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Colui che abbia letto qualche opera di Grazia Deledda, non può non restare
sbalordito davanti a questa donna, autodidatta e isolana, immersa nella cultura di una
sconosciuta regione mediterranea, come era la Sardegna del Novecento, e l‟unica
scrittrice italiana insignita dal Nobel.
La nostra scrittrice è nata a Nuoro nel 1871 -10 anni dopo nasce Italo Svevo-.
Vive un‟adolescenza caricata di gravi problemi familiari e da una formazione culturale
sostanzialmente autodidatta. Scrive, parla, pensa in sardo, e non divenne realmente
bilingue fino ai 30 anni, quando, trasferita a Roma con un marito “continentale”, non
trova appena occasioni di parlare la sua madre lingua, e si deve esprimere in italiano. È
allora quando il suo lessico e la sua sintasi si arrichiscono e diventano più naturali.
Non proveniva di una famiglia colta –anche se suo padre fosse un benestante,
occupato di commercio-. Gli studi regolari della Deledda non superarono la quinta
elementare. Era cioè digiuna di studi, ma intuitiva e improvvisattrice.
Quindi, entrò nella storia della letteratura senza passaporti academici. Con
lavoro assiduissimo e con volontà impavida salì gradino per gradino nella scala della
celebrità e del perfezionamento dei propri mezzi espressivi e dell‟approfondamento dei
propri temi.
Scrisse una cinquantina di opere tra romanzi, raccolti, poesie, collaborazioni per
diversi giornali, qualche traduzione, due libri per bambini, ecc. Ricesse il Nobel nel
1926. Poco dopo viene colpita dalle prime manifestazioni del cancro. Ma la malattia
non la scoraggia, perchè sa guardare in faccia la morte, e la sua rassegnazione non è
quella passiva dei deboli, delle canne che si piegano al vento, altrimenti porta dentro di
se il sangue sardo, la dignità e la bravura che non conoscono disperazione.
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Si è pubblicato troppo sulla cattiva scrittura della Deledda. Non abbiamo tempo in questo piccolo studio
di approfondirne. Ma tutti gli interessati possono rivolgersi ai curatissimi lavori di MORTARA, B La
lingua di Grazia Deledda (1992), pag 115 e seg; e SOLE, LEONARDO I colori di Grazia (1992), 151
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
fiorire dei suoi romanzi all‟estero più che a casa, ecc2. Tutto ciò contribuisce a definirla
come una grande scrittrice, malgrado tutto.
Siamo convinti che sarà uno studio così breve. Oltre abbiamo scelto queste due
opere, affinchè sia più facile paragonarle e cercare di mostrare la diversità e bellezza dei
racconti deleddiani. Non sappiamo cosa succederà.
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Sono molto interessanti gli appunti su Grazia Deledda nella cultura internazionali, raccolti per Ugo
Collu, negli Atti del Seminario di Studi “Grazia Deledda” e la cultura sarda fra „800 e „900. Nuoro,
Setiembre 1992. Tra i più famosi ci sono: MEREGALLI, F: “Grazia Deledda in Spagna”; MHAOLÀIN,
N: “Grazia Deledda in Irlanda”; ZABOKLICKY, K: “Grazia Deledda in Polonia”; HIRDT, W: “La
fortuna di Grazia Deledda nei Paesi di lingua tedesca”; BOERSMA, H: “Storia della ricezione di Grazia
Deledda in Olanda”; DODERO, M.L: “Grazia Deledda in Russia”; YUN ZHI ZHOU: “La possibilità di
sviluppo e diffusione delle opere deleddiane in Cina”; GIACOBBE, M: “Grazia Deledda a Stocolma”, tra
gli altri.
