Via di Scampo
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Via di Scampo - Stefano Jay Bozzo
CLARE
UNO
L’universo è fatto di storie, non di atomi
Muriel Rukeyser, The speed of darkness
Ogni volta che salta slancia una gamba, la destra o la sinistra, tanto è uguale, il piede si abbatte regolare sulla smorfia di dolore del suo avversario. Appena affonda un colpo, immediatamente si ribilancia per un’altra violenta stoccata. Ogni tre o quattro colpi l’avversario rovina per terra. Raccolte le forze si rialza. Ma lui, implacabile, lo aspetta ad un palmo ed appena è in ginocchio lo scalcia col disprezzo del vincitore per il vinto. La scena si sussegue regolare fino alla noia, finché in un ultimo sussulto d’orgoglio, l’avversario ormai allo stremo rotola su un lato e sorprendendo il suo carnefice, lo colpisce violentemente con un paio di calci ben assestati. Non appena riavutosi dalla sorpresa, il carnefice colpito riesce in qualche modo a tenersi in equilibrio sulle mani, con la testa in giù e roteando veloce e letale le gambe per aria. Colpisce senza tregua, come una centrifuga, la testa del malcapitato che, infine con fragore, si accascia esanime per terra. La linea della vita è segnata in rosso ed è ormai evidentemente esaurita, mentre Eddie, il carnefice, si lancia in una danza di gioia, sulle mani e sulla testa. D’altronde è sempre così, vince sempre Eddie, è quasi inutile giocare. Lo sa fin troppo bene Paul Etienne che infatti lascia cadere dalla noia il joypad, si massaggia leggermente il callo da playstation sul pollice e pensa che dovrebbe comprarsi un altro gioco.
Paul Etienne lancia una rapida occhiata all’orologio, le sei e dieci, ancora presto per prepararsi per andare al lavoro ed ormai stufo di Tekken tre, di GT due o di GTA tre, pensa che potrebbe comprarsi Resident Evil, il seguito. Potrebbe regalarselo per Natale, si dice mentre piscia, dopotutto domani è Natale. Non fa mai regali a nessuno, può permettersi di farsene uno. Si, Resident Evil, l’ideale. Paura e picchiaduro. Paura e picchiaduro. Come la sua vita.
Paul Etienne tira fuori il suo vestito dall’armadio e comincia a spazzolarlo. È un vestito scuro, di lana, elegante ma non particolarmente pretenzioso. Un piccolo affare Facit. Lo spazzola con cura, non vuole vedere neanche un pelo, un capello, un granello. Il caffè viene su gorgogliando e Paul Etienne passa maniacale il lucido sulle scarpe. È già Natale… fanculo.
Prende dalla consolle della camera da letto la pistola e fa scattare il cane due o tre volte, poi tira fuori il caricatore, controlla le pallottole e lo reinserisce. Gli da una veloce pulita e la ripone nella fondina.
Beve il caffè, abbottona la camicia bianca, pulita e perfettamente stirata, allaccia la fondina all’ascella, indossa la giacca, ed è pronto per uscire. Si da un’ultima occhiata allo specchio. Il vestito calza perfetto. Non è Armani, ma per il lavoro va bene. Improvvisamente cerca di sorprendersi davanti allo specchio a tirare fuori la pistola dalla fondina. Anche se velocissimo lo specchio non lo sorprendi, è preciso, matematico, puoi provarci un milione di volte. Non lo sorprendi.
Paul Etienne esce di casa e si incammina a piedi. Anche in questa zona della città si può vedere che è Natale.
Paul Etienne ha dato subito la sua disponibilità per i turni natalizi, non per fare favori, ma perché lavorando dimentica la festa e le feste fanno male. L’aria è fredda, ma la giornata è limpida ed è una bella novità. Via Galliari è ancora vuota, non ci sono tossici o spacciatori da spaventare, non ancora. La città è ancora sul crinale del risveglio, quasi nessuno per strada. Fare questi turni e poi andare due giorni a Fenils, a sparare nei boschi, a caccia di albanesi. Niente mi tocca ora. Niente mi tocca per ora. Basta mettersi d’impegno è la vita può essere facile. Basta capirla, paura e picchiaduro. Paura e picchiaduro.
La sala agenti della squadra omicidi è un locale dai muri spogli, oltre ad un crocifisso ed una fotografia di Ciampi. I muri sono bianchi, ma sporchi, con macchie di umidità. Ci sono tre zone di lavoro, con cinque scrivanie. Due paia di scrivanie si fronteggiano, mentre la quinta, quella del vicesovrintendente Viglierco è infilata nel mezzo ad una estremità. Lungo la parete a sinistra c’è una fila di schedari metallici. Contro la parete di fronte, dietro le zone di lavoro, ci sono due uffici con vetrate che si affacciano sulla sala agenti. Uno è l’ufficio del ispettore Paul Etienne Lizzi. L’altra è una stanza per interrogatori, con un tavolo e alcune sedie, intorno al tavolo due agenti, un uomo e una donna prendono un caffè e fumano sigarette.
