Un amore all'improvviso: Harmony Bianca
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I bambini decideranno il destino di queste due coppie. La felicità si rivelerà un traguardo da raggiungere con un ostinato atto di coraggio.
Jake ed Emily condividono lo stesso lavoro - sono entrambi ostetrici - e una lunga amicizia che li ha visti sempre sostenersi a vicenda. Ma quando diventano entrambi genitori single, le loro vite cambiano radicalmente.
La soluzione più ovvia per far fronte a questa emergenza è quella di andare a vivere insieme, in modo da aiutarsi l'un l'altro, esattamente come hanno sempre fatto. Tuttavia l'attrazione che subito scorre tra loro rende la convivenza più complicata del previsto, mettendo in pericolo la loro amicizia. Confessare i propri sentimenti potrebbe così rivelarsi la fine di tutto quello in cui hanno sempre creduto. Ma anche l'inizio di un inaspettato, bellissimo sogno.
Caroline Anderson
Tra le autrici più amate e lette dal pubblico italiano.
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Un amore all'improvviso - Caroline Anderson
successivo.
Prologo
Giugno
«Ciao, Em. Esco adesso dalla sala operatoria e ho due chiamate perse. Ho provato a chiamarti a casa, ma non hai risposto. Dove sei? Stai bene?»
Jake sentì una lieve risata, poi un gemito e si spaventò. «Em! Parlami!»
«Sono in travaglio, ma non posso farlo da sola. Ho bisogno di te, Jake...» Un altro gemito. «Sono all'accettazione del reparto maternità e...» Non finì la frase, probabilmente interrotta dall'insorgere di un'altra contrazione.
Il cuore di Jake perse un battito. «Arrivo subito» promise e rimettendo in tasca il cellulare, chiese a uno specializzando di sostituirlo e corse verso gli ascensori, con il cuore che gli martellava in petto.
Era ridicolo da parte sua reagire in quel modo. In fondo era un ginecologo, santo cielo! Passava le giornate circondato da donne in travaglio, ma stavolta era diverso. Si trattava di Emily, la sua più vecchia e cara amica e le aveva promesso che sarebbe stato al suo fianco durante il parto. Non come medico, ma come accompagnatore, ed era reso tutto più difficile dal fatto che con lei avrebbe dovuto esserci Pete, non lui.
Ma Pete, marito di Emily per undici anni e padre del nascituro, non poteva essere lì con lei, né oggi né mai più. Colui che aveva avuto tutto ciò che ogni uomo poteva desiderare, ciò che Jake avrebbe desiderato, aveva perso tutto in un crudele scherzo del destino e ora Emily aveva solo Jake.
L'ascensore sembrò scendere al rallentatore e quando le porte finalmente si aprirono, lui si ritrovò davanti proprio Emily, appoggiata alla finestra della parete opposta e intenta a respirare in rapidi sbuffi.
«Sono qui, Em. Ti tengo.» Jake le massaggiò la parte bassa della schiena e la sostenne, fissando lo sguardo sul buio oltre la finestra mentre aspettava che la contrazione terminasse.
Le prime luci dell'alba facevano già capolino all'orizzonte, una sottile striscia grigia che spingeva via la notte. Un nuovo giorno, una nuova vita...
«Come ti senti?» le chiese quando lei raddrizzò la schiena.
«Malissimo» si lamentò Emily, stringendogli la mano e guardandolo con occhi colmi di terrore. «Sono in anticipo di due settimane, non sono pronta!»
Se per questo, non lo era neanche lui. «Sì che lo sei. Conosci i bambini, Em, arrivano quando vogliono, ma almeno adesso sei qui e non mi è toccato guidare per cinquanta chilometri nel cuore della notte per raggiungerti.»
«Pensavo che fosse una sciocchezza trasferirmi da te questa settimana. Sono stata sul punto di non venire, non credevo che ce ne fosse bisogno.»
«Sono contento che tu mi abbia dato ascolto. Andrà tutto bene» le promise. «Sei sana e forte e...»
«Non cercare di blandirmi. Sono una ginecologa anch'io e so bene quante cose possono andare storte!»
«Starai benissimo, Emily» assicurò lui con calma, anche se il cuore gli batteva all'impazzata. «Non permetterò che accada nulla a te o al bambino.» Il piccolo nel suo grembo era l'ultimo legame concreto con Pete e Jake avrebbe fatto di tutto per evitare che quel legame si spezzasse. «Vieni, ti porto in reparto. Puoi camminare o vuoi una sedia a rotelle?»
«Camminare. È più facile.»
In reparto trovarono Liv, una delle ostetriche più brave ed esperte dell'ospedale e Jake fu profondamente sollevato nel vederla.