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È classica la figura letteraria addoperata per la Deledda di far coincidere l‟atmosfera romanzesca coi
sentimenti dei personaggi. Valgano questi esempi trovati tra altri: Il cielo era triste, pieno di nuvole. La
terra, gli alberi, le roccie, aspettavano in silenzio la pioggia promessa. Non si muoveva una foglia; non
s’udiva nel paessaggio giallo una voce umana. Dove andare, se tutto il mondo era per Paulu simile a
quel luogo deserto? Era finita: finita davvero (L’edera, 40). E quest‟altro: Le pareva anche che la natura,
oramai, si unisse alla sorte, agli uomini; che un esercito di forze nemiche si divertisse a perseguitare un
uomo debole e infelice (ibid. 46). Ancora: Le donne cantano, gli uccelli cantano; il paese è tutto fiorito di
melograni e di vitalbe; le case sembrano nuove; tutto è nuovo, tutto è bello... (Canne, 33); La giornata
era stata caldissima e il cielo d’un azzurro grigiastro pareva soffusso ancora della cenere d’un
incendio... Noemi sentiva entro di sè tutto questo grigio e questo rosso... (ibid. 116)
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Bello esempio si ci può trovare nel primo capitolo di Canne al vento. È anche da dire che –come
suggerisce Maria Giacobbe- la Deledda non si limitò a presentare la Sardegna, ma la sua Sardegna; quei
paessagi e quegli uomini che la sua fantasia instancabile cercava e ritrovava in quella zona imprecisa fra
memoria e sogno; quella Sardegna retta da rigide norme morali, feroce ma mai volgare, povera ma mai
mediocre, incatenata a un lontano passato di nobiltà e condannata a un presente di miseria. Quella
Sardegna che ella aveva conosciuta nella Nuoro della sua giovinezza e che costituì per tutta la vita la
parte più autentica e profonda della sua anima.
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
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Noemi osservò che (Giacinto, appena arrivato di Terranova) le calze di lui erano verdi, un colore
strano davvero per calze da uomo (50)
Quanto ci vuole arrivare a Nuoro?Chiese Noemi- In bicicletta poche ore. Io sono stata a Nuoro molti
anni fa, ma a cavallo.(ibid)
Che paese! Aggiunse Giacinto-, almeno da noi si facevano i bagni (op. cit. 86)
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
IL MONDO NUORESE
Quando nel 1871 nasceva Grazia Deledda, Nuoro non era che un grosso
villaggio diventato capoluogo del circondario, soprattutto per ragioni geografiche.
Annesa, gridò d’un tratto Rosa, eccolo viene! Sento il passo del cavallo
(L‟edera, 10)
Andammo di festa in festa, di villaggio in villaggio, sempre a cavallo (ibid. 14)
La popolazione locale era divisa tra borghesia e pastori, che incarnavano due
diverse mentalità, due civiltà opposte anche con le armi in pugno.
Noemi arrossì, perchè sebbene le relazioni col cugino fossero tese, le sembrava
un’ingiuria personale dare dell’usuraio a un nobile Pintor (Canne, 52)
Appena arrivato ha fatto relazione con tutta la gente che ci disprezza. Poi s’è
messo a far all’amore con la ragazza della peggior razza di Galte, una che va scalza al
fiume! Ed è stato ozioso, e vive nel vizio.. se questo non è mancare di rispetto a noi, alla
casa nostra, che cos’è? Dillo tu, in tua coscienza... (Canne, 101)
Tu? Tu? Tu sei servo e basta. Tu non ci perdoni d’esser nobili e vuoi vederci
andare a chiedere l’elemosina con la tua bisaccia. Ma i corvi ti doveranno prima gli
occhi. E tu sarai sempre il servo e noi le padrone. (Canne, 131)
Il sardo era la lingua che se parlava anche dal pulpito, e spesso dagli avvocati
nelle aule dove si celebrava la giustizia. L‟italiano –quella lingua straniera e superflua-
si imparava soltando nella scuola:
Ogni sua parola e il suo accento straniero colpivano Grixenda al cuore (Canne,
58)
Piuttosto in Canne possiamo leggere delle frasi in sardo intercalate nei dialoghi,
così come brani di canzoni popolari sarde, che si cantavano –e ancora si cantano-
accompagnate dal ballo (cfr Canne, 77)
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
IL TEMPO
Entrando nel recinto vide la solita scena: le sue dame sedevano sulla panchina
con le mani in grembo; nell’interno delle capanne le donne sedute per terra bevevano il
caffè, cullavano i bimbi, e sull’alto del belvedere, sullo sfondo del cielo dorato, la
figura nera di prete Paskala salutava col fazzoletto turchino (Canne, 71)
Nessuno dei suoi personaggi in nessuna delle sue opere si trova in situazione di
consultare un orologio per regolare le proprie azioni. Il tempo lo si misurava ancora
sulla base delle elementari fatiche quotidiane, regolate nell‟aumentare o diminuire della
luce del giorno. Ma questo dettaglio che sembra niente importante era l‟individuale
resistenza alla fatica, alla fame e alla sete.
