troppo bene quanto si potrebbe eliminare in questi saggi; come essi non siano abbastanza dominati dall'oggetto, ma piuttosto lirici e soggettivi; non abbastanza fondati sulla necessit logica, bens impressionistici, casuali; a prescindere dalle loro deficienze letterarie. Rimane
1. Ed. it., R. Guardini, Formazione liturgica. Saggi, OR, Milano 1988.

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giusto solo il loro concetto fondamentale. E, malgrado ogni lato discutibile, mi sembra che abbiano sempre il diritto di presentarsi al pubblico. Infatti anche se non raggiungono tutto il loro intento, accennano almeno a qualcosa che deve essere visto e ricercato; e, nell'attuale letteratura liturgica, non ho ancora incontrato nulla che veda e ricerchi questo in modo migliore. Io saprei bene chi potrebbe qui dir meglio e pi giusto: una madre che, formata per proprio conto liturgicamente, insegnasse al suo bambino a fare bene il segno della santa Croce; a veder nella candela che arde una persona che apre il suo intimo sentire; a star nella casa del Padre con tutta la sua viva umanit ...; e tutto questo non mediante considerazioni estetiche, bens proprio come un vedere, un fare: non quindi come un arido pensare e riflettere che contempli opere, gesti e atteggiamenti come figure appese tutt'all'intorno! Oppure un maestro che viva davvero con i suoi scolari; che li renda capaci di sentire e celebrare la domenica per quel che essa ; e cos pure la festivit, l'anno ecclesiastico con le sue partizioni; il portale e le campane, la Chiesa e le rogazioni... Gente siffatta potrebbe dire come si evocano a vita i santi segni... La via che conduce alla vita liturgica non si dispiega attraverso la mera istruzione teorica, bens offerta innanzitutto dalla pratica. Osservare e agire sono le due forze fondamentali in cui ha da essere radicato tutto il resto. Un osservare e agire illuminato da chiara dottrina e radicato nella tradizione cattolica mediante un adeguato insegnamento storico: questo certo. Ha da essere per un agire e invero un agire reale qualcosa di pi d'un mero esercitarsi perch il gesto venga appreso direttamente! L'agire qualcosa di elementare; qualcosa in cui l'uomo ha da ritrovarsi tutto con le proprie forze creative; un eseguire compenetrato di vita; un 'esperienza viva: cogliere, contemplare. 115

Quando finalmente educatori siffatti parlassero dei santi segni attingendo alla loro esperienza, questo libretto potrebbe sparire dalla circolazione. Fino a questo momento per ha il diritto e anche il dovere di parlare: come meglio pu. Primavera 1927 ROMANO GUARDINI

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PREMESSA

Eccoti un libretto ben modesto nelle mani. Esso parla di cose che forse ti sembrano di poca importanza; eppure, quel che vuole propriamente dirti, qualcosa di grande. Noi viviamo in un mondo di segni ma abbiamo perduto la realt da essi significata. Non pensiamo pi cose, bens parole. Quando una persona dice faggio, le sta veramente dinanzi agli occhi un nobile fusto grigio-argenteo, un ampio sviluppo di rami modellati con forza e insieme con delicatezza fin nelle ultime propaggini, delle foglie compatte e senza pieghe, soffuse alla luce solare di riflessi cos delicati nelle loro iridescenze verdi-gialle? Forse! Ma per taluno faggio proprio solo una parola; una parola con la quale intende quell'albero, allo stesso modo che una moneta gli fa pensare a un determinato valore numerico. Quando la pronunzia, forse gli guizza attraverso lo spirito un'immagine fuggevole, ricordo sbiadito di qualche gita in montagna, ma niente di pi. Oppure uno dice miseria. Ma la sua parola davvero gravata dall'oscuro fardello che pesa sul cuore dell'uomo? Sente egli come una stretta al cuore l'amarezza che queste tre sillabe significano oppure queste sono per lui soltanto quasi fredda moneta ch'egli trasmette senza commozione, come un infermiere comunica all'altro il numero 117

d'una stanza, senza riflettere a quel che chiuso in quello spazio contrassegnato da una morta piastrina di ottone? Cosa proviamo quando diciamo di aver meritato tante e tante lire? Sentiamo quale giudizio implicito in questa parola meritato? Soddisfacimento tranquillamente consapevole, oppure un'ingiustizia che esige espiazione, ovvero addirittura una beffa crudele? E cos per molte altre parole ... Parole, parole! Per questo il nostro pensiero ha s poca importanza nei riguardi della realt che non afferra affatto saldamente. Per questo la nostra parola cos pallida e fioca, esangue e priva di forza figurativa. Per questo ci che udiamo non ci tocca l'anima. Altrimenti potremmo ascoltare e leggere ogni giorno tante cose? Se le parole fossero per noi qualcosa di pi d'un suono che significa alcunch, d'una struttura sonora accompagnata da fugaci sensazioni e da immagini evanescenti, come potremmo leggere tanti giornali e prestare ascolto a tante novit? Pensa alla schiatta terr i bile dei luoghi comuni! Se vuoi percepire quanto sia vuoto il nostro discorrere pubblico, presta attenzione ai luoghi comuni. Rabbrividirai fin nelle intime fibre. Essi sono vuoti, irrispettosi e distruttori come soltanto il vuoto pu esserlo. La cosa pi bella resa volgare. Se per avventura una parola sgorga dal fervore del cuore, tutta piena di sangue e di forza, in pochi giorni i giornali e le chiacchiere della gente ne prendono possesso, la sbiadiscono a luogo comune, la rendono scipita fino alla nausea. Oh, noi dovremmo apprendere a custodire le nostre parole pi care, affinch la volgarit del pubblico chiacchiero non le insozzi! E il nostro agire! Noi eseguiamo delle forme e non 118

delle azioni! Diciamo delle larve di parole; compiamo delle ombre di azioni. Siamo consapevoli di quello che facciamo quando stringiamo la destra a qualcuno? Ci chiaro che noi gli diamo la nostra fiducia, la nostra anima? Se lo sapessimo, lo faremmo con minor frequenza. Ma cos tale atto una vera formalit, che solo di rado compenetrata di realt spirituale, al punto che possiamo dare la destra all'amico intimo come a chi ci indifferente o, addirittura, spregevole. I saluti, gli auguri, i doni e la comunanza della tavola, le svariate forme della deferenza, hanno esse ancora un'anima? In caso diverso non potremmo scialarle con tanta facilit. Noi diciamo delle mere parole. Noi compiamo delle formalit. Viviamo in un mondo di segni, ma la realt che essi significano l'abbiamo perduta. Fintanto che le cose rimangono cos, non c' da parlare di una nuova civilt. Questo lo possiamo anzi fare, solo perch si tratta di mere parole, che, se con esse noi parlassimo di cose, sentiremmo subito quanto insignificanti esse siano. Solo attingendo il reale, la nostra vita potr rinnovarsi. Solo rifacendosi all'infinit dell'essere, la nostra civilt pu ringiovanire. Fino a tanto per che non ci poniamo dinanzi al reale, alle cose, all'anima; fino a tanto che non ne percepiamo l'urto, donde ha mai da scaturire la realt nuova? Sorgono nuove parole, godono per breve tempo una parvenza di vita, finch le avvolge il fascino della loro origine; ma presto sono ridotte a un paio di luoghi comuni e nulla pi. Tutto rimane oratoria da comizio, articolume da giornale, fino a che non evadiamo dalla parvenza e riattingiamo l'essenza e la realt. Immagini significative di cose, corpi sonori di fatti
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spirituali: questo han da essere le parole. Le azioni devono essere compenetrate di realt interiore e debbono a lor volta abbracciare realt. E riconosciamo vera forza di rinnovamento l ove l'uomo di nuovo sensibile all'urto dell'essere, vi si arresta dinanzi, ammira, interroga; dove questo urto, ripercuotendosi, gli foggia la parola e l'opera. E il significato pi profondo del movimento giovanile, in quanto movimento e non solo mera organizzazione, sta appunto in questo: nella sua volont protesa al reale. Basta con le larve di parole: rimettiamoci dinanzi alle cose! Evadiamo dalle nebbie infide delle idee indeterminate e adusate e riapriamo gli occhi alla forza penetrante del reale! Deponiamo la veste glaciale delle frasi fatte! Rioffriamo il petto all'impressione delle cose, di modo che esso, nello stupore, nel dolore, nella gioia, ne percepisca la potenza! Certo, al primo momento, questo sconcerter e render muti. Le parole sembrano non pi usabili, essendo state prostituite da un lungo abuso. Ricomincia una specie di balbetto. Molte cose vengono scoperte di nuovo e in modo nuovo vissute; gli oggetti, visti e sentiti in una nuova maniera, debbono cercarsi il proprio corpo verbale: allora la parola acquista una potenza nuova, e la pi semplice comincia a risplendere con la maggiore intensit. cos anche con le formalit. Via le maschere che non rivelano pi i sentimenti, bens li occultano! Via i formalismi che si frappongono tra cuori viventi e li ingannano! La giovent ha da sperimentare di nuovo nel profondo ci che vuol dare al prossimo, ci che vuol essere per lui. Essa sente inoltre che nelle forme correnti non sopravvive molto di questa sincerit. Ne
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rimane sconcertata. E la si rimprovera di sconvenienza perch non ne vuol pi sapere ormai di questi cadaveri di azioni. C' anche il disorientamento della ricerca che qui comincia; ma dopo qualche giravolta essa giunge di nuovo a vere forme. E per questa via essa scoprir come forme nuove anche le vecchie, scaturite dalla stessa essenza umana: esse vivranno allora della vita di questo essere e la semplice stretta di mano, i doni, la comunanza della tavola riassurgeranno a verace espressione di realt interiori. Tutto ci ha da portare qualcosa di sconcertante, un cercare ed errare penoso. Chi lo esperimenta appare spesso scontroso, perch non pu pi scialare a chiunque ci che per lui ha un significato cos profondo; deve apparire come un originale, perch prende sul serio cose che nessuno pi avverte; perch vede problemi che da tempo sono svaniti nella cecit di tutti gli occhi. Ma beata questa pena: da essa sta per scaturire una civilt nuova vitale. Strano! Anni fa il Papa Pio X ha detto: Ridate alle parole il loro senso!. Quanto profondamente ci penetra oggi nell'anima questa esortazione! Si, ridare alle parole il loro senso, e cos pure alle forme e azioni della vita. Questo dovr fare la giovent. Perch ho parlato di tutto questo? Perch in nessun ambito la profanazione della parola, lo svuotamento dell'agire, la vanificazione del segno cos terribile quanto nella vita religiosa. Cosa deve succedere alla nostra anima, quando essa ha disimparato a soffermarsi dinanzi alle realt della salvezza? Quando essa pronunzia sante parole che sono una vuota eco? Quando ha santi segni e 121

compie sante cerimonie senza pi avvertire la realt che vi rinchiusa? Dillo tu stesso, che peso hanno per noi le parole: Dio, Cristo, grazia? Cos' per noi fare il segno della croce? Il piegare le ginocchia? Rivelazione di una realt soprannaturale? Oppure una figura d'ombra? Un'ascesa verso il cielo? O piuttosto un compiere delle formalit? Non troppo spesso la seconda cosa? E tutto questo non perch in noi rigettiamo quelle verit, bens perch in noi non v' pi quella viva coscienza della realt di cui qui si tratta. Perch la nostra fede non ha pi capacit di presa n forza visiva? La fede coscienza di realt soprannaturali. La fede vita in un mondo di realt invisibili. Abbiamo noi questa fede? Qui dobbiamo iniziare il rinnovamento. Non distruggere l'invecchiato e trovare il nuovo. Le grandi parole e le grandi forme della Chiesa scaturiscono dalle profondit essenziali. Cosa mai deve essere qui mutato? Puoi forse modificare la struttura della ruota o quella del martello? Esse sono corrispondenti all'essenza; appena sono viste, sono anche foggiate, e rimangono. Oppure credi di poter mutare l'afferrar della mano, ovvero il modo in cui l'occhio si fissa sull'oggetto? Molte delle parole e delle forme della Chiesa sono di questo genere. Ci possibile per un'altra cosa: ridar loro il proprio senso. Cio: vedere la realt che dietro di esse giace. Rivivere ci che si pronunzia. Allora le forme si svolgeranno dall'interiore pienezza. Questo libretto vorrebbe esser di sussidio a tale scopo. Vuol mostrare come si possa cogliere un senso
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dietro le parole che diciamo ogni giorno; come si possano vivere i segni che ripetiamo di continuo. Vuol apprendere e avvertire il nucleo delle forme di cui intessuta la nostra vita. Allora sperimenteremo davvero l'urto delle realt che ci giganteggiano dinanzi nella Chiesa e nelle sue consuetudini. E queste consuetudini riprenderanno a vivere quasi fossero totalmente nuove. Non vuol essere per un libro didattico. Racconter, come mi capita, ci che mi successo. E cos come l'ho visto io, vedilo tu, meglio, pi precisamente, pi chiaramente; e buona fortuna.