Paul Etienne entra nella sala comune, viene salutato dagli agenti in servizio e dal vicesovrintendente Viglierco. Senza rispondere al saluto Paul Etienne entra nella sala interrogatori aprendo bruscamente la porta.
«Che cazzo fate qui… il caffè prendetelo alla macchinetta… e fumate solo nei corridoi… via, subito.» I due agenti prendono i bicchierini del caffè e si alzano per uscire.
«Buongiorno ispettore» risponde con lieve ironia l’agente maschio.
«Viglierco, il rapporto dell’omicidio in bruschetteria… lo voglio oggi qui sul mio tavolo!»
«Lo sto finendo ispettore, lo sto finendo.»
«È una settimana che dovresti averlo finito…»
Subito dopo Paul Etienne entra nel suo ufficio e per chiudere la conversazione sbatte la porta.
Viglierco si butta a capo chino a terminare il rapporto, battendo con un dito solo una macchina da scrivere vecchia almeno di trent’anni, alle prese con una sintassi che gli sfugge ed un lessico che non gli appartiene. Viglierco ha quarantadue anni, portati in modo tale che non sapresti che età dargli. Ha l’aspetto di un adulto, è magro e alto, ma ha il viso di un bambino, di un bambino brutto, con le guance scavate, uno di quelli del ghetto di Varsavia. A prima vista si sarebbe potuto supporre che in quel momento stesse, chissà con quale contrazione dei muscoli, tirando verso l’interno le pareti carnose del volto, invece la bocca semiaperta e l’espressione immobile rivelano che si tratta del suo aspetto abituale. Ha un naso grosso, che domina la faccia, gli occhi piccoli, e i capelli lisci e unti che ricadono sempre sulla fronte. Sono dieci anni che è vicesovrintendente ed ha capito di essere arrivato al grado più alto della sua carriera. Gli manca la laurea e non ha nessuna intenzione di provare a prenderla.
Nella sala agenti, intanto, è piombato un silenzio gelido, affollato solo da un risentimento nascosto nei confronti di un superiore tiranno.
Dal canto suo Paul Etienne, nel suo ufficio, ha acceso il computer e aspetta di aprire la posta elettronica e di connettersi con l’intranet del suo posto di lavoro.
Paul Etienne odia Viglierco, lo ritiene viscido e sleale. Ma odia anche gli altri suoi colleghi, sbirri senza ambizioni, arroganti nell’esercizio delle loro funzioni, ma vili nei confronti dei superiori. Così Paul Etienne si è riproposto di essere il peggiore dei loro nemici: ama sentire il timore, la freddezza nei suoi confronti, ama tenerli sulla corda, avvelenare il loro lavoro, rendere scomoda la loro poltrona, scottante la loro scrivania.
La succitata Sonia Livi sporgeva denuncia nei confronti di Mohammed Abdullah di anni 35 dichiarando di essere stata in numerose occasioni minacciata di morte, dal momento in cui aveva interrotto la loro relazione. La già citata Sonia Livi desiderava essere protetta dalla minacciosa invadenza dell’Abdullah che sembrava diventare sempre più perniciosa da quando aveva iniziato ad intrattenere una relazione con il cittadino iraniano Bobak Farsi di anni 32.
Mohammed Abdullah aveva ucciso Sonia Livi sparandole un colpo alla testa e poi un altro nel petto, in mezzo alla sala grande della biblioteca nazionale, poi si era rivolto la pistola contro e si era sparato. Piazzandosi una pallottola in testa senza neanche ammazzarsi, ma rendendosi cieco. Ora Paul Etienne leggeva i rapporti degli agenti, suo compito era quello di scrivere un’analisi finale della personalità dell’omicida e un rapporto completo e definitivo sull’intera vicenda.
Alessandro Tirelli, conosciuto fin dall’età di quindici anni come elemento di spicco di un gruppo neonazista, il cranio rasato, mimetica e anfibi, è stato denunciato in diverse occasioni per aggressione. All’epoca dell’università, la cui iscrizione alla facoltà di Giurisprudenza risale al 1992, gli scontri con esponenti dell’autonomia e dei centri occupati era materia quotidiana. Nel 1999 la svolta decisiva. Tirelli Alessandro si converte all’Islam, si lascia crescere una folta barba e prende il nome di Mohammed Abdullah. Un anno più tardi inizia la sua relazione con Sonia Livi. La relazione con Abdullah-Tirelli comincia quasi subito ad essere un calvario per la signorina Livi, che viene presto obbligata ad indossare un velo davanti alla faccia, denominato chador…
«Ispettore Lizzi…» La testa del vicesovrintendente Viglierco fa capolino dalla porta.
Lizzi non gli risponde, ma lo guarda e il suo sguardo schiuma rabbia tanto che Viglierco abbassa lo sguardo: «Una chiamata… è urgente…».