(...) si vedeva il cortile bianco e nero di luna (...) Andiamo a teatro, zio Pietro?
A quest’ora nella città del Continente comincia la vita e il divertimento. Davanti ai
teatri passano tante carrozze, come un fiume nero...(113)
PERSONAGGI
Ci sono tanti critici che hanno diffeso l‟esistenza di un elemento fatalistico nei
personaggi deleddiani, cioè, il Fato, il Destino. Un elemento, quindi, insondabile e
determinativo, che impedisce combattere, ribellarsi e guidare la propria vita.
Sentiva d’essere di nuevo davanti al destino tragico della famiglia alla quale
stava attaccato come il musco alla pietra, e non sapeva che dire, non sapeva che fare
(Canne, 96)
La mano, il filo misterioso, il vento sono alcuni tra gli elementi più caratteristici
in cui si manifesta la forza misteriosa del fato. I primi due sembrano i simboli preferiti
per rappresentare l‟azione del fato rispetto ai singoli, mentre il vento viene preferito
quando tutta la comunità si trova in preda all‟azione del destino6.
Una mano misteriosa lo aveva spinto, ed egli sapeva che tutte le azioni compiute
così, per forza sovvranaturale, sono azioni buone (Canne, 93)
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Cfr. MASSAIU, M “Fato e responsabilità nell‟opera di Grazia Deledda” in Atti del Seminario... (1992),
265
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
Ma questa affermazione non è del tutto esatta, almeno non per tutte le opere
deleddiane. I nostri personaggi sono consapevoli che la forza della natura e delle
circostanze possono prevalere sulla loro volontà:
Hai commesso una colpa dopo l’altra perchè questo è il destino di chi si mette
sulla via dell’errore. Ho detto che la tua anima è morta, ma ho detto male. L’anima non
muore, ma è malata... ( L’edera, 77)
Ma sono anche coscenti che possono lottare ed essere responsabili delle loro vite
e delle loro azioni7: Siamo come canne e la sorte è il vento, afferma Efix, il servo-
protagonista del nostro romanzo; eppure nel romanzo L’edera il destino butta la
protagonista come il vento di marzo getta il seme sulla roccia accanto all’albero
cadente.
E un altro esempio: Efix si alzò. Sentiva qualche cosa pungerlo in tutta la
persona, e aveva bigsogno di andare, di affrettare il destino (155)
Nel corso di tutta l‟opera deleddiana c‟è una sfilata di personaggi che hanno
spesso la fissità della maschera nella tragedia o commedia classica. E come quelle sono
il più delle volte simboli di posizioni esistenziali. Invece altri meno riusciti non sono
altro che pretesti
Le donne
Abbiamo già parlado della società nuorese. Non è superfluo ricordare che entro
le parete domestiche le donne, soprattutto se d‟età matura o sposate, erano regine. Fuori
di esse erano delle paria. Entro la donna era investita di prestigio e dignità, però era
spogliata di ogni più elementari diritto fuori.
Deledda fa una forte tipizzazione delle donne che si dividono in categorie ben
diverse e nelle quali –più che in altri personaggi- si può osservare la particolare
corrispondenza di “società e coscienza”. Vi sono le donne nobili, in cui il loro
7
In Elias Portolu (1903) cerchiamo un chiaro esempio. Elias retiene che l‟individuo può, se
sufficientemente convinto e deciso, condurre la legge esterna a coincidere con l‟esigenza interna la quale
è in definitiva la volontà stessa di Dio.