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DEL S E G N O DELLA C R O C E

Quando fai il segno della croce, fallo bene. Non cos affrettato, rattrappito, tale che nessuno capisce cosa debba significare. No, un segno della croce giusto, cio lento, ampio, dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Senti come esso ti abbraccia tutto? Raccogliti dunque bene; raccogli in questo segno tutti i pensieri e tutto l'animo tuo, mentre esso si dispiega dalla fronte al petto, da una spalla all'altra. Allora tu lo senti: ti avvolge tutto, corpo e anima, ti raccoglie, ti consacra, ti santifica. Perch? Perch il segno della totalit ed il segno della redenzione. Sulla croce nostro Signore ci ha redenti tutti. Mediante la croce Egli santifica l'uomo nella sua totalit, fin nelle ultime fibre del suo essere. Perci lo facciamo prima della preghiera, affinch esso ci raccolga e ci metta spiritualmente in ordine; concentri in Dio pensieri, cuore e volere; dopo la preghiera affinch rimanga qui in noi quello che Dio ci ha donato. Nella tentazione, perch ci irrobustisca. Nel pericolo, perch ci protegga. Nell'atto della benedizione, perch la pienezza della vita divina penetri nell'anima e vi renda feconda e consacri ogni cosa. Pensa quanto spesso fai il segno della croce. il segno pi santo che ci sia. Fallo bene: lento, ampio, consapevole. Allora esso abbraccia tutto l'essere tuo, cor125

p e anima, pensieri e volont, senso e sentimento, agire e patire, e tutto diviene irrobustito, segnato, consacrato nella forza di Cristo, nel nome del Dio uno e trino.

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LA M A N O

L'intero corpo strumento ed espressione dell'anima. Questa non semplicemente nel corpo come una persona che siede nella propria casa, bens risiede e agisce in ogni membro e in ogni fibra. Parla da ogni lineamento, da ogni forma e moto del corpo. Per, dell'anima, specialmente il viso e la mano sono strumento e specchio. Del viso ci senz'altro evidente. Ma osserva una persona o anche te stesso e nota come ogni moto dell'animo, gioia, stupore, attesa si manifestano contemporaneamente anche nella mano. Un repentino alzar della mano oppure una sua lieve morsa non dice spesso di pi che la stessa parola? La parola espressa non appare talvolta grossolana accanto al linguaggio delicato e significativo della mano? Essa , dopo il viso, la parte pi spirituale del corpo, se cos si pu dire. salda e vigorosa quale strumento del lavoro, quale arma di offesa e di difesa, ma pur tuttavia anche una cosa finemente costruita, ben articolata, mobile, percorsa da nervi delicatamente sensibili. Quindi veramente uno strumento per cui l'uomo pu rivelare la propria anima, e insieme accogliere l'anima altrui. Anche questo egli fa con la mano. Non un accogliere l'anima altrui lo stringere le mani che uno ci tende? Con tutto quanto esse esprimono di fiducia, di gioia, di approvazione, di dolore?
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Cos non pu non avvenire che la mano abbia il suo linguaggio anche l dove l'anima parla e riceve in modo tutto particolare; vale a dire dinanzi a Dio. Dove l'anima vuol dare se stessa e ricevere Dio; vale a dire nella preghiera. Quando uno si raccoglie tutto in se stesso ed nella sua anima solo con Dio, allora la mano si stringe saldamente nell'altra, il dito s'incrocia col dito. Come se il flusso interiore che vorrebbe dilagare, dovesse venir condotto da una mano nell'altra e riportato nell'interno, affinch tutto rimanga dentro, un custodire il Dio nascosto. E cos parla: Dio mio, e io sono suo, e noi siamo soli, l'uno con l'altro, in intimit. Altrettanto fa la mano quando un'interiore angustia, una necessit, un dolore, minaccia di erompere. La mano si stringe di nuovo nella mano, e l'anima dentro, lotta con se stessa fino a che si dominata, placata. Ma se uno sta dinanzi a Dio in atteggiamento interiormente umile e reverente, allora la mano aperta aderisce pianamente all'altra, palmo a palmo. Il che parla di severa disciplina, di contenuta reverenza. Ed un esprimere umile e, ben determinato la propria parola e un ascoltare il divino con attenzione. Oppure esprimiamo devozione, dedizione, quando si abbandonano, per cos dire, le mani con cui ci difendiamo alla stretta delle mani di Dio. Avviene anche che l'anima si apra tutta dinanzi a Dio, in gran giubilo o ringraziamento. S che in essa, quasi in un organo, si aprano tutti i registri lasciando profluire la piena interiore. Oppure, anelante, essa 128

invoca: allora l'uomo apre bene le mani e le solleva a palme dispiegate affinch la piena dell'anima fluisca liberamente e l'anima possa compiutamente ricevere quanto brama. E infine pu capitare che uno si raccolga in se stesso con tutto quanto esso e possiede, per offrirsi in pura dedizione a Dio, conscio di accedere a un sacrificio. E allora stringe mani e braccia sul petto, nel segno della croce. Bello e grande il linguaggio della mano. Di essa la Chiesa dice che ci data affinch vi portiamo l'anima. Perci prendi sul serio la mano, questo santo linguaggio. Dio l'ascolta e tende l'orecchio a quanto essa Gli dice dell'intimo dell'anima. Essa pu anche parlare di pigrizia di cuore, di dissipazione e d'altre cose poco belle. Tieni bene le mani e procura che l'intimo tuo spirito coincida davvero con questo atteggiamento esteriore! Cosa delicata quella di cui abbiamo qui parlato; di cose siffatte non si parla volentieri, ma quasi con avversione. Con tanta maggiore severit vogliamo rispettare queste esigenze nella realt. Non farne cio un gioco vano e affettato, bens un linguaggio in cui il corpo, in schietta veracit, esprima a Dio quello che l'anima intende.

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DELL'INGINOCCHIARSI

Cosa fa una persona quando s'inorgoglisce? Si drizza, alza il capo, irrigidisce le spalle e l'intera figura. Tutto in essa dice: Io sono pi grande di te! Io sono da pi di te!. Quando uno invece di nobile sentimento e si sente piccolo, china il capo, la sua persona si rattrappisce: egli si abbassa. Tanto pi profondamente, quanto pi grande colui che gli sta dinanzi; quanto meno egli sente di valere agli stessi propri occhi. Ma quando mai percepiamo noi pi chiaramente la nostra pochezza di quando stiamo dinanzi a Dio? Al grande Iddio che era ieri come oggi, tra secoli e millenni! Al grande Iddio che riempie questa stanza e l'intera citt e il vasto mondo e l'incommensurabile cielo stellato, dinanzi a cui tutto come un granello di sabbia! Al Dio santo, puro, giusto, infinitamente sublime ... come grande Lui... e come son piccolo io! Cos piccolo che non posso neppure mettermi a confronto con Lui, che dinanzi a Lui sono un nulla! Non vero e vien con tutta evidenza da s che non si pu stare da superbi dinanzi a Lui? Ci si fa piccoli; si vorrebbe impicciolire la propria persona, perch essa non si presenti cos, con tanta presunzione: l'uomo s'inginocchia. E se al suo cuore questo non ba131

sta ancora, egli pu inoltre prostrarsi. E la persona profondamente chinata dice: Tu sei il Dio grande, mentre io sono un nulla!. Quando pieghi il ginocchio, non farlo n frettolosamente n sbadatamente. D all'atto tuo un'anima! Ma l'anima del tuo inginocchiarti sia che anche interiormente il cuore si pieghi dinanzi a Dio in profonda reverenza. Quando entri in chiesa o ne esci, oppure passi davanti all'altare, piega il tuo ginocchio profondamente, lentamente; che questo ha da significare: Mio grande Iddio! .... Ci infatti umilt ed verit e ogni volta far bene all'anima tua.

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LO STARE IN PIEDI

Abbiamo detto che la reverenza al Dio infinito esige un contegno determinato. Egli s grande e noi cos piccoli dinanzi a Lui che codesta coscienza si manifesta anche esteriormente: ci fa piccoli, ci impone di inginocchiarci. Il rispetto pu per manifestarsi anche in altro modo. Immagina d'essere seduto, di riposare o di chiacchierare e che d'improvviso giunga una persona per cui hai rispetto e si diriga verso di te. Subito balzeresti in piedi e ascolteresti e risponderesti stando cos ritto. Che cosa significa questo? Lo stare in piedi significa innanzitutto che ci raccogliamo. Anzich l'atteggiamento libero dello stare seduti, ne assumiamo uno dominato, rigido. Significa che siamo attenti. Nello stare in piedi infatti c' qualche cosa di teso, di desto. E infine significa che siamo pronti; chi sta in piedi, infatti, pu subito aprir la porta e uscirne, pu senza indugio eseguire un incarico, o iniziare un lavoro, appena gli sia assegnato. Questo l'altro aspetto della reverenza dinanzi a Dio. Nello stare in ginocchio si esprimeva quello di chi adora, di chi perdura nel riposo; qui invece si presenta l'atteggiamento desto, attivo. Tale reverenza, tutta propria del servo premuroso e del guerriero armato, si manifesta nello stare in piedi. Sorgiamo in piedi quando riecheggia la lieta novel133

la; all'Evangelo, nella Santa Messa. Stanno in piedi i padrini al Battesimo, quando pronunziano per il bambino il voto della fedelt alla fede. Stanno in piedi i fanciulli, quando, alla loro prima Comunione, rinnovano questi voti battesimali. Stanno in piedi gli sposi, quando, dinanzi all'altare, mediante la parola della fedelt, si uniscono in matrimonio. E cos pure in diverse altre cerimonie. Anche per il singolo il pregare in piedi pu essere talvolta un'espressione vigorosa del suo intimo. I primi Cristiani lo hanno fatto volentieri. Conosci certamente la figura dell'orante nelle catacombe, della persona stante, dalla veste ricadente in nobili pieghe e dalle braccia aperte. Essa sta libera, ma tutta dominata da schietta disciplina; tranquillamente intenta alla Parola divina e pronta all'agire gioioso. Talvolta non ci si pu neppure inginocchiare bene; ci si sente impacciati. Allora opportuno stare in piedi: ci si assicura il nostro agio. Che sia per uno stare in piedi per davvero! Su ambedue i piedi, senza appoggiarsi, a ginocchia tese, senza alcuna pigra rilassatezza. Ritti e composti. In quest'atteggiamento si irrigidisce anche la preghiera e insieme si libera in reverenza e prontezza d'azione.

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L'INCEDERE

Quanti sanno camminare con dignit, incedere? Non affatto un affrettarsi e correre, bens un movimento composto. Non un pigro trascinarsi innanzi, bens un avanzare virile. Chi incede cammina con agile piede, non strascica; diritto, senza impacci, non curvo; non incerto, bens in saldo equilibrio. cosa piena di nobilt un giusto incedere. Senza impacci eppur composto in distinto contegno. Lieve ed energico, diritto e vigoroso, senza sforzo, eppure pieno di forza protesa in avanti. Si tratti dell'incedere dell'uomo e della donna, in questa forza si presenta una nota di gravezza o di letizia: essa porta un peso esteriore oppure un mondo interiore di pace luminosa. E com' bello quest'incedere quando pio! Pu assurgere a schietta liturgia. Quale semplice portarsi dinanzi a Dio in consapevolezza e reverenza, come quando si avanza in chiesa, nella casa dell'altissimo Signore e in speciale maniera sotto i Suoi occhi. Oppure assurge ad accompagnamento di Dio, come quando incediamo nelle processioni: il pensiero forse ti corre ai disordinati pigia-pigia, allo strascinarsi e curiosare annoiato di tante processioni. Potrebbe mai esservi cosa pi festosa e lieta dei fedeli che accompagnano il Signore per le vie della citt o per i campi, sua propriet, procedendo tutti con cuore orante, gli uomini con passo vigoroso, le donne nella loro di135

gnit materna, le fanciulle liete, nella loro giovinezza, di pura grazia, i giovani nella loro forza contenuta? ... Cos una rogazione potrebbe assurgere a preghiera corporea! Coscienza del bisogno e della colpa fatta persona potrebb'essere, e tuttavia dominata dalla fiducia cristiana non ignara che, come nell'uomo v' una forza sopra tutte le altre sue forze, il volere calmo e sicuro di se stesso, cos v' una potenza sovrastante a tutti i bisogni e a tutte le colpe: il Dio vivente. L'incedere non un'espressione della nobilt della natura umana? La figura diritta, signora di se stessa, che si porta da sola, calma e sicura, codesta figura rimane un privilegio riservato all'uomo. Camminare eretti significa essere uomini. Ma non siamo pi soltanto uomini: siamo pi che uomini. Stirpe divina siete, dice la Scrittura. Rigenerati da Dio a una vita nuova. Cristo vive in noi, in maniera particolarmente profonda nel Sacramento dell'altare: il suo corpo viene a far parte del nostro corpo; il suo sangue circola nel nostro sangue. Poich chi si ciba della mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui, Egli ha detto. Cristo cresce in noi e noi cresciamo in lui, in tutte le dimensioni, fino a che abbiamo raggiunto la maturit di Ges Cristo; fino a che Egli abbia preso forma in noi, e pertanto tutto l'essere e l'agire, sia che mangiamo o che dormiamo o attendiamo a qualche altra cosa,

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lavoro o gioco, gioia o lacrime, tutto sia divenuto vita in Cristo. La consapevolezza di questo mistero potrebbe in tal modo trovare un'espressione gioiosa, rilucente di bellezza e compenetrata di forza, nel giusto incedere. Potrebbe essere l'attuazione trasfigurata in profonda similitudine del comandamento: Cammina dinanzi a me e sii perfetto. Ma in semplicit e veracit! Solo dalla verit, non dal vano volere, pu fiorire la bellezza.