«Ciao, Liv. Questa è Emily, l'amica di cui ti ho parlato. Em, ti presento Liv, un'ostetrica fenomenale.»
«E tu sei un adulatore» replicò l'ostetrica ridendo. «Salve, Emily, piacere di conoscerti. Ti accompagnerò in stanza e mi assicurerò che ti senta a tuo agio. Vuoi che resti anche per il parto?» aggiunse, rivolta a Jake.
Lui annuì. «Te ne sarei davvero grato.»
In preda a un'altra contrazione, Emily si aggrappò a lui e gemette piano. «Va tutto bene, Em. Respira, dentro e fuori... Così, brava. Stai andando benissimo.»
«Due minuti e quaranta» mormorò Liv. Le contrazioni arrivavano ormai a distanza ravvicinata. Emily fu accompagnata in sala parto e sistemata sul letto.
Gli parvero le due ore più lunghe della sua vita. Le contrazioni di Em si confusero l'una nell'altra in una valanga disordinata, punteggiata dalle rassicurazioni e dai rapporti costanti di Liv. Jake era davvero felice che l'ostetrica fosse rimasta con loro. Si fidava di lei, e mentre lui si sentiva assurdamente fuori dal suo elemento, Liv era calma e padrona di sé. A lui non restò che fare del suo meglio per aiutare Em.
Le massaggiò la schiena, le tenne la mano, l'abbracciò, la cullò, le asciugò la fronte, e finalmente, con gli occhi lucidi di lacrime non versate, sollevò il corpicino di suo figlio e lo depositò sul suo seno.
«Ben fatto, Em. Sei stata grande. È un bellissimo maschietto» aggiunse con voce carica di emozione.
Non poteva vedere gli occhi di Em, chinata sul suo piccolo, ma vedeva le sue dita, curvate con infinita tenerezza sopra la testa del bambino. Era il tocco amorevole di una madre che calmava il suo bambino nel momento cruciale che seguiva la nascita.
Em sfiorò con le labbra la testa del figlioletto. «Ciao, piccolino» mormorò, la sua voce dolce come una carezza. «Benvenuto al mondo.»
Ora era tranquillo, gli occhi fissi sulle dita di sua madre e la gola di Jake era così chiusa che non riuscì a emettere un solo suono. Le sfiorò la spalla e lei lo guardò sorridendo, gli occhi scintillanti nella luce del primo mattino.
«Ce l'abbiamo fatta» mormorò lei in tono quasi incredulo.
«No, Em. Tu ce l'hai fatta» replicò lui con voce rotta. «Sei stata incredibilmente coraggiosa. Pete sarebbe davvero fiero di te.»
Una lacrima le scivolò lungo la guancia, e lei baciò di nuovo il bambino.
«È adorabile» si complimentò Liv con un sorriso, e Jake fece un passo indietro per darle modo di svolgere il suo lavoro. Lui era di troppo adesso, e desiderava solo uscire all'aria aperta e mettere ordine nei propri sentimenti.
Erano passati quattordici mesi da quando Matilda era nata, lo scorso aprile, nel suo vecchio ospedale dall'altra parte del Suffolk, eppure sembrava ieri. Quella era stata l'unica altra volta in cui non si era trovato in sala parto come medico, e quando la sua figlioletta gli era stata messa tra le braccia, era stato travolto da un'emozione così forte da scioccarlo. L'aveva amata all'istante.
A quel tempo aveva appena iniziato a lavorare allo Yoxburgh Park Hospital e Jo si era rifiutata di trasferirsi con lui, ma era stato presente per la nascita di Matilda, aveva sentito il suo primo vagito, e si era sforzato di trascorrere tutto il tempo possibile con lei mentre cresceva. Non sembrava mai abbastanza, ma almeno lui era vivo.
Pete non avrebbe mai conosciuto suo figlio. Em era sola, e il suo bambino sarebbe cresciuto senza suo padre. Per questo Jake sarebbe sempre stato lì per loro, ogni volta che poteva. L'aveva promesso a Pete.
Tornò da Em e le accarezzò dolcemente i capelli biondi, ancora umidi per lo sforzo. «Vado a prendermi un caffè. Chiamami quando avrai riposato un po'.»
Il corridoio era deserto. Per fortuna, perché in quel momento Jake sentiva il bisogno di stare da solo. Scese al piano terra e si diresse al Park Cafè, ordinò un cappuccino e uscì, inalando l'aria fresca del mattino. Trovò una panchina vuota e si sedette sorseggiando il suo caffè, lasciando che la tensione si allentasse.