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GIACOBBE HARDER, M (1975), pag. 20
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
comportamento corrisponde alle regole fissate dalla società9, e perciò in eterna lotta con
i loro impulsi vitale; le donne inferiori socialmente, che fanno da coro; le donne vittime,
che sono state oggetto del drama esistenziale; le donne matriarche, per età e per dignità
sono sempre al di là di sospetti, e depositarie della saggezza antica della stirpe10. Ma
comunque sono più positive e forte; possiedono una forte volontà e natura appassionata:
(Grixenda dici) Se sei venuta per pungermi ti sbagli, Natòlia. Io non ho dolori,
non ho dispiaceri: son forte come il pino in riva al fiume. E verrà un giorno che tu mi
manderai un’ambasciata per chiedermi di diventar mia serva (Canne, 150)
Durante l’inverno le dame Pintor sttettero sempre in casa e non parlarono mai
di andare alla Festa del Rimedio (...) In quaresima le due sorelle andarono a
confessarsi (...) (149)
Gli uomini
I personaggi maschili si dividono in due tipi: i forti e i deboli. I forti sono sempre
i padroni, vigili delle leggi sociali, dell‟onestità delle donne, dei costumi ancestrali, ma
loro stessi esigenti, tiranni, temuti ed odiati per tutti, anzi, a volte, per i loro familiari. I
deboli sono in genere i servi, oggetti più che soggetti, umili e sommessi. Ambidue
appartengono alla sua propria categoria sociale, di cui non possono uscire quasi mai.
Servi e padroni
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
Egli è il padrone, vero? Egli è tanto forte, egli può commandare a tutti,
vero? domandò Rosa, ma in un tono che non ammetteva un no. Egli può fare
quello che vuole; può fare anche il cattivo, vero? Nessuno può toccarlo, vero?
(10)
Il mendicante misterioso
Ora avvenne che molti anni fa, capitò alla festa un vecchio mendicante
accompagnato da una bambina di tre anni. Un bel momento quest’uomo fu
trovato morto, dietro la chiesa. La bambina piangeva, ma non sapeva dire chi
era (L’edera 15)
Eccolo qui l’uccelo del diavolo: ora lo conduco dal brigadiere e dico a
tutti: vedete se un padre può ammazzare il figlio! Ora me ne lavo le mani, don
Paulu (L’edera, 40)
I vecchi saggi
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
“La colpa è vostra, disse, grave. Sapevate vecchia come siete come
vanno a finire queste cose”
“Sappiamo, sappiamo... e non sappiamo mai niente! Il cuore non è mai
vecchio” (Canne, 119)
I servi
Ci vuole studiare il personaggio del servo staccato dal resto degli uomini, e
soprattutto in queste opere scelte.
Efix, il servo di Canne al vento è forse il vero protagonista del racconto; con
personalità propria, sempre umile e fidele
Il servo era abituato a obbedire alle sue padrone e non fece altre richieste; non
ricordava di aver mai preso parte diretta alle discusioni delle sue padrone (15)
Cercando espiazione, per se stesso e per tutti, si carica della croce di pellegrino,
abbandona il paese e va mendicando per i villaggi e i santuari dell‟Isola. S‟accompagna
ad altri mendicanti e pastori come lui, zoppi dell‟anima e del corpo, che contrastano
vivamente con gli altri pellegrini che arrivano ai santuari per sciogliere voti e godere la
festa:
Erano ricchi pastori con le mogli grasse e le belle figlie svelte: arrivavano a
cavallo, fieri e bruni gli uomini, coi lunghi coltelli infilati alla cintura nelle lunghe
guaine di cuoio inciso, i giovani alti, coi denti e il bianco degli occhi scintillanti, agili
come beduini: le fanciulle pieghevoli, soavi come le figure bibliche evicate dal cieco...
smontavano taciturni, come per un convegno segreto in quel punto lontano del mondo.
Ad Efix, seduto col cieco sull’ingresso della chiesa, pareva di sognare” (Canne al
vento, 183)
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
“Basta vivere, Stefana!, ammonì Efix, basta vivere senza peccare”. –“Questo è
difficile, anima mia! Come guardare il fiume senza bagnarsi!” (Canne, 140)
Il servo non guardava al di là del poderetto... Meglio pensare all’avvenire e
sperare nell’aiuto di Dio. (11)
E Dio prometteva una buona annata, o per lo meno faceva ricoprir di fiori tutti i
mandorli e i peschi della valle... (ibid)
Sia fatto il volere di Dio: è lui che manda le buone e le cattive notizie... Ma sia
fatta la volontà di Dio e andiamo avanti (23)
Efix si fece il segno della croce e si alzò: ma aspettava ancora che qualcuno
arrivasse (14)
Io sono un povero servo, ma dico che la provvidenza sa quello che fa (20)
Porta su di se, fino alla fine, la carica della sua colpa; a volte non si pente, ma
desidera che Dio lo perdoni.