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DEL BATTERSI IL P E T T O

La santa Messa cominciata. Il sacerdote sta ai piedi dell'altare. I fedeli, oppure i chierici in loro vece, pregano: Io confesso a Dio Onnipotente [...] che ho molto peccato con pensieri, parole ed opere per mia colpa, mia colpa, per mia grandissima colpa. E quante volte pronunziano la parola colpa, si battono il petto. Cosa significa dunque questo battersi il petto? Penetriamo bene questo senso. A tale scopo, dobbiamo compiere bene l'atto. Non toccarci appena le punte delle dita il vestito; il pugno chiuso deve colpire il petto. Forse hai visto gi in vecchi quadri San Girolamo inginocchiato nel deserto, che, nella piena della commozione, si batte il petto con una pietra nella mano. una percossa, non un gesto cerimonioso. Ha da attraversare le porte del nostro mondo interiore e scuoterlo. Allora comprendiamo cosa significa. Questo mondo ha da essere pieno di vita, pieno di luce, forza e attivit vigorosa. Ma come si presenta esso in verit? Gravi esigenze ci si presentano, doveri, bisogni, inviti alla decisione, ma a stento taluna di esse ha un'eco dentro di noi. Cos, siam magari gravati da qualche colpa, ma non ce ne preoccupiamo. Nel fervore della vita siamo circondati dalla morte,
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ma non vi pensiamo. Ma ecco una voce di Dio che ammonisce: Destati! Guardati attorno! Rifletti con te stesso! Convertiti! Fa' penitenza!. Questo monito prende forma concreta nella percossa del petto. Questa ha da penetrare; ha da scuotere, intimorire il mondo interiore, affinch si desti, apra gli occhi, si converta a Dio. Si rende l'anima consapevole della sua condizione? In tal caso le salta all'occhio, come abbia sciupato in sciocchezze la vita, ch' una cosa seria, come abbia trasgredito il comandamento del Signore, come abbia trascurato i suoi doveri, per sua colpa. In questa colpa essa si trova incarcerata, e c' solo una via per uscirne, e precisamente che riconosca senza riserve: Ho peccato in pensieri, parole, opere ed omissioni contro il Santo Iddio e la comunione dei Santi. In tal modo si mette dalla parte di Dio e prende partito per Lui contro se stessa. Pensa di s quel che pensa Dio. Si sdegna dei propri peccati e si colpisce nella percossa. Questo dunque il significato del battersi il petto: l'uomo vi si desta. Desta il suo mondo interiore, affinch percepisca l'appello di Dio. Si mette dalla parte di Dio e si punisce. Riflessione pertanto, rimorso e conversione. Per questo sacerdote e popolo si battono il petto quando nell' Introito confessano i loro peccati. Lo facciamo pure quando, prima della Comunione, ci viene mostrato il corpo del Signore e diciamo:
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Signore, io non sono degno che Tu entri sotto il mio tetto 1 ; q u a n d o nelle litanie ci confessiamo colpevoli e diciamo: Noi peccatori, Ti supplichiamo, ascoltaci. Il significato dell'uso si a n c h e a t t e n u a t o . Cos i fedeli si b a t t o n o il p e t t o a n c h e all'elevazione dell'Ostia e del Calice. O p p u r e q u a n d o , c o n l'Angelus Domini diciamo: Ed il Verbo si fatto carne. Q u i il senso p r o p r i o e originario s' p e r d u t o e il gesto rimasto a n c o r a quale m e r a espressione generica di reverenza e umilt. Ma gli d o v r e b b e essere conservata l'aspra severit d ' u n m o n i t o alla consapevolezza di s e d ' u n a punizione che il c u o r e c o n t r i t o infligge a se stesso.

1.

Nella liturgia attuale: di accostarmi alla tua mensa (n.d.r.).

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I GRADINI

Noi abbiamo riflettuto su diverse cose: ti riuscito chiaro quello che abbiamo fatto a questo riguardo? Si sempre trattato di cose da lungo tempo conosciute; eppure ci sono apparse nuove. Erano cose viste mille volte; ma ora le abbiamo considerate nella giusta luce, ed esse si sono aperte e ci hanno rivelato genuina bellezza. Abbiamo prestato orecchio ed esse hanno incominciato a parlare. Di azioni che abbiamo compiuto gi tante volte abbiamo penetrato il giusto senso, le abbiamo eseguite consapevolmente, ed ecco n' emerso tutto quello che in esse si nasconde. Che grande scoperta questa! Cos dobbiamo conquistare quanto gi da tempo possediamo, perch diventi realmente nostro. Dobbiamo apprendere a veder giusto, a udire giusto, a operare giustamente. Qui sta il grande imparare a vedere, il diventare sapiente. Finch questo non avviene, tutto ci rimane muto e oscuro; ma se lo raggiungiamo, allora tutto si manifesta, rivela il suo intimo e da questa sua essenza l'aspetto esteriore riceve figura. Ne farai l'esperienza: proprio le cose pi intuitive, le azioni d'ogni giorno, nascondono la realt pi profonda. Nelle cose pi semplici si nasconde il pi grande mistero. Ecco ad esempio i gradini. Li hai saliti infinite volte. Ma hai penetrato quello che, in quel mentre, a vv e143

niva in te? Avviene infatti qualcosa in noi quando ascendiamo. Soltanto, cosa molto delicata e silenziosa, che si pu facilmente lasciar perdere senza percepirla. Qui si manifesta un grande mistero. Uno di quei fenomeni che procedono dal fondamento della nostra essenza umana; enigmatico, non lo si pu risolvere in concetti, eppure ognuno lo intende, perch il nostro intimo che vi parla. Quando saliamo i gradini, non sale soltanto il piede, bens anche tutto l'essere nostro. Anche spiritualmente noi saliamo. E se lo facciamo consapevolmente, presentiamo di ascendere a quell'altezza dove tutto grande e compiuto; cio al cielo in cui abita Dio. Tuttavia percepiamo egualmente il mistero. dunque Dio lass? Ma per Lui non c' alto n basso! Ma a Dio giungiamo soltanto rendendoci pi puri, pi sinceri, migliori! E che cosa ha a che fare il diventare migliori con l'ascendere materiale? Che cosa ha a che fare l'essere puro con lo stare in alto? E invero qui non si pu spiegare ulteriormente. dall'essenza nostra che ci scaturisce il senso che il basso similitudine del meschino, del pravo, l'alto similitudine del nobile e del buono, e che il salire ci parla dell'ascesa del nostro essere all'Altissimo, a Dio. Non lo possiamo spiegare, per cos: lo percepiamo, lo intuiamo. Perci dei gradini che conducono dalla strada alla chiesa; essi dicono: Tu sali alla casa della preghiera, pi vicino a Dio. E dalla navata della chiesa al coro nuovi gradini 2 , che dicono:
2. Non sempre nelle chiese costruite ai nostri giorni (n.d.r.).

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Ora ti introduci presso l'Altissimo. E altri gradini portano su all'altare. A chi li ascende essi sussurrano quello che gi ebbe a dire il Signore a Mos sul monte Horeb: Levati i calzari, perch questo terreno sacro. L'altare la soglia dell'eternit. Com' grande questo! Salirai ora consapevolmente i gradini, sapendo di ascendere? E lascerai tutto il meschino in basso e salirai davvero all'alto? E questo ha da suggerirti molte cose. Che tu ne rimanga interiormente compreso; che le ascese del Signore si compiano in te; questo tutto.

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IL P O R T A L E

Spesso siamo entrati per esso in chiesa e ogni volta esso ci ha detto qualcosa. L'abbiamo invero percepito? A che scopo c' il portale? Forse ti meravigli di questa domanda. Perch si entri e se ne esca, pensi tu; la risposta non sarebbe invero difficile. Certo; ma per entrare e uscire non occorre alcun portale. Una apertura pi ampia nella parete servirebbe pure allo scopo e un saldo assito di panconi e forti tavole basterebbe all'apertura e alla chiusura. La gente potrebbe entrare e uscire: sarebbe anche di minor costo e pi rispondente allo scopo. Non sarebbe per un portale. Questo intende a qualcosa di pi che non sia il soddisfacimento di un mero scopo; esso parla. Presta attenzione quando lo varchi e sentirai: Ora io lascio l'esterno: entro. Fuori c' il mondo, bello, fervido di vita e di creazione possente. Frammezzo per vi anche molto d'odioso, di basso. Esso ha in s qualcosa del mercato; in esso ognuno corre attorno, tutto qui si fa largo. Non lo vogliamo chiamare non-santo; eppure qualcosa di questo il mondo tiene indubbiamente in s. Attraverso il portale per entriamo in un interno, separato dal mercato, calmo e sacro: nel santuario. Certo, tutto opera e dono di Dio. Dovunque Egli pu muo147

verci incontro. Ogni cosa la dobbiamo ricevere dalle mani di Dio e santificarla con un sentimento di piet. Pur tuttavia gli uomini fin dall'inizio hanno saputo che luoghi determinati sono in modo particolare consacrati, riserbati a Dio. Il portale sta tra l'esterno e l'interno; tra ci che appartiene al mondo e ci che consacrato a Dio. E quando uno lo varca, il portale gli dice: Lascia fuori quello che non appartiene all'interno, pensieri, desideri, preoccupazioni, curiosit, leggerezza. Tutto ci che non consacrato, lascialo fuori. Fatti puro, tu entri nel santuario. Non dovremmo varcare cos frettolosamente, quasi di corsa, il portale! In raccolta lentezza dovremmo superarlo e aprire il nostro cuore perch avverta quello che il portale gli dice. Dovremmo, anzi, prima sostare un poco in raccoglimento perch il nostro avanzare sia un avanzare della purezza e del raccoglimento. Ma il portale dice ancora di pi. Fai attenzione: quando entri, involontariamente alzi il capo e gli occhi. Lo sguardo si volge all'alto e abbraccia la vastit dell'ambiente; il petto si dilata e l'anima pure. L'ambiente vasto e alto della chiesa similitudine dell'eternit infinita, del cielo in cui abita Dio. Certo, i monti sono ancora pi elevati, e incommensurabile l'azzurra distesa. Per tutta aperta, non ha limite n figura. Qui invece lo spazio riservato per Dio. Lo sentiamo nei pilastri che si drizzano verso l'alto, nelle pareti ampie e robuste, nella volta elevata: s, questa la casa di Dio, l'abitazione di Dio in una maniera speciale, interiore. E il portale introduce l'uomo a questo mistero. Esso dice:
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Deponi ci ch' meschino. Liberati da quanto gretto e angustiante. Scrolla quanto t'opprime. Dilata il petto. Alza gli occhi. Libera l'anima! Tempio di Dio questo, e una similitudine di te stesso. Poich tempio del Dio vivente sei proprio tu, il tuo corpo e la tua anima. Rendilo ampio, rendilo limpido ed elevato!. Alzatevi, chiusure! Apritevi, o porte eterne, che il Re della gloria entri!, cos s'invoca nella Sacra Scrittura. Presta ascolto a questo grido. A che ti giova la casa di legno e di pietra, se n o n sei tu stesso u n a casa vivente di Dio? A che ti giova che i portali alti s'incurvino e i pesanti battenti si schiudano, se in te n o n s'apre alcuna p o r t a e il Re della gloria n o n p u entrare?