Era stato un fascio di nervi durante il travaglio di Em. Una cosa del tutto illogica, perché non c'erano state complicazioni di alcun tipo, ma si sentiva responsabile della sua sicurezza e aveva il dovere di assicurarsi che non accadesse nulla di male né a lei, né al bambino. Si era preoccupato fino a quando non aveva sentito quel primo vagito.
Per assurdo, era stato più distaccato durante il travaglio di Jo, in parte, doveva ammetterlo, perché non era mai stato veramente innamorato di lei. Non che fosse innamorato di Em, o che l'avrebbe mai ammesso, persino con se stesso. Di certo non l'avrebbe detto a lei, anche se c'era andato molto vicino quindici anni prima, in occasione del matrimonio di amici comuni. A quel tempo Emily aveva appena conosciuto Pete e dopo il ricevimento di nozze lei e Jake erano tornati in albergo. Lei era andata nella sua stanza per prendere un caffè, ma la situazione era sfuggita loro di mano. Forse fu colpa dello champagne, della musica, o dell'atmosfera romantica di quel posto, ma prima ancora di rendersene conto erano stati sul punto di fare l'amore. Poi il telefono di lei aveva squillato con un messaggio di Pete, che aveva agito come un secchio d'acqua fredda per entrambi.
Emily era fuggita nella sua stanza e non avevano mai più menzionato quell'episodio, ma Jake si era reso conto in quel momento di cosa provasse per lei. Un sentimento non ricambiato, perché il giorno dopo, lei era tornata da Pete e lui aveva dovuto imparare a conviverci. Aveva sepolto quei sentimenti per lei così profondamente che li aveva quasi dimenticati, ma le voleva ancora un bene dell'anima come amico, e non c'era nulla che non avrebbe fatto per lei, o lei per lui.
Era la sua migliore, la sua più cara, la più fedele e sincera amica, e si sarebbe sentito perso senza di lei. Non che la sua sincerità fosse sempre un vantaggio. C'erano volte in cui uno non voleva sentirsi dire che era un idiota, ma Em non si era mai sbagliata.
Lui ed Em si erano conosciuti al primo anno di università, ed erano diventati inseparabili. Insieme, avevano superato gli alti e bassi della scuola di medicina, e affrontato le prime sfide professionali. Era stato lui ad accompagnarla all'altare per sposare Pete, pur sapendo che lui aveva il cancro e quanto sarebbe stato difficile per lei, ma sapendo anche di dover restare al suo fianco come amico. E lo era stato. Lo era ancora.
Il suo cellulare vibrò, e lui lesse il messaggio con una risatina. Emily gli dava il via libera per tornare nella sua stanza, nel suo solito tono scherzoso e un po' irriverente.
Scolò il suo caffè ormai freddo, gettò il bicchiere di carta in un cestino e tornò da Em. La trovò seduta a gambe incrociate sul letto che allattava il bambino. Le diede un bacio sulla fronte, inalando il profumo dei capelli freschi di shampoo. «Come stai?»
«Bene. Mi sento molto meglio ora che ho fatto una doccia.» Gli afferrò la mano, stringendola piano. «Grazie per essermi stato vicino. Ero davvero spaventata.»
Lui le rivolse un ampio sorriso. «Sciocchina, ti ho detto che mi sarei preso cura di te, e non smetterò solo perché hai avuto il bambino. Sai che ci sarò sempre, quando ne avrai bisogno, vero?»
«Oh, Jake...» Gli occhi di lei si riempirono di lacrime, e lui si chinò e la abbracciò.
«Allora, come va la poppata?»
«Sicuramente sa quello che vuole. Questo è positivo» apprezzò con un sorriso.
Lui ridacchiò. Poi si lasciò cadere sulla sedia accanto al suo letto e soffocò uno sbadiglio.
«Stanco?»
«Un po'. È stata una lunga notte, con tutta questa eccitazione aggiunta alla fine. Però vedi? Ti avevo detto che non ci sarebbero stati problemi.»
Il sorriso di Em svanì. «Non ce ne sarebbero stati altri, vuoi dire? Immagino che il fatto che questo bambino non conoscerà mai suo padre sia sufficiente. Forse la sfortuna ha deciso che avevamo bisogno di una pausa.»
«Sì, penso che sia così» replicò piano Jake. «Hai già pensato a un nome?» domandò dopo una piccola pausa.
«Zachary. Zach. A Pete piaceva, e diceva sempre che se avessimo avuto un maschio, avrebbe voluto chiamarlo così. Zachary Jacob, in onore suo e del mio migliore amico.»
Jake aveva un groppo in gola. «Wow» riuscì a dire. «Significa molto, Em. Grazie.»
«È il minimo che possa fare. Non ce l'avrei fatta senza di te, Jake. È solo grazie a te se non ho perso la ragione quando il cancro di