Tutti nel mondo, pecchiamo, più o meno, adesso, o prima o poi: e per questo? Il
capitano non aveva perdonato? Perchè non dovevano perdonare anche gli altri? Ah, se
tutti si perdonassero e viceversa! Il mondo avrebbe pace: tutto sarebbe chiaro e
tranquillo come in quella notte di luna (94)
La Maddalena si spinge avanti (...) Efix la guarda, e gli sembra di ricordare una
vita anteriore, remotissima, e gli sembra che ella gli accenni di accostarsi, di aiutarla a
scendere, di seguirla...
Chiuse gli occhi (...) Laggiù la sua visione si confondeva. C’era un carro su cui
Lia sedeva, nascosta in mezzo a sacchi di scorza. Il carro spariva nella notte, ma sul
ponte, sotto la luna, rimaneva don Zame morto, steso sulla polvere, con una macchia
gonfia violetta come un acino d’uva sulla nuca. Efix s’inginocchiava presso il cadavere
e lo scuoteva. Ma don Zame restava immobile... (105)
Gli altri
Gli altri personaggi secondari, senza appena rilievo, si intrecciano nelle pagine
dei romanzi deleddiani. Sono vecchi oppure giovani, parenti dei protagonisti, uomini e
donne: Zuannantò, Nicòlia, Donna Pottoi, Zana, Maria Cristina, Santus, Zio Cosimu,
ecc, ingrossano il romanzo, dandogli un carattere d‟opera chiusa, finita. Ognuno occupa
un luogo preciso e ben determinato; sua presenza non è affatto inutile. Non possone
essere sostituiti da altri, neppure non tenere parte nell‟opera.
LO SFONDO RELIGIOSO
In questi due romanzi, così ricchi di atmosferi, così curati e ispirati nell‟analisi
degli stati e dei moti psicologici, abbiamo degli esempi più riusciti e più espliciti
dell‟impegno morale che tanto colpiva la Deledda. Una carica morale come ricerca
continua, come pellegrinaggio nelle penose vie della coscienza. Possiamo dire, senza
paura di sbagliare, che la figura più completa è il servo Effix.
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
Poco prima abbiamo descritto Efix come il personaggio più religioso –più
“sardamente” religioso- fra i personaggi deleddiani per i quali tutti Dio e il peccato sono
realtà presenti in ciascuna giornata. Non c‟è un‟ espressione, un commento, un‟azione
in cui non sia detto il nome di Dio. Sempre lo si fa riferenza esplicita; non si intraprende
nulla fuori Dio.
Sono continui gli esempi che si possono elencare; quasi in ogni pagina se li
trovino, anche se tante volte è appena una pennellata:
La Basilica cadeva in rovina; tutto era grigio, umido e polveroso: dai buchi del
tetto di legno piovevano i raggi obliqui di polviscolo argenteo che finivano sulla testa
delle donne inginocchiate per terra, e le figure giallognole che balzavano dagli sfondi
neri screpolati dei dipinti che ancora decoravano le pareti somigliavano a queste donne
vestite di nero e viola, tutte pallide come l’avorio e anche le più belle, le più fini, col
petto scarno e lo stomaco gonfio dalle febbri di malaria. Anche la preghiera aveva una
risonanza lenta e monotona che pareva vibrasse lontano, al di là del tempo: la messa
era per un tregesimo e un panno nero a frange d’oro copriva la balaustrata dell’altare;
il prete bianco e nero si volgeva lentamente con le mani sollevate, con due raggi di luce
che gli danzavano attorno e parevano emanati dalla sua testa di profeta. Senza lo
squillo del campanello agitato dal piccolo sacrista che pareva scacciasse gli spiriti
d’intorno. Efix, nonostante la luce, il canto degli uccelli, avrebbe credutov di assistere
ad una messa di fantasmi. Eccoli, son tutti lì; c’è Don Zame inginocchiato sul banco
(....) Le donne cantano, gli uccelli cantano, donna Ester sgambetta accantov al servo,
col dito fuori dell’incrociatura dello scialle. La processione esce fuori dal paese, e il
paese è tutto fiorito di melograni e di vitalbe; le case son nuove, il portone della
famiglia Pintor è nuovo, di noce, lucido, il balcone è intatto... Tutto è nuovo, tutto è
bello. Donna Maria Cristina è viva e s’affaccia al balcone ove sono stese le coperte di
seta. Donna Noemi è giovanissima, è fidanzata a don Predu, e don Zame, che segue
anche lui la processione, finge d’esser come sempre corrucciato, ma è molto contento...