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IL CERO

Come tutto peculiare e caratteristico nell'anima nostra! Con tutte le cose del mondo succede allo spirito quello che capit gi al primo uomo quando Dio lo invit a denominare gli animali: in nessuna parte trov un compagno partecipe dello stesso suo essere. Dinanzi a ogni cosa l'anima sente: Io sono diversa. Nessuna scienza del mondo le turba questa certezza e nessuna bassezza gliela spegne: Io sono diversa da tutte le altre cose del mondo. Straniera a tutto, a Dio solo parente. Eppure l'anima possiede d'altro canto una certa parentela con tutte le cose. Presso ogni cosa si sente in certo qual modo a casa sua. Tutto le parla, ogni figura, ogni movimento, ogni lineamento. Ed essa cerca senza posa di esprimere in esse il proprio intimo, di elevarle a simbolo della propria vita. Dovunque incontra una forte figura, vi sente espresso qualcosa del proprio essere, vi sente come un ricordo di se stessa. Non forse cos? Qui sta il fondamento di ogni somiglianza. Troppo intimamente estranea a tutte le cose, l'anima dice a ognuna di esse: Io non sono questo. Ma d'altra parte essendo con tutto misteriosamente in parentela, essa sente cose e avvenimenti quali immagini del proprio essere.
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Vi una similitudine, bella ed efficace a preferenza di molte: il cero. Non ti dico nulla di nuovo; l'hai certamente sentito tu pure non una volta sola. Vedi com'esso sta sul candelabro. Ampio e grave sta il piedistallo; sicuro si erge il fusto; e, saldamente stretto dal calice, dal piatto come ampio risalto, si drizza il cero. La sua figura leggermente si assottiglia, sempre per compatta per quanto in alto si spinga. Cos essa sta nello spazio, snella, in una intatta purezza; eppure nel suo colore ha una calda accentuazione e si sottrae per la sua netta linea a ogni confusione. In alto sospesa la fiamma e in essa il cero trasmuta il suo corpo immacolato, in luce calda e irraggiante. Non senti tu innanzi a essa il ridestarsi di qualcosa tutto nobile? Guarda come sta, salda e sicura al suo posto, drizzata verso l'alto, pura e dignitosa. Nota come tutto in essa proclami: Io sono pronta!; come essa stia dove merita stare, dinanzi a Dio. Nulla in essa fugge, nulla si sottrae: tutto limpida prontezza. E si consuma nella sua vocazione, senza cessa, trasformandosi in luce e vampa. Tu dici forse: Cosa ne sa il cero? Esso invero non possiede anima!. Cos gliela dai tu! Fa' che assurga a espressione della tua anima. Ridesta dinanzi a esso ogni nobile prontezza: Signore, sono qui!. Allora tu sentirai la sua figura snella e pura quale espressione del tuo proprio sentimento. Irrobustisci tutta la tua prontezza fino a renderla adeguata fedelt. Allora sentirai: Signore, in questo cero io sto dinanzi a Te!.
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Non abbandonare la tua destinazione. Persistivi. Non chiedere di continuo intorno al perch e al dove. Il senso pi profondo della vita sta nel consumarsi in verit e amore per Dio, come il cero in luce e vampa.

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L ' A C Q U A BENEDETTA

Misteriosa l'acqua. Tutta pura e modesta, casta l'ha chiamata San Francesco. Senza pretese, come se non volesse significare nulla per se stessa. Per cos dire ignara di s, esistente solo per servire ad altri, per mondare e ristorare. Ma non hai mai guardato dove essa s'indugia a gran profondit e non ti ci sei mai immerso con anima sensitiva? Hai percepito come fosse misteriosa quella profondit? Come essa sembrasse tutta piena di meraviglie, attraente e insieme spaventevole? Oppure ti sei mai raccolto in ascolto quando l'acqua in fiumana trascorre a valle, senza posa fluendo e mormorando? Oppure quando i vortici disegnano i loro cerchi, e fan mulinelli e risucchi? Allora ne pu sorgere una tale impressione di forza opprimente che il cuore dell'uomo le si deve sottrarre ... Misteriosa l'acqua. Semplice, limpida, disinteressata; pronta a mondare ci ch' sordido, a ristorare ci ch' assetato. E nello stesso tempo profonda, insondabile, irrequieta, piena di enigmi e di forza. Immagine adeguata dei fecondi abissi da cui sorga la vita e immagine della vita stessa che sembra cos chiara ed cos misteriosa. Ora comprendiamo bene come la Chiesa faccia dell'acqua il simbolo e il veicolo della vita divina, della grazia. 155

Dal Battesimo noi siamo usciti uomini nuovi, rinati in virt dell'acqua e dello Spirito Santo. E con l'acqua santa, con l'acqua benedetta, noi bagnamo nel segno della Croce fronte e petto, spalla e spalla; con l'elemento originario, misterioso, limpido, semplice, fecondo, che simbolo e strumento della vita soprannaturale, la grazia. Benedicendola, la Chiesa ha reso monda l'acqua: l'ha purificata dalle oscure forze che in essa sonnecchiano. E queste non sono parole vuote! Chi possiede un'anima sensibile ha gi percepito l'incanto della forza naturale che pu sprigionarsi dall'acqua. E questo semplicemente potenza della natura? O non qualcosa di oscuro, di extranaturale? Nella natura, in tutta la sua ricchezza e bellezza, vi anche il male, il demoniaco. La citt intontitrice delle anime ha reso l'uomo ottuso al punto ch'egli spesso non ha pi senso per questo. La Chiesa per non lo ignora e purifica l'acqua da ogni elemento contrario a Dio, la consacra e prega Dio che la renda strumento della Sua grazia. Orbene, il cristiano, quando varca la soglia della casa del Signore, si inumidisce la fronte, il petto e le spalle, vale a dire tutto l'essere suo, con l'acqua pura e purificante, affinch l'anima sua diventi monda. Non bello questo modo in cui vengono a incontrarsi la natura depurata dal peccato, la grazia e l'umanit anelante alla purezza, e tutto nel segno della Croce? Oppure la sera. La notte non amica dell'uomo,
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dice il proverbio. C' del vero in questo. Noi siamo creati per la luce. Appena l'uomo si abbandona alla potenza del sonno e dell'oscurit in cui si spengono la luce della coscienza e la luce del giorno, allora egli si fa il segno della Croce con l'acqua santa, simbolo della natura riscattata, liberata dal peccato: che Dio lo protegga da tutto ci ch' oscuro! E quando al mattino si ridesta dal sonno uscendo dall'oscurit e dall'incoscienza e ricomincia la sua vita, lo fa di nuovo. come un lieve ricordo di quell'acqua santa per cui nel battesimo uscito alla luce di Cristo. E bello pure quest'uso. In esso s'incontrano l'anima redenta e la natura redenta nel segno della Croce.

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LA FIAMMA

A sera avanzata te ne vai un giorno di autunno per la campagna. Intorno a te buio e freddo. L'anima si sente tutta sola nella morta distesa. Il suo anelito di vivente cerca tutt'attorno qualcosa a cui possa appoggiarsi; ma nulla risponde. L'albero nudo, il sentiero freddo, la pianura vuota tutto morto! Essa l'unico essere vivente nel deserto circostante. Ma ecco irraggia d'un tratto, a una svolta della strada, un lume ... Non ha esso chiamato? Quasi rispondendo al cercare ansioso dell'anima, come qualcosa di atteso, di famigliare? Oppure tu siedi sul tardi nella stanza buia. Le pareti stanno grigie e indifferenti, gli oggetti muti. Ecco si avanza un passo ben noto; un'abile mano accende la stufa, un crepito s'alza di dentro, la fiamma lingueggia, e dalla porticina aperta una rossa fiamma investe la stanzetta, un tepore ristorante ne esce: come tutto mutato, ne vv ero? Tutto ha riavuto anima. Come quando in un viso esangue si accende d'un tratto la vita di un sorriso. S, il fuoco ha parentela con i viventi: il simbolo pi puro della nostra anima, fervida vita. Immagine di tutto quello che noi vivendo sperimentiamo nel nostro intimo: caldo e luminoso, sempre in movimento, sempre proteso verso l'alto. Quando vediamo la fiamma senza posa lingueggiare, sensibile a ogni corrente
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d'aria, ma tenace nel mantenere la sua direzione verso l'alto, radiante di luce e generosa di calore, non sentiamo una profonda parentela con quell'elemento che in noi pure arde senza interruzione ed luce e tende all'alto, nonostante venga respinto in basso tutt'attorno dalle potenze avverse? E quando vediamo come la fiamma investe, anima, trasfigura tutto l'ambiente; come assurge subito a centro vivente di tutto l dove arde non costituisce essa un'immagine della luce misteriosa che in noi accesa in questo mondo per trasfigurare tutto e dargli una Patria? S, cos! Quale simbolo della vita interiore, arde in noi la fiamma dell'Anelante, dell'Illuminante, del Forte, dello Spirito? Dove incontriamo la fiamma, sentiamo attraverso il suo tremolio e la sua vampa come un discorso che ci rivolga una persona vivente. E se vogliamo esprimere la nostra vita, lasciar in qualche modo parlare la nostra vita, suscitiamo una fiamma. Cos comprendiamo anche perch essa debba ardere l ove noi dovremmo sempre essere, dinanzi all'altare. L noi dovremmo trovarci sempre in vigile adorazione, concentrando tutte le nostre energie vitali, tutta l'intelligenza e forza nostra nella vicinanza misteriosa e santa. Dio rivolto a noi e noi rivolti a Dio. Cos dovrebbe essere. E questo confessiamo accendendo l, all'altare, l'immagine e l'espressione della nostra vita, la fiamma. La fiamma l, nella lampada eterna non ci hai ancora pensato? Sei tu! Essa significa l'anima tua. Significa la tua anima ... dovrebbe significare l'anima tua! Per s solo, il lume terreno non dice naturalmente nulla a Dio. Tu devi elevarlo a espressione della tua vita protesa a Dio. Il santuario della santa vicinanza 160

deve realmente essere il luogo in cui arde l'anima tua, dove essa tutta vivente, tutta fiamma, tutta luce per Lui. Vi deve essere tanto a suo agio che la silenziosa fiamma, che si sprigiona l in alto dalla lampada, sia veramente espressione della tua vita intima. Dirigi i tuoi sforzi in questo senso. Non cosa semplice. Ma se tu riesci ad approssimarti a tale mta, ben puoi dopo siffatti istanti di luminosa calma, riprendere tranquillamente la tua vita tra gli uomini. Poich la fiamma ritorna al luogo della santa vicinanza e tu puoi dire a Dio: Signore, questa la mia anima. Essa sempre presso di te.

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LA CENERE

Al margine del bosco sorge un ranuncolo, un fior cappuccio. Netto il contorno delle foglie d'un verde scuro. Finemente pieghevole eppur vigoroso l'agile stelo. I fiori, come tagliati in spessa seta e d'un azzurro cos luminoso di turchese, che tutta l'aria all'intorno ne riverbera. E ora che uno capiti l, strappi il fiore e in seguito se ne infastidisca e lo getti nel fuoco ... pochi istanti e tutta quella fulgida pompa si riduce a un pizzico di grigia cenere. Quello per che il fuoco ha fatto qui in brevi istanti, la fa di continuo il tempo a ci che vivente: alla felce leggiadra, all'alto verbasco, alla quercia possente. Lo fa alla leggera farfalla come alla rondine veloce. All'agile scoiattolo e al grave toro. sempre lo stesso destino, sia che si compia rapido oppur lento; pu essere una ferita oppure una malattia, il fuoco o la fame o qualcosa d'altro: a un certo momento tutto quel fiorire di vita si riduce a cenere. La vigorosa figura si risolve in un mucchietto di polvere. I colori luminosi si spengono in una farina grigiastra. La vita, tutta fervore e sentimento, si riduce a terra povera e morta; a meno che terra: a cenere! Cos succede anche di noi. Come rabbrividiamo, quando si figge lo sguardo in una tomba aperta e vi si vedono accanto ad alcune ossa pochi pugni di grigia cenere!
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Pensaci, uomo; Sei polvere, Ed in polvere ritornerai

Caducit: ecco cosa significa la cenere. La nostra caducit, non quella degli altri. La nostra; la mia! Essa mi parla del mio trapassare, quando il sacerdote al principio della quaresima, come la cenere dei rami un d freschi e verdi della trascorsa domenica delle palme, mi disegna sulla fronte una croce:
Memento homo Quia pulvis es, Et in pulverem reverteris!

Tutto diventa cenere. La mia casa, il mio abito, i miei arredi, il mio danaro; campi, prati, boschi. Il cane che mi accompagna, e il bestiame ch' nella stalla. La mano con cui scrivo, l'occhio che legge, l'intero mio corpo. Le persone che ho amate; le persone che ho odiate; le persone che ho temute. Quello che mi apparso grande sulla terra, quello che m' sembrato piccolo, quello che stimai pregevole: tutto cenere, tutto ...