«Va bene, Viglierco… raduna la squadra, vengo subito.»
Paul Etienne, Viglierco e altri due agenti, uno più giovane, Cassini, e uno più anziano, Venturiello, escono nel cortile del commissariato.
«Viglierco tu vai con Venturiello… io me ne vado con Cassini… guida tu Nadia Cassini, dai…» Le due coppie di agenti prendono due volanti, la sbarra si alza e sgommano su via Verdi, quindi girano in via Rossini e a tutta velocità, a sirene spiegate si dirigono verso il Mauriziano.
Paul Etienne è in macchina con Cassini, un ragazzo giovane, sui venticinque. Sembra venire dalla provincia, a prima vista. È intimidito, non distoglie lo sguardo dalla strada, non guarda in faccia Paul Etienne, di cui ha soggezione, paura.
«Di dove sei Cassini?»
«Di Fossano.»
«Perché non sei rimasto a Fossano ad accudire le vacche, invece che venire a morire qui in città?»
«Perché volevo entrare in polizia.»
«Guida bene, non voglio finire contro un muro, per colpa di un barotto che sognava di fare Baretta rivoltando il letame in campagna»
«Faccio del mio meglio…»
«Non voglio arrivare dopo Viglierco… se arrivo dopo Viglierco ti metto in notturna per una settimana…» Il ragazzo non dice più niente. Cerca di guidare meglio che può, ma ormai è talmente immusonito, talmente ha paura di sbagliare che la sua guida è tutta scatti. Le curve le prende larghe, frena all’ultimo e dimentica di scalare, il ragazzo. Ora la volante sta passando per San Salvario, per strada tossici e nigeriani.
«Cassini!»
«Dica ispettore.»
«Cosa ne pensi dei negri»
«Sono persone come tutte le altre, quando delinquono bisogna intervenire… è nostro dovere intervenire… come per gli altri…»
«Cazzate!»
«Cassini!?» L’ispettore Lizzi alza ancora un po’ il tono, giocando come il gatto con il topo.
«Si ispettore?»
«Cosa ne pensi dei negri?!»
«Non penso niente.» Cassini sta per scoppiare. Sta quasi piangendo e Paul Etienne decide di non infierire, in fin dei conti il ragazzo gli è simpatico. Arrivano a destinazione senza più dire nemmeno una parola.
Cassini ferma la macchina davanti al Mauriziano ed è tutto sudato, nonostante il freddo, nonostante natale alle porte, è tutto sudato, si porta un dito al colletto per diminuire la pressione della camicia e far passare un po’ d’aria attraverso il collo. I capelli biondicci sono appiccicati alla fronte e gli occhi chiari e acquosi guardano fuori e sono abilissimi nel simulare qualsiasi tipo di pensiero. Lizzi ha già visto la volante di Viglierco ed esce sbattendo la portiera.
«Spero che ti sparino gli albanesi una notte di queste, Cassini!» Viglierco va incontro a Lizzi.
«È un tentato omicidio, ispettore… una vecchia… ha sparato a suo marito…» Paul Etienne fissa gli occhi negli occhi di Viglierco, che hanno la stessa espressione delle pietre bagnate.
«Viglierco, fammi un favore…»
«Dica ispettore…»
«Parcheggia meglio la macchina, se ti va di giocare a Starsky ed Hutch fallo con qualcun altro, non con me, a me da solo fastidio, ci siamo intesi? Intanto che ci sei, parcheggia bene anche la nostra, noi andiamo, quando hai finito ci puoi raggiungere»
«Come vuole lei ispettore Lizzi.» Si tira indietro la frangia unta dalla fonte, il vicesovrintendente Viglierco, per fare finta di niente, ma Lizzi ha colpito il suo
amor proprio, il volto è scuro e tra sé e sé giura che gliela farà pagare, non appena si presenterà l’occasione lo umilierà di fronte a tutti. Prima o poi capiterà, capiterà, è pronto a metterci la mano sul fuoco.
Lizzi osserva il cipiglio di Viglierco, lo vede mordersi le labbra dall’offesa e dentro si sente felice, si apre in un sorriso totale.
Fuori, con il solito grugno chiama Venturiello.
«Venturiello!» Venturiello si trova dietro Cassini, stanno seguendo Lizzi, in fila indiana. Venturiello non sente subito la chiamata dell’ispettore. Paul Etienne si ferma, quasi all’ingresso del pronto soccorso, si gira e vede la carovana dei suoi uomini. Anche i suoi uomini si fermano, smarriti.
«Venturiello, Venturiello…» ripete cantilenando Lizzzi.
Venturiello questa volta sente e scatta.
«Sì, scusi ispettore!»
«Venturiello venturiello, a cosa pensavi…?»
Venturiello abbassa il capo.
«Tu occupati degli infermieri e di chi ha raccolto la chiamata, e quando Viglierco ha finito con le macchine fatti dare una mano. Voglio sapere tutto, un rapporto con ogni dettaglio, se