Il sole alto sferzava adesso il paesetto più che mai desolato nella luce
abbagliante del mattino già caldo: le donne uscite di chiesa sparvero qua e là, tacite
come fantasmi, e tutto fu di nuovo solitudine e silenzio intorno alla casa delle dame
Pintor.
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
serpenti. È piuttosto un dio che chiede vendetta e impone espiazione. Per tanto, nella
logica di questa religiosità si svolge il dramma d‟espiazione di Efix.
Pregando un Dio che non si commuoveva mai (L’edera, 34)
Ma Gesù castiga anche, castiga i peccatori, i fraudolenti, i falsari... (Canne,
123)
Lui aiuta Lia a fuggire; poi, uccide il padrone; oltre accoglie il nipote-prodigo
che è tornato all‟ovile materno e finalmente placa la divinità col sacrificio della propria
vita.
È vero. L’ho uccisso io, tuo nonno, sì. Mille volte avrei confessato per la strada,
in chiesa, ma non l’ho fatto per loro. Se mancavo io, chi le assisteva? Ma è stato per
disgrazia, Giacì! Questo te lo giuro. Io sapevo che tua madre voleva fuggire, e la
compativo perchè le volevo bene: questo è stato il primo mio delitto. Ho sollevato gli
occhi a lei, io verme, io servo. Allora lei ha profittato del mio affetto, s’è servita di me,
per fuggire... E lui, il padre, indovinò tutto (...) E son fugito, e son tornato... Tre volte
così
( Canne, 136)
I TEMI
Tra 1888 e 1937 si svolge tutta l‟attività letteraria della nostra autrice. Il primo
racconto Sangue Sardo –pubblicato quando appena aveva diciassette anni- offre già due
parole chiave di molte delle opere che seguiranno.
A questo punto, Benedetto Croce aggiunse che le materie che ella trovava erano
sempre storie di amori e di colpe, e descrizioni di paesaggi e costumanze della
Sardegna12.
12
CROCE, B La letteratura della Nuova Italia, Bari, 1950.
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María del Mar Morata García de la Puerta - INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L‟EDERA
Ma questo argomento si deve capire nel suo senso più profondo. Non è che le
materie deleddiane siano pure geografiche, naturalistiche senza di più; ma che è riuscita
a identificarsi completamente con quel mondo descritto, che ci fa scoprire la
problematica morale di cui sono imbuite tutte le opere. E più ancora, che si trova
sempre la coincidenza tra società e coscienza, come un riflesso di quel conflitto che
dovette essere sofferto dalla scrittrice di essere artista e donna barbagia.
L’amore non conosce nè povertà nè nobiltà. Quanti signori non han sposato
ragazze povere? Che ne sai tu? Più di un lord inlgese, più di un milionario d’America
han sposato serve, maestre, cantanti... perchè? Perchè amavano. E quelli sono ricchi:
sono i re del petrolio, del rame, delle conserve!... Le principesse russe, le americane,
chi sposano? Non s’innamorano di poveri artisti persino dei loro cocchieri e dei loro
servi? (87)
13
Vid. supra, pag. 2
14
La baciò. Le sue labbra bruciavano, ma era il bacio di un disperato che cerca sulle labbra della donna
di dimenticare i suoi problemi ( L’edera, 21)
(...) sorride con gli occhi dolci pieni di desiderio, mostrandole fra le labbra rosee i denti bianchi quasi
volesse morderla (Canne, 73)
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BIBLIOGRAFIA
ALZIATOR, FRANCESCO, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari, 1954
FLORIS, ANTONIO, “Grazia Deledda: vita ed opere del periodo nuorese” in Grazia
Deledda nella cultura contemporanea 1, Nuoro, 1992 (255-264)
LAVINIO, CRISTINA, “Primi appunti per una revisione critica dei giudizi sulla lingua
di Grazia Deledda” in Grazia Deledda nella cultura contemporanea 1, Nuoro, 1992
(69-82)
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María del Mar Morata García de la Puerta
INTORNO A DUE ROMANZI DELEDDIANI: CANNE AL VENTO E L’EDERA