3. Attualmente, nel rito delle Ceneri, il sacerdote pronuncia la formula: Convertitevi e credete al Vangelo (n.d.r.).

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L'INCENSO

Io vidi venire un angelo, e portava un incensiere d'oro e si presentava all'altare. E gli fu dato molto incenso. E la fragranza dell'incenso saliva dalle mani dell'angelo attraverso le preghiere dei santi su su fino a Dio. Cos parla l'Apocalisse. Vi t a n t a nobile bellezza in q u e s t o distribuire i granelli dal preciso c o n t o r n o sulla vampa, e in q u e s t o levarsi del fumo o d o r o s o dell'incensiere agitato. c o m e u n a melodia fatta di m o v i m e n t o d o m i n a t o e di p r o f u m o . Senza alcun scopo, p u r a c o m e u n a canzon e . U n a bella prodigalit di cose preziose. A m o r e che d o n a , c h e elargisce tutto. C o m e un g i o r n o , q u a n d o il Signore sedeva in Befania, e Maria gli rec n a r d o prezioso e glielo vers sui santi piedi, e li asciug c o n i suoi capelli e la fragranza riempiva l'intera casa. U n o spirito gretto mormor: A che scopo tanto dispendio?. Ma il Figlio di Dio a m m o n : Lasciate fare, per il giorno della mia sepoltura. V'era qui un mistero della m o r t e , dell'amore, della fragranza, dell'offerta. 165

E lo stesso pure nell'incenso: un mistero della bellezza che ignora ogni scopo, ma sale libera; dell'amore che arde e si consuma e trapassa nella morte. E anche qui si presenta lo spirito arido che domanda: A che scopo tutto questo?. Un'offerta della fragranza, lo dice la stessa Scrittura: ecco cosa sono le preghiere dei santi. Simbolo della preghiera l'incenso, e proprio di quella preghiera che non mira ad alcuno scopo; che nulla vuole e sale come il Gloria dopo ogni salmo, che adora e vuol ringraziare Dio, perch cos grande e magnifico. Certo in siffatto simbolo si pu insinuare della vanit. Le nubi di profumo possono anche portare un tiepido sentimento del mistero, uno spasso religioso dei sensi. Se cos, ha piena ragione la coscienza cristiana di sollevar obiezioni e di richiamare allo spirito e alla verit; di raccomandare d'essere casti e onesti. Ma c' anche nella religione un filisteismo che proviene da meschinit di sentire, da aridit di cuore, come la mormorazione di Giuda Iscariota. Qui la preghiera si riduce a utilit spirituale; e in tal senso ha certo da essere misurata e borghesemente ragionevole. Questa mentalit per ignora del tutto la pienezza regale della preghiera che vuol donare. Ignora appieno la profonda adorazione; ignora appieno l'anima della preghiera che non domanda nessun perch n a che scopo, bens sale perch amore e fragranza e bellezza. E quanto pi essa ama, tanto pi anche offerta, e la fragranza scaturisce da fuoco consumante.

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LUCE E CALORE

Noi aneliamo all'unione con Dio; vi siamo sospinti da un'intima necessit. Due vie ci mostra la nostra anima. Sono diverse ma sboccano per alla stessa mta. La prima via dell'unione passa attraverso la conoscenza e l'amore. Conoscere unirsi. Noi penetriamo le cose conoscendole e le attiriamo a noi. Diventano nostra propriet: elementi della nostra vita. Anche l'amore unione. Non una semplice brama, bens esso stesso di per s unione. L'uomo intanto ama una cosa in quanto gli appartiene. Questo amore per ha una maniera particolare, che si esprime quando si dice di esso ch' spirituale. Per la parola non esprime con precisione il concetto; spirituale anche un altro amore di cui si ha da parlare pi avanti. L'amore di cui parliamo questo: l'amore che attua l'unione non nell'essere, bens in un movimento; nella coscienza e nella vita affettiva. C' pertanto una figurazione esterna per questo? Una similitudine? Certo, e magnifica: luce e calore. Qui v' un cero: porta luminosa una fiammella. Il nostro occhio ne vede la luce e l'accoglie in s, se ne compenetra diventando una cosa sola con essa; eppure non lo tocca. La fiamma rimane in s e l'occhio pure; tuttavia ha luogo un'intima unificazione; un'unione pie167

na di reverenza e verecondia, si potrebbe dire, senz altro e senz'alcuna mescolanza, in mera visione. Profonda similitudine di quell'unione che si compie tra Dio e l'anima nella conoscenza. Dio la verit, dice la Sacra Scrittura. Chi conosce la verit, la possiede nello Spirito. Dio presente nel pensiero che lo conosce rettamente. Dio vive nello spirito che pensa a Lui veramente. Perci conoscere Dio vuol dire: unirsi con Lui, come l'occhio con la fiamma nella visione della luce. Con questa vi anche un'unione mediante il calore. Lo avvertiamo sul viso, sulla mano. Notiamo com'esso ci compenetra riscaldandoci; eppure la fiamma sta, non tocca, in se stessa. E questo pure l'amore: un compenetrarsi con la fiamma di Dio mediante il calore, senza toccarla per nulla. Perch Dio buono e chi ama il bene se lo trova anche gi vivente nello spirito. Il bene mio non appena io l'amo; ed esso appartiene a me in quanto e per quel tanto ch'io lo amo; eppure io non lo tocco. Dio amore, ha detto San Giovanni, e chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio in lui. Conoscere Dio e amare Dio significa unirsi con Lui. Perci la felicit eterna sar un contemplare e amare. Il che non significa un bramoso stare innanzi a Dio, bens una profondissima partecipazione all'intimit, compimento e soddisfacimento. Abbiamo gi visto come la fiamma sia similitudine dell'anima. Ora riconosciamo in essa anche la similitudine del Dio vivente, perch Dio la luce e nessuna tenebra v' in Lui. Come la fiamma emette luce, cos Dio elargisce verit. E l'anima accoglie in s la ve168

rit e si unisce in essa con Dio, allo stesso modo che il nostro occhio vede la luce e in essa si unifica con la fiamma. E la fiamma manda calore; cos Dio profonde calda bont. Ma chi ama Dio, diventa nella bont una cosa sola con Lui, come la mano e il viso con la fiamma, quando ne percepiscono il calore. Ma la fiamma rimane in s, intatta, pure, nobile. Come stato detto di Dio, che abita nella luce inaccessibile. Fiamma luminosa e ardente tu sei immagine del Dio vivente! Come lo comprendiamo bene ora, quando nella consacrazione del sabato santo il cero pasquale diventa simbolo di Cristo! Quando il diacono saluta con giubilo la fiamma lumen Christi, e le luci della chiesa vengono accese, affinch dovunque illuminino e riscaldino la luce e il calore del Dio vivente!

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PANE E V I N O

Ma un'altra via ancora conduce a Dio: di essa non si potrebbe parlare se la stessa parola di Dio non vi accennasse e la liturgia non la percorresse con tanta fiducia. Non vi solo l'unione della visione, dell'amore, della coscienza e del sentimento. Vi anche l'unione dell'essere vivente con Dio. Non soltanto tende a Lui il nostro conoscere e il nostro volere, bens l'intero nostro essere. Il mio cuore e tutta la mia carne anelano al Dio vivente, dice il salmo, e noi sentiamo calmata la nostra sete solo quando siamo uniti con Lui anche nell'essere e nel vivere. Questo non significa mescolanza di essere n confusione di vita. Affermare cosa siffatta, sarebbe non soltanto temerario, ma insensato, perch nulla di creato pu mischiarsi col divino. Eppure c' un'unione diversa da quella del mero conoscere e amare: l'unione della vita reale. Noi vi tendiamo, dobbiamo tendervi e per questo anelito v' un'espressione veramente profonda. La stessa Sacra Scrittura con la liturgia ce la mette sulle labbra: vorremmo essere uniti a Dio con la nostra vita personale come il nostro corpo con il cibo e con la bevanda. Noi siamo affamati e assetati di Dio. Non sol171

tanto lo vorremmo conoscere, non soltanto amare: lo vorremmo anche stringere a noi, trattenere, possedere s, diciamo fiduciosi lo vorremmo mangiare, bere, tutto in noi, fino a che ne fossimo sazi, del tutto paghi, del tutto compenetrati. La liturgia della festa del Corpus Domini lo dice anzi con le parole del Signore: Il Padre vivente Mi ha mandato. Come Io vivo nel Padre, cos chi si ciba di Me, vive in Me. questo, nevvero? Non oseremmo esigere una cosa siffatta come nostro diritto; dovremmo temere di c ontaminarci con un sacrilegio. Ma ora Dio in persona che parla cos, che dice al nostro intimo: Cos dev'essere!. E inoltre: nulla di irriverente deve essere con questo pensato. Nulla che faccia sorgere il sospetto che noi si voglia cancellare i confini separanti noi, creature, da Dio. Ma possiamo bene avvalerci di quello che Egli spesso ha posto come esigenza in noi. Possiamo allietarci di quanto la Sua bont straordinariamente grande ci dona. Cristo che parla: La mia Carne veramente un cibo ed il mio sangue veramente una bevanda [...] Chi mangia la mia Carne e beve il mio sangue, rimane in me ed io in lui [...] Come il Padre mi ha dato di avere la vita proprio in me, allo stesso modo chi mi mangia, avr in me la vita. Mangiare la Sua Carne ... bere il Suo sangue, nutrirsi di Lui ... accogliere in noi l'Uomo-Dio vivente, ci che esso e possiede, non pi di quanto noi avremmo potuto desiderare per conto nostro? tut172

tavia proprio tutto quello che il nostro intimo ha da desiderare? Questo mistero trova cos limpida espressione appunto nelle figure del pane e del vino. Il pane nutrimento, onesto, che realmente nutre. Sapido e vigoroso, da non annoiarci mai. Il pane verace. E buono pure: prendi la parola nel suo senso caldo e profondo. Ma nella figura del pane Dio diventa vitale nutrimento per noi uomini. Sant'Ignazio di Antiochia scrive ai fedeli di Efeso: Spezziamo un pane: che esso ci sia pegno dell'immortalit. un cibo che nutre tutto il nostro essere con il Dio vivente e fa s che noi siamo in Lui ed Egli in noi. Il vino bevanda. Anzi, per parlar rettamente, non soltanto bevanda che spegne la sete; questa l'acqua propriamente. Il vino mira a qualcosa di pi. Esso rende lieto il cuore dell'uomo, dice la Scrittura. Senso del vino non solo di spegnere la sete, bens d'essere la bevanda della gioia, della pienezza, della esuberanza. Com' bella la mia coppa piena di ebbrezza!, dice il salmo. Comprendi cosa significa questo? Che qui ebbrezza ha un significato completamente diverso da eccesso? Bellezza scintillante il vino, profumo e forza che tutto dilata e trasfigura. Ed sotto la figura del vino che Cristo elargisce il suo Sangue divino. Non come bevanda ragionevolmente misurata, bens come sovrabbondanza della prelibatezza divina.
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Sanguis Christi, inebria me sangue di Cristo inebriami,

pregava Sant'Ignazio di Loyola, l'uomo dal caldo sangue cavalleresco. E Agnese parla del Sangue di Cristo come d'un mistero d'amore e d'inesprimibile bellezza: Miele e latte ho succhiato dalla Sua bocca, e il Suo Sangue ha reso amabili le mie guance: cos si dice nelle preghiere della sua festa. Cristo ci divenuto pane e vino in un sacramento: cibo e bevanda. Noi Lo possiamo mangiare e bere. Il pane fedelt e salda costanza. Il vino audacia, gioia oltre ogni misura terrena, profumo e bellezza, ampiezza di desiderio ed esaudimento senza limiti, ebbrezza della vita: possedere, prodigare ...

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L'ALTARE

Forze molteplici vi sono nell'uomo: conoscendole, egli pu abbracciare tutt'intorno le cose, stelle e montagne, mari e fiumi, piante e animali e tutta l'umanit ch' vicino a lui, e cos arricchire il suo mondo interiore. Egli le pu amare, le pu odiare e respingere; pu porsi contro di esse oppure tendervi e attirarle a s. Pu agire sul mondo circostante e modificarlo secondo il proprio volere. Un vario ondeggiare di gioia e di brama, di afflizione e d'amore, di calma e di eccitazione accompagna il ritmo del cuore. La sua forza pi nobile per questa: il riconoscere che v' qualcosa di pi alto sopra di lui; il venerare codesto qualcosa di pi alto e inserirvisi. L'uomo pu conoscere al di sopra di s Dio, Lo pu adorare e pu offrire se stesso affinch Dio sia glorificato. Questa l'offerta: che la sublimit di Dio risplenda nello spirito; che l'uomo adori questa sublimit; non si attardi egoisticamente nei propri possessi, bens li trascenda, impegni se stesso affinch l'eccelso Iddio venga glorificato. La forza pi profonda dell'anima la sua capacit di offerta. nell'intimo dell'uomo che hanno sede la calma e la limpidezza donde sale l'offerta a Dio. Appunto di questo nucleo pi intimo, calmo e forte, proprio dell'uomo, l'altare di pietra il segno visi175

bile. Esso sta nella parte pi santa della chiesa, elevato dai gradini sul resto dello spazio, che pure distinto esteriormente dalle altre opere dell'uomo, distaccato come il santuario dell'anima. Saldamente eretto sullo zoccolo sicuro, come il volere verace dell'uomo che non ignora Dio ed deciso a impegnarsi per Lui. E sullo zoccolo la mensa, un luogo ben preparato su cui presentata l'offerta. Nessuna angolosit, superficie tutta libera. Nessuna penombra n azione nell'oscurit, bens aperta a tutti gli sguardi. Cos, come l'offerta ha da aver luogo nel cuore. Tutta dispiegata dinanzi allo sguardo di Dio, senza riserve n secondi fini. Ma l'uno in intima relazione con l'altro: l'altare esteriore con quello interiore. Quello il cuore della chiesa; questo la realt pi profonda di un petto umano che palpiti, del tempio interiore, del quale l'esterno con le sue pareti e vlte espressione e similitudine.

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I LINI

Vengono spiegati sull'altare. Vi sono sull'altare dov' distesa la tovaglia. Vi sono sotto il calice e l'ostia dove si dispiega il corporale, la veste del Signore. N' rivestito il sacerdote che, quando compie il sacro rito, indossa l'alba, il camice. E n' coperta pure la balaustra 4 , la tavola del Signore, da cui vien porto il pane divino ... Preziosi sono i veri lini; candidi, fini e robusti. Quando si dispiegano s bianchi e freschi, io debbo pensare a un viottolo di bosco invernale. Mi sono d'un tratto portato sopra un versante tutto rivestito di neve da poco caduta e biancheggiante tra il nereggiare degli alberi. Non ho osato corrervi sopra con le mie scarpe pesanti; mi ci sono mosso tutto pieno di reverenza ... Allo stesso modo sono dispiegati i lini per il Santo. Innanzitutto non possono mancare sull'altare, dove innalzata l'offerta divina. Abbiamo gi parlato dell'altare: come esso se ne stia elevato quale luogo santissimo del santuario; come l'altare esteriore sia similitudine di quello interiore ch' nell'anima. Anzi, pi che similitudine: l'altare visibile non simboleggia

4. Prima della riforma liturgica, quando ci si accostava alla Comunione inginocchiati (n.d.r.).

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soltanto l'altare del cuore, dell'interiore disposizione all'offerta, bens altare visibile e altare del cuore sono intimamente uniti. In maniera misteriosa formano una cosa sola. L'altare vero e proprio, quello cui si offerto il sacrificio di Cristo, l'unit vivente di ambedue. Perci i lini parlano cos efficacemente al cuore. Noi avvertiamo che a essi qualcosa ha da rispondere nel nostro intimo. Li sentiamo come un'ingiunzione, un rimprovero, un'aspirazione. Solo da cuor puro s'innalza la vera offerta, e i lini personificano appunto la purezza quale ha da essere nel cuore, affinch l'offerta riesca ben accetta a Dio. E ci dicono qualcosa sulla purezza. I veri lini sono fini e nobili. Una natura grossolana e violenta non costituisce per s purezza alcuna; ma neppure essa ha a che fare con facce accigliate. La sua forza la forza della finezza: la sua disciplina nobile. Ma in essa vibra del vigore. I lini schietti sono robusti. Non leggeri tessuti che si sfilacciano a ogni soffio di vento. La vera purezza non cosa da malati, non fugge dinanzi alla vita, non si avanza consumandosi in sogni equivoci o perseguendo ideali esagerati. La vera purezza ha le guance rosee della vita gioiosa e la mossa energica e sicura della lotta valorosa. E ancor una cosa suggeriscono i lini a chi ha sensi aperti e spirito riflessivo: essi non furono subito cos fini e candidi come si presentano ora. Da principio erano rozzi, senza decoro: e si dovette lavarli spesso e lavorare perch ottenessero codesta freschezza odorosa. Neppur la purezza esiste fin da principio. Certo essa grazia; certo vi sono degli uomini che la portano qual dono nelle loro anime, cos che l'intera loro
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n a t u r a possiede la vigorosa freschezza d ' u n ' i n t i m a castit naturale. Ci invero che negli altri casi si chiama purezza spesso u n a cosa m o l t o d u b b i a e significa che nessun t u r b i n e l'ha ancora investita. La vera purezza n o n sta all'inizio, bens alla fine. Solo c o n lunga e i n d o m i t a fatica essa viene conquistata. I lini s t a n n o dispiegati sull'altare, candidi, fini, robusti; s o n o purezza, nobilt di c u o r e , freschezza di forza. Nell'Apocalisse di San Giovanni si parla in un certo punto di una grande schiera che nessuno avrebbe saputo numerare, di ogni nazione, trib, popolo e lingua. Essa stava in piedi dinanzi al trono ed ognuno indossava una veste bianca, e uno domanda: Quelli l che sono vestiti di bianco, chi sono e donde sono venuti?. E fu data risposta: Sono coloro che vengono dalla grande tribolazione e hanno lavato e purificato le loro vesti nel sangue dell'Agnello. Perci stanno ora dinanzi al trono di Dio e Lo servono giorno e notte. Avvolgimi in una bianca veste, o Signore, p r e g a il sacerdote, q u a n d o indossa il camice p e r il santo Sacrificio ...

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IL CALICE

Un giorno, sono passati molti anni ormai, ho appreso a conoscere il calice. Ne avevo gi visti molti, ma di conoscerlo appieno m' avvenuto soltanto a Beuron, allorch il monaco cortese, cui erano affidati gli arredi sacri, mi ebbe a mostrare i tesori della sacrestia. Esso si reggeva saldo sull'ampio piede, senza vacillare sul tavolo. Il fusto saliva energico, sottilissimo. Si sentiva quasi la forza saliente, compressa, portante. Alquanto sopra la met, il capitello dalla modanatura profonda, e infine, il culmine del fusto, l dove un piccolo anello raccoglieva in un'ultima disciplina la nobile forza, spuntavano le foglie delicate e severe tra cui riposava il cuore del calice, la coppa. Come ho sentito allora il santo mistero! Come il fusto portante si drizzi dalla base sicura e pesante, in uno slancio severamente contenuto, e da esso fiorisca quella figura che ha un solo significato: accogliere, custodire. O puro, o santo! Tu, arcano, tu, coppa, che nascondi nel fondo scintillante le gocce divine, l'inesprimibile mistero del Sangue tremendo e dolce ch' puro fuoco, puro amore! E il pensiero correva ... No, non era un pensare; era piuttosto un intra vv edere, un intuire: non sta forse qui il mondo?
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La creazione che, in fondo, ha un unico senso? L'uomo, quello vivente, anima e corpo, dal cuore palpitante? ... Agostino non ha pronunziato la grande parola: l'intimo nucleo della mia umanit costituito dal fatto che sono capace di cogliere Dio?

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LA PATENA

Era mattina. Ero salito sulla vetta e mi volgevo indietro. Sotto, al fondo, si raccoglieva il lago e tutt'attorno nella luce dell'alba sorgevano i monti, solenni e calmi. Tutto era cos puro; lo spazio in alto e gli alberi con i loro rami dalle nobili forme cos freschi; in me stesso tutto l'essere cos pervaso da vigore schietto e gioioso, che mi pareva stillassero sorgenti invisibili, silenziose, e tutto si illuminasse dilatandosi. Compresi allora come a un uomo possa gonfiarsi il cuore, e come egli s'arresti, alzi il viso, apra le mani come una patena, sollevandole su verso l'infinitamente Buono, il Padre della luce, il Dio che amore, offrendogli tutto quanto d'attorno e nel mondo cresce e risplende in calma strabocchevole. Per lui dev'essere come se dalla patena, che le sue mani sostengono, tutto salga terso e santo verso l'alto. Proprio come un giorno Cristo s' portato sulla vetta dello spirito e ha offerto al Padre il suo amore, il respiro della sua vita quale sacrificio totale. Su quella vetta di cui era stato un gradino il monte Moria, sul quale Abramo aveva compiuto il suo sacrificio. E prima ancora il luogo in cui il Sacerdote regale aveva offerto la sua espiazione. E, risalendo ancora, quello dove nei tempi primitivi sal al cielo, tutto puro, il dono di Abele. 183

Q u e s t a altitudine s'eleva s e m p r e , e s e m p r e si prot e n d e la m a n o divina, e s e m p r e sale il d o n o , q u a n d o il sacerdote n o n l ' u o m o , che, la persona, invero s t r u m e n t o insignificante all'altare e leva in alto, a p e r t e le p a l m e , la p a t e n a su cui disposto il bianco pane. Accogli, o Padre santo, onnipotente ed eterno Dio, quest'offerta immacolata, che io, indegno tuo servo, presento a Te, mio Dio vivo e vero, per i miei innumerevoli peccati e le tante mie offese e negligenze; per tutti quelli che sono qui attorno, affinch e a me e a loro sia di profitto per la salvezza nella vita eterna.

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LA BENEDIZIONE

Benedire pu soltanto chi possiede autorit. Benedire pu solo chi sa creare. Benedire pu soltanto Iddio. Dio, benedicendo, ferma lo sguardo sulla sua creatura: la chiama per nome. Il suo amore onnipotente si volge al cuore e all'intimo nucleo della creatura e dalla mano di Dio si effonde la forza che rende buoni: Vi guarder e vi far crescere. Solo Dio pu benedire. Perch benedire disporre di quanto e agisce. La benedizione una parola di potenza che pronuncia il Signore della creazione: acconsentimento e promessa del Signore della Provvidenza. Benedizione destino felice. Nietzsche ha pronunciato una parola di ribellione, quando ha detto: Da supplici dobbiamo farci benedicenti. E sapeva bene quello che voleva dire. Solo Dio infatti pu benedire, perch Egli il Signore della vita. Noi invece siamo essenzialmente dei supplici. Il contrapposto della benedizione la maledizione. Questa significa sentenza di morte, sigillo di perdizione. Anch'essa si dirige a un viso, a un cuore. E il
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comando del Signore che serra le fonti della vita. Per, di questo potere di benedire e di maledire, Dio ha fatto partecipi tutti quelli che sono chiamati a suscitare la vita: i genitori la benedizione del padre edifica le case ai figli e i sacerdoti. Essi hanno da evocare la vita: la vita della natura i primi; quella della grazia i secondi. A questo sono destinati dalla loro natura e dal loro ufficio. E uno pu pretendere la facolt di benedire quando tutto puro; quando non cerca pi se stesso, bens vuol essere in tutto servitore del vivente Iddio. Il potere per sempre di Dio. Esso viene meno quando si pretende di possederlo per virt propria. Per natura noi siamo dei supplici. Solo per grazia diveniamo benedicenti allo stesso modo che solo per grazia divina abbiamo il potere di comandare efficacemente. E come per la prerogativa di benedire, cos per la facolt di maledire: La maledizione della madre abbatte le case ai figli; le case, la vita, la salute. Ci che nella natura prefigurato, trova il suo compimento nella grazia. Quello infatti che nella benedizione propriamente profluisce, - nella vera benedizione, in quella di cui tutta la realt naturale solo similitudine appunto la vita stessa di Dio. Iddio benedice con se stesso: vi elargisce se stesso, la sua benedizione produzione di vita divina: Partecipazione alla natura divina. E per grazia, puro dono elargitoci in Cristo. Tale la benedizione in cui Dio si dona a noi nel segno della croce. Questa forza di benedizione divina Egli l'ha partecipata a quelli che fanno le sue veci: per il mistero del Matrimonio cristiano la possiede il pa186

dre, la possiede la madre. Per il mistero della Consacrazione presbiterale la tiene il sacerdote. Per il Battesimo e il sacerdozio regale della Cresima ne sono fatti partecipi quelli che amano Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutte le loro forze. A tutti costoro Dio ha dato il potere di benedire con la Sua propria vita: a ciascuno in modo diverso, secondo la maniera della sua missione. La benedizione ha la sua espressione nella mano; il compimento nel gesto della medesima. Essa si posa sul capo nella Cresima e nella Consacrazione sacerdotale, affinch per essa si effonda quanto viene dall'Alto e sgorga dallo Spirito di Dio. Essa traccia il segno della Croce sulla fronte oppure sopra la persona, affinch vi si riversi la pienezza di Dio. La mano infatti la forza elargitrice: essa crea, essa forma, essa dona. Ma la benedizione suprema si ha quando impartita con Io stesso santissimo, con il Corpo di Cristo nel Sacramento dell'Altare. Ha, per, da compiersi in grande reverenza e nella disciplina del mistero.

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SANTO SPAZIO

Lo spazio naturale ha delle direzioni: le tre che conosciamo. Esse indicano ch' spazio ordinato, non caos. Ordine del contiguo, del sovrapposto, del sottoposto. Tale spazio fa s che la nostra vita possa crescere e muoversi in pienezza di senso; che possiamo edificare case, dar loro forma, abitarle. Anche lo spazio soprannaturale, lo spazio santo, ha un ordine: che radicato nel divino mistero. La chiesa orientata da Occidente a Oriente, verso il sorgere del sole. L'anelito alla luce solare la percorre e la vivifica. Essa ne ha da ricevere i primi e gli ultimi raggi. Cristo infatti il sole del mondo sacro. La direzione della sua vita l'ordine dello spazio santo, di ogni costruzione e di ogni figura che ben indirizzata verso la vita eterna. Quando ha da essere letto il Vangelo, il messale viene portato a sinistra, vale a dire, verso Nord, giacch l'altare vlto a Oriente. La santa Parola viene dal Sud e va verso il Nord. Questo non richiama soltanto il fatto storico che tale parola mosse dal Mediterraneo: il Sud inoltre pienezza della luce, similitudine della chiarit soprannaturale. Il Nord simbolo del freddo e della tenebra. dalla luce che muove la Parola di Dio: da Dio che la luce del mondo e risplende nelle tenebre e penetra l'oscurit qualora venga accolta. Una terza direzione quella dall'alto al basso. 189

Quando il sacerdote si appresta all'offerta, leva in alto la patena e il calice. Dio infatti lass, il Santo della sublimit. Il supplice volge verso l'alto lo sguardo e le mani; de profundis alle sante altezze. E quando il vescovo benedice o il sacerdote consacra, essi abbassano le mani posandole sul capo del fedele inginocchiato, oppure sulle cose che loro stanno innanzi. Ogni creatura infatti in basso, e la benedizione proviene dall'altissimo. la terza direzione dello spazio santo. La direzione dell'anima: dell'anelito, della preghiera e dell'offerta. La direzione di Dio: della grazia, della pienezza, del Sacramento. Tali sono le direzioni dello spazio santo: Verso il sole sorgente che Cristo. Qui si dirige lo sguardo del credente; di qui penetra nel nostro cuore il raggio della luce divina. la grande orientazione dell'anima e la linea della discesa di Dio. Da Nord a Sud, da dove la tenebra si volge alla luce che irradia dalla parola divina. E questa viene dall'ardenza del cuore per illuminare e per riscaldare. E infine dal basso verso l'alto: il movimento dell'anima nell'anelito, nella preghiera, nell'offerta, dalle profondit della propria miseria al trono dell'altissimo Iddio. A esso risponde il compimento, che si dispiega nella grazia, nella benedizione, nel Sacramento.

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LE CAMPANE

Dentro, lo spazio della chiesa parla di Dio. Esso appartiene al Signore, tutto compenetrato della sua santa presenza. anzi casa di Dio, separata dal mondo da pareti e volte. Codesto spazio vlto all'interno, al Nascosto, e parla del mistero di Dio. E lo spazio di fuori? La grande vastit sopra il piano che si distende all'infinito da tutti i lati? Che si dispiega fino alle cime, protesa nell'infinito? Che riempie in profondo riposo le valli recinte dalle montagne? Non essa pure collegata con il santuario? O certo, anch'essa! Dalla casa di Dio il campanile si drizza nella libera atmosfera e ne prende per cos dire possesso per conto di Dio. Sul campanile, incastellate, sono sospese le campane, gravi di bronzo. Esse oscillano nella vibrazione, e tutto il loro corpo dalla nitida forma oscilla e manda rintocchi su rintocchi lontano nella vastit dello spazio. Onde di note armoniche: limpide e rapide, gravi e piene, oppure profonde e nella loro lentezza quasi minacciose. Sciamano via, percorrono la vastit immensa e la riempiono dell'annuncio del santuario. Il messaggio della vastit; il messaggio di Dio senza limiti n confini; il messaggio dell'anelito e del suo infinito soddisfacimento. Esse chiamano l'uomo dell'anelito; l'uomo il cui cuore aperto all'immensa vastit. 191

S, quando udiamo le campane, noi sentiamo la vastit! Quando esse oscillano dal campanile verso la pianura, in tutte le direzioni dell'infinito, anche l'anelito dispiega con esse le ali verso la lontananza, finch comprende che il soddisfacimento non si trova al margine della pianura evanescente nell'azzurrino, bens dentro. Quando i rintocchi delle campane dalla chiesetta montana inondando la valle oppure salgono nell'azzurro del cielo, il petto si allarga e sente d'essere molto pi ampio di quanto altrimenti credesse. Oppure i rintocchi giungono da lontano nel bosco attraverso la verde calma del crepuscolo, n sai di dove, lontano, lontano. Oh, come tutto si desta qui! Cose da lungo dimenticate riaffiorano, cos che ci si arresta, si ascolta, ci si domanda: Ma cos' questo? ... Cosa? ... . Qui si percepisce la vastit. Come essa sia un dilatarsi dell'anima, un ipertendersi, un rispondere all'invito lontano della infinit. Cos vasto il mondo, dicono le campane. Cos pieno di nostalgia ... Dio chiama ... In Lui solo la pace ... . O Signore, pi vasta del mondo la mia anima. Pi profondo di tutte le valli il suo sospiro e il suo anelito pi doloroso del rintocco che va perdendosi nelle lontananze. Tu, Signore, Tu solo lo puoi soddisfare, Tu solo ...

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TEMPO SANTIFICATO

O g n i o r a del g i o r n o ha u n a tonalit sua propria. S o n o p e r tre quelle che si p r e s e n t a n o c o n u n a fision o m i a p a r t i c o l a r m e n t e distinta: il m a t t i n o , la sera e, tra l'una e l'altra, il mezzod. E tutte s o n o consacrate.

Il mattino Il volto del m a t t i n o risplende energico e l u m i n o s o pi d'ogni altra ora. un inizio: il mistero della nascita che si rinnova ogni mattina. Ci destiamo dal s o n n o in cui il nostro essere s' ringiovanito e p e r c e p i a m o n e t t o e forte: Io vivo, io sono!. E questo essere rivificato si fa preghiera: Signore, Tu mi hai creato; io ti ringrazio della mia vita. Ti ringrazio per quello che possiedo e sono. E la vita rinnovata percepisce le sue forze e si p r o t e n d e all'azione: Signore, io comincio la giornata nel Tuo nome e nella Tua forza. Essa vuole essere un operare per Te!. Q u e s t a l'ora del mattino. La vita si ridesta. E, p r o f o n d a m e n t e consapevole di s, p o r g e a Dio il p u r o ringraziamento della creatura. Sorge a n u o v e 193

creazioni e si applica all'opera quotidiana movendo da Dio e nella forza di Dio. Comprendi quanto dipende dalla prima ora del giorno? Essa il suo inizio. Non lo si pu incominciare senza un pensiero e un proposito. Altrimenti non affatto una giornata, bens un brandello di tempo senza senso n volto. Una giornata un'opera; esige perci illuminato volere. Una giornata la tua vita intera. E la tua vita come la tua giornata: perci questa ha da avere una fisionomia. Una volont, dunque, una direzione, un volto affissato in Dio: tutto questo opera del mattino. La sera Anch'essa ha il suo mistero: il mistero della morte. Il giorno volge al termine; l'uomo si appresta a comporsi nel silenzio del sonno. Il mattino era compenetrato d'un vigoroso sentimento di forza rinnovata; a sera la vita stanca e cerca il riposo. E in essa echeggia il mistero della morte. Spesso non lo percepiamo affatto: il nostro spirito ancora dominato dalle immagini e dai propositi del giorno che ha da seguire. Talvolta vi si fa sentire come un presentimento lontano. Ma ci sono anche delle sere in cui avvertiamo come la vita inclini verso la grande tenebra dove nessuno pu agire pi. E tutto dipende dalla nostra maggiore o minore capacit di comprendere il mistero della morte. Morire non significa soltanto che la vita volge al termine. Morire anche l'ultimo atto di questa vita: il suo atto 194

estremo, decisivo di tutto. Ci che avviene nella vita, sia d'un individuo che d'un popolo, non mai compiuto ed esaurito. Ha pur sempre importanza grande quello che l'individuo o il popolo ne fanno: quale atteggiamento prendono al riguardo; se dall'accaduto sanno trarre o meno qualcosa di nuovo, in bene o in male. Immagina che una grande disgrazia si sia abbattuta sopra un popolo. Certo essa avvenuta; non per ancora finita. Codesto popolo pu abbandonarsi alla disperazione, ma pu anche riprendersi, ricominciare. Solo in questo secondo momento si compie ci che pur da tempo accaduto. Cos la morte, nelle sue profondit, significa questo: essa l'ultima parola che una persona pronunzia sulla sua vita passata; il volto definitivo che essa le d. La grande decisione dipende da una duplice alternativa: che la persona stringa un'ultima volta nelle mani l'intera sua vita; che il rimorso l'avverta di quanto fu manchevole e lo consumi col suo fervore; che per il bene fatto essa attribuisca a Dio, in spirito di gratitudine e umilt, l'onore, e tutto abbandoni al Signore con generosit incondizionata; oppure che tal persona si sgomenti e la sua vita giunga al termine senza dignit n forza. In tal caso la vita non viene affatto ad avere un termine: essa viene semplicemente meno. Non ha n aspetto n decoro. Questa l'arte sublime di morire: l'arte di far assurgere la vita passata a un unico atto di devozione a Dio. Ora bada: ogni sera deve costituire una esercitazione in quest'arte sublime di dare alla vita la conclusione reale che assicuri a tutto il passato un valore definitivo e un volto eterno. L'ora della sera l'ora del compimento. Stiamo di195

nanzi a Dio prevedendo che ci troveremo un giorno dinanzi a Lui faccia a faccia, a rendere l'ultimo conto. Sentiamo quel che si nasconde nella parola: avvenuto: il bene; il male; perdere e dilapidare. Ci poniamo dinanzi a Dio, a Quegli per cui tutto vive, il passato come il futuro, e che pu persino ridonare al cuore contrito i beni perduti. E dinanzi a Lui diamo al giorno trascorso il volto definitivo. Ci che in esso non fu giusto, lo fissi il rimorso e lo riveda; ci che vi fu di buono, il ringraziamento, umilmente sincero, lo spogli di ogni vanit. E tutto quanto incerto, insoddisfacente, meschino e torbido, venga immerso dalla piena fiducia nell'onnipotente amore di Dio. L'ora del mezzod Al mattino la vita risorge, sale, prima, rapida e gioiosa; poi, cumulandosi gli ostacoli, pi lenta. Raggiunge alfine il culmine del mezzod e riposa alquanto tempo. Accenna per presto alla curva discendente: s'affievolisce sempre pi, finch, dopo una nuova breve ripresa, si compone nel silenzio della notte. Tra il sorgere e il tramontare per, al vertice del giorno, respira un attimo breve, meraviglioso: il mezzod. Qui la vita non guarda all'avvenire perch non vi si protende. Non si volge ancora al passato, perch il discendere della parabola non s' accennato ancora. Si arresta e sta; ma non stanca: questa sosta ancora vigorosa di tutto l'impeto della corsa. una sosta nel mero presente. E il suo sguardo si spinge nell'immensit - no, non s'affisa affatto nello spazio o nel tempo: si spinge nell'eternit. 196

Com' profondo l'attimo del mezzod! Nella citt non l'avverti, giacch qui tutto rumore e non v' silenzio n intimit. Ma va' fuori, per i seminati, oppure in un calmo boschetto, d'estate, quando il sole allo zenith e la distesa tutta una vampa come ti riesce profondo tutto questo! Ti arresti e il tempo ti sfugge: l'eternit ti guarda faccia a faccia. L'eternit infatti parla s ogni ora; a mezzod per essa ci vicina. Qui il tempo fa una sosta, quasi si apre. Il mezzod puro presente, la pienezza del giorno. Pienezza del giorno ... Vicinanza dell'eternit ... Sostare e aprirsi ... Da lontano squilla la campana dell'Angelus ... Proferisce nel meriggio silente la parola redentrice: In principio era la Parola e la Parola era presso Dio e Dio era la Parola. E la parola si fatta carne. E ha preso abitazione tra noi. Si present una volta l'ora meridiana del giorno dell'umanit, la pienezza dei tempi. Ed era persona umana quella in cui si present questa pienezza, sostandovi: Maria. Ella non ebbe fretta: non guard n innanzi n indietro. La pienezza dei tempi si trovava in Lei, schietto presente, aperto all'eternit, e attendeva. E l'eternit si pieg a Maria, venne l'annunzio e la Parola eterna si fece carne nel suo purissimo grembo. La campana evoca questo mistero nella nostra giornata. Nel bel mezzo della giornata cristiana si ravviva sempre di nuovo il mistero del meriggio umano: in ogni tempo echeggia la pienezza dei tempi. La nostra vita intera dovrebbe essere vicina all'eternit. In noi dovrebbe esserci sempre la calma raccolta che aperta all'Eterno e gli presta ascolto. 197

Ma la vita rumorosa e soverchia la voce dell'eternit. Cos, almeno nell'ora consacrata del mezzod all'Angelus, abbiamo da raccoglierci, sgombrare l'animo da quanto ci sollecita, far silenzio e prestar orecchio al mistero in cui la Parola eterna, quando tutto si fu composto in profondo silenzio, scese dal trono regale; un d nella concreta realt storica; ora, in modo sempre nuovo, in ogni anima. E quanto profondamente ci si pu sentire, in quest'attimo di raccoglimento, una cosa sola con gli altri di fuori, che stanno in eguale raccoglimento! Quale profonda comunione si pu avere cos; quale ampia comunit salutare e benedire fin lontano, lontano ...

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NEL NOME DI DIO

Noi uomini siamo divenuti grossolani. Di molte cose delicate e profonde non sappiamo pi nulla, e la parola una di queste. Pensiamo ch'essa sia qualcosa di esteriore, perch non avvertiamo pi la sua realt interiore. Pensiamo che sia qualcosa di labile, perch non ne sentiamo pi la forza. Essa non urta pi, non colpisce pi, solo una debole struttura di suono e di timbro. Invece un fine involucro per racchiudere alcunch di spirituale. L'essenza di una cosa, e la nota della nostra propria anima dinanzi a ogni cosa, s'incontrano nella parola e vi ottengono espressione. O meglio cos dovrebbe essere. E certamente nel primo uomo era cos. Nella prima pagina della Sacra Scrittura si legge che Dio condusse innanzi all'uomo gli animali perch li denominasse. L'uomo con aperti sensi e anima veggente spinse lo sguardo attraverso la figura nell'essenza, ed espresse quest'ultima nel nome. E la sua anima rispose alla creatura. Si sent toccata in qualcosa che stava in particolare relazione con l'essenza di quella creatura, giacch nell'uomo si presenta la sintesi e l'unit della creazione intera. E questi due elementi: Vessenza della cosa, fuori e la risposta a quest'ultima nell'uomo, dentro elementi ambedue vitalmente uniti espresse egli nel nome.
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Nel nome dunque si combinarono insieme un atomo del mondo e una nota dell'interiorit umana. E quando l'uomo pronunzi il nome, la fisonomia essenziale della cosa emerse nel suo spirito, e a questa intuizione corrispose nella voce quello ch'era stato risposto dal suo intimo. In tal modo il nome divenne un segno misterioso, per cui l'uomo prese possesso del mondo e di se stesso. Le parole sono nomi. E il parlare l'arte sublime di usare dei nomi delle cose; di cogliere l'essenza delle cose e l'essenza della propria anima nella loro armonia da Dio voluta. Questa intima relazione per, col creato e col proprio Io, non fu durevole. L'uomo pecc, il vincolo fu spezzato. Le cose gli divennero estranee, anzi nemiche. Egli non le penetr pi con occhio puro, bens cupidamente, da tiranno e insieme con lo sguardo malsicuro del colpevole. Esse per gli chiusero la loro essenza. E anche il fondo del proprio essere gli fugg, perch aveva voluto attuarlo egoisticamente. Non visse pi guardando infantilmente nella propria anima. Questa gli sfugg ed egli divenne ignaro di se stesso e impotente di fronte a se stesso. La parola nome non stringe ormai pi per lui, in un'unit vivente, l'essenza della cosa all'essenza dell'uomo. In tale parola non lo investe pi ormai il pensiero divino della creazione ordinata nella pace. L'uomo vi vede solo una figura lacerata e sconvolta, vi percepisce come un motivo stonato, soffuso di cupi presentimenti e di aneliti oscuri. E quando per avventura ode in modo giusto la parola, allora si arresta, presta ascolto, riflette, e non ne trova pi il senso. La parola rimane confusa, enigmatica, ed egli sente dolorosamente che il paradiso perduto. 200

Ma neppure questo succede pi. Noi uomini siamo divenuti cos superficiali, che non proviamo pi ormai il dolore per le parole distrutte. Abbiamo preso a pronunciare i nomi in modo sempre pi rapido, pi superficiale ed esteriore, pensando sempre meno alle essenze espressevi. Le abbiamo trasmesse ad altri, come si passa una moneta da una mano all'altra; non si sa che aspetto abbia, cosa ci sia sopra; si sa soltanto che per essa si riceve tanto. Cos le parole sono corse celermente di bocca in bocca. Il loro intimo non ha parlato pi; l'essenza della cosa non si fatta pi udire; l'anima non si pi rivelata in esse. Si ridussero ormai solo a parole-monete: indicarono la cosa, senza per rivelarla. Si ridussero a meri segni, che permettessero agli altri di intendere la propria volont. Cos il linguaggio coi suoi vocaboli, non pi un commercio pieno d'anelito con l'essenza delle cose, n un incontro di cose e anima. Non pi ormai nostalgia del paradiso perduto, bens un frettoloso sonar delle parole-monete, quasi una macchina numeratrice che distribuisca le monete e nulla sappia di esse. Solo qualche volta ci scotiamo. Quando d'un tratto ci viene un richiamo da una parola tale che sembra echeggiare da abissi. L'essenza ci parla. Oppure la parola sta sulla carta, e dal segno nero s'accende come una luce. il nome che si presenta, l'essenza, la risposta dell'anima. Qui riproviamo l'esperienza originaria da cui scaturita la parola, l'esperienza in cui l'anima incontr l'essenza della cosa. Proviamo la visione stupefacente, la stretta spirituale con cui l'uomo colse l'essenza del nuovo che gli sta dinanzi e lo coni, attingendo al suo intimo, nella creazione del nome. Avanziamo in una distesa immensa, precipitiamo in 201

un abisso, ed ecco che la parola ci ridiventa quell'opera prima a cui Dio chiam lo spirito umano. Certo, una parola logorata, immiserita. Eppure presto tutto si disperde di nuovo e la macchina numeratrice tintinna di nuovo ... Non lasciar perdere questi istanti. Forse il nome Dio ti si pu presentare in modo siffatto. Quando riflettiamo a tutto questo, ben possiamo comprendere perch i fedeli dell'Antico Testamento non pronunciassero affatto il nome di Dio. A esso sostituivano il nome di Signore. Infatti da questo appunto costituita la particolare lezione del popolo ebraico: dal fatto che esso ha sentito pi immediatamente degli altri popoli la realt di Dio, la vicinanza di Dio. La sua grandezza, la sua sublimit e terribilit Israele l'ha sentita pi fortemente di ogni altra nazione. Agli Ebrei Dio aveva manifestato attraverso Mos il suo nome: Colui che , questo il mio nome. L'Esistente, che non ha bisogno di alcun altro, che riposa tutto in se stesso, sintesi e sostanza di tutto l'essere e di ogni forza. Il nome di Dio era per essi immagine della Sua essenza. Quest'essenza di Dio la vedevano irraggiare dal Suo nome. Il quale era per essi come Dio stesso, e li riempiva di timore come quando un giorno avevano temuto sul Sinai il Signore in persona. E invero Dio parla del suo nome come di se stesso: Il mio nome ha da esser l: Egli dice del Tempio. E nell'Apocalisse promette al fedele perseverante che lo elever a colonna del tempio di Dio e che 202

scriver il proprio nome su di lui. Lo vuol cos consacrare e fargli dono di se stesso. Cos comprendiamo il comandamento: Non nominare invano il nome di Dio, tuo Signore. Comprendiamo perch il Salvatore ci insegni a pregare: Venga santificato il tuo nome. E perch dobbiamo incominciare nel nome di Dio quanto facciamo. Misterioso il nome di Dio, l'essenza dell'Infinito ne irradia; l'essenza di Colui che in pienezza incommensurabile e in elevatezza infinita. E in questa parola vibrano anche le scaturigini pi profonde della nostra anima. Il nostro essere pi intimo risponde a Dio, poich appartiene indissolubilmente a Lui. Creato da Lui e per Lui, non ha pace, fino a che non unito con Lui. Il nostro Io anzi non ha altro senso che quello di restituirsi nella comunione d'amore con Dio. Tutto questo, tutta la nostra nobilt, l'anima della nostra anima, si trova racchiusa nella parola Dio e Mio Dio. La mia origine e il mio fine, inizio e termine del mio essere, adorazione, anelito, rimorso: tutto. Il nome di Dio propriamente tutto. Cos lo preghiamo che c'insegni a non nominare invano il suo nome, bens a santificarlo. Lo preghiamo che il suo nome ci risplenda nella gloria. Tale nome non deve mai diventare per noi una moneta che passa 203

inerte da una mano all'altra: ci deve piuttosto restare infinitamente prezioso, tre volte santo. Onoreremo pertanto il Nome di Dio, come Dio stesso. E in esso onoreremo anche il santuario dell'anima nostra.

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INDICE

Lo spirito della liturgia

Prefazione di Giulio Bevilacqua CAPITOLO PRIMO La preghiera liturgica CAPITOLO SECONDO La comunit liturgica CAPITOLO TERZO Lo stile liturgico CAPITOLO QUARTO Il simbolismo liturgico CAPITOLO QUINTO La liturgia come gioco CAPITOLO SESTO La seriet della liturgia CAPITOLO SETTIMO Il primato del Lgos sull'Ethos

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I santi segni Prefazione dell'Autore Premessa Del segno della Croce La mano Dell'inginocchiarsi Lo stare in piedi L'incedere Del battersi il petto I gradini Ilportale II cero L'acqua benedetta Lafiamma La cenere L'incenso Luce e calore Pane e vino 206 113 117 125 127 131 133 135 139 143 147 151 155 159 163 165 167 171

L'altare

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I lini
Il calice La patena La benedizione Santo spazio Le campane Tempo santificato
Il mattino, 193 - La sera, 194 - L'ora del mezzod, 196.

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181 183 185 189 191 193 199

Nel nome di Dio

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Romano Guardini Opera Omnia


VI.

Scritti politici, a cura di Michele Nicoletti

Opere Accettare se stessi, 3 ed. L'Angelo. Cinque meditazioni Ansia per l'uomo, 2 voli, (in ristampa) Appunti per un'autobiografia Contemplazione sotto gli alberi La conversione di S. Agostino, 2 ed. La coscienza. Il bene - Il raccoglimento, 3 ed. riv. Dante, 4 ed. Diario. Appunti e testi dal 1942 al 1964 Il diritto alla vita prima della nascita Dostojewskij. Il mondo religioso, 5 ed. Elogio del libro, 2 ed. L'esistenza e la fede (in ristampa) L'essenza del cristianesimo, 9 ed. Etica, a cura di M. Nicoletti e S. Zucal, 2 ed. Europa. Compito e destino, a cura di S. Zucal Fede - Religione - Esperienza. Saggi teologici, 2 ed. La figura di Ges Cristo nel Nuovo Testamento, 4 ed. La fine dell'epoca moderna - Il potere, 10 ed. Hlderlin. Immagine del mondo e religiosit, 2 voll. Introduzione alla preghiera, 9 ed.

Lettere dal lago di Como. La tecnica e l'uomo, 3 ed. Lettere sull'autoformazione, 6 ed. Libert - Grazia - Destino, 3 ed. Linguaggio - Poesia - Interpretazione, 3 ed. aumentata La Madre del Signore. Una lettera, 2 ed. 77 messaggio di San Giovanni. Meditazioni sui testi dei discorsi dell'addio e della prima lettera, 2 ed. Miracoli e segni, 2 ed. Mondo e persona. Saggio di antropologia cristiana, a cura di S. Zucal, 2 ed. La morte di Socrate. Interpretazione dei dialoghi platonici Eutifrone, Apologia, ditone e Fedone, 4 ed. Natale e Capodanno. Pensieri per far chiarezza, 2 ed. Natura - Cultura - Cristianesimo. Saggi filosofici L'opera d'arte, 2 ed. L'opposizione polare. Saggio per una filosofia del concreto vivente Parabole Pascal, 5 ed. La Pasqua. Meditazioni Pensatori religiosi, 2 ed. Preghiera e verit. Meditazioni sul Padre Nostro, 3 ed. Preghiere teologiche, 6 ed. Rainer Maria Rilke. Le Elegie duinesi come interpretazione dell'esistenza, 2 ed. La realt della Chiesa, 5 ed.

La realt umana del Signore. Saggio sulla psicologia di Ges (in ristampa) Ritratto della malinconia, 5 ed. La Rosa Bianca, a cura di M. Nicoletti, 8 ill. f.t., 2 ed. Il Rosario della Madonna, 5 ed. San Francesco, 2 ed. La Santa Notte. Dall'Avvento all'Epifania Sapienza dei Salmi (in ristampa) 77 senso della Chiesa (in ristampa) Lo spirito della liturgia -I santi segni, 10 ed. Tre interpretazioni scritturistiche. In principio era il Verbo - L'amore cristiano - L'attesa della creazione Tre scritti sull'universit, a cura di M. Farina Virt. Temi e prospettive della vita morale, 4 ed. La visione cattolica del mondo, a cura di S. Zucal, 2 ed. La vita della fede (in ristampa) Volont e verit. Esercizi spirituali, 2 ed.

Lo sprito della liturgia u n a classica interpretazione della spiritualit liturgica, g e r m i n a t a da una straordinaria potenza d'intuizione e da u n a perspicacia anticipatrice dei movimenti storici, quale il Guardini ha s e m p r e testimoniate. Il volume, che usc nel 1919 nella collezione Ecclesia orans p r o m o s s a dall'abate Ildefons H e r w e g e n di Maria Laach, nulla ha p e r d u t o a tutt'oggi della sua forza di penetrazione, del suo vigore di sintesi. L'essenza della liturgia, al di l dei rubricismi c o m e delle trascuratezze colpevoli, intesa c o m e culto oggettivo, sottratto alle fluttuazioni del s e n t i m e n t o individuale, comunitario, q u i n d i tale da e s p r i m e r e e nello stesso t e m p o foggiare l'unit degli oranti. Ne I santi segni l'Autore avvia ad u n a calda comprensione della liturgia e del suo simbolismo. Gli si a p r e dinanzi cos, intatta, la ricchezza di allusione e di appello religioso insita nel segno della croce, nell' 'inginocchiarsi, nel vario atteggiarsi della mano di chi prega, nell'incedere processionale, nel battersi il petto, nel cero, nell'acqua benedetta, nella fiamma sacra, nella cenere penitenziale, nell'incenso, nella luce, emblema della verit di Dio, nel pane e nel vino, nell'altare coi suoi lini, nel calice e nella patena, nella benedizione, nelle campane. Lo spazio nelle sue direzioni, il tempo con l'avvicendarsi dei ritmi quotidiani, rivelano, essi p u r e , un'arcana consacrazione liturgica. Profondit cristiana e sensibilit lirica si f o n d o n o a r m o n i c a m e n t e in queste pagine.

ROMANO GUARDINI (1885-1968) stato una delle maggiori figure della storia culturale europea del sec. xx. Presso la Morcelliana in corso di stampa l'Opera Omnia